Disturbi cognitivi - Neurochirurgia. La prima neurochirurgia virtuale

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Disturbi cognitivi
INTRODUZIONE
Le funzioni cognitive sono quelle capacità che ci permettono la vita di relazione. Vale a dire la memoria, l'attenzione, la percezione, il riconoscimento e la
comprensione delle informazioni del mondo esterno, la capacità di dare risposte
adeguate e di farsi capire con le parole e le azioni, l'orientamento nello spazio e nel
tempo.
La valutazione di queste funzioni schematicamente riguarda:
1. la coscienza: stato di coscienza (consapevolezza di sé e dell'ambiente circostante) e livello di coscienza (vigilanza);
2. attenzione e concentrazione;
3. linguaggio;
4. funzioni prassiche e gnosiche.
Ad ogni funzione mentale non corrisponde un'unica determinata localizzazione anatomica, ma più zone, anche distanti tra loro, possono partecipare alla realizzazione di una data funzione, pur con modalità diverse. Tuttavia alcune aree sono
più strettamente in rapporto con un certo tipo di funzione che con altre. La distruzione di una particolare zona può provocare, per ragioni di contiguità anatomica
e/o di organizzazione funzionale, un insieme di sintomi a carico di più funzioni(35).
Nell'interpretare la natura di un deficit cognitivo occorre sempre fare attenzione, perché per esempio, un disturbo di calcolo non necessariamente implica una
diagnosi di acalculia o di deficit di manipolazione di numeri e di ragionamento
aritmetico, ma può riflettere un deficit di concentrazione nell'ambito di un disturbo
attentivo oppure un deficit afasico di denominazione o scrittura di numeri oppure
un deficit nell'allineamento spaziale dei numeri nell'ambito di una sindrome emiinattentiva(35).
In seguito a trauma cranico, spesso compaiono disturbi della vigilanza e del-
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
l'attenzione, problemi di linguaggio, disfunzioni mnesiche e talora deficit nell'esecuzione dei gesti e, per alterazione nell'elaborazione delle percezioni sensoriali,
incapacità nel riconoscere ciò che viene visto, sentito o toccato.
Tale impoverimento cognitivo si ripercuote anche sulla personalità. Ecco perché‚ le sequele post-traumatiche non fisiche possono essere globalmente classificate in due categorie, anche se in realtà non sono separabili: le alterazioni delle
funzioni cognitive e le alterazioni del comportamento e della personalità(61).
Qualsiasi tipo di trauma cranico, anche quello più lieve che non permette di
rilevare danni immediati, può essere responsabile di alterazioni cognitive e comportamentali più o meno persistenti(62).
Queste alterazioni non sempre appaiono d'immediata comprensione clinica e
spesso sfuggono anche alle classiche indagini neurologiche e psichiatriche ed alla
maggior parte degli esami strumentali(87,161,171,238). I disturbi cognitivi vengono
spesso sottovalutati perché non compromettono gravemente la funzionalità vitale,
pur alterando decisamente la qualità della vita quotidiana, determinando una diminuita capacità nelle attività lavorative e nello svolgere le normali mansioni di vita
privata quotidiana. Anche il grado del loro eventuale recupero è spesso non adeguato al ritorno del precedente stile di vita, con conseguenze enormi sul piano
personale ed inter-personale. Inoltre, per i familiari possono rappresentare una
fonte di stress molto superiore rispetto a quella causata dai residui problemi fisicoorganici(139).
Il disturbo mentale, più o meno grave che si sviluppa, interferisce negativamente con i rapporti familiari e con il processo di reinserimento sociale e riduce la
capacità del soggetto a superare il proprio handicap fisico. Frequentemente si pone
quindi la necessità di dover operare non solo sul paziente, ma anche sull'intero
nucleo familiare e sulle problematiche sociali ed economiche derivanti.
Diversi studi hanno dimostrato come gli esiti cognitivi e comportamentali
prevalgono su quelli organici: circa il 30-40% dei traumatizzati cranici presenta a
tre anni di distanza del trauma disturbi che influenzano l'adattamento psicosociale(124).
DISTURBI DELL'ATTENZIONE
Nel traumatizzato cranico i disturbi dell'attenzione sono variamente presenti
in tutte le fasi del decorso post-acuto. Ma mentre alcune componenti, in genere le
più evidenti, tendono, più o meno rapidamente, a riordinarsi, altre persistono anche
a distanza, fino a divenire irreversibili, specie nei traumi cranici gravi.
L'attenzione è quel sistema funzionale che consente di dirigere e focalizzare
l'attività mentale secondo gli scopi prefissi. È inoltre l'esperienza soggettiva di
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rivolgersi verso un oggetto interno od esterno(97). La capacità di orientamento selettivo viene indirizzata a seconda delle informazioni ambientali (esterne od interne), del loro significato, della rilevanza ed importanza gerarchica che viene loro
attribuita in base ad esperienze precedenti.
Il substrato anatomico del sistema attenzionale è organizzato in tre livelli:
tronco encefalico, talamo, corteccia cerebrale, ma le relazioni e le varie valenze
funzionali sono solo parzialmente conosciute(35).
L'attuarsi di un processo attentivo richiede due condizioni:
• normale stato di vigilanza ed allerta,
• normali capacità di concentrazione e selezione.
La normale funzione dell'attenzione richiede livelli adeguati di vigilanza. Se
vi è sonnolenza o affaticamento mentale le capacità attentive si riducono notevolmente. Altre cause di distraibilità possono essere ricercate in situazioni di stress o
paura, di dolore fisico, di disturbi emotivi quali ansia, depressione o mania; infine,
anche il deterioramento globale delle funzioni cognitive riduce i livelli attentivi.
Le funzioni attentive sono controllate da uno specifico sistema decisionale,
un "supervisor attentional system"(202), che presi in esame i vari aspetti di una situazione avrebbe il compito di:
• distribuire l'attenzione secondo una gerarchia pianificata in base alla rilevanza
delle varie informazioni;
• ridistribuire l'attenzione in seguito ad errori di pianificazione o in caso di variazioni, soprattutto in situazioni di pericolo.
L'attenzione può essere schematicamente suddivisa in: automatica, controllata
o volontaria, selettiva o unicanalizzata, distribuita o multicanalizzata, momentanea,
sostenuta ed orientata.
L'attenzione automatica è la funzione che consente di produrre risposte immediate senza precedente analisi delle informazioni ricevute dall'ambiente. Tali
reazioni primitive sono costituite dai meccanismi di difesa e dalle reazioni primitive di orientamento (acustiche e visive) e vengono elicitate sia da stimoli esterni,
potenzialmente nocivi, sia da stimoli significativi di possibili pericoli (per esempio, il suono di un campanello o del telefono). Nel soggetto normale tale tipo di
reazione è sempre presente. L'attenzione automatica è conservata anche in presenza di uno stato di coma o di uno stato vegetativo.
L'attenzione controllata o volontaria è quella funzione che consente l'esecuzione di tutti i processi mentali consci. Essa si rivolge, a differenza della precedente, solo ad un canale. Nei soggetti confusi è possibile solo per attività molto
semplici ed espletabili in tempi rapidi, a causa delle labilità attentive e delle difficoltà ad inibire inferenze ambientali; mentre nel coma, come nello stato vegetativo, è assente.
L'attenzione selettiva o unicanalizzata è la capacità di selezionare una o più
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fonti, delle stimolazioni esterne, in presenza di diverse informazioni. È quindi la
capacità di concentrarsi sull'oggetto che interessa. Quotidianamente però non viene
tanto richiesta esclusivamente un'attenzione selettiva quanto un'attenzione fortemente prevalente su un'informazione.
L'attenzione distribuita o multicanalizzata costituisce la capacità di concentrarsi in un compito volontario, mantenendo disponibili delle quote attentive per
rispondere alle eventuali sollecitazioni ambientali (per esempio, concentrarsi su
una lettura con attenzione a possibili rumori come il suono del telefono). La prima
attività attentiva, che assorbe gran parte dell'attenzione, costituisce il canale primario, mentre le altre quote disponibili formano i canali secondari. È importante notare che l'attenzione da multicanalizzata, qualora una delle variabili cambi, può divenire selettiva.
L'attenzione momentanea è quella che si concentra sulle stimolazioni ambientali, siano esse tattili, visive o acustiche, per le quali è necessario decidere se
ignorarle o prestar loro attenzione. È quindi quella componente che consente una
relazione con il mondo circostante, permettendo ad ognuno di attuare risposte
comportamentali, in seguito a stimoli validi.
L'attenzione sostenuta o concentrazione è la capacità di mantenere livelli attentivi adeguati per il tempo necessario a completare un compito (come la lettura,
l'esecuzione di un'attività prassica, la risoluzione di un esercizio o altro). Essa viene studiata attraverso compiti di vigilanza e compiti che richiedono risposte veloci
per almeno 20 minuti. Con il passare del tempo si osserva un decremento del livello attentivo fino al declino(49).
L'attenzione orientata è distinta in overt (manifesta) e covert (nascosta)(166).
L'attenzione overt è un comportamento attentivo evidente, che anche un osservatore esterno può rilevare facilmente, ed è rivolta ad uno specifico stimolo ambientale
(per esempio, qualcuno che guarda attentamente qualcosa o qualcuno). L'attenzione covert è invece quell'attenzione non manifesta, il soggetto non mantiene, infatti,
un atteggiamento tale da far capire ad un osservatore esterno in che direzione è
orientata la sua attenzione (per esempio, una persona che guarda in una direzione
mentre ascolta ciò che succede da un'altra parte).
Modificazioni attentive dopo traumi cranici, anche lievi, furono ipotizzate fin
dal 1938(43,184). Ma per molti decenni tali considerazioni non trovarono alcun riscontro scientificamente convalidato. Scarsi erano i mezzi strumentali e testologici
per identificare e quantificare i deficit attentivi, e scarso era l'interesse rivolto ai
disturbi cognitivi dei traumatizzati. I primi studi risalgono agli anni '70(82,83,84,150).
Col tempo sono migliorate anche le tecniche di rilevazione dei deficit. Come
l'introduzione dell'esame dei tempi di reazione, che ha consentito di valutare meglio quei numerosi pazienti che, pur con un buon recupero funzionale documenta-
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bile dalle scale e test tradizionali, continuano a lamentare difficoltà attentive. Il
divario tra valutazioni oggettive e sensazioni soggettive del paziente, imputabile al
fatto che questi deficit non consentono all'individuo di possedere delle capacità tali
da risultare competitivo rispetto alle richieste dell'ambiente esterno, può essere
infatti risolto ricorrendo alla metodica dei tempi di reazione. Pazienti con punteggi
normali ai vari test neuropsicologici possono presentare deficit all'analisi dei tempi
di reazione.
Data praticamente l'ubiquità delle strutture anatomiche implicate nelle funzioni attentive, i traumi cranici, anche quelli lievi, indipendentemente dalla sede
lesiva, possono provocare alterazioni di queste funzioni.
I disturbi dell'attenzione sono tra i più comuni deficit cognitivi posttraumatici(62). Spesso sono legati a disturbi della vigilanza. Nel coma, che rappresenta la turba più grave della vigilanza, l'attenzione è assente, ma anche nelle alterazioni minori del livello di coscienza, come la sonnolenza, sono presenti deficit
attentivi.
I traumatizzati cranici hanno anche un alterato controllo delle funzioni attentive. In situazioni nelle quali è necessario distribuire l'attenzione su più questioni,
mostrano comunemente tre tipi di difficoltà:
• non riescono a controllare più informazioni contemporaneamente;
• non riescono a stabilire priorità, in maniera corretta, trovandosi o ad ignorare
informazioni rilevanti o ad attestare la loro attenzione su stimoli irrilevanti e distraenti;
• non riescono, in maniera pronta e valida, a ridistribuire l'attenzione qualora le
informazioni provenienti dall'ambiente siano modificate.
Riguardo ai vari tipi di attenzione:
• l'automatica, che fa parte delle reazioni primitive, rimane conservata;
• la volontaria manca se lo stato di vigilanza è assente o alterato;
• la selettiva presenta alterazioni dovute principalmente all'incapacità a controllare le inferenze ambientali, con conseguente distraibilità, e alla presenza di tempi di risposta più prolungati. Alcuni test hanno dimostrato interessanti risposte,
come il test dell'inferenza di Stroop(162), che consiste nel far dire al paziente il
colore con il quale è stampato il nome di alcuni colori (con stimoli congruenti
quando nome e colore sono uguali oppure incongruenti quando nome e colore
sono diversi, per esempio parola rosso stampata in blu). Questo comporta che
il soggetto non riesca mai, anche quando sano, ad ignorare la parola scritta, che
inferisce con la corretta denominazione del colore. I pazienti con traumi cranici
lievi sono risultati più lenti, ma con inferenza circa uguale rispetto ai soggetti di
controllo; mentre nei traumi cranici gravi l'inferenza risulta maggiore, anche se
non tutti gli autori concordano(224,225). Il metodo dei fattori additivi di
Sternberg(211) ha inoltre evidenziato che pazienti con traumi cranici gravi mo-
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
strano difficoltà nello stadio di selezione ed in quello motorio di esecuzione
della risposta; invece, i pazienti con trauma cranico lieve non presentano differenze rispetto al gruppo di controllo(205);
• la distributiva risulta alterata per l'incapacità di canalizzare la concentrazione
su più stimoli;
• la momentanea è alterata. I pazienti appaiono distratti: non rispondono alle
informazioni importanti, e distraibili: rispondendo a informazioni inferenziali
che non necessiterebbero di risposte;
• la sostenuta è deficitaria. I traumatizzati cranici, come tutti i cerebrolesi, presentano notevoli difficoltà a mantenere, per tempi sufficientemente lunghi, un
livello attentivo adeguato. Hanno principalmente due tipi di problema: facile
stancabilità e precoce distraibilità e tempi di concentrazione brevi. Per questi
motivi interrompono precocemente il compito assegnatogli o giungono a conclusioni errate;
• la orientata sembra non essere stata studiata nei traumi cranici.
I disturbi attentivi si manifestano diversamente a seconda della fase posttraumatica considerata. Nella fase acuta dei traumi non gravi, cioè alla ripresa di
contatto del paziente con l'ambiente esterno in uno stato confusionale con agitazione psicomotoria oppure con inerzia motoria ed inibizione comportamentale, è
evidente una difficoltà attentiva per stimoli esterni ed interni. Se il paziente è confuso ed agitato non è in grado di eseguire nessun compito né di rispondere a domande elementari, presenta una labilità attentiva vagando da uno stimolo all'altro
senza alcuna intenzionalità ed in una continua frammentazione di azioni e parole(196). Se invece il paziente presenta uno stato confusionale associato ad inerzia e
passività è necessario riproporgli più volte le richieste per ottenere risposte seppur
vaghe. Il paziente, infatti, dà risposte automatiche agli stimoli esterni dimenticando, in maniera rapida, le risposte fornite. I disturbi attentivi, in questa fase, possono essere causa: del disorientamento spazio-temporale, dei disturbi del linguaggio
(anomie, incoerenza del discorso, ecc.) e dei disturbi della memoria(196). Spesso
alla regressione dei disturbi attentivi scompaiono e si risolvono anche gli altri.
Nella fase post-acuta frequentemente si riacquistano le capacità attentive,
principalmente l'attenzione unicanalizzata e sostenuta vengono mantenute per tempi sempre maggiori. Inizialmente il paziente tende a svolgere automaticamente solo
attività suggeritegli, mentre poi acquisisce capacità di iniziativa propria.
Nelle fasi più avanzate le difficoltà attentive riguardano principalmente l'incapacità, maggiormente in presenza di inferenze, a distribuire adeguatamente l'attenzione multicanalizzata a seconda delle priorità. I traumatizzati cranici, più che
gli altri cerebrolesi, presentano incapacità di fronte a situazioni richiedenti l'attivazione integrata ed il controllo attentivo di molteplici abilità.
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DISTURBI DELLA MEMORIA
La memoria, cioè la capacità di immagazzinare le informazioni e di avere accesso ad esse(64), viene sempre coinvolta nei traumi cranici. L'interessamento può
essere globale, soprattutto nelle fasi acute, e transitorio oppure parziale ed in genere permanente nelle fasi croniche.
Le informazioni provenienti da vari canali sensoriali (uditivo, visivo, tattile,
olfattivo, gustativo), le esperienze derivate dall'ambiente e l'attività di pensiero
vengono affidate a diversi tipi di memoria, a seconda delle esigenze operative. La
prima e generale differenziazione, tra i vari tipi di memoria, riguarda la distinzione
tra memoria a breve termine, o primaria, e memoria a lungo termine, o secondaria.
La prima permette di ritenere una quantità limitata di informazioni per breve tempo, poche decine di secondi; mentre la seconda consente di fissare il ricordo in
modo durevole. L'espressione della memoria a breve termine può venire facilmente
alterata fino a che le tracce mnesiche non sono state mutate in memoria a lungo
termine. Una volta trasformate, le tracce di memoria sono relativamente stabili,
anche se col tempo si ha una graduale perdita delle informazioni immagazzinate o
una ridotta capacità a rintracciarle.
Per riuscire a dissociare le due componenti, a breve e a lungo termine, della
memoria può essere utilizzata la tecnica della rievocazione libera di liste di parole.
Si presenta ad un soggetto una lista di nomi e gli si chiede di ripeterla subito dopo.
Gli elementi meglio ricordati sono sempre i primi (effetto di prima posizione) e gli
ultimi (effetto di ultima posizione). Se dopo la lettura si distrae il soggetto, impedendogli così di ripassare la lista, si nota che ricorda solo le prime parole. Questo
indica che gli ultimi nomi sono rimasti "temporaneamente" archiviati, ma per essere ritenuti devono essere ripassati. L'effetto di ultima posizione è transitorio, qualora la rievocazione sia differita di 30 secondi scompare. La memoria a breve termine è responsabile dell'effetto di ultima posizione, mentre la memoria a lungo
termine di quello di prima posizione(222).
La memoria a breve termine utilizza un codice fonologico, registra le caratteristiche fisiche dello stimolo (così le informazioni uditive o visive sono rappresentate rispettivamente da un codice acustico o visivo) ed è in grado di rievocarle
esattamente (per esempio, ritenere a mente, per qualche secondo, un numero telefonico, fino ad avere trovato carta e penna per trascriverlo). La memoria a lungo
termine usa invece un codice semantico, privilegia cioè il significato dell'informazione, tenendo in scarsa considerazione le caratteristiche fisiche dello stimolo,
opera estraendo ed immagazzinando contenuti semantici essenziali (per esempio,
ricordare la trama di un romanzo senza memorizzarne i brani, ma trattenendo il
significato della storia e gli eventi principali)(223). Le due componenti, pur operando in maniera diversa e relativamente indipendente, sono strettamente integrate.
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
La memoria a breve termine viene valutata calcolando la quantità di informazioni (span): numeri, parole o altro, che un soggetto può ritenere per un limitato
periodo di tempo, alcuni secondi, e ripetere immediatamente. Questa capacità è
variabile da soggetto a soggetto ed aumenta se gli elementi da memorizzazione a
breve termine vengono organizzati in gruppi(150).
Nella memoria a lungo termine viene immagazzinato qualsiasi elemento che
ecceda l'ampiezza dello span, indipendentemente dal fatto che la rievocazione
debba avvenire entro pochi secondi o dopo anni. All'interno della memoria a lungo
termine è possibile distinguere una memoria procedurale ed una memoria dichiarativa(219,220).
La memoria procedurale o implicita, meno cosciente, è legata ad abilità motorie, percettive e cognitive apprese. Questo tipo di memoria consente l'esecuzione
di azioni e comportamenti semiautomatici, come guidare l'automobile o andare in
bicicletta. Sembra che non esista un'unica struttura anatomica critica per la memoria procedurale, ma numerose strutture, ognuna specifica per una determinata forma di memoria, per esempio quella di tipo motorio dipenderebbe dal cervelletto(44).
La memoria dichiarativa o esplicita rigurda fatti, persone, luoghi della vita
quotidiana di ogni individuo, tutti ricordi che possono essere rievocati (in forma
verbale o non: per esempio come immagine) con una partecipazione volontaria
attiva. Essa può essere ulteriormente suddivisa in due sottocomponenti:
• la memoria semantica, che contiene le informazioni relative al patrimonio di
conoscenze culturali apprese in ambito familiare, scolastico e sociale ed in particolare sull'uso del linguaggio (significato delle parole, dei simboli verbali e
non). Una volta apprese, queste conoscenze, possono essere rievocate, a prescindere dalle caratteristiche dello spazio e della temporalità, così ognuno sa
che la capitale d'Italia è Roma, ma nessuno ricorda luogo e data in cui lo ha appreso;
• memoria episodica, che è costituita da avvenimenti dell'esperienza di vita personale con una precisa connotazione spazio-temporale. Al suo interno si distinguono, inoltre, una componente verbale (per esempio, ricordo di una poesia) ed
una componente visuo-spaziale (per esempio, riprodurre, a distanza di tempo,
un disegno visto in precedenza).
La memoria dichiarativa è un processo ubiquitario e dipende dall'interazione
che si attua tra un insieme di strutture specializzate e la corteccia cerebrale, sede
della conservazione della memoria(44). Infatti, aree del lobo temporale, ippocampo
in particolare e circuiti complessi (che coinvolgono l'ippocampo, il fornice, i corpi
mammillari, il talamo ed il giro del cingolo) accolgono, per un periodo transitorio,
le informazioni apprese in prima istanza, che poi sono distribuite in varie aree
della corteccia frontale, temporale e parieto-occipitale(123).
Altri due tipi di memoria che possono essere distinti sono: la memoria pro-
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spettica e la memoria di lavoro.
La memoria prospettica è la capacità di ricordarsi di eseguire, nel futuro, una
determinata azione. È quindi la capacità di programmare azioni che, dovranno
essere effettuate a distanza di tempo e che devono essere rievocate nel momento in
cui è necessario che si eseguano(134,135). Il ricordarsi di compiere azioni nel futuro
non è però un processo unitario, ma, secondo quanto postulato da alcuni autori(93),
un processo a tre stadi:
1° stadio: riguarda il formarsi di un'intenzione;
2° stadio: il ricordo dell'intenzione;
3° stadio: l'esecuzione dell'intenzione.
Questo pone l'accento sul fatto che occorre, oltre alla consapevolezza di
un'azione futuribile, anche una "normale" dimensione temporale.
In altri studi(21,22) sono state identificate altre quattro componenti della memoria prospettica: la pianificazione; la memoria retrospettiva; la prestazione ed il
controllo. La pianificazione comprende: il formare e marcare un'intenzione. La
memoria retrospettiva significa: ricordare che cosa fare, quando farlo e ricordare di
avere eseguito l'azione. La prestazione è eseguire in modo adeguato l'azione. Il
controllo include: il monitorare l'attenzione; attivare i marcatori dell'attenzione e
disattivare il compito primario.
La memoria di lavoro, fondamentale per la comprensione linguistica, l'apprendimento ed il ragionamento, analizza ed integra le informazioni da apprendere,
le correla alle informazioni già acquisite, le classifica, le ordina, archiviandole
come informazioni simboliche e ne consente il recupero. Avrebbe localizzazione
nella parte anteriore del lobo frontale(73,123).
In generale, la riduzione delle capacità di registrare, ritenere e richiamare l'informazione di memoria viene definita amnesia. Questa può essere a breve termine,
per incapacità a fissare ed acquisire nuovi ricordi e riguarda gli avvenimenti successivi all'inizio della malattia oppure a lungo termine, con incapacità di rievocare
i ricordi già immagazzinati e può riguardare tutto il passato (amnesia globale) o un
passato circoscritto (amnesia lacunare). Nelle amnesie viene perduta la memoria
dichiarativa, quella procedurale presenta infatti la caratteristica di non essere compromessa nelle amnesie(44).
I disturbi mnesici nei traumatizzati cranici sono in genere conseguenti a lesioni diffuse della sostanza bianca oppure a lesioni focali, maggiormente riscontrabili nelle regioni orbito-frontali e temporo-mesiali, fondamentali per le funzioni
mnesiche(101,112).
Sono presenti compromissioni della memorizzazione degli eventi successivi
al trauma cranico (amnesia anterograda) o di rievocazione di episodi ed informazioni apprese prima del trauma cranico (amnesia retrograda). Nei traumi cranici la
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
memoria procedurale è generalmente risparmiata, anche in presenza di una sindrome amnesica globale. Gli amnesici globali, pur presentando un'amnesia anterograda completa e talora anche un'amnesia retrograda, dimostrano capacità di apprendere svariati compiti di tipo procedurale(141,149). La memoria dichiarativa è
invece variamente coinvolta nelle sindrome amnesiche; in particolare è generalmente più compromessa la sua sottocomponente episodica, mentre è più spesso
risparmiata la sottocomponente semantica.
Nei traumi cranici risultano spesso alterati altri due aspetti della memoria: la
memoria di lavoro e quella prospettica.
Tra i vari quadri clinici, quelli più frequenti sono rappresentati dall'amnesia
post-traumatica e dai disturbi mnesici residui.
Amnesia post-traumatica
Dopo un trauma cranico si verifica spesso perdita di coscienza. Al cessare del
coma il paziente si presenta confuso, disorientato nel tempo e nello spazio, non è
in grado di apprendere nuove cose, è confabulante. Risoltosi tale stato il paziente
può presentare una sintomatologia, denominata amnesia post-traumatica, caratterizzata da: amnesia anterograda; deficit della memoria retrograda, di entità variabile; disturbi cognitivo-comportamentali quali: disturbi attentivi, agitazione psicomotoria e disorientamento spazio-temporale. La durata della amnesia posttraumatica rappresenta un importante indice prognostico per i traumi cranici, tanto
che su di essa è in parte basata la distinzione della gravità dei quadri clinici. Essendo diversi i metodi usati per valutare la sua durata, molteplici sono i risultati e
le implicazioni cliniche ottenute nei vari studi. Un metodo sicuro per la sua valutazione è quello di utilizzare quotidianamente il Galverston Orientation and Amnesia Test(116). Con questo test, di facile e rapida applicazione, vengono poste al paziente domande di orientamento spaziale, temporale, personale e compiti di memoria. Si può così distinguere(101) una amnesia post-traumatica:
• assente o lievissima, con durata inferiore a 5 minuti;
• lieve, con durata inferiore ad un'ora;
• moderata, con durata da 1 a 24 ore;
• grave, con durata da 1 a 7 giorni;
• molto grave, con durata da 1 a 4 settimane;
• gravissima, con durata superiore a 4 settimane.
Nell'ambito della sintomatologia dell'amnesia post-traumatica, viene valutata
principalmente l'amnesia anterograda, mentre vengono tralasciate o considerate
solo marginalmente le altre due funzioni. Per questo motivo, si ritrova frequentemente l'amnesia anterograda come sinonimo di amnesia post-traumatica. Spesso
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però ad un deficit anterogrado se ne associa uno retrogrado. L'amnesia retrograda
può avere un coinvolgimento del solo evento traumatico, può però estendersi fino
a comprendere lunghi periodi della vita precedente. In genere questo deficit tende,
parallelamente al recupero della memoria anterograda, a regredire.
Il periodo di tempo, immediatamente prima e subito dopo il trauma cranico,
che non verrà più ricordato prende il nome di lacuna mnesica. In genere nel recupero della memoria vengono ricordati prima eventi più remoti e poi, man mano,
quelli più recenti. Ma il recupero non sempre è omogeneo, spesso, infatti, molte
informazioni vengono trattenute, mentre altre vengono perdute formando dei buchi
della memoria che viene così definita "memoria a groviera"(50).
Per spiegare il fenomeno della amnesia post-traumtica diversi autori hanno
ipotizzato una minore capacità di elaborazione degli stimoli in ingresso ed un decadimento rapido della traccia mnesica. Quest'ultima risulterebbe eccessivamente
labile per una incapacità ad elaborare le associazioni mentali tendenti a collegare il
nuovo materiale da apprendere alle precedenti ed acquisite conoscenze.
Disturbi mnesici residui
Dopo la risoluzione della amnesia post-traumatica, spesso residuano disturbi a
carico della memoria(191). Ne è stata notata un'incidenza del 22%(187) e se la durata
della amnesia post-traumatica è superiore a sette giorni la percentuale sale al
55%(28). Di questi disturbi, osservabili anche moltissimi anni dopo, se ne riconoscono tre quadri principali: amnesia globale classica; disturbi mnesici inusuali;
disturbi per prevalente interessamento dei lobi frontali.
L'amnesia globale classica è dovuta principalmente a lesioni temporali profonde, coinvolgenti l'ippocampo. Una lesione ippocampale può seguire anche all'ipossia, frequente complicanza del trauma cranico. Nell'amnesia globale classica
la memoria a breve termine è generalmente conservata, mentre risulta più compromessa la memoria a lungo termine. Maggiore coinvolgimento emerge a carico
della memoria anterograda che può essere talmente inficiata che nessuna nuova
informazione può più essere acquisita. Il deficit retrogrado risulta variabile, tanto
che molti traumatizzati riescono a ricostruire i ricordi fino a qualche secondo prima dell'evento lesivo.
I disturbi mnesici inusuali, di raro riscontro, sono alterazioni selettive di alcune componenti della memoria. Così si può avere una selettiva, o prevalente,
compromissione della memoria retrograda(128); una amnesia globale transitoria(165);
una selettiva compromissione della memoria semantica(85); una paramnesia reduplicativa per i luoghi, cioè il paziente è convinto che un determinato posto, in genere l'ospedale presso cui è degente, sia situato in un luogo diverso da quello in cui
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
si trova realmente. Quest'ultima si osserva maggiormente per lesioni frontali(17).
I disturbi mnesici per prevalente coinvolgimento dei lobi frontali riguardano
la flessibilità cognitiva, la pianificazione e la programmazione del comportamento.
Alcuni studi(59) hanno permesso di evidenziare, oltre ad un ruolo frontale, un interessamento anche dei gangli della base. Si sono così distinti due tipi di flessibilità:
una reattiva (cambiare set di risposta), di cui sono responsabili i nuclei della base,
ed una spontanea (produrre una gamma di idee diverse), codificata a livello frontale.
Schematicamente le amnesie da danno frontale producono i seguenti deficit:
• scarsa consapevolezza di malattia. Gli amnesici non solo non ricordano le informazioni, ma non rammentano neanche di essere amnesici(190). Sono assenti
anche l'autocritica e la consapevolezza delle difficoltà di apprendimento(170);
• deficit della memoria di lavoro. I traumatizzati cranici presentano difficoltà
nella rievocazione differita e nella valutazione delle informazioni da integrare o
da ignorare. A distanza di tempo rievocano i contenuti di brani in modo confuso
e vago per una carenza elaborativa della memoria di lavoro;
• deficit della memoria prospettica. Questo tipo di memoria, a causa della sua
complessità funzionale, subisce sempre, nei traumatizzati cranici, un importante
deterioramento.
Il trauma cranico provoca spesso lesioni alle aree frontali ed essendo queste
sede delle normali dinamiche attentive, può risultare che i deficit mnesici non siano sempre dovuti a problemi a carico della memoria, ma ad insufficienti strategie
cognitive, legate a queste strutture. Un deficit della supervisione attentiva si traduce facilmente in un problema a carico della memoria lavorativa. L'inefficiente organizzazione del materiale da apprendere o rievocare produce alterazioni della
memoria prospettica e della capacità di ricordare eventi con un'esatta sequenza
cronologica(204), ciò determina la tendenza alle confabulazioni, alle quali possono
associarsi franchi fenomeni allucinatori, fino al raggiungimento della cosiddetta
psicosi post-traumatica(134,135).
DISTURBI DEL LINGUAGGIO
Disturbi del linguaggio si hanno per lesioni di un'estesa area corticale e sottocorticale nella faccia laterale dell'emisfero dominante (area perisilviana). In questa
regione è possibile distinguere una parte anteriore coinvolta nell'espressione del
linguaggio ed una parte posteriore necessaria sia per l'espressione sia per la recezione dei messaggi linguistici. Inoltre, vi si possono individuare aree centrali e
marginali. Le prime sono indispensabili per la corretta utilizzazione dei fonemi
(vocali e consonanti) e sono l'area di Broca: sede dell'espressione, adiacente alla
Disturbi cognitivi
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corteccia motoria che controlla i movimenti necessari per articolare le parole, e
l'area di Wernicke: importante per la comprensione dei messaggi acustici, localizzata nella parte postero-superiore del lobo temporale. Le aree marginali sono indispensabili per l'uso delle parole intere: combinazione in frasi (aree marginali anteriori) e, mediante l'integrazione delle informazioni visive, acustiche e delle altre
modalità sensoriali, selezione delle parole (aree marginali posteriori).
La distruzione delle aree del linguaggio provoca un disturbo acquisito dell'uso dei simboli verbali definito afasia, la cui semeiologia è in relazione all'esatta
localizzazione e all'estensione del danno.
La prima descrizione scientifica di afasia risale al 1861, quando il chirurgo
francese Pierre-Paul Broca presentò alla Società di antropologia di Parigi i risultati
dell'autopsia di un paziente che non riusciva a parlare, ma poteva capire quello che
gli veniva detto. Il chirurgo individuò un'area corticale, che poi ha preso il suo
nome, la cui lesione provoca disturbi dell'espressione. Questa scoperta permise a
Broca di formulare nel 1864 il famoso principio: "noi parliamo con l'emisfero sinistro". Ricordiamo che l'emisfero che ha la funzione del linguaggio, per consuetudine, viene chiamato dominante e nella quasi totalità dei destrimani ed in oltre i
2/3 dei mancini ed ambidestri è il sinistro.
Poi, nel 1874 il neurologo tedesco Karl Wernicke descrisse una diversa forma
di afasia, caratterizzata da disturbi della comprensione del linguaggio e conseguente alla distruzione di un'area corticale situata posteriormente rispetto a quella
di Broca.
Da allora gli studi sull'afasia sono stati numerosi(12).
I disturbi fasici sono variabili nei diversi quadri clinici, assoluti o parziali, e
mutevoli anche nello stesso paziente(122).
Le afasie che più comunemente si riscontrano nella pratica clinica sono:
• afasia di Broca: in cui l'espressione verbale è ridotta (afasia non fluente) e
compromessa (per alterazioni nella struttura della parola o della frase), anche nell'attuazione fonetica (disartria); mentre la comprensione è relativamente conservata. Sono presenti difficoltà nella ripetizione e nella denominazione; la lettura e la
scrittura sono alterate. Se si invita il paziente ad indicare un determinato oggetto lo
fa correttamente; se gli si danno ordini li comprende ed esegue; se però gli si chiede di dire il nome di un oggetto che gli viene mostrato non riesce a dirlo(193). Il
malato ha piena coscienza del disturbo, tenta reiteratamente di parlare e spesso,
dopo ripetuti tentativi, l'ira e la frustrazione si accompagnano a reazioni depressive, a volte molto intense, definite "reazioni catastrofiche"(122,194). Curioso è il fenomeno, che a volte si instaura, della disprosodia, per cui il soggetto, per errori
della pronuncia delle consonanti e per alterazioni dell'accentazione, sembra parlare
con accento straniero. Nelle serie automatiche, come ripetere l'alfabeto o contare,
l'espressione verbale ed i disturbi dell'articolazione migliorano, rivelando le capa-
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
cità dell'emisfero destro, in cui sarebbero localizzati i meccanismi per il linguaggio
automatico(122);
• afasia di Wernicke: il paziente parla molto (afasia fluente), ma in modo incomprensibile (con molti errori soprattutto fonemici, talora gergo fonemico e neologistico); la comprensione verbale, della lettura e della scrittura, la ripetizione e la
denominazione sono gravemente compromesse. Manca la coscienza del disturbo
ed il malato si sorprende se l'interlocutore non capisce. Quest'afasico può essere
paragonato ad un individuo che si trova in un paese straniero di cui non conosce la
lingua. Se si invita il paziente ad indicare un determinato oggetto non riesce a farlo; se gli si danno degli ordini semplici non li esegue e se gli si chiede di dire il
nome di un oggetto che gli viene indicato non lo dice;
• afasia globale: è la forma più frequente e più grave e rappresenta la somma
delle due precedenti. Il linguaggio spontaneo è notevolmente ridotto (con frammenti sillabici o stereotipie), talora fino all'anartria e manca la comprensione per il
linguaggio scritto e parlato;
• afasia amnestica: si caratterizza per una marcata anomia che rende l'espressione verbale vuota di informazioni. Il paziente, che parla e capisce correttamente,
non riesce a trovare la parola voluta e usa termini passe-partout come "coso" o giri
di parole. La comprensione, la ripetizione orale, la lettura e la scrittura sono normali. Questo tipo di disturbo non ha in genere un preciso valore localizzatore. Una
afasia anomica ad insorgenza graduale può anche essere il primo segno di una
demenza.
Tra le forme cliniche più rare e lievi: l'afasia di conduzione, da lesione del fascicolo arcuato che connette le due aree centrali del linguaggio, in cui il disturbo
principale consiste nell'impossibilità di ripetere; e le afasie transcorticali motoria e
sensoriale, prodotte da lesioni delle aree marginali anteriori e posteriori, che si
differenziano rispettivamente dall'afasia di Broca e di Wernicke per la conservata
capacità di ripetizione.
In generale le batterie testistiche per i disturbi afasici indagano:
• il linguaggio spontaneo, mediante un'intervista formale e risposte a quesiti
strutturati;
• la denominazione di oggetti;
• la comprensione del linguaggio: viene abitualmente esplorata chiedendo al
paziente di indicare un oggetto denominato dall'esaminatore o facendogli domande che prevedono una risposta di tipo sì/no;
• la ripetizione;
• la lettura ad alta voce e la comprensione della lettura;
(35)
• la scrittura: mediante frasi spontanee, scrittura sotto dettatura, copia .
La terapia rieducativa orale cerca di sfruttare tutti i meccanismi integri e di
stimolare l'afasico a far uso del proprio linguaggio(19), ma i pazienti che non sono
Disturbi cognitivi
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consapevoli delle proprie menomazioni difettano di motivazione e questo ha importanti conseguenze sul processo di riabilitazione, che richiede la partecipazione
attiva del malato.
Nelle lesioni cerebrali traumatiche, specie in presenza di contusioni in sede
fronto-temporale sinistra, possono verificarsi sindromi afasiche(189). Queste afasie
post-traumatiche sembrano avere un decorso più favorevole rispetto a quelle secondarie a lesioni cerebro-vascolari ed il fattore che maggiormente influenza il
recupero è l'età. L'afasia non è comunque, nel traumatizzato cranico, la fonte principale delle difficoltà di comunicazione, si possono infatti osservare: disartria, per
incoordinazione motoria della muscolatura orale; difficoltà a parlare per la presenza di altri deficit cognitivi coesistenti, come aprassia bucco-linguo-facciale che
altera i movimenti di fonazione oppure disturbi agnosici che interferiscono con le
prestazioni che richiedono un riconoscimento oppure deficit della memoria e dell'attenzione che limitano la capacità dei pazienti di controllare il contenuto del
proprio linguaggio(62).
La prognosi delle afasie dipende dal quadro clinico (in particolare è stato osservato che l'afasia di Broca è peggiore di quella di Wernicke) e dal tempo trascorso dall'inizio della malattia. Si può avere un miglioramento spontaneo, ma si hanno
maggiori possibilità di recupero in tutti i comportamenti verbali utili alla comunicazione, espressione e comprensione del linguaggio orale e scritto, se il paziente
viene sottoposto a rieducazione. Queste possibilità, inoltre, sono tanto maggiori
quanto più precoce è il trattamento(12).
I deficit del linguaggio conseguenti a traumatismi rivestono particolare interesse anche da un punto di vista strettamente psichiatrico. Il linguaggio rappresenta, infatti, lo strumento grammatico-lessicale di espressione e comprensione del
pensiero, nonché di formazione dello stesso, rappresentando quindi il mezzo che
funge da tramite in tutte le comunicazioni. Le funzioni di strutturazione e comprensione del linguaggio in un contesto costituiscono la cosiddetta pragmatica
della comunicazione. È attraverso la pragmatica che i soggetti riescono a comprendere, comunicare e ricevere efficacemente qualsiasi forma del pensiero/linguaggio all'interno di un contesto(34,176). Il contesto, in senso lato, si riferisce
ad un retroterra sociale in cui opera il linguaggio, chiamando in causa la conoscenza del mondo(136). I disturbi della pragmatica del linguaggio, nella patologia neurotraumatica, sono relativamente poco frequenti (7-10% dei casi a seconda delle
casistiche)(92,113,191). Ma è proprio a partire dall'osservazione di tale patologia, in
soggetti con traumi cranici, che questi deficit hanno assunto dignità di categoria
semeiologica generale, quale ne sia l'eziologia. La pragmatica si occupa, in modo
particolare, del contenuto comunicativo, metaforico e ironico di un enunciato.
Tramite le capacità pragmatiche il soggetto comprende e sa ciò che dice, quello
che deve dire, quando e come deve dirlo(81). Ne deriva che il soggetto fornisce in-
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
formazioni in modo adeguato, nella giusta misura, offrendo un piano condivisibile
con chi lo ascolta(3). Ciò consente un equilibrio nelle relazioni d'amicizia, sociali e
familiari, regolando anche la "distanza" tra gli interlocutori.
In pazienti con trauma cranico coinvolgente l'emisfero destro si è notata una
capacità non corretta di interpretare e comprendere atti linguistici indiretti, come
metafore o verbalizzazioni ironiche. Studi tendenti a correlare certe funzioni linguistiche direttamente ad alcune aree dell'emisfero destro non hanno dato risultati
univoci(5). Sia lesioni frontali dorso-laterali sia parietali provocano deficit pragmatici. Sono riportati casi di traumatizzati cranici che presentano funzioni linguistiche primarie conservate ed adeguate capacità mnesiche e di orientamento spaziotemporale, ma mostrano deficit nelle capacità concettuali e nell'abilità a risolvere
problemi con difficoltà di ordine esecutivo(117,138). Posti di fronte ad alcuni compiti
riescono nella risoluzione solo quando sono utilizzabili meccanismi formali precisi
ed appropriati al contesto (per esempio, chiedere l'ora ad uno sconosciuto o chiedere la macchina ad un familiare), valutando adeguatamente il contesto sociale in
cui si trovavano, falliscono invece quando le richieste risultano meno esplicite o
non abituali. Un'altra indagine(137) ha posto l'accento sulle difficoltà dei pazienti
con trauma cranico a comprendere il sarcasmo. Veniva chiesto ai soggetti dello
studio di leggere coppie di frasi e di spiegare ciò che succedeva agli interlocutori.
Il loro compito consisteva nell'interpretare che cosa stava accadendo nella situazione proposta e, là dove presente, di coglierne il sarcasmo. Il comportamento dei
pazienti mostrò un fallimento nell'integrare le informazioni ricevute e nel produrre
collegamenti. Le interpretazioni da loro fornite risultavano sempre di tipo concreto, non essendo colto il significato alternativo neanche quando proposto. La prestazione dei soggetti mostrava infatti una considerazione letterale, che non riusciva
a cogliere gli aspetti ironici e sarcastici proposti.
In sintesi, le tipologie cliniche dei disturbi pragmatici si possono suddividere
in: deficit della qualità del discorso e disturbi del comportamento comunicativo,
che può risultare, di volta in volta, di tipo vago, aspecifico, digressivo, incoerente
o frammentario, tangenziale e confabulatorio(160).
Risulta evidente che deve sempre essere valutata, nei traumatizzati cranici, sia
la capacità del linguaggio di tipo convenzionale sia la competenza pragmatica. Da
pochi anni esistono a tal proposito alcuni questionari come: il Pragmatic Protocol(176), il Profile of Communicative Appropriateness(159) e la Communication Performance Scale(56).
DISTURBI DELLA PRASSIA E DELLA GNOSIA
In seguito a traumi cranici possono presentarsi disturbi delle funzioni prassi-
Disturbi cognitivi
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che e gnosiche.
La prassia è la capacità di compiere gesti, cioè una successione ordinata di
movimenti volontari. In essa si possono distinguere due fasi: la progettazione e
l'esecuzione. Dalle aree associative del lobo parietale sinistro, dove è contenuto il
"centro guida per il gesto finalistico e simbolico", deposito dei programmi motori,
il piano di esecuzione viene trasmesso, per l'attuazione, alle aree motorie bilaterali.
L'aprassia è la perdita della funzione prassica, cioè l'incapacità di effettuare
un gesto diretto ad un fine o contenente un significato, in assenza di deficit motori,
disturbi del riconoscimento degli oggetti o stati psichici che possono alterare la
comprensione(194).
Le lesioni di solito sono localizzate all'emisfero di sinistra; le lesioni bilaterali determinano le forme più gravi di aprassia ed il deficit è in genere maggiore
per gli arti di destra rispetto a quelli di sinistra.
Il disturbo viene denunciato spontaneamente dal paziente solo nei casi più
gravi, infatti una caratteristica peculiare di questa patologia è la dissociazione automatico-volontaria, cioè il malato non è grado di eseguire un gesto volontario, a
comando, ma riesce a compierlo automaticamente, in risposta alle richieste ambientali o contestuali.
A seconda del tipo di aprassia è sbagliato il programma del gesto, cioè non è
corretta la successione dei movimenti, oppure è disturbata l'esecuzione pratica del
movimento.
Nell'aprassia ideativa, che interessa sia gli arti di destra sia di sinistra e compare soprattutto nell'uso di oggetti, il paziente non è in grado di realizzare il programma di una azione, mentre non è disturbato il singolo movimento(193). Non riesce neanche a fornire una descrizione del gesto richiesto. Si ha l'impressione di
trovarsi di fronte ad un soggetto confusionario, che non sa "cosa" fare. Classico è
l'esempio del gesto eseguito per accendersi una sigaretta: il malato strofina la sigaretta sulla scatola dei fiammiferi oppure mette in bocca il fiammifero oppure non
sa come iniziare il gesto od altro. Questo tipo di aprassia consegue in genere ad
una lesione parietale sinistra.
Nell'aprassia ideomotoria, che di solito è bilaterale e riguarda soprattutto i gesti su ordine e su imitazione che non comportano l'uso di oggetti, non è alterato il
piano di attuazione, ma l'esecuzione. Il paziente, pur potendole eseguire automaticamente, non è in grado di compiere certe operazioni su richiesta, come per esempio fare il saluto militare. Riesce a descrivere le sequenze che costituiscono il gesto, ma pur sapendo cosa deve fare, non sa "come" farlo. Il fine del gesto è sempre
comprensibile, ma l'azione è infruttuosa, con movimenti inconcludenti. Questo tipo
di aprassia è provocata da una lesione parietale sinistra. Il disturbo può anche essere unilaterale per interruzione, a livello del corpo calloso, delle fibre transcorticali
deputate alla trasmissione degli impulsi ideativi ai centri motori.
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
Nell'aprassia motoria, che è in genere unilaterale e con interessamento prevalente dell'attività manuale, il paziente ha difficoltà a compiere movimenti fini, è
rallentato, impacciato, non riesce ad eseguire sequenze di atti in rapida successione, per esempio strofinare l'uno contro l'altro il pollice e l'indice o flettere ripetutamente l'indice per chiamare qualcuno, e ricorda un soggetto maldestro. Si tratta
di un'aprassia di esecuzione pura. Può essere scambiata per una paresi, anche per la
localizzazione unilaterale e l'assenza di dissociazione tra atti volontari ed automatici, ma se ne differenzia per la mancanza di ipostenia, la riduzione della spontaneità e dell'iniziativa, la compromissione pressoché assoluta della motilità fine(121).
Questo tipo di aprassia dipende da una lesione dell'area premotoria.
Le aprassie possono anche essere suddivise in: generali e segmentarie, quando è compromesso un singolo distretto corporeo, per esempio bucco-linguofacciale. Nell'aprassia bucco-linguo-facciale, che si associa spesso ad una afasia di
Broca, i movimenti di protrusione della lingua o il gonfiare le gote o fischiare non
sono eseguibili dietro comando, ma solo automaticamente.
Esistono anche aprassie specializzate, nelle quali è alterato un compito gestuale particolare, come il vestirsi: il malato non sa infilarsi i calzini, calza le scarpe alla rovescia, non è in grado di eseguire correttamente i vari atti utili per abbigliarsi; oppure il marciare: il paziente non sa utilizzare correttamente gli arti inferiori, non riesce a camminare volontariamente, ma può farlo in via automatica;
oppure il costruire: il malato non riesce nel disegno e nella costruzione di puzzle o
utilizzando cubi di legno e presenta anche alterazioni nella scrittura, per spaziatura
ineguale delle parole e delle lettere e per difettosa utilizzazione della pagina.
L'aprassia costruttiva ha un discreto valore localizzatore: se la difficoltà è solo
esecutiva, per cui il disegno è eseguito molto lentamente e migliora con la presenza di un modello, è dovuta ad una lesione parietale sinistra; mentre se è dovuta ad
un deficit della percezione spaziale le lesioni si trovano a destra.
L'aprassia non ostacola l'esecuzione delle attività della vita quotidiana, ampiamente automatizzate, ma limita notevolmente l'atto volontario, interferendo in
azioni apparentemente semplici, come aprire una porta, usare la leva del cambio o
anche lo scrivere.
La gnosia invece è la capacità di riconoscere gli oggetti od i simboli.
A livello delle aree associative le informazioni che giungono vengono integrate con informazioni di tipo tattile, visivo, uditivo ed altre, e comparate con le
esperienze precedentemente immagazzinate, permettendo così il riconoscimento
degli oggetti.
L'agnosia indica un disturbo di riconoscimento limitato ad una modalità sensoriale, in assenza di deficit percettivi, intellettivi, mnesici e linguistici. L'esperienza percettiva è normale, ma priva di ogni significato(121). A seconda del canale
sensoriale compromesso si distinguono: agnosie tattili, visive ed uditive(64). Le
Disturbi cognitivi
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lesioni responsabili si localizzano nelle aree associative adiacenti alle aree somatosensoriali primarie.
Nell'agnosia tattile, per cui gli oggetti non sono individuati attraverso la modalità tattile, la lesione è localizzata a livello parietale a sinistra.
Nell'agnosia visiva, in cui è compromesso il riconoscimento attraverso la modalità visiva ("cecità psichica"), si possono avere lesioni parieto-occipitali dei due
emisferi o unilaterali (in particolare a destra se manca il riconoscimento dello spazio o dei volti). In questo tipo di agnosia si possono distinguere: agnosie per gli
oggetti e per le immagini, agnosia spaziale, per le fisionomie (prosopoagnosia), per
i colori e per i simboli grafici (alessia senza agrafia)(121).
Le agnosie per gli oggetti e le figure si suddividono in due forme: una (forma
appercettiva) in cui il malato non è in grado di distinguere le qualità dell'oggetto o
delle immagini (contorno, forma, dimensioni, ecc.) ed una (forma associativa) in
cui il paziente non è in grado di attribuire il nome agli oggetti o alle figure, pur
conoscendone le qualità(194).
L'agnosia spaziale è caratterizzata da una incapacità nell'utilizzare le informazioni provenienti dall'ambiente esterno. Possono essere presenti in variabile associazione: disturbi della localizzazione di un oggetto nello spazio (che nelle forme
più gravi fanno sì che il paziente urti contro gli ostacoli la cui distanza è mal valutata); disturbi dell'orientamento topografico (che nelle forme più lievi si limitano
all'incapacità ad indicare la disposizione dei mobili di una stanza, mentre nelle
forme più gravi manca la capacità di descrivere un itinerario, di orientarsi in luoghi
noti o di disegnare la pianta della propria casa) ed infine, difetti di esplorazione
visiva della metà dello spazio, generalmente il sinistro: emi-inattenzione o emineglet(35,121). In quest'ultimo caso il paziente si comporta come se non percepisse o
concepisse l'esistenza di un lato dello spazio, così non "vede" più nulla di quello
che sta da quella parte, anche se in realtà i suoi occhi funzionano adeguatamente.
In conseguenza di ciò la lettura, la scrittura, il camminare, tutte le attività sono
compromesse, risentono di questa perdita, a cui si accompagna spesso il non riconoscimento di un lato del corpo ed il disconoscimento del suo stato di malattia.
La prosopoagnosia comporta invece la perdita della capacità di riconoscere
dai volti le persone, che possono però essere identificate dalla voce, dagli occhiali,
dalla statura, dal modo di camminare, dal tipo di abbigliamento o da altri particolari.
L'agnosia per i colori comprende: disturbi associativi, con incapacità di indicare il colore, normalmente percepito, di oggetti familiari; e disturbi percettivi, con
impossibilità, totale o parziale, di distinguere i colori che appaiono offuscati o
pallidi (cecità corticale per i colori: acromatopsia)(121). Chi è affetto da acromatopsia di solito vede il mondo in toni di grigio; quando nella sua mente costruisce
un'immagine che normalmente sarebbe colorata, ne vede le forme, il movimento,
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Disturbi cognitivi e comportamentali nei traumatizzati cranici
ma non il colore. Quando pensa all'erba di un prato non ha a disposizione il verde,
né il blu per il cielo.
Nell'agnosia uditiva, in cui è compromesso il riconoscimento dei rumori, dei
suoni musicali e dei suoni simboli del linguaggio, la lesione si trova a livello temporale (in particolare a sinistra se il disturbo coinvolge il linguaggio parlato).
Fanno parte delle agnosie anche i disturbi dello schema corporeo, che è l'immagine mentale che ogni individuo ha del proprio corpo, sia come forma globale
che come insieme di parti aventi precisi rapporti tra loro e rispetto allo spazio
esterno.
I disturbi che riguardano la rappresentazione interna del corpo possono essere: bilaterali, per lesioni parietali a sinistra, oppure unilaterali, per lesioni a destra.
I disturbi bilaterali comprendono: l'autotopoagnosia, cioè l'impossibilità di identificare, su richiesta, parti del corpo; e l'agnosia digitale, che è l'incapacità di distinguere e denominare le dita della mano. Quest'ultimo tipo di agnosia costituisce il
sintomo principale della sindrome di Gerstmann (caratterizzata dal non sapere
ordinare nello spazio oggetti definiti da simboli verbali: come il nome delle dita, i
numeri, le parole), dove è associata ad incapacità a distinguere la destra dalla sinistra, acalculia, agrafia(64).
I disturbi unilaterali includono emisomatoagnosia, in cui il malato ignora un
lato del suo corpo, e la nosoagnosia, che comporta negazione di un deficit grave di
una funzione corporea (motoria, sensoriale, ecc.)(64). Essi costituiscono un notevole
problema anche per la riabilitazione, perché i pazienti difettano di motivazione.