Università degli Studi di Salerno
Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo
e dell’Amministrazione
Esame di Diritto Penale delle Organizzazioni
A.A. 2006 – 2007
Compendio tratto dalle dispense.
Prof. ssa Roberta Troisi
Studente: Aniello Spina – 1210200068
www.nellospina.it
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Caratteristiche e funzioni del diritto penale
1.
Premessa
Il diritto penale è quella parte del diritto pubblico che disciplina i fatti costituenti
reato. Dal punto di vista giuridico – formale si definisce reato ogni fatto umano alla cui
realizzazione la Legge connette delle sanzioni penali.
Nell’ordinamento vigente sono “sanzioni penali”: la pena e la misura di sicurezza;
entrambe hanno la duplice funzione di difendere la società dal delitto e di risocializzare
il delinquente.
Sono Leggi Penali quelle che riconnettono sanzioni penali alla commissione di
determinati fatti (reati).
Reato, pena e misura di sicurezza sono i tre pilastri
su cui poggia l'edificio del
moderno Diritto Penale.
Il reato ruota intorno a tre principi cardine:
1.
non può esservi reato se la volontà criminosa non si materializza con un
comportamento esterno;
2.
posto che il diritto penale trova legittimazione soltanto nella tutela dei
beni socialmente rilevanti, ai fini della sussistenza di un reato è necessario
che il comportamento leda o ponga in pericolo dei beni giuridici;
3.
un fatto materiale lesivo di beni giuridici può essere penalmente attribuito
all'autore soltanto a condizione che gli si possa muovere un rimprovero
per averlo commesso.
la necessità di ricorrere al di penale si spiega con il fatto che i mezzi di protezione
predisposti dagli altri settori dell'ordinamento non risultano sempre altrettante idonei a
prevenire la commissione difatti socialmente dannosi.
La più spiccata attitudine preventiva si dispiega in una duplice forma: da una parte c’è
la minaccia di una sanzione penale, dall’altra l concreta inflizione della pena.
Funzioni di tutela del diritto penale: la protezione dei beni giuridici
Il diritto Penale contribuisce ad assicurare le condizioni essenziali della convivenza
predisponendo delle sanzioni anche drastiche alla difesa dei beni giuridici, tali sono
definiti i beni socialmente rilevanti considerati, in ragione della loro importanza,
meritevoli di protezione giuridico penale.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 1/2
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
la definizione che tendenzialmente meglio riflette il carattere dinamico del bene
giuridico nel senso predetto è quella che lo identifica come una unità di funzione.
Il sistema dei delitti e delle pene non ha per scopo la realizzazione di un ideale di
giustizia ultraterrena o astratto, ma persegue l'obiettivo pratico e utile di proteggere qui
bene interessi della cui tutela dipende la garanzia di una convivenza pacifica. Nello
stesso tempo la prospettiva della protezione dei beni giuridici circoscrive la funzione del
diritto penale nei limiti della stretta necessità.
La concezione del diritto penale come strumento di tutela dei beni socialmente
rilevanti riflette soltanto fino a un certo punto la caratteristica dell'ordinamento vigente.
Da un lato, non poche fattispecie sono attualmente posta tutela di bere i dubbi di
edificazione e di incerta consistenza; dall'altro sono uniti comportamenti che non
raggiungono la soglia di una percepibile aggressione all'interesse protetto. Da questione
di vista si assiste dunque ad una non lieve divaricazione tra la concezione teorica del
diritto penale e la realtà dell'ordinamento.
La concezione del reato come lesione di un bene giuridico ha ricevuto in Italia una
prima compiuta esposizione la celebre opera di Arturo Rocco su l'oggetto del reato e
della tutela giuridica penale, apparsa nel 1913.
in particolare risale al Rocco la terribile distinzione tra oggetto giuridico formale
(diritto dello Stato all'obbedienza alle proprie norme da parte dei cittadini), oggetto
giuridico sostanziale genetico (interesse dello Stato alla sicurezza della propria
esistenza e conservazione) e oggetto giuridico sostanziale specifico (beh mio interesse e
divertimento del soggetto passivo del reato).
la
tormentate
complessa
vicenda
della
teoria
del
bene
giuridico
risulta
contrassegnata dall'oscillazione tra orientamenti che ne privilegiano ora la funzione
dogmatiche sistematica in rapporto determinato ordinamento positivo, ora la funzione
politico criminale anche in prospettiva de jure condendo.
La concezione in parola muove anche la strada un pregiudiziale disinteresse nei
logo del sostrato materiale del bene giuridico, nel convincimento che questo sia
estraneo al processo strettamente interpretativo delle norme. Questa concezione finisce
con l'identificare il ben oggetto di protezione con la ratio legis in questo modo lo stesso
concetto di oggetto di tutela sfuma, bastando giustificare la protezione penale qualsiasi
motivazione liberamente assunta dal legislatore.
L’erosione della teoria del bene giuridico di ispirazione liberale raggiungere la
soglia
massima
con
l'attacco
sferrato
agli
studiosi
tedeschi
di
orientamento
nazionalsocialista. I teorici nazionalsocialisti rimprovera altre trame d'autore del bene
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 2/3
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
giuridico di riflette una visione individualistico liberale ormai superata. Criterio di
determinazione della densità criminale dei comportamenti punibili diventa il suo sano
sentimento popolare impregnato di valori etici per cui si assiste ad un tendenziale
assorbimento della sfera del diritto in quella dell'etica.
l'idea della protezione dei beni giuridici come scopo del diritto penale ritorna sulla
scena del dibattito per visti da parte dai primi anni 60. La progressiva conquista di
maggiori spazi di libertà e di democrazia infatti imposto sul terreno realistico un
ripensamento critico di criteri di legittimazione dell'intervento punitivo nell'ambito di un
moderno Stato di diritto. In questa prospettiva di ripensamento, parte della dottrina di
proporre l'esigenza di tornare un concetto positivo e critico di bene giuridico le onde si
tratta della sostanza del tentativo di aggiornare la concezione di ispirazione liberale.
Proprio l'esigenza di prospettare l'idea prende di rischi di arbitrio da parte di un
legislatore onnipotente ha indotto la dottrina successiva compie un passo avanti ed
assumere la costituzione a fondamento o comunque a criteri di riferimento nella scelta
di ciò che può legittimamente assurgere al reato. Si sono così poste le basi di una teoria
costituzionalmente orientata del bene giuridico: questa di no a dimostrazione persegue
il duplice obiettivo di elaborare, da un lato,1 concetto di bene giuridico che pareva vista
alla valutazione legislatore ordinario onde, ma di prospettare, dall'altro, criteri di
determinazione al bene medesimo finalmente dotati di vincolatività.
a) articolo 25 comma 2 Cost. - che, fidando interamente al Parlamento o al governo il
potere di legiferare in materia penale, non può non muovere dall'esigenza di una
riduzione del campo di dell'illiceità penale;
b) articolo 27 comma 1 Cost. - il quale, spargendo il principio del carattere personale
della responsabilità penale, porre dei limiti strutturali alla tecnica penalisti e di
tutela, tale da ridurne le possibili utilizzazioni in settori in cui risulta più funzionale il
ricorso a forme diverse di tutela come la responsabilità dell'illecito civile o la
responsabilità civile per rischio;
c) articolo 27 comma 3 Cost. - che, attribuendo alla pena una funzione rieducativa,
presuppone una delimitazione dell'area dell'illecito penale ai soli fatti lesivi di quei
valori che, all'interno di uno Stato democratico, possono senza obiezioni di principio
essere assunti a meta del processo di rieducazione del condannato.
il quadro dei principi costituzionali richiamabili poi integrarsi anche con riferimento
all'articolo 13 che sancendo il carattere inviolabile della libertà personale riprova
ulteriormente che l'uso della coercizione penale dal limitato in rapporto a questo dei
casi che lasciano apparire inevitabile il costo di una restrizione della libertà come effetto
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 3/4
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
dell'imposizione della sanzione.
Proprio l'accennata attitudine della pena a incidere negativamente sui beni di
rango costituzionale primario, impone di rinvenire un carattere di legittimazione dello
strumento penalistico ricavabile, a sua volta, dallo stesso ordinamento costituzionale: in
questo senso, il ricorso alla pena trova giustificazione soltanto se serve a tutelare beni
socialmente apprezzabili dotati di rilevanza costituzionale.
L'assunto della necessaria rilevanza costituzionale beni oggetto di tutela penale
non deve essere inteso in senso eccessivamente letterale. La tutela penale e
legittimamente estensibile anche bene che trovo nella costituzione un riconoscimento
soltanto implicito e ciò in duplice senso.
Da un lato, può accadere che più beni siano avvinti da un «nesso funzionale di
tutela»; dall’altro esistono beni che, pur non menzionati dalla Costituzione, rientrano
nondimeno nel sistema sociale dei valori che fa da sfondo alla dimensione effettuale
dell'ordinamento, costituzionale: si pensi ad un bene (seppure per certi versi
controvertibile come oggetto di tutela penale) quale la “pietà dei defunti”.
L'idea di assumere a legittimi oggetti di tutela penale i soli valori dotati di rilevanza
costituzionale non comporta, peraltro, l'ulteriore assunto che la rilevanza costituzionale
faccia sorgere l’obbligo di creare fattispecie penali finalizzate alla sua salvaguardia. Il
riferimento alla rilevanza costituzionale offre solo un criterio di legittimazione
dell’intervento punitivo delimitando l’area di ciò che non potrebbe mai assurgere a
materia di reato.
Il catalogo degli oggetti di tutela recepiti nel sistema penale vigente è ben lungi
dal soddisfare le rigorose pretese della teoria costituzionale dei beni giuridici fin qui
esposta.
L'individuazione del bene giuridico quale entità specifica è facilmente afferrabile,
diventa progressivamente meno agevole man mano che si passa dalle fattispecie poste
a tutela dei classici beni individuali (vita, integrità fisica, patrimonio), a quelle finalizzate
alla protezione di interessi «superindividuali», o ad ampio raggio, specie se di più
recente emersione storica (ad es. economia pubblica, ambiente, territorio, interessi
diffusi ecc.). Con riferimento alle figure di reato del secondo tipo, l'oggetto della
protezione penale perde in concretezza e afferrabilità.
Problematici, sotto il profilo dell’enuncleazione, di uno specifico bene giuridico
quale oggetto di tutela, possono altresì apparire i delitti omissivi, consistenti nella mera
inosservanza di un obbligo di condotta penalmente sanzionato. A ben vedere, non tutti i
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 4/5
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
reati di pura omissione sono, in quanto tali, di mera disobbedienza: ve ne sono non
pochi, ad es. nell'ambito del diritto penale tributario, posti avutela di un rilevante
interesse qual è quello dello Stato.
Sollevano problemi di costituzionalità i seguenti modelli criminosi:
a)
si
Reati di sospetto. Si tratta del modello di fattispecie che maggiormente
discosta
dal
principio
di
offensività
nei
quali
il
legislatore
incrimina
fatti che, considerati in se stessi, non ledono né pongono in pericolo il bene
protetto.
La
repressione
accentuatamente
di
preventiva,
siffatti
nel
senso
comportamenti
che
serve
ha
ad
una
giustificazione
"assicurare
una
tutela
particolarmente anticipata” del patrimonio facendo leva sulla presunta pericolosità
soggettiva dell'agente che sull'idoneità offensiva della condotta.
b)
Reati c.d. ostativi. Si tratta di figure parzialmente analoghe a quelle cd. di
sospetto. Anche questa volta, il legislatore incrimina "condotte prodromiche rispetto alla
realizzazione dei comportamenti che effettivamente ledono o pongono in pericolo il
bene protetto.
c)
Reati di pericolo presunto. Tale modello delittuoso tipicizza fatti che,
secondo una regola di esperienza, è presumibile provochino una messa in pericolo del
bene protetto. Tuttavia, se la regola di esperienza è carente di sufficienti basi
empiriche, può accadere che alla realizzazione del comportamento vietato non si
accompagni quella esposizione a pericolo, che la norma penale tende a prevenire.
d)
Reati di attentato. Figura di reato tipica del diritto penale politico,
l’attentato presenta in origine caratteristiche fortemente illiberali: secondo la tradizione,
tale modello delittuoso colpisce già gli atti preparatori di condotte destinate ad
offendere, interessi attinenti alla personalità dello Stato.
Reati a dolo specifico con condotta neutra.
Si tratta di illeciti imperniati su
una condotta che, considerata in se stessa, può addirittura costituire esercizio di un
diritto costituzionalmente riconosciuto ma che assume, invece, rilevanza penale in virtù
del fine soggettivamente perseguito (dolo specifico) dall'agente: si consideri ad es. il
reato di associazione sovversiva (art. 270), contraddistinto da una condotta consistente
nell’associarsi,
come
tale
costituzionalmente:
lecita,
e
dal
fine
di
sovvertire
l'ordinamento dello Stato. A ben vedere, neppure la predetta finalità potrebbe — a
rigore — conferire illiceità penale al fatto, finché essa non si traduca in una vera e
propria istigazione a delinquere.
I più recenti tentativi intesi a delineare un volto “costituzionale”, dell'illecito penale
non hanno soltanto un valore teorico ma pretendono di incidere anche sulla prassi
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 5/6
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
legislativa e giudiziaria.
Sul versante delle direttive di tutela (di fonte costituzionale) rivolte a circoscrivere
l'area del penalmente rilevante, costituisce ormai acquisizione pacifica che non possono
legittimamente essere elevati a reato fatti che corrispondono all'esercizio di libertà
fondamentali garantite dalla Costituzione (libertà di manifestazione del pensiero, diritto
di sciopero ecc.), a meno che non si tratti di incriminazioni poste a tutela di espliciti
interessi-limite o di altri interessi comunque dotati di rilevanza costituzionale.
Sul versante delle direttive di tutela rivolte a dilatare l'area dei fatti punibili, và
segnalata l’esigenza di rafforzare la salvaguardia di quei valori collettivi (ad es. salute,
ambiente, beni-prestazione necessari al reperimento delle pubbliche risorse ecc.) che la
stessa coscienza sociale odierna vorrebbe protetti.
Per ragioni di completezza, è opportuno accennare ad alcuni orientamenti teorici che
tendono sotto diversi aspetti a contestare o comunque ridimensionare il ruolo centrale
della protezione dei beni giuridici quale ragione giustificatrice del moderno diritto
penale.
Uno studioso celebre e autorevole come Hans Welzel ha già da tempo sostenuto
che il compito primario del diritto penale consiste nel formare gli atteggiamenti eticosociali dei cittadini, al fine di favorirne la disponibilità psicologica a rispettare le leggi: la
protezione dei beni giuridici sarebbe un obiettivo indiretto, incluso nello scopo primario.
La tesi non è da condividere, se intesa nel senso che compito precipuo del diritto penale
sarebbe quello di orientare e formare le coscienze dei cittadini adulti, incriminando a tal
fine comportamenti anche privi di una reale minaccia al bene protetto. Diverso è il
discorso se, con l'accento posto sulla funzione formativa dell'atteggiamento interiore, si
vuole mettere in evidenza il possibile meccanismo psicologico sotteso all'efficacia
preventiva della norma penale: allora si tratta di una funzione di orientamento
psicologico o culturale, direttamente finalizzata all'assolvimento del compito primario
del diritto penale, che rimane quello di assicurare la tutela ai beni socialmente rilevanti.
Il dibattito teorico intorno ai presupposti di legittimazione del diritto penale
moderno è andato negli ultimi anni evolvendosi lungo molteplici direttrici. Oltre ai già
accennati tentativi di connubio tra diritto penale e scienze sociali, è emersa infatti più di
recente una tendenza che può, a prima vista, apparire sorprendente: si allude cioè alla
prospettiva di tornare a ricercare la legittimazione del magistero punitivo in un
rinnovato ancoraggio al pensiero filosofico — dal diritto naturale o di ragione fino alle
più aggiornate versioni della filosofia morale e/o politica.
A ben vedere, il tentativo di recupero di matrici filosofiche appare però meno
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 6/7
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
singolare
di
quanto
non
sembri,
sol
che
si
consideri
che
non
pochi
principi dell'imputazione penalistica affondano le radici nella tradizione filosofica, e
in particolare nel pensiero illuministico. L'esigenza che si avverte è quella di aggiornare
la tradizione illuministica, in modo da fornire modelli di legittimazione che siano
all'altezza dei compiti che il diritto penale è oggi chiamato ad assolvere.
Ma sarebbe illusorio ritenere che un nuovo ancoraggio filosofico possa fornire
quello strumento magico di soluzione di tutti i problemi, che la teoria del bene giuridico
non è sinora riuscita a fornire. Sia che si torni ad attingere al pensiero kantiano, sia che
ci si rifaccia al contrattualismo di Rawls o alla teoria dell'agire comunicativo di
Habermas, ciò che si riesce a ricavare non è molto più di questo: abbozzi o frammenti
di possibili criteri generali orientativi per la selezione dei «legittimi» oggetti di tutela
penale.
Sicché rimane sul tappeto quella stessa questione di fondo, che si è rivelata
cruciale anche nell'ambito della tradizionale teoria del bene giuridico: si tratta, com'è
facile intuire, del problema della concretizzazione delle direttive generali in decisioni
politico-criminali specifiche e dettagliate.
I principi di “sussidiarietà” e di “meritevolezza di pena”.
La dottrina contemporanea è quasi unanime, nel riconoscere che l'esistenza di un
bene meritevole di tutela non basta ancora a giustificare la creazione di una fattispecie
penale finalizzata alla sua salvaguardia.
(51)Si parla di carattere sussidiario del diritto penale per esprimere l'idea dello
strumento penale come extrema ratio: il ricorso alla pena statuale è giustificato
quando risulta, oltre che necessario anche conforme allo scopo.
L’utilizzazione della sanzione penale è legittima nella misura in cui si riveli uno
strumento promettente in vista di un’efficace tutela del bene giuridico.
Il principio di sussidiarietà, così inteso, costituisce una specificazione nel campo del
diritto penale del più generale principio di proporzione: e cioè di un principio logico
immanente allo Stato di diritto, che ammette il ricorso a misure restrittive dei diritti dei
singoli solo nei casi di stretta necessità, vale a dire quando queste risultino indispensabili per la salvaguardia del bene comune.
Ciò premesso, occorre precisare che il, criterio della sussidiarietà può essere
concepito in, due accezioni diverse, che, rispettivamente, ne circoscrivono o estendono
la portata.
Secondo una concezione “ristretta”, il ricorso allo strumento penale appare
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 7/8
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
ingiustificato o superfluo quando la salvaguardia del bene in questione sia già ottenibile
mediante sanzioni di natura extrapenale; a parità di efficacia di strumenti di tutela
potenzialmente concorrenti, il legislatore dovrebbe optare per quello che comprime
meno i diritti del singolo.
Secondo una concezione più ampia della sussidiarietà, la sanzione penale sarebbe
comunque da preferire anche nei casi di non strettissima necessità, tutte le volte in cui
la funzione propria della pena in senso stretto risulti utile ai fini di una più forte
riprovazione del comportamento criminoso e di una più energica riaffermazione
dell'importanza del bene tutelato: per contro, l'adozione di più idonee misure extra
penali potrebbe apparire inefficace a rafforzare nei consociati rispetto di beni considerati
bisognosi di particolare protezione.
un ulteriore criterio di criminalizzazione è costituita principio della cosiddetta
meritevolezza della pena. Tale principio esprime l'idea che la sanzione penale deve
essere applicata non in presenza di qualsivoglia attacco ad un bene in degno di tutela
bensì nei soli casi in cui l'aggressione raggiunga un tale livello di gravità da risultare
intollerabile.
Il principio di frammentarietà
(55)Il diritto penale ha carattere frammentario: per richiamare un'efficace immagine di Karl Binding, il_legisl.atpre “tra le onde della vita quotidiana lascia giocare
davanti ai suoi piedi le azioni, che dopo raccoglie con mano pigra, per elevarle a
fattispecie delittuose a causa della loro intollerabilità. In principio egli percepisce
soltanto le forme di manifestazione più grossolane. Ciò che è più sofisticato e raro, pur
quando esiste, egli non lo percepisce o non lo sa cogliere. Questo spesso ha un
contenuto illecito più grave di quanto è già stato sanzionato».
Tale
immagine rende plasticamente il
significato del principio
in esame;
l'incompiutezza da esso evocata, mentre appariva come grave limite all'illustre penalista
tedesco, trova invece oggi giustificazione nello stesso modo di concepire il diritto
penale.
Il principio di frammentarietà è solitamente considerato operante a tre livelli.
Innanzitutto, alcune fattispecie di reato tutela del bene oggetto di protezione non contro
ogni aggressione ma soltanto contro specifiche forme di aggressione.
in secondo luogo la sfera di ciò che rileva può realmente è molto più limitate
rispetto alla sfera di ciò che qualificata antigiuridico alla stregua dell'intero ordinamento.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 8/9
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
in terzo luogo, l'area del penalmente rilevante non coincide con quella di ciò che è
moralmente riprovevole.
questo triplice modo di operare del principio di frammentarietà è riconducibile allo
stesso processo genetico delle fattispecie incriminatrici. Determinati comportamenti
umani si ripetono nel tempo con modalità pressoché uguali e si traducono infine in
forme tipiche di aggressione ai beni socialmente rilevanti: il legislatore, nel forgiare i
modelli di reato, non di rado si limita a dare veste giuridica atti e di comportamento già
ben profilati nella realtà sociale.
contro l'assunto del carattere frammentario del diritto penale si sono tuttavia
mosse anche alcune obiezioni e la tedesca alla completezza della tutela di determinati
beni rischia di condurre ad una sorta di assolutizzazione degli stessi perdendo così di là
le stesse scelte legislative di criminalizzazione.
proprio perché il processo rieducativo allo scopo di favorire nel regno la
riacquisizione dell'integrale rispetto dei valori, questi deve essere tendenzialmente
sollecitato a orientare la sua condotta in modo da evitare tutti i comportamenti offensivi
di tali valori e non soltanto quelli che dovessero risultare formalmente penalizzanti.
Il principio di «autonomia»
Un
orientamento
teorico,
risalente
a
Karl
Binding,
attribuisce,
penale una funzione secondaria o accessoria e sanzionatoria:
e
al
cioè
diritto
la
sua
funzione specifica consisterebbe nel rafforzare con la propria sanzione i precetti e le
sanzioni degli altri rami del diritto.
La tesi, del, carattere sanzionatorio, o ulteriormente sanzionatorio, è così
pressoché unanimemente respinta nella parte in cui pretenderebbe di disconoscere
l'indubbia autonomia funzionale tecnica dello strumento penalistico.
Partizioni del diritto penale
Il codice penale è costituito da una parte generale e della parte speciale. La parte
è generale comprende la disciplina di criteri oggettivi e soggettivi di importazione del
fatto delittuoso al suo autore, delle conseguenze giuridiche di reato è di ogni altro
elemento condizionante la punibilità.
La parte speciale contiene il catalogo delle fattispecie che descrivono i singoli
comportamenti illeciti.
Tale suddivisione non è arbitraria, ma ha alla base esigenze di razionalità,
completezza
e
semplificazione.
Contrariamente
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
ad
una
consolidata
tradizione
Pag. 9/10
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
accademica, orientata a separarne lo studio, parte generale e parte speciale dovrebbero
costituire
oggetto
di
contemporanea
considerazione
in
quanto
si
integrano
vicendevolmente.
La parte generale è di formazione relativamente recente e costituisce il risultato,
da un lato, di un processo di astrazione teorica delle caratteristiche comuni ai singoli
delitti e, dall'altro, del consolidamento di alcuni fondamentali principi politico-ideologici,
di ascendenza illuministico-liberale, relativi alla garanzia del sistema delle libertà del
singolo nei confronti dell'autorità statale (principio di legalità, del diritto penale del fatto
ecc.).
D'altra parte, i principi generali hanno per loro natura confini elastici e dunque
abbisognano, per essere precisati rigorosamente, di un riferimento alle teorie della pena
e, più in generale, alle concezioni dello Stato. La parte generale diventa, allora, non di
rado «il meccanismo per mezzo del quale vengono tradotte nella prassi della parte
speciale le nuove concezioni teoretico-penali e teoretico-statali senza che sia necessario
modificare le leggi.
La parte speciale è, invece, organizzata secondo un criterio sistematico che fa capo
al concetto di bene giuridico di categoria, secondo il quale vengono ricompresi in uno
stesso raggruppamento i reati che offendono un medesimo bene.
La funzione di garanzia della legge penale
CASO 1
In una giornata molto calda un uomo, per ricevere refrigerio, si immerge nudo in
una fontana di Hyde Park, Denunciato, è chiamato a rispondere penalmente per la
violazione delle norme che proibiscono di indossare abbigliamenti contrari ai buoni
costumi (aneddoto giuridico inglese).
Il
principio
di
legalità
ha
una
genesi
non
strettamente
penalistica,
ma
squisitamente politica. Il pensiero illuministico proteso ad eliminare gli arbìtri ed i
soprusi dello Stato assoluto si fa assertore in chiave garantistica del vincolo del giudice
alla legge quale corollario del principio della divisione dei poteri
L'idea della tutela dei diritti di libertà del cittadino nei confronti del potere statuale
si esprime nel divieto di retroattività della legge penale: agli illuministi appare
gravemente lesivo di tali diritti punire successivamente un'azione la quale, nel momento
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 10/11
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
in cui viene commessa, non ancora penalmente sanzionata. Il divieto di retroattività
viene riferito alla sanzione la quale si trasforma in una misura arbitraria e inconciliabile
con la libertà del singolo, se applicata senza preventiva minaccia.
La migliore riprova del fondamento non soltanto tecnico del principio è data dalla
circostanza che essa trovato espresso riconoscimento della Convenzione Europea per la
Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali che all'articolo 25
dispone che nessuno può essere punito se non in forza della legge che sia entrata in
vigore prima del fatto commesso.
Il significato di garanzia del principio di legalità e, al tempo stesso, le tensioni
conflittuali che la sua stretta osservanza poi in certi casi sollevare, sono praticamente
evidenziati nel caso 1. È ovvio che il comportamento dell'uomo di Hyde Park rientra ad
una considerazione basata sulla ratio di tutela tra le condotte che la norma
incriminatrice dovrebbe reprimere. È altrettanto ovvio però che, per quanti sforzi
interpretativi si compiano, essere nudi non è in nessun modo assimilabile all'essere
vestiti. Ora a prescindere da casi paradossali come quello riportato dà il via Generale
rilevato che l'incompletezza della tutela di un bene costituisce sempre un male minore
rispetto ai rischi per le libertà personale con essi a una ricostruzione in chiave
puramente sostanziale del fatto di reato.
Il principio di legalità ha come destinatari si è legislatore, sia il giudice e si articoli
in quattro sotto principi che è necessario analizzare separatamente. Questi principi
sono: la riserva di legge; la tassa attività o sufficiente determinatezza della fattispecie
penale; le retroattività della legge penale; il divieto di analogia in materia penale.
La riserva di Legge: fondamento e portata
CASO 2
Un Individuo turba un pubblico comizio tenuto in occasione delle elezioni dei
deputati all'Assemblea regionale siciliana: viene incriminato ai sensi dell'art. 67 I. reg.
sic. 20 marzo 1951, n. 29 che estende alle elezioni regionali le norme penali previste
dal T.U. 5 febbraio 1948, n. 26 per le elezioni del Parlamento nazionale (caso tratto da
Corte cost., 25 giugno 1957, n. 104).
CASO 3
Un automobilista, sorpreso senza libretto di circolazione, non ottempera all'ordine
perentorio intimatogli dall'agente di polizia stradale di esibire entro un congruo termine
la carta di circolazione all'ufficio di polizia: onde, viene ritenuto responsabile del reato
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 11/12
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
previsto
dall'art.
650
c.p.,
che
incrimina
l'inosservanza
di
un
provvedimento
dell'Autorità (caso tratto da Cass., 6 maggio 1980, in R/V. pén., 1981,194).
CASO 4
Ad un industriale si contesta di produrre sostanze alimentari con aggiunta di
additivi chimici non autorizzati dal Ministrò della sanità: la difesa eccepisce che nella
specie il reato è configurato non dalia norma penale, ma da un decreto dei Ministro
(caso tratto da Corte cost., 19 novembre 1964,,n. 96).
Il principio dì riserva di legge esprime il divieto di punire un determinato fatto in
assenza di una legge preesistente che lo configuri come reato: in particolare, esso
tende a sottrarre la competenza in materia penale al potere esecutivo, pertanto la
riserva di legge dev'essere intesa come riserva assoluta.
Il concetto di «legge» nell'art. 25, comma 2°, Cost. e nell'art. 1 c.p.
È evidente, in base a quanto detto, che il concetto di riserva di legge in via
immediatamente alla legge in senso formale, cioè all'atto normativo emana dal
Parlamento ai sensi degli articoli 70 e 74 della Costituzione.
vien da chiedersi se sia ammissibile come fonte del diritto penale anche ed in
senso materiale: cioè della dirige e le leggi delegate. Facendo leva su di un approccio
giuridico formale che ripete la gerarchia delle fonti fissa dal legislatore costituente, la
dottrina dominante allora senza difficoltà sia il decreto delegato, si è decreto-legge tale
legittime fonti di produzione di norme penali: cioè, possono stesso ordinamento
costituzionale riconosce tali atti normativi efficacia pari a quella delle leggi ordinarie, se
ne deduce che all'ordinanza anche in materia penale. Muovendo dalla premessa del
monopolio della legge statale in materia penale, la dottrina dominante e la quasi
unanime giurisprudenza costituzionale esclusa dal novero delle fonti la legge regionale
nelle ipotesi sia di competenza esclusiva, sia di competenza concorrente. A sostenergli
dall'esclusione sia dura diversi argomenti, la scelta circa Le restrizioni dei beni
fondamentali della persona e così impegnativa che non può che essere di pertinenza
dello Stato, la riserva di competenza alla legge statale anche una conseguenza della
necessità che vi siano in tutti della nazionale condizioni di uguaglianza nella fruizione
della libertà personale.
Nell'ambito
della
giurisprudenza
costituzionale
la
motivazione
più
ritta
e
approfondire l'esclusione di una potestà normativa penale delle regioni e contenuta nel
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 12/13
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
importante sentenza 487/89 nella quale si afferma: la criminalizzazione comporta
innanzitutto una scelta tra tutti beni valori emergenti dell'intera società e tale scelta non
può essere realizzata dai consigli regionali per la mancanza di una visione generale dei
bisogni e delle esigenze dell'intera società.
Indubbiamente meno problematica appare ammissibile dell'intervento di una legge
regionale in funzione e dominante: per semplificare si pensa l'ipotesi di uno
stabilimento industriale che scarica costante del o dei inquinanti dalla legge statale a
tutela delle acque ma rientranti minimi di tollerabilità stabilita una successiva legge
regionale. In casi di questo genere la legge regionale lungi dall'abrogare una norma
statale può avere come effetto quello di giustificare alcuni comportamenti concreti
capaci di rientrare la revisione generale e astratta del precetto penale verificando un
ampliamento della sfera della liceità.
Rapporto legge-fonte subordinata: i diversi modelli di integrazione
In astratto fonte, i modelli di integrazione legge e fonte normativa subordinate
possono essere così schematizzati:
a)
la legge affida alla fonte secondaria la determinazione delle condotte
concretamente punibili;
b)
fonte secondaria disciplina uno elementi che concorrono alla descrizione
dell'illecito penale;
c)
l'atto normativo subordinato a sorella fosse di specificare elementi di
fattispecie predeterminati;
d)
la legge consente alla fonte secondaria di scegliere i comportamenti
punibili tra quelli da quest'ultima disciplinati.
cominciamo con l'esaminare la prima ipotesi razionalmente indicata come norma
penale in bianco ed è semplificata dal caso 3. si tratta di un esempio tipico di norme in
bianco perché la fattispecie corrispondente è molto generica e simile ad un contenitore
vuoto. La disposizioni incriminatrice si limita ad affermare che è punito colui che non
osservo i provvedimenti emanato dall'autorità amministrativa. Il contenuto concreto
della regola di condotta da osservare non è conoscibile prima che l'autorità
amministrativa e mai lo specifico provvedimento che viene in considerazione nel caso di
specie. Ne deriva che le effettive delle minacce del fatto costituente reato rimane
affidata alla stessa autorità amministrativa.
considerazioni
in
parte analoghe
valgono
rispetto
al
secondo
modello
di
integrazione legge norma subordinata. Si pensi alla contravvenzione ex articolo 659
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 13/14
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
commesse esercitando mestiere rumoroso contro le prescrizioni dell'autorità locale. In
questo caso le prescrizioni contribuiscono a delimitare le modalità del fatto vietato,
incidendo sul suo disvalore penale.
nessun problema di violazione di riserva di legge suscita, invece, quell'apporto
della fonte secondaria che si limita a specificare, da un punto di vista tecnico, elementi
del fatto oggetto contemplati dalla dirige che configuri il reato. Tale contributo appare
indispensabile specie nei settori della legislazione speciale caratterizzati da complessità
tecnica e bisognosi di continuo aggiornamento. È l'ipotesi del caso 4. La specificazione
mediante decreto del Ministro della sanità degli additivi chimici non autorizzati non
incide sulla completezza del precetto penale, già integralmente costituito dal divieto di
far uso degli additivi chimici. È certamente illegittimo l'ultimo modello di integrazione,
quello cioè nel quale la legge consente alla fonte secondaria di selezionare i
comportamenti punibili tra quelli di quest'ultima disciplinati. Qui il legislatore si
spoglierebbe della funzione di quei investiti in forza del principe della riserva per
delegare interamente al potere regolamentare.
Rapporto legge-consuetudine
Si è soliti definire la consuetudine come la ripetizione generale, uniforme e
costante di un comportamento, accompagna dalla convinzione della sua corrispondenza
ad un precetto giuridico.
Diversa è la rilevanza della consuetudine a seconda del settore dell'ordinamento
giuridico in cui essa deve operare.
una disciplina esplicita è contenuto soltanto nel codice civile dove si afferma che
nelle materie regolate dalle leggi è dei regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto
sono da esseri chiamati. In diritto penale assolutamente pacifica l'inettitudine della
consuetudine a svolgere funzioni incriminatrici o a per il trattamento punitivo.
Al concetto, di consuetudine integratrice spesso si fa ricorso per alludere a quei
casi in cui il giudizio penale presuppone il rinvio a criteri sociali di valutazione, come ad
esempio in materia di osceno: si tratta però di un richiamo ingiustificato, in quanto una
cosa è la consuetudine concepita in senso stretto, altra cosa la recezione da parte della
norma penale dei criteri di valutazioni dominanti nella comunità sociale.
Riserva di legge e normativa comunitaria
CASO 5
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 14/15
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Tizio non sottopone a verifica e controllo apparecchi a pressione aventi un livello di
pressione superiore a 0,05 kg/cmq (fatto costituente reato ex art. 112 r.d. 12 maggio
1927 n. 824), ma inferiore a 0,5 kg/cmq (in conformità alle disposizioni della direttiva
CEE n. 767/76)
Un problema di recente emersione, ma destinato ad assumere in futuro dimensioni
sempre più corpose, concernei, rapporti, tra la legge penale e le disposizioni normative
emanate, dalla Unione europea e dalla Comunità europea. La legislazione comunitaria
non può certamente costituire legittima fonte di produzione dell'illecito penale a causa
dello sbarramento opposto dal principio della riserva di legge «statale», essa può,
invece, contribuire alla descrizione della fattispecie mediante una specificazione in
chiave di elementi già posti dalla legge nazionale.
Alla legislazione comunitaria può anche condizionare l'ambito di applicazione della
fattispecie incriminatrice dell'ordinamento interno e ciò in virtù del principio del primato
del diritto comunitario. L'indolenza della normativa comunitaria sull'ordinamento interno
riguarda l'intero diritto penale.
Il principio nulla poena sine lege
Il principio nulla poena sine lege, in quanto cardine del principio di legalità secondo
l'originaria matrice illuministico-liberale, non può non rientrare tra i fondamentali
principi penalistici di uno Stato democratico.
Una legge penale che si limitasse a prevedere il fatto ma rimettesse al giudice la
scelta del tipo e/o della durata della sanzione, contraddirebbe le istanze garantistiche
sottese al principio di legalità proprio nel momento più nevralgico in cui si infligge; un
effettivo sacrificio al bene della libertà personale. D'altra parte, non si saprebbe come
giustificare la disparità, conseguente alla circostanza che la Costituzione, da un lato,
estenderebbe il principio di legalità alle stesse misure di sicurezza (art. 25, comma 3°,
Cost.) e, dall'altro, tacerebbe sulle pene in senso stretto, che costituiscono invece il
modello tradizionalmente più tipico di sanzione penale.
Predeterminazione
legale
della
sanzione
non
significa,
tuttavia,
esclusione
di ogni potere discrezionale del giudice Al contrariò, una certa estensione dello spazio
"edittale” nonché la possibilità di scegliere tra più tipi di sanzioni legalmente
predeterminate, sono imposte, da un lato, dall'esigenza di adattare la pena al disvalore
del reato commesso; e, dall'altro, dalla necessità di rispettare i principi costituzionali
della individualizzazione della pena e del finalismo rieducativi.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 15/16
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Anche rispetto alle pene il principio di legalità opera come riserva di legge
assoluta: e cioè, soltanto la legge o un atto normativo equiparato possono stabilire con
quale sanzione ed in quale misura debba essere represso il comportamento criminoso.
Così, sarebbe incostituzionale l'attribuzione ad una fonte regolamentare del potere di
determinare non solo il tipo ma anche la misura della pena da applicare.
Il principio di tassatività: premessa
CASO 6
Carlo Braibanti, accusato di avere, mediante suggestione, sottoposto due ragazzi
al proprio potere fino a metterli in totale stato di soggezione psicologica, viene
condannato
per
plagio
(l'art.
603
c.p.,
che
prevedeva
tale
delitto,
è
stato
successivamente dichiarato incostituzionale) (caso tratto da Corte Ass. App. Roma, 28
novembre 1969, mArch. pen., 1970,11, 440).
CASO 7
Una
donna
prende il sole a
seno nudo
in
una
pubblica
spiaggia:
tale
comportamento costituisce reato (art. 726 c.p.) per Cass. 12 luglio 1982, inedita,
mentre è considerato lecito da Cass. 22 settembre 1982, in Foro it, 1983, II, 273.
Il principio di legalità sarebbe rispettato nella forma, ma eluso nella sostanza,
se la Legge che eleva a reato un dato fatto lo configurasse, in termini così generici
da non lasciar individuare con sufficiente precisione il comportamento penalmente
sanzionato.
Il principio di determinatezza coinvolge la tecnica di formulazione delle fattispecie
criminose e tende precipuamente a salvaguardare i cittadini contro eventuali abusi del
potere giudiziario.
il ruolo centrale dei principi di tassatività emerge ancor di più su un terreno dove è
in gioco la stessa efficacia del sistema penale c'è la determinatezza della fattispecie
incriminatrici rappresenta una condizione indispensabile perché la norma penale possa
efficacemente fungere da guida del comportamento cittadino: com'è stato ben
osservato,1 norma penale per secolo scorso essere obbedita, ma obbedire non può
essere se il destinatario non ha la possibilità di conoscere con sufficiente chiarezza il
contenuto.
appunto l'inserimento della tassatività nell'ottica del rapporto normativi norma
cittadino, ne esalta la valenza di principi penalistico proprio in uno Stato democratico:
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 16/17
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
quanto più il cittadino è posta in condizioni di discernere senza ambiguità tale dà
dell'illecito tanto più cresce suo rapporto di fiducia partecipativa nei confronti dello Stato
e delle sue istituzioni.
la corte costituzionale ha nella quasi totalità dei casi respinto le eccezioni sollevate
sotto il profilo della violazione dei principi di tassatività facendo leva su argomenti
discutibili. Con ogni probabilità quest'atteggiamento di chiusura della corte è stata
condizionata, specie nel passato, dalla due sulle preoccupazioni di creare un po' di
tutela e di entrare in conflitto con il legislatore.
l'America sovente riscontrabile nella madia penale di una diretta conseguenza della
tendenza compromissoria che caratterizza l'atto l'attività legislativa Le uniche esigenza
di bilanciare beni interessi di cui sono portatori forze politico sociali contingenti si
traduce al livello di redazione fattispecie penali, informazioni ora troppo generiche ore
incerte, che non di rado c'era l'intento di scaricare sul potere giudiziario il com'è di
mediare tra opposte esigenze di tutela difficilmente compatibili in sede più prudente
politica.
Principio di tassatività e tecniche di redazione della fattispecie penale
Come già rilevato, il principio di tassatività vincola da un lato il legislatore ad una
descrizione il più possibile precisa del fatto di reato e, dall'altro, il giudice ad
un'interpretazione che rifletta il tipo descrittivo così come legalmente configurato.
Le principali tecniche di registrazione sono quelle di normazione descrittiva e di
normazione sintetica. La prima tecnica descrive fatto criminoso mediante l'impiego di
termini che alludono ad dati della realtà empirica. Ma per ovviare agli inconvenienti
leggessero casistica il legislatore ricorre ad una seconda tecnica quella. Sintetica: cioè
adotta una qualificazione di sintesi mediante l'impiego di elementi normativi rinviando
ad una fonte esterna rispetto alla fattispecie in tema di in attrice come parametro per la
regola di giudizio da applicare al caso concreto.
gli strumenti di tecniche disordinate garantire la tassatività della loro fattispecie
sono i cosiddetti elementi descrittivi ioni elementi cioè che traggono il loro significato
direttamente alla realtà dell'esperienza sensibile. Il principio di tassatività vigente se
inintelligibile della fattispecie astratta e risulta soddisfatto tentando di delle norme
penali vi sia di mantenimento a fenomeno un possibile realizzati sia stata accertata in
base a criteri che allo stato delle attuali conoscenze per verificabili.
quanto
agli
argomenti
normativi,
cioè
elementi
che
necessitano,
per
la
determinazione del loro contenuto, di una etero integrazione mediante il rinvio ad una
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 17/18
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
norma diversa da quel incriminatrice, occorre operare una precisazione. Se si tratta di
elementi normativi giuridici, l'esigenza di tassatività è perlopiù rispettata perché la
norma giuridica richiamata è strettamente individuabile senza incertezze. Se si tratta
invece di elementi normativi extra giuridici, cioè rinviando alle norme sociali o di
costume il parametro di riferimento diventa inevitabilmente incerto e sorgono forti
dubbi circa i limiti descrittivo tra rispetto di un sufficiente livello di determinatezza e
Katherine definire nemmeno del fatto di reato.
è vero che gli elementi normativo sociali sono stati paragonati ad una sorta di
organi investigatori che consentono di adeguare costantemente la disciplina penale alla
voce dell'erta sociale, ma è altrettanto vero che bisogna guardarsi dal rischio di
sopravvalutare il convincimento diffuso secondo cui di questa funzione dei guerriglieri
giudicherebbe sempre capace.
Il principio di irretroattività
CASO 8
Tizio viene incriminato ai sensi dell'art. 636 c.p. per aver fatto pascolare
abusivamente il proprio gregge in un terreno di proprietà altrui. Successivamente
interviene una modifica legislativa che introduce la punibilità a querela del reato in
questione: continua ad essere punibile Tizio in assenza della querela di parte?
CASO 9
Durante la Repubblica di Salò taluno viene falsamente denunciato di appartenere a
banda partigiana, ma in seguito all'intervenuto mutamento istituzionale, l'appartenenza
a gruppi partigiani cessa di essere qualificata reato: permane il delitto di calunnia a
carico del denunciante? (caso tratto da Trib. Alessandria, 22 febbraio 1946, in Riv. pen.,
1948, 725).
Il principio di irretroattività fa divieto di applicare la legge penale a fatti commessi
prima della sua entrata in vigore. Esso riflette addirittura l'esigenza primaria connessa
all'originaria affermazione del principio di legalità: ai pensatori illuministi appariva
gravemente lesivo del diritto di libertà del cittadino consentire allo Stato di incriminare
successivamente un'azione che, al
momento della sua commissione, non era
penalmente sanzionata, anche se già contraria alla morale o persino al diritto.
Com'è noto il principio in esame è previsto per tutte, le leggi dall'art. 11 delle
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 18/19
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
disposizioni preliminari, il quale stabilisce: «La legge non dispone che per l'avvenire:
essa non ha effetto retroattivo».
La disciplina dettata dall'art. 2 del codice penale
a) Il primo comma dell’art. 2 del codice stabilisce: “Nessuno può essere punito per un
fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”.
b) il secondo comma dell’art. 2 dispone: “nessuno può essere punito per un fatto
che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne
cessano l'esecuzione e gli effetti penali”.
La norma, allude al fenomeno dell'abolizione di incriminazioni prima esistenti: ad
es. si pensi ali;abrogazione dei delitti di offesa alla libertà (art. 281) e all'onore del
Capo del Governo (art. 282), attuata con d.lgs.lt. 14 settembre 1944, n. 288 o, più di
recente, alla trasformazione in illeciti amministrativi dei reati contravvenzionali prima
previsti dagli artt. 669, 672, 687, 693,694; del codice penale.
In base alla norma in esame, gli autori del reato oggetto di abrogazione non solo
non possono più essere puniti ma, se hanno, subito una sentenza di condanna ancorché
definitiva, ne cessa l'esecuzione e si estinguono tutti i connessi effetti penali.
Più di recente, il problema della distinzione tra abrogazione e modifica di norma
incriminatrice preesistente è concretamente emerso nella prassi applicativa per effetto
della riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. È sorta
infatti la questione se i fatti commessi durante il vigore della fattispecie di interesse privato
(abrogato, dall'art. 20 1. n. 86/1990) potessero continuare ad assumere rilevanza penale
in quanto riconducibili alla riformulata fattispecie dell'abuso di ufficio. Si vede in
proposito come parametri di valutazione sia di interesse protetto, sia le modalità di
aggressione al bene; si verificherebbe la successione quando, nonostante l'innovazione
legislativa, permangono identici elementi predetti.
e che vende rame però resta che
hanno ad un duplice rilievo; ad intendere in senso stretto Le due condizioni si
verificherebbe esultando nel caso di perfetti denti rarefatti reato così finendosi però col
vanificare la sessualità paria del criterio. Accorgete in lei un senso più ampio a te si
finisce per risultare di incerta applicazione, perché fondata non solo su apprezzamenti
valore opinabili ma anche sull'indeterminatezza del peso attribuibile a criteri del bene e
a quello delle modalità aggressive del fatto.
Più rispettoso dei dal irrinunciabile esigenza appare il criterio facendo leva sull'un
rapporto di continenza tra nuove la vecchia fattispecie: occorre c'è un rapporto
strutturale tale fattispecie aspramente considerate tale per cui possa tra le stesse
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 19/20
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
restaurasse una relazione di genere a specie. Ciò si sicuramente si verifica quando la
fattispecie successiva sia pienamente contenuta nella precedente il che avviene quando
la norma posteriore sia speciale rispetto ad una precedente di controllo più generico.
Successione di leggi e applicabilità della disposizione più favorevole al
reo.
Il terzo comma dell’art. 2 stabilisce: “Se la legge del tempo in cui fu commesso il
reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli
al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”.
La disposizione introduce il principio della retroattività della norma più favorevole
al reo. Fondamento del principio è la garanzia del favor libertatis, che assicura al
cittadino il trattamento penale più mite tra quello previsto dalla legge penale vigente al
momento della realizzazione del fatto e quello previsto dalle leggi successive, purché
precedenti la sentenza definitiva di condanna.
Il principio medesimo è indirettamente collegabile anche al principio costituzionale
di eguaglianza che impone di evitare ingiustificate o irragionevoli disparità di
trattamento.
L'operatività dell'art. 2 comma 3° presuppone che ci si trovi di fronte ad
un'autentica ipotesi di successione fra fattispecie incriminatrici accertabile in base al
criterio del «rapporto di continenza» esposto nel paragrafo precedente.
Più in generale, per stabilire quando ci si trovi di fronte ad una disposizione i più
favorevole occorre operare un raffronto tra la disciplina prevista dalla vecchia norma e
quella introdotta dalla nuova; tale raffronto va effettuato in concreto: cioè non
paragonando le astratte previsioni normative delle due norme, ma mettendo a
confronto i rispettivi risultati dell'applicazione di ciascuna di esse alla situazione concreta
oggetto di giudizio.
Successione di leggi integratrici di elementi normativi della fattispecie
criminosa (modifiche cosiddette «mediate» della fattispecie incriminatrice)
Si discute se e in quali limiti la disciplina di cui all'art. 2. sia applicabile alle
modifiche normative che non incidono direttamente sugli elementi costitutivi della
fattispecie incriminatrice, ma che vi incidano in maniera soltanto “indiretta” o
“mediata”: si pensi alle ipotesi di modifica di norme che integrano il contenuto di una
norma penale o che disciplinano elementi normativi della fattispecie.
Si consideri esemplificativamente, il caso 9. Al riguardo, va premesso che il delitto
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 20/21
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
di calunnia consiste nell'incolpare falsamente taluno di un reato: «reato» è l'elemento
normativo della fattispecie, per la definizione del quale occorre fare rinvio ad una
disposizione penale diversa da quella che configura il delitto di calunnia. Se in seguito,
al mutare della disposizione, diversa non costituisce più reato il fatto oggetto di falsa
incolpazione, il delitto di calunnia permane o viene meno? La soluzione del problema è
controversa, essendo in dottrina e giurisprudenza registrabili orientamenti diversificati.
Secondo un orientamento restrittivo, forse a tutt'oggi prevalente in dottrina, la
disciplina dell'abolitio crimìnis ex art. 2 comma 2° è inapplicabile al caso di abrogazione
di
norme
integratrici
di
elementi
normativi
infatti,
la
legge
abrogatrice
non
introdurrebbe alcuna differente valutazione dell'astratta fattispecie incriminatrice e del
suo significato di disvalore, ma eliminerebbe dall'ordinamento (o modificherebbe)
disposizioni penali o extrapenali che si limitano a influire, nel singolo caso, sulla
concreta applicabilità della norma incriminatrice stessa.
Secondo un altro orientamento per dir così mediano, occorre invece distinguere a
seconda che l’elemento normativo
in questione sia o non in grado di incidere sulla
portata e sul disvalore astratto della fattispecie incriminatrice, condizionandone
l'ampiezza con riferimento sia alla descrizione del tipo di reato, sia ai soggetti attivi.
Così, ad esempio, nel caso della calunnia il disvalore astratto del reato permarrebbe,
perché la falsa incolpazione continuerebbe a mantenere il suo significato offensivo
anche dopo che sia stato abrogato il reato oggetto di incolpazione; non così, invece,
nell'ipotesi dell'associazione per delinquere, posto che il pericolo per l’ordine pubblico
(nel quale consiste l'offesa) non permarrebbe più quando il delitto scopo non sia più
tale.
Successione di leggi temporanee, eccezionali e finanziarie
Ai sensi dell’art. 2 comma 4° il principio della retroattività in senso più favorevole
al reo è inoperante rispetto alle leggi temporanee ed alle leggi eccezionali.
Si definiscono “eccezionali” quelle leggi il cui ambito di operatività è segnato da
uno stato di fatto caratterizzato da accadimenti fuori dall’ordinario.; sono “temporanee”
le leggi rispetto alle quali è lo stesso legislatore a prefissare un termine di durata. In
entrambi i casi, identica è la ratio sottesa alla inoperatività dei commi secondo e terzo
dell'art. 2: da un lato, è connaturata alle stesse caratteristiche di tali leggi l'applicabilità
di un regime diverso da quello, eventualmente più favorevole, reintrodotto nel
momento del ritorno alla normalità; dall'altro, ove il principio del favor rei dovesse
trovare riconoscimento, si offrirebbe una comoda scappatoia per commettere violazioni
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 21/22
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
con la certezza di una futura impunità.
In astratto, potrà anche prospettarsi l'ipotesi che una legge eccezionale o
temporanea risulti più mite rispetto a una precedente legge (eccezionale o temporanea)
più rigorosa: anche in questo caso ai fatti commessi sotto il vigore di quest'ultima
andrebbe applicata la relativa disciplina, ancorché più rigorosa, sempre a causa del
carattere contingente della ratio, sottesa alle leggi emanate per soddisfare esigenze di
natura temporanea od eccezionale.
Analoga disciplina. era dettata dalle norme che reprimono le violazioni delle leggi
finanziarie: “Le disposizioni penali delle leggi finanziarie e quelle che prevedono ogni
altra violazione di dette leggi si applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni
erano in vigore, ancorché le disposizioni medesime siano, abrogate o modificate al
tempo della loro applicazione”.
Decreti-legge non convertiti
L’ultimo comma dell’art. 2 stabilisce che la disciplina della successione di leggi si
applica altresì «nei casi di decadenza, e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel
caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti».
Nel ricondurre l'ipotesi del decreto-legge non convertito alla comune disciplina
della successione di leggi, il codice Rocco si adeguava all'ordinamento costituzionale
dell'epoca, il quale stabiliva che gli effetti del decreto non convertito cessavano con
efficacia ex nunc, facendo così salvi gli effetti prodotti durante la sua vigenza.
Sennonché il legislatore costituente, spinto dalla giustificata preoccupazione di
subordinare l'efficacia legislativa dei provvedimenti urgenti del Governo all'approvazione
del Parlamento, ha introdotto l'opposto principio della cessazione ex tunc degli effetti
del decreto non convertito (art.. 77 Cost). Ne consegue che, negl'ipotesi di decreti non
convertiti che eventualmente introducano, modifichino o abroghino fattispecie penali
preesistenti, viene meno la possibilità stessa di configurare una successione di leggi
penali nel tempo: ciò in quanto il fenomeno della successione presuppone la valida
applicazione della legge preesistente al fatto, mentre la caducazione con efficacia ex
tunc di un decreto-legge impedirebbe di continuarlo ad applicare anche a fatti commessi
sotto la sua vigenza.
Un simile assunto, in linea col disposto dell'art. 77 Cost. suscita nondimeno gravi
perplessità per le conseguenze in malam partem che ne derivano nel caso di decretilegge non convertiti, aventi a contenuto modifiche della disciplina penale preesistente
più favorevoli al reo. Si pensi ad un decreto-legge che abroghi una incriminazione
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 22/23
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
preesistente o ne attenui il trattamento sanzionatorio: si dovrebbe pervenire, in base
alle accennate premèsse, alla conclusione che un fatto non costituente reato o punito
meno gravemente al momento in cui fu commesso, tornerebbe a costituire reato o,
rispettivamente, ad essere più gravemente punito dopo, la caducazione del decreto
legge. Una simile conclusione appare inaccettabile. Invero, il principio di irretroattività
della legge penale non può mai essere derogato, dal momento che appartiene al novero
dei principi che la stessa Costituzione pone come irrinunciabili, a garanzia del ruolo
primario spettante al favor libertatis.
Leggi dichiarate incostituzionali
La dichiarazione di incostituzionalità di una legge trova la sua disciplina,
innanzitutto nell'art. 136 comma 1° Cost. il quale stabilisce che “quando la Corte
dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di
legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della
decisione”.
Facendo leva su tale, disposizione, all'indomani dell'entrata in vigore della
Costituzione, sembrò prevalere la tesi secondo cui la dichiarazione di incostituzionalità
di una legge ne produce ex nunc la cessazione di efficacia: così opinando, era
perfettamente ipotizzabile una successione di leggi tra una legge antecedente e una
legge posteriore (abolitrice o modificatrice della prima) successivamente dichiarata
incostituzionale.
Ad un riesame della questione ha condotto la successiva emanazione della legge
11 marzo 1953, n. 87, la quale all'art. 30, comma 3° e 4° dispone: “Le norme
dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla
pubblicazione
della
decisione.
Quando,
in
applicazione
della
norma
dichiarata
incostituzionale, è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la
esecuzione e tutti gli effetti penali”.
In forza di tale, disposizione, ed in particolare dell'espressione in essa contenuta
«non
possono
avere
applicazione»,
si
ritiene
oggi
che
la
dichiarazione
di
incostituzionalità abbia effetto ex tunc, ragion per cui la legge invalidata non può essere
più applicata neppure a situazioni verificatesi sotto la sua vigenza: da qui l'impossibilità
di ravvisare (analogamente a quanto osservato nel caso del decreto-legge non
convertito) un fenomeno successorio tra una legge preesistente ed una posteriore poi
dichiarata incostituzionale.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 23/24
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
L'INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE PENALE
Contrariamente a quanto si credeva in passato, ormai la dottrina è concorde nel
ritenere che l'interpretazione della legge penale soggiace alle regole che valgono per
tutte le altre leggi, salvo una limitazione nell'applicazione del procedimento analogico.
Noi, perciò, qui dovremmo trattare soltanto quest'ultimo punto, rinviando per il resto
alla teoria generale del diritto. Data, però, l'importanza fondamentale di quella
operazione e i dibattiti che in proposito si svolgono nella dottrina, non possiamo
esimerci dall'esporre le nostre vedute sugli aspetti del problema che sono di maggiore
importanza.
È noto che l'interpretazione è quella operazione mentale, con la quale si ricerca e si
spiega
il
significato
della
legge,
senza
questo
processo
di
chiarificazione,
evidentemente, non sarebbe possibile applicare la norma al caso particolare. Il processo
in parola si rende necessario per tutte le leggi.
È noto pure che l'interpretazione si distingue in autentica, giudiziale e
dottrinale, secondo che provenga dallo stesso organo che è autorizzato ad emanare la
norma oppure dai magistrati nell’esercizio della loro funzione giurisdizionale, ovvero dai
giuristi, nella loro, attività diretta allo studio del diritto.
Solo la prima ha forza vincolante; essa anzi è obbligatoria non ex nunc ma ex tunc
e cioè dal momento in cui è stata emanata la norma che viene interpretata.
L'interpretazione giudiziaria ha efficacia soltanto rispetto al caso giudicato in concreto,
mentre quella dottrinale non è mai obbligatoria.
E noto altresì che, rispetto ai risultati, l'interpretazione d'ordinario viene distinta
in dichiarativa, restrittiva ed estensiva. La prima specie può eliminarsi, perché
l'interpretazione è sempre dichiarativa, in quanto il suo scopo essenziale è di spiegare
e, quindi, dichiarare il senso della legge. Le altre due (restrittiva ed estensiva) si hanno
non quando, come generalmente si dice, il legislatore plus o minia dixit quam voluit, ma
quando non è possibile attribuire alla norma quel significato che appare prima facie
dalla dizione letterale di essa assumendo le parole nel senso più comune, e cioè allorché
esiste un divario fra il significato apparente e quello effettivo della disposizione. Se
questo significato apparente viene limitato, si ha l'interpretazione restrittiva, se viene
ampliato, si ha l'interpretazione estensiva.
Natura dell'atto interpretativo.
Prescindendo da ogni indagine filosofica ed esaminando il problema sotto l'aspetto
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 24/25
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
puramente empirico-scientifico, va notato che le norme penali spesso non precisano se
non in parte il fatto che costituisce reato e gli elementi che lo compongono. Certe volte
non lo precisano in alcun modo. Lo stesso dicasi per varie circostanze che aggravano o
attenuano il reato. Della premeditazione (art. 577), per citare un esempio, il codice non
fornisce la minima precisazione. Si aggiunga che non è raro il caso che i compilatori
della legge abbiano lasciato deliberatamente insolute delle questioni, come nella
elaborazione del codice vigente è avvenuto per le condizioni di punibilità, per il reato
di usura, ecc., demandando in modo esplicito la risoluzione di esse alla dottrina e alla
giurisprudenza. Da questo insieme di rilievi è giocoforza dedurre che esistono nella
legge degli spazi vuoti che spetta all'interprete di colmare. Egli in tali casi deve
continuare e condurre a termine l'opera del legislatore, trasformando la direttiva
generica in compiuto comando dando cioè vita a imperativi precisi e nettamente
delimita ti.
Riteniamo, q u ind i, che l'attività dell'interprete non possa considerarsi meramente conoscitiva. L'interprete certamente non crea il diritto, perché questo è
compito
della
legge,
ma concorre alla
creazione di
esso,
integrando,
dove
occorra, comandi legislativi.
Teoria
soggettiva
e
teoria
oggettiva
dell'interpretazione.
L'art, 12 delle disposizioni sulla legge in generale stabilisce: « Nell'applicare la
legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato
proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore ».
Come deve intendersi l'espressione «intenzione del legislatore»? Due teorie si
contendono il terreno: la teoria soggettiva e la teoria oggettiva dell’interpretazione. Per
la prima l'interprete deve ricercare la volontà storica del legislatore, vale a dire
l'intenzione che effettivamente hanno avuto i compilatori della legge; lo scopo che
essi si sono posti di conseguire nel dettare quella determinata disposizione. Per la teoria
oggettiva, invece, ciò che va ricercato non è già quello che gli artefici della legge in
realtà hanno voluto, ma la volontà obbiettivamente considerata.
Nello Stato moderno la redazione delle leggi non è mai o quasi l'opera di un solo,
ma il risultato della collaborazione di molte persone e vari organi. Fra tante persone,
chi è il legislatore? In secondo luogo, non poche volte si presenta la necessità di
applicare la legge a casi che i compilatori non hanno considerato e persino a casi che
non potevano considerare, perché la possibilità di essi è emersa in seguito.
Infine è da notare che la teoria soggettiva porta necessariamente alla rigidezza e
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 25/26
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
immobilità della interpretazione. Invero, se il senso della legge si identifica con
l'intenzione dei suoi artefici, tale senso non può subire variazioni, né adattamenti: esso
viene cristallizzato. Orbene, è un'esigenza della vita giuridica, particolarmente sentita
nello Stato moderno, caratterizzato da un marcato dinamismo, che la legge sia, in certo
modo,
pieghevole,
flessibile,
così
da
poter
corrispondere
alle
condizioni
che
continuamente mutano e ai bisogni che via via affiorano nella comunità sociale.
Per queste ragioni, conformemente all'opinione dominante, noi riteniamo che si
debba dare la preferenza alla teoria oggettiva.
Mezzi di interpretazione.
Generalmente l'interpretazione viene distinta in letterale (o grammaticale) e
logica, secondo che ricerca il significato proprio delle parole, valendosi dell'elemento
grammaticale e di quello sintattico, oppure accerta l'intimo significato della norma,
risalendo allo spirito di essa.
Tendendo ad accertare il vero significato della legge, l'interprete non può basarsi
né sulle sole regole che governano la parola, né su, quelle del pensiero, ma deve
necessariamente fondarsi tanto sulle une quanto sulle altre. Stabilito il significato delle
parole, infatti, non è ancora conseguito quello scopo, dal momento che il vero senso
della
legge
non
si
può
accertate
senza
far
ricorso
alle
leggi
della
logica.
L'interpretazione, quindi, è unica in sé: è nel tempo stesso letterale e logica.
Per l'accertamento di questo pensiero come è notò, soccorrono vari mezzi. In
primo luogo i lavori preparatori: i progetti, le discussioni in seno alle commissioni che
hanno esaminato i progetti medesimi e soprattutto le relazioni ministeriali che li
accompagnano
per
illustrarli.
Siffatto
materiale
certamente
non
vale
come
interpretazione autentica e non vincola l'interprete, anche perché spesso vi figurano
concetti ed opinioni disparate che possono condurre alle conseguenze più diverse; ma
può essere molto utile.
Per stabilire il vero significato della legge può giovare anche il così detto
elemento storico, cioè la considerazione dell'evoluzione storica dell'istituto giuridico,
la quale ci consente di risalire all'origine di esso e di seguirlo nello sviluppo che ha
avuto nel succedersi del tempo. Può altresì essere utile la comparazione del diritto,
vale a dire il confronto col diritto straniero, specialmente con quello dei paesi
che hanno un grado di civiltà analogo al nostro e si uniformano alle stesse direttive.
Moltissimo giova l'inserzione della disposizione nel sistema: il così detto elementosistematico. Poiché l'ordinamento giuridico non è costituito da una miriade di norme
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 26/27
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
indipendenti, slegate fra loro, ma da un complesso, nelle linee essenziali, unitario ed
organico; poiché le varie norme sono collegate fra loro e si integrano a vicenda, se la
norma si inserisce nel sistema il significato di essa il più delle volte balza in chiara luce.
Le dirett iv e generali che debbono essere tenute presenti nell'interpretazione sono
rappresentate dai criteri fondamentali a cui di regola si informa il nostro ordinamento
positivo, come, ad esempio, il rispetto della coscienza etica del popolo, la salvaguardia
della personalità umana, il principio di giustizia, inteso come, pari trattamento di casi
uguali, ragionevolezza e proporzione, e, nel campo specifico del diritto penale
moderno, il canone “non c'è pena senza colpa”, la prevalenza dell’elemento soggettivo
sull’elemento oggettivo del reato, la considerazione della personalità del reo, ecc.
I metodi dell'interpretazione.
Due metodi si contendono il terreno: il metodo logico-costruttivo e Il metodo
teleologico (o finalistico).
Il metodo logico-costruttivo, detto anche “tradizionale”, attribuisce alla lettera
della legge un valore preponderante in confronto alla “ratio”. Esso si manifesta con
l'attaccamento alla parola, la quale d'ordinario viene considerata come elemento
decisivo per la risoluzione dei dubbi che si presentano durante l’interpretazione. Per lo
più ricerca la volontà storica del legislatore, cioè l'effettiva intenzione degli artefici della
legge ed in conseguenza è portato ad attribuire un peso risolutivo ai lavori preparatori.
È evidente che queste regole riducono nei più angusti lim it i
l'attività
dell'interprete, che per effetto di esse rimane strettamente legato alla lettera della
legge. Quanto alla forma dei ragionamenti che si fanno per accertare il contenuto e la
portata della norma, nel metodo di cui trattasi prevale in modo assoluto la logica
deduttiva
Il metodo teleologico, al contrario, pur riconoscendo che la lettera della legge
costituisce un limite che l'interprete non può in alcun caso superare, attribuisce un peso
prevalente allo scopo (telos) della norma. Tale indirizzo porta a tener presente, da un
lato, il fatto sociale che sta alla base della norma e che è regolato da essa; dall'altro
a considerare le conseguenze che derivano da una data interpretazione, per respingere
quelle che non corrispondono allo scopo della disposizione. Per questo metodo, quindi,
l'opera dell'interprete non si arresta all'aspetto formale del diritto, ma cerca di
penetrarne l'in t ima natura e di soddisfare le sue esigenze.
A nostro avviso è il secondo metodo quello che deve essere seguito, per la
ragione fondamentale e decisiva che le parole sono soltanto simboli di pensiero: sono,
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 27/28
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
cioè, semplicemente il mezzo per rendere riconoscibile la volontà. Siccome il mezzo
va subordinato allo scopo e quello che veramente conta è la volontà, il contenuto deve
trionfare sulla forma, il pensiero sulla squama verbale.
Al metodo finalistico si obbietta che implica un circolo vizioso, perché con esso
prima si interpreta la norma per trovare lo scopo e poi, sulla base di questo, si
interpreta la norma. Questa critica non può convincere, in quanto per accertare lo
scopo non è punto necessaria una vera e propria interpretazione della legge, bastando
un sommario esame della sua espressione letterale e la considerazione, pur sommaria,
delle disposizioni che l'hanno preceduta e di quelle che coesistono con essa.
Il metodo teleologico in particolare.
Il metodo teleologico implica importanti conseguenze che è necessario porre in
rilievo. Alcune di esse sono negative e precisamente:
a) L'interpretazione non può e non deve consistere in una palestra di esercitazioni
logiche. La logica che presiede l'interpretazione non è un freddo giuoco di concetti,
di giudizi e di sillogismi. La parola della legge, d'altra parte, va considerata nel suo
effettivo valore di mezzo di espressione del pensiero.
b) Hargumentum a contrarìis (ubi lex voluit dixit, ecc.) va usato con molta parsimonia,
perché vincola l'interprete alla lettera della legge, rendendogli spesso impossibile di
risalire alla ratio. L'argomento in parola è utilizzabile con sicurezza soltanto nei casi
in cui è vietato il ricorso all'analogia.
c) L'interprete non è tenuto a partire dal presupposto della perfezione della legge e
neppure da quello della completezza dell'ordinamento giuridico. I compilatori della
legge sono uomini, e, come tutti gli uomini, possono sbagliare.
d) Soltanto la parola della legge nella, sua massima capacità di espansione costituisce
un limite insuperabile per l'interprete. Pertanto, non hanno efficacia vincolante le
concezioni giuridiche particolari dei compilatori, della legge, anche se esse spiegano
la forma che la legge medesima ha assunto.
e) Ciò
che
veramente è obbligatorio
è il contenuto precettivo della
norma.
L'interprete, quindi, non è vincolato a quelle espressioni della legge che hanno un
valore puramente dottrinario, né alle definizioni legali, le quali sono semplici
generalizzazioni destinate a facilitare l'applicazione della legge e possono anche non
risultare esatte.
Positivamente, dal metodo finalistico discende anzitutto che della legge penale,
come di tutte le altre leggi, può darsi un’interpretazione progressiva. Poiché la ratio non
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 28/29
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
è lo scopo che i redattori della norma si sono proposti, ma lo scopo oggettivamente
inteso, è possibile che essa muti col variare delle circostanze e dei rapporti sociali. In
conseguenza la legge penale può assumere un senso ed una portata che, senza
contraddire alla sua dizione letterale, corrisponda alla coscienza giuridica e alle
necessità sociali del momento.
Dall'indirizzo, in parola derivano, inoltre, i seguenti criteri generali:
a)
Ogni disposizione di legge va interpretata in modo che consegua lo scopo
per cui fu posta e non vada al di là di esso. Se una spiegazione non consente alla norma
di raggiungere quello scopo, deve essere respinta, come va respinta quella che conduce
a conseguenze che trascendono le finalità della norma.
b)
Fino a prova del contrario si deve presumere che ogni norma sia in
armonia con le direttive generali dell'ordinamento giuridico. Di regola, quindi, ogni
spiegazione che implichi conseguenze contrastanti con quelle direttive deve ritenersi
fallace. Questo criterio, peraltro, non ha valore assoluto.
Applicazioni
Alcuni esempi pratici chiariranno il procedimento del metodo teleologico.
L'art; 364 c.p: stabilisce: ”Il cittadino, che, avendo avuto notizia di un delitto,
contro la personalità dello Stato, per il quale la legge stabilisce l'ergastolo, non ne fa
immediatamente
denuncia
all'Autorità
è
punito...”.
Se
questa
disposizione
si
interpretasse alla lettera, tutti i cittadini che comunque abbiano avuto notizia dei reati
in essa indicati, e persino quelli che l'hanno appresa dai giornali, dovrebbero: fare
denuncia, con enorme imbarazzo per la stessa polizia. Considerando che la norma
tende
esclusivamente
a
facilitare
la
scoperta
dei
delitti
anzidetti,
si
impone
un'interpretazione restrittiva, e, pertanto, deve ritenersi che in essa sia implicita la
condizione: ”quando il fatto non è notorio”.
La considerazione dell'assurdità delle conseguenze a cui conduce L'interpretazione
letterale può rendere indispensabile anche adottare un'interpretazione estensiva. Un
esempio caratteristico di questa necessità era fornito al delitto di feticidio, il quale,
prima dell'entrata in vigore della L. 5 agosto 1981, n. 442, era previsto nel nostro
codice solo quando fosse commesso per causa di onore (art. 578). Per evitare il
risultato ripugnante di lasciare impunito feticidio commesso per altre cause (per
esempio, per motivi ereditari, per non, aver figli, ecc.) e perciò i casi più gravi di
feticidio risultato a cui i compilatori della legge non avevano pensato, perché altrimenti
lo avrebbero di sicuro evitato fu giocoforza interpretare la norma relativa all'omicidio
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 29/30
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
(art. 575) in modo da farvi rientrare anche queste ipotesi, intendendo per uomo non
solo l'individuo staccata dal ventre materno, ma anche il feto nel momento di
transizione fra la vita intra e quella extrauterina (durante il parto).
L'interpretazione estensiva, la quale si impone specialmente allorché l'esame della
legge dimostra che i compilatori sono incorsi in una svista o dimenticanza, si rende
necessaria anche quando il caso che si deve decidere si è verificato per emergenze
sorte dopo la pubblicazione della legge, in modo, che i redattori della stessa si erano
trovati nell'impossibilità di prevederlo.
L'analogia in generale.
Dall'interpretazione; va distinto il procedimento per analogia: l'applicazione
analogica della legge.
È noto che al procedimento in parola si ricorre quando, il caso non è previsto dalla
legge: più precisamente, quando il caso non rientra in nessuna delle ipotesi astratte
formulate dal legislatore. La sua essenza consiste nell'attribuire al caso,
non
disciplinato, dalla legge, la regolamentazione di un caso simile.
Affinché si abbia vera e propria analogia è indispensabile che il caso non
contemplato abbia in comune con quello previsto la ratio legis. Ne consegue che,
applicando al primo la disciplina del secondo, non si fa che attuare l'antica massima: ubi
eadem ratio, ibi eadem iuris disposino; Secondo una larga corrente dottrinaria, le
norme che si trovano per mezzo dell'analogia non sono che sviluppi dell'ordinamento
giuridico: esistono potenzialmente nel sistema, sebbene in forma latente.
A nostro avviso, una linea di demarcazione esiste, per quanto sia indubbiamente
sottile. Nell'interpretazione estensiva, infatti, noi ci muoviamo nell'ambito di una
norma: il caso in esame rientra nella ipotesi astratta configurata dal legislatore, sia pure
dando alle parole della
legge un significato più ampio di quello che risulta
apparentemente da esse. Nell'analogia, invece, il caso da decidere non può in alcun
modo essere compreso nella disposizione, anche se questa si dilata dall'interprete fino
ai limite della sua massima espansione; il caso anzidétto; perciò, è fuori della norma e
ad esso diamo la regolamentazione stabilita per una ipotesi diversa. Ci sembra pertanto
che la differenza fra i due procedimenti non possa essere negata.
L'analogia nel diritto penale.
L'applicazione del procedimento analogico nel campo del diritto penale ha una
particolare disciplina. L'art. 14 delle disposizioni ora richiamate stabilisce : “Le leggi
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 30/31
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
penali, e quelle che fanno eccezione alle regole generali o ad altre leggi non si applicano
oltre i casi, e i tempi; in esse considerati”.
Da questa disposizione deriva in modo
indubbio che il procedimento analogico è interdetto nei riguardi delle norme penali, in
senso stretto e cioè rispetto alle disposizioni che prevedono i singoli reati e stabiliscono
le relative pene, nonché rispetto alle altre norme che integrano le disposizioni
medesime, limitando i diritti, dell'individuo. L'estensione analogica di una norma che
ridondi a danno dell'imputato sia che porti a punirlo per un fatto che non sia
espressamente previsto dalla legge, sia che porti ad applicargli una pena che non sia
stabilita dalla legge, sia, infine, che abbia comunque per effetto l'aggravamento della
posizione del reo e cioè la cosi detta analogia in malam partem non è consentita nel
nostro diritto.
Gravi incertezze sorgono rispetto alle disposizioni che non ridondano a carico
dell'imputato, e particolarmente a quelle che prevedono cause di giustificazione.
Premesso che il divieto dell'analogia in questo terreno non può desumersi
dall'espressione “leggi penali” che figura nell'art. 14 delle preleggi, essendo incontestato
che tale espressione deve intendersi nel senso di norme incriminatrici speciali o
comunque restrittive dei diritti individuali, sorge il quesito se le norme che stabiliscono
cause di giustificazione e di scusa rientrino fra le leggi “che fanno eccezione alle regole
generali o ad altre leggi”, rispetto alle quali è pure vietato il procedimento analogico.
La questione è assai controversa, perché la determinazione del concetto di «legge
eccezionale » non è punto agevole.
Secondo alcuni scrittori per l'esistenza di una legge eccezionale basta che essa
disciplini un ristretto numero di casi che altrimenti rientrerebbero in una regola
generale, ma ciò non può ammettersi perché porterebbe ad escludere completamente
la vasta categoria del diritto speciale.
A nostro modo di vedere, poiché ogni norma legale in fondo è o può considerarsi
una regola generale, l'espressione contenuta nell'art. 14 delle preleggi deve intendersi
in un senso particolare, e precisamente nel senso di direttive generali dell'ordinamento
giuridico... Ci sembra che solo in questo modo il divieto del procedimento, analogico
possa spiegarsi e giustificarsi, mentre, altrimenti sarebbe assai difficile ravvisarne la
ragione.
Riteniamo, pertanto, che per aversi una « legge eccezionale » occorra l'esistenza
di una disposizione che disciplini un gruppo di casi fissando una regola rispondente alle
direttive generali dell'ordinamento giuridico e che poi a tale regola vengano introdotte
delle limitazioni in forma derogatoria, come, ad es., avviene per le norme che
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 31/32
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
prevedono casi di immunità penale in deroga al principio generalissimo che la legge
penale obbliga tutti coloro che si trovano nel territorio dello Stato.
Più complessa, invece, si presenta la questione nei confronti delle cause di
estinzione del reato e della pena. La soluzione incondizionatamente negativa del Vassalli
non ci convince, perché non ci sembra che le cause in parola, ed in specie quelle che
operano solo in riferimento ad alcuni reati, costituiscano sempre deroghe a direttive
generali dell'ordinamento giuridico. La questione, perciò, a nostro avviso, va risolta con
grande cautela caso per caso.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 32/33
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
L’EFFICACIA DELLA LEGGE PENALE
LIMITI TEMPORALI
La successione delle leggi
Le norme penali, al pari di tutte le norme giuridiche, come nascono, si estinguono:
cessano di essere in vigore. L'estinzione delle norme penali non presenta speciali
caratteristiche, perché i modi con cui può verificarsi sono i medesimi delle altre norme
giuridiche e sottostanno alle identiche regole, secondo i principi sanciti nell'art. 15 delle
disposizioni sulla legge in generale, tenendo presenti le norme della Costituzione sulla
mancata conversione in legge dei decreti emessi dal Capo dello Stato in casi
straordinari di necessità e di urgenza (art. 77) e sulla dichiarazione di illegittimità
pronunciata dalla Corte Costituzionale (art. 136).
Quando una norma si estingue ed un'altra le subentra, si ha la c.d. successione di
leggi penali.
Come tutti sanno, la successione delle leggi in via generale è regolata dall'art. 11
delle disposizioni anzidette, il quale stabilisce: “La Legge non dispone che per
l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. È questo il principio dì irretroattività della
legge, il quale importa che la norma giuridica non si applichi a fatti o rapporti sorti
prima che. la medesima entrasse in vigore.
Il principio in parola non è il solo che regoli la successione delle norme giuridiche.
Esso è completato dal principio della non ultrattivìtà della legge, per il quale la legge
non si applica a fatti verificatisi dopo la sua estinzione.
I due principi innanzi esposti delimitano nel tempo la validità della legge. Quanto
al diritto penale, il nostro codice disciplina la materia della successione delle leggi
nell’art. 2. Le norme contenute in questo articolo costituiscono la regola: valgono cioè
quando la nuova Legge non contiene particolari disposizioni in proposito. Non
raramente, infatti, il legislatore detta delle speciali norme transitorie per facilitare il
passaggio dalla vecchia alla nuova legge, con l'intento di evitare possibili conflitti e
dirimere incertezze.
L’art. 2 del Codice accoglie il principio generale della irretroattività della legge. Non
lo segue, però, in modo esclusivo, perché introduce notevoli eccezioni, le quali si
ispirano ad un altro principio che da tempo si è affermato nel campo dei diritto penale,
e cioè al principio della retroattività della legge più favorevole al reo. Si è discusso se il
principio operi soltanto nel caso di successione tra fattispecie incriminatrici o sia
estensibile al caso della successione di norme che degradino un fatto previsto come
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 33/34
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
illecito
penale
in
illecito
amministrativo.
In
giurisprudenza
prevale
il
diniego
dell'estensibilità. Ne consegue, pertanto, che il fatto antecedente non è punibile
neanche con la nuova sanzione amministrativa.
I due principi dell'irretroattività della legge e della retroattività della legge più
favorevole al reo nel sistema del codice si intrecciano fra loro e ne risulta una situazione
alquanto complessa. Bisogna in proposito distinguere tre ipotesi, secondo che la nuova
norma:
a) elevi a reato un fatto che in precedenza non era tale (nuova incriminazione);
b) tolga il carattere di reato ad un fatto che in precedenza lo aveva (abolizione di
incriminazioni precedenti);
c) mantenga al fatto il carattere di reato, ma stabilisca per esso, un trattamento
diverso (nuove disposizioni soltanto modificative).
In questa terza ipotesi bisogna distinguere due casi secondo che la nuova
disposizione sia meno o più favorevole al reo della precedente.
Esaminiamo distintamente le diverse ipotesi.
Nuove incriminazioni.
Si ha una nuova incriminazione quando una legge posteriore, e più precisamente
una legge entrata in vigore in epoca successiva ad un'altra, crea una figura di reato che
prima non esisteva, come, ad es., allorché il c.p. vigente ha elevato a reato l'usura, la
quale non era punita nel codice Zanardelli.
L'ipotesi è disciplinata dal 1° comma dell'art. 2 che dispone: “Nessuno può essere
punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva
reato”. In questo caso, dunque, vale il principio dell'irretroattività della legge.
La ratio della disposizione si comprende agevolmente. Invero, se si attribuisse
valore retroattivo alle norme che creano nuovi reati, verrebbero puniti fatti che non
erano vietati nel momento in cui si verificarono e che, perciò, dovevano ritenersi leciti, il
che sarebbe sommamente ingiusto.
Il principio dell'irretroattività delle norme incriminatrici si collega col principio di
stretta legalità, col quale si fonde allorché questo viene espresso con la formula
frequentemente usata; “nullum crimen, nulla poena sine praevìa lege poenali”.
Abolizione di incriminazioni precedenti.
Può accadere che una legge posteriore non consideri più come reato un fatto che
in precedenza era punito. Ciò è avvenuto, per esempio; dopo la declaratoria di
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 34/35
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
illegittimità costituzionale (sentenza n. 49 del 16 marzo 1971) dell'art. 553 c.p., che
configurava il reato di incitamento a pratiche contro la procreazione, e dopo la
scomparsa dei delitti di adulterio, concubinato e plagio.
L'ipotesi è regolata dal 2° comma dell'art: 2 del codice: “Nessuno può essere
punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisca reato; e, se vi è
stata
condanna,
ne
cessano
l'esecuzione
e
gli
effetti
penali”.
Qui
abbiamo
un'applicazione del canone della retroattività della legge più favorevole: la nuova legge
estènde la sua efficacia a fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore.
In conseguenza del principio, sancito dalla disposizione di cui trattasi, coloro che
hanno commesso il fatto previsto nella norma abrogata non possono essere puniti, e se
hanno subito una condanna, cessa l'esecuzione della stessa e i relativi effetti penali si
estinguono.
La disposizione si spiega, riflettendo che l'abolizione dell’incriminazione di un fatto
significa che lo Stato non lo ritiene più contrario agli interessi della comunità: la
punizione ed anche l'esecuzione della pena già inflitta, in conseguenza, vengono a
mancare di base.
Nuove disposizioni soltanto modificative.
L'ipotesi di norme che, senza creare nuove incriminazioni e senza abolire quelle
precedenti, stabiliscano per fatti antecedentemente puniti un trattamento penale
diverso è contemplata dal 3" comma dell'art. 2, il quale dispone: “Se la legge del tempo
in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse si applica quella le cui
disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza
irrevocabile”
Nell'applicazione di questa norma si profilano, come già accennato, due ipotesi,
secondo che la nuova disposizione sia meno favorevole al reo della precedente, oppure
sia più favorevole.
Nel primo caso, e cioè quando la nova disposizione aggravi la pena o in qualsiasi
altro modo peggiori la condizione del reo, si applica la legge precedente: la nuova
legge,
pertanto,
è irretroattiva.
La
ragione di ciò
evidentemente è ravvisata
nell'esigenza di non far incidere sull'autore del reato una valutazione più severa di
quella del tempo in cui il reato medesimo venne commesso.
Se, invece, la nuova legge sia più favorevole, si applica la legge stessa la quale di
conseguenza ha retroattiva.
L’efficacia retroattiva della legge più favorevole in questa ipotesi, come pure in
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 35/36
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
quella prevista nel 2° comma dell'art. 2 si verifica anche nel caso che dopo la seconda
legge, ne intervenga una terza che ripristini la precedente; per es., ristabilisca per un
reato una pena in antecedenza abolita; il testo della legge non consente una
interpretazione diversa ma, dai un punto di vista razionale, questa applicazione del
criterio del favor rei, appare eccessiva e difficilmente giustificabile.
Significato di “disposizione più favorevole”
Per poter applicare con esattezza le regole esposte è necessario precisare quale sia
e come si determini la legge più favorevole al reo
Un punto ci sembra fuori discussione: la disposizione più :favorevole non può
risultare dalla combinazione della vecchia con
la nuova legge; vale a dire, non può
essere formata prendendo alcuni elementi dalia prima ed altri dalla seconda ed
amalgamandoli in una terza combinazione normativa. Una volta stabilita quale sia la
norma più favorevole, questa deve essere, applicata nella sua integrità.
Premesso ciò, va notato che la valutazione della disposizione più favorevole non
deve essere fatta in astratto e cioè norma per norma. È più favorevole quella che, in
ordine alla medesima ipotesi, conduce a conseguenze meno rigorose per il reo.
Così
nell'ipotesi che una nuova legge elevi il massimo della pena diminuendo il minimo, si
riterrà più favorevole la vecchia legge.
Nel giudizio comparativo non si deve considerare soltanto la durata e la specie della
pena: vanno considerate anche le pene accesasene, le circostanze aggravanti e
diminuenti, la qualifica del fatto, le cause che fanno venir meno il reato e la pena, i
benefici che possono essere concessi, ecc.; insomma, tutti gli elementi che in qualsiasi
modo influiscono sul trattamento del giudicabile.
Ne deriva che, se, per esempio, la nuova legge ha degradato il reato da delitto a
contravvenzione, si considererà di consueto più favorevole la legge stessa, perché,
come si vedrà a suo luogo, ai delitti sono connesse conseguenze più gravi che alle
contravvenzioni.
Leggi eccezionali, temporanee e finanziarie.
Il principio della retroattività della legge più favorevole, adottato dal nostro
legislatore nell'art. 2 c.p., non si estende a tutto il campo del diritto penale: esso non si
applica nei confronti delle leggi eccezionali e temporanee. Ciò è sancito dal 4° comma
dell'articolo' stèsso. La deroga ha per conseguenza che nelle ipotesi contemplate da
queste leggi si applica sempre la disposizione che era in vigore nel tempo in cui il fatto
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 36/37
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
è stato commesso, anche se la successivi lo punisca meno gravemente o addirittura non
lo consideri più come reato.
È opportuno chiarire che sono leggi “eccezionali” quelle che vengono emanate per
sopperire a bisogni dello Stato derivanti, da situazioni anormali, come la guerra, lo
stato d'assedio, un terremoto, una epidemia, ecc.; esse non vanno confuse con le leggi
eccezionali di cui si fa parola nell'art. 14 delle disposizioni preliminari del codice civile.
Sono temporanee, d'altra parte, quelle leggi nelle quali: è stabilito un termine per
la loro durata; vale a dire, quelle che cessano di aver vigore ad una data prefissa, senza
che occorra una nuova disposizione per dichiararle estinte. In questa categoria
rientrandole leggi emanate per rimanere in vigore fino alla cessazione dello stato di
guerra mentre non possono considerarsi temporanee le norme, dei codici penali militari
relative al tempo di guerra
La ratio della speciale disciplina di queste leggi è evidente nel caso (consueto) che
ad una legge eccezionale o temporanea subentri alla legge normale più favorevole.
Sapendosi in antecedenza, che
sono destinate a cessare dopo un certo tempo, gli
autori dei reati, in pratica avrebbero la possibilità di eludere le sanzioni, specialmente
pér i fatti commessi nell'imminenza dello scadere del termine o verso la fine dello stato
eccezionale.
Tale
possibilità
determinerebbe
gravi
ingiustizie
e
affievolirebbe
notevolmente l'efficacia ammonitiva della legge.
Ciò che si è detto, per le leggi eccezionali e temporanee valeva anche, di regola,
per le leggi finanziarie. L’art. 20 della legge 1- gen. 1929 n. 4, infatti, disponeva che
alle materie regolate dalle leggi in parola si applicassero sempre le norme in vigore al
momento del fatto, ancorché fossero state modificate o abrogate al tempo, della loro
applicazione. La dottrina rilevò che la norma in esame aveva riguardo all’ipotesi che una
Legge finanziaria fosse seguita da una più favorevole abrogatrice o modificatrice, non
invece al caso una Legge comune fosse seguita da una legge finanziaria più favorevole,
la quale avrebbe conservato efficacia retroattiva.
Decreti legge non convertici e leggi incostituzionali
L'ultimo comma dell'art 2 c.p. estendeva l'applicazione del medesimo ai casi dì
decadenza o mancata ratifica di un decreto legge o di decreto convertito in legge con
emendamenti. Ciò perché essendo stabilito, nel tempo in cui il codice entrò in vigore,
che il decreto non convertito perdesse efficacia solo dal momento della mancata
conversione, conservandola per il periodo precedente, si era di fronte ad un'ipotesi di
successione di leggi nel tempo. Poiché tuttavia oggi il decreto non convertito, al quale
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 37/38
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
è equiparabile la legge dichiarata incostituzionale, perde efficacia sin dal momento
iniziale della sua esistenza non si constata più il fenomeno della successione di leggi.
La dottrina si chiese pertanto se
l'effetto dell’annullamento della legge
incostituzionale o del decreto non convertito si risolvesse nell'applicazione in toto della
legge precedente pur se meno favorevole al reo. Ciò venne autorevolmente escluso,
essendosi asserito che un'interpretazione teleologica e sistematica, volta a coordinare il
dettato degli articoli 77 e 136 con quello dell'art. 25 Cost. induceva a ritenere che la
legge invalidata o il decreto decaduto dovessero trovare applicazione quando
risultassero più favorevoli. Tale indirizzo fu recepito nel progetto di libro primo dei
codice penale nel testo approvato dal Senato nella sesta legislatura e viene proposto
anche nel più volte citato Progetto Magliaro.
In siffatta prospettiva si accennò dalla dottrina all'esistenza di limiti al sindacato di
costituzionalità di leggi volte ad abrogare precedenti incriminazioni o a modificarle in
senso favorevole al reo. Portata la questione avanti la Corte costituzionale, questa ha
dichiarato l'illegittimità del quinto comma dell'art. 2 in esame nella parte in cui rende
applicabili alle ipotesi da esso previste, le disposizioni contenute nel secondo e terzo
comma dello stesso art. 2 c.p., poiché, stante la sua decadenza ex tunc, il decreto non
convertito non è idoneo a inserirsi in un fenomeno di successione tra norme,
pervenendo
così,
quantomeno
per
i
fatti
accaduti
prima
del
decreto
legge non convertito, ad una conclusione scontata, ma di rigore e secondo alcuni non
agevolmente coordinabile col principio di uguaglianza in rapporto agli effetti riflessi
dell'art. 25 secondo comma Cost.
Ancor più singolare l'effetto di una catena di decreti legge non convertiti e
reiterati, il primo dei quali contenga un'ipotesi di reato. Con la sua decadenza non è più
possibile condanna per la condotta illecita posta in essere nel periodo della sua efficacia,
senza
che
rilevi
la
reintroduzione
nel
decreto
legge
successivo
della
norma
incriminatrice precedente.
Il tempo del commesso reato.
Prima di chiudere la trattazione dell'efficacia della legge penale nel tempo si rende
necessario precisare quando un reato si considera commesso.
La precisazione presenta un notevole interesse, perché, avvenendo un mutamento
di legislazione dopo l'inizio dell'attività esecutiva del reato e prima che si avveri il
risultato esteriore (l'evento) che perfeziona il reato stesso, risultato che può verificarsi
in un momento notevolmente posteriore, il che avviene nei c.d. reati a distanza, occorre
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 38/39
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
stabilire quale delle due leggi debba applicarsi. Ma la determinazione del tempo in cui il
reato è stato commesso interessa anche ad altri fini: per i problemi relativi all'elemento
soggettivo del reato, all'imputabilità, alle circostanze del reato, all'amnistia, alla
prescrizione, ecc., come risulterà dal prosieguo, della presente trattazione.
In difetto di una norma del diritto positivo, nella dottrina sono state enunciate
varie teorie in proposito. Le principali sono:
a) la teoria dell'attività, secondo la quale si deve tener conto del tempo in cui è
stata compiuta l'azione o l'omissione;
b) là teoria dell'evento, che considera il reato commesso nel i momento in cui si è
verificato il risultato esteriore della condotta umana;
e') la teoria mista, per la quale si ha riguardo indifferentemente alla condotta e
all'evento, nel senso che il reato si considera commesso tanto nel momento in cui si è
svolta la prima, quanto in quello in cui si è verificato il secondo.
A noi sembra che non possa accogliersi la teoria dell'evento, perché, anche a
prescindere dal considerare che essa non si adatta ai reati in cui un evento non si
riscontra (reati di pura condotta), la teoria medesima porterebbe, fra l'altro, ad
applicare retroattivamente la legge nel caso di nuove incriminazioni, quando la condotta
si sia svolta sotto l'impero della vecchia legge e l'evento si sia avverato dopo l'entrata in
vigore della nuova. Il reo per tal modo sarebbe punito per il fatto, puramente casuale,
che fra la sua condotta e l'evento è entrata in vigore una nuova legge e si avrebbe
quell'incertezza sulla liceità o meno del comportamento umano per la cui eliminazione il
nostro legislatore ha adottato il principio della irretroattività delle norme penali.
Non può neppure accogliersi la teoria mista, perché non sembra logico considerare
un fatto come commesso contemporaneamente sotto l'impero di due leggi diverse.
Resta, quindi, la prima teoria: quella dell'attività, la quale per noi è la più fondata.
Il momento veramente decisivo del reato è, infatti, quello della condotta, perché in esso
si concreta quella ribellione dell'individuo alla legge che caratterizza l'illecito penale.
Soltanto in tale momento, inoltre, può esplicarsi l'efficacia intimidativa che è inerente
alla norma. Riteniamo, pertanto, che il reato debba considerarsi commesso nel tempo in
cui il soggetto ha realizzato la condotta vietata dalia norma e, quindi, in caso di
successione di leggi, sia applicabile quella che nel tempo medesimo era in vigore.
Questa
regola
naturalmente
non
può
essere
seguita
nel
caso
in
cui la condotta, frazionabile in più momenti, si è verificata in parte sotto la legge
successiva. In tale ipotesi va applicata la legge posteriore anche se meno favorevole al
reo perché sotto l'impero di essa non solo si è verificato l'evento, ma si è svolta anche
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 39/40
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
una frazione dell'attività esecutiva.
È opportuno, infine, ricordare che nei reati omissivi dovrà aver rilievo il momento
in cui il soggetto si è posto nella condizione di non poter adempiere l'obbligo prescritto.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 40/41
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Gli elementi costitutivi del reato
La disciplina dei reati è prevista all'interno del codice penale, che si divide in due
parti: una parte generale, che individua quelli che sono gli elementi del fatto illecito
penale ed una parte speciale che configura e disciplina le singole ipotesi di reato.
Il reato può essere definito come un fatto penalmente rilevante, ovvero un
accadimento connotato da intrinseche peculiarità che l'ordinamento giuridico considera
come presupposti per l'irrogazione di una sanzione.
L'individuazione degli elementi del reato è oggetto della cd. teoria generale del
reato o dottrina del reato. L'analisi della struttura del reato evidenzia l'esistenza di due
tipologie di elementi:
- gli elementi essenziali, senza i quali viene meno lo stesso illecito penale;
- gli elementi accidentali, che non incidono sulla esistenza del reato, bensì sulla
sua gravità.
Il tipo di sanzione costituisce l'elemento discretivo tra illecito penale, illecito civile
ed illecito amministrativo, essendo prevista rispettivamente, pena, sanzione civile e
sanzione amministrativa.
La moderna dottrina del reato è di matrice tedesca, in particolare si deve a Beling
la scomposizione del reato nei suoi tre elementi essenziali: tipicità, antigiuridicità,
colpevolezza.
In via del tutto generale la tipicità può essere definita come la corrispondenza del
fatto alla descrizione normativa di un reato.
Ma il verificarsi dei presupposti oggettivi descritti dalla norma non è sufficiente
perché possa parlarsi di reato essendo necessario anche che l'azione (od omissione) sia
contraria al diritto oggettivo, ovvero sia portatrice di un disvalore meritevole di sanzione
da parte dell'ordinamento giuridico; infatti, la legge consente, in presenza di particolari
circostanze, anche il compimento di azioni, altrimenti vietate, stante la presenza di
specifiche "norme permissive" che consentono
norme
incriminatici
penali
con
l'armonizzazione
delle
singole
l'intero ordinamento giuridico.
È il caso, ad esempio, dell'uccisione di un uomo, fatto di per sé tipico, in quanto
azione corrispondente alla previsione dell'art. 575 c.p., ma che sfugge alla sanzione ed
anzi diviene lecita in determinate circostanze quali ad esempio quella prevista dall'art.
52 c.p. che disciplina la "legittima difesa".
L'ultimo elemento di questa ricostruzione è la colpevolezza, intesa come nesso
psichico tra il soggetto agente e l'evento lesivo.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 41/42
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Il
codice
disciplina
due
tipologie
di
reato
distinguendo
tra
delitti
e
contravvenzioni.
Il criterio distintivo è di natura formale, adottato dall'art. 39 C.P., ai sensi del
quale "I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, secondo la diversa specie delle
pene per essi rispettivamente previsti da questo codice".
L'art. 17 c.p. aggiunge "le pene principali stabilite per i delitti sono l'ergastolo, la
reclusione e la multa; le pene principali stabilite per le contravvenzioni sono l’arresto e
l'ammenda".
La distinzione tra le due categorie non è priva di rilevanti conseguenze sul piano
pratico, tra cui in particolare:
1. quanto all'elemento psicologico, salvo che la legge preveda una contravvenzione
dolosa (es.: art. 660 c.p. "molestia o disturbo alle persone"), tutte le contravvenzioni
sono punibili, sia se commesse con dolo, sia se commesse con colpa;
2. il tentativo è possibile solo per i delitti, come si evince dal tenore dell'art. 56
c.p. che recita: "chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un
delitto risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica";
3. talune circostanze del reato sono previste solo per i delitti e non anche per le
contravvenzioni.
Alcuni criminalisti hanno ricostruito la distinzione tra le due categorie di reato
discostandosi dal criterio delineato ed adottato dalla giurisprudenza per risalire ad un
criterio, invece, sostanziale.
Secondo tale impostazione sono da qualificarsi come contravvenzioni quei reati che
si compongono di azioni od omissioni contrarie all'interesse amministrativo dello Stato,
oppure rappresentano le offese meno gravi degli interessi amministrativi.
La tipicità
Per affermare l'esistenza di un fatto rilevante per l'applicazione di una pena o di
una misura di sicurezza è necessario che si tratti, prima di ogni valutazione concernente
l'antigiuridicità o la sussistenza dell'elemento soggettivo, di un fatto corrispondente a
quello descritto da una norma incriminatrice di parte speciale.
Il fatto storico diviene fatto tipico in quanto riflette, in concreto, la descrizione di
un accadimento astrattamente configurato dalla norma incriminatrice.
Tale valutazione è la conseguenza di un procedimento c.d. di sussunzione che
consiste nel riportare il fatto storico nello schema generale e astratto previsto dalla
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 42/43
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
norma.
Prendiamo ad esempio l'art. 578 c.p. relativo al reato di "infanticidio in condizioni
di abbandono materiale e morale" il quale recita: la madre che cagiona la morte del
proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il
fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è
punita con la reclusione da quattro a dodici anni".
Valutare se il fatto verificatosi nella realtà sia corrispondente a quello descritto
nell'art. 578 c.p., e quindi effettuare il procedimento di sussunzione, significherà:
· accertare che a commettere il fatto sia stata la madre;
· che la madre abbia cagionato la morte del neonato immediatamente dopo il morto o
del feto dopo il parto;
· che il fatto sia stato determinato da condizioni di abbandono materiale e morale.
La teoria generale del reato, ai fini di una generale ricostruzione degli elementi
costitutivi il fatto tipico, ha operato una ricostruzione basata sulla combinazione delle
singole norme incriminatici di parte speciale con la normativa di parte generale.
Da tale procedimento è possibile individuare quelli che sono gli elementi che
concorrono a determinare il fatto penalmente rilevante, che la dottrina distingue in due
categorie, in quanto screma,
all'interno del fatto tipico, tra fattispecie oggettivo
materiale, in cui rientrano gli elementi meramente oggettivi, e fattispecie soggettiva,
in cui si fanno convenire tutti gli elementi di ordine psichico.
Gli elementi della fattispecie oggettiva: l'autore, il soggetto passivo del reato,
l'oggetto materiale, la condotta, l'evento.
L'autore
L'autore è colui che realizza nel mondo esterno il fatto tipico di un determinato
reato, ovvero, colui che pone in essere il comportamento costituente reato.
Autore del reato può essere qualunque persona fisica, pertanto ogni persona ha
capacità penale, ovvero l'attitudine a porre in essere comportamenti rilevanti dal punto
di vista penale, senza distinzione di età, sesso o di altre condizioni soggettive.
La conseguenza di tale premessa è che l'età, le situazioni di anormalità psico-fisica
e le immunità non escludono l'illiceità penale, rilevando solo ai fini della concreta
applicabilità della pena.
La qualità di autore, per tali motivi, risulta scissa sia dal giudizio sulla colpevolezza
del soggetto che agisce, sia dalla sua punibilità in concreto.
Il minore non imputabile (non punibile stante la minore età) che sottrae un
oggetto dal banco di un supermercato o il figlio che ruba al padre (non punibile a norma
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 43/44
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
dell'art. 649 C.P.), anche se non punibili, non per questo cessano di essere autori del
fatto tipico del furto. È possibile operare una differenziazione tra i reati a seconda
dell'autore, distinguendo tra:
·
reati comuni: possono essere commessi da ogni persona a prescindere dal possesso
di specifiche qualifiche soggettive. Ad esempio nell'art. 575, relativo al reato di
"omicidio" disponendo che “chiunque cagiona...” altro non fa che configurare un reato
comune, in quanto “chiunque” può essere autore del fatto in esso descritto.
·
reati propri che possono essere commessi solo da soggetti che rivestono
determinate peculiarità. È il caso del reato di falsa testimonianza, previsto dall'art.
372 c.p. il cui autore può essere solo un testimone.
Soggetto passivo
Il soggetto passivo del reato è la persona titolare del bene o dell'interesse
penalmente tutelato. Il codice parla di persona offesa dal reato. Pertanto persona offesa
del reato di lesioni personali è il ferito, del reato di omicidio la persona uccisa.
La nozione di persona offesa dal reato non coincide, però, necessariamente con
quella di danneggiato dal reato che individua, al contrario, il soggetto che subisce il
danno, patrimoniale e non, derivante dal reato e suscettibile di risarcimento. Nel furto,
ad esempio, soggetto passivo è colui che viene privato della detenzione della cosa. Ma
se il soggetto
passivo è
solo detentore della cosa
ma
non
proprietario,
sarà
quest'ultimo il danneggiato dal reato.
Al soggetto passivo spetta il diritto di querela, nei casi di reati punibili a querela
della persona offesa.
In tutti i reati vi è un soggetto passivo, potendo essere tali sia le persone fisiche,
sia lo Stato e la Pubblica Amministrazione, sia persone giuridiche private, sia collettività
non personificate (associazioni non riconosciute).
In base al soggetto passivo i reati si distinguono in:
·
reati plurioffensivi: ledono o pongono in pericolo più beni diversi. Ne consegue
una pluralità di soggetti passivi (ad esempio, la calunnia offende nello stesso tempo
lo Stato, nel suo interesse alla regolare amministrazione della giustizia, e la persona
falsamente incolpata);
·
reati vaganti: offendono un numero indeterminato di individui (ad esempio nel
reato di strage);
·
reati senza vittima: in essi non è facile individuare un bene giuridico "concreto" (ad
esempio per quel che concerne la fattispecie "atti osceni" dove lesa è la moralità
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 44/45
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
pubblica).
L'oggetto materiale dell'azione
Per oggetto materiale dell'azione si intende l'entità su cui incide materialmente la
condotta tipica. Oggetto materiale dell'azione può essere una cosa, un animale o una
persona umana e costituisce elemento che concorre a ricostruire la fattispecie tipica.
Infatti, reati come quello di furto o di rapina sono qualificati dall'oggetto materiale
che colpiscono, essendo richieste condotte tipiche che incidano su un bene altrui. Non
bisogna confondere, però, la nozione di oggetto materiale dell'azione con quella del
bene giuridico meritevole di tutela.
Ad esempio nella "violazione di sepolcro" ex art. 407 C.P., oggetto materiale è il
sepolcro violato, bene giuridico è, invece, il sentimento religioso e la pietà per i defunti.
La condotta e la coscienza e volontà dell'azione
La condotta, intesa come comportamento del soggetto attivo del reato, deve essere
tipica, ovvero deve corrispondere a quella descritta dalla norma incriminatrice speciale. I
reati possono essere commissivi, quando la condotta consiste in un comportamento
positivo, cioè in un fare (azione), oppure omissivi quando la condotta si realizza
mediante un comportamento negativo, cioè nel non fare qualcosa (omissione). L'azione
può essere costituita da un unico atto o da una pluralità di atti; in quest'ultimo caso gli
atti assumono rilevanza penale se concatenati tutti dalla medesima finalità. L'omissione
consiste nel mancato compimento dell'azione che si attendeva da una persona. La fonte
dell'obbligo di comportamento deve essere una norma giuridica. La dottrina distingue i
reati omissivi in due categorie:
-
reati omissivi propri: sono reati, per la cui sussistenza è richiesta la mera
condotta, a prescindere dal verificarsi di un dato evento (ad esempio il reato di
omissione di atti d'ufficio);
-
reati commissivi mediante omissione: per la loro sussistenza è necessario
che il soggetto abbia cagionato, con la propria omissione, un dato evento. È il caso della
madre che omettendo di allattare il proprio bambino ne cagioni la morte. Il
comportamento della madre, infatti, innesca un procedimento di denutrizione che se
prolungato non può che portare alla morte del bambino.
Le condotte, siano esse omissive che commissive sono, però, insufficienti alla
configurabilità del reato se non è rispettato il principio enunciato dall'art. 42, comma 1,
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 45/46
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
c.p.: "nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge
come reato se non l'ha commessa con coscienza e volontà".
Tale principio afferma l'imprescindibilità del coefficiente psichico o "suitas" perché
possa parlarsi di condotta.
La dottrina ha definito la suitas come la riferibilità dell'atto al volere del soggetto.
"Coscienza e volontà", pertanto, indica la consapevolezza, da parte del soggetto,
dell'atto di realizzare un determinato atto.
Ciò
premesso
ANTOLISEI individua
come
condotte
tipiche
quelle
che,
pur
svolgendosi in assenza di una comprensione immediata, sono attribuibili all'agente, il
quale, con uno sforzo di volontà, avrebbe potuto evitarle (atti abituali).
Gli unici atti che, invece, si sottraggono del tutto alla signoria ed al controllo del
volere sono quelli che non possono, in alcun modo, essere impediti dal soggetto (atti
istintivi ed atti riflessi): ne costituiscono ipotesi i movimenti che il soggetto compie nel
delirio della malattia o un colpo di tosse.
Allo stesso modo la suitas risulta esclusa in altre due ipotesi: quello della "forza
maggiore" e del "costringimento fisico".
L'art. 45 c.p. recita: "non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore".
Per forza maggiore si intende ogni forza esterna in grado di coartare i movimenti di un
soggetto e a cui questo non può resistere (ad esempio una folata di vento fa cadere una
scala su cui lavora un muratore ferendo un passante).
Manca in tale ipotesi la possibilità di attribuire la condotta alla volontà del soggetto e
quindi la coscienza e volontà richiesta dall'art. 42 C.P.
L'ipotesi del costringimento fisico è disciplinato dall'art. 46 c.p. il quale così
dispone: "non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto,
mediante violenza fisica alla quale non poteva resistere o sottrarsi. In tal caso del fatto
commesso dalla persona costretta risponde l'autore della violenza".
In tale ipotesi la dottrina ravvisa nell'autore materiale del reato un mero mezzo
utilizzato da un soggetto terzo che la legge considera responsabile del reato.
Esempio è fornito dal caso di colui che vibra un colpo mortale ad un altro soggetto
ma la propria mano è guidata da un terzo.
L'evento
La dottrina distingue tra due tipi di evento:
-
l'evento in senso naturalistico che si realizza quando si ha una modificazione
della realtà esterna;
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 46/47
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
-
l'evento in senso giuridico inteso come lesione o messa in pericolo del bene
protetto dalla norma.
Da tali considerazioni deriva che è sempre richiesta, ai fini della configurazione di
un reato, la messa in pericolo o lesione di un bene.
Pertanto non sono configurabili reati senza che vi sia l'evento giuridico, in quanto
in caso contrario viene meno lo stesso intere punitivo. Possono sussistere, invece, reati
senza l'evento naturalistico: si tratta dei c.d. reati di pura condotta, ove l'ordinamento
sanziona la semplice azione od omissione senza
che sia
richiesta
la
modificazione
esterna e percettibile della realtà.
Nesso di causalità
Ai fini dell'esistenza del reato è necessario che tra la condotta e l'evento vi sia un
rapporto di causa ad effetto. Tale esigenza è espressa nell'art. 40 c.p. il quale afferma:
"nessuno può essere considerato autore del reato se l'evento dannoso o pericoloso che
lo caratterizza non è in relazione causale del suo comportamento".
L'antigiuridicità
L'accertamento dell'antigiuridicità è successivo alla verifica della tipicità del fatto,
la quale si determina, come detto in precedenza, mediante un procedimento di
sussunzione che opera riportando il caso concreto nella previsione generale ed astratta
della norma. L'antigiuridicità è definita dalla dottrina come la contrarietà del fatto
all'ordinamento giuridico considerato nel suo complesso.
Infatti, una volta verificata la corrispondenza del fatto materiale alla descrizione
generale ed astratta della norma occorre verificare il concreto disvalore dell'azione (od
omissione) accertando caso per caso la presenza di eventuali cause di esclusione della
contrarietà al diritto.
Il fatto, riprovato dal diritto si qualifica come illecito solo se è antigiuridico, ovvero
se dia esito negativo la verifica relativa l'esistenza delle ed. cause dì giustificazione, le
quali, da sole, privano ad origine il fatto del requisito dell'antigiuridicità.
Infatti, la presenza delle cause di giustificazione può, nel caso concreto, rendere
leciti fatti in altri casi illeciti.
A chiarire tale asserzione può essere utile un esempio.
L'art. 51 c.p. prevede: l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere
imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la
punibilità. La norma in esame prevede una causa di giustificazione.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 47/48
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Consideriamo ora il caso in cui Tizio sia proprietario di un fondo adiacente quello di
Caio. Se Tizio accede al fondo vicino senza alcuna autorizzazione commette un illecito. In
alcuni casi, ad esempio se tra i due fondi vi è una servitù, la condotta di Tizio perde di
illiceità in quanto opera una causa di giustificazione che priva di disvalore quell'azione.
La ratio delle cause di giustificazione è da ricercarsi nel rispetto di principio di non
contraddizione e di unità dell'ordinamento giuridico. Ogni norma permissiva, in
sostanza, viene a trovarsi in una posizione di conflitto con la norma che contiene il
divieto penalmente sanzionato.
In questo "conflitto" la norma permissiva è destinata immancabilmente
a
prevalere, in quanto presenta, rispetto alla norma incriminatrice, un elemento
specializzante: essa, infatti, disciplina i casi in cui, oltre a tutti gli elementi descritti
dalla singola norma di parte speciale, sono altresì presenti quelli individuati dalla norma
permissiva.
La norma speciale prevale su quella generale. Consideriamo il caso in cui Tizio
uccida Caio dopo essere stato da questi assalito con un'arma da fuoco: la fattispecie è
quella prevista dall'art. 575 c.p. che recita "chiunque cagiona la morte di un uomo è
punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno".
Mediante il procedimento di sussunzione è possibile determinare la piena
corrispondenza del fatto con la descrizione normativa. Ma ciò non è sufficiente per poter
parlare di reato, infatti l'analisi del giurista non deve fermarsi a questa prima
valutazione, ma deve verificare la sussistenza anche del secondo elemento del reato:
l'antigiuridicità.
Infatti, per quel che concerne il caso in esame è da rilevare la presenza di una
norma l'art. 52 c.p., rientrante nel novero delle cause di giustificazione, che dispone:
"non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di
difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta,
sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa".
L'art. 52 c.p. si pone, rispetto alla fattispecie incriminatrice dell'omicidio, come
norma speciale rispetto ad una norma disciplinante un caso generale. Pertanto stante la
difesa di un diritto proprio (il bene della vita), il pericolo attuale (Caio punta la pistola
verso Tizio), l'ingiustizia dell'offesa e la proporzione della difesa con l'offesa (Caio
minaccia di uccidere Tizio), si configura l'operatività della causa di giustificazione e
la sua prevalenza sulla norma generale, l'art. 575 c.p. che si limita a disciplinare il caso
in cui "chiunque cagioni la morte di un uomo".
Se nel rapporto tra le due norme (quella generale e quella speciale) a prevalere
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 48/49
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
fosse l'art. 575, la conseguenza diretta sarebbe che la disposizione contenuta nell'art. 52
risulterebbe inutilità data, perché mai applicabile; la sua prevalenza, nel caso in esame,
non esclude, al contrario, la validità generale del divieto di uccidere, che rimane applicabile a
tutti i casi in cui non siano presenti contemporaneamente gli elementi specializzanti la
"legittima difesa".
Infatti, la presenza della causa di giustificazione non esclude il divieto generale di
uccidere, ma esclude nel caso singolo, che il fatto rivesta i caratteri del torto
antigiuridico.
Naturalmente
l'accertamento
dell'antigiuridicità
presuppone
che
si
sia
già
accertata l'esistenza di un fatto che presenti tutti i requisiti descritti nella fattispecie
legale di reato. Inoltre, mentre l'accertamento della tipicità avviene sulla scorta di criteri
prefissati dal diritto penale, la risposta alla domanda se quel fatto tipico sia anche un
fatto antigiuridico va invece ricercata guardando all'intero ordinamento giuridico.
La fonte delle singole fattispecie permissive, infatti, può essere rinvenuta non solo
nell'ambito del diritto penale, ma anche in altri settori dell'ordinamento, ove quelle
norme svolgono una funzione ulteriore rispetto a quella giustificativa che esse assumono
in sede penale.
Un esempio, al riguardo, è fornito dalle norme costituzionali.
La norma che riconosce il diritto di sciopero (art. 40 Cost.) ha evidentemente una
destinazione di carattere generale, che va sicuramente oltre il ruolo che essa può
svolgere nel diritto penale; in casi specifici, tuttavia, proprio l'art. 40 Cost. è fonte della
non antigiuridicità di talune condotte tipiche: per esempio, di un fatto di interruzione di
un pubblico servizio (art. 340 C.P.) che si realizza all'interno di una condotta di sciopero.
Principali cause di giustificazione
Legittima difesa: l'art. 52 c.p. recita "non è punibile chi ha commesso il fatto per
esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il
pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa".
La dottrina individua il fondamento di tale causa di giustificazione in un residuo di
autotutela
delegato
al
privato
dallo
Stato,
impossibilitato
ad
intervenire
tempestivamente. Presupposti essenziali, ai fini dell'operatività di detta causa di
giustificazione, sono:
1. il pericolo non deve essere stato determinato volontariamente dall'agente;
2. il pericolo deve essere attuale;
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 49/50
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
3. la difesa deve essere proporzionata all'offesa.
Consenso dell'avente diritto: l'art. 50 c.p. stabilisce che "non è punibile chi lede
o pone in pericolo un diritto col consenso della persona che può validamente disporne".
Il fondamento di questa ipotesi di non punibilità va ravvisato nel venir meno
dell'interesse, da parte dell'ordinamento, alla tutela di un bene giuridico, alla cui integrità
lo stesso titolare del bene non mostra avere interesse.
Esempio può essere dato dal tossicodipendente che accetti di farsi rinchiudere a
chiave nella sua stanza per affrontare una crisi di astinenza. Per quanto attiene ai
requisiti questi vanno così delineati:
1) oggetto del consenso deve essere un diritto disponibile. Sono da ritenersi
indisponibili i diritti appartenenti alla collettività, nonché i beni dell'individuo tutelati
indipendentemente dalla sua volontà, perché riconosciuti di interesse pubblico. Per
quanto concerne l'integrità fisica vi è da dire che indisponibile è il bene della vita e che
sono vietati gli atti di disposizione del proprio corpo che cagionino una diminuzione
permanente dell'integrità fisica o siano comunque contrari alla legge, all'ordine pubblico
o al buon costume. Sono pertanto, da considerarsi disponibili i diritti patrimoniali e i
diritti della personalità (es.: onore, libertà personale, diritto di riservatezza) purché il
consenso non abbia ad oggetto il sacrificio totale del bene nel qual caso si ritiene
inefficace (tale sarebbe il caso di chi accettasse di essere segregato a vita dai familiari).
2) il consenso deve essere prestato dal titolare dell'interesse protetto, soggetto
che deve avere la capacità. Inoltre il consenso non deve essere contrario a norme
imperative, all'ordine pubblico o al buon costume.
L'esercizio del diritto: in forza dell'art. 51 c.p. "l'esercizio di un diritto o
l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo
della pubblica Autorità esclude la punibilità".
La ratio di tale disposizione va ravvisato nel principio di non contraddizione. Infatti,
se l'ordinamento riconosce al soggetto la possibilità di agire in un certo modo è
evidente che la sua condotta, nei limiti in cui è consentita, non può costituire un fatto
illecito. L'aspetto sostanziale del conflitto è insito nel fatto che l'esercizio del diritto o
l'adempimento del dovere implicano il sacrificio di un interesse diverso che, di regola, è
penalmente tutelato: esempio è il caso in cui il proprietario del fondo dominante che
esercita i diritti derivanti da una servitù di passaggio; oppure l'ipotesi in cui l'ufficiale
giudiziario asporti un oggetto pignorato; ancora l'agente di Pubblica Sicurezza che
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 50/51
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
procede alla cattura di un latitante.
La colpevolezza
Affinché sia configurabile un reato, oltre al fatto materiale, è richiesta l'esistenza di
un nesso psichico tra il soggetto agente e l'evento lesivo. L'imputazione soggettiva del
fatto, ovvero l'attribuibilità psicologica del fatto di reato alla volontà dell'agente prende il
nome di “colpevolezza”.
La
valutazione
concernente
la
“colpevolezza”
dell'autore
è
l'ultimo
degli
accertamenti che il giudice esegue per determinare la configurabilità o meno del reato. la
stessa Costituzione, all'art. 27, ad affermare il principio di colpevolezza (nullum crìmen,
nulla
poena
sine
culpa)
quando
stabilisce
che
la
responsabilità
penale
è
personale. Tale principio è stato ribadito nella sentenza n. 364 del 1988 della Corte
Costituzionale che ha previsto come requisito minimo ai fini della punibilità quello della
colpa dell'agente.
Tale interpretazione viene poi a conciliare con quella che è la funzione rieducativa
della pena. Non ha alcun senso, secondo tale impostazione, andare a sanzionare
condotte scisse da qualsivoglia nesso psichico dell'agente.
Nell'ordine
delle
valutazioni
giuridico-penali
l'accertamento
della
tipicità
e
dell'antigiuridicità del fatto necessariamente precede il giudizio sulla colpevolezza
dell'autore, in quanto la valutazione della non conformità della condotta al tipo di un
determinato
reato
o
l'apprezzamento del valore scriminante di una
causa
di
giustificazione rende superflua la valutazione della colpevolezza personale dell'autore.
Si rende a questo punto necessario operare la distinzione tra contenuto e
presupposto della colpevolezza.
Con il termine “contenuto della colpevolezza” ci si riferisce alle modalità
dell'elemento psicologico. Contenuto della colpevolezza può essere il dolo o la colpa. Per
presupposto della colpevolezza si intende il requisito minimo, senza il quale non è
configurabile l'esistenza del nesso psichico.
L'imputabilità
Presupposto della colpevolezza è l'imputabilità, l'art. 85 c.p. stabilisce nessuno può
essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se al momento in cui lo ha
commesso non era imputabile.
È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere. La capacità di intendere
corrisponde alla capacità del soggetto di percepire la realtà esterna e di rapportarsi ad
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 51/52
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
essa. Per capacità di volere, si intende la capacità di controllare i propri impulsi e di
orientare le proprie determinazioni. La ragione giustificatrice della imputabilità è da
ravvisarsi nel più ampio concetto di responsabilità umana.
In altri termini, affinché un uomo possa essere chiamato a rispondere penalmente
dei propri atti, necessario che sia in grado di rendersi conto del disvalore sociale di tali
atti.
È necessario a questo punto operare una distinzione tra la coscienza e volontà
dell'art. 42 e la capacità di intendere e di volere di cui all'art. 85 C.P.
L'art. 42 prevede uno dei requisiti essenziali affinché l'azione possa essere
considerata come condotta tipica, mentre la capacità di intendere e di volere è intesa
come capacità di valutare le proprie azioni.
Possiede la capacità di intendere e di volere chi, a causa di una crisi respiratoria,
vibra a causa degli spasmi un colpo ad un altro soggetto che tenta di soccorrerlo. Non
possiede la coscienza e volontà dell'azione in quanto non è padrone dei suoi movimenti.
L'imputabilità può essere esclusa o diminuita da alcune cause espressamente
previste dagli articoli 88 e seguenti del codice penale.
Tra le più importanti vanno menzionate:
la minore età: il legislatore presume che il raggiungimento della maturità psichica
si abbia per gradi, pertanto la minore età riduce od esclude l'imputabilità. Per il minore di
anni quattordici vige la presunzione assoluta2 di assenza di capacità di intendere e di
volere. Al contrario, nel periodo che va dai quattordici ai diciotto anni non esiste alcuna
presunzione né di capacità né di incapacità, ma è il giudice che deve accertare caso per
caso l'imputabilità del soggetto (artt. 97 e 98 c.p.).
Il minore non imputabile non può essere assoggettato a pena in quanto non in
grado di riconoscere e comprendere il disvalore delle proprie azioni od omissioni. Il
giudice, però, tenuto conto delle particolare gravità del fatto, nonché delle condizioni
sociali e familiari del minore, può applicare la misura di sicurezza del ricovero in
riformatorio giudiziario o quella della libertà vigilata;
l'infermità di mente: per infermità si intende uno stato patologico che turba la
psiche del soggetto.
Il codice penale, agli articoli 88 ed 89, fa riferimento all'infermità, nel senso che il
vizio di mente deve essere la conseguenza di una malattia, eventualmente anche fisica
ma tale da incidere sulla capacità di intendere e di volere. Non è necessario che tale
stato sia duraturo essendo sufficiente che esso sussista al momento della commissione
del fatto.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 52/53
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Si richiede che fra la malattia ed il reato sussista un vero e proprio nesso di causa
ad effetto. Tale nesso di causalità è escluso, ad esempio, per le ed. monomanie, che si
hanno quando l'alterazione psichica è relativa solo ad alcune sfere della psiche, ed il
fatto costituente reato non è conseguenza diretta di quell'alterazione. Un esempio può
essere fornito dal caso del soggetto che soffre di manie di persecuzione; questo non
sarà imputabile nel caso in cui uccida il presunto persecutore, ma lo sarà nel caso ad
esempio in cui commetta un furto.
Inoltre il vizio di mente può essere totale o parziale. Si ha vizio totale di mente
quando lo stato di alterazione mentale è tale da comportare una assoluta mancanza di
capacità di intendere e di volere. Il vizio parziale di mente sussiste quando la capacità
di intendere e di volere è grandemente scemata, in misura tale da ridurre le capacità di
discernimento del soggetto (artt. 88 e 89 c.p.). La conseguenza del vizio totale di mente
è il proscioglimento dell'imputato stante la sua non imputabilità; sarà poi il giudice a
disporre le misure di sicurezza che ritiene più idonee. Conseguenza del vizio parziale di
mente è, al contrario, la semplice diminuzione della pena;
l'ubriachezza: il legislatore ha considerato che l'uso di sostanze alcoliche possa
incidere sulla psiche del soggetto e quindi sulla sua imputabilità. Peraltro, la disciplina
relativa all'uso di sostanze alcoliche è applicata anche al caso di uso di sostanze
stupefacenti.
È considerata, però, causa di esclusione dell'imputabilità solo l'ubriachezza
accidentale, non essendo infatti esclusa o diminuita l'imputabilità nel caso di ubriachezza
abituale, di ubriachezza dolosa o colposa o di ubriachezza preordinata.
L'ubriachezza accidentale si configura quando la perdita della capacità di
autocontrollo è determinata o da un fattore del tutto imprevedibile non determinato dal
soggetto (caso fortuito) o da una forza esterna inevitabile ed invincibile cui non si può
opporre alcuna resistenza (forza maggiore). Si ha caso fortuito, ad esempio, quando il
soggetto, lavorando in una distilleria, rimanga ubriaco a causa dei fumi dell'alcool. Si ha
forza maggiore quando, ad esempio, il soggetto sia legato e gli vengano somministrati
stupefacenti.
Se l'ubriachezza è tale da escludere totalmente la capacità di intendere e di volere
l'imputabilità è esclusa; se, al contrario, lo stato di ubriachezza limita tale capacità ma
non la esclude al soggetto è erogata una sanzione minore.
L'ubriachezza colposa, ovvero quella determinata da negligenza o imprudenza non
esclude né diminuisce l'imputabilità.
L'ubriachezza preordinata costituisce, al contrario, un'aggravante del reato, in
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 53/54
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
quanto lo stato di ubriachezza è provocato al fine di ottenere una scusa per la
commissione del reato. In quanto tale, la conseguenza è un aumento della pena.
L'ubriachezza abituale presuppone che il soggetto abbia la consuetudine di fare un
uso eccessivo di sostanze alcoliche e quindi si trovi frequentemente ubriaco.
Si fa luogo ad un aumento di pena e se il soggetto è ritenuto socialmente
pericoloso il giudice dispone il ricovero in una casa di cura.
Il contenuto della colpevolezza: dolo e colpa
Dolo.
Il concetto di dolo è definito dall'art. 43, comma 1, c.p., il quale recita: “Il delitto è
dolo, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato
dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è
dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.
Come tale il dolo risulta essere composto da due elementi:
·
un momento rappresentativo: occorre che l'agente abbia la visione anticipata di tutti
gli elementi significativi del fatto che costituisce reato;
·
un momento volitivo: occorre che la volontà dell'agente sia rivolta all'effettiva
realizzazione della condotta e dell'evento ad essa conseguente.
Oggetto del dolo è il fatto tipico costitutivo di reato. Pertanto rientrano nella
previsione e volontà:
·
l'azione od omissione, che deve essere preveduta e voluta;
·
gli elementi normativi del fatto: ovvero quegli elementi che debbono essere valutati
in base ad altre norme: così "l'altruità del bene" deve essere determinata sulla scorta
della norma civilistica che attribuisce la proprietà della cosa;
·
le cause di giustificazione: non è necessario che il soggetto sappia che non vi è
alcuna causa di giustificazione ma è sufficiente che egli non creda che vi sia una
causa di giustificazione;
·
gli elementi che qualificano la condotta: ad esempio le caratteristiche del soggetto
passivo (es. lo stato di gravidanza nel procurato aborto);
·
l'evento naturalistico, inteso come modificazione della realtà esterna, laddove
previsto ai fini della sussistenza del reato;
·
l'evento giuridico, inteso come lesione o messa in pericolo del bene protetto;
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 54/55
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
·
il nesso di causalità tra la condotta e l'evento: è sufficiente che il soggetto si
rappresenti il decorso causale nei suoi tratti essenziali, rilevanti per la configurabilità
del reato (ad es. se un soggetto colpisce una persona con un corpo contundente per
ucciderla e questa muore ma non per il colpo bensì perché l'urto la spinge al di là di
una balaustra che si affaccia su un baratro).
Le varie classificazioni del dolo
1)
La dottrina opera una prima classificazione distinguendo tra dolo diretto e dolo
indiretto. Il dolo diretto od intenzionale si configura quando l'evento è corrispondente a
quello voluto e rappresentato dall'agente.
Il dolo indiretto si configura quando il risultato conseguente alla condotta, anche se
rappresentato, non è stato dall'agente direttamente ed intenzionalmente voluto. L'unica
ipotesi di dolo indiretto è il dolo eventuale che ricorre quando l'agente prevede un
determinato evento come possibile conseguenza della propria condotta ed agisce
accettando il rischio del suo verificarsi. Esempio di scuola è fornito dal caso del soggetto
che incendi il proprio stabile per riscuotere l'assicurazione nonostante abbia previsto la
possibilità che qualcuno rimanga ferito;
2)
Una seconda ripartizione è posta tra dolo d'impeto e dolo di proposito. Il dolo
d'impeto si ha quando la condotta è la conseguenza di una decisione improvvisa, senza
che intercorra un lasso di tempo tra momento conoscitivo e momento volitivo. Al
contrario il dolo di proposito presuppone il trascorrere di un congruo lasso di tempo tra
il momento in cui sorge l'idea criminosa e il momento in cui essa è posta in essere;
3)
La dottrina distingue anche tra dolo di danno e dolo di pericolo. Tra le due
tipologie si distingue a seconda se la volontà del soggetto era diretta a ledere il bene
giuridico protetto o minacciarne l'integrità;
4)
Ulteriore distinzione si ha tra dolo generico e dolo specifico. Si ha il dolo generico
quando la legge richiede la semplice coscienza e volontà del fatto descritto nella norma
incriminatrice. Il dolo specifico si ha quando la legge richiede che la volontà sia
orientata ad un fine particolare oltre il fatto materiale tipico. Ad esempio nell'art. 624
c.p. il fine di trarre profitto dalla cosa sottratta è insito nel furto.
Colpa.
La definizione di colpa è fornita dall'art. 43 c.p. che così recita: "il delitto é colposo,
o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si
verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi,
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 55/56
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
regolamenti, ordini o discipline".
Al contrario di quanto accade nel dolo, pertanto, nella colpa manca la volontà
dell'evento. Nel reato colposo la condotta consiste nella violazione di regole di diligenza.
Tale regola è di natura empirica, ovvero dettata dall'esperienza (ad esempio dalla
pericolosità delle sostanze esplosive deriva la regola di diligenza di maneggiarle con
cura). Ne consegue che le regole di diligenza possono avere diverse fonti giuridiche in
quanto oltre ad essere dettate da norme giuridiche sono, nella maggior parte dei casi,
frutto di consuetudini. Per quel che concerne il contenuto dell'obbligo di diligenza, questo
può consistere:
-
nell'obbligo di informarsi: così il consulente di una banca deve accertarsi delle
condizioni di mercato prima di consigliare un prodotto finanziario al cliente;
-
nell'obbligo di agire con cautela: così chi guida un veicolo deve agire in modo
da tutelare l'incolumità dei passeggeri e degli altri automobilisti;
-
nell'obbligo di astenersi dall'agire: cosi l'automobilista se avverte stanchezza o
sonno deve astenersi dal guidare.
L'art. 43 distingue, inoltre, le forme di manifestazione della condotta colposa:
·
la negligenza consiste nella mancata adozione delle cautele imposte dalle regole
cautelari, è mancanza di attenzione o trascuratezza (tale è il caso del medico che
provochi la morte del paziente per non avere, prima di un intervento, provveduto a
sterilizzare i ferri);
·
l'imprudenza consiste nell'agire quando le regole cautelarti lo sconsigliano, è
avventatezza, insufficiente ponderazione ed implica una scarsa considerazione degli
interessi altrui (esempio è dato da colui che per impennare con il motorino investa
accidentalmente un passante);
·
l'imperizia si fonda sull'inosservanza delle norme tecniche imposte da una
determinata professione, arte o mestiere per ignoranza della loro esistenza,
inattitudine ad applicarle o semplice in applicazione concreta (ad esempio quando il
chirurgo comune tenta un'operazione d'avanguardia);
·
l'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o disciplina consta della violazione di
norme giuridiche od ordini di servizio contenenti prescrizioni di cautela (ipotesi è il
caso in cui non siano rispettate le norme antincendio nella realizzazione di una
struttura ospedaliera).
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 56/57
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
IL SISTEMA SANZIONATORIO
La Pena
Una volta che sia accertata la commissione di un reato da parte di un determinato
soggetto, al diritto penale non resta che individuare le conseguenze da riconnettervi. Il
riconoscimento in capo ad una persona di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole
(reato), comporta inevitabilmente una reazione da parte dello Stato volta a punire la
commissione dello stesso. A tale reazione consegue normalmente l'applicazione di una
sanzione chiamata pena, ma anche la possibilità dell'applicazione di sanzioni
alternative: le misure di sicurezza e le misure di prevenzione.
La pena è un castigo, una sofferenza che viene inflitta dall'autorità giudiziaria a
colui che viola un comando; l’afflittività è il vero carattere della pena, una pena non
afflittiva costituirebbe infatti una contraddizione in termini. Dal punto di vista
sostanziale la pena consiste in una privazione o diminuzione di un bene individuale, che
negli Stati moderni è costituito dalla vita (pena capitale), dalla libertà personale
(reclusione) e dal patrimonio (sanzione pecuniaria).
Può pertanto essere definita come una diminuzione della libertà personale o
patrimoniale comminata dalla legge e irrogata dall'Autorità giudiziaria (giudice)
mediante processo a colui che viola un comando della legge stessa.
Tale definizione può essere completata dall'individuazione dei suoi caratteri
essenziali:
1) personalità, essa colpisce soltanto l'autore del reato, l'articolo 27 della
Costituzione recita: "la responsabilità penale è personale".
2) legalità, la sua applicazione è rigorosamente disciplinata dalla legge, cioè è
inflitta solo nei casi e nei modi previsti dalla legge.
3) proporzione, essa deve essere proporzionata al reato commesso;
4) inderogabilità, la pena, una volta minacciata per un determinato fatto, è
sempre applicata all'autore della violazione.
Se mancassero questi caratteri verrebbe meno la stessa efficacia della pena (cioè
essa non servirebbe a svolgere la sua funzione): si pensi ad una sanzione non applicata
direttamente al responsabile del reato, e quindi non personale; oppure si pensi
all'applicazione di una pena inflitta da qualcuno che non sia lo Stato e senza quindi il
rispetto delle regole di legge (verrebbero meno una serie di garanzie che tutelano tutti i
cittadini). Si pensi anche all'ipotesi di una sanzione sproporzionata rispetto al fatto
commesso, (troppo bassa per un reato molto grave oppure altissima per un fatto
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 57/58
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
scarsamente lesivo). Infine una pena che, una volta minacciata non venisse applicata,
correrebbe il rischio di non “impaurire” più nessuno, con la conseguenza che la sua
funzione di deterrenza alla commissione dei reati verrebbe totalmente meno.
Si è parlato nella definizione di una diminuzione della libertà che viene applicata da
un Giudice mediante un processo; orbene, la presenza di un giudice e di una struttura
processuale (quindi regolata da leggi uguali per tutti) per l'applicazione di una pena
costituiscono elementi indefettibili, ineliminabili per la punizione di un reo. Il diritto
penale moderno non può prescindere da una serie di garanzie che tutelino la persona
umana all'atto dell'applicazione di una sanzione.
Oggi la funzione del Giudice è quella di essere soggetto terzo ed imparziale tra le parti,
che non si approccia al processo essendosi già formato l'idea di colpevolezza o meno del
soggetto di cui giudicherà l'operato.
Il meccanismo processuale allo stesso modo è strutturato in maniera da prevedere
una serie di norme che non permettano l'applicazione di una pena non giusta o peggio ad un
soggetto che non la merita.
Si può obiettare, giustamente a questo punto, che in un tale sistema la presenza di
tutte queste garanzie può essere la causa di tanti reati impuniti; ciò è sicuramente vero,
tuttavia dal momento che non è umanamente possibile avere la certezza di raggiungere
la verità assoluta circa la colpevolezza o meno di un soggetto, si ritiene più giusto scegliere il
male minore. Tra il punire un innocente in quanto lo si è lasciato sfornito di garanzie e
lasciare libero un delinquente perché quelle stesse garanzie lo hanno scagionato, il male
minore è certamente propendere per quest'ultima possibilità.
Le funzioni della pena
Da quanto si è fin ora detto si è accertato che avere una pena giusta,
proporzionata e certa costituisce una esigenza sentita da tutta la collettività. È importante a
questo punto chiedersi quali sono le finalità che una pena deve perseguire per essere sentita
come giusta, proporzionata e certa.
Quando si parla di funzioni della pena, si parla proprio delle finalità che essa persegue,
degli scopi che mira a realizzare, degli effetti che produce. Scegliere tra i diversi scopi
possibili da far perseguire alle pene costituisce un'operazione importante, in quanto è da
questi che discende il grado di accettazione che di esse i consociati avranno.
Infatti, una sanzione che non fosse sentita come giusta dalla collettività non avrebbe
senso; la pena deve essere accettata dai cittadini e deve essere vista come lo strumento
che mira ad evitare la commissione di fatti illeciti (reati).
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 58/59
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
In definitiva, la scelta è tra una pena che persegua uno scopo fine a se stesso, cioè
la punizione e basta, ed una pena che invece mira a punire non tanto perchè ciò è
giusto, ma quanto perché tale punizione abbia uno scopo ulteriore: la risocializzazione
del reo nella collettività.
Il fine primario che la sanzione penale (pena) deve raggiungere è dunque quello di
risocializzare, di reinserire nella società il soggetto che ha commesso un reato. È
necessario che la pena svolga quindi una funzione ri-educante, che riporti il reo (colui
che ha commesso il reato) nella società "ripulito" da quelle condizioni che lo hanno
portato a delinquere.
La pena poi non svolge solo la funzione di rieducare il reo a condotte di vita più
lecite, ma mira anche ad evitare che soggetti "puliti", cioè che non hanno mai commesso
reati, li commettano. In che modo svolge questa funzione? Con la sua stessa presenza:
il fatto di sapere che esiste un sanzione comminata per chi tiene una determinata
condotta, evita già che molti tengano quella condotta.
La pena quindi svolge anche la funzione di educare i consociati a tenere condotte
lecite e rispettose degli altri, quindi svolge anche una funzione di prevenzione dei reati.
La funzione retributiva e preventiva della pena
Le teorie che si sono contese il campo sull'individuazione delle finalità che la pena
deve perseguire sono sostanzialmente due: quella retributiva e quella preventiva.
La scelta tra una finalità di punizione fine a se stessa (punire e basta), e quella di
punizione per il raggiungimento di altro scopo (punire per risocializzare il reo), è anche la
scelta tra la funzione retributiva e quella preventiva della pena.
Retribuire significa compensare, con la pena si compensa appunto il male
realizzato attraverso la commissione del reato. Per le teorie legate alla retribuzione,
denominate anche del corrispettivo, la pena non è che una ricompensa: il reo ha violato
una legge e per questo merita un castigo, il corrispettivo della sua violazione è
l'applicazione della pena.
Per i sostenitori di questa tesi è un'esigenza propria della natura umana quella di
ricambiare il male fatto con altro male, così come il bene al contrario merita un premio
(altro bene). La caratteristica migliore che questa teoria riesce a realizzare è quella della
proporzione tra l'entità della sanzione e la gravità dell'offesa arrecata. Retributive sono
per esempio le ed. “pene choc” utilizzate in U.S.A., cioè le sanzioni esemplari che
servono a creare timore negli altri consociati ed a farli desistere dalla commissione dello
stesso reato. Queste pene, come si vede, non si interessano minimamente di
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 59/60
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
risocializzare il reo, ma di punirlo per il male fatto e contemporaneamente di rendere
pubbliche agli altri le conseguenze in cui incorrerebbero se commettessero lo stesso
reato.
L'idea opposta a quella di retribuzione fa riferimento alla prevenzione: il fatto che
sia prevista una pena nel caso si commetta un determinato reato, mira a prevenire che
lo stesso venga commesso. Infatti, una volta che i cittadini sanno dell'esistenza di una
sanzione ricollegata ad un determinato comportamento, si asterranno dal tenerlo.
La teoria preventiva si distingue in generale e speciale, a seconda che spieghi le
proprie finalità verso l'intera collettività o nei confronti di un singolo individuo.
Si parla infatti di funzione "generalpreventiva" della pena quando questa incide
psicologicamente sui consociati condizionandone gli atteggiamenti e facendoli dissuadere
da pensieri criminosi. Come si vede la presenza di una pena svolge la funzione di
prevenire la commissione dei reati, in quanto fa si che psicologicamente i cittadini,
conoscendola, si astengano dal commetterli. Pertanto
significa
collettività
condizionare
in
senso
con l'esistenza
favorevole
ad
funzione
“generalpreventiva”
stessa della pena l'atteggiamento della
un
comportamento
lecito.
La
funzione
"generalpreventiva" ha sicuramente il risvolto negativo costituito dal raggiungimento di
risultati di tipo intimidativo - deterrente, ma contemporaneamente svolge anche una
finalità positiva: orienta gli stessi verso condotte di vita più corrette (effetto
criminalpedagogico della pena).
Funzione "specialpreventiva" della pena significa sempre una funzione che mira a
prevenire la commissione dei reati, ma non da parte di tutti i cittadini, ma da parte dei
soli cittadini che hanno già commesso un reato. È una funzione di prevenzione dalla
commissione di nuovi reati da parte di soggetti che si sono già macchiati di atti illeciti
(reati).
Un soggetto che è già stato punito per esempio con la pena di 10 anni per il reato
di rapina, dovrà essere stato rieducato in quei 10 anni in modo tale da aver compreso i
suoi errori e da non ripeterli. Ha come aspetto negativo, sempre quello della
intimidazione, (della paura di agire liberamente) però individuale dell'autore, mentre
positivamente svolge una funzione di recupero sociale dello stesso, (in carcere ad
esempio gli si dovrebbe far capire la gravità dei suoi comportamenti). Quindi la funzione
di prevenzione generale incide su tutti i consociati: i cittadini conoscendo l'esistenza di
una pena, eviteranno di tenere quel comportamento a cui la stessa è legata; è in tal
senso che la pena svolge una funzione di prevenzione per il futuro.
La prevenzione speciale incide invece sul singolo soggetto autore di un reato, con
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 60/61
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
essa la pena mira a prevenire la possibilità che quello stesso soggetto incorra
nuovamente in una violazione penale. A questo punto una lettura
del
3° comma
dell'art. 27 della Costituzione può agevolmente indicarci qual è la teoria della pena più
rispondente ai valori del nostro ordinamento. "Le pene non possono consistere in
trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato".
Mentre la teoria retributiva implica una funzione di mera compensazione della pena
e non svolge alcuna finalità rieducativa, perché non si interessa di quelle finalità che
vanno al di la della sola punizione, le teorie preventive, tendendo ad orientare il singolo
o la collettività per il futuro, svolgono una funzione più coerente con la finalità di
rieducare il condannato e di risocializzarlo. Infatti, incidendo sul suo aspetto psicologico e
facendolo desistere dalla commissione di reati o di altri reati, lo educa o rieduca ad uno
stile di vita fatto di legalità.
La funzione di orientamento culturale della pena è quindi la più rispondente ai
moderni principi costituzionali.
Commisurazione ed estinzione delle pene
Normalmente né il codice né le altre leggi penali stabiliscono per ogni reato una
pena fissa, infatti sia per qualità (arresto, multa, ammenda, ergastolo, reclusione), che
per
quantità,
viene
riservato
un
certo
margine
di
discrezionalità
al
saggio
apprezzamento del giudice.
Le principali differenze delle misure in questione con le pene possono essere
individuate nel fatto che, mentre queste ultime sono fisse, le misure di sicurezza sono
indeterminate, dovendo per loro stessa natura cessare solo col venir meno dello stato di
pericolosità della persona. Ulteriore differenza sta nel fatto che le misure di sicurezza si
applicano anche a soggetti non imputabili (ad es. infermi di mente), purché ritenuti
socialmente pericolosi.
Perché possa essere applicata una misura di sicurezza è necessario che ricorrano
due condizioni: la commissione di un fatto previsto dalla legge come reato e la
pericolosità sociale del reo. Il Codice Penale individua tre categorie di delinquenti
socialmente pericolosi: il delinquente abituale, il delinquente professionale e il
delinquente per tendenza.
Per quanto riguarda la durata si è già accennato all'indeterminatezza delle misure
di sicurezza, ciò si spiega se si considera che la loro funzione è quella di controllare la
pericolosità sociale di un soggetto, pertanto solo quando questo abbia cessato di essere
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 61/62
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
pericoloso è possibile revocare le misure applicate.
Le misure di sicurezza si distinguono in personali e patrimoniali, le personali a
loro volta in detentive e non detentive.
Un accenno meritano poi le misure di prevenzione: si tratta di provvedimenti che
possono essere applicati a soggetti per i quali si ritenga, sulla base di elementi di fatto,
una loro abituale condotta di vita non irreprensibile. In particolare si applicano a coloro i
quali si ritenga vivano con proventi di attività delittuose, siano dediti a traffici illeciti e
mettano in pericolo l'integrità di minori o la sicurezza pubblica. In epoche recenti tali
misure sono state utilizzate come importante strumento di lotta contro la criminalità
organizzata, come ad esempio con la legge dedicata alle disposizioni contro la mafia, o
come strumento da applicare a soggetti politicamente pericolosi.
Questa scelta lasciata al giudice non è però una violazione del principio di
tassatività e determinatezza in quanto il fondamento dell'articolo 132 C.P., che prevede
tale potere discrezionale, va ricercato nell'impossibilità di predeterminare in astratto le
diversificate varietà di realizzazione del singolo episodio criminoso.
Inoltre la delega al giudice si rende necessaria anche per rispondere meglio alla
finalità, propria della prevenzione speciale, di individualizzare il più possibile la pena.
Secondo l'articolo 132 il giudice può orientarsi nella scelta della specie di pena da
applicare quando questa alternativa gli è consentita dalla legge (ad es. punire con la
reclusione o, alternativamente con la multa); può altresì orientarsi nella fissazione della
quantità della pena, che è normalmente già stabilita fra un limite minimo e un limite
massimo in ogni norma, (es. ... è punito con la reclusione da 3 a 10 anni). Nell'esercizio
di questo potere discrezionale, il giudice deve tener conto anche secondo l'articolo 133,
sia della gravità del reato, sia della capacità a delinquere del colpevole.
Una volta inflitta secondo i criteri descritti, la pena non è detto che venga
necessariamente espiata; il Codice Penale infatti ne contempla una serie di ipotesi
estintive. Alcune sono legate al decorso del tempo, la prescrizione della multa
interviene ad esempio dopo dieci anni, quelle dell'arresto e dell'ammenda dopo cinque
ecc, altre sono frutto di provvedimenti di clemenza, come l’indulto e la grazia. Altre
ancora conseguono alla constatazione di un'avvenuta risocializzazione, come ad esempio
la liberazione condizionale, infine la morte del reo è una causa di estinzione della
pena che risponde ad una logica fin troppo ovvia.
Misure di sicurezza e misure di prevenzione
L'introduzione delle misure di sicurezza ha assolto principalmente alla funzione
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 62/63
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
di integrare il sistema tradizionale delle pene nei casi in cui queste non sono applicabili o
dove, pure essendo applicabili, non sono reputate sufficienti per prevenire nuovi reati.
Le misure di sicurezza possono essere definite come provvedimenti intesi a
riadattare il delinquente alla vita libera sociale promovendone l'educazione e
mettendolo comunque in condizione di non nuocere. Costituiscono quindi mezzi di
prevenzione individuale della delinquenza, tendono cioè a difendere l'ordinamento
contro il pericolo che determinate persone possano commettere dei reati.
Il D. Lgs. N° 231/2001
Il primo passo verso la responsabilità penale delle persone giuridiche?
Dal 4 luglio 2001 è in vigore il D. Lgs. 8 giugno 2001 n. 231 in tema di
“responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni
anche prive di personalità giuridica”.
Si tratta di un intervento normativo che sancisce un cambiamento di rotta rispetto
al passato in tema di riconoscimento della responsabilità penale anche alle persone
giuridiche. È infatti il primo intervento del legislatore italiano che, sia pur in modo non
diretto, esclude la totale vigenza del brocardo "Societas delinquere et puniri non potest",
che ha costituito un “dogma” per lungo tempo indiscusso nel panorama penale italiano.
Com’è noto, il sistema italiano non era dotato di alcuna normativa che punisse
penalmente soggetti non "antropomorficamente" considerati; le disposizioni di cui agli
articoli 196 e 197 del Codice Penale confermano esattamente l'esclusione della
responsabilità penale delle persone giuridiche. In essi, si prevede una responsabilità per
l'ente solamente sussidiaria ed eventuale, quindi indiretta ed a carattere espressamente
civile. La disciplina contenuta in tali articoli, infatti, non lascia dubbi sulla esclusione
della responsabilità penale: le obbligazioni sussidiaria e solidale, contenute negli articoli
in oggetto, sono infatti espressamente civili.
L'opinione dominante perviene alla conclusione che, l'attribuzione all'ente di un
obbligo di garanzia non avrebbe senso se la persona giuridica potesse considerarsi
soggetto attivo del reato. Conferme di ciò sono, tanto la misura intrinsecamente civile
riconosciuta alla sanzione sussidiaria di cui all'art. 197, tanto l'inciso di cui all'art. 196 "e
delle quali non debba rispondere penalmente".
L'introduzione del Decreto in questione è stata accompagnata da un coro di voci
critiche, o quantomeno scettiche sulla compatibilità di una tale responsabilità con i
principi costituzionali o i dogmi penali; mentre altri l'hanno salutata come un atteso,
seppur tardivo, strumento di lotta per fronteggiare la sempre più dilagante criminalità
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 63/64
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
d'impresa. Si parla di intervento tardivo, in quanto molti paesi si erano già da tempo
dotati di strumenti legislativi simili, tant'è che l'introduzione in Italia di tale apparato
normativo è sicuramente imposto da inputs comunitari ed internazionali.
La discrasia tra denominazione e contenuto
Il legislatore nell'introdurre la responsabilità degli enti, l'ha qualificata come
“amministrativa”; fin qui non ci sarebbe nulla di strano se, l'approfondimento del
contenuto del Decreto Legislativo non dimostrasse che la stessa è in realtà una vera e
propria responsabilità penale.
Un primo importante argomento di discussione in dottrina, in merito al D. Lgs. N.
231/01, trae spunto proprio dallo scostamento tra la denominazione della responsabilità
in esso indicata e la sua reale natura. La qualifica di “amministrativa” della
responsabilità sarebbe giustificata, probabilmente, dalla volontà di allontanare ogni
sospetto di incostituzionalità del nuovo impianto normativo per violazione dell'art. 27
della Costituzione. Il primo comma dell'articolo 27 della stessa sancisce che la
responsabilità penale è personale, l'estendere , quindi, il coinvolgimento penale anche a
soggetti che “persone” non sono, (almeno da un punto di vista naturalistico e
tradizionale) significava prendere posizione nel dibattito circa il significato da attribuire al
termine “personale” nell’articolo 27 della Costituzione. Significava cioè aprire un
dibattito di carattere costituzionale, che avrebbe amplificato eccessivamente i termini del
problema.
Un'altra ragione per cui il Governo non ha riconosciuto ufficialmente come penale la
responsabilità creata nel Decreto in questione, probabilmente è costituita dalla precisa
volontà di evitare di introdurre un principio tanto innovativo, senza prima preparare il
terreno ad una sua graduale accettazione. La mancanza di
coraggio nell'introdurre
nettamente la responsabilità penale delle persone giuridiche, si giustifica proprio con la
necessità, molto saggia, di preparare gli operatori del diritto lentamente ad un
cambiamento tanto importante.
Analizziamo ora gli elementi che ci conducono a ritenere di carattere penale
l'essenza del Decreto: innanzitutto la tipologia di illeciti che vengono trattati è costituita
da reati, sono presenti inoltre molti caratteri tipici del diritto penale, ma soprattutto la
lettura del capo III del Decreto costituisce, per larghi tratti, una pedissequa
riproduzione del Codice di Procedura penale.
Il Giudice chiamato a decidere su questi illeciti è quello penale, l'iniziativa per
aprire il procedimento di accertamento degli illeciti è lasciata all'attività del Pubblico
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 64/65
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Ministero (come avviene nel diritto penale), gli enti ed i soggetti con essi incriminati
sono sottoposti a tutte le garanzie e le “regole” propri degli indagati e degli imputati, è
possibile infine sottoporre gli enti allo stesso processo penale a cui sono sottoposte
eventualmente le persone fisiche che hanno materialmente commesso il reato.
Appurato quindi che, l'etichetta del Decreto parla di responsabilità amministrativa,
mentre il contenuto dello stesso è spiccatamente penale è possibile affermare che il
legislatore abbia dato vita ad vero e proprio teriium genus, ad una categoria cioè
intermedia tra il diritto penale e quello amministrativo.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 65/66
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
La struttura del D. Lgs. N. 231/01
Nel dare esecuzione alla legge-delega, il Governo ha plasmato l'apparato
normativo su di una serie di principi che tenessero conto delle peculiarità di carattere
soggettivo che la materia su cui si legiferava presentava.
Cioè,
ha
tenuto
conto
delle
oggettive
difficoltà
riconosciute
storicamente
all'estensione di una responsabilità, (non civile e nemmeno propriamente amministrativa)
alle persone giuridiche. Ha quindi riconosciuto, sulla base di concetti come quello di
“interesse”
e
di
“vantaggio”,
una
responsabilità
all'ente
per
fatti
commessi
concretamente da persone fisiche, dando rilievo al particolare legame intercorrente tra la
persona giuridica e quella fisica.
Il Decreto Legislativo è stato strutturato percorrendo la seguente logica:
·
È
stato prima
individuato
il tipo
di responsabilità
disciplinato
nella
legge,
ufficialmente denominato come “responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi
dipendenti da reato”.
·
Sono poi stati precisati i soggetti a cui è riconosciuta tale responsabilità (art. 1), che
sono costituiti dagli enti forniti di responsabilità giuridica, dalle società e dalle
associazioni anche prive di personalità giuridica.
·
È stato poi precisato che questo tipo di responsabilità non è estesa allo Stato, agli
Enti Pubblici Territoriali, agli altri Enti Pubblici non economici e a quelli che svolgono
funzioni di rilievo costituzionale.
Nel Decreto in questione gli articoli 2 e 3 riprendono il contenuto degli articoli 1 e 2
del Codice Penale, che esprimono rispettivamente il principio di legalità e quello della
successione di leggi nel tempo.
Poi si passa all'individuazione dei soggetti persone fisiche che possono commettere
i reati previsti dallo stesso Decreto nell'interesse dell'ente.
Si individuano degli strumenti di cui l'ente può dotarsi per restare immune dalla
responsabilità di cui sopra, anche nel caso di commissione di reati da parte di soggetti ad
esso legati.
Gli articoli 9 e seguenti sono poi dedicati all'indicazione delle sanzioni previste nei
caso venisse accertata questa responsabilità, per i reati previsti dagli articoli 24 e 25 del
Decreto. Inoltre, la parte finale dello stesso individua le norme preposte alla fase di
accertamento e di applicazione delle sanzioni; cioè la fase in cui un Pubblico Ministero
stimolerà un procedimento, quello penale, per poi passare eventualmente ad innescare
un processo dinanzi ad un Giudice, quello penale, con tutte le caratteristiche proprie di
un processo penale.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 66/67
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Come si vede, la struttura del Decreto Legislativo n. 231/01 è molto chiara e
lineare nel sottoporre i soggetti indicati ad un regime di responsabilità, amministrativa
rectius penale, per la commissione di certi reati; in particolare è tutta la fase del
procedimento di accertamento ed applicazione delle sanzioni che non lascia dubbi sul
carattere prettamente penale di tale responsabilità.
Il cuore della disciplina contenuta nel D. Lgs. N. 231/01
Non v'è dubbio che la disciplina contenuta negli articoli 5, 6, 7, 8 e 9 del Decreto
231/01 costituisca il cuore, l'asse portante, l'aspetto centrale dello stesso. È in tali
articoli che si concentra la vera essenza del tipo di responsabilità “costruita” con tale
legge, che si individuano le persone fisiche che possono commettere il reato in virtù
delle particolari posizioni rivestite all'interno dell'ente ed è in tali articoli che si evidenzia
il legame tra esse e la persona giuridica.
Nell'articolo 5 rubricato “responsabilità dell'ente”, si risponde alla domanda pratica
del quando gli enti, così come individuati, possono considerarsi responsabili secondo la
nuova legge. Innanzitutto i reati indicati nello stesso Decreto devono essere commesso
nell'interesse o a vantaggio dell'ente; cioè, è necessario che le persone fisiche che lo
commettono, lo facciano facendo scaturire un concreto vantaggio per la persona
giuridica, o al massimo per essa e per loro stesse. È invece esclusa la responsabilità
dell'ente in tutti i casi in cui i reati di cui agli articoli 24 e 25 del Decreto siano
commessi dai soggetti indicati nell'articolo 5, nell'esclusivo loro vantaggio o al massimo
a favore di terzi.
Quali sono i soggetti persone fisiche che possono commettere i reati? L'articolo 5
individua due categorie di soggetti che, in virtù delle qualifiche assunte all'interno
dell'ente, possono agevolmente commettere i reati previsti. Si individuano da un lato, i
soggetti posti in “posizione apicale”, e cioè:
a) chi esercita funzioni di rappresentanza dell'ente;
b) chi esercita funzioni di amministrazione o di direzione dell'ente;
c) chi esercita le suddette funzioni presso una unità organizzativa dell'ente dotata di
autonomia, per es. il direttore di uno stabilimento;
d) chi esercita la gestione e il controllo dell'ente anche di fatto, per es. l'amministratore
di fatto.
Si tratta come si vede, di soggetti che assumono funzioni chiave all'interno
dell'organigramma della persona giuridica e che per questo possono più agevolmente
commettere il reato.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 67/68
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Si individua poi un'altra categoria di soggetti che pure possono, nel caso in cui
tenessero delle condotte criminose, far scaturire la responsabilità dell'ente:
si tratta dei soggetti posti in posizione non apicale, di chi si trovi cioè, sottoposto
alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti appartenenti al primo gruppo.
Ricapitolando, la responsabilità dell'ente sorge se uno dei reati previsti negli artt.
24 e 25 del Decreto viene commesso da uno dei soggetti appartenenti alle due
categorie sopra indicate, nell'esclusivo interesse o vantaggio dell'ente, (o al massimo
nell'interesse o vantaggio dell'ente e della persona fisica che lo ha commesso).
Negli articoli successivi del Decreto Legislativo si predispone quello che da più parti
è stato definito come un vero e proprio “scudo protettivo” per l'ente.
Anche nel caso in cui ricorressero tutti i presupposti di cui sopra, l'ente potrebbe
ritenersi esentato da responsabilità se solo provasse che ha predisposto alcuni
meccanismi individuati nell'articolo 6 della legge.
L'ente non sarà considerato responsabile per i reati commessi dai soggetti posti in
posizione apicale se:
1. dimostrerà di possedere una particolare tipologia di “modello di organizzazione e di
gestione”; si tratta della adozione ed attuazione efficace di una serie di misure volte
a prevenire i reati della specie di quello verificatosi;
2. avrà affidato ad un organismo dotato di autonomi poteri il compito di vigilare
sull'osservanza e sul corretto funzionamento del modello;
3. prova che le persone che hanno commesso il reato, lo hanno fatto eludendo
fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
4. non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui al punto
due.
Se il reato è invece commesso da soggetti posti in posizione non apicale. l'ente
sarebbe ritenuto responsabile nel solo caso in cui si provasse che la commissione dello
stesso è resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione e di vigilanza (art. 6).
Tutto ciò a meno che, (ed ecco lo scudo protettivo anche per i reati commessi dai
sottoposti) l'ente ha adottato prima della commissione del reato un modello di
organizzazione, di gestione e di controllo atto a prevenire i reati della specie di quello
verificatosi. Come si vede, l'adozione di tali strumenti da parte della persona giuridica
costituisce un valido espediente per escluderne la responsabilità.
Tuttavia, se da un lato si restringe la sfera di punibilità dell'ente, dall'altro la si
amplia con il principio espresso nell'articolo 8 del Decreto.
Si tratta del principio che esprime autonomia della responsabilità dell'ente; ma
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 68/69
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
autonomia rispetto a cosa? Rispetto al fatto commesso materialmente da quelle persone
fisiche che agiscono per l'ente e che abbiamo individuato in quei due gruppi
precedentemente. L'articolo 8 infatti dispone che la responsabilità della persona
giuridica sussiste anche quando l'autore materiale del reato non è identificato o non è
imputabile. Nasce così una responsabilità dell'ente autonoma, indipendente e scissa da
quella della persona fisica che ha agito.
Una così autonoma responsabilità della persona giuridica non era conosciuta dal
nostro sistema: l'articolo 197 del Codice Penale ad. es. al massimo si ferma a prevedere
una responsabilità dell'ente sussidiaria, ed in quanto tale comunque dipendente da quella
della persona fisica agente.
Infine, la sanzione pecuniaria, le sanzioni interdittive, la confisca e la pubblicazione
della sentenza sono le quattro categorie di sanzioni previste dall'articolo 9 del Decreto
Legislativo da applicare nel caso in cui venisse accertata la commissione dei reati di cui
agli articoli 24 e 25 del Decreto stesso.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 69/70
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Il problema della responsabilità penale delle persone giuridiche
La criminalità d'impresa
Uno dei maggiori fenomeni rilevati dalla criminologia moderna è costituito dalla
crescita costante della criminalità d'impresa.
Il
XX
secolo
è
infatti
stato
caratterizzato,
sul
piano
economico,
dalla
“spersonalizzazione” delle attività: si è passati da una società in cui tutti i rapporti
erano intrattenuti da persone fisiche, da esseri umani che interagivano tra di loro, ad
una in cui ogni tipo di relazione è realizzata tra persone giuridiche.
Oggi ad. es., l'imprenditore che svolge un'attività commerciale la detiene sotto
forma di società, cioè agisce concretamente per il tramite di una persona giuridica. Ma
anche tutti i rapporti che tale imprenditore intrattiene sono tenuti con persone
giuridiche: i fornitori, le compagnie di assicurazione, i soggetti dei quali si servirà per la
spedizione dei propri prodotti, ecc. Insomma, è oggi molto più diffusa nella pratica
economica e degli affari più in generale, una vita di relazione tra persone giuridiche
piuttosto che tra soggetti persone fisiche.
Se quindi tutti i rapporti sono intrattenuti da persone giuridiche, allora non è
difficile comprendere come anche gli “aspetti patologici” derivanti dalle relazioni tra
soggetti scaturiscano oggi in gran parte dall'attività delle persone giuridiche. È chiaro
che quando si parla di “aspetti patologici” ci si riferisce alla commissione di attività
illecite, che quando sono attività illecite penali, diventano reati.
Vi sono molte ragioni per ritenere che la commissione di reati da parte di persone
giuridiche sia favorita o addirittura facilitata dalla loro stessa natura. Si pensi ad
esempio a quanto sostenuto
dalle “teorie sul gruppo”, secondo cui molte persone
(esseri umani), all'intero di una persona giuridica sono portate più facilmente a
delinquere. La consapevolezza di essere “coperte” dall'insieme di altri soggetti che,
all'interno della persona giuridica contribuiscono a commettere il fatto, ha la
conseguenza di tranquillizzarle al punto di disinibirle e di portarle a compiere atti che
altrimenti, da sole, non avrebbero mai avuto il coraggio di compiere. È un dato di fatto
che il "gruppo" stimoli le pulsioni criminogene più recondite di ognuno di noi,
soprattutto per la presenza di un'altra componente fondamentale costituita dalla
segretezza; il fatto di poter rimanere celati dietro la struttura dell'ente è altro elemento
di tranquillità per il potenziale delinquente. La segretezza dei proprio operato illecito poi,
costituisce elemento per sottrarsi al giudizio di riprovevolezza della collettività.
Viene fatto notare infatti come il crimine di strada, quello comune, essendo
particolarmente visibile al cittadino in quanto accade sotto i suoi occhi, subisce un
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 70/71
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
immediato e generalizzato giudizio di disapprovazione; ciò non accade invece per il
corporate crime, che è spesso invisibile, perché celato dalla struttura dell'ente e spesso
non permette nemmeno agli sfortunati destinatari di accorgersene.
Altro carattere delle persone giuridiche che ne favorisce la commissione dei reati è
costituito dall'impegno per il raggiungimento dello scopo da realizzare. Com'è noto, lo
scopo per le imprese è essenzialmente quello di massimizzare i profitti, a meno che non
si tratti di enti filantropici: orbene, risulta agevole comprendere come per il
raggiungimento di tali fini si possa perdere di vista le legalità in maniera più o meno
intensa.
La spersonalizzazione delle imprese e la fredda razionalità con cui le si gestisce,
comporta un indebolimento della componente etica nell'attività societaria.
Analizzati
questi caratteri della persona giuridica, si comprende come sia facile
per essa essere naturalmente proiettata alla commissione di attività criminose. L'analisi
di
questi
aspetti
riguarda
essenzialmente
società
nate
“sane”,
per
vivere
essenzialmente nella legalità, che poi per ragioni varie finiscono per commettere anche
attività illecite.
Ma il problema della criminalità d'impresa si accentua in tutta la sua drammaticità
se si considera che ci sono delle persone giuridiche che nascono con la finalità precipua di
vivere nell'illegalità. Se non esiste un sistema normativo che punisce la criminalità
d'impresa con efficacia, allora è facile immaginare l'esistenza di entità nate proprio al
fine di commettere reati e di rimanere per questo impunite.
È
legittimo immaginare la presenza di tante
società che dietro il paravento di
un'attività imprenditoriale lecita, perseguono in realtà finalità delittuose. Probabilmente
questi motivi bastano per prendere coscienza del fenomeno della criminalità da parte
delle persone giuridiche e per auspicare degli interventi normativi che la fronteggino.
Se però volessimo avere un quadro ancora più chiaro della gravità di tale tipo di
criminalità, potremmo passare ad individuare la moltitudine di categorie di soggetti
potenzialmente destinatari della criminalità d'impresa.
Innanzitutto gli stessi azionisti di minoranza, i quali potrebbero rimanere estranei
alle decisioni aziendali, o peggio essere addirittura ignari delle finalità perseguite illecite
perseguite dalla società. Anche tutti i soggetti terzi che vengono a contatto con la società
possono essere possibili destinatari dei reati da questa commessi. Per non dimenticarci
inoltre dei consumatori, i quali spesso non percepiscono neanche di essere stati soggetti
destinatari del reato.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 71/72
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Gli ostacoli dogmatici al riconoscimento della responsabilità penale delle
persone giuridiche
Analizzate le ragioni attraverso le quali si comprende la pericolosità che
dall'attività delle persone giuridiche può derivare, non resta che chiedersi quali siano gli
strumenti da adottare al fine di fronteggiare il fenomeno dei reati d'impresa.
Questa risposta non può essere data se non partendo dal presupposto che nel
nostro ordinamento non è riconosciuta ufficialmente la responsabilità penale delle
persone giuridiche.
Il sistema italiano, come anche tutti quelli di derivazione romanistica, hanno
sempre perseguito il principio contenuto nel brocardo latino "societas delinquere non
potest". Un' analisi dei principi su cui si regge tutto l'apparato penale, ci dimostra che lo
stesso è costruito e pensato per ricercare e punire responsabilità esclusivamente in
capo a soggetti esseri umani, a sole persone fisiche.
Il diritto penale è tradizionalmente un diritto antropocentrico!
Pertanto,
le
ragioni
che
hanno
storicamente
escluso
qualsiasi
forma
di
coinvolgimento penale per soggetti non antropomorficamente considerati, vanno
ricercate essenzialmente proprio nei principi fondanti il diritto penale.
È in tema di tipicità, di colpevolezza e di teoria della pena che riscontriamo degli
ostacoli, per molti insormontabili, al riconoscimento della responsabilità penale delle
persone giuridiche. In particolare, nell'analizzare i caratteri della tipicità ci si imbatte
immediatamente in un primo, evidente ostacolo: quello dell'impossibilità di azione da
parte delle persone giuridiche.
Se quando studiamo la tipicità diciamo che il reato è una condotta (commissiva o
omissiva), diciamo cioè che per commetterlo è necessaria un’azione, allora quale
azione è possibile riconoscere ad una organizzazione?
Risulta lampante un primo ostacolo riconosciuto alle persone giuridiche; esse
infatti, per la loro stessa natura, non possono muoversi, non possono camminare, non
possono agire. Perché ci sia possibilità di azione è necessario che vi siano persone
fisiche, esseri umani che si muovano, camminino, agiscano. Il concetto stesso di azione
è altro concetto antropomorficamente considerato, concetto che può essere compreso
appieno, in tutto il suo significato solo se riferito ad esseri umani.
Sempre in tema di tipicità, altro problema fondamentale che appare subito evidente
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 72/73
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
è costituito dalla necessità di rintracciare un elemento soggettivo. Nel definire il reato
diciamo che esso è un'azione od un'omissione, ma poi continuiamo chiarendo che tale
condotta (azione o omissione) deve essere commessa con coscienza e volontà. In
questo modo ammettiamo che la condotta tenuta deve essere connotata anche da un
aspetto per così dire “psicologico”; non basta per ritenere una condotta un fatto tipico,
che la stessa sia accertata solo da un punto di vista materiale, è invece necessario che
si verifichi la commissione della stessa anche con coscienza e volontà e che il fatto sia
commesso con uno dei tre aspetti psicologici previsti dall'articolo 42 del Codice Penale:
dolo, colpa o preterintenzione.
In questo modo ci siamo spostati alla categoria della colpevolezza, dove il dolo, la
colpa e la preterintenzione accertati in tema di tipicità, vengono ora approfonditi. Il
discorso sull'elemento psicologico, valutato in tema di tipicità o approfondito meglio
sotto il profilo della colpevolezza, costituisce, come detto, ostacolo al riconoscimento
della responsabilità penale delle persone giuridiche.
Le obiezioni sono le medesime rilevate per l'impossibilità di azione: anche tutti i
concetti riconducibili all'aspetto psicologico sono comprensibili appieno soltanto se
riferiti a perone esseri umani. Non è infatti pensabile concepire in capo ad un entità non
umana un pensiero, una volontà, una coscienza, un atteggiamento interiore di adesione
o meno ad un comportamento.
Altro ostacolo è poi costituito dall'articolo 27 della Carta Costituzionale, che nel
primo comma enuncia: “La responsabilità penale è personale”. Anche questo principio,
come quello della colpevolezza osta al riconoscimento della responsabilità penale degli
enti: esso, dichiarando che la responsabilità è personale sembra aver escluso che la
stessa possa essere ampliata anche a quelle che persone, in senso naturalistico non
sono. E nel caso in cui volessimo ammettere che la Costituzione abbia voluto intendere
quel “personale” in senso lato, per farvici entrare anche le persone giuridiche, allora
sorgerebbero altri problemi.
Si pensi ad un reato commesso da parte di una società di grandi dimensioni: le
decisioni che hanno condotto alla commissione del reato sono senz'altro riconducibili
agli organi dirigenti, ma dell'eventuale pena comminata alla società rispondono anche i
soci ed i dipendenti che non hanno preso alcuna decisione. In questo caso a pagare le
conseguenze di un'attività svolta dai soli dirigenti sarebbero anche altri soggetti; è
questo un palese caso di responsabilità per fatto altrui, che come tale contrasta con il
principio della personalità della responsabilità penale.
Come detto, anche in tema di teoria della pena è possibile rinvenire delle
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 73/74
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
argomentazioni volte ad escludere la responsabilità penale degli enti.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 74/75
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
La responsabilità penale delle persone giuridiche nel mondo
Come abbiamo visto, risolvere il problema della responsabilità penale della
persone giuridiche non è impresa agevole dal momento che esistono due contrapposte
esigenze: dare risposte immediate ed efficaci alla tutela sociale scaturente dai
“corporate crimes”, e tutelare le ragioni del diritto penale tradizionale.
Il sistema italiano è senza dubbio uno di quelli che, fino ad ora meno degli altri è
riuscito a fornire risposte soddisfacenti alla lotta contro i crimini d'impresa. Le ragioni di
questo ritardo sono senza dubbio addebitabili all'incapacità del nostro paese di
sganciarsi dagli ostacoli che tradizionalmente hanno escluso il riconoscimento di tale
tipo di responsabilità, cioè i valori ed i dogmi su cui si è fondato il diritto penale
tradizionale.
Come già detto, estendere l'imputazione di un reato anche agli enti significa
sconfessare duecento anni di diritto penale moderno; e siccome proprio nel nostro
paese si è concentrata la maggior produzione dottrinale di diritto penale, è qui che si
giustificano le maggiori perplessità in merito. Il riconoscimento di una tale responsabilità
significa rivedere moltissimi di quelli che sono stati considerati cardini indiscussi del
diritto penale.
Così non è stato in paesi dove la tradizione dottrinale in questa materia è assai più
scarsa o comunque meno autorevole. È in questi paesi che è stato più semplice e meno
problematico mettere da parte gli ostacoli di ordine dogmatico (intesi come le certezze
che gli studiosi del diritto penale non hanno mai osato mettere in discussione),
e
passare al riconoscimento della responsabilità degli enti nelle varie diverse forme.
Una rapida illustrazione dell'iter che ha condotto molti paesi a riconoscere forme più
o meno ampie di responsabilità per gli enti è utile al fine di comprendere le differenze
con l'Italia, o eventualmente i punti di contatto che permettano un approfondimento sul
problema. In tutti questi paesi i maggiori sforzi si sono concentrati sullo studio di forme
di imputazione soggettiva alternative rispetto a quelle antropomorficamente considerate.
Si vedrà come nei sistemi Britannico e Statunitense la responsabilità degli enti è
ormai un dato di fatto consolidato da anni, mentre in Europa, tranne sporadiche
eccezioni, il dibattito ha condotto soltanto nell'ultimo decennio a riconoscere forme di
responsabilità penale delle persone giuridiche.
Si noterà inoltre come, più disinvolta è stata l'estensione della responsabilità
penale nel sistema Angloamericano, mentre meno netta si è rivelata la svolta che del
fenomeno si è avuta in Europa.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 75/76
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Il sistema Angloamericano
I primi ordinamenti a riconoscere forme di responsabilità penale delle persone
giuridiche, sono stati senza dubbio quello U.S.A. e quello Britannico.
Già intorno alla metà del XIX secolo il problema dei crimini commessi da
associazioni iniziò a manifestarsi in quelli che fin da allora costituivano le più importanti
realtà economiche del mondo. E non è un caso che ciò sia avvenuto in ordinamenti di
“common law”, dove fornire risposte a “nuove” esigenze è naturalmente più agile.
I sistemi di common law sono quelli in cui il diritto è prevalentemente di
produzione giurisprudenziale (fatto dai giudici nelle sentenze), per cui non essendo
scritto in tantissime norme, riesce ad adeguarsi più agevolmente e velocemente alle
nuove esigenze (bastano alcune sentenze per far cambiare l'orientamento).
Non c'è dubbio che il riconoscimento di tale forma di responsabilità sia però
avvenuto in modo graduale: negli Stati Uniti ad esempio, si è passati da una fase iniziale
in cui la responsabilità penale delle società era circoscritta alle sole ipotesi omissive e
legate a tipologie di reato di poco conto, fino ad arrivare a forme di coinvolgimento
pieno intorno ai primi anni del secolo scorso.
In particolare con la sentenza “New York Central & Hudson River” del 1909, la corte
motivava per il riconoscimento della responsabilità penale delle persone giuridiche, senza
più remore di sorta: “se quell'invisibile ed impalpabile entità che noi definiamo come
persona giuridica può spianare le montagne, colmare gli avallamenti, costruire ferrovie e
farvi correre sopra le locomotive, significa che ha la volontà di porre in essere queste
azioni, e che può perciò comportarsi sia malvagiamente che virtuosamente”.
Come si evince dalla motivazione estrapolata da questa sentenza, anche l'aspetto
psicologico (ostacolo maggiore al riconoscimento della responsabilità penale degli enti),
viene riconosciuto possibile all'azione delle società.
Ma in che modo si è riusciti ad eludere e quindi a superare tale ostacolo?
certamente attraverso la ricerca di modelli di responsabilità psicologica "alternativi"
rispetto a quelli utilizzati per riconoscere la responsabilità degli esseri umani.
O si è fatto coincidere l'aspetto psicologico delle persone umane che operano dietro
la società con quello della società stessa, oppure si sono inventati modelli di imputazione
soggettiva ad hoc per le entità non umane. In questa seconda ipotesi, la dottrina è stata
costretta ad "inventarsi" delle forme di imputazione soggettiva "alternative" rispetto a
quelle che vengono utilizzate per valutare l'intenzione (aspetto psicologico) di delinquere
delle persone umane.
Due sono le teorie seguite al fine di rendere coerente la responsabilità penale delle
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 76/77
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
organizzazioni, con l'impossibilità di concepire in capo a loro un atteggiamento
psicologico: si tratta della “vicarious liability”, e della “identification theory”.
La prima, nata nel Medioevo per disciplinare i rapporti tra gli schiavi ed i loro
padroni, riconosce la responsabilità della persona giuridica per ogni atto illecito
commesso dalle persone umane che fanno parte di essa; così come ogni atto commesso
dagli schiavi era addebitato al padrone. L'amministratore di una società ad esempio,
commette un reato a vantaggio della stessa; a questo punto quando bisognerà accertare
il reato ed in particolare l'aspetto psicologico dello stesso, non si valuterà l'intenzione
della società, che non c'è, ma quella dell'amministratore e la si userà come intenzione
dell'ente. A questo punto si sarà ottenuta (costruita mediante una finzione) una
volontà, un aspetto psicologico dell'ente al quale potrà essere finalmente imputato un
fatto.
Per la seconda teoria, detta anche “dell'alter ego”, ogni comportamento svolto
dai suoi organi dirigenti è considerato realizzato dall'organizzazione. Gli uomini di punta
posti all'interno della società, in posizione chiave cioè, si identificano con la stessa
volontà della società; tale modello è riconducibile al principio fondativo della teoria
organicistica. Si considera pertanto, volontà dell'ente quella espressa dai suoi organi più
importanti. È con l'espediente della identificazione della volontà delle persone umane
con quella dell'ente, che si riconosce a quest'ultima una “volontà” e si può ritenerla
responsabile penalmente. Come si è visto, l'esigenza di combattere i crimini d'impresa
ha aguzzato l'ingegno ed ha condotto all'invenzione di volontà per le entità non umane,
che altrimenti autonomamente non sarebbero esistite.
I limiti delle due teorie sono esattamente opposti: nella prima si rischia di estendere
eccessivamente la responsabilità della persona giuridica, coinvolgendola per ogni fatto
illecito commesso da qualsiasi degli esseri umani che hanno un rapporto con essa; nella
seconda al contrario si rischia di circoscrivere eccessivamente le possibilità di considerare
l'ente penalmente responsabile.
Gli ordinamenti di civil law europei
Non tutti gli ordinamenti hanno affrontato il problema della responsabilità penale
delle persone giuridiche con celerità, e pure quelli che in Europa lo hanno fatto non
sono giunti necessariamente agli stessi risultati di quelli esaminati nei paesi di common
law. Gli Stati europei che hanno trattato del fenomeno e che ne hanno risolto le
problematiche sono principalmente i Paesi Bassi, la Spagna e la Francia. La nostra
attenzione si rivolge principalmente a questi ultimi due, dal momento che si tratta di
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 77/78
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
paesi molto vicini al nostro e per di più con una tradizione penale per larghi tratti simile a
quella italiana.
Sia in Francia che in Spagna sì è riconosciuta la responsabilità penale delle
persone giuridiche, anche se in misura meno netta rispetto al modello Anglosassone.
La minore intensità con la quale si è dato ingresso a tale principio è forse dovuta al
fatto che la tradizione dogmatica penale risulta essere, in tali paesi, particolarmente
importante, per cui “rivedere” e “ridiscutere” alcuni principi del diritto penale
tradizionale non è stata operazione semplice da realizzare.
Come si vede i presupposti sono esattamente gli stessi che oggi riscontriamo in
Italia, e quindi, obiettano i riformatori, se in paesi con caratteristiche simili alle nostre si
è comunque raggiunto l'obiettivo del coinvolgimento penale degli enti, allora ciò può
essere realizzato anche da noi.
In particolare nel 1995 l'articolo
131 del Codice Spagnolo, ha più o meno
espressamente, riconosciuto la possibilità che “entità” non umane possano rendersi
responsabili di illeciti penali. Nell'articolo 129 poi, sono state individuate una serie di
“conseguenze accessorie”, di misure cioè alternative alle pene in senso stretto, che
hanno lo scopo di evitare la prosecuzione dell'attività illecita dell'ente e di frenarne gli
effetti. Rispetto all'Italia, il sistema spagnolo ha dimostrato da un lato maggiore
temerarietà riconoscendo la responsabilità delle persone giuridiche ed introducendola
addirittura nel codice, ma dall'altro è evidente il travaglio con cui ciò è avvenuto.
La responsabilità penale delle persone giuridiche non è riconosciuta in maniera così
netta e così evidente, quasi come se non la si volesse riconoscere come un principio
forte e radicato dell'ordinamento. La spiegazione è fin troppo ovvia e come detto va
ricercata nella necessità di evitare che i principi tradizionali del diritto penale spagnolo
vengano bistrattati troppo. Un riconoscimento quindi avvenuto, ma con cautela, senza
enfasi ed ancora intriso di elementi contraddittori.
Anche in Francia il riconoscimento della responsabilità penale delle organizzazioni è
risultato più blando di quello Statunitense e di quello Britannico, ma certamente molto
più deciso di quello Spagnolo.
L'articolo 121 del “nuovo” Codice Penale Francese, ha introdotto la responsabilità
penale delle persone giuridiche, ad eccezione dello Stato, “per gli illeciti commessi per
loro conto dai loro organi. e rappresentanti”.
Si osserva però che la responsabilità non è ammessa in modo sistematico ed
incondizionato. È infatti necessario, perché l'ente possa essere ritenuto responsabile,
che le singole norme prevedano espressamente questa possibilità, che pertanto non è
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 78/79
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
applicabile ad ogni tipo di reato. È necessario, cioè, che ogni singola norma prevedente
un reato, dichiari espressamente l'intenzione che quell'illecito possa essere commesso
anche dalle persone giuridiche.
Da ciò molti traggono il carattere di assoluta eccezionalità di tale responsabilità; si
osserva infatti che un coinvolgimento penale del genere risulta poco deciso in quanto
finisce per restare circoscritto a poche, appunto specifiche, ipotesi.
La scelta operata dal Codice Francese sarebbe dovuta per alcuni, alla necessità di
limitare un potere altrimenti toppo ampio dei giudici, i quali potrebbero arrivare con le
loro sentenze, a condizionare troppo l'attività della vita economica delle imprese.
Secondo altri invece le restrizioni evincibili dalla norma si spiegherebbero con la
necessità di volersi attenere alle ipotesi maggiormente verosimili, a quelle cioè che nella
pratica possono più facilmente verificarsi come fatti illeciti commessi da enti.
Interessante è poi esaminare il modo con cui è stato affrontato il problema
dell'elemento psicologico, risolto in maniera singolare: i Tribunali Francesi non si
interrogano sulla presenza di dolo o colpa nell'ente, ma accertano semplicemente la
commissione di un reato da parte di una persona fisica, per poi passare in una fase
successiva ad individuare l'eventuale nesso causale con la persona giuridica.
Una volta che hanno accertato la commissione di un dato reato da parte di una
persona fisica, continuano l'accertamento per verificare se questo reato è stato
commesso al fine di consentire un qualche vantaggio per una persona giuridica. Se
quest'indagine prova l'esistenza di un effettivo vantaggio tratto dalla persona giuridica,
allora si indaga oltre, cioè si verifica il rapporto esistente tra questa e la persona fisica
che ha commesso il reato; se si riscontra un certo tipo di rapporto tra le due, se cioè si
accerta che la persona fisica rea è il braccio della persona giuridica, allora si può
riconoscere la responsabilità penale di quest'ultima. Come si vede, l'imputazione delle
persone giuridiche è quindi autonoma e cronologicamente posteriore a quella del
soggetto materiale del reato, per questo si parla di responsabilità susseguente o di
rimbalzo.
Un accenno va fatto a proposito del sistema olandese, il quale ha rappresentato il
primo esempio di riconoscimento della responsabilità penale delle persone giuridiche in
Europa dopo la Gran Bretagna. Si è trattato di un riconoscimento netto, deciso, ampio e
senza troppi tentennamenti.
Già dal 1976 il codice penale olandese infatti recita: “i reati sono realizzabili da
individui o da enti”. Si tratta di una locuzione che lascia trasparire una netta presa di
posizione in favore della responsabilità degli enti. Tale responsabilità viene riconosciuta
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 79/80
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
in modo pieno in quanto la norma equipara, in maniera assoluta, le persone fisiche alle
persone giuridiche. Tuttavia, il favore mostrato verso tale intraprendenza fa da
contrappeso alla constatazione di una scarsa attenzione mostrata verso i problemi
dogmatici, forse troppo frettolosamente elusi.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 80/81
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
CORPORATE GOVERNANCE e diritto penale
Il nostro diritto penale è sganciato da problemi di efficienza, la sua funzionalità si lega
esclusivamente al rispetto o meno di indicatori-principi costituzionali, si misura solo se nelle
leggi si rispettano i principi costituzionali, e non se esista un problema di rendimento, se cioè
la norma funziona o non funziona.
Proprio la corporate governance, che nella sua vaghezza studia problemi di
controllo efficiente, sembra abbastanza lontana dai meccanismi del diritto penale
societario, forse più in generale dal diritto societario. Il governo efficiente suppone
controlli efficaci sui manager e sugli investitori a parità di condizioni, suppone l'esame di
costi di agenzia, d'incroci azionari, di sindacati di blocco un po' distanti dal modello
societario italiano, dove gl'investitori continuano ad essere quantitativamente ridotti, con
una prevalenza di pochi potenti sui tanti, i veri proprietari, in genere inscindibilmente
legati all'amministrazione. Non siamo vicini ad un sistema con un mercato forte, capace
di selezionare efficientemente le azioni societarie "valide", o ad una capacità di
risolvere i conflitti interni con una forte autonomia statutaria con autorità giudiziarie
chiamate ad applicare regole chiare frutto della volontà del mercato. Non siamo nei paesi
del common law. Ma alcune esigenze di controllo e di migliore separazione delle funzioni
sono emerse anche nel nostro paese: gestione dell'impresa e monitoraggio dovrebbero
essere funzioni distinte svolte da organi autonomi, l'informazione ai soggetti investitori
dovrebbe essere costante ed adeguata in un quadro di più generale trasparenza
dell'informazione societaria, la tutela dei piccoli azionisti prioritaria. Se queste esigenze
sono più vincolate ad un miglior controllo che ad un controllo efficiente , il risvolto penale
è evidente. Tutelare gli stakeholders, investitori o soggetti agenti in generale con la
società, bilanciare gli interessi della proprietà e degli amministratori, ridurre i costi di
agenzia legati ai comportamenti opportunistici può diventare questione di diritto penale
quando i comportamenti da annullare sono contrari, perciò devianti, dalle regole della
buona amministrazione e dei corretti assetti proprietari. Peraltro il mito della corporate
governance quello britannico, ha preso il via proprio a ridosso di alcuni giganteschi
scandali che hanno scosso la comunità degli affari inglese, è il caso Enron a spingere a
nuove regole che rendono certi i meccanismi di sorveglianza. Esiste un area comune tra
gli strumenti assegnati alla repressione penale e le ambizioni di tutela o di chiarezza a cui
dovrebbe mirare la corporate governance: la trasparenza delle operazioni è da sempre
un bene giuridico oggetto di protezione penale , la malamministrazione e la conseguente
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 81/82
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
tutela della proprietà altrettanto, la chiarezza sul mercato dei titoli allo stesso modo. Se i
beni sono comuni, però, le forme di protezione lontane: il diritto penale reprime o impera
tassativamente, la corporate governance in genere attribuisce facoltà ai soggetti.
Raffrontare le due prospettive anticipa inoltre un ulteriore problema: quale è la misura
ragionevole dell'intervento
penale
non
solo
inteso
come
strumento
che possa
efficientemente avvalorare le istanze della Corporate Governance ma anche come
strumento che contribuisca all'edificazione ed alla manutenzione di valori etici condivisi in
materia di comportamenti economici.
Se si fa perno sulle informazioni che la società deve rivolgere all'esterno si capisce
come le false comunicazioni sociali sono lo strumento principe della corporate governance in
materia penale, ed anche che il problema non è di semplice chiarezza del dato ma di verità
legale dello stesso. La definizione di funzioni, ruoli e compiti più precisa di generici doveri di
gestione e controllo potrebbe definire meglio le responsabilità individuali anche da un punto
di vista penale. Capire bene dove finisce la funzione o dove comincia la trasgressione
consente di superare gli esuberi legati alla formula dell'art 40 cpv c.p. secondo cui non
impedire la verificazione di un evento che si aveva l'obbligo giuridico di evitare equivale a
cagionarlo.
L'obbligo giuridico corrisponde normalmente ad alcune posizioni di garanzia affisse in
capo a particolari soggetti. Avere una specificazione di funzioni di controllo o di gestione
qualifica meglio cosa si è omesso di fare non ricadendo nel generico mancato controllo ma
definendo l'omessa mansione nell'ambito del compito. È un modo di restringere gli spazi di
responsabilità o meglio di ridefinirli sui veri ruoli, uscendo anche dai vizi logici della delega.
Quindi, si applicherà l'art.40 cpv in maniera meno approssimativa, nel più pieno
rispetto della tipicità (di cui l'art. 40 è deficitario) in presenza di un preciso omesso
compito di gestione o di controllo, aldilà non ci sarà responsabilità ma cattivo
funzionamento dell'organizzazione. C'è da chiarire se la previsione di nuovi organi, comitati
di varia natura (delle nomine, dei compensi, comitato di revisione dei processi di
produzione etc.) che tendono a moltiplicare i livelli del controllo o a creare modelli di
controllo meglio organizzato si riflettano in nuove responsabilità penali. Di certo c'è che ai
nuovi organi non viene mai attribuito un ruolo esecutivo, ma anzi, al contrario, si sceglie
tra gli amministratori sprovvisti di delega. Di certo c'è anche , al contrario, che si tratta di
strutture incaricate di presidiare e controllare gli altrui processi decisionali, capaci di
scongiurare comportamenti opportunistici e conflitti di interessi dei managers. Possiamo
definirli nuovi garanti? Basterebbe usare l'art. 2392 c.c. ed il 40 cpv per la creazione di
nuovi soggetti ai quali chiedere penalisticamente conto dei controlli effettuati. Non si
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 82/83
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
può condividere questo moltiplicare selvaggiamente le responsabilità: le funzioni di
questi comitati sembrano più focalizzate sulla segnalazione della disfunzione che
sull'operativa possibilità d'intervento. Parliamo di strutture di supporto al governo della
società al pari di accorgimenti organizzativi o di cautele istituzionali. Se una
responsabilità può emergere deve succedere solo dopo l'esonero da una responsabilità
omissiva in capo agli organi istituzionali e la verifica di un'assenza di deficit
organizzativo.
I modelli di organizzazione assumono un ruolo centrale non solo legati ai ruoli dei
garanti ma anche in tema di responsabilità amministrativa dell'ente. Conta poco la
questione della truffa delle etichette: conta poco stabilire se l'afflittività tracima i limiti
dell'ordinaria afflittività di una sanzione amministrativa e sia di fatto penale. Rileva
invece osservare quanto ci sia spazio per esperienze forse più utili in altri sistemi dove
strutture organizzative manchevoli sono la precondizione di sanzioni civili di grosso
effetto di cui niente sa il nostro codice civile. L'idea è grossomodo replicata, la sanzione
invece varia in natura. Perciò: se l'ente predispone una serie di cautele organizzative
atte a ridurre a poco il rischio di verificazione di. un reato ( nell'esperienza americana si
tratta esclusivamente di reati ai danni della collettività) e nel caso in cui comunque il
reato si verifica e l'ente si attiva e collabora per individuare il colpevole, sarà solo
secondariamente e moderatamente responsabile per i fatti accaduti. Se invece mancano
le
strutture
organizzative
matrimonialmente
nella
l'ente
vicenda.
risponde
Con
una
per
colpa
sanzione,
organizzativa
e
nell'esperienza
dunque
italiana,
formalmente amministrativa, sostanzialmente penale. Per colpa. Secondo gli schemi
della persona fisica , pur per ovvie ragioni senza essere in grado di agire colposamente.
C'è da chiedersi chi, ovviamente. Chi agisce per imprudenza , negligenza ed imperizia,
non appena si parla di colpa: si evocano figure soggettive che fanno correre alla
persona fisica, unico agente capace di sostenere un fatto con un elemento soggettivo. Il
tentativo di spersonalizzazione non sembra compiuto: ne è superabile l'ostacolo della
funzione della pena, non in presenza di una sanzione camuffata in amministrativa ma
sostanzialmente penale. Funzione della pena che nel nostro paese non si concentra
sulla deterrenza ma sulla riabilitazione del reo, impossibile nel caso di un ente se non
attraverso forzosi allargamenti della funzione , comunque realizzabili attraverso
sanzioni non di natura penale.
Non aiuta infine a perseguire l'esigenze della corporate govemance la nuova
riforma del diritto societario. Senza soffermarsi sulle singole figure di reato ad uno
sguardo d'insieme se ne trae la certezza di una legislazione deliberatamente di tipo
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 83/84
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
emergenziale, non per le fruizione della collettività ma tagliata ad ordinem o ad
personam. La bandiera di questa urgenza sarebbe l'emergenza della perdita di certezza
intollerabile per le imprese. Di certo c'è solo l'abbassamento delle cornici edittali e tanto
desiderio di prescrizione a piene mani. Di certo c’è l'urgenza di riformare: al punto tale
che la novella del diritto penale societario, precede nella riforma la novella del diritto
societario. Stravolgendo i ruoli: le convenzioni, i ruoli, le funzioni che costituiscono
l'ordito del diritto commerciale dovrebbero logicamente precedere le trasgressioni o le
inottemperanze a quei doveri, sanzionate penalmente. Più è chiara la crucialità dei ruoli
più si giustifica l'intervento, il più drastico di natura penale. Più è chiaro il rimedio civile
e la sua impossibilità ad agire efficacemente, più ha senso l'intervento penale. Così
invece, senza elementi normativi né realmente descrittivi il tipo è solo ricco di parole
ma lambisce l'indeterminatezza, ma, più grave è la funzione del diritto penale societario
ad essere parva materia. Si approssima allo zero, guardiano rozzo e poco efficace della
vita degli affari. In barba alle regole della corporate govemance: i ruoli e la certezza dei
ruoli disegnano naturalmente le trasgressioni. Nel nostro caso mancano i ruoli e le
trasgressioni, tutte veniali, sono frutto di scatole cinesi linguistiche, assolutamente
artificiali.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 84/85
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
I segni distintivi dell'impresa ed esigenze di tutela
Nell'esercizio
della
propria
attività
l'imprenditore
ha la
necessità di
distinguersi sul mercato dagli altri imprenditori che producono e/o distribuiscono
prodotti identici o analoghi.
I principali segni distintivi che assolvono a siffatta funzione sono individuati nella
ditta, nell'insegna e nel marchio. All'interno
tre
segni
distintivi
di
un
mercato
concorrenziale,
questi
consentono all'imprenditore di creare dei parametri, o criteri
guida che il consumatore utilizza, successivamente, nella scelta tra i vari operatori
economici. I segni distintivi fungono da ago della bilancia tra due contrapposti, anche se
non configgenti interessi.
Da un lato, quello dell'imprenditore, a dotarsi di segni distintivi che abbiano forza
distintiva ed attrattiva, nonché di vietare l'uso di tali segni agli altri imprenditori per
evitare che la clientela sia sviata. Inoltre, l'imprenditore, i cui segni distintivi hanno
raggiunto una certa notorietà e quindi sono di per sé portatori di un autonomo valore
economico, in quanto a loro legata un “certo quantitativo di clientela”, potrebbe avere
interesse a cedere tali fattori, al fine di ricavare un utile.
Ad esempio un imprenditore potrebbe decidere di alienare il proprio marchio al fine
di monetizzare il valore commerciale dello sesso determinato dalla capacità attrattiva
della clientela. Infatti, attraverso la pubblicità il segni distintivo assume una funzione
ulteriore rispetto a quella di identificazione dell'imprenditore o del prodotto, ovvero, di
collettore di clientela, in quanto gli utenti sono indotti, attraverso il messaggio
pubblicitario, a preferire il prodotto o il servizio non tanto per le sue peculiarità e
caratteristiche, quanto per la notorietà del segno distintivo.
Sulla scorta di tali presupposti si è evinta la necessità di sviluppare una disciplina
dei segni distintivi, che oltre a tutelare l'interesse dell'imprenditore ad esercitare la
propria attività nel modo quanto più libero e proficuo possibile (in ossequio al principio
della libertà
di
iniziativa
economica
sancito
dall'art.
41
della
Costituzione),
tuteli, contemperando i vari interessi, il diritto dei terzi, e del consumatore in
particolare, che entrano
inganno
in
contatto
con
l'impresa,
a
non
essere
tratti
in
sull'identità dell'imprenditore e/o dei prodotti sul mercato.
Oggetto della nostra analisi è il marchio, e la sua tutela, così come apprestata in
sede civile e penale.
Per quel che concerne la ditta e l'insegna ci limiteremo a darne una succinta
definizione. La ditta, così come disciplinata dall'art. 2563 cod. civ., rappresenta il
ed. nome commerciale dell'imprenditore, avendo la funzione di contraddistinguere la
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 85/86
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
persona dell'imprenditore nell'esercizio dell'attività di impresa.
La
ditta, comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la
sigla dell'imprenditore (art. 2563, comma 2 cod. civ.).
L'insegna (art. 2568 cod. civ.), invece, assolve ad una funzione diversa,
consistente nell'individuazione dei locali in cui l'attività di impresa è esercitata.
Il marchio e la sua funzione
Il marchio, sulla scorta dell'art. 16 r.d. 21/06/1942, c.d. “legge marchi”, può essere
definito come ogni parola, figura o segno destinato a distinguere i prodotti o i servizi, di
uno o più generi, di una determinata impresa, dai prodotti o dai servizi dello stesso
genere di imprese concorrenti.
Il marchio è strumento con cui gli imprenditori affidano il compito di differenziare i
propri prodotti da quello dei concorrenti. In tal modo gli utenti sono messi in grado di
riconoscere con facilità i prodotti provenienti da una determinata fonte di produzione,
ricollegando, in tal modo, in maniera diretta, i consumatori agli imprenditori. Tale
funzione è assicurata, impedendo che uno stesso marchio sia usato da più imprenditori.
Non rientra, al contrario, nelle funzioni del marchio, quella di garantire la qualità del
prodotto o del servizio offerto, in quanto l'imprenditore non è tenuto a mantenere
inalterati gli standard dei prodotti che il marchio contraddistingue.
Peraltro,
nell'odierno
sistema
commerciale,
di
natura
esponenzialmente
concorrenziale, è da rilevare una “prassi”, ormai costante, nella processo di scelta del
consumatore del prodotto o del servizio opzionabile. Infatti, molti marchi finiscono per
assumere un'autonoma forza attrattiva dei consumatori, a prescindere dall'effettivo
produttore.
Consideriamo il caso in cui la Ditta “Fiaschetti”, che produce orologi, decida, per
proprie valutazioni di mercato di cedere, solo ed esclusivamente, il marchio "X"
all'Impresa Dattila. Di fatto, l'impresa “Fiaschetti” continuerà, con il proprio complesso
aziendale a produrre orologi, decidendo di mantenere gli standards qualitativi fino a quel
momento offerti. Dall'altro lato l'impresa “Dattila” inizierà a produrre, secondo propri
standard orologi che di fatto manterranno solo il vecchio marchio "X", mutando, infatti,
gli standard qualitativi, oltre che le forme estetiche e le tecnologie applicate. Ne
consegue che, in concreto, l'impresa acquirente, produrrà orologi totalmente differenti da
quelli su cui, nella precedente produzione, era applicato il marchio "X".
Nella pratica commerciale, la conseguenza sarà che il consumatore poco avveduto,
non a conoscenza della cessione, continuerà ad acquistare gli orologi "X" utilizzando
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 86/87
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
come unico parametro di riferimento il marchio stesso. Altra parte di utenti, anche se a
conoscenza del trasferimento, continuerà a scegliere il prodotto contrassegnato "X", in
quanto a quello riconoscono, intrinsecamente, qualità, garanzie, standard, che, di fatto,
appartengono al vecchio produttore e non al nuovo.
In definitiva, si può dire che quando il marchio abbia acquistato una rinomanza
diffusa, attraverso il marchio, il consumatore sceglie il prodotto e non il produttore.
La disciplina civile del marchio: le tipologie
I marchi possono essere distinti sulla scorta di tre criteri principali:
1)
la natura dell'attività svolta dal titolare del marchio. Si distingue tra marchio di
fabbrica e marchio di commercio. Il primo è apposto dal fabbricante del prodotto, per
cui, nel caso in cui il prodotto finale risulti dall'assemblaggio di parti distintamente
prodotte, si potrà avere un bene che presenti anche più marchi di fabbrica. Il secondo
tipo di marchio è apposto da un commerciante, sia esso un intermediario, sia nel caso
del rivenditore finale. Il rivenditore non può sopprimere il marchio del produttore.
2) Il secondo criterio concerne le modalità di differenziazione dei vari prodotti. Il
marchio,
infatti,
è
generale
quando
sia
utilizzato
dall'imprenditore
per
contraddistinguere tutti i propri prodotti. Accanto a questi l'imprenditore può servirsi di
marchi ed. speciali che servono a contraddistinguere particolari prodotti o specifici tipi
dello stesso prodotto. È il caso della FIAT che accanto al marchio generale "FIAT" utilizza
marchi speciali per distinguere i vari prodotti, es. "Stilo", "Croma".
3) Il terzo criterio concerne le modalità di composizione del marchio. Si distingue,
allora, tra marchi denominativi, costituiti solo da parole, e possono coincidere con la
stessa ditta o con il nome civile dell'imprenditore, e marchi figurativi, composti da
lettere, cifre, numeri.
Menzione merita, infine, il marchio collettivo che si realizza quando titolare del
marchio non è una singola impresa, bensì un soggetto, come avviene nel caso di un
consorzio tra imprenditori, che svolge la funzione di garantire l'origine, la qualità o la
natura di determinati prodotti o servizi.
Un esempio può essere fornito dal "Consorzio di Parma", in cui ad utilizzare il
marchio non è l'ente che ne ha ottenuto la registrazione, ma è concesso in uso a
produttori o rivenditori consorziati, assolvendo ad una funzione di garanzia della qualità
o della provenienza del prodotto. I consorziati si impegnano a rispettare le norme
statutarie fissate dall'ente, i parametri di qualità e produzione che questo fornisce ed i
relativi controlli.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 87/88
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Requisiti di validità del marchio
La tutela giuridica del marchio presuppone che questi abbia determinati requisiti:
liceità, veridicità, novità originalità.
Il primo dei requisiti richiesti, la liceità, va inteso nel divieto di utilizzare segni
contrari alla legge, all'ordina pubblico e al buon costume, stemmi o altri segni protetti
da convenzioni internazionali (art.18 l.m.).
L'originalità del marchio va intesa nel senso di consentire agli utenti di
contraddistinguere il prodotto contrassegnato dagli altri prodotti dello stesso genere
immessi sul mercato (ed. capacità distintiva del marchio).
Ne consegue che non hanno capacità e pertanto non possono essere usati come
marchi:
·
la denominazione generica del prodotto (ad es. "maglia" per indicare un pullover);
·
i segni di uso comune (ad es. "jeans");
·
le indicazioni descrittive generiche dei prodotti o della loro provenienza (ad es. non
può esser usato come marchio il termine "lino" per indicare un filato).
Si ha originalità, però, quando il segno è utilizzato per contraddistinguere un
prodotto con cui, di fatto, non ha alcuna relazione (ad es. la figura di un "cane" per
distinguere un prodotto di abbigliamento). È possibile utilizzare termini generici quando
siano associati con altri segni in modo fantasioso (ad es. "Amplifon").
Il terzo principio enunciato, quello della verità vieta di inserire nel marchio segni
idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura
o sulla qualità dei prodotti o dei servizi (art. 18, l.m.). Ad esempio il marchio "New
Zeland" è illecito se utilizzato per contraddistinguere prodotti realizzati in Italia.
Al
contrario
dell'originalità
che
presuppone
una
valutazione
astratta
della
sussistenza del requisito di validità del marchio, la novità va valutata in concreto
mediante raffronto con gli marchi esistenti. Ad es. il simbolo di un "cane" è sicuramente
originale è ha capacità distintiva se applicato ad una capo di abbigliamento; manca del
presupposto della novità se altro imprenditore, che produce gli stessi beni, abbia
utilizzato lo stesso marchio.
Pertanto, è corretto affermare che quella sulla originalità è una valutazione
intrinseca, quella sulla novità è estrinseca.
La mancanza dei presupposti richiesti dalla legge comporta la nullità del marchio.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 88/89
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Tutela civile del marchio
In primo luogo è da operare la distinzione tra marchio registrato e non. Il titolare
del marchio registrato ha diritto all'uso dello stesso su tutto il territorio nazionale. Il
contenuto di tale diritto di esclusiva è ampio, applicandosi il divieto di utilizzare lo stesso
marchio non solo ai prodotti identici ma anche a quelli affini, ove l'uso di tale marchio
registrato sia idoneo a produrre confusione nel pubblico. Resta fermo il diritto di un altro
imprenditore ad utilizzare il marchio per prodotti del tutto differenti.
Si prenda il caso in cui due imprenditori operano nello stesso settore, quello
industriale, realizzando prodotti appartenenti alla stessa categoria, ad esempio
arredamenti. Anche se l'uno produce mobili per ufficio e l'altro arredi per ristoranti,
l'omogeneità dei due prodotti potrebbe cagionare confusione negli utenti.
Per tale ragione ad utilizzare il marchio potrà essere solo l'imprenditore che abbia
registrato il proprio marchio presso l'Ufficio italiano brevetti e marchi.
Caso a parte costituiscono i ed. marchi celebri che sono quelli (ad es. Coca Cola,
Rolex) che hanno raggiunto una notorietà tale da avere una forza attrattiva autonoma
distinta dal prodotto che realmente rappresentano.
Il titolare di un marchio registrato, che goda nello Stato di rinomanza, può vietare
a terzi di usare un marchio identico o simile al proprio anche per servizi o prodotti non
affini, quanto tale uso consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo
o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi (art. 1, lette, l.m.).
Consideriamo il caso in cui un imprenditore, che produce sigarette, decida di
apporre sulle confezioni il marchio Coca Cola. In primo luogo ne può derivare un
pregiudizio alla fama dell'imprenditore titolare del marchio celebre. In secondo luogo si
può determinare, per quel che concerne gli utenti, confusione sul mercato sulla
provenienza del bene. La tutela per l'imprenditore decorre dalla presentazione
dell'istanza di registrazione, per cui di fatto la tutela è apprestata anche anteriormente
al fatto che possa, in concreto, parlarsi di marchio celebre.
La registrazione nazionale ha una durata di dieci anni, ma di fatto è rinnovabile per
un numero illimitato di volte. La decadenza dal diritto di uso esclusivo del marchio
registrato si può avere:
·
per la successiva dichiarazione di nullità del marchio;
·
per volgarizzazione del marchio, che si verifica quando lo stesso è divenuto, nel
mercato, denominazione generica di quel determinato prodotto, perdendo così
capacità distintiva (è il caso ad es. di "Biro" che designa comunemente una penna a
sfera)
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 89/90
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Per quel che concerne il marchio non registrato è da premettersi che questo,
anche se tutelato giuridicamente, gode però di tutela minore rispetto a quello registrato.
L'art. 2571 cod. civ. dispone che chi ha fatto uso di marchio non registrato ha la facoltà di
continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui
anteriormente se ne è avvalso.
È questa l'espressione del principio del preuso in base al quale il diritto ad utilizzare
un marchio già sul mercato, anche se non registrato, sarà limitato in base alla notorietà
raggiunta da chi ne ha anteriormente fatto uso.
Pertanto, il titolare di un marchio con risonanza solo locale non potrà impedire ad un
altro imprenditore di utilizzare lo stesso marchio, per gli stessi prodotti su altra parte
del territorio nazionale.
Parimenti
non
potrà
impedire
che
altro
imprenditore
registri
il
marchio
successivamente con la conseguenza che potrà continuare ad utilizzare tale marchio,
solo nei limiti della diffusione locale.
La tutela penale del marchio
La variegata disciplina penalistica dei marchi trova la sua fonte sia all'interno del
codice penale, sia all'interno di numero leggi speciali.
Per quel che concerne la disciplina codicistica possibile individuare tre diverse
tipologie di reati: la contraffazione del marchio (art. 473 cod. pen.); il commercio di
prodotto con marchio contraffatto (art. 474 cod. pen.); il commercio di prodotti con
marchio mendace (art. 571 cod. pen.).
La contraffazione del marchio
L'art. 473 cod. pen., intitolato "Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di
opere dell'ingegno o di prodotti industriali", recita: chiunque contraffa o altera i marchi
o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell'ingegno o dei prodotti industriali,
ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o
segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino
a lire quattro milioni.
La stessa disciplina si applica a chiunque contraffa o altera brevetti, disegni o
modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione
o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati (art. 473,
comma 2, cod. pen.).
L'interesse giuridico protetto è la fede pubblica, intesa come fiducia generalmente
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 90/91
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
riposta dai
consumatori
nei
mezzi
simbolici di
pubblico
riconoscimento
che
servono a contraddistinguere e a garantire la circolazione dei prodotti industriali.
La normativa non è però posta ad esclusiva tutela dei consumatori, bensì anche
dell'impresa, per la quale il marchio costituisce mezzo di attrattiva della clientela,
nonché elemento patrimoniale in quanto suscettibile di valutazione economica.
In primo luogo, occorre individuare l'oggetto della tutela.
La giurisprudenza, infatti, ha individuato i marchi e segni distintivi cui fa
riferimento la norma nei contrassegni usati dai produttori o commercianti per
distinguere i propri prodotti o le proprie merci da quelle similari.
La locuzione segni distintivi, però, non concerne i marchi di fatto che ricevono
protezione esclusivamente in sede civile, essendo la tutela penale apprestata solo per i
marchi registrati.
Soggetto attivo può essere chiunque; si tratta, pertanto di un reato comune.
Per quel che concerne la condotta penalmente rilevante, la norma fa riferimento
alle ipotesi di contraffazione, alterazione ed uso dei marchi contraffatti o alterati. Per
aversi contraffazione è sufficiente la riproduzione delle caratteristiche essenziali del
marchio in modo tale da ingenerare confusione sul mercato in ordine alla provenienza dei
prodotti. La riproduzione non deve essere perfetta, purché non grossolana e quindi
facilmente riconoscibile. In altre parole, la riproduzione deve essere tale da poter trarre
in inganno la media dei compratori e non soltanto un determinato acquirente o una
persona particolarmente ingenua o ignorante.
Ai fini della punibilità, pertanto, non è richiesta una integrale riproduzione del
marchio originale quanto un sufficiente grado di somiglianza tale da rendere la copia,
per l'individuo medio, confondibile con l'originale. Ne deriva che la confondibilità non
potrà essere valutata a priori, essendo, invece, richiesto un giudizio di fatto che dovrà
tenere conto soprattutto delle caratteristiche di diligenza ed accuratezza, che
contraddistinguono la categoria di consumatori cui il prodotto è destinato.
L'elemento psicologico del reato va individuato nel dolo generico, come coscienza e
volontà di falsificare o di fare uso di cui si abbia la consapevolezza dell'avvenuta
falsificazione.
Ai fini della sussistenza del reato la giurisprudenza associa, alla suddetta coscienza
e volontà, anche la consapevolezza da parte dell'agente che il marchio sia stato
depositato, registrato, o brevettato nelle forme di legge.
L'uso del marchio contraffatto comprende i casi un soggetto, senza aver concorso
alla falsificazione, utilizza il marchio per fini che siano, però, diversi da quelli rientranti
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 91/92
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
nella previsione dell'art. 474 cod.
pen.
relativa all'introduzione di prodotti con
marchio contraffatto o alterato nel territorio dello stato a scopo commerciale, la
detenzione a fini di vendita e la messa in vendita.
Il tentativo è configurabile solo per quel che concerne la contraffazione di marchio,
non anche l'uso, in quanto il delitto si consuma nel momento e nel luogo del primo fatto
di utilizzazione.
Il caso: collari Bayer
Nel caso in esame si era operata la sostituzione di collari antipulci per cani
all'interno delle confezioni originarie. La Cassazione si è espressa al riguardo nella
sentenza n. 2128 del 1986 affermando che sussiste il reato di cui all'art. 473 cod. pen.
anche quando si operi la mera sostituzione del contenuto del prodotto, pur se non siano
alterate l'originalità e le qualità intrinseche, stante l'utilizzazione dello stesso metodo di
fabbricazione.
La Corte ha affermato che la confezione, infatti, rappresenta nella sua specificità il
mezzo idoneo ad identificare il prodotto, per cui la sua tutela ha la funzione principale di
proteggere la fede pubblica nel commercio.
Commercio di prodotti con marchio contraffatto
Connesso all'art. 473 cod. pen. è l'art. 474 cod. pen. intitolato "introduzione nello
Stato e commercio di prodotti con segni falsi".
La norma sanziona chiunque, fuori dei casi di concorso nei delitti preveduti
dall'articolo precedente, introduce nel territorio dello Stato per farne commercio,
detiene per vendere o pone in
vendita, o mette altrimenti in circolazione opere
dell'ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri,
contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire
quattro milioni.
L'interesse protetto ed i soggetti attivi e passivi sono gli stessi dell'art. 473 cod.
pen. In tema di contraffazione di marchi. La norma, che contempla una sanzione più
blanda di quella prevista per la contraffazione del marchio, cosi come descritta nel
precedente paragrafo, non si applica per coloro che hanno realizzato o concorso a
realizzare la realizzare la contraffazione, per i quali si applica la l'art. 473 cod. pen.
Nell'ipotesi di detenzione è richiesto il dolo specifico, in quanto i fatti debbono
essere commessi per farne commercio.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 92/93
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Contraffazione di marchio mediante importazioni parallele, il caso "Calvin
Klein"
Recita il decreto del 27 giugno 1997 del Tribunale di Bologna: gli atti di
importazione in Italia da un paese extracomunitario di prodotti originali marcati dal
titolare del marchio avvenuti senza il consenso, costituiscono violazione del diritto di
marchio nazionale registrato in Italia (...)
Il caso in esame concerne la commercializzazione all'interno del territorio italiano
di prodotti realizzati in un paese extracomunitario e destinati ad un mercato diverso da
quello europeo. Nei fatti il ricorso era stato presentato dal titolare del marchio (Calvin
Klein Trademark Trust) e dal licenziatario esclusivo (Calvin Klein Inc., la quale aveva
concesso a Calvin Klein Jeanswear Europe S.p.A. la licenza d'uso in esclusiva).
Ebbene Calvin Klein produce e commercializza due tipi distinti di jeans; un jeans di
tipo
italiano-europeo,
ideato
secondo
criteri
qualitativi
ed
estetici
studiati
appositamente per tali consumatori, prodotto e diffuso solo sul mercato europeo, ed un
jeans di tipo americano, che per una scelta di politica commerciale è destinato da
essere distribuito esclusivamente negli USA e nei paesi extraeuropei.
L'American Import s.r.l. importava e commercializzava sul mercato italiano, contro
la volontà delle società Calvin Klein, capi di abbigliamento Jeanswear, recanti tale
marchio, di esclusiva provenienza e diffusione extraeuropea, ed in particolare di
provenienza USA. E quindi prodotti, è da sottolineare, che per una scelta commerciale
delle società titolari del marchio, avevano caratteristiche diverse e prezzo inferiore
rispetto al prodotto di tipo europeo in ragione di una diversa rete di distribuzione ed
erano destinati ad un diverso mercato di consumatori (USA e paesi extraeuropei).
Il problema non si sarebbe posto nel caso in cui si fosse trattato di prodotti
commercializzati in un paese diverso da quello italiano ma comunque europeo. Infatti
l'art. 1 bis, legge marchi, nell'esplicitare il ed. principio dell'esaurimento comunitario del
diritto del marchio afferma: / diritti sul marchio d'impresa registrato non permettono
inoltre al titolare di esso di vietare l'uso del marchio per prodotti immessi in commercio
nella Comunità Economica Europea con detto marchio dal titolare stesso o con il suo
consenso.
Nel caso della Calvin Klein la commercializzazione in Italia di prodotti Calvin Klein
destinati a diverso mercato, e posti in vendita a prezzi sensibilmente inferiori, aveva
valenza indubbiamente confusoria, in quanto si trattava di capi di abbigliamento che,
seppur studiati secondo criteri tendenzialmente diversi, avevano tuttavia aspetto
esteriore confondibile rispetto ai jeans prodotti e distribuiti legittimamente nella stessa
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 93/94
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
area geografica da Calvin Klein Europe, e potevano quindi indurre il pubblico dei
consumatori a ritenere che provenissero dallo stesso produttore, con conseguente
appropriazione della rinomanza acquisita sul mercato Italiano da quest'ultima ditta.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 94/95
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
La tutela penale dei rapporti societari
La nozione di società
Prima di analizzare la ratio dei reati societari e la disciplina loro sottesa è opportuno
definire quando si possa parlare di società e cosa si intenda con tale termine. L'art.
2247 cod. civ. recita: con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o
servizi per l'esercizio in comune di un’attività economica al fine di dividerne gli utili.
Le
società,
pertanto,
sono
organizzazioni
di
persone
e
di
mezzi
create
dall'autonomia privata per l'esercizio in comune di un'attività produttiva; sono le
strutture organizzative tipiche, anche se non esclusive, previste dall'ordinamento per
l'esercizio in forma associata dell'attività d'impresa (impresa collettiva).
È da rilevare che la definizione di cui all'art. 2247 cod. civ. ha subito una parziale
deroga in quanto, con la riforma del diritto societario, è stata introdotta la possibilità
dapprima per le società a responsabilità limitata, nel 1988, e poi per le società per
azioni, nel 2003, di essere costituite anche con atto unilaterale e quindi da parte di un
unico soggetto.
I reati societari e la realtà sociale
La norma, in linea di principio, svolge, essenzialmente, una funzione di disciplina
dei rapporti sociali, andando a sanzionare, nel caso del diritto penale, quelle
manifestazioni che risultano lesive di valori sentiti dalla collettività come essenziali. Ne
consegue che la norma non è qualcosa di statico, di immutabile. Al contrario, la norma
è un elemento perennemente dinamico, che si adegua, modificandosi, alle concrete
condizioni della società moderna. Tale adeguamento è, nei fatti, un'evoluzione costante
che, nel caso del diritto penale, consente, da un lato, di tutelare nuovi valori od
esigenze di tutela che possano emergere, dall'altro, di sanzionare quelle condotte,
nuove, che potrebbero manifestarsi e per cui la disciplina al momento vigente potrebbe
rivelarsi insufficiente.
Tutto ciò premesso, è facile desumere che la disciplina penale dei c.d. reati
societari è quanto di più dinamico nel diritto vi possa essere. L'impresa, di cui la società
costituisce la manifestazione più importante, è, difatti, il motore dell'iniziativa
economica. L'uso di strumenti penalistici applicato alla disciplina dell'attività d'impresa è
di origine recente.
L'introduzione, in Italia, di una disciplina penale in materia societaria è stata
operata dal codice di commercio del 1882, che ha configurato, per la prima volta, un
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 95/96
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
nucleo di norme concernenti la disciplina penale delle società. Peraltro, limitati erano gli
interessi tutelati, nonché le sanzioni previste.
E' nel codice civile del 1942 che viene trasfusa, nel titolo XI del libro V, la prima
organica disciplina penale societaria dal titolo "Disposizioni penali in materia di società e
di consorzi ".
L'oggetto della tutela
E' necessario determinare l'interesse protetto dalla disciplina in materia di reati
societari. Secondo la dottrina la tutela degli interessi patrimoniali collettivi, nonché la
fede pubblica, non costituiscono oggetto diretto della tutela penale.
Infatti, la non agevole individuabilità degli interessi pubblici, quale quello della
pubblica economia, non farebbe altro che favorire una eccessiva libertà nella
ricostruzione
della
fattispecie
in
netto
contrasto
con
i
principi
di
tipicità
e
determinatezza che dovrebbero caratterizzare l'intervento penale.
Se, infatti, la determinazione della condotta punibile va determinata sulla scorta
degli interessi pubblici, di volta in volta presi in considerazione, la categoria, immensa e
in costante evoluzione di questi ultimi, non consentirebbe di ricostruire una categoria
tassativamente predeterminata dei reati societari con conseguente impossibilità per i
cittadini di orientarsi all'interno delle norme penali.
Inoltre, il problema dell'effettività della tutela, degli interessi coinvolti dall'esercizio
dell'impresa in forma societaria, non trova adeguata soluzione in un ampliamento
spropositato della fattispecie quando queste siano costruite intorno ad interessi vaghi,
quali quelli pubblici o della singola istituzione societaria, la cui percezione è affidata alla
assoluta discrezionalità e sensibilità del giudice penale.
Da quanto dedotto risulta corretta la costruzione, operata dalla legge, delle
fattispecie basata principalmente su una concezione patrimonialistica - individualistica
dei reati societari. L'interesse principale tutelato dalle disposizioni in materia di
diritto penale societario è essenzialmente quello privatistico, individuale.
Infatti, la dottrina commercialistica italiana ha rivendicato il profilo privatistico
delle società. Evidenziando l'importanza del singolo la diretta conseguenza è, in primo
luogo, quella di riconoscere alla “società” la natura di espressione di una articolazione
democratica della collettività e, in secondo luogo, la realizzazione di un concreto ed
efficiente mezzo di controllo per ottenere il rispetto delle regole.
Infatti, il riconoscimento e l'attribuzione al singolo, concretamente pregiudicato dal
comportamento lesivo, degli strumenti di reazione, è apparso come il mezzo idoneo a
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 96/97
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
garantire la maggiore effettività di applicazione della disciplina.
Il vero problema concerne, soprattutto per le società a partecipazione diffusa, le
difficoltà che si possono
porre per il
singolo
di
far valere,
in situazioni
spesso
complesse e di difficile comprensione, i propri diritti.
Caso limite costituisce la nuova normativa in tema di false comunicazioni sociali.
Infatti, è tramite le comunicazioni sociali che i singoli possono venire a conoscenza delle
condotte e delle attività della società. Se, pertanto, si priva il singolo di verificare
l'esistenza di condotte pregiudizievoli si esclude, di conseguenza, anche l'esercizio di
azioni, civili e penali, dirette alla tutela dei propri interessi.
Se la società X informa male o non informa Caio, socio minore o piccolo
risparmiatore, delle attività poste in essere (ad esempio gli amministratori utilizzano il
patrimonio sociale per propri scopi) ne deriva che Caio non potrà mai conoscere, se non
quando si siano verificati ormai danni irreparabili, delle singole violazioni.
La questione non è affatto chiusa, essendo, al contrario, oggetto, al momento, di
ampi dibattiti. Se il legislatore delegato, infatti, depenalizza fattispecie criminose, riduce
le sanzioni di quelle esistenti, e restringe la punibilità delle alterazioni degli strumenti,
quali le informazioni sociali, attraverso cui il singolo conosce delle fattispecie già ridotte
e depenalizzate si apre uno spiraglio critico, in chiave garantista, di imponente
rilevanza.
I soggetti attivi: gli amministratori
I reati societari si presentano, tutti, senza eccezione, come reati propri, per cui
autore di reato può essere solo un soggetto che si trovi in particolari condizioni e abbia
determinate caratteristiche e qualifiche richieste dalla fattispecie incriminatrice.
Soggetti attivi sono, a secondo dei casi, gli amministratori, i sindaci, i direttori
generali e i liquidatori delle società.
Accanto a queste categorie principali, rilevano singole posizioni che assumono
rilevanza in specifiche ipotesi: ad esempio il rappresentante comune degli obbligazionisti
nell'art. 2634 cod. civ; i commissari governativi, nominati in caso di irregolare
funzionamento delle società cooperative.
Agli amministratori è affidata la gestione della società. L'organo
può
essere unipersonale
(amministratore unico)
o
amministrativo
pluripersonale (consiglio di
amministrazione), a seconda di quanto previsto nell'atto costitutivo.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 97/98
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Gli amministratori
Sono nominati dall'assemblea, per la prima nomina vengono indicati all'interno
dell'atto costitutivo e rimangono in carica per un periodo non superiore a tre anni e
sono rieleggibili, salva diversa disposizione dell'atto costitutivo.
A loro sono attribuiti poteri di diversa natura: gestiscono l'attività secondo le
indicazioni dell'assemblea, sono investiti della rappresentanza legale della società,
vigilano sul generale andamento della società.
Accanto a queste competenze di carattere generale vi è, poi, l'attribuzione di
obblighi specifici: convocano l'assemblea; ne eseguono le deliberazioni, impugnando
quelle non conformi alla legge e all'atto costitutivo; curano la tenuta dei libri e delle
scritture contabili; predispongono il bilancio di esercizio e quelli infrannuali; soddisfano
le esigenze di pubblicità legale.
Ai fini della penalistici è da sottolineare che sugli amministratori grava anche
l'obbligo di sorveglianza del generale andamento della gestione sociale per impedire il
compimento di atti pregiudizievoli o per eliminarne od attenuarne le conseguenze
dannose (art. 2392, comma 2, cod. civ.).
Da ciò deriva una responsabilità per gli amministratori sia per gli atti da loro
compiuti in prima persona, sia per le violazioni che sia conseguenza del mancato
adempimento degli obblighi di sorveglianza dall'incarico che svolgono.
Gli amministratori, inoltre, devono svolgere il proprio incarico con la diligenza del
mandatario. La diligenza loro richiesta non è, di conseguenza, la generica diligenza
richiesta all'individuo medio che va ravvisata nella usuale formula del buon padre di
famiglia, ma è una diligenza professionale, specifica, rapportata al munus svolto.
I direttori generali
Al contrario di quanto avviene per gli amministratori che non sono legati da alcun
vincolo di subordinazione nei confronti della società, i direttori generali sono dipendenti
della società stessa. Compito dei direttori generali è quello di mettere in esecuzione le
decisioni del consiglio di amministrazione, in maniero però critica, operando le
opportune scelte tattiche, comunicando le proprie decisioni agli organi subordinati e
controllandone l'esecuzione.
Per quel che concerne i profilo penale è opportuno distinguere i direttori generali
dai direttori semplici spettando a questi ultimi il mero controllo di singoli uffici o
stabilimenti. Pertanto ai direttori semplici non possono essere ascritti reati societari.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 98/99
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
I sindaci
Ai sindaci, nelle società di capitali, spetta il potere di controllo interno sulla
gestione. Il collegio sindacale, composto da tre o cinque membri, assolve varie funzioni,
tra cui: il compito di controllare l'amministrazione della società, e che tale attività sia
svolta conformemente all'atto costitutivo e alla legge; di verificare la regolare tenuta
delle scritture contabili, nonché la corrispondenza a queste del bilancio; svolgono
attività (ad esempio convocazione dell'assemblea) in sostituzione degli amministratori
nel caso della loro inerzia o impossibilità.
La diligenza richiesta ai sindaci è, come per gli amministratori, di natura
professionale. Inoltre sono responsabili, oltre che per le violazioni da loro stessi
compiute, anche per le violazioni compiute dagli amministratori e che siano conseguenza
del loro mancato controllo.
Il problema dei reati collegiali
Con riferimento ai soggetti attivi dei reati societari, dà luogo a particolari problemi
l'ipotesi in cui il reato è posto in essere mediante un atto collegiale (ad es. consiglio di
amministrazione che delibera, in conflitto di interessi, un atto di disposizione di beni
sociali, art. 2634 cod. civ.). Secondo una parte della dottrina il reato posto in essere
con un atto collegiale andrebbe inquadrato nell'ambito dei reati plurisoggettivi, che
richiedono la presenza di più autori. Su tale reato inciderebbe direttamente la struttura
collegiale dell'organo. Di conseguenza, per aversi reato, sarebbe necessaria la presenza
del numero minimo di soggetti utile per comporre validamente il collegio. Inoltre
sarebbe penalmente responsabile il membro dissenziente che non avesse fatto annotare
il proprio dissenso sul libro delle adunanze e non avesse inviato comunicazione scritta al
presidente del collegio sindacale.
Contro tale opinione, la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza, hanno obiettato
che i reati societari non hanno necessariamente riferimento ad organi collegiali (basti
pensare all'amministratore unico) e che comunque, in ogni caso, non sembra opportuno
escludere l'esistenza della responsabilità penale nel caso di irregolare composizione
dell'organo (ad es. non è presente la maggioranza degli amministratori in carica).
Peraltro, appare iniquo ancorare la responsabilità penale degli amministratori alla
osservanza di aspetti meramente formali. Basta pensare, in proposito, al trattamento
che
altrimenti
sarebbe
riservato
all'amministratore
che,
pur
facendo
risultare
formalmente il proprio dissenso, si adoperi, in realtà, per far approvare dagli altri
amministratori la delibera costituente reato. Si deve concludere, alla stregua di tali
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 99/100
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
considerazioni, che i reati c.d. collegiali sono reati monosoggettivi dovendosi valutare
congniamente, la condotta tenuta dal singolo amministratore e la sua portata offensiva.
I Reati di Bancarotta
Il reato di bancarotta fonda le sue radici storiche nell'Età Comunale, quando il ceto
mercantile reagiva in maniera rigorosa alla patologia dell'insolvenza, sia intesa come
disonestà sia come incapacità del mercante nel soddisfare la fiducia accordata dai
creditori. Tale insolvenza era, infatti, vista come destabilizzante di un sistema che si
basava essenzialmente sulla fiducia accordata ai mercatores. Ne conseguiva una
repressione severa, anche con pene corporali, di un delitto capace sia di ridurre in
miseria coloro che nel mercante insolvente avessero fatto affidamento, e sia,
soprattutto, di gettare discredito sull'intera classe dei mercatores, scoraggiando quello
che era, ed è, il principale motore di spinta di un sistema economico: il credito.
La “rottura del banco” (da qui “bancarotta”), con cui si rendeva pubblico il
dissesto, segnava il dispregio di un'intera comunità. Dalle prime emersioni punitive di
tali condotte il reato penale di bancarotta è andato evolvendosi, adeguandosi alle nuove
esigenze commerciali.
La bancarotta va, infatti, inquadrata all'interno di un particolare contesto della vita
dell'impresa: quella patologica che si verifica quando vi è una situazione di insolvenza
permanente per l'imprenditore.
Tale “stato di insolvenza” è definito all'interno dell'art. 5 della legge fallimentare,
come la situazione in cui l'imprenditore non è più in grado di far fronte, regolarmente,
alle proprie obbligazioni. La sentenza di fallimento presuppone infatti due condizioni in
capo al soggetto:
1. la qualità di imprenditore (commerciale e non piccolo);
2. lo stato di insolvenza dello stesso
Imprenditore e scritture contabili
L'art. 2082 cod. civ. definisce come imprenditore chi esercita professionalmente
un'attività economica organizzata alfine della produzione o lo scambio di beni o di
servizi. La professionalità sussiste se vi è stabilità dell'attività, inteso come esercizio
abituale, e non occasionale di una determinata attività produttiva.
Di conseguenza, non è imprenditore chi acquista e vende merci in un'unica
soluzione od organizza un singolo evento sportivo. L'abitualità però non presuppone
anche la continuità, non essendo richiesto che l'attività sia svolta in modo continuato e
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 100/101
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
senza interruzioni. Ne consegue che sono imprenditori quelli che svolgono attività
stagionali (stabilimenti balneari; industrie conserviere che operano solo in determinati
periodo dell'anno). Ciò che rileva, infatti, è che alle spalle dell'imprenditore vi sia una
organizzazione stabile, destinata a durare nel tempo o comunque per un tempo
rilevante. La conseguenza è che assume la veste di imprenditore anche colui cui è
affidata la costruzione di un ponte, quindi un unico intervento ed un'unica prestazione,
quando però tale opera richieda tempi talmente o interventi così complessi da
necessitare di una struttura organizzativa complessa e duratura.
L'attività economica è quella rivolta alla produzione di nuova ricchezza, o
attraverso la produzione di beni o attraverso la distribuzione di essi. L'attività è
economica quando è svolta al fine o di ottenere un utile, o almeno di coprire i costi con i
ricavi. Pertanto non è imprenditore chi produce beni o servizi secondo modalità che fanno
escludere oggettivamente la possibilità di tale pareggio. Di conseguenza non è
imprenditore l'associazione privata che gestisce gratuitamente un ospedale. Al contrario
è imprenditore chi gestisce i medesimi servizi avendo come presupposto la copertura
delle passività con i ricavi. E questo anche se, di fatto, le condizioni di mercato non
consentano di remunerare i fattori produttivi.
La qualifica di imprenditore commerciale compete, come afferma l'art. 2195
comma 1° cod. civ., a chi esercita:
1. una attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi (vi rientrano, ad
esempio, le imprese industriali automobilistiche, chimiche, tessili);
2. attività intermediaria nella circolazione di beni;
3. attività di trasporto (per terra, acqua, aria, sia di persone che di cose);
4. attività bancaria o assicurativa;
5. altre attività
ausiliarie
delle precedenti (vi rientrano tutte le attività
strumentali a quelle precedenti: imprese di agenzia, di pubblicità).
La qualifica di "piccolo imprenditore" compete a chi esercita la propria attività con
lavoro prevalentemente proprio o dei propri familiari. Pertanto, l'imprenditore è piccolo
quando la manodopera personale o comunque quella dei propri familiari assume una
rilevanza maggiore rispetto ai mezzi produttivi ed alle strutture organizzative utilizzate.
Per quel che concerne le scritture contabili va specificato che queste sono i
documenti che contengono
la rappresentazione dei singoli atti di impresa, della
situazione del patrimonio dell'imprenditore e del risultato economico dell'attività svolta.
Sono tenuti all'obbligo delle scritture contabili gli imprenditori che esercitano
attività commerciale, con esclusione dei piccoli imprenditori.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 101/102
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Le disposizioni penali
Le disposizioni penali in materia di bancarotta trovano la loro espressione
all'interno delle legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267), precisamente nel Titolo
VI. Lo scopo di tali incriminazioni è quello di garantire, per le conseguenze sul regolare
svolgimento della pubblica economia, la regolarità della procedura fallimentare e, per
quanto possibile, il soddisfacimento delle pretese dei creditori.
La legge fallimentare, negli artt. 216 e 217, delinea due distinte figure criminose:
la bancarotta fraudolenta e la bancarotta semplice. Ciascuna di queste, poi, è a sua
volta composta da una pluralità di incriminazioni.
In particolare la bancarotta fraudolenta si distingue in: bancarotta fraudolenta
patrimoniale,
bancarotta
fraudolenta
documentale
e
bancarotta
fraudolenta
preferenziale.
La bancarotta semplice, a sua volta, si distingue in: bancarotta semplice
patrimoniale, bancarotta semplice documentale, che saranno oggetto della nostra
analisi, ed inadempimento delle obbligazioni assunte in un precedente concordato
giudiziale.
Nella bancarotta fraudolenta l'imprenditore, poi fallito, mira, con la propria
condotta, a ledere il diritto dei creditori a rivalersi sul patrimonio residuo, o il principio
secondo cui i creditori del fallito devono essere soddisfatti tutti in eguale misura (ed. par
condicio creditorum). La finalità, pertanto, della condotta in esame è quella di
pregiudicare i creditori. Nei reati di bancarotta semplice, anche se il danno cagionato
dal comportamento dell'imprenditore è lo stesso della bancarotta fraudolenta (la
perdita, da parte dei creditori, del diritto di soddisfare le proprie pretese patrimoniali sui
beni dell'imprenditore) manca, però, la finalità di quest'ultima, ovvero la volontà di
arrecare pregiudizio ai creditori.
Infatti il danno, consistente nell'aggravamento del dissesto, è la conseguenza di
condotte dell'imprenditore poste in essere in violazione dell'obbligo generale di “buona
fede” nei rapporti commerciali, o dal mancato adempimento di obblighi imposti dalla
legge (come è il caso della bancarotta semplice documentale in cui l'imprenditore non
adempie all'obbligo di tenere le regolari scritture contabili), ovvero da comportamenti
che depauperano, senza alcuna contropartita, il patrimonio (come avviene nella
bancarotta semplice patrimoniale, quando, ad esempio, l'imprenditore utilizza il proprio
patrimonio per spese personali eccessive rispetto alla condizione economica).
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 102/103
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Bancarotta fraudolenta patrimoniale
Ai sensi del n. 1 dell'art. 216 L. F. è punito con la reclusione da tre a dieci anni, se
è dichiarato fallito, l'imprenditore che: ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o
dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di arrecare pregiudizio ai suoi
creditori ha esposto o riconosciuto passività inesistenti.
Il
secondo
comma
dell'art.
216
prevede
che
la
stessa pena
si
applica
all'imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette
alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente.
L'interesse tutelato è, evidentemente, quello di ciascun creditore alla integrità del
patrimonio del fallito contro ogni atto di depauperamento del medesimo.
I fatti descritti sono penalmente rilevanti sia se commessi prima sia se commessi
dopo la sentenza dichiarativa di fallimento assumendo pertanto rilevanza anche
condotte non commesse in un'epoca prossima alla sentenza di fallimento ma a questa
collegate. Analizziamo ora le singole condotte rilevanti:
distrazione: si verifica allorché l'imprenditore destina ingiustamente i propri beni
ad una destina ingiusta e diversa da quella del conseguimento dello scopo sociale e del
soddisfacimento dei creditori. Nei gruppi di società si ha distrazione quando si
trasferiscono capitali da una società all'atra senza contropartita, anche se nell'interesse
del gruppo;
distruzione: consiste nell'annullare in tutto o in parte il valore economico del
bene. Ad es. si distrugge un bene aziendale;
dissipazione: si realizza quando l'agente, con un comportamento del tutto
irrazionale, depaupera il proprio patrimonio con il compimento di atti negoziali che si
traducono in uno sperpero dello stesso, senza alcuna giustificazione per l'economia
dell'azienda.
L'elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, è sufficiente, cioè, che il
soggetto abbia avuto volontà e consapevolezza di destinare i beni ad un uso diverso da
quello che avrebbero dovuto avere, essendo irrilevante lo scopo perseguito.
Bancarotta fraudolenta documentale
La stessa pena prevista per fraudolenta patrimoniale si applica, ex art. 216 L.F. n.
2, a chi ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare
a sé o ad altri un ingiustificato profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre
scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del
patrimonio o del movimento degli affari. La stessa pena si applica all'imprenditore,
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 103/104
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare,... sottrae, distrugge o falsifica
i libri o le altre scritture contabili.
Le scritture contabili, in generale, consentono la ricostruzione del patrimonio e
degli affari del fallito e quindi una maggiore tutela dei creditori.
La distruzione o l'occultamento di queste, da parte dell'imprenditore, impediscono
agli organi fallimentari di determinare i beni residui su cui poi saranno soddisfatti i
creditori.
Bancarotta fraudolenta preferenziale
L'art. 216 L.F.
recita: è punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che
prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno di taluno dei
creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.
In sede di liquidazione fallimentare il principio che ordina l'intera disciplina è quello
della par condicio creditorum, intesa come equiparazione delle pretese creditorie. Se,
pertanto, Tizio e Caio sono entrambi creditori del fallito entrambi hanno diritto ad essere
soddisfatti in misura analoga. L'interesse tutelato in modo specifico dalla bancarotta
preferenziale è proprio quello della parità dei creditori, alterata dai pagamenti
preferenziali effettuati dal fallito. Tuttavia, per l'esistenza del reato è necessario che vi
sia una effettiva lesone della par condicio, per cui è da escludere la illiceità del
pagamento se non vi è pregiudizio per la massa dei creditori.
L'elemento soggettivo è quello del dolo specifico, essendo necessario che il fallito
abbai agito con lo scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi (ad esempio se
Tizio, creditore, era comunque privilegiato nei confronti di Caio, altro creditore, perché
garantito da ipoteca).
Ne consegue che non costituisce reato il comportamento dell'imprenditore che
esegua pagamenti a creditori determinati per farli desistere dall'istanza di fallimento
mancando in siffatta ipotesi il dolo specifico.
Bancarotta semplice patrimoniale
L'art. 217 L.F. punisce con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato
fallito, l'imprenditore che, fuori delle ipotesi di bancarotta fraudolenta:
1. ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua
condizione economica;
2. ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura
sorte o manifestamente imprudenti;
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 104/105
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
3. ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;
4. ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione
del proprio fallimento o con altra colpa grave.
Tutte queste condotte impoveriscono, riducendolo, il patrimonio.
Con riferimento alla prima condotta (compimento di spese personali o per la
famiglia eccessive rispetto alla condizione economica) è da rilevare che è irrilevante la
superfluità o meno della spesa, dovendosi valutare se sia eccessiva o meno rispetto al
patrimonio complessivo dell'imprenditore.
La seconda condotta fa riferimento sia alla operazioni di pura sorte, il cui esito è
affidato
al
caso
(come
avviene
nel
gioco
d'azzardo),
sia
a
quelle
condotte
manifestamente imprudenti (caso è quello dei giochi di borsa particolarmente azzardati).
La terza ipotesi (compimento di operazioni di grave impudenza per ritardare il
fallimento) è realizzata tutte le volte che l'imprenditore, allo scopo di ritardare il
fallimento, fa ricorso a mezzi rovinosi. È il caso, ad esempio, del ricorso sistematico alle
svendite, o la stipula di mutui ad interessi usurai.
L'ultima ipotesi (aggravamento del dissesto per mancata richiesta del proprio
fallimento o per altra colpa grave) riguarda i casi in cui l'imprenditore, che si trovi in
una situazione palese di incapacità finanziaria, non ottemperi all'obbligo di chiedere il
proprio fallimento determinando un aggravamento del proprio dissesto.
Il reato è punibile sia a titolo di dolo che a titolo di colpa. È sufficiente, pertanto,
perché il fallito sia punibile, che questi abbia agito con imprudenza, imperizia o
negligenza.
Bancarotta semplice documentale
Il secondo comma dell'art. 217 Legge Fallimentare punisce con le stesse pene
previste per la bancarotta semplice patrimoniale, il fallito che, durante i tre anni
antecedenti ala dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha
avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti
dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
L'interesse tutelato è, in analogia con la bancarotta fraudolenta, quello di una
esatta ricostruzione del patrimonio del fallito n base alle scritture contabili. L'elemento
soggettivo è costituito sia dal dolo che dalla colpa.
Cenni sulla disciplina del concorso di persone nel reato
La realizzazione del reato può avvenire ad opera di una o più persone. In questo
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 105/106
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
secondo caso si ha quello che il nostro codice definisce “concorso di persone nel reato”,
che può essere generalmente indicato anche come compartecipazione criminosa o
compartecipazione al reato.
Allorché nel reato si verifica una molteplicità di compartecipi, bisogna distinguere
due ipotesi.
Quella del concorso denominato "necessario", che si ha quando la stessa natura
del reato fa si che esso sia realizzato da più soggetti: si pensi al reato di incesto (esso è
commesso da due persone), al reato di rissa, al reato di cospirazione politica.
L'altra ipotesi è quella del concorso cosiddetto "eventuale", che si realizza quando
il reato può essere indistintamente realizzato da una o più persone, es. l'omicidio, la
rapina.
La cooperazione di varie persone può avvenire sia nella fase di ideazione che in
quella di attuazione del reato: nella prima suscitando o rafforzando il proposito di
commetterlo; nella seconda, eseguendo in tutto o in parte l'azione, oppure prestando
aiuto, o ancora favorendo l'azione medesima.
E bene anche sottolineare che l'apporto di vari compartecipi può essere diversa per
specie ed entità. Quando accade che un reato sia commesso da più persone, tutte sono
soggette a sanzioni; l'articolo 110 C. P. testualmente: “Quando più persone concorrono
al medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”.
A tale criterio, sono introdotti dei contemperamenti, che si concretano nel
riconoscimento di alcune circostanze, che aggravano o attenuano la pena per taluni dei
partecipanti.
Secondo la concezione tradizionale, il reato, anche quando ha più soggetti, resta
unico ed indivisibile (teoria monistica), mentre per altri (teoria pluralistica) le cose stanno
diversamente. I problemi principali che si riconnettono al concorso sono costituiti
principalmente dall'individuazione del ruolo assunto da ciascuno dei compartecipi,
dall'eventuale diverso trattamento sanzionatorio da riservare a ciascuno di essi e
dall'aspetto psicologico che li ha visti interessati alla commissione del fatto.
I fondamenti del concorso di persone nel reato, sono importanti soprattutto per
comprendere la possibilità di delinquere delle persone giuridiche, le quali potrebbero in
concorso con altri (magari persone fisiche) compiere reati che altrimenti, la mancanza
della possibilità di azione, impedirebbe loro di realizzare; si pensi ad es. alla possibilità
incaricare un sicario per commettere un omicidio.
Ma è importante conoscere i principi del concorso soprattutto se si vogliono
comprendere appieno le logiche legate ai reti commessi dalla criminalità organizzata.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 106/107
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Art. 416 bis codice penali: Associazione di stampo mafioso
L'art. 416 bis, introdotto nel codice penale dalla legge 13 settembre 1982, n. 646
incrimina: Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più
persone, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Peculiarità dell'associazione
di tipo mafioso sono la particolare forza intimidatrice del vincolo associativo e la
condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, fattori di cui i suoi
componenti si servono per commettere delitti, nonché per acquisire in modo diretto o
indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di
autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per
sé o per altri.
Le finalità elencate nella norma coprono un'area pressoché indefinita di possibili
tipologie di delitti e possono avere ad oggetto anche attività lecite. Il criterio
discriminatorio che consente di ricondurre le varie condotte all'art. 416 bis va rinvenuto
nelle modalità associative in cui queste si realizzano. Le singole condotte, in altri
termini, non hanno un'autonoma rilevanza penale, ma vengono sanzionate in quanto
espressione di una organizzazione mafiosa che opera dietro le quinte.
La connotazione mafiosa e gli elementi del reato
Potendo al massimo rientrare in altre fattispecie penali, in quanto aggressive della
libera espressione delle attività socio-economiche.
Affinché sia configurabile la fattispecie in esame, non è sufficiente il mero accordo;
è necessaria, infatti, una struttura organizzativa. Il delitto si consuma con l'ingresso
nella associazione e tale consumazione si protrae, sino a quando non intervenga lo
scioglimento o l'abbandono da parte del soggetto attivo.
La condotta di partecipazione ad un'associazione per delinquere, per essere
punibile, non può esaurirsi in una manifestazione di volontà del singolo di aderire
alla
associazione che si sia già formata, occorrendo, invece, la prestazione, da parte dello
stesso, di un effettivo contributo, che può essere anche minimo e di qualsiasi forma e
contenuto, purché destinato a fornire efficacia al mantenimento in vita della struttura o
al perseguimento degli scopi di essa.
Non integra il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso il semplice
apprezzamento dei valori negativi della stessa associazione o l'apprezzamento per il
capo od i capi dell'organizzazione, essendo necessario un contributo diretto e concreto.
L'elemento
psicologico consiste
nel
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
dolo,
inteso come volontà di essere
Pag. 107/108
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
associato e nella consapevolezza della natura e delle finalità dell'organizzazione, con
la determinazione di realizzarne il particolare programma e di essere disponibile ad
operare per la attuazione del comune programma delinquenziale con ogni condotta
idonea alla conservazione ovvero al rafforzamento della struttura associativa.
La connotazione mafiosa ex art. 416 bis c.p. nasce dal modus operandi, che trae
forza
dalla stessa esistenza del vincolo associativo,
che essendo noto nell'ambiente
sociale induce un diffuso stato di assoggettamento e di omertà, e del bene giuridico
protetto, che è costituito non solo dall'ordine pubblico in genere, ma anche dall'ordine
pubblico economico, stante la propensione dell'associazione ad acquisire il controllo
dell'economia
del
luogo.
L'elemento
materiale
è
costituito
dalla
condotta
di
partecipazione ad associazione di tipo mafioso, intendendosi per partecipazione la
stabile permanenza del vincolo associativo tra gli autori (almeno in numero di tre) del
reato allo scopo di realizzare una serie indeterminata di attività tipiche dell'associazione,
e per tipo mafioso la circostanza, per cui coloro che ne fanno parte si avvalgano della
forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di
omertà che ne deriva per commettere delitti.
Tale intimidazione ed assoggettamento non costituisce, però, una modalità della
condotta associativa, bensì un elemento strumentale, come evidenziato dal termine “si
avvalgono”, non dovendosi, però, estrinsecare, ogni volta, in atti di violenza fisica o
morale, per il raggiungimento dei fini prefissati, in quanto l'assoggettamento implica
uno stato di soggezione, derivante dalla convinzione di essere esposti a un concreto e
inevitabile pericolo a fronte della forza dell'associazione, e l'omertà consiste in una
forma patologica di solidarietà, che ostacola o rende più difficoltosa l'opera di
prevenzione e di repressione che dal vincolo associativo deriva per il singolo, sia
considerato come membro dell'associazione, sia come terzo a questa estraneo. Perché
sussista omertà è sufficiente che il rifiuto a collaborare con gli organi dello Stato sia
sufficientemente diffuso, anche se non generale; che tale atteggiamento sia dovuto alla
paura non tanto di danni all'integrità della propria persona ma anche solo all'attuazione
di minacce che comunque possono realizzare danni rilevanti.
Per la configurabilità del reato di cui all'art. 416 bis c.p. non è necessaria una
preventiva condanna degli associati per i reati “fine” essendo sufficiente che la loro
consumazione risulti nel corso del processo e che la loro commissione sia riportabile
all'attività degli adepti della societas scelerum.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 108/109
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Il sistema sanzionatorio
Sanzioni previste sono per i capi, promotori od organizzatori, la reclusione da 4 a 9
anni se l'associazione non è armata e da 5 a 15 se lo è; per i semplici gregari la
reclusione da 3 a 6 anni nel primo caso e da 4 a 10 anni nel secondo.
L'associazione si intende "armata"quando i partecipanti hanno a disposizione, per
realizzare i propri fini, armi o materie esplosive, anche se
solo depositate o nascoste.
Sono reati “fine” quelli che costituiscono il risultato finale voluto dall'agente. Al
contrario i reati “mezzo” sono quelli commessi per il raggiungimento del reato ulteriore
che è il reato “fine”.
Le pene sono tutte aumentate da un terzo alla metà se le attività economiche di
cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo risultino finanziate in tutto
o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto dei delitti. E sempre obbligatoria la
confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato o delle cose
che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego.
Alla sentenza di condanna, anche se non definitiva, devono far seguito
accertamenti di natura fiscale e patrimoniale.
Il Concorso esterno
Il crimine organizzato
Una caratteristica fondamentale del crimine organizzato è quella di creare “reti di
relazioni” con lo “Stato – apparato” (politici, burocrati ecc.) e con lo “Stato – società”
(organizzazioni
sociali,
imprese,
professionisti,
singoli),
utilizzando
la
forza
di
intimidazione e l'omertà nonché le sue enormi risorse finanziarie quali potenti mezzi di
convincimento e dissuasione.
Si sviluppa, così, un’area “grigia” in cui il fenomeno delinquenziale comune si
confonde con la “criminalità dei colletti bianchi”, con la conseguente emersione di nuove
tipologie comportamentali non facilmente riconducibili a specifiche norme giuridiche,
Di fronte a questa realtà il legislatore è apparso impreparato e colpevolmente poco
sensibile, mentre la giurisprudenza (i giudici) ha elaborato e sviluppato il concetto di
“contiguità” alla mafia, i cui confini, seppure definiti ormai in varie sentenze, restano
piuttosto incerti.
Quest'ultima caratteristica, paradossalmente, appare utile: si afferma, infatti, che
“... di fronte alla oggettiva difficoltà in cui ci si trova quando si mette mano a definire
specie, natura e qualità dei rapporti delle organizzazioni mafiose con il mondo della
politica, degli affari, degli operatori economici, delle professioni ecc., utilizzare criteri
rigidi... potrebbe costituire un ostacolo a risposte adeguate alla varietà e alla variabilità
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 109/110
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
delle situazioni che si possono presentare in concreto”.
Da quest’ultima considerazione emerge chiaramente come la categoria in esame è
frutto di una logica “emergenziale”, legata alla lotta alle mafie.
La figura del concorrente esterno nei reati associativi, non a caso, ha trovato
giuridica consacrazione durante l'emergenza legata al terrorismo di matrice politica,
nell'ambito della fattispecie di banda armata.
Il dibattito sulla configurabilità del concorso esterno
Il tema del concorso esterno dei reati associativi ha acceso un ampio dibattito
dottrinale e giurisprudenziale del quale si cercherà di dar conto qui di seguito:
a) Una prima impostazione, partendo da una nozione ampia di partecipazione
all'associazione,
ha
negato
la
configurabilità
del
concorso
esterno
per
la
sua
sovrapponibilità con la condotta del partecipe, già strutturalmente a forma libera.
In tale direzione una sentenza della Corte di Cassazione ha affermato che " la ed.
partecipazione esterna...si risolve, in realtà, nel fatto tipico della partecipazione punibile".
D'altra parte si è sottolineata la superfluità della figura in esame a fronte della previsione
positiva di una
serie
di
apporti
esterni
all'associazione
di
tipo
mafioso
(
il
favoreggiamento aggravato, l'assistenza agli associati, l'aggravante di cui all'art. 7
legge n. 203/1991, le varie forme di istigazione).
Accanto alle predette forme tipizzate di contributo esterno al sodalizio mafioso, vi
sono, inoltre, forme di concorso "interno" dell'extraneus: infatti, come da più parti
sostenuto, le attività di promozione, costituzione e organizzazione, riferibili alla fase genetica
dell'associazione,
non
sono
necessariamente
dipendenti
dalla
partecipazione
interna
all'associazione mafiosa.
Ora, considerando al regola generale in base alla quale la disciplina
del concorso
eventuale è sempre applicabile al concorrente necessario, salvo che la diversa disciplina
della fattispecie di parte speciale non lo impedisca, la previsione di forme di "concorso
interno dell'estraneo" già individuate dall'art. 416 bis c.p., secondo un'apprezzabile dottrina
(Sessa, 1999), rappresenterebbe proprio una delle deroghe all'applicabilità della regola
suddetta.
In sostanza, proprio dall'analisi della fattispecie associativa e delle norme
accessorie, emerge l’inapplicabilità della clausola generale di cui all'art. 110 c.p., restando
punite solo quelle condotte riferibili alle ipotesi tipiche di apporto interno (promotore e
organizzatore non partecipi) o esterno (artt. 416 ter e 418 c.p., favoreggiamento persona le
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 110/111
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
reato aggravato, istigazione, finanziamento dell'associazione finalizzata ala traffico di
stupefacenti).
b) Secondo un'altra tesi, la formulazione dell'art. 416 bis ("coloro che promuovono
l'associazione sono puniti per ciò solo"), consente che un contributo di livello
organizzativo possa essere apportato anche da un non associato: "non si può escludere
che un soggetto estraneo al sodalizio possa svolgere un'attività (magari saltuaria) tale
da contribuire dall'esterno alle strategie" dell'associazione.
La natura composita del contributo apportato dall'organizzatore renderebbe
possibile isolare talune attività specifiche di organizzazione che costituiscono un quid
pluris su cui innestare il concorso esterno dell'estraneo, mentre dal contributo del
partecipe sarebbe impossibile isolare una porzione autonoma dal "far parte".
Tale resi sembra ben collegarsi a un importante pronuncia delle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione, secondo cui il concorso esterno è configurabile ma solo in ipotesi in
cui si pongono in essere condotte utili per consentire all'associazione di uscire da
situazioni particolari. L'argomentazione centrale è stata la seguente: "il concorrente
eventuale è, per definizione, colui che non vuole far parte dell'associazione e che
l'associazione non chiama a far parte, ma al quale si rivolge, sia, a esempio, per colmare
temporanei vuoti in un determinato ruolo, sia, soprattutto nel momento in cui la
fisiologia dell'associazione entra in...una fase patologica, che, per essere superata,
esige un contributo temporaneo, limitato, di un esterno... Lo spazio proprio del
concorso
eventuale
materiale
appare
essere
quello
dell'emergenza
nella
vita
dell'associazione... La anormalità, la patologia...può esigere anche un solo contributo, il
quale...può essere anche solo episodico, estrinsecarsi...in un unico intervento, perché
ciò... che rileva è che quell'unico contributo serva per consentire all'associazione di
mantenersi in vita".
Sposta l'attenzione sul ruolo del partecipe all'associazione chi ritiene che il
concorrente esterno è colui il quale dà un contributo causale per lo svolgimento di tale
ruolo, rappresentandosi il collegamento della sua condotta con quella del partecipe: "si
può ipotizzare il concorso di una persona con un'altra per commettere un reato, ma
non... il concorso di una persona con il reato (vale a dire l'associazione per delinquere)
per commetter il medesimo reato".
Si critica così la prassi che tende a personificare le associazioni criminali e ad
affermare che il soggetto concorre dall'esterno all'associazione, laddove, invece,
l'apporto dell'extranens deve essere agganciato a quello dei soci interni.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 111/112
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Viene, infatti, accolta la concezione ed. monastica del concorso di persone e,
conseguentemente, “il concorrente esterno è tale quando, pur estraneo all'associazione ...
apporti un contributo che sa e vuole sia diretto alla realizzazione, magari anche parziale del
programma criminoso del sodalizio". Dal punto di vista soggettivo la distinzione tra dolo del
partecipe e del concorrente esterno si fonda, da una parte, sul segmento dell'atteggiamento
psicologico che riguarda la volontà di far parte dell'associazione, dall'altra emerge in senso
positivo "poiché il ricorso alle norme sul concorso fa emergere comportamenti atipici rispetto a
quello delineati nella fattispecie di parte speciale, ma che si pongono in relazione causale con
quest'ultima".
Dal punto di vista oggettivo la mera "contiguità compiacente" o la "vicinanza" o la
disponibilità nei riguardi del sodalizio o dei suoi esponenti, devono essere necessariamente
accompagnate da positive attività che forniscono uno o più contributi utili al rafforzamento o
al consolidamento dell'associazione, secondo gli stesso paramenti usati per riconoscere la
partecipazione. Infine, è importante evidenziare che "la fattispecie concorsuale esiste anche
prescindendo dal verificarsi di una situazione di anormalità nella vita dell'associazione" e
che non ha un peso decisivo il fatto che l'attività del concorrente sia stata continuativa
oppure episodica. Restano, in ogni caso, le critiche verso quest'ultimo indirizzo che così
possiamo riassumere:
a) L'estensione della punibilità grazie al meccanismo di cui all'art. 110 c.p. determina, in
tal caso, una riconoscibile violazione del principio di tassatività e determinatezza.
Di ciò anche la Corte Suprema sembra preoccuparsi, ma liquida la questione affermando
che il rispetto dei suddetti principi "è tutto sommato raggiunto, perché il legislatore ... individua
condotte sufficientemente tipizzate (art. 416 bis, commi 1 e 2), onde la vocazione estensiva
propria della norma di cui all'art. 110 c.p. appare pur sempre ancorata a precisi riferimenti
normativi".
b) Si finisce per attribuire un peso eccessivo alla "decisione" degli associati di non
accettare la partecipazione altrui: la punibilità qui appare derivare dalla scelta dei consociati
circa l'accettazione o meno di un nuovo membro, non considerando adeguatamente il ruolo del
ed. extraneus e il suo contributo il quale è pur sempre accettato, anzi cercato e sperato da
parte dell'associazione e dei suoi componenti.
Questa
ricerca
di
contributi
ed.
esterni,
soprattutto,
nell'attuale
sviluppo
imprenditoriale delle organizzazioni criminose, dimostra chiaramente l'importanza
"strategica" degli stessi per la vita dell'associazione; per tale via, visto che la stessa
Corte sottolinea che tali contributi devono essere indirizzati all'associazione nel suo
complesso,
questi
stessi
apporti
sono
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
così
utili
da
far
concludere
che
sol
Pag. 112/113
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
"formalisticamente" i loro autori possono definirsi "estranei" all'associazione.
c) Infine, si vuole sottolineare che, in base all'impostazione descritta, appare
probabile che si ricorra alla figura del concorrente esterno in base a valutazioni in
qualche modo riferibili a concezioni penali improntate all'inaccettabile tesi del "tipo
d'autore": il rischio è che si ritenga sussistente la figura del concorrente esterno e non
del partecipe - e viceversa, a seconda che il soggetto imputato, per la sua vita e le sue
abitudini, sia riconducibile a un'area “sociologica” considerata prossima al ”mafioso –
tipo” oppure al “colletto bianco – tipo”.
L'art. 416 ter
Nel tentativo di superare i problemi legati alla configurabilità del concorso esterno
nel reato associativo e di assicurare il soddisfacimento delle esigenze repressive che ne
sono alla base, il legislatore, con l'art. 11 ter della legge n. 356/1992, ha previsto la
fattispecie di scambio elettorale politico - mafioso, introducendo nel codice l'art. 416 ter
“la pena stabilita dal c. 1 del 416 bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti
prevista dal terzo comma del medesimo art. 416 bis in cambio di erogazione di denaro”.
Da un punto di vista letterale la norma non richiede esplicitamente la presenza di
un’associazione, ma la sua collocazione nel codice, la stessa rubrica dell'articolo (che
allude a una forma di “scambio elettorale politico-mafioso”) e, soprattutto, il richiamo
alla “promessa di voti prevista dal terzo comma dell'art. 416 bis”, militano a favore
dell'opposta soluzione.
Infatti l'erogazione di denaro in cambio della promessa di voti può integrare di per
sé le fattispecie incriminatici in materia di corruzione elettorale.
La vigenza di tali norme, anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 416 ter, è
confermata dal fatto che l'art. 11 quater 1. n. 356/1992 si preoccupa di elevare il livello
sanzionatorio per l'ipotesi di corruzione elettorale, di cui all'art. 96 D.P.R. n. 361/1957;
sostenendo l'idea che l'art. 416 ter contempli e punisca lo scambio elettorale
intervenuto tra soggetti operanti uti singuli, si finirebbe, quindi, per avvalorare una
duplicazione di fattispecie destinate a colpire lo stesso comportamento criminoso.
Inoltre le modalità che caratterizzano l'intimidazione mafiosa risultano poco
conciliabili con il carattere “sinallagmatico” dell'accordo avente a oggetto l'erogazione di
denaro in cambio della promessa di voti: l'obiettivo di condizionare la libera espressione
del voto, in questo caso, viene perseguito non attraverso violenza o minaccia ma
offrendo una somma di denaro a titolo di corrispettivo dell'impegno a esercitare in un
certo modo la facoltà di scelta elettorale.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 113/114
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Lo scopo più evidente della norma, quindi, è quello di descrivere e tipizzare una
particolare ipotesi di compartecipazione "eventuale" nel reato associativo, incentrandola
sull'erogazione di denaro a favore di un'associazione mafiosa; un'utilità che risulta
subordinata alla correlativa promessa di voti da parte dell'associazione (De Francesco,
1995, p. 75).
La promessa di voti di cui al terzo comma dell'art. 416 bis deve intendersi come la
promessa di voti effettuata da un'associazione mafiosa di garantire un sostegno
elettorale adeguato in termini di un ostacolo di un impedimento o di un procacciamento
di voti anche a favore di terzi estranei all'associazione.
La promessa di voti, proprio perché riferita a quanto esposto dall'art. 416 bis, non
si può intendere come promessa di votare, ma di far votare terzi in numero sufficiente a
favorire il soggetto che ha erogato il denaro.
Circa
quest’ultimo,
l'idea
che
esso
debba
essere
destinato
a
favore
dell'associazione e non di un singolo associato risulta comprovato dalla pena prevista
per l'autore della condotta incriminata, individuata per relationem tramite il ricorso alla
sanzione prevista dal primo comma dell'art 416 bis. Ciò dimostra, ancora una volta, che
“l’essenza originaria ... del modello legale resta ... quello di un aiuto prestato da un
soggetto esterno all'associazione e rivolto al potenziamento e consolidamento ulteriore
dell'efficienza ... di quest'ultima” (De Francesco, 1995, p. 76).
La norma, in ogni caso, si rileva insufficiente rispetto all'intento perseguito dal
legislatore perché non si tiene conto del fatto che l'aiuto prestato all'associazione, nella
maggior parte dei gasi, non consiste in un'elargizione di denaro, ma nel favorire in
qualche modo le cosche (per es. facendo assumere persone da queste indicate come
dipendenti di pubbliche amministrazioni, specialmente locali).
L'articolo 418
Il delitto di assistenza agli associati (art. 418 c.p.), già previsto nel codice del 1930
in relazione all'art. 416, ha subito un'automatica estensione dopo l'introduzione dell'art.
416 bis. Esso troverà applicazione anche nel caso in cui "fuori dai casi del concorso nel
reato o di favoreggiamento, sia fornito rifugio o vitto a chi partecipa a un'associazione
di tipo mafioso". È prevista un'aggravante in caso di prestazione continuativa e la non
punibilità per il fatto commesso in favore di un prossimo congiunto.
La clausola di riserva, con cui esordisce la fattispecie, pone il problema
dell'individuazione di un preciso confine tra partecipazione del delitto associativo e
ipotesi di assistenza agli associati.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 114/115
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
L'orientamento dominante afferma che il contributo riconducibile all'art. 418 non
va a vantaggio dell'organizzazione nel suo complesso, ma dei singoli associati, anche se
diversi. Si concretizza un'ipotesi di assistenza e non di partecipazione all'associazione
anche quando ricorre la circostanza aggravante della prestazione continuativa, posto
che anche tale rete d'azione non avrebbe come destinataria l'associazione ma i singoli
membri (De Francesco, 1995, p.81).
Un altro criterio per distinguere la condotta associativa dalla condotta di assistenza
si può cogliere nel contenuto della volontà del soggetto che agisce.
Entrambe le prospettive, però, non sono pienamente convincenti. La prima non
considera adeguatamente il fatto che non è possibile cogliere un netto discrimine tra
contributi prestati continuativamente a membri, anche sempre diversi della medesima.
L'accertamento rischia di conseguenza di essere totalmente influenzato dal solo dato
finalistico soggettivo. In una prospettiva più garantista, si può ipotizzare "un ulteriore
percorso interpretativo che dia adeguato rilievo alla precisa tipizzazione dei contributi
più lievemente sanzionati dall'art. 418" (Insolera, 1996, p. 101). Un supporto può trovarsi
nei lavori preparatori del codice, in cui si valorizza la maggior precisione dei termini usati, vitto
e rifugio, rispetto all'ipotesi di "dare assistenza" del previdente art. 249. È significativo che il
legislatore abbia voluto imperniare la distinzione sulla tipicità della condotta, piuttosto che sulle
sue finalità.
Ne deriva che in presenza di quei comportamenti anche reiterati di cui al c. 2 dell'art.
418, non accompagnati, però, da ulteriori condotte materiali funzionali alla vita del
sodalizio, non sarà ipotizzabile il più grave delitto di partecipazione all'associazione.
La ratio storica della norma è obsoleta, ma ciò non significa che, attraverso forzature
interpretative, si possa configurare la partecipazione all'associazione anche in presenza della
sola condotta di dare rifugio o vitto agli associati, considerandola come espressione dello
svolgimento di un ruolo associativo.
Così ragionando, infatti, l'art. 418 troverebbe applicazione solo nel caso di prestazioni
occasionali e ciò è escluso esplicitamente dal secondo comma.
Articolo 418 e favoreggiamento
È opinione dominante che il rapporto tra l'ipotesi in esame e il delitto di
favoreggiamento(di regola personale ex art. 378 c.p.) sia risolvibile sulla base della
specifica intenzione che sorregge la condotta: se la prestazione del dare rifugio o vitto è
resa al fine di aiutare l'associato a sottrarsi alle ricerche o alle investigazioni dell'autorità,
ricorrerà la fattispecie più grave di cui all'art. 378 (De Francesco, 1995, p. 82).
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 115/116
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Grazie a una ricostruzione degli elementi oggettivi della fattispecie di favoreggiamento,
si può, però, tentare di costruire una strada più affidabile per riconoscere le due ipotesi.
Si deve porre un accento particolare sull'antitesi tra la condotta di aiuto e le indagini
dell'autorità giudiziaria. In tale ottica, “il pericolo per il bene tutelato no è semplice scopo
della tutela, ma criterio interno della sua conformazione – delimitazione”.
L'aiuto si realizza se il compimento della condotta di soccorso ha migliorato la
posizione dell'aiutato rispetto alle investigazioni e alle ricerche dell'autorità statale.
Bisogna che tale condotta d'aiuto modifichi la situazione di fatto, cioè il “contesto in cui si
gioca la partita fra investigatori e inquisito” (Insolera, 1996, p. 102).
In tal modo la distinzione tra la fattispecie di favoreggiamento e quella di assistenza non
si fonderà solo sulla prova dell'elemento soggettivo.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 116/117
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
La disciplina post- riforma del reato di false comunicazioni sociali.
Elementi di sintesi:
Al posto di unica ipotesi di reato (il vecchio testo dell'art. 2621 c.c.) il legislatore
ha previsto una fattispecie contravvenzionale e due ipotesi delittuose.
Così la nuova contravvenzione di cui all'art. 2621. cod. civ. False
comunicazioni sociali: “Salvo quanto precisato dall'articolo 2622, gli amministratori, i
direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il
pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle
relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al
pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di
valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge
sulla situazione economica, patrimoniale, o finanziaria della società o del gruppo al
quale essa appartiene, in modo idoneo a indurre in errore i destinatari sulla predetta
situazione; sono puniti con l'arresto fino a un anno e sei mesi. La punibilità è estesa
anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla
società per conto di terzi. La punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano
in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o
finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque
esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico
di esercizio al lordo delle imposte, non superiore a! 5% o una variazione del patrimonio
netto non superiore al 1%. In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di
valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non
superiore al 10% da quella corretta”.
Questa fattispecie contravvenzionale (raro esempio di contravvenzione dolosa) è
stata prevista dal legislatore al line di prevedere “un falso tout court per tutelare la
trasparenza”.
In sintesi i tratti salienti della nuova fattispecie:
Soggetti attivi: soltanto gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori
(non più presenti, come, invece, secondo la vecchia dizione, i promotori e i soci
fondatori).
Oggetto materiale: ferme le relazioni e il bilancio, le “altre comunicazioni sociali” sono
soltanto quelle “previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico” (ad esempio non
saranno più penalmente rilevanti i comunicati stampa o le dichiarazioni orali in
assemblea, lettere ad azionisti o creditori). Le comunicazioni sociali sono perciò solo
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 117/118
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
quelle tipiche, dirette ai soci o al pubblico come categoria, e non più tutte le
comunicazioni, scritte od orali, tipiche od atipiche che fossero, a chiunque rivolte.
È stato precisato il significato dell'espressione “condizioni economiche della
società”, parlando di “situazione economica, patrimoniale e finanziaria”, nonché del
gruppo cui la società appartiene e anche in riferimento a beni posseduti o amministrati
per conto terzi. Alla descrizione della condotta, costituita dall'esposizione di fatti non
conformi al vero o dall'occultamento di fatti circa le condizioni economiche della società,
si aggiunge che si deve trattare di fatti materiali non veri, anche concernenti
valutazioni, la cui comunicazione sia imposta dalla legge. All'evidenza, a parte l'ipotesi
del bilancio, visto il disposto dell'art. 2423 cod. civ. che stabilisce il principio di
chiarezza e veridicità della redazione del bilancio, la norma restringe fortemente
l'ambito delle omissioni incriminabili.
La condotta deve altresì essere idonea ad indurre in errore i destinatari della
comunicazione incriminata.
L'elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico (profitto ingiusto, cioè senza
causa), intenzionale (intenzionalità dell'inganno), con la finalità di conseguire per sé o
per altri un ingiusto profitto (tutti elementi che la pubblica accusa dovrà provare
specificamente per la sussistenza del reato sotto il profilo soggettivo). E' dunque
esclusa la semplice rilevanza del dolo eventuale.
Svariate ipotesi di non punibilità attraverso l'approntamento del sistema delle
soglie quantitative sono altresì presenti nel comma 5 del nuovo testo.
Se ne individuano quattro: una qualitativa e tre quantitative.
Quella
qualitativa
riguarda
la
variazione definita
“sensibile” dello
stato
economico - patrimoniale della società.
Quelle quantitative escludono la punibilità se le variazioni non superano il 5% del
risultato economico di esercizio al lordo delle imposte o all'1% del patrimonio netto e
permettono uno scostamento del 10% nelle valutazioni estimative rispetto alla stima
veritiera.
Scompare la vecchia aggravante ad effetto speciale di cui al vecchio art. 2640cc. .
operante in caso di rilevante entità, sostituita da un'attenuante prevista per il caso di
danno di lieve entità.
Infine la prescrizione del reato: è estremamente breve, avendo il legislatore scelto
la forma della contravvenzione (pur in presenza di atti interrutivi. Soltanto quattro anni
e mezzo per ottenere una sentenza passato in giudicato che contando la nota difficoltà
di accertamento sui bilanci e i tempi di acquisizione della prima notizia criminis rendono
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 118/119
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
particolarmente ardua la concreta punibilità della fattispecie esaminata)
La disciplina ante riforma del reato di false comunicazioni sociali.
L’art. 2621 cod. civ. puniva con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa
da lire due milioni a venti milioni, salvo che il fatto costituisse più grave reato, i
promotori, i soci, i fondatori, di amministratori, i direttori generali, i sindaci e i
liquidatori che - nelle relazioni, nei bilanci od in altre comunicazioni sociali - esponevano
fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della
società ovvero nascondevano in tutto o in parte fatti concernenti le condizioni
medesime.
La giurisprudenza aveva interpretato il reato in chiave plurioffensiva: da un lato
l'interesse
collettivo
alla
veridicità,
alla
correttezza
e
alla
completezza
delle
comunicazioni sociali e dall'altro gli interessi individuali e patrimoniali dei soci, dei
creditori e della stessa società.
L'oggetto
materiale
del
reato
stretto
nella
omnicomprensiva
nozione
di
“comunicazioni sociali” era interpretato dalla giurisprudenza ricomprendendo tutte le
comunicazioni,
scritte
o
orali,
effettuate
dai
soggetti
qualificati
della
società
nell'esercizio delle funzioni e annoverando, oltre alle comunicazioni interne, ogni
comunicazione esterna diretta ai soci, creditori o terzi interessati.
Relativamente alla locuzione “fatti non rispondenti al vero”, formula linguistica che
identificava la condotta punibile, la giurisprudenza comprendeva anche le “valutazioni”
(le cosiddette sopravvalutazioni delle poste del bilancio allo scopo di far risultare
esistenti attività non realizzate e le sottovalutazioni allo scopo di occultare attività
invece
esistenti).
Quanto
all'elemento
psicologico,
l'interpretazione
dell'avverbio
“fraudolentemente” aveva portato la giurisprudenza a far ritenere sufficiente, ai fini
della punibilità la sussistenza del dolo eventuale, e quindi la semplice accettazione del
rischio - e non la coscienza e volontà diretta - della verificazione di accadimenti lesivi
degli interessi tutelati. La sanzione penale, come detto, prevedeva la reclusione da uno
a cinque anni e la multa da 2 a 20 milioni di lire, salvo che il fatto costituisse più grave
reato (tale sanzione, inserita dal legislatore del 1942 con l'approvazione del Codice
Civile, rappresentava comunque un notevole alleggerimento (era dimezzata) rispetto a
quella prevista dal legislatore del
Le
maggiori
critiche
1930).
al
vecchio
testo
riguardavano
principalmente
l'indeterminatezza della fattispecie e la necessità di precisazione dell'oggetto materiale
del reato anche alla
luce dell'interpretazione giurisprudenziale, ritenuta troppo
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 119/120
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
estensiva dalla dottrina più attenta: le istanze di mutamento involgevano anche una
maggior specificazione dell'elemento soggettivo.
2622. False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori
“Gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali, con
l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un
ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste
dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali non rispondenti al
vero
ancorché
oggetto
di
valutazioni,
ovvero
omettendo
informazioni
la
cui
comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o
finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo a indurre
in errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale ai soci
o ai creditori sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a
tre anni.
Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato a
danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso
in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.
Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV titolo III. capo II. del
decreto legislativo 24 febbraio 1999. n. 58. la pena per i fatti previsti al primo comma è
da uno a quattro anni e il delitto è procedibile d'ufficio.
La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è estesa anche al caso in
cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrali dalla società per conto di
terzi.
la intuibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le
omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione
economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa
appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano
una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore
al 5% o una variazione del patrimonio nello non superiore al 1%.
In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che.
singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10% di quella
corretta.”
Uno degli elementi di novità è l’introduzione della condizione di procedibilità (per le
società non quotate) della querela di parte per la perseguibilità del reato.
L'anomalia è già evidente se si considera che il reato contravvenzionale (meno
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 120/121
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
grave) è perseguibile d'ufficio mentre il legislatore ha optato per razionabilità ad
iniziativa di parte per l'ipotesi più grave.
La querela consegna alla persona offesa (il socio o il creditore) la scelta di agire
rispetto alla statale esigenza di repressione penale e gli consegna altresì il potere di
decidere le sorti dell'eventuale procedimento penale instaurato: come noto infatti la
remissione della querela determina (magari a fronte di un incentivo economico alla
remissione da parte della società stessa) l'improcedibilità del reato.
La nuova fattispecie delittuosa appartiene alla categoria dei reati di danno (mentre
la figura contravvenzionale rientra tra quelle di pericolo concreto): così la diminuzione
del patrimonio dei soci o dei creditori si configura come evento del delitto di false
comunicazioni sociali.
In sintesi i tratti salienti della nuova disciplina:
- Soggetti attivi: soltanto gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i
liquidatori (anche in questa fattispecie sono stati esclusi i promotori e i soci
fondatori).
- Oggetto materiale: ferme le relazioni e il bilancio, le “altre comunicazioni sociali”
sono soltanto più quelle “previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico”, come già
osservato nell'analisi dell'art. 2621 c.c.
- L'elemento oggettivo del delitto ex art. 2622 ce. richiede, quale differenza
maggiore rispetto alla figura contravvenzionale, il determinarsi di un evento di danno,
ovviamente patrimoniale, per i soci o per i creditori.
- In presenza di danno, solo se la società è quotata in borsa il reato è procedibile
d'ufficio perché se la società non è quotata è stata prevista la condizione di procedibilità
della querela.
- Come già visto per l'art. 2621 c.c. la comunicazione deve essere prevista dalla
legge per la sua penale rilevanza ed è necessario che la legge “imponga” la
comunicazione.
- L'elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico (profitto ingiusto, cioè senza
causa), intenzionale (intenzionalità dell'inganno), con la ulteriore finalità di conseguire
per sé o per altri un ingiusto profitto.
- Il sistema delle soglie di non punibilità è lo stesso già descritto nell'analisi dell'art.
2621 cod. civ.
- La sanzione prevista è quella della reclusione da 6 mesi a tre anni se il reato
riguarda una società non quotata in borsa e della reclusione da uno a quattro anni se
riguarda una società quotata.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 121/122
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
- I delitti di cui all'art. 2622 ce. si prescrivono in cinque anni, con un massimo di
sette anni e mezzo in caso di atti interruttivi della prescrizione.
A norma poi dell'art. 280. comma 1. c.p.p. non possono essere applicate misure
coercitive per il reato commesso contro società non quotate, mentre per il reato
concernente società quotate può essere anche disposta la custodia cautelare in carcere
ex art. 280. comma 2 del codice di procedura penale: ai fini di indagine non sono altresì
consentite intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.
Il falso in prospetto.
“Chiunque allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei
prospetti richiesti ai fini della sollecitazione all'investimento o dell'ammissione alla
(inalazione nei menali regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione
delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, con la consapevolezza della falsità e
l'intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, espone false informazioni od accidia
dati o notizie in modo idoneo a indurre in errore i suddetti destinatari è punita, se la
condotta non ha loro cagionalo un danno patrimoniale, con l'arresto fino a un anno.
Se la condotta di cui al primo comma ha cagionato un danno patrimoniale ai
destinatari del prospetto, la pena è della reclusione da uno a tre anni”
La nuova fattispecie è stata introdotta per risolvere la disputa interpretativa che
aveva ad oggetto la riconducibilità o meno del prospetto informativo nel novero delle
comunicazioni rilevanti ex art. 2621 ce. ante-riforma.
In attuazione della delega, il d.lgs 61/2002 ha così introdotto due figure di reato
(una contravvenzionale e una delittuosa) dedicate in modo autonomo alla falsità nei
prospetti informativi trasmessi all'autorità di vigilanza in occasione delle sollecitazioni
all'investimento o dell'ammissione alla quotazione o nei documenti pubblicati in
occasione di una offerta pubblica di acquisto o di scambio.
Il reato è comune e può dunque essere commesso da chiunque suggerisce mentre
il bene giuridico tutelato è indubbiamente il patrimonio degli investitori.
L'elemento soggettivo richiede il dolo specifico del conseguimento, per sé o per
altri di un ingiusto profitto.
La pena prevista è dell'arresto fino ad un anno se la condotta non ha cagionato un
danno patrimoniale e della reclusione da uno a tre anni se la condotta ha cagionato un
danno patrimoniale ai destinatari.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 122/123
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Una visione d'insieme secondo il giurista.
La filosofia che ha ispirato la riforma è incentrata sulla drastica riduzione
dell'ambito di applicazione della fattispecie di false comunicazioni sociali, nella
convinzione forse tanto illusoria quanto astrattamente ideologica - che la trasparenza
dell'informazione
societaria
sia
obiettivo
da
perseguire
attraverso
le
effettive
potenzialità di autotutela dei mercati piuttosto che mediante la minaccia di severe
sanzioni penali. A ciò deve aggiungersi la scelta effettuata dal legislatore di affievolire il
controllo penale della correttezza degli amministratori delle società, attenuando le
sanzioni ed escludendo la responsabilità nei casi di minore gravità. Le fattispecie
astrattamente previste a tutela del capitale sociale e delle istituzioni societarie
troverebbero, infatti, le loro opzioni “qualificanti” in una serie di clausole che
costituiscono degli evidenti “indici di privatizzazione” (procedibilità a querela, cause di
estinzione
del reato, radicale bagatellizzazione delle aggressioni ai “soli”
beni
istituzionali) aventi l'effetto di annichilire la tutela dei beni istituzionali. Attraverso
queste clausole. [...] (autentiche “valvole di sicurezza” del perseguimento penale) i
precetti di cui si compone il nuovo diritto penale societario innescano al loro interno un
vero e proprio sistema autoimmunitario: dapprima descrivono l'aggressione a un bene
giuridico (il bene istituzionale): poi ne erodono i limiti di punibilità in astratto, da un lato
arricchendo il fatto di ulteriori elementi tipizzanti, incongrui rispetto allo spettro di tutela
di quel bene, dall'altro lato sviando la tutela stessa verso un altro bene (individuale: il
patrimonio), alla cui effettiva lesione viene subordinata la punibilità dell'intero fatto:
infine ne riducono anche i limiti della punibilità in concreto, subordinando la
perseguibilità alla querela.” La scissione della previdente norma in due reati autonomi,
uno di condotta e di pericolo, art. 2621 ce. l'altro di evento e di danno, art. 2622 ce. da
molti, considerati inadeguati, “di fatto sterilizzati quanto a impatto general preventivo”.
La frammentazione del reato in più fattispecie potrebbe, infatti, “non garantire
adeguatamente l'affidamento degli operatori del mercato sulla veridicità e trasparenza
delle informazioni societarie, e ciò anche a voler considerare che la contravvenzione
abbia ereditato questo compito di protezione dalla vecchia fattispecie di falso in bilancio,
continuando a presidiare la trasparenza del mercato”; il che, unito al regime di
procedibilità della fattispecie delittuosa, potrebbe essere interpretato come “un
messaggio di bagatellizzazione del falso”.
A questo punto “l'immaginata (dal legislatore) progressione offensiva tra pericolo e
danno” per gli interessi patrimoniali dei soci e creditori entra in crisi: ben difficilmente la
formula introdotta potrà garantire l'auspicato ritorno dal delitto alla contravvenzione
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 123/124
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
nelle ipotesi in cui a seguito della falsità sia accertata resistenza di un danno
patrimoniale ai soci o ai creditori e questo fatto tuttavia risulti improcedibile. In tal
caso, infatti, la clausola “salvo quanto previsto dall'art. 2622” suonerà come un limite
espresso all’applicabilità dell'art. 2621 ce. in quanto quel fatto, in concreto realizzatosi
(falso in bilancio con danno), è normativamente previsto dall'art. 2622 ce. che risulterà
la fattispecie espressamente indicata come applicabile al di là delle vicende legate alla
sua procedibilità” e poi perché prevedere la perseguibilità a querela di parte se tanto
l'autore del falso viene punito lo stesso? Tanto più che questa soluzione “porterebbe
inoltre, con sé un ulteriore effetto distensivo: la non proposizione o la remissione della
querela da parte del danneggiato non giocherebbe più alcun ruolo di incentivo al
risarcimento del danno, invertendo la logica transattiva - deflattiva. che sembrava
ispirare la riforma”. La contravvenzione ricorrerà sempre, in tutti i casi in cui non vi sia
o non sia per una ragione perseguibile il delitto e quindi, in caso di condotta idonea e
univocamente diretta a cagionare un danno, che non si verificherà, ricorrerà, non già il
tentativo del delitto, ma la contravvenzione che con essa è collocato in rapporto di
progressione criminosa.
Questa tutela per “cerchi concentrici”è completamente irrazionale. Sicché venuto
meno il delitto si ricadrebbe nella contravvenzione al solo fine di evitare “una possibile
censura” di legittimità costituzionale per disparità di trattamento tra l'autore di un falso
in bilancio che abbia cagionato un danno patrimoniale a soci o a creditori, punibile
(nelle società non quotate) per il delitto, ma solo a querela di parte e l'autore di un falso
in bilancio che non abbia invece arrecato alcun danno patrimoniale, punibile solo per
contravvenzione ma senza condizioni. Tuttavia, per la Corte d'Appello di Lecce la
“residualità” del nuovo art. 2621 rispetto al 2622. [...] deriva da ragioni letterali,
procedurali e sistematiche: la sostanziale sovrapponibilità tra le due fattispecie (che
differiscono solo per quel che concerne la procedibilità a querela e la causazione del
danno per la seconda rispetto alla prima), la necessità sistematica di “coprire” la
“plurioffensività” dell'originaria fattispecie, la maggiore ampiezza della prima fattispecie
rispetto alla seconda (da cui deriva, evidentemente, la ricaduta dei comportamenti
criminosi dal secondo reato al primo nel momento in cui. mancando la querela, non
appare possibile procedere nell'accertamento del reato di cui all'art. 2622 c.c.). E'
comunque piuttosto evidente che profili di tutela di beni istituzionali rivivano nell'ipotesi
contravvenzionale, definita quale “falso tout court per tutelare la trasparenza”, che (cito
la Relazione) “continuerà a salvaguardare quella fiducia che deve poter e riposta da
pane dei destinatari nella veridicità dei bilanci é della comunicazioni della impresa
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 124/125
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
organizzata in forma societaria”, soprattutto per il regime di perseguibilità, officiosa: del
resto, ove dovesse leggersi la contravvenzione — qualificata dalla assenza di un danno
patrimoniale ai soci e creditori — come offensiva (seppur nella forma del pericolo) dello
stesso bene giuridico, si ricadrebbe nell'insanabile contraddizione di perseguite sempre
e comunque l'ipotesi meno grave e condizionare viceversa alla proposizione della
querela la punibilità di quella delittuosa”. La critica di tale scelta privatistica si estende
al regime di perseguibilità del reato di cui all'art. 2622. a querela, ma officiosa se la
società è quotata, che rivela l'erroneo convincimento “che le società non quotate siano
sempre società di piccole dimensioni e soprattutto, nelle quali i soci non possono
assumere la posizione di investitori”.
Come è noto, invece, e ciò non può essere assolutamente sfuggito ai legislatori,
nella nostra realtà economica si conta “la presenza di società non quotate al vertice di
gruppi di primario peso economico e finanziario, ovvero all'interno dei medesimi” . In
entrambe
le
fattispecie
di
false
comunicazioni
sociali
la
condotta
consiste
nell'esposizione di “fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di
valutazioni”, oppure nell'omissione di
“informazioni, la cui comunicazione è imposta
dalla legge”.
L'oggetto materiale del reato è individuabile nei bilanci, nelle relazioni, nelle altre
comunicazioni sociali, che siano previste dalla legge e rivolte ai soci o al pubblico. Ciò
che differenzia profondamente, e caratterizza, le due fattispecie, oltre alla natura,
contravvenzionale nell'ipotesi di cui all’art. 2621. delittuosa in quella di cui all'art. 2622.
è la previsione di un evento di danno all'art. 2622. Per “bilancio d'esercizio” si intende
uno strumento di informazione economico, patrimoniale e finanziaria dell'impresa (in
bonis). finalizzato a fornire periodicamente informazioni sul risultato economico e sulla
situazione patrimoniale, nonché altre informazioni supplementari, secondo valutazioni
condotte sulla scorta di idonei principi contabili : a questo sono equiparati i bilanci
straordinari e quelli di liquidazione.
Bisogna sottolineare fin da ora come il D.Lgs. 6/2003. “Riforma organica della
disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3
ottobre 2001. n. 366” abbia modificato anche la parte relativa al bilancio. Il decreto
entrerà in vigore il 1.1.2004: i bilanci relativi a esercizi chiusi entro tale data seguono la
vecchia disciplina: per tutto il 2004 si potrà optare per entrambe (art. 223-undecies
disposizioni di attuazione del codice civile). Bisogna però ricordare che “bilancio falso (in
senso penale) non significa necessariamente bilancio invalido (in senso civilistico),
nemmeno quando la censura non risieda in qualche mancanza di rispetto delle norme
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 125/126
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
dettale per la sua approvazione di qualche specifica voce del bilancio stesso”, bensì in
qualche vizio sostanziale che ha alterato in modo inveritiero il risultato finale
dell'esercizio”, a fortiori nella nuova formulazione, coerentemente del resto con
l'apprezzabile scelta del legislatore di rendere più autonoma la normativa penalistica da
quella civilistica e data la non univocità interpretativa delle valutazioni. “Falsificazione
significa, infatti, inganno e richiama alla mente una delle condotte che caratterizzano,
ad esempio, il reato di truffa, che si realizza a mezzo di artifici e raggiri. Si può così
osservare che il falso si realizza quando si rappresenta ad altri una realtà in modo
difforme da ciò che è e quando i terzi, di questa falsa rappresentazione, abbiano avuto
effettivamente la percezione: siano restati, in altri termini, ingannati”. Qualora gli
amministratori scelgano criteri di valutazione incongrui, ma adeguatamente motivati
nella nota integrativa o nella relazione che sono tenuti a redigere, il bilancio risulterà
invalido, non penalisticamente falso. Vi sono così punti di contatto tra falsità
penalmente rilevante e invalidità in senso civilistico, tuttavia resta sempre l'inganno
come elemento concettuale di difformità. Possiamo dunque vedere da un lato l'azione
civile, con cui gli interessati impugnano un bilancio che assumono essere stato redatto
in difformità della legge civile: dall'altro l'azione penale, con cui l'autorità giudiziaria
smaschera e mette fine a quell'inganno che impediva agli interessati l'esercizio
dell'azione civile, non consentendo loro di accorgersi della falsità, e che chiaramente
dovrebbe fungere da deterrente.
L'occultamento va riferito a dati che si aveva l'obbligo giuridico di comunicare:
esso può riferirsi all'omessa specificazione dello stato di insolvenza del debitore, o del
fallimento di una partecipata o controllata, del pegno o sequestro di beni aziendali. La
condotta consiste cioè nel negare ai soci o ai terzi le informazioni essenziali sulla
consistenza effettiva del patrimonio sociale, sugli utili conseguiti, sulle perdite, sui
progetti e programmi dell'impresa.
Si possono così riscontrare tali condotte nell'omessa del fatto che alcuni beni
sociali siano in possesso di un terzo creditore pignoratizio, poiché rientrano nel concetto
di condizioni economiche della società, oltre all'entità delle poste di bilancio attive e
passive, tutte quegli elementi rilevanti ai lini della valutazione economica della società.
Ancora, si è ritenuto che la costituzione in pegno di tutti o quasi i beni sociali
riducesse follemente le possibilità di continuare i rapporti con i creditori, in
particolare le banche e i fornitori, e che quindi questa andasse considerata come
un'informazione essenziale.
E' da ritenersi che la condotta possa esplicarsi anche nel senso della simulazione.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 126/127
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Il quesito, su cui ci si è interrogati in dottrina, riguarda il caso di beni intestati alla
società, ma in realtà ad essa non appartenenti, oppure il caso di partecipazioni,
detenute in nome proprio, ma per conto di altri; se, cioè, gli amministratori debbano
attenersi a una valutazione di tipo formale o non piuttosto, al dato reale. Da un lato, il
bilancio deve rispecchiare la situazione economica dell'impresa, quale si desume dai
conti d'ordine dell'impresa, che ovviamente non riportano traccia della simulazione,
tanto più di regola non opponibile ai terzi. Dall'altro bisogna dire che il bilancio non è
vero solo quando rispecchi fedelmente le scritture contabili: infatti, se queste sono false
perché espongono fatti non conformi al vero oppure nascondono fatti rilevanti
nell'ambito della gestione, anche il bilancio lo sarà, di conseguenza. E' altresì vero che
se un bene è intestato alla società, per i terzi non vale l'accordo simulalo, ma è anche
vero che il bene, apparentemente attribuito al patrimonio della società, potrebbe essere
retrocesso al simulato alienante, in esecuzione dell'accordo simulato.
L'ordinamento sembra comunque orientato verso una rappresentazione di tipo
sostanzialistico,
prescrivendo
all'art.
2427
che
la
nota
integrativa
indichi
le
partecipazioni possedute per interposta persona o attraverso società fiduciarie. Alcuni
esempi di condotte potranno essere utili, soprattutto riguardo il caso dell'esposizione a
bilancio di un dato reale, ma con causale effettiva differente da quella esposta
(ed.”fondi neri”); casi tipici sono quelli di fatturazione per operazioni o prestazioni
inesistenti
a
terzi compiacenti,
che
retrocedono
poi il pagamento,
ovvero
di
maggiorazioni nel prezzo di operazioni o prestazioni pur realmente effettuate, o di
esposizione di costi per fittizie perdite in transazioni finanziarie, anche qui a fronte di
una retrocessione dell'utile da parte di chi l'ha conseguito. Il problema e vicino a quello
del falso qualitativo.
La giurisprudenza, pur se non unanime, affermava la rilevanza penale di tali
comportamenti . Pane della dottrina non era però concorde e portava a sostegno della
sua tesi le seguenti argomentazioni: se una società crea un'appostazione falsa a scopo
di corruzione, e la controparte tiene i relativi fondi a disposizione, i beni sembrano usciti
dalla disponibilità della società, ma in realtà non lo sono, donde la falsità; se la società
effettua il pagamento e dà mandato alla controparte di corrompere con quel denaro un
pubblico ufficiale, i beni sarebbero effettivamente usciti dalla disponibilità della società.
Si osservava però che in entrambi i casi, come già sottolineato, si esponevano in
bilancio fatti non rispondenti al vero quanto alla causale di un determinato costo, a
prescindere dal verificarsi di un concreta ed effettiva deminutio patrimoniale per la
società, e comunque sempre a tutto svantaggio della possibilità per i creditori e gli
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 127/128
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
investitori di fare affidamento sul patrimonio sociale e di valutare correttamente la
solidità dell'impresa; di conseguenza tali comportamenti, di fuori degli schemi
comportamentali
tipici
e
normali,
erano
considerati
illeciti
dalla
prevalente
giurisprudenza. Attualmente, a prescindere dalla soluzione che si voglia dare al
problema del falso qualitativo, in simili casi bisognerà valutare la sussistenza
dell'elemento soggettivo del reato e in particolare del dolo specifico: la concreta
idoneità ingannatoria delle scritture contabili; il superamento delle soglie di punibilità
o l'alterazione sensibile della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della
società; eventualmente, il verificarsi dell'evento, costituito dal danno patrimoniale.
Continuando con l'analisi delle possibili condotte di falsificazione, vediamo come
queste
possano
interessare
singoli
aspetti
della
redazione
del
bilancio.
L'art. 2423-bis n. 4 c.c.. stabilisce che “si deve tener conto dei rischi e delle perdite di
competenza dell'esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo”; per
esempio, oneri previsti per manutenzioni e garanzie, sanzioni pecuniarie, pendenze
giudiziarie, perdite presunte su crediti commerciali.
In tali casi gli amministratori dovranno valutare rischi e perdite “secondo prudenza
e nella prospettiva della continuazione dell'attività.” (art. 2423-bis n.1 c.c.), “nonché
tenendo conto della funzione economica dell'attivo o del passivo considerato”
(aggiunta ex d.lgs. 6/2003).
Ancora, i crediti devono essere iscritti secondo il valore presumibile di realizzazione
(art. 2426. n. 8 c.c.), con separata indicazione per: clienti, controllate, collegate,
controllanti, per crediti tributari e imposte anticipate (art. 2424 c.c.). L’art. 2424 c.c..
prevede, al passivo. lett. B). fondi per rischi e oneri (per trattamento di quiescenza e
obblighi simili, per imposte, altri). La valutazione circa le possibilità di realizzazione del
credito, se questo sia da considerarsi in sofferenza, e l'entità della percentuale generica
di svalutazione rispetto al valore nominale da applicarsi per ciascun credito (percentuale
solitamente ottenuta considerando l'ammontare complessivo dei crediti commerciali e
stabilendo quanti anno per anno mandarne a perdita, e la media delle percentuali di
perdita degli anni precedenti) sono rimesse alla discrezionalità degli amministratori, ma
l'art. 2427 n.1 c.c. impone l'indicazione dei criteri applicati nella valutazione delle voci
di bilancio. Un credito verso un fallito dovrebbe essere azzerato, salvo un prevedibile
buon esito della procedura concorsuale.
Il principio di prudenza impone dunque la svalutazione: l'eventuale adempimento o
il fruttuoso riparto concorsuale dovrebbero dar luogo, per competenza, ad una
sopravvenienza attiva. La percentuale di svalutazione varia altresì a seconda delle
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 128/129
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
garanzie
che
eventualmente
assistano
il credito,
dell'anzianità di questo,
della
consistenza del gruppo cui il debitore appartenga, delle politiche della capogruppo
circa i debiti delle controllate.
È evidente come il rischio di alterazioni sia qui elevato, data l'ampia discrezionalità
degli amministratori: poi non c'è un obbligo di evidenziare analiticamente i crediti
(nella nota integrativa si può trovare anche solo un breve cenno al metodo di
determinazione del rischio, e senza esporre l'andamento delle perdite a consuntivo
degli anni precedenti, un'eventuale sottovalutazione sarà impossibile da individuare
alla
sola
lettura
all'accantonamento
del
bilancio
della
e
differenza
avrà
tra
effetto,
valore
qualora
si
dovesse
procedere
nominale
e
stimato,
tanto
sul
patrimonio netto quanto sul risultato d'esercizio.
In materia di crediti si ricordi che il D.Lgs. 27.1.1992 n. 87. sui bilanci bancari e
finanziari, attribuisce rilevanza normativa ai criteri di classificazione del credito in
situazione di anormalità: esso impone (art. 23 lett. g) l'indicazione dei crediti cd. “in
sofferenza” nella nota integrativa, da allegare al bilancio d'esercizio; mentre l'art. 20 c.
4 indica i criteri di valutazione dei crediti suddetti, con l'obbligo per gli amministratori di
calcolare la solvibilità dei debitori e il cd. “rischio Paese”. La Banca d'Italia ha definito
due grandi categorie di crediti:
- quelli in sofferenza, in cui il debitore è insolvente, a prescindere da eventuali
accertamenti giudiziali o in situazioni sostanzialmente equiparabili;
- quelli incagliati, in cui il debitore si trova in transitoria situazione di difficoltà, che
si prevede possa essere rimossa in un congruo periodo di tempo, tali categorie
potranno comunque valere anche per enti non finanziari. Presumibilmente, considerare
un credito in “sofferenza”,
secondo parametri normativi, costituisce un “fatto
materiale”, una volta stabilita la percentuale di svalutazione (il
che
costituirà
una
valutazione). Può ancora accadere che si iscrivano tra le immobilizzazioni immateriali
costi immaginari o privi del requisito dell'utilizzazione pluriennale, le partecipazioni in
imprese controllate o collegate posso essere iscritte o al costo di acquisizione o col
metodo del patrimonio netto, cioè calcolando la quota di partecipazione del patrimonio
netto risultate dall'ultimo bilancio, meno i dividendi eventualmente ottenuti dalla
partecipata stessa. Le partecipazioni che non costituiscono immobilizzazioni sono
valutate al costo di acquisizione salvo che il valore di mercato non risulti minore. La
differenza tra il costo e l'eventuale minor valore costituisce una minusvalenza, che deve
essere iscritta in conto economico sotto la voce “rettifiche di valore delle attività
finanziarie”
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 129/130
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
La valorizzazione delle partecipazioni influenzerà così, per il suo valore, lo stato
patrimoniale e, per il costo di acquisto e/ o per la minusvalenza predetta, il conto
economico: e quindi potranno avere rilievo tanto le soglie “reddituali”, quanto quelle
“patrimoniali”. Allorché si debba poi procedere alla svalutazione della partecipazione,
potranno entrare in campo anche le soglie valutative. Eventuali interventi (in
particolare, di senso espansivo dei risultati di bilancio e del patrimonio
degli
amministratori
minor
valore,
si
ovvero
concentreranno
mutando
(in
pertanto
modo
dell'impresa)
sulla durevolezza (negata) del
ingiustificato)
la
qualificazione
immobilizzate/non immobilizzate delle partecipazioni stesse.
L'opinione del laico.
Una legge approvata nei primi cento giorni del governo Berlusconi depenalizza di
l'atto il reato di falso in bilancio, trasformato da «reato di pericolo» (che protegge
interessi diffusi) a «reato di danno» (che protegge chi ha ricevuto un danno
economico), arricchito negli elementi del tipo; diminuendo la sua possibilità di
concreta
verificazione.
Limitare una
ipotesi delittuosa
alla
circostanza
per cui
l'offesa raggiunga la soglia del danno significa restringere l'ambito di operatività di
una norma alle sole ipotesi di consumazione dell'azione criminosa, trascurando i casi
in cui l'offesa si rappresenti solo in potenza, arrestandosi allo stadio del pericolo. In
genere, quando il legislatore si riferisce solo all' effettiva lesione, denuncia in questa
scelta una limitata importanza sia dell'azione commessa sia del bene giuridico da
tutelare.
Quando
invece
arretra
la
soglia
all'ipotesi
di
pericolo,
segnala
una
particolare gravità dell'azione ed una particolare importanza del bene giuridico da
tutelare. C'è da chiedersi se l'economia non sia un bene di 'particolare importanza
per il quale andrebbero incriminate forme di aggressione arretrate alla soglia del
pericolo. E c’è da chiedersi inoltre a quale nozione di economia si è inteso riferire il
legislatore.
Proprio
mentre l'economia
diventa
finanziaria,
si globalizza
e le
informazioni diventano essenziali, infatti, questa legge tradisce una concezione
vecchissima, privatistica, individuale, patrimoniale, dell'economia. E presuppone che
parti interessate alle comunicazioni societarie siano i soci ed eventualmente i creditori,
e non invece il mercato nella sua interezza, la cui correttezza e trasparenza dev’essere
garantita da regole certe. Secondo la nuova legge, nel caso di società non quotate in
Borsa il falso in bilancio può essere perseguito soltanto in seguito a querela di parte:
querela assolutamente improbabile, poiché di norma i soci, che avrebbero modo a
querelare, sono coloro che traggono benefici dal reato. «Sarebbe come pretendere che
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 130/131
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
il furto divenga perseguibile a querela del ladro», ha commentato il magistrato
Piercamillo Davigo. Quasi impossibile indagare e arrivare a una sentenza di condanna
anche in caso di società quotate, per effetto delle nuove norme: minori i mezzi di
indagine permessi, più rapida la prescrizione, più larghe le maglie della legge. Non è
infatti più perseguibile il falso in bilancio sotto determinate soglie (viene introdotta così
la «modica quantità») e il «falso qualitativo» (cioè l'iscrizione a bilancio di partite vere,
ma sotto nomi diversi dal vero). Sono dunque legalizzati i fondi neri (e quindi le
tangenti, che dai fondi neri sono attinte), che possono essere iscritti a bilancio sotto la
voce, per esempio, «pubbliche relazioni». Possono essere legalmente gonfiati i giri
d'affari, con entrale fasulle a cui corrispondano altrettanto fasulle uscite, purché la
somma finale non si discosti troppo dal vero: simulare grossi giri d'affari è utile non solo
per ottenere credito bancario ma, più in generale, falsa l'immagine dell'azienda nel
mercato.
La nuova legge sul falso in bilancio ha prodotto precisi effetti impunità su tre
processi in corso a Milano nei confronti di uomini Fininvest: per il passaggio del
calciatore Gianluigi Lentini dal Torino al Milan: per i bilanci della Fininvest e per la
questione dei 21 miliardi pagali a Bettino Craxi attraverso la società All lberian: per la
galassia delle società off-shore della Fininvest-ombra. detta «Fininvest Group B-very
discreet». Legge approvata e vigente, è in plateale contrasto con la tendenza in atto
invece negli Stati Uniti, dove dopo i recenti scandali finanziari sono stati resi ancor più
rigorosi i controlli e più severe le pene per garantire la trasparenza e la correttezza dei
mercati. I manager delle società americane sono stati costretti dalla SEC, l'agenzia di
controllo della Borsa, a firmare una dichiarazione giurata sulla veridicità dei loro bilanci.
Chi giura il falso rischia 20 anni di carcere 5 milioni di dollari di multa e l'esclusione
dalla business community.
I punti critici della normativa attuale secondo l'analista finanziario.
I ) è stato introdotto un regime differenziato per società quotate e non quotate in
Borsa: la disciplina repressiva sulle false comunicazioni sociali è stata resa più blanda
per quelle non quotate sotto due aspetti:
• per le società non quotate, la massima pena detentiva è stata abbassata, rispetto
a quanto previsto dalla normativa precedente:
• il reato di false comunicazioni sociali è perseguibile d’ufficio solo per società
quotate in Borsa;
2) i termini di prescrizione del reato sono stati ridotti;
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 131/132
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
3) è stata introdotta una soglia di tolleranza “obbligatoria” per falsità e omissioni
che “(...) determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle
imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore ali
1% (...)” ( vedi sopra nuovi articoli 2621 e 2622 del codice civile, come modificati dal
decreto legislativo 61 2002). Tale soglia vale sia per le società quotate che per quelle
non quotale.
Tolleranti per legge
Concentriamo la nostra riflessione su quest'ultimo aspetto. La vigente normativa
sulle false comunicazioni sociali prescrive che la punibilità per falsità e omissioni nella
redazione del bilancio sia “comunque esclusa” quando tali falsità od omissioni non
determinano una variazione “eccessiva” dell' utile lordo di esercizio”. In altre parole, gli
amministratori che sopravvalutino o sottovalutino l'utile lordo d'esercizio per un importo
minore del 5% sono in ogni caso non punibili per il reato di false comunicazioni sociali.
Il riferimento a un limite del 1% rispetto al patrimonio netto fornisce un ulteriore
soglia di tolleranza per imprese in perdita o in pareggio.
E vero che sopravvalutazioni e sottovalutazioni del risultato d’esercizio possono
dipendere anche da errori non intenzionali. Tuttavia, il
fatto che la punibilità sia
“comunque esclusa” per variazioni sotto la soglia del 5% impedisce di colpire quelle
fraudolente se di “modica” entità.
Effetti sul costo del capitale
Il punto cruciale è che coloro che vogliono investire in una data impresa
tipicamente
si
basano
sul
bilancio
di
esercizio
per
valutare
la
profittabilità
dell'investimento. Il bilancio di esercizio dovrebbe infatti fornire una “rappresentazione
veritiera e corretta” dell'andamento dell'impresa. La soglia di tolleranza obbligatoria
rende strutturalmente più “rumoroso” il segnale fornito dal bilancio di esercizio a
proposito dell'andamento dell'impresa. Chi legge il bilancio di un'impresa e non dispone
di informazioni aggiuntive, non sa con certezza se questa soglia di tolleranza sia stata
sfruttata per sopravvalutare o sottovalutare il risultato d'esercizio.
Definito nella letteratura “estimation risk”. questo fattore è preso in considerazione
da chi voglia investire nell’impresa e sia avverso al rischio. Uno dei principi
fondamentali della teoria della finanza (e anche del comune buon senso) è che
investitori avversi al rischio richiedano un tasso di rendimento che è crescente nel
rischio non diversificabile dell'investimento.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 132/133
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Nella letteratura si discute da tempo su quali siano gli effetti positivi sul costo del
capitale per le imprese che decidano di fare “voluntary disclosure”. ovvero decidano di
fornire informazioni aggiuntive rispetto a quelle inderogabilmente richieste dalla legge o
dai regolamenti di Borsa. L'idea è che. controllando per altri fattori, in particolare la
qualità dell'impresa, informazioni aggiuntive diminuiscano l’estimation risk e con esso il
costo del capitale.
Al contrario, la vigente normativa italiana sul falso in bilancio inserisce d' imperio,
tramite la soglia di tolleranza obbligatoria, un estimation risk aggiuntivo. L'investitore
che legga sul bilancio dell’impresa A un risultato d'esercizio di 100. non sa con
esattezza se a ciò corrisponda un utile effettivo di 95.24 (nell'ipotesi in cui gli
amministratori dell’impresa abbiano sfruttato la soglia a fini di sopravvalutazione),
oppure un utile di 105.26 (nell’ipotesi opposta di sottovalutazione).
Onesta incertezza sugli utili presenti si traduce pari passo in un’incertezza sugli
utili futuri: investitori avversi al rischio richiederanno perciò un tasso di rendimento
maggiore sui capitali di rischio e di debito eventualmente impiegati nell’impresa, per
compensare il rischio aggiuntivo.
Questo è un piccolo effetto di equilibrio generale, che può avere conseguenze
negative sui tassi di investimento delle imprese italiane, tramite un costo del capitale
più elevato.
Inoltre, in un' ottica di economia aperta, investitori stranieri che stanno valutando
l'opportunità di investire in Italia potrebbero essere dissuasi proprio dal fatto che i
bilanci d'esercizio delle imprese italiane forniscono segnali comparativamente meno
precisi sulla loro profittabilità.
Infine, se è vero che uno dei problemi fondamentali della struttura produttiva
italiana è l'eccessiva dipendenza delle imprese dal finanziamento bancario. la soglia di
non punibilità, impoverendo il contenuto informativo del bilancio d'esercizio, fornisce un
ulteriore vantaggio comparato a quegli investitori che possono più facilmente
oltrepassare il bilancio d' esercizio e consultare direttamente le scritture contabili
dell'impresa da finanziare, ovvero le banche stesse.
Il punto di vista dell'economista
La protezione da offrire ad una società può essere privata o pubblica. Nel primo
caso si può pensare che la società compri un'assicurazione sui titoli da compagnie di
assicurazione private nell'interesse dei loro piccoli azionisti: ma si tratta di una
soluzione che probabilmente comporta costi di transazione troppo elevati per la
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 133/134
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
maggior parte dei “soci di risparmio” (peraltro questa soluzione introduce un'ipotesi
di azzardo morale in capo alla società che si assicura e sposta il problema della
correttezza da quest’ultima all'assicuratore).
La protezione pubblica si giustifica non solo perché quella privata non appare
particolarmente efficiente, ma soprattutto perché l'individuazione e la punizione della
frode hanno un effetto positivo per la coesione sociale e per l'integrità del mercato. La
tutela pubblica parte dall'imposizione di vincoli di trasparenza per prevenire la frode:
la loro violazione può essere sanzionata, però, con l'azione civile o con quella penale.
L'intervento sociale attraverso, ad esempio, il riconoscimento di danni multipli in
un'azione di risarcimento civile potrebbe stimolare anche un piccolo azionista o un
loro limitato gruppo ad agire in difesa dei propri interessi sapendo che. in caso di
vittoria, essi saranno risarciti per un multiplo del danno subito. E se anche
quest'incentivo fosse insufficiente, si dovrebbe lasciare soltanto al mercato la
responsabilità di sanzionare la correttezza dei manager, forse solo nel lungo termine?
Certamente no. Al riguardo è possibile mutuare l'ipotesi di rappresentanza avanzata
da Dewatripont e Tirole in relazione alla regolamentazione prudenziale delle banche:
per ovviare al freeriding è necessario che gli azionisti minori siano rappresentati e
dilesi dallo stato e che quest'ultimo svolga l'azione di tutela ricalcando il tipo di
controllo che gli investitori avrebbero esercitato se fossero più esperti, perfettamente
coordinali ed economicamente motivati. E' evidente che l'argomento richiama ancora
il dibattito sui meccanismi di corporate govemance e riecheggia anche le intuizioni
neoistituzionaliste di Williamson ricordate precedentemente. In altri termini, ciò
significa che lo stato potrebbe esercitare l'azione civile e ottenere un multiplo dei
danni pei” la totalità degli azionisti che non hanno agito in giudizio. Se poi fossero
particolarmente toni l’allarme sociale e il timore di andamenti marcatamente negativi
sui mercati finanziari, nulla vieta che si faccia ricorso all'azione penale. Tanto
l'azione civile ipotizzata in precedenza quanto quella penale addossano l'onere della
prova sui pubblici poteri.
Perciò, la sanzione penale per la violazione degli obblighi circa la veridicità e la
completezza dell'informazione societaria non è una conseguenza necessaria della vita
economica e giuridica, ma il risultato di una scelta politica anche quando essa è
compiuta senza un'esplicita valutazione dei pro e dei contro. Inoltre, la diversità delle
situazioni societarie fa vedere chiaramente che sono possibili e, forse, auspicabili
soluzioni articolate che non scarichino tutto l'onere sulla giustizia penale. Infine, senza
la messa in opera di adeguati incentivi che rendano gli interessi dei manager coerenti
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 134/135
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
con quelli degli azionisti e dell'intera collettività la sola tutela giudiziaria non appare
sufficiente a combattere la falsità nelle comunicazioni sociali.
Concludendo, le stesse teorie economiche interessate a riscoprire “l’economia
politica”, tuttavia, ricordano con enfasi che. nel ricostruire lo schema di incentivi più
indicato per affrontare la questione del falso in bilancio, non si può trascurare il
contesto culturale e istituzionale nel quale questa problematica viene esaminata e per il
quale viene proposta un'ipotesi di riforma. Lo studio dei risultati raggiunti da una
determinata formula in realtà diverse è molto utile, ma il confronto non va limitato ai
risultati. Solo in tal modo diviene possibile proporre soluzioni efficaci in quanto attuabili
“dal basso” (ovvero partendo dagli incentivi degli operatori e di conseguenza da questi
condivise) e si evita di incorrere in prescrizioni o in riforme dettate “dall'alto” ed esposte
al rischio di conflitto con il sistema, sottostante e preesistente.
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 135/136
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
SOMMARIO:
Caratteristiche e funzioni del diritto penale............................................................................................ 1
Funzioni di tutela del diritto penale: la protezione dei beni giuridici ..................................... 1
I principi di “sussidiarietà” e di “meritevolezza di pena”. ........................................................... 7
Il principio di frammentarietà .................................................................................................................... 8
Il principio di «autonomia» ........................................................................................................................ 9
Partizioni del diritto penale ......................................................................................................................... 9
La funzione di garanzia della legge penale ........................................................................................ 10
La riserva di Legge: fondamento e portata ........................................................................................ 11
Il concetto di «legge» nell'art. 25, comma 2°, Cost. e nell'art. 1 c.p. ................................. 12
Rapporto legge-fonte subordinata: i diversi modelli di integrazione ................................... 13
Rapporto legge-consuetudine .................................................................................................................. 14
Riserva di legge e normativa comunitaria.......................................................................................... 14
Il principio nulla poena sine lege............................................................................................................ 15
Il principio di tassatività: premessa...................................................................................................... 16
Principio di tassatività e tecniche di redazione della fattispecie penale ............................ 17
Il principio di irretroattività ...................................................................................................................... 18
La disciplina dettata dall'art. 2 del codice penale .......................................................................... 19
Successione di leggi e applicabilità della disposizione più favorevole al reo................... 20
Successione di leggi integratrici di elementi normativi della fattispecie criminosa
(modifiche cosiddette «mediate» della fattispecie incriminatrice) ...................................... 20
Successione di leggi temporanee, eccezionali e finanziarie...................................................... 21
Decreti-legge non convertiti ..................................................................................................................... 22
Leggi dichiarate incostituzionali ............................................................................................................. 23
L'INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE PENALE......................................................................................... 24
Natura dell'atto interpretativo................................................................................................................. 24
Teoria soggettiva e teoria oggettiva dell'interpretazione............................................. 25
Mezzi di interpretazione.............................................................................................................................. 26
I metodi dell'interpretazione.................................................................................................................... 27
Il metodo teleologico in particolare. ..................................................................................................... 28
L'analogia in generale. ................................................................................................................................. 30
L'analogia nel diritto penale. .................................................................................................................... 30
L’EFFICACIA DELLA LEGGE PENALE ........................................................................................................... 33
LIMITI TEMPORALI ............................................................................................................................................ 33
La successione delle leggi .......................................................................................................................... 33
Nuove incriminazioni. ................................................................................................................................... 34
Abolizione di incriminazioni precedenti. ............................................................................................. 34
Nuove disposizioni soltanto modificative. .......................................................................................... 35
Significato di “disposizione più favorevole”...................................................................................... 36
Leggi eccezionali, temporanee e finanziarie. .................................................................................. 36
Decreti legge non convertici e leggi incostituzionali .................................................................... 37
Il tempo del commesso reato................................................................................................................... 38
Gli elementi costitutivi del reato ................................................................................................................. 41
La tipicità ............................................................................................................................................................. 42
L'autore ................................................................................................................................................................ 43
Soggetto passivo .............................................................................................................................................. 44
L'oggetto materiale dell'azione ............................................................................................................... 45
La condotta e la coscienza e volontà dell'azione ............................................................................ 45
L'evento................................................................................................................................................................ 46
Nesso di causalità ............................................................................................................................................ 47
L'antigiuridicità ................................................................................................................................................ 47
Principali cause di giustificazione ............................................................................................................ 49
La colpevolezza ................................................................................................................................................ 51
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 136/137
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
L'imputabilità ..................................................................................................................................................... 51
Il contenuto della colpevolezza: dolo e colpa ..................................................................................... 54
Dolo. ...................................................................................................................................................................... 54
Le varie classificazioni del dolo ................................................................................................................. 55
Colpa...................................................................................................................................................................... 55
IL SISTEMA SANZIONATORIO .............................................................................................................................. 57
La Pena .................................................................................................................................................................... 57
Le funzioni della pena .................................................................................................................................................. 58
La funzione retributiva e preventiva della pena ........................................................................................................ 59
Commisurazione ed estinzione delle pene ................................................................................................................. 61
Misure di sicurezza e misure di prevenzione ............................................................................................................. 62
Il D. Lgs. N° 231/2001 .............................................................................................................................................. 63
Il primo passo verso la responsabilità penale delle persone giuridiche? ................................................................... 63
La discrasia tra denominazione e contenuto ............................................................................................................. 64
La struttura del D. Lgs. N. 231/01 ................................................................................................................................ 66
Il cuore della disciplina contenuta nel D. Lgs. N. 231/01.......................................................................................... 67
Il problema della responsabilità penale delle persone giuridiche............................................................................... 70
La criminalità d'impresa .......................................................................................................................................... 70
Gli ostacoli dogmatici al riconoscimento della responsabilità penale delle persone giuridiche ................................... 72
Il diritto penale è tradizionalmente un diritto antropocentrico! ................................................................................ 72
La responsabilità penale delle persone giuridiche nel mondo ....................................................................................... 75
Il sistema Angloamericano ....................................................................................................................................... 76
Gli ordinamenti di civil law europei ............................................................................................................................ 77
CORPORATE GOVERNANCE e diritto penale ............................................................................................... 81
I segni distintivi dell'impresa ed esigenze di tutela ......................................................................... 85
Il marchio e la sua funzione ...................................................................................................................... 86
La disciplina civile del marchio: le tipologie ...................................................................................... 87
Requisiti di validità del marchio............................................................................................................... 88
Tutela civile del marchio.............................................................................................................................. 89
La tutela penale del marchio ...................................................................................................................... 90
La contraffazione del marchio .................................................................................................................. 90
Il caso: collari Bayer ...................................................................................................................................... 92
Commercio di prodotti con marchio contraffatto ............................................................................ 92
Contraffazione di marchio mediante importazioni parallele, il caso "Calvin Klein"........ 93
La tutela penale dei rapporti societari...................................................................................................... 95
La nozione di società..................................................................................................................................... 95
I reati societari e la realtà sociale.......................................................................................................... 95
L'oggetto della tutela.................................................................................................................................... 96
I soggetti attivi: gli amministratori ....................................................................................................... 97
Gli amministratori........................................................................................................................................... 98
I direttori generali.......................................................................................................................................... 98
I sindaci ............................................................................................................................................................... 99
Il problema dei reati collegiali ................................................................................................................. 99
I Reati di Bancarotta ................................................................................................................................... 100
Imprenditore e scritture contabili ........................................................................................................ 100
Le disposizioni penali.................................................................................................................................. 102
Bancarotta fraudolenta patrimoniale.................................................................................................. 103
Bancarotta fraudolenta documentale ................................................................................................. 103
Bancarotta fraudolenta preferenziale ................................................................................................ 104
Bancarotta semplice patrimoniale ....................................................................................................... 104
Bancarotta semplice documentale ....................................................................................................... 105
Cenni sulla disciplina del concorso di persone nel reato .......................................................... 105
Art. 416 bis codice penali: Associazione di stampo mafioso................................................... 107
La connotazione mafiosa e gli elementi del reato ........................................................................ 107
Il sistema sanzionatorio............................................................................................................................ 109
Il Concorso esterno ..................................................................................................................................... 109
Il dibattito sulla configurabilità del concorso esterno ...................................................................... 110
L'art. 416 ter ................................................................................................................................................... 113
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 137/138
Università degli Studi di Salerno - Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
L'articolo 418 .................................................................................................................................................. 114
Articolo 418 e favoreggiamento ................................................................................................................ 115
La disciplina post- riforma del reato di false comunicazioni sociali. ...................................... 117
Elementi di sintesi: ...................................................................................................................................... 117
La disciplina ante riforma del reato di false comunicazioni sociali. .................................... 119
2622. False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori ................................... 120
Il falso in prospetto..................................................................................................................................... 122
Una visione d'insieme secondo il giurista. ....................................................................................... 123
L'opinione del laico. ..................................................................................................................................... 130
I punti critici della normativa attuale secondo l'analista finanziario. ................................ 131
Tolleranti per legge...................................................................................................................................... 132
Effetti sul costo del capitale .................................................................................................................... 132
Il punto di vista dell'economista........................................................................................................... 133
Diritto Penale delle Organizzazioni – Riassunto dalle dispense
www.nellospina.it
Pag. 138/139