Il Costume, la Moda, la Salute

Il Costume, la Moda, la Salute
Prof. Dr. Emilia Costa - Presidente Società Italiana Psicopatologia di Genere - Roma
Elisabetta Costa - Membro Società Italiana Psicopatologia di Genere - Roma
Relazione presentata al Convegno “Donna, Moda, Salute”- Sala piccola Protomoteca del
Campidoglio - 19 Maggio 2011 – ore 18
IL costume inteso come modo consueto di pensare e di comportarsi, contratto per
educazione o dal patrimonio della tradizione è indicativo della personalità
dell’individuo e della collettività, dei suoi principi e della sua morale. Indica
l’abitudine, la consuetudine, un complesso di usanze, di atteggiamenti dominanti,
caratteristici di un popolo, di un paese, di una località in un determinato periodo
storico. Come pure la foggia nel vestire di particolari luoghi, in certi tempi ed in certi
ambienti, connessa a particolari significati tradizionali o popolari (storici, artistici,
musicali, teatrali). La storia del costume ci svela i diversi elementi dell’evoluzione
dell’umanità dall’inizio ai nostri giorni. Ma la principale testimonianza del
cambiamento dei costumi è visibile nell’abbigliamento, con cui l’essere umano ha
rappresentato se stesso nella società e si è caratterizzato anche come classe sociale di
appartenenza, rappresentando i suoi bisogni e desideri nelle varie dimensione e
fattezze del vestire e dell’apparire. Sono nate così le mode, che influenzate dal
passato e dal desiderio di futuro, dalle leggende e dal folclore, identificano le
caratteristiche peculiari e dei cambiamenti di stile di ciascun periodo storico, nelle
diverse culture. Man mano la consapevolezza del valore del corpo rappresentato
nell’eleganza ha acceso la fantasia e sviluppato la creatività nella foggia degli abiti e
degli ornamenti. La moda, tra pudore e seduzione, tra desiderio di coprire il corpo e
quello di mostrarlo, ha trovato nella bellezza l’elemento essenziale di coesione tra le
diverse istanze dell’espressività corporea in ciascun contesto sociale e periodo
storico.
In realtà costumi e mode esprimono il profumo culturale di un'
era, di un secolo, di un
periodo, e si esprimono nelle più varie manifestazioni dell'
esistere, dalla scienza, alla
salute, alle arti, alla letteratura, alle diverse professionalità ed ai comportamenti.
Anche la parola moda, come il costume, indica uno o più comportamenti generali e
collettivi secondo criteri che cambiano nei vari periodi della storia. Deriva Latino
modus, cioè maniera, regola, melodia, ritmo; parola in cui è già implicita l’eleganza
ed il tempo ed è spesso correlata al modo di vestirsi; allo stile di vita, a sua volta
collegato alla Salute psicofisica. In particolare l'
abbigliamento esprime le tendenze
individuali e sociali nella fantasia di stoffe e colori, nello sbizzarrirsi dei modelli, o
alle volte nell'
ostentazione della ricchezza, del potere, della stravaganza, relativi allo
status sociale di riferimento. Oggi più di ieri, al di là di tradizione e praticità,
l’abbigliarsi rappresenta uno stile di vita e di pensiero, un modo di porsi nel mondo
nel lavoro e nella vita che si personifica nella rappresentazione esteriore della propria
corporeità femminile e maschile. Fino al settecento, l'
abbigliamento alla moda era per
lo più relativo alle classi abbienti, che tenevano all’immagine esteriore, per il costo
dei tessuti ed era addirittura elencato tra i beni in eredità. I ceti più poveri avevano
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abiti semplici, e poco colorati, grigi o neri, con scarpe di tessuto o di legno, perché
stoffe e colori costavano molto; oppure si accontentavano di abiti dimessi dai ricchi.
E’ solo nel 1645 con il libro dell’abate Lampugnani “del vestire alla moda” che si
inizia a definire questo termine, che in realtà nasce sia dalla necessità di coprirsi e
proteggersi dalle intemperie, ma anche dalle diverse funzioni sociali che man mano
distinguono le varie classi sociali da un lato e le varie mansioni dall’altro, come la
nobiltà, la borghesia, il popolo; o i sacerdoti, i militari, gli amministratori. Le donne,
che erano escluse, da questo processo di crescita, si inventavano modi personali di
curare l’abbigliamento, tra cui la maschera, che poteva nascondere o mostrare i lati
della persona secondo quanto desiderato o deciso. Da cui il proverbio"l'
abito non fa il
monaco". In altro manuale del 1585 “del buon sarto” di Garzoni si evidenzia la figura
del sarto che viveva e lavorava a corte per i signori con retribuzione del 10% sul
costo dei tessuti, composti da seta e lana, cominciando a creare abiti che modellavano
il corpo e che erano unici, in quanto le taglie ancora non esistevano; e limitando la
professione agli uomini, mentre le donne potevano solo ricamare al telaio. Ma ci
sono sempre le eccezioni che confermano la regola, così sappiamo che artisti come
Giotto ed il Pollaiolo, furono creatori di eleganti modelli, così come la famosa sarta
Bertin della regina Maria Antonietta di Francia, anche se non poteva comprare
direttamente i tessuti, mansione riservata ai maschi. Ma infine dopo la rivoluzione
francese regole e restrizioni furono abolite, così come la differenza tra
l’abbigliamento dell’aristocrazia e quello della borghesia, così che sarti e persone
poterono esprimersi con maggior creatività. Così a gli inizi dell’ottocento nascono i
primi stilisti con nuove stoffe e nuovi tagli ed alla fine del secolo con l’inglese
Redfern anche nuovo modo di abbigliarsi per le donne con il tailleur. Si crea così
man mano, in special modo con un altro inglese Worth 1984, sarto della Haute
Coulture dell’imperatrice Eugenia, una nuova dipendenza, che dal sarto porta allo
stilista ed al suo atelier, di cui le donne in particolare si servono, contente di indossare
abiti firmati. Con la rivoluzione industriale alla fine dell’ottocento in Inghilterra si
costruirono nuove macchine per la tessitura, il cucito, il taglio, la stampa delle
decorazioni e dei colori, la nuova chimica e l’acciaio, che determinarono maggior
rapidità e riduzione dei costi nella produzione dell’abbigliamento e la nascita dei
grandi magazzini. La romantica crinolina riservata all’aristocrazia si diffonde anche
tra il popolo. Ma al di là del progresso, è interessante notare come anche il modo di
abbigliarsi, sin dal periodo dei romani, è stato regolamentato da leggi, che
obbligavano a restrizioni secondo il gruppo sociale di appartenenza, note come “leggi
suntuarie”. Comunque già nel 215 a.C. la Lex Oppia limitava la ricchezza degli abiti
femminili ed i vari imperatori, da Giulio Cesare in poi, intervennero per limitare
anche il prezzo dei vestiti; a ciò si aggiunsero con il Cristianesimo prediche di
monaci e preti contro abbigliamenti sfarzosi ed audaci. In Italia nel duecento le prime
leggi suntuarie colpivano addirittura acconciature, decorazioni, gioielli e pellicce
multando i colpevoli o negando l'
assoluzione in chiesa. Inoltre dopo il 1500 queste
leggi, variando secondo le città, in durezza o permissività divennero più puntuali e
dettagliate colpendo in maggior misura le classi medio-popolari e la servitù, a volte
anche entrando nelle case o raccogliere denuncie e premiando il denunciante;
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chiudendo, come sempre un occhio sul lusso delle corti e dei signori; ma non sulle
donne, bersaglio preferito del legislatore, che protestavano, o si adattavano
nascondendo in pubblico strascico ed ornamenti; mentre le prostitute dovevano
portare abiti con segni distintivi; così come gli ebrei obbligati al cappello a punta.
Man mano queste leggi furono sempre più contestate finché verso fine settecento nel
1789 in Francia, poco prima della rivoluzioe, quando i borghesi si presentarono
all'
apertura degli Stati generali in abito nero e cravatta bianca, indumenti imposti per
umiliarli nel confronto con l'
aristocrazia vestita con lusso, il contrasto provocò
invece l'
effetto opposto, facendo considerare gli abiti dei borghesi simbolo di
moralità e di nuovi ideali; ed in seguito dopo la rivoluzione il primo provvedimento
dell'
Assemblea generale, fu quello di abolire nel vestiario ogni differenza di classe.
Con i primi giornali nel Seicento, la moda si diffonde in modo lento, accelerando in
seguito il suo sviluppo, mostrando attraverso i contatti per viaggi, matrimoni,guerre,
ecc. i modi per conoscere nuovi modelli; così come, ad esempio, l’Impero romano
introdusse in Italia braghe, maniche e pelliccia; oppure il percorso dei mercanti nel
trecento per le vie della seta, i disegni per i tessuti in seta. Nel Cinquecento si
diffusero le bambole vestite all'
ultima moda e molto curate nei dettagli, rese famose
dal Goldoni nella commedia I Rusteghi.
Il matrimonio poi di Caterina de Medici con Enrico II di Francia, portò fogge e
profumi italiani, che cominciarono ad essere molto apprezzati all'
estero. Nel
contempo la stampa passava dalla xilografia all'
incisione su metallo. Così il pittore
Vecellio ci parla in un volume, ricco di incisioni e descrizioni, a fine Cinquecento,
degli “De gli habiti antichi e moderni di diverse parti del mondo In Francia nel 1672
nasce il Mercuri Galant bollettino di pettegolezzi e di moda, specie nel Settecento
seguono altri giornali, che spesso copiavano i modelli francesi, all'
avanguardia in
Europa. Come il Giornale delle nuove mode di Francia ed Inghilterra, e il Corriere
delle Dame, che furono pubblicati anche nell'
Ottocento; finché nel novecento con
l'
abolizione di leggi e barriere doganali, la stampa di moda si diffonde in tutto il
mondo. Ma vediamo come ci si veste dall’antichità a i nostri giorni. Prima di Cristo
nel bacino del Mediterraneo, etruschi, greci, romani si vestivano sostanzialmente coi
medesimi abiti, anche se con piccole varianti; indossando un peplo senza maniche di
diversa lunghezza, fermato sulle spalle da fibule e in vita da una cintura, per le donne
ripiegato creando una mantellina lunga fino alla vita, in cui la varietà era data non dal
taglio, ma dai vari panneggi e pieghe, chiamata in Grecia chitone ed a Roma tunica;
Cultori della prestanza fisica e dello sport, i greci preferirono abiti che non
costringevano il corpo e che permettevano scioltezza di movimento. Sopra la veste si
portava un mantello più o meno lungo e pesante. I mantelli greci più usati furono la
clamide corta e rettangolare, che per le sue dimensioni serviva per cavalcare, e
l'
himation, più grande e portato da entrambi i sessi, avvolto attorno al corpo in modo
da lasciare la spalla destra scoperta.
Gli etruschi indossavano come mantello la tebenna, ovale, da cui si pensa derivi la
toga romana; allacciata con una fibula su una spalla, oppure trasversalmente attorno
al corpo lasciando un braccio libero, caratterizzato da colori molto brillanti.
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Al tempo dei primi re i romani indossavano tuniche e ampi mantelli probabilmente di
derivazione etrusca. Per quanto riguarda l'
uomo, l'
abito più usato nel periodo
repubblicano prima e imperiale poi, fu la toga, un enorme mantello ovale in lana o
lino, avvolto attorno al corpo a formare fitte pieghe sinusoidali e verticali che
venivano usate anche come tasche. Questo mantello dava alla figura l'
aspetto virile e
statuario che si confaceva al cittadino della potente Roma. La toga conobbe
un'
evoluzione stilistica dalla repubblica all'
impero. Se ne usavano di vari tipi, da
quelle senatoriali orlate da una fascia di porpora, a quelle candide indossate da chi
concorreva una carica politica (da cui deriva la parola candidato) a quelle di colore
scuro per chi era in lutto. Nell'
ultimo periodo dell'
impero la toga si era talmente
appesantita di ricami e decorazioni da essere abbandonata in favore di mantelli più
liberi e sciolti. Le conquiste in Europa e in Asia influenzarono notevolmente la moda
romana: furono introdotte le brache che i romani conobbero per la prima volta
durante le guerre in Gallia, e le maniche di origine orientale. Nel tardo impero
maniche strette furono applicate alla tunica, mentre la dalmatica indumento
proveniente probabilmente dalla Dalmazia, le ebbe piuttosto larghe.
La donna romana non aveva la libertà dell'
uomo, tant'
è che poteva uscire di casa solo
accompagnata e ricoperta da un mantello portato anche sul capo, detto palla. Le
prime statue che la raffigurano ne esaltano la virtù della "pudicitia". La matrona
indossava varie vesti sovrapposte: la tunica intima, la tunica, la stola, ossia una veste
senza maniche fermata sulle spalle da fibule. Nel periodo dell'
impero le acconciature
femminili diventarono estremamente elaborate: le mode erano lanciate dalle mogli
degli imperatori che si facevano raffigurare con l'
acconciatura preferita che, ripetuta
in copia nei busti marmorei, veniva imitata dalle altre. La matrona aveva una schiava
appositamente incaricata l'
ornatrix, che ogni mattina eseguiva ricci, corone, treccie.
Dopo Nerone le acconciature diventarono torreggianti. Frequentissime erano le
parrucche: le più ricercate erano quelle bionde, fatte con capelli di adolescenti
germanici, mentre per quelle nere si utilizzavano i capelli delle donne orientali. La
moda bizantina, chiaramente osservabile nei numerosi mosaici ravennati, in
particolare in quelli dell'
abside della Basilica di San Vitale, si diffuse in Europa
soprattutto da quando l'
imperatore Costantino, nel 330 d.C., trasferì la capitale da
Roma a Bisanzio, ribattezzandola poi Costantinopoli. Importantissimo centro
culturale, Costantinopoli diventò un punto di riferimento anche per l'
abbigliamento,
che si arricchì di influenze orientali. Di particolare rilievo fu l'
introduzione della seta:
bozzoli di bachi, secondo la leggenda narrata dallo storico Procopio, furono portati
dalla Cina in Europa nel bastone cavo di due monaci. A Costantinopoli la produzione
serica era severamente controllata da editti imperiali che ne limitavano l'
uso ai ceti
dominanti. Anche l'
uso della porpora, colorante costosissimo ricavato da un
mollusco, era riservato alla corte.
In quanto alle forme degli abiti la moda non fu che un proseguimento della tarda
romanità. Gli uomini usavano la tunica con le maniche, portata sopra un'
altra tunica
interiore, le brache e la clamide. Quest'
ultima, copiata dai romani alla moda greca, e
notevolmente allungatasi, viene rappresentata con un inserto romboidale, il tablion,
considerato un simbolo di potere e dignità. Nel mosaico in San Vitale l'
imperatore
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Giustiniano ne porta una in porpora e panno aureo, mentre gli uomini del seguito
hanno una clamide bianca con tablion purpureo. Ricchissimo era anche
l'
abbigliamento femminile: nel mosaico citato, a fronte di Giustiniano, l'
imperatrice
Teodora sua moglie indossa anch'
essa tunica e clamide ricamata con i Re Magi in
processione. Teodora si distingue per lo splendore dei suoi gioielli: un grande
diadema con perle e gemme, lunghi orecchini e una mantellina anch'
essa incastonata
di pietre preziose. Le dame che l'
affiancano indossano dalmatiche e mantelli più corti.
La dalmatica era spesso ornata da strisce verticali; nei mosaici della Basilica
Sant'
Apollinare Nuovo, questo indumento presenta solo per le donne l'
orlo tagliato
sbieco. Gli uomini invece indossano sulla tunica il pallium, mantello di origine greca.
Dall'
alto Medioevo fino al XII secolo, dopo la definitiva affermazione del
Cristianesimo, proclamato religione di stato nel 381 d.C., non vi furono sostanziali
mutamenti nella moda per parecchi secoli, e i canoni dell'
abbigliamento rimasero
fissati a quelli dell'
epoca tardo romana. Una delle cause fu l'
ondata di depressione
economica che attraversò l'
Europa fino al Mille. Il senso del sacro, fortissimo del
periodo medievale, e la condanna della carne che ne derivava, mise in ombra l'
essere
umano come individuo naturale. Non a caso l'
iconografia coeva rappresenta
principalmente la vita di Cristo e dei Santi. La Chiesa raccomandava la massima
modestia nel vestire; nei suoi scritti San Gerolamo si scagliò contro gli eccessi
femminili, mentre Tertulliano definì la donna "la porta del diavolo". Anche per
quanto riguarda l'
uomo si accese una lunga diatriba se doveva o no tagliarsi i peli
(dono naturale del Signore) sul mento e sul capo. Forse anche per questi motivi per
moltissimo tempo non si sentì la necessità di una netta distinzione vestiaria tra maschi
e femmine.
Lo sviluppo delle città, iniziato già dal Mille, aveva portato al sorgere dei Comuni
che lentamente ebbero il sopravvento sui feudi. I comuni cambiarono completamente
il volto della società italiana, perché l'
organizzazione della vita cittadina era basata
sul lavoro e sulla mercatura, attività in mano alla borghesia.
Gli abiti erano così costituiti: sulla pelle nuda si portavano direttamente, anche se non
sempre, la camicia, e a volte le mutande che i longobardi chiamavano femoralia. Vi si
sovrapponevano poi due vesti, una tunica con maniche aderenti e una con maniche
più larghe, che poteva anche essere sostituita da un mantello. Gli uomini
continuarono ad usare le brache. Il clima gelido delle case dove non esisteva ancora il
camino e mancavano le finestre a vetri, determinò la diffusione della pelliccia,
elemento di lusso usato come fodera.
Abissale era la differenza degli indumenti dei ceti più bassi rispetto a quelli signorili.
Mentre i poveri spesso non avevano né scarpe né un mantello per coprirsi, i signori
indossavano abiti serici ricamati in oro e calzature purpuree. Non si trattava soltanto
di un'
esibizione di status: a quel tempo si riteneva che i re e gli imperatori fossero
investiti direttamente dall'
autorità divina; non a caso uno degli oggetti che veniva
consegnato durante l'
incoronazione era il globo aureo sovrastato dalla croce, simbolo
di potenza benedetta dal cielo. Si forniscono due esempi di costume regale. Nella
Vita Mathildis scritta e illustrata da Donizone, la contessa di Canossa in trono indossa
una tunica, una sopravveste con grandi maniche a imbuto, un mantello, un velo e un
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alto copricapo a punta. Tuttavia il più raro e compiuto esempio di corredo, tuttora
esistente e conservato al Kunsthistoriche Museum di Vienna, è quello realizzato per
Ruggero II di Sicilia nel 1133, come attestato dalla scritta in lettere arabe che
circonda il bordo del mantello. Usate per incoronare gli imperatori, queste vesti sono
costituite da due tuniche, una azzurra e l'
altra bianca, da calze, guanti, cintura, e da
uno splendido mantello di seta scarlatta ricamato in oro e perle con due leoni che
abbattono due cammelli. Il simbolo rappresenta probabilmente la vittoria della fede
cristiana su quella musulmana.
Il periodo tra il 200 ed il 300 è anche chiamato Gotico, appellativo che per gli uomini
del Rinascimento significava barbarico in quanto le opere d'
arte non seguivano le
regole auree della prospettiva e la natura era rappresentata solo in forma molto
stilizzata. Infatti la Chiesa, nonostante le crisi interne, aveva ancora una forte
influenza sulla vita quotidiana, e l'
uomo era visto esclusivamente come una creatura
che dipendeva in tutto dalla potenza divina. I comuni prosperavano: nacquero le
prime corporazioni, che imposero statuti con rigide regole. Le attività e i commerci
più importanti in Italia si basavano sulla raffinazione dei tessuti, spesso provenienti
dall'
estero, o sulla tessitura di drappi preziosi. A Firenze la potente Arte di Calimala,
importava lana dall'
Inghilterra e la rivendeva a prezzi altissimi. Lucca e Venezia
furono al centro di una pregiata attività tessile e sartoriale. Le decorazioni erano
spesso prese da fonti orientali, poiché il commercio si spingeva fino in India e in
Cina, lungo la famosa via della seta, riportando in Europa nuovi stili ed immagini.
Anche la lavorazione delle pellicce, usate come fodere e ormai entrate nell'
uso
comune, era soggetta a precisi regolamenti. La moda maschile e femminile pur
conservando ancora una certa fissità nel Duecento, iniziò un processo di crescente
restringimento degli abiti. Novità di questo secolo fu l'
introduzione dei bottoni, che
permettevano di far aderire vesti e maniche al corpo. Il valore del vestito era
ingenuamente determinato dalla quantità di stoffa che si indossava; nacquero così nella moda femminile - i primi strascichi, che compensarono la perdita di tessuto sul
busto. Lo strascico fu particolarmente avversato dalla leggi suntuarie e dalla Chiesa,
tant'
é che proprio in questo periodo il cardinale Malebranca, legato pontificio a
Bologna, proibì alla donne di portarlo, colpendo le disubbidienti con la mancata
assoluzione in confessionale, pena gravissima per quei tempi. Il sensibile
allungamento che la moda dava al corpo umano è stato da alcuni paragonato al
verticalismo delle chiese gotiche. La roba, come era chiamato l'
insieme degli abiti, si
componeva di una camicia, di una veste, sopravvesti con o senza maniche, e mantelli.
Per l'
uomo erano sempre d'
obbligo le brache. Un nuovo indumento maschile di orine
militare fu invece il farsetto, un corto giubbotto portato direttamente sulla camicia.
Sul capo si indossavano una cuffietta bianca e un mantello a cappuccio per l'
uomo e
un velo per la donna, a cui la Chiesa imponeva di nascondere i capelli.
Alla fine del secolo furono inventati gli occhiali, probabile opera di un modesto
vetraio veneziano. Il primo documento figurativo risale tuttavia alla metà del secolo
successivo: a Treviso, nella sala capitolare di San Nicolò, Tommaso da Modena ci ha
lasciato un affresco con il cardinale Ugone di Provenza munito di questo importante
accessorio. Dal Trecento in poi si verificò una vera e propria rivoluzione vestiaria:
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per la prima volta dopo secoli gli abiti maschili si differenziarono nettamente da
quelli femminili: la donna continuava a portare vesti attillate ma rese sempre più
lunghe dallo strascico, mentre verso la fine del secolo grande scandalo suscitò
l'
introduzione della scollatura, stigmatizzata anche da Dante. L'
uomo indossò abiti
cortissimi che mostravano completamente le gambe. Anche le brache si restrinsero
diventando vere e proprie calze terminanti in una lunga punta, allacciate solitamente
al farsetto e munite di una suola che permetteva di escludere le calzature. Per la prima
volta nella storia della moda maschile si evidenziò una distinzione tra la parte
soprastante e quella sottostante dell'
abito, che nei secoli avrebbe portato alla
formazione di giacca e pantaloni. I vestiti erano spesso divisi verticalmente in due
colori; a questi ultimi si attribuiva spesso una simbologia politica di appartenenza a
fazioni o a corti signorili. Nel Trecento le decorazioni aumentarono ed erano
concentrate soprattutto sulle maniche dove venivano ricamati stemmi araldici delle
famiglie più in vista. Le affrappature erano orli tagliati in forma di foglia che
decoravano la sopravveste. Sul capo, oltre alla cuffia, si indossava il berretto
arrotolato come un turbante. Le case poco riscaldate e dalle finestre non sempre
chiuse da vetri (costosissimi a quei tempi) obbligavano la gente a indossare
sopravvesti. Tra le più diffuse erano la pellanda e la giornea, la prima ornata da
lunghissime maniche, la seconda munita di due aperture laterali per passarvi le
braccia.
Il XV secolo ed il periodo successivo sono stati denominati Rinascimento, perché
l'
arte si era liberata dalle pastoie del periodo Gotico. La rinascita dell'
Umanesimo, la
scoperta dei classici greci e latini, e lo studio appassionato che fecero delle rovine
romane gli artisti del periodo, portarono ad una riscoperta della centralità dell'
uomo
rispetto all'
Universo. Per la prima volta si riaffrontò lo studio delle proporzioni,
aiutato dalle prime dissezioni anatomiche, proibite peraltro dalla Chiesa. Uno dei
primi disegni che rappresenta le proporzioni perfette del corpo umano è l'
uomo
vitruviano di Leonardo da Vinci in cui la figura è iscritta in un quadrato ed in un
cerchio, le due principali forme geometriche più vivine alla perfezione.
La moda del periodo era dettata dalle corti signorili come i i Medici a Firenze, i
Montefeltro a Urbino, gli Sforza a Milano, Costoro avevano spesso la tendenza a
sottolineare il lignaggio con colori propri o con scritte, dette Imprese, in cui erano
indicati sentimenti o azioni da intraprendere. Gli stessi colori erano estesi alla servitù,
e si andarono creando le prime livree. Dal Quattrocento fino alla prima metà del
Cinquecento, uomini e donne indossarono abiti che ne sottolinearono le forme senza
alterarle. All'
inizio del Quattrocento tuttavia il vestito femminile, ancora influenzato
dallo stile gotico, ebbe lunghi strascichi e maniche pendenti. Con l'
inoltrarsi del
secolo lo strascico sparì, ma vi furono altre novità: per la prima volta la gonna fu
staccata dal corpetto, dispiegandosi con leggere arricciature. Le maniche inoltre erano
dotate di lunghi intagli da cui usciva a sboffi la candida camicia. L'
uso di laccetti
permetteva la possibilità di cambiare maniche sul medesimo vestito, custodendole in
un forziere. Le maniche signorili erano infatti impreziosite da gemme e puntali in oro,
e si trattavano con la cura di veri e propri gioielli. Gli uomini invece continuarono a
mostrare le gambe e indossarono abiti che ne rigonfiavano il torace. Per questi ultimi
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il farsetto, un tempo considerato indumento intimo, fu accorciato e messo
apertamente in mostra, assieme a calzebraghe aderentissime che fasciavano i glutei.
L'
esibizione del corpo maschile era ormai completa, e per coprire gli organi genitali
fu inventata la braghetta, una sorta di pezza di tessuto, che veniva usato anche come
tasca. Questo tipo di moda era seguita soprattutto dai giovani, mentre le persone che
avevano una carica pubblica o una specifica professione, come i medici e gli
insegnanti, continuarono a portare abiti larghi e lunghi.
Durante il XVI secolo le vicissitudini della vita politica italiana, contesa tra Francia e
Spagna, e la caduta della penisola sotto l'
influenza spagnola, finirono per influenzare
la moda che si può suddividere in due momenti, con fogge completamente diverse.
Nella prima metà l'
influsso Rinascimentale propose ancora il trionfo del corpo: le
vesti cominciarono ad allargarsi. Non fu più di moda il tipo gotico longilineo, ma la
donna rotonda come le Veneri di Tiziano. Venezia fu in particolare la città italiana
dove il costume femminile si espresse con maggior libertà: scollature profonde ed
elementi tratti dall'
abbigliamento orientale, come i primi orecchini che, come riferisce
un cronista scandalizzato foravano le orecchie "a guisa di mora" . Alcune stranezze
del vestiario femminile colpirono i contemporanei: ad esempio l'
uso di portare sotto
la gonna, braghe rigonfie lunghe fino al ginocchio, moda probabilmente importata da
Lucrezia Borgia. Le veneziane si tingevano anche i capelli di rosso tiziano. L'
uomo
cercò di accentuare la sua virilità: muscoloso, con spalle larghe e barba folta, metteva
in mostra anche i suoi attributi sessuali, indossando la brachetta una sorta di rigonfio
sull'
inguine chiaramente fallico. Si continuarono a usare più abiti sovrapposti, spesso
con maniche tagliate da cui uscivano gli sbuffi della camicia; la pelliccia fu più
evidente nei grandi colli a scialle dei soprabiti. La più pregiata era la lince, detta
"lupo cerviero".
Dalla seconda metà del Cinquecento mentre nel resto d'
Europa si erano già formati
gli Stati nazionali, l'
Italia fu divisa in principati, alcuni retti direttamente da dinastie
non italiane. Da questo momento in poi iniziò un processo di maggior irrigidimento
dei costumi, forse a causa dell'
influenza della moda Spagnola, e dell'
intervento
morale della Controriforma. Gli abiti tornarono a chiudersi sul busto, scomparvero le
scollature che alla fine del secolo furono sostituite da un abito a collo alto e dalla
gorgiera, un rigido collo di pizzo inamidato. Fecero anche la loro comparsa i primi
busti, in metallo, con la punta che si spingeva verso il ventre. Le gonne si disposero
in una rigida campana grazie all'
introduzione delle prime sottogonne imbottite. Anche
gli uomini cambiarono stile, chiudendo come le donne il collo del busto, ma
continuando a mostrare le gambe, a cui si sovrapponevano nella parte superiore
bragoni rigonfi e tagliati verticalmente, di forma ovoidale. Le gambe muscolose
furono una vera e propria esibizione di vanità: sappiamo che Enrico VIII d'
Inghilterra
andava fiero delle sue. Altri cronisti, scandalizzati, riferiscono che alcuni uomini con
le gambe smilze si imbottivano i polpacci. Il colore nero, di derivazione spagnola era
preferito tra gli altri. La rigidezza degli abiti, che trasformava la figura in forme
geometriche e impediva movimenti sciolti, dava al corpo una forma ieratica che
sottolineava la superiorità morale dell'
aristocrazia rispetto alla volgarità della plebe.
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Si andava delineando con molta forza il vestito delle classi alte, che trovò un parallelo
anche nell'
arte, dove il popolo era dipinto in forma grottesca e caricaturale.
Il XVII secolo - Occupata prima dalla Francia, poi dalla Spagna, l'
Italia iniziò un
periodo di decadenza che si rifletté anche sulla moda. Infatti le nazioni vincenti
imposero forme e colori, e il baricentro dell'
eleganza si spostò soprattutto a nord. Da
questo periodo fino a quasi i giorni nostri la Francia fu il paese da cui tutta l'
Europa, e
in particolare la nobiltà, copiò gli abiti. Il centro di maggiore irradiazione diventò la
corte del re. Si apriva il periodo denominato Barocco e caratterizzato da
un'
esuberanza di forme e da un accostamento, spesso eccentrico, di materiali. La
Spagna ebbe minor influenza, se non per l'
uso, copiato soprattutto in Italia, del colore
nero. Questo periodo fu detto Barocco, (termine incerto che indica stravagante o
bizzarro) con cui definiamo solitamente il XVII secolo. Caratteri principale dell'
arte
barocca furono la sovrabbondanza di decorazioni, di marmi, di stucchi; si voleva che
di fronte a un quadro o ad un edificio lo spettatore rimanesse stupito e meravigliato;
si voleva stimolarne l'
immaginazione, con un forte senso di teatralità. Anche il vestito
fu caricato fino all'
inverosimile, perdendo del tutto il senso di essenzialità che era
stato caratteristico del primo Rinascimento.
Nei primi anni del secolo la moda femminile fu caratterizzata dai rigidi busti a punta,
dalla gonna a campana, dal collo a gorgera, detto anche "ruota di mulino" o "lattuga".
Gioielli erano sparsi su tutto l'
abito. Successivamente, per influenza francese, le vesti
tornarono ad aprirsi sul davanti, arricciandosi lateralmente con scollature a barchetta
sottolineate da grandi collari di pizzo. Verso la fine del secolo la donna indossò una
veste aperta davanti e sovrapposta a una gonna, che aveva lo strascico arricciato nella
parte posteriore. Si introdusse la moda delle cuffie, dette alla Fontange, nate per caso
quando dalla omonima favorita del re Sole che, durante la caccia, si spettinò i capelli
e, audacemente, si sollevò la gonna e con le giarrettiere creò questa nuova
acconciatura. Spopolarono anche i falsi nei in seta (conosciuti già all'
epoca dei
Romani) che avevano un significato galante a seconda della posizione in cui
venivano incollati. Anche il costume maschile, rigido all'
inizio, diventò più sciolto.
La guerra dei Trent'
anni tra Francia, Spagna e Inghilterra modificò il comportamento
maschile, che doveva sembrare maestoso con le spalle tirate indietro, con la mano
perennemente appoggiata sul fianco, le gambe ben piantate, il viso col mento rialzato:
un maschio atto alle armi, che induceva paura. Caratteristico il costume quasi
militaresco, con l'
uso perenne degli stivali in cuoio, lo spadone e marziali baffi alla
moschettiera, mentre la scia dei bravi che seguivano il signore non faceva che
instillare timore e rispetto.
Ma il peso più importante sulla moda lo ebbe Luigi XIV, detto il re Sole. Luigi infatti
obbligò la nobiltà francese a trasferirsi a Versailles, memore dei problemi che i suoi
antenati avevano avuto coi feudatari ai tempi della Fronda. La vita della reggia
ruotava attorno a lui, che comandava la sua corte in modo assoluto, imponendo
comportamenti e stili vestiari. Precise regole obbligarono i cortigiani a indossare
determinati capi d'
abbigliamento. L'
estetica maschile abbandonò i segni della forza. Il
nuovo tipo di cortigiano fu chiamato homme de qualité, e aveva alcune precise
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prerogative come l'
essere ricco, alla moda, e ricevuto in società, escludendo a priori
la classe borghese. Tra il 1655 e il 1675 si impose il periodo più ricco e stravagante
della moda francese, che perse la sua severità e si caricò di ornamenti frivoli.
Particolarmente curiosi furono i calzoni alla Rhingrave, presentati a corte dal Rhein
Graf (conte del Reno) e costituiti da una gonna pantalone molto larga e ornata di
nastri e fiocchi laterali. Sopra al busto si indossava un bolero da cui fuoriusciva
fluente la camicia. Aboliti gli stivali, tornarono le calze e le scarpe col tacco, che era
rosso solo per il re e la nobiltà. Sotto il suo regno il Re regolava l'
abito secondo le
stagioni, le circostanze, il rango. Indicava la lunghezza dei galloni e perfino il
materiale dei bottoni. Il re proibì l'
uso delle casacche ornate d'
oro e d'
argento che
concesse solo agli uomini più meritevoli della sua corte. Nacquero così i justaucorps
à brévet, ossia casacche azzurre foderate in rosso e portate solo dalla sua scorta
privata. Una novità assoluta fu l'
introduzione della veste a tre capi: marsina (una
giacca al polpaccio), sottomarsina, un lungo gilè, e brache corte al ginocchio. Questo
insieme, detto abit a la français, fu copiato in tutta Europa. Altra novità fu l'
uso della
parrucca maschile, un torrione di riccioli che arrivava a mezzo busto e ingrandiva e
stilizzava l'
aspetto di chi la portava. La parrucca più costosa era di capelli veri,
mentre chi non se la poteva permettere se la faceva fare in crine o lana. Infine al
Seicento si deve l'
invenzione della cravatta, all'
inizio una lunga striscia di mussola
ornata di pizzo che veniva avvolta negligentemente attorno al collo. Questo tipo di
nodo provvisorio fu imitato dopo la battaglia di Steinkerque, quando gli ufficiali
dovettero accorrere in fretta e furia sul campo, annodandosi malamente la cravatta. Il
merletto, inventato a Venezia un secolo prima, e rigidamente protetto dalle leggi della
Repubblica, fu introdotto con uno stratagemma in Francia e adottato da uomini e
donne. Il XVIII secolo - denominato anche barocchetto o rococò, dal nome di
decorazioni a pietruzze e conchiglie allora di moda, seguitò, almeno fino alla
Rivoluzione francese, ad essere influenzato dalla moda aristocratica della corte di
Francia. In Italia l'
imitazione fu spinta al punto che anche parrucchieri e cuochi
dovevano avere un nome o una provenienza d'
oltralpe. Verso la fine del secolo,
grazie alla potenza economica derivata dal colonialismo e dalla Rivoluzione
industriale, l'
Inghilterra diventò importantissima per la diffusione delle mode,
soprattutto maschili. Per tutto il secolo successivo e parte del Novecento gli uomini
eleganti si fecero fare vestiti e accessori direttamente a Londra.
Fino alla Rivoluzione francese la moda femminile fu caratterizzata da colori chiari,
fiorellini intessuti e merletti. Una nota di sensuale civetteria si insinuò nel costume:
scollature profonde, falsi nei maliziosamente appoggiati sul seno, avambracci
scoperti. Tuttavia la figura era rigidamente ingabbiata dal busto e dal panier una
sottogonna in stecche di balena che dava all'
abito una forma piatta e ovoidale. Il
panier era talmente largo che le signore avevano difficoltà a passare per le porte e
potevano sedere su un unico divano. L'
abito più diffuso fino al 1770, fu l'
andrienne,
detto anche robe alla français, che aveva sul retro un lungo manto a strascico che
comportava l'
uso di metri di tessuto. Questa moda derivava dal teatro, dove un'
attrice
si presentò sulla scena della commedia "Andria" vestita con grande abito a campana.
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Dopo il 1770 la linea della veste diventò rotondeggiante e si accorciò fino a mostrare
la caviglia. Comparvero sopravvesti arricciate sul retro e aperte davanti, dette '
polonaise, e giacchette corte e strette, antenate del moderno tailleur. Intanto Maria
Antonietta si era fatta costruire a Versailles un villaggio rustico, l'
hameau de la Reine,
dove, vestita da contadina con cappelli di paglia e con un fazzolettone bianco al collo,
il fisciù, si divertiva ad imitare la vita della povera gente, senza nemmeno conoscerne
la durezza. Con la scoperta delle rovine di Pompei, rinacque l'
arte greco-romana. Il
gusto neoclassico che si faceva avanti portò una ventata di semplicità, e le donne
indossarono la Robe en chemise, una veste lunga, soffice e spesso candida. Per
l'
uomo continuò l'
uso dell'
abit a la française, ma con colori chiari e decorazioni
ricamate. La giacca superiore, detta marsina, era decorata da file di bottoni e, fino alla
prima metà del secolo, ebbe falde molto svasate grazie a imbottiture cartonate
nascoste. La marsina si evolse e diventò una veste lunga e stretta, mentre la
sottomarsina si accorciò trasformandosi nel gilet. Comparve anche un piccolo collo
montante. Dopo il 1770 cominciarono a insinuarsi soprattutto nell'
abbigliamento
maschile, mode che venivano dall'
Inghilterra. Questa nazione, grazie alla Rivoluzione
industriale e alla ricchezza dei suoi commerci coloniali, si impose come modello per
tutta l'
Europa ed i semplici abiti dei gentiluomini inglesi entrarono definitivamente
nella storia della moda. In particolare il frac, e la redingote il cui nome deriva
dall'
inglese riding coat, e che indicava una veste aperta dietro per poter cavalcare
comodamente.
Caratteristica del secolo è la parrucca usata dai due sessi e abbondantemente
incipriata dopo essere stata impomatata con creme fissanti. La regina di Francia
Maria Antonietta, si fece fare dal suo parrucchiere Leonard acconciature
monumentali sormontate da gabbie per uccelli, fiori, pizzi e perfino velieri. Fino alla
Rivoluzione francese si videro solo teste bianche. Anche il trucco fu diffuso tra
uomini e donne: in generale la figura maschile si fece più leziosa e meno marziale
che nel Seicento. Con la Rivoluzione francese una violenta reazione popolare investì
anche la moda aristocratica: cominciarono a scomparire tessuti pregiati, trucchi,
panier e merletti. Si abbandonò la seta per la mussola di cotone. Non l'
oro e i
diamanti, ma il ferro fu usato come materiale principale per i gioielli. Le signore
iniziarono a portare attorno al collo un nastro rosso, detto alla ghigliottina perché
voleva imitare il segno della testa staccata dal busto. Fu perfino inventato il taglio di
capelli à la victime, che ricordava la tosatura imposta alle condannate. Comparvero
coccarde tricolori per indicare l'
appartenenza rivoluzionaria.
Nel XIX secolo la moda ottocentesca è l'
espressione del ceto borghese che, dopo la
rivoluzione francese conquista il potere politico ed economico in Europa, imponendo
i suoi ideali e il suo stile. È soprattutto l'
abbigliamento maschile che registra un
significativo e radicale mutamento. Un look austero e rigoroso, con tagli semplificati,
tessuti di panno robusto, e decorazioni ridotte al minimo, sostituì il frivolo costume
barocco; in tal modo vennero evidenziati la serietà del mondo del lavoro, la praticità,
la prudenza, il risparmio, l'
ordine. Il nuovo abito maschile ha una patria: l'
Inghilterra,
che propose un'
eleganza più pratica e civile, influenzata dai modi informali, dalla
passione per lo sport e la vita all'
aria aperta del gentiluomo inglese. Due furono i
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vestiti informali introdotti: il frac, adottato per andare a caccia e per la vita in
campagna, con falde molto arretrate e colletto alto. In seguito diventò l'
uniforme del
vero gentleman e fu portato di giorno ma soprattutto di sera, per le occasioni eleganti.
La redingote era all'
inizio una giacca da equitazione, una lunga giubba a due falde e
aperta sul dietro che permetteva di stare comodamente in sella.
Abbandonata la destinazione sportiva si trasformò in abito da città e da lavoro fino a
prendere il significativo nome, dopo la metà del secolo, di finanziera, proprio perché
portata dal cetoborghese che si occupava di politica, affari e finanza. Antesignani del
nuovo corso che puntava, per identificare il vero gentiluomo, sulla tendenza alla
semplificazione e sullo stile furono in Inghilterra i dandy: il più famoso tra loro fu
Lord Brummell, che impose il suo modo di vestirsi in tutta Europa. Il suo edonismo
esasperato diventò proverbiale e il suo motto: ”Per essere eleganti non bisogna farsi
notare” fu legge per tutti gli uomini alla moda. Brummell puntò sull'
esasperata
perfezione dei particolari: la"cravatta" che doveva essere inamidata e con fiocco
adatto alle diverse occasioni; l'
acconciatura, per la quale Brummel pretendeva tre
parrucchieri, i "guanti" che dovevano essere realizzati da due guantai diversi, uno per
i pollici, l'
altro per le dita. Inoltre Brummell, che detestava i colori sgargianti, impose
il blu per il frac e il beige per i calzoni. L'
evoluzione del costume ottocentesco
maschile si tradusse dall'
abito stretto del periodo napoleonico a quello largo in uso
dopo l'
unità d'
Italia. Elementi fondanti del guardaroba furono: i pantaloni, il gilet e i
soprabiti. I pantaloni lunghi, derivavano dal mondo del lavoro e della marina. Il gilet
o panciotto aveva la funzione di modellare il torace maschile, dandogli la convessità
delle antiche armature. La giacca corta, introdotta dopo il 1850 e all'
inizio molto
criticata per la sua forma a sacco, era caratterizzata dalla brevità e dalla larghezza, ed
entrò stabilmente nel guardaroba come abito diurno e come complemento di
indumenti estivi. Il paletot o cappotto: consacrato sotto il II impero, di linea ampia e
avvolgente, e di derivazione marinaresca; definito dai suoi osteggiatori “un barile di
panno” piacque proprio per la sua comodità e disinvoltura passando anche
all'
abbigliamento femminile. Quando, tra gli anni trenta e cinquanta, grazie alla
scoperta della vulcanizzazione della gomma, cominciarono a diffondersi i primi
soprabiti impermeabili, il paletot fu creato anche in versione da pioggia. La cravatta,
oggetto di appassionata attrazione, doveva corrispondere a una serie precisa di
requisiti, che potevano sintetizzarsi nel motto “ad ogni occasione la sua cravatta”;
all'
inizio del secolo era rigorosamente bianca e inamidata. Le prescrizioni
riguardavano anche i nodi, che dovevano essere sempre perfetti e appropriati alle
circostanze, in modo che ad ogni occasione mondana corrispondesse la cravatta
giusta. Dopo la metà del secolo diventò sempre più piccola, e fu fatta anche in tessuti
colorati. Riguardo l'
abbigliamento femminile, all'
inizio del secolo la donna indossava
un vestiario leggerissimo e trasparente. La rivoluzione francese, con il culto della
Ragione e l'
abolizione delle leggi Suntuarie, portò una ventata di anticonformismo
che tuttavia durò meno di vent'
anni. Nel periodo post-rivoluzionario, si abolirono i
busti mentre i vestiti erano semitrasparenti anche in inverno. La moda detta anche del
nudo, prescriveva che non si portassero più di un etto e mezzo tra abiti e scarpe.
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Un'
ondata di influenza e il divieto - posto da Napoleone - di importare le leggere
mussole indiane, fecero sì che la moda addottasse abiti più pesanti e chiusi.
La libertà femminile durò poco: già dopo il 1830 all'
interno della famiglia borghese il
compito della donna era riservato esclusivamente allo spazio privato dove era custode
dell'
ordine, del buon convivere, della pace e della moralità. Ancora di salvezza
spirituale, portatrice di valori e di virtù, essa incarnò almeno fino alla metà del secolo
l'
ideale dell'
angelo del focolare, modello che si affermò anche in campo estetico
influenzando il gusto corrente: obbligatori la modestia del gesto, la prudenza del
comportamento, lo sguardo dolce e timido. L'
abito ormai chiuso attorno al collo,
aveva maniche lunghe e spalle cadenti, mentre le linee del corpo tondeggianti
simboleggiavano fragilità, dolcezza e arrendevolezza. La sensualità era
rigorosamente controllata, gli istinti severamente repressi: il corpo era nascosto da
gonne lunghe e strati di biancheria: camicia, busto, copribusto, molteplici sottogonne,
mutandoni che diventarono indumento stabile. Il busto era una corazza di tela
irrigidita da stecche di balena che poteva causare anche dolori e svenimenti. Doveva
assicurare il vitino di vespa, e lo si portava obbligatoriamente fin dall'
infanzia, in
quanto era opinione comune che esso dovesse correggere i difetti del portamento e
sostenere la “naturale” debolezza della spina dorsale femminile. La soddisfazione
carnale per l'
uomo si raggiungeva fuori casa: l'
Ottocento è anche l'
età d'
oro delle case
di tolleranza, e delle cocottes, le cortigiane francesi famose e celebrate che, dal 1850
in poi, dettarono moda, proponendo un nuovo ideale estetico più provocante e
sfacciato, sostenuto dall'
avvento sulla scena letteraria della figura della Femme fatale.
Il vestito femminile si evolse nelle sue linee: all'
inizio del secolo la sottana mostrava
la caviglia, per poi allungarsi fino ai piedi nel 1840, allargandosi sempre più con la
cupola della crinolina; si prolungò con lo strascico dopo il 1870; ritornò infine a una
lunghezza moderata e ad una linea a campana. Il punto vita, alto fino al 1822, si
abbassò alla sua posizione naturale e scese a punta sul davanti alla fine del secolo.
Influenzato anche dai movimenti culturali, il costume femminile trovò ispirazione in
fogge che guardavano al passato e alla storia: all'
inizio del secolo il neoclassicismo
imperante voleva tutte le donne vestite e pettinate come statue greche. Con l'
avvento
del romanticismo gli abiti si coprirono di pizzi e balze; ci si ispirò alla storia, al
gotico e al Rinascimento, alle eroine del melodramma. Con l'
avanzare del secolo il
gusto si spostò verso lo stile rococò, molto amato da Eugenia de Montillo. Attorno al
1870 trionfò l’eclettismo e si moltiplicano passamanerie e applicazioni; a fine secolo
si ritornò a una linea che si ispirava alle corolle dei fiori mentre trionfava l'
art
Nouveau. Infine, ogni occasione doveva comportare, nei manuali di galateo, una
veste appropriata per la signora elegante, sempre adeguata al ruolo mondano da
interpretare: abiti da casa, da viaggio, da passeggio, da carrozza, da visita, da ballo,
da lutto, da mezzo lutto, e soprattutto abiti da sport. Lo sport si fece largo dopo la
metà nel secolo, e richiese indumenti appropriati per ambo i sessi: il costume da
bagno era, per la donna, un compromesso tra il bisogno di avere un indumento con
cui muoversi adeguatamente in acqua e l'
imperativo morale di nascondere quanta più
epidermide possibile. Il completo da amazzone comportava una lunga gonna a
strascico che doveva scendere a coprire le gambe quando la donna cavalcava seduta
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di fianco sulla sella. Il secolo doveva però scoprire altri sport, come il golf, il tennis e
la bicicletta. Dopo il 1890 comparirono gli abiti per le cicliste tentando anche un
precoce ripudio della sottana: calzoni alla zuava coprivano le gambe fino al ginocchio
avendo a volte quale unico compromesso una corta tunica per nascondere parte dei
fianchi.
Il Novecento fino alla seconda guerra mondiale dall'
inizio del secolo al 1918.
Dai tempi del re Sole dire moda voleva dire Parigi. La moda del Novecento è invece
sempre più veicolata dai mezzi di comunicazione e dalle novità tecniche che si
affermano col cinema, con la fotografia, con i giornali e la televisione. Per questo
motivo i cambiamenti di stile assumono una rapidità precedentemente sconosciuta, in
modo particolare nel costume femminile, che esce completamente dagli schemi dei
secoli precedenti. Le ragioni, abbastanza complesse, possono essere riassunte in
alcuni punti fondamentali: la lotta delle Suffragette per ottenere il voto delle donne;
l'
entrata delle stesse nel mercato del lavoro dovuta alla partenza in guerra degli
uomini; il fenomeno delle avanguardie artistiche cui si ispirano molti coutouriers.
All'
inizio del secolo dettavano legge La Maison Callot diretta dalle sorelle Gerber e
La Maison Jacques Doucet, dove lavorava Madeleine Vionnet, destinata poi ad aprire
una sua casa. Attorno al 1910 il sarto più in vista e scandaloso fu Paul Poiret, 32 anni,
figlio di un mercante di stoffe. Dal 1903 aprì una boutique e in breve divenne un
dittatore della moda. Voglio essere ubbidito anche quando ho torto, era il suo motto.
Stanco dei colori pallidi e della linea a clessidra dello stile ottocentesco, inventò ua
donna priva di busto che indossava abiti a vita alta e dai colori vivaci. Poiret era
geniale, fantasioso, megalomane. Usava sete, velluti, damaschi, accostava viola e
rosso, blu e rosa pallido. Affascinato dai Balletti russi di Sergey Djaghilev, che
furoreggiavano a Parigi, s'
ispirò all'
oriente. Fu il primo ad aprire una scuola per
figuriniste, ad organizzare corsi di andatura, a creare il pret-à-porter, a far riprendere i
suoi modelli da un grande fotografo (Edward Steichen), a fabbricare gli accessori, dai
profumi alle borse. Per lanciare le sue jupe-culottes diede una grande festa che si
intitolava Le mille e due notti. La moglie del sarto appariva in una gabbia dorata in
compagnia di preziosi uccelli: gli ibis rosa. Lui, vestito da Sultano, le stava a fianco
con un prezioso turbante piumato.
Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale. Pur tra mille difficoltà Parigi volle
mantenere il suo ruolo di arbitra dell'
eleganza e i grandi couturiers continuarono la
loro attività, nonostante la mancanza di materie prime che dovevano essere di
necessità mandate al fronte. Forse per risparmiate tessuto, le gonne si accorciarono al
polpaccio, mentre si affermarono linee militaresche, appena mitigate dalla cosiddetta
crinolina di guerra, una gonna imbottita di tulle.
L'
Inghilterra continuava invece ad essere il modello dell'
eleganza maschile. L'
uomo
però rimase legato alle fogge tradizionali ottocentesche: giacca, gilè, calzoni e
camicia. I soprabiti invernali erano vari, mentre tra gli abiti da cerimonia, ancora
diffusissimi erano il frac, il tight e lo smoking, noto come abito da fumo e diventato
poi capo elegante. I colori erano scuri, la camicia, rigorosamente bianca, col collo
rigido e inamidato. Per mantenere la biancheria sempre perfettamente pulita, collo e
polsini erano separati dalla camicia vera e propria. Edoardo VII, principe di Galles e
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figlio della regina Vittoria, fu un modello per i dandy: inventò infatti nuove fogge
maschili, come i pantaloni con la piega e il risvolto. Sembra che a lui si debba anche
l'
invenzione dello smoking, ottenuto tagliando semplicemente le code del frac.
Gli anni venti e trenta
Dopo la fine della prima guerra mondiale, lo scenario europeo mutò profondamente.
La guerra aveva lasciato un'
economia traumatizzata e non pochi problemi sociali e
psicologici. Gli speculatori ne approfittarono: i grandi patrimoni aristocratici
prebellici scomparirono e al loro posto avanzò una nuova classe sociale arricchita e
quindi una diversa clientela per le case di moda. Gli ambienti mondani furono
frequentati da milionari, psichiatri, pittori surrealisti e cubisti. Le mode americane
invasero ogni settore: si bevevano cocktail e whisky, proliferavano le jazz band e i
blues. Dopo quattro anni di privazione scoppiò la gioia di vivere, simboleggiata dal
nuovo, sfrenato ballo, il charleston. Per tutto il periodo tra le due guerre il cinema
influenzò lo stile di vita. Ad Hollywood nacque lo star sistem ed attori come Rodolfo
Valentino prima, Clark Gable, Jean Harlow, Greta Garbo, Marlene Dietrich poi,
diventano modelli da imitare. Ma il fenomeno più importante si manifestò con
evidenza proprio negli anni venti: l'
emancipazione della donna che - durante la guerra
- aveva dovuto assumere ruoli maschili di responsabilità e non era affatto disposta
tornare indietro, ma pretendeva di governare la sua vita più liberamente. Molte donne
si iscrissero all'
Università e affrontarono professioni nuove come nel campo della
medicina. Le giovani fumavano, si truccavano e frequentano locali notturni alla
moda. Il nuovo modello femminile fu la ragazza magra, senza più fianchi né petto,
con uno sfrontato piglio mascolino e i capelli cortissimi alla Garçonne. La moda volle
gonne sempre più corte e abiti spesso tagliati di sbieco, invenzione che sembra si
debba a Madeleine Vionnet. Tuttavia, prima di arrivare all'
orlo sotto al ginocchio,
vennero inseriti pannelli triangolari che rendevano la forma dell'
abito asimmetrica.
Alla fine degli anni venti si affermò lo stile bebè, con gonne al ginocchio, scarpe col
cinturino, cappelli a Cloche. La moda propose un nuovo modo di intendere l'
abito:
pratico, semplice, di costo contenuto, elegante. Antesignana di questo nuovo modo di
vestire fu Gabrielle Coco Chanel. Fu lei che lanciò l'
abito in jersey corto, imponendo
questo tessuto povero anche per il tailleur, una delle sue creazioni caratteristiche.
Sempre lei semplificò la linea dell'
abito da sera inventando un lineare tubino nero. Fu
la prima a lanciare i gioielli fantasia in vetro colorato, l'
abbronzatura e il profumo
legato alla sua linea, il mitico Chanel N° 5. Non disdegnava di portare i calzoni,
ancora tabù per le donne.
La moda maschile rimase nei binari rassicuranti che si era scelta. Tuttavia un certo
tono sportivo e disinvolto si insinuò nelle giacche dai larghi revers, nei pantaloni con
le pinces, nei gilè di lana stile golf. Comparirono i primi trench impermeabili e
tornarono i pantaloni alla zuava o knikerbokers indossati con calze scozzesi. Grande
novità furono l'
introduzione del colletto floscio per la camicia e il modello botton
down con due bottoncini che assicuravano le punte alla camicia.
Tra il 1929 e il 1932 una crisi mondiale violentissma spazzò l'
economia. Panico e
disperazione si abbatterono sul mondo, né la moda uscì indenne dal trauma. Le case
di moda francesi, che avevano avuto la loro migliore clientela oltre oceano, si videro
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imporre drastiche misure protezionistiche che gravarono pesantemente sugli abiti
esportati. Il lavoro degli ateliers parigini diminuì notevolmente, con conseguenti
licenziamenti di personale. Una ulteriore conseguenza della crisi fu la necessità di
usare filati di minor pregio: si diffusero così le fibre sintetiche, come il rayon o il
nylon. Quest'
ultimo, in particolare, sostituì la seta con cui fino ad allora erano state
fatte le calze.
Dopo il 1930 l'
ideale femminile diventò più aggraziato e copiò le star di Hollywood:
le labbra di Joan Crawford, i capelli platinati e le sopracciglia ridisegnate di Jean
Harlow, i tailleur pantaloni di Marlene Dietrich. La donna ideale era longilinea e
femminile, portava tacchi alti e si tingeva i capelli. Al contrario, nell'
Italia del
Regime si cercò di lanciare una bellezza formosa e mediterranea, modellata sul tipo
fisico della Signorina grandi firme, icona inventata da Gino Boccasile, per la
copertina del giornale Le grandi firme. La linea delle vesti negli anni trenta mutò: la
vita tornò al punto naturale, gli abiti si allungarono sotto al ginocchio e si aprirono in
piccole pieghe e pannelli. D'
inverno si preferivano lunghi cappotti con immensi colli
di volpe. Per il giorno trionfò il tailleur, mentre le spalle diventarono quadrate a causa
di imbottiture nascoste. Il pantalone si insinuò gradatamente nella moda, specie negli
abiti sportivi e nei completi estivi. I vestiti da sera, ultra femminili, si allungarono
nuovamente fino ai piedi, con scollature vertiginose sulla schiena. Il nuovo oracolo di
questo stile fu una sarta italiana emigrata in Francia: Elsa Schiaparelli. Dotata di una
fantasia e una creatività irrefrenabili, e da sempre interessata all'
arte moderna e alle
Avanguardie come il Surrealismo e il Cubismo, ispirò molti dei suoi vestiti ai quadri
di Salvador Dalì e di Pablo Picasso, con elementi onirici come specchietti, cassettini,
aragoste giganti. Oppure con fogli di giornale stampati, come i famosi papiers colleè
di Picasso. Il rosa fucsia o Shoking fu il suo colore preferito, come il nome di un suo
celebre profumo. La sua donna doveva essere spregiudicata e indipendente e non aver
paura del giudizio altrui. Negli ultimi anni precedenti la guerra l'
abito si accorciò e
allargò, mentre lo stile diventò più romantico, con incrostazioni di ricami e paiettes.
Per le vesti da sera si usarono tessuti leggeri e fruscianti. Con l’inizio della seconda
guerra mondiale, che terminò nel 1945 e con le conseguenti pesanti i governi e i sarti
adottarono misure cautelative; molte case di moda furono spostate a Berlino su
consiglio del sarto Lelong e molte altre chiudevano; mentre le linee diventarono
molto semplici ed in Inghilterra ed Italia si distribuivano tagliandi per
l'
abbigliamento. Per 4 anni si videro solo tessuti modesti ed abiti in tela jeans; mentre
altri creatori di moda utilizzando materiali poveri crearono nuovi modelli, come ad
esempio quelli di scarpe con la suola di sughero o di capretto, antesignani del genere
Ferravamo e enne inventato il Lanital al posto della lana.
Con la fine della guerra l'
haute couture ripartì da Parigi dove si realizzò un "Teatro
della moda” per far vedere i nuovi modelli. E Dior iniziatore della moda post bellica,
lanciò, nel 1947, il New looK per una donna raffinata e romantica puntando sul
taglio, e su una linea che modellava il corpo femminile, con spalle morbide, seno in
evidenza, vita di vespa, gonne lunghe, guanti, scarpe col tacco, cappelli.
Nel contempo Stati Uniti e Unione Sovietica, avevano ripartito il mondo in due
sfere d'
influenza ed in Europa si cominciò ad avvertire il fascino del modo di vita
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americano, che invase il vecchio mondo con cinema e televisione. Protagonisti i teenagers che si distinguevano dagli adulti anche per l'
abbigliamento: blue-jeans, t-shirt,
maglioni, giacche in pelle, look trasandato o sportivo, e per gli uomini, brillantina in
testa. Quello dei Jeans fu un fenomeno importante che influenza tuttora la moda dopo
il successo de Il Selvaggio, con Marlon Brando ed Elvis Presley col rock'
n'roll.
Cominciò così un fenomeno nuovo: la moda viene impostata da gente di strada, non
solo dai grandi sarti. Per la prima volta nella storia del costume le masse fecero
opinione.
In Europa erano gli anni della ricostruzione e del miracolo economico, propagandato
anche dai giornali di moda che si moltiplicavano a vista d'
occhio. La gente si
arricchiva e accedeva alle nuove tecnologie: la televisione, il frigorifero, l'
automobile.
Anche il mondo della moda cominciò ad essere influenzato dal consumo di massa. Le
donne si stancarono di portare i vestiti fuori moda delle loro mamme e copiarono i
modelli dalle riviste femminili con i cartamodelli e le sartine. Se Parigi continuava a
dettare legge, nasceva a Firenze l'
Industria della moda italiana, e nel 1952 a Palazzo
Pitti, si tenne la prima di molte sfilate e manifestazioni. L'
organizzazione si rivolse a
cercare nuovi sarti come Jole Veneziani, Carosa, Schuberth, Pucci, Fabiani, la
Marucelli, le sorelle Fontana, che prime, portarono la moda italiana negli Stati Uniti
con le loro elegantissime e ricercate collezioni. Parigi però con Dior, fino alla sua
morte nel 1957, dettava ancora legge con collezioni che si ispiravano alle lettere
dell'
alfabeto, e con la linea a sacco. Anche Chanel riaprì la sua casa di moda fedele
alle sue idee, con mitici tailleurs, dalla giacca senza collo e con i tacchi a spillo.
Sulle spiagge fece la sua prima comparsa il Bikini, ed i pantaloni continuarono il loro
successo per l'
estate, per lo sport e per lo sci e la maglia, cominciò a far parte delle
collezioni.
Con la morte di Dior, Yves Saint Laurent diventò direttore della maison e la sua
prima collezione, attesissima, ebbe un successo travolgente: la linea a trapezio, era
fresca, giovanile, e sostanzialmente una continuazione del Sacco di Dior.
L'
entusiasmo per il nuovo couturier durò però fino a quando, tradendo un accordo
con gli altri sarti di non alterare l'
orlo della gonna, Saint Laurent lo alzò di ben sette
centimetri, finendo poi con lo scoprire le ginocchia. A causa della bagarre che ne
seguì il giovane sarto ebbe un collasso e si ritirò da Dior cedendo il posto a Mark
Bohan. Nel 1962 aprì a Parigi un atelier per conto proprio.
Negli anni sessanta, irrequieti e provocatori, cambiano la morale e lo stile di vita in
cui siamo peraltro ancora radicati. Nonostante il benessere economico, gruppi sempre
più folti di giovani, misero sotto critica la società patriarcale e dei consumi,
proponendo nuovi modelli. Nel 1964 era scoppiata la Guerra del Vietnam, e le parole
d'
ordine dei gruppi giovanili furono amore e pace. Intanto all'
Univerità di Berkeley il
disagio provocò le prime contestazioni studentesche. Nel 1968 in Europa scoppiava il
Maggio francese. La divisa dei contestatori era un rifiuto totale verso il mondo
elitario della moda: eskimo, sciarpe, jeans sdruciti, maglioni sformati, scarpe da
tennis. Molti indumenti furono presi in prestito dalle uniformi di guerra, come il
famoso Montgomery, giacca in lana pesante che il generale Bernard La Montgomery
portava sempre; oppure la t-shirt, inventata dalla marina americana come canottiera
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per i soldati. I giovani salirono alla ribalta delle cronache e la moda si accorse di loro,
che pure la rifiutavano. Ma la società dei consumi è stata capace di incanalare la
protesta e renderla commerciabile.
In California un ristretto gruppo di giovani intellettuali, che saranno definiti la beat
generation crearono una nuova filosofia di vita basata sulla ricerca della libertà anche
attraverso esperienze dure come l'
uso di droghe e allucinogeni. In Inghilterra lo stesso
fenomeno fu diversamente interpretato: la musica Beat, rappresentata dai Beatles e
dai Rolling Stones, ebbe la capacità di aggregare milioni di teen agers, che copiarono
i vestiti dei loro idoli preferiti. I Beatles indossavano pantaloni stretti e corti,
giacchette striminzite, uniformi ottocentesche con spalline, stivaletti alla caviglia. Gli
Stones, più arrabbiati, preferivano camicie e pantaloni di satin, collane e braccialetti,
e si truccavano. Per entrambi i gruppi furono fondamentali i capelli lunghi e
scompigliati, che da più di un secolo erano vietati agli uomini; colori sgargianti e
lucidi sostituirono il grigio abito borghese.
Londra diventò meta di pellegrinaggio giovanile: proprio in quegli anni Barbara
Hulanicki, detta Biba, vi aprì la prima boutique di moda giovanile, con abiti colorati e
striminziti; nuovi stereotipi femminili : Twiggy, Jean Shrimpton, Veruska. Sottopeso,
con la pelle chiara e gli occhi immensi truccatissimi, furono fotografate da artisti del
calibro di David Bailey ed ebbero un successo planetario. Brigitte Bardot piaceva
invece per il suo broncio sensuale, la coda di cavallo e i lunghi capelli arruffati. Il
predominio di Parigi sulla moda stava cominciando a vacillare: in Inghilterra Mary
Quant lanciò nel 1964 la minigonna, una sottana o un tubino che scopriva
abbondantemente le ginocchia. Non potendo più portare reggicalze, si inventarono i
collant colorati. Mary Quant lanciò anche la moda della maglia a coste (skinny rib),
che fasciava la parte superiore del corpo. In Francia André Courrèges, che aveva
studiato come ingegnere, fu l'
unico a seguire la moda giovane, adottando gonne corte
con stivaletti senza tacco, calzamaglie bianche, linee geometrizzate, usando in modo
massiccio i pantaloni, che dagli anni sessanta entrarono di prepotenza nel guardaroba
femminile di ogni giorno. Audace e innovativo, Courrèges lanciò nl 1969 la Moda
spaziale ispirata al primo sbarco dell'
uomo sulla luna. Le sue modelle, vestite di abiti
metallizzati e parrucche sintetiche multicolori, fecero epoca.
Altre novità lanciate in Francia furono gli abiti metallici di Paco Rabanne, che non
avevano cuciture ma piastrine agganciate tra di loro con anelle. D'
altro canto tutto il
periodo guardò al materiale sintetico con interesse, includendo polivinili, con cui si
potevano creare effetti di trasparenza, e tessuti acrilici. Né la moda trascurò di
ispirarsi all'
arte: nel 1965 Yves Saint Laurent lanciò la collezione Mondrian; erano gli
anni della Pop art e dell'
Optical art, fondata da Victor Vasarely. Andy Warhol
propose nel 1962 un abito in carta Minestra di pomodoro, stampata con le sue
notissime scatole di zuppa Campbell.
Alla fine del periodo gli stili si sovrapponevano: si ebbero abiti Unisex, tra cui la
famosissima Sahariana lanciata da Saint Laurent, abiti trasparenti in stile Nude look,
abiti corti e lunghi. La minigonna non accennava a stancare, tuttavia si cercò di
trovare compromessi nella lunghezza degli orli. Dal 1967, fu lanciato il
Maxicappotto, sulle orme del successo del film Il dottor Zivago, completato da un
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immenso colbacco di pelo. Mini e Maxi furono abbinati, finché non si arrivò a una
via di mezzo, il Midi, con cui si chiudevano gli anni sessanta. Il 18 settembre 1970 in
Italia entrava in vigore la legge sul divorzio, sintomo di un evidente e profondo
cambiamento culturale. Negli States, come reazione all'
assurdità della guerra nel Viet
Nam, nasceva il Flower Power, che ebbe i suoi primi, mitici cantori al raduno del
festival di Woodstock.
La moda degli anni settanta nata dalle idee di protesta della fine degli anni sessanta,
divenne un movimento di liberazione; gli Hippy indossavano camicioni larghi, colori
sgargianti, monili di vario tipo, lasciando i capelli incolti in un groviglio di riccioli e
le femministe, abiti lunghi comprati ai mercatini dell'
usato con zoccoli. Alla moda
erano collegate anche le idee politiche: i jeans di marca, i Ray Ban, le Timberland
erano portati dai giovani di destra; a sinistra invece si preferivano jeans sdruciti,
camicioni e maglioni fuori taglia, borse a tracolla in cuoio naturale.
Elio Fiorucci primo che in Italia divulgò questo tipo di moda controcorrente fatta di
stracci ed il suo emporio diventò un punto d'
incontro dei giovani, dove si poteva
trovare di tutto, anche abiti con tessuto elasticizzato molto aderenti. Le case di moda
invece si vedevano fuggire la clientela anche per la crisi industriale del 1970-75, e per
salvarsi si adattarono al "pronto"; parlando ormai di mode diverse, compresa
l'
esplosione della maglieria, con la stilista francese Rykiel; indossando varii strati di
maglia, berretti e sciarpe; e tra le novità, gli Hot pants, pantaloncini più corti delle
minigonne. Ma il sarto più importante di questo periodo fu il coltissimo e fantasioso
Yves Sain Laurent, innovatore del guardaroba femminile, fornendo alla donna capi
tradizionalmente maschili, come lo smoking, il trench, il tailleur pantalone. Inoltre
con diverse collezioni si ispirò al mondo dell'
arte pop, al cubismo, al fauvismo; ed
aprì una famosa catena di negozi Rive Gauche di moda pronta.
Negli anni ottanta si assistette al cambiamento della professione dello stilista che
aveva creato veri e propri imperi finanziari, e che a causa della spietata concorrenza
doveva dare un’immagine accattivante dei propri prodotti attraverso le più sofisticate
strategie pubblicitarie. Il successo dello stilista è legato non solo agli abiti, ma anche
gli accessori ed l'
arredamento stesso dell'
abitazione. Con lo sviluppo di Internet e
del computer ogni marchio creò un suo sito, non solo per pubblicizzarsi, ma anche
per vendere direttamente, continuando, comunque, con le sfilate dei modelli, nel prêtâ-porter e disegnando e colorando gli abiti elettronicamente Mentre i gruppi della
cultura giovanile dei punk ed altri gruppi sviluppavano tendenze diverse, come anche
la corsa alla forma fisica, ed all’eccesso della magrezza. In questo periodo la moda
ridotta l'
importanza della haute couture francese, diventò internazionale ed ogni
nazione sviluppò uno stile differente; in Europa, in particolare, l'
Italia, la Germania, e
l'
Inghilterra, mentre negli gli Stati Uniti ed in Giappone emergeva il classico
contemporaneo. In questo periodo si sviluppò il Made in Italy attraverso varie
strategie di marketing. Milano, centro industriale, divenne capitale della moda contro
Torino, Firenze e Roma con i famosi stilisti Giorgio Armani, Missoni, Ferrè,
Versace, Dolce & Gabbana e Krizia. L'
ideale di bellezza femminile divenne la donna
sportiva e snella, ambiziosa, e di successo, secondo cui era possibile modellare il
corpo con la ginnastica, il culturismo, le diete e le cure di bellezza; la donna manager,
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non più femminile e fragile, ma dura e forte per il lavoro. In contemporanea nacque
negli States il fenomeno Yuppie, per gli uomini ambiziosi che lavoravano spesso in
borsa, avevano pochi scrupoli e frequentava ambienti e ristoranti esclusivi, sniffando
cocaina e vestendosi Armani e Versace.
Ai nostri giorni, la moda, rispecchia il grande cambiamento sociale, avvenuto dagli
anni 70 in poi gradualmente, verso una malcelata ineducazione e maleducazione
generalizzata, sotto le mentite spoglie dei diritti senza più doveri, della libertà senza
regole e confini, del tutto a tutti, perché siamo tutti uguali, così anche la moda ogni
anno, ma anche nello stesso anno indiscriminatamente allunga ed accorcia le gonne,
allarga o restringe i vestiti e le taglie, accoppia i colori in modo indiscriminato, così
da rispondere alla poliedrica e variegata richiesta della clientela sempre meno
elegante e raffinata, ma non per questo meno pretenziosa ed arrogante. Tranne pochi
atelier che mantengono buongusto ed eleganza, oggi è difficile trovare qualcosa che
piace veramente, che sia ad un tempo classica e sfiziosa, particolare e seducente. Così
pure la Salute psicofisica e sociale risente di questo stile di vita pressappochista,
frettoloso, inelegante, poco ecologico, che fatalmente conduce a problemi, disturbi e
malattie, tipiche della società attuale, come aumento dei Tumori e delle Malattie
Cardio-vascolari, dei Disturbi dell’Alimentazione e dei Disturbi di Personalità.
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Italiano, 1966 - Ferruccia Cappi Bentivegna - Abbigliamento e costume nella pittura
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Costume nella pittura Italiana - Ed. Bestetti, Roma 1964 - Antonio Sandre "Il
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Könemann Verlagsgesellshaft, 2000
Museo della moda - A Firenze, Galleria del Costume in Palazzo Pitti, dove si può
vedere la storia dettagliata delle mode che si sono susseguite nel tempo, con una
collezione di circa 6000 pezzi, fra abiti antichi, accessori, costumi teatrali e
cinematografici, anche di prestigiosi stilisti italiani e stranieri.
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