L’AMMIRAGLIO STEFANO DE MARI
PAOLO GIACOMONE PIANA
In passato le Marine degli stati italiani del XVII secolo erano presentate come
tenacemente ancorate all’impiego della galea e sorde a ogni evoluzione della
tecnica navale; inoltre, per un malinteso patriottismo, si evitava di parlare degli
uomini di mare che servivano all’estero, anche se lo facevano con navi di loro
proprietà. Queste concezioni hanno nuociuto in particolare alla valutazione del
potenziale marittimo genovese, che sembra scomparire dopo l’epoca di Andrea
Doria, ridotto alle poche galee che costituivano la flotta statale. Si tende così a
sorvolare sul fatto che fino al 1716, pur essendo la Repubblica formalmente
neutrale, a Genova ebbe la sua base la «Escuadra de los particulares», un
reparto della flotta spagnola formato da galee appartenenti a privati genovesi,
altrimenti detto «le galee del duca di Tursi» dal nome del suo comandante.( 1)
Nel contesto mediterraneo la galea era un tipo di nave che conservava
ancora un suo valore come unità da guerra, soprattutto in funzione anticorsara,
ma nella seconda metà del Seicento la nave a vela era ormai predominante. La
recente ricerca ha dimostrato priva di fondamento la comparazione tra la
Genova medioevale dominante le rotte mediterranee e una decadente Genova
settecentesca con piccole e rare navi ancora battenti la sua bandiera. Questo era
dovuto al fatto che i genovesi (e con questo termine s’intendevano allora tutti i
liguri sudditi della Repubblica) in tempo di pace trovavano più conveniente
navigare battendo la bandiera di altri stati, inalberando il vessillo di San Giorgio
(1) La «Escuadra de los particulares» era stata costituita nel 1582 riunendo le unità
di proprietà di Giovanni Andrea Doria e di altri privati; il comando era stato affidato allo
stesso Giovanni Andrea, che scelse come suo successore il secondogenito Carlo, duca di
Tursi, alla cui famiglia rimase fin quando questa squadra venne soppressa, nel 1716.
Paolo Giacomone Piana - L'Ammiraglio Stefano De Mari
solo quando le potenze marittime erano in guerra l’una contro l’altra, valendosi
della neutralità per navigare liberamente e trafficare imparzialmente con tutti i
belligeranti.( 2)
A Genova l’impiego delle grandi navi a vela aveva preso l’avvio
nell’ultimo decennio del Cinquecento, quando ne erano state noleggiate molte
per trasportare il grano acquistato nel Baltico per far fronte alla carestia di
cereali nell’Europa meridionale;( 3) ma presto le nuove tecniche di costruzione
furono acquisite dalle maestranze locali. Poco dopo la metà del XVII secolo,
l’iniziativa privata fece costruire le prime unità di questo tipo e, nei decenni
successivi, nei cantieri alla Foce del Bisagno e lungo la Riviera di Ponente si
vararono numerose navi di grande tonnellaggio, spesso per committenti
stranieri.( 4)
Il governo genovese favorì la costruzione di vascelli mercantili di
notevoli dimensioni e bene armati, che potevano fare a meno della protezione
delle navi da guerra statali, i cui costi di gestione erano proibitivi.( 5) Già intorno
al 1680 l’armamento privato era in grado di costruire e far navigare un notevole
numero di vascelli «poderosi et armati come in guerra», simili o addirittura
migliori rispetto a quelli statali, aboliti nell’ultimo decennio del Seicento per
una scelta dettata da considerazioni sia finanziarie, sia di politica estera, non
certo di carattere tecnico.( 6)
65-67.
(2) Cfr. G. Giacchero, Economia e società del Settecento genovese, Genova, Sagep. 1973, p.
(3) Cfr. E. Grendi, “Traffico e navi nel porto di Genova fra 1500 e 1600”, in Id., La
Repubblica aristocratica dei Genovesi, Bologna, 1987, p. 309-364, in particolare p. 341-345.
(4) Cfr. L. Gatti, Navi e cantieri della Repubblica di Genova (secoli XVI-XVIII), Genova,
Brigati, 1999, p. 36-40; P. Campodonico, La Marineria Genovese dal Medioevo all’Unità d’Italia,
Milano, Fabbri, 1989, p. 195-199.
(5) Nel 1651 venne deliberata la formazione di una squadra di quattro vascelli d’alto
bordo, di cui venne commissionata la costruzione ai cantieri navali olandesi di Texel.
Dopo varie vicissitudini, la squadra fu pronta tra il 1654 ed il 1656 e impiegata soprattutto
per scortare i convogli sulla rotta Cadice-Genova. Ma ben presto la squadra fu dimezzata e
poi ridotta a una sola unità, venduta a privati nel 1686. Cfr. G.C. Calcagno, “La
navigazione convogliata a Genova nella seconda metà del Seicento”, Guerra e commercio
nell’evoluzione della Marina genovese tra XV e XVII secolo, t. II, Genova 1973, p. 265-372.
(6) Il conflitto con la Francia del 1684-1685 aveva mostrato che la Repubblica non
poteva neppure tentare di competere con le grandi potenze sul piano militare: la presenza
di proprie navi da guerra avrebbe finito per essere, più che una garanzia di sicurezza,
l’occasione per incidenti, che avrebbero messo a repentaglio la neutralità genovese nei
conflitti europei. Si rinunciò così all’utilizzo di vascelli d’alto bordo, limitando la flotta a
poche galee, impiegate per assicurare le comunicazioni e garantire la sicurezza della
navigazione nel Mar Ligure e nell’alto Tirreno contro pirati e corsari: qualora le galee non
bastassero ad adempiere questi scopi limitati, bastava noleggiare un certo numero di navi a
vela con i relativi equipaggi, utilizzate per scortare i mercantili o per andare in corso nella
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Fin dagli inizi agli equipaggi stranieri furono affiancati i liguri, ottenendo
così ufficiali e marinai provetti alla manovra delle nuove «navi di gabbia», e ben
presto il Magistrato dei Conservatori del mare( 7) emanò apposite tabelle
d’armamento ed i regolamenti per il servizio a bordo, imponendo per questo
tipo di navi una normativa e una disciplina di carattere praticamente militare.
Un apposito regolamento, emanato il 16 maggio 1695, prescriveva nei minimi
dettagli il numero degli uomini d’equipaggio, l’armamento e le diverse
attrezzature che dovevano essere in dotazione alle navi a vela, classificate in
nove categorie a seconda della portata.( 8)
Stefano de Mari si può considerare l’epigono di questa serie di ammiragli,
in quanto all’inizio del suo servizio comandava navi di sua proprietà, ma fu
inquadrato ben presto nella Marina spagnola. Ricostruirne la biografia non è
facile, perché in Spagna è trascurato come straniero e in Italia dimenticato:
perfino Della Cella, autore di un’opera sulle famiglie nobili genovesi che si può
considerare tra le più complete, lo trascura ricordando invece il fratello
Ippolito, che fu più volte senatore della Repubblica.( 9)
La famiglia De Mari
Stefano, secondogenito di Francesco fu Stefano e di Livia Maria Centurione,
nacque a Genova il 29 luglio 1683, venne battezzato il primo agosto 1683 nella
chiesa di Santa Maria delle Vigne nel centro della città e fu ascritto al Libro
stagione invernale. Terminate le operazioni, scadeva il contratto e i capitani venivano
saldati in proporzione al tempo per cui erano stati impegnati. Cfr. C. Costantini, “Aspetti
della politica navale genovese nel Seicento”, Guerra e commercio ..., cit., t. I, p. 207-235, in
particolare p. 228-234.
(7) I Magistrati erano organi esecutivi dei Serenissimi Collegi, che svolgevano
funzioni sia amministrative sia giurisdizionali: nel primo caso possono essere paragonati
alle odierne direzioni generali dei ministeri, mentre nel secondo erano veri e propri
tribunali.
(8) Cfr. Conservatori del mare per la Serenissima Repubblica di Genova. Istrutione per osservarsi
dall’Illustrissimo Deputato di mese in occasione della visita a’ vascelli, e navi prima della loro partenza, e
dopo il loro ritorno, Genova 1712 (a stampa), di cui una copia in Biblioteca Civica Berio, m.r.
III 5 74. Proclami, tomo I, p. 32: un parziale riassunto dell’Istrutione, in forma tabellare, è
pubblicato in G. Giacchero, Il Seicento e le Compere di San Giorgio, Genova, Sagep, 1979, p.
692 sg.
(9) A. Della Cella, Famiglie di Genova, antiche e moderne, esistenti e viventi, nobili e popolari
…, parte II, p. 903 (manoscritto cartaceo del 1782 alla Biblioteca Civica Berio di Genova).
Per un primo tentativo di biografia cfr. P. Giacomone Piana, De Mari Stefano, in Dizionario
biografico dei Liguri, V, Genova, Consulta Ligure, 1999, p. 319-324.
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Paolo Giacomone Piana - L'Ammiraglio Stefano De Mari
d’Oro della nobiltà genovese il 20 dicembre 1703.( 10) Egli discendeva da quello
Stefano de Mari che partecipò alla battaglia di Lepanto con due galee di sua
proprietà; suo nonno, pure di nome Stefano, fu doge nel 1663-1665, come
furono dogi gli zii paterni Gerolamo (1699-1701) e Domenico Maria (17071709).( 11) Invece il padre Francesco sembra essere stato impegnato soprattutto
in transazioni finanziarie e attività bancarie, come testimonia l’elezione nel
1703 a «protettore» della Casa di San Giorgio, la massima carica di questo
caposaldo del sistema politico ed economico genovese: la sua carriera, valutata
contestualmente a quella dei fratelli, contribuisce a rendere evidente la presenza
massiccia del gruppo familiare dei De Mari nel governo della cosa pubblica
genovese.( 12)
A indirizzare Stefano de Mari verso la Marina da guerra fu senz’altro il
fatto di essere nipote di Ippolito Centurione, famoso ammiraglio del Seicento,
anche se le notizie sui primi trent’anni della sua vita sono molto scarse.
Francisco de Paula Pavía, nella sua Galeria biografica de los Generales de Marina
scrive che servì Carlo II, l’ultimo Asburgo di Spagna, prestò omaggio a Filippo
V quando ascese al trono spagnolo (1700) e navigò nel Mediterraneo imbarcato
sulle galee, senza precisare altro.( 13) Questo è stato ripetuto fino ad oggi, ma è
probabile che, almeno per un certo periodo, sia stato al servizio della Francia,
perché un suo ritratto giovanile, oggi al Museo Naval di Madrid, lo mostra
cinto della sciarpa bianca allora caratteristica degli ufficiali francesi; il che non
sarebbe affatto strano poiché, visto lo stato critico delle finanze spagnole,
durante gli anni 1702-1713 era pratica comune passare navi e marinai alla
Francia, che era in grado di pagarli.( 14)
(10) Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, 2844, Nobilitatis, doc. 36 (20
dicembre 1703).
(11) Secondo la costituzione della Repubblica i dogi restavano in carica solo due
anni, ma allo scadere della carica diventavano «Procuratori perpetui», ossia membri
permanenti del Collegio dei Procuratori o Camera, che insieme all’altro collegio, quello dei
Governatori o Senato, costituiva i «Serenissimi Collegi» presieduti dal doge, ai quali
competeva il governo dello Stato; come ha scritto Carlo Bitossi «di fatto solo chi diventava
doge aveva la possibilità di essere presente fino alla morte al vertice del governo della
Repubblica. Non solo: i procuratori perpetui assicuravano la continuità di svolgimento dei
lavori in un consesso, come i Collegi, la permanenza nel quale era limitata per legge a un
biennio». Cfr. C. Bitossi, La Repubblica è vecchia. Patriziato e Governo a Genova nel secondo
Settecento, Roma, Istituto Storico Italiano per l’Età moderna e contemporanea, 1995, p. 27.
(12) Cfr. C. Bitossi, De Mari Francesco in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 38°,
Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1990, p. 270-272.
(13) F.P. Pavía, Galeria biografica de los Generales de Marina. Jefes y personajes notables que
figuraron en la misma corporaciòn desde 1700 á 1868, II, Madrid, J. Lopez, 1873, p. 273.
(14) Ritratto di ignoto che si può trovare su Internet all’indirizzo:
http://cvc.cervantes.es/actcult/museo naval/sala3/personajes/personajes 05.htm.
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Bollettino d'Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2012
Un ritratto di Stefano de Mari conservato al Museo Navale di Madrid. La sciarpa
bianca, che indicava l’unione delle flotte spagnola e francese, permette di datare
questo quadro al periodo 1713-1714. (Dal sito del Museo Naval)
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Paolo Giacomone Piana - L'Ammiraglio Stefano De Mari
L’assedio di Barcellona e la conquista delle Baleari
A Utrecht, l’11 aprile 1713, erano stati firmati i trattati di pace della Francia con
la Gran Bretagna, le Province Unite, il Portogallo, la Savoia e la Prussia, e il 13
luglio vi aveva acceduto la Spagna, ponendo termine alla guerra di Successione
spagnola, anche se, di fatto, i combattimenti erano già cessati da tempo.( 15)
Rimanevano però in armi la Catalogna e le Baleari, i cui abitanti si erano a suo
tempo schierati contro Filippo V e ora cercavano di conservare le loro antiche
libertà malgrado le truppe ausiliarie inglesi e portoghesi si fossero reimbarcate
lasciandoli al loro destino.( 16)
Rifiutata un’amnistia generale, Barcellona venne bloccata per via terra
dall’agosto 1713, anche se per molti mesi si cercò di evitare aperte ostilità; nello
stesso tempo di fronte alla città si riunì una flotta al comando di Andrés de Pes,
composta di vascelli, galeoni della «carrera de Indias» e galee, di cui faceva
parte anche Stefano de Mari con tre navi di sua proprietà, un vascello di 70
cannoni ed altri due di portata inferiore.( 17) Nonostante la sua composizione
eterogenea, questa flotta impedì efficacemente l’afflusso di rinforzi e di
rifornimenti alla città, fino a che, aperte le ostilità, Barcellona venne espugnata
l’11 settembre 1714.
Subito dopo la squadra venne inviata in Liguria, con istruzione di
imbarcare a Sestri Levante Elisabetta Farnese, seconda moglie del re Filippo V,
conducendola ad Alicante. Il 30 settembre la principessa salì a bordo, ma dopo
sei ore di navigazione, causa il mal di mare volle sbarcare a Genova e
proseguire per via di terra, malgrado la costernazione generale, facendo
conoscere fin dall’inizio quel misto di arroganza, capricciosità ed egoismo che
dovevano farla chiamare la «strega di Spagna».( 18)
(15) Un primo armistizio era stato concluso nell’agosto 1712, La pace tra la Francia
e il Sacro Romano Impero fu stipulata a Rastadt il 6 marzo 1714, ma la Spagna rifiutò di
aderirvi, tanto che per rappresaglia Filippo V continuava a essere indicato da Vienna come
Filippo d’Angiò.
(16) La Catalogna era stata il centro dei sostenitori dell’arciduca Carlo d’Asburgo,
pretendente al trono di Spagna in opposizione a Filippo V, che visse a Barcellona fino a
quando lasciò la città perché eletto imperatore col nome di Carlo VI.
(17) C. Fernandez Duro, Armada española desde la unión le los reinos de Castilla y Aragón,
VI, Madrid, Est. Tipográfico «Sucesores de Rivadeneyra», 1900 (rist. anast. Madrid, Museo
Naval, 1973), p. 114.
(18) Paolo Alatri scrive che «era dotata di un temperamento che si stava rivelando
forte, non le mancavano certo quella salute e quella volontà che invece facevano
completamente difetto al marito, il quale, a 32 anni, era già un vecchio, … ipocondriaco e
ossessionato dal pensiero della morte». P. Alatri, L’Europa dopo Luigi XIV, Palermo,
Sellerio, 1986, p. 85.
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Bollettino d'Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2012
Stefano de Mari fu tra quelli che accompagnarono la principessa nella
traversata delle Alpi, e tramite lei ottenne il grado di Jefe de escuadra
(contrammiraglio) nella Marina spagnola.( 19)
Una volta tornate a Barcellona le navi di de Pes, si procedette a
organizzare la spedizione contro Maiorca, rinviata a causa del viaggio sulle
coste della Liguria. L’11 giugno 1715 si pose quindi alla vela un convoglio che
conduceva ventiquattro battaglioni di fanteria, 1200 cavalli, 600 muli scortati da
18 navi da guerra e 6 galee al comando dell’ammiraglio Pedro de los Rios,
mentre De Mari era comandante in seconda della spedizione, della quale
facevano parte tre vascelli di sua proprietà: El Real di 1000 t, con 65 cannoni e
360 uomini d’equipaggio, comandato dallo stesso De Mari; Porcuspin di 550 t,
50 cannoni e 200 uomini d’equipaggio, comandante “Pablo Burro”, e Principe de
Asturias di 600 t, 50 cannoni e 280 uomini d’equipaggio, comandante un non
meglio precisato “Justiniano”.( 20)
Tuttavia la spedizione si risolse senza spargimento di sangue, poiché
sbarcate le truppe sulla spiaggia di Alcudia il 15 giugno, i difensori, dopo una
difesa pro forma, capitolarono il 2 luglio, lasciando tutto l’arcipelago delle Baleari
in mano borbonica salvo Minorca, ceduta alla Gran Bretagna con il trattato di
Utrecht e che ne mantenne il possesso fino al 1782. Con questa spedizione la
Spagna era finalmente in pace con tutti, poiché, anche se quella con
l’Imperatore non era stata formalizzata da un trattato, le ostilità erano
terminate.
Alla difesa di Corfù
Il compito di ricostruire la Spagna uscita esausta dalla guerra di Successione, fu
affidato al primo ministro Giulio Alberoni, la cui azione di governo, energica e
illuminata, diede in pochi anni risultati eccezionali. L’opera di riforma non era
però volta ad assicurare lo sviluppo economico del paese, quanto a procurare
entro breve termine i mezzi per tentare di recuperare i possedimenti italiani
tolti alla Spagna dal trattato di Utrecht, secondo gli intendimenti di Filippo V e
della moglie Elisabetta Farnese, fomentata dallo zio Francesco Farnese duca di
Parma. Le risorse ottenute con il riordinamento delle finanze furono quindi
impiegate nel potenziamento delle forze armate.
(19) C. Fernandez Duro, op. cit., p. 117.
(20) Cfr. A.I. Alomar, L’exèrcit mallorquì, Palma de Mallorca, Edicions Documenta
Balear, 1998, ill. tra le p. 120 sg. che riproduce un opuscolo a stampa contemporaneo; è
interessante notare che della squadra facevano parte due navi entrambe con il nome
Principe de Asturias.
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La ricostruzione della Marina da guerra fu merito di José Patiño y
Morales (1666-1736), che operò con rara onestà ed efficienza ridando alla
Spagna una flotta, sia pure formata per lo più da vascelli mercantili equipaggiati
per il combattimento, parecchi dei quali genovesi. Nella sua opera, Patiño fu
coadiuvato da De Mari, con il quale aveva stretto un legame di amicizia
destinato a durare nel tempo.
Gli stretti rapporti con il ministro e i suoi indubbi meriti personali fecero
sì che fosse affidato a Stefano de Mari il comando di sei navi di linea, che
salparono da Cadice nel luglio 1716 per andare in soccorso della fortezza
veneziana di Corfù assediata dai turchi in unione a cinque galee comandate da
Baltasar de Guevara:( 21) tra le sei navi era compresa la Real, ora considerata a
tutti gli effetti parte della Marina spagnola. Però l’importanza di Stefano de
Mari come armatore era stata posta in rilievo qualche mese prima quando era
stato consultato dal priore Ferratti, inviato a Genova da papa Clemente XI per
noleggiare le navi con cui formare una squadra da mandarsi in Levante sotto
bandiera pontificia.( 22)
Questa spedizione presenta aspetti molto controversi: anche se non è
vero, come asserirono alcuni autori, che le navi spagnole si erano fermate a
Barcellona, è altrettanto falso quanto scrive il marchese di San Felipe nei suoi
Comentarios, secondo il quale l’arrivo della flotta spagnola avrebbe costretto i
turchi a levare l’assedio; lo stesso autore, però, afferma che la squadra di De
Mari giunse a Corfù il 28 agosto, quando i turchi si erano già reimbarcati da
qualche giorno.( 23)
(21) Su questo conflitto v. V. Ilari, G. Boeri, C. Paoletti, Tra i Borboni e gli Asburgo.
Le armate terrestri e navali italiane nelle guerre del primo Settecento (1700-1732), Ancona, Nuove
Ricerche, 1996, p. 407-421. È curioso che Francisco de Paula Pavia non faccia alcun
accenno a questa spedizione nella scheda dedicata a De Mari della sua Galeria biografica,
attribuendo il comando dei sei vascelli a Baltasar de Guevara, che invece comandava le
galee. Cfr. F.P. Pavía, Galeria biografica de los Generales ..., cit., tomo III, Madrid, J. Lopez,
1873, p. 837.
(22) Della squadra pontificia faceva parte anche la nave Porco Spino del comandante
Pietro Maria Boero, che potrebbe essere quel “Pedro Borro” citato da una fonte spagnola;
cfr. P. Giacomone Piana, “La squadra del commendatore de Langon: cavalieri di Malta su
vascelli genovesi nella guerra di Corfù (1716)”, Riviera di Levante tra Emilia e Toscana. Un
crocevia per l’Ordine di San Giovanni, a cura di J. Costa Restagno, Genova-Bordighera, Istituto
Internazionale di Studi Liguri, 2001, p. 231-278, in particolare p. 248. Inoltre la nave
veneta Regina del Mare era comandata dal patrizio genovese Lelio Maria Priaroggia, che ne
aveva reclutato a Genova l’intero equipaggio; Priaroggia in precedenza aveva servito sulle
navi di De Mari: cfr. G. Candiani, I Vascelli della Serenissima. Guerra, politica e costruzioni navali
a Venezia in età moderna, 1650-1720, Venezia, Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti,
2009, p. 492.
(23) V. Bacallar y Sanna, marqués de San Felipe, Comentarios de la guerra de España e
Historia de su Rey Felipe V, el animoso, Madrid, Biblioteca de Autores Españoles, 1957, p. 264 sg.
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A sua volta Guido Candiani scrive che la flotta alleata era già stata
rinforzata dalle sei navi spagnole quando il vento contrario le impedì di
contrastare il reimbarco ottomano, effettuato nella notte sul 22 agosto;
comunque tutti convengono sul fatto che gli spagnoli rimasero in zona solo
pochi giorni, tanto che nei primi giorni di settembre la flotta veneta,
demoralizzata dalla partenza di spagnoli e pontifici rimase ferma nelle acque di
Zante.( 24)
La spedizione contro la Sardegna
Nel 1717 la flotta, apparentemente allestita per una nuova spedizione contro i
turchi, fu invece rivolta contro le coste della Sardegna, che era possesso
imperiale. Fino a quel momento la politica di Alberoni era consistita nel
guadagnare tempo per mettere in grado di permettere alla Spagna di affrontare
l’Imperatore, tentando di assicurarsi l’alleanza o almeno la neutralità della
Francia, della Gran Bretagna e dei Paesi Bassi; ma essendo allora Carlo VI in
guerra contro l’Impero ottomano, si pensò di cogliere l’occasione
favorevole.( 25)
Ai vascelli preparati per la spedizione in Levante si aggiunsero in tre
settimane un centinaio di legni da trasporto, che imbarcarono circa 8000
uomini e 600 cavalli agli ordini del fiammingo Juan Francisco de Vete,
marchese de Lede. La squadra contava nove vascelli, sei fregate, due brulotti,
due bombarde e tre galee; le navi erano ripartite in due divisioni, una agli ordini
del comandante in capo Stefano de Mari e l’altra di Baltasar de Guevara,
mentre le galee erano comandate da Francisco Grimau.( 26)
Partita da Barcellona tra il 18 e il 22 luglio (le fonti divergono circa la
data esatta), la mancanza di vento impedì alla divisione di De Mari di arrivare
prima della fine di agosto nella rada di Cagliari, dove trovò ad aspettarla la
divisione di Guevara; questo ritardo aveva lasciato tempo ai difensori di
prepararsi, per cui gli spagnoli furono costretti a sottoporre Cagliari a un
assedio in piena regola. Malgrado ciò, la conquista della Sardegna fu impresa
oltremodo facile: Cagliari capitolò il 2 ottobre ed entro il mese tutta l’isola era
occupata, con la perdita di 500 uomini dovuta più alla malaria che al fuoco
nemico.
(24) C. Fernandez Duro, op. cit., p. 119; G. Candiani, op. cit., p. 522.
(25) P. Alatri, op. cit., p. 145-156.
(26) C. Fernandez Duro, op. cit., p. 135.
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Paolo Giacomone Piana - L'Ammiraglio Stefano De Mari
Il 23 novembre navi e soldati erano di ritorno a Barcellona, eccezion
fatta per 3000 uomini e due galee lasciate a difendere l’isola.( 27)
In definitiva, la perdita della Sardegna finì per andare a vantaggio
dell’imperatore Carlo VI: l’isola, povera e desolata, non valeva molto, mentre
quell’impresa rese automaticamente le varie potenze europee nemiche della
Spagna, compreso il papa Clemente XI, colpito dal fatto che la flotta destinata
a combattere i turchi fosse stata impiegata per ben altri fini.
In realtà l’obiettivo spagnolo doveva essere il regno di Napoli, ma
Alberoni era riuscito a ottenere che la spedizione puntasse sulla Sardegna,
scelta «come più facile da conservarsi»; tuttavia il duca di Parma aveva
continuato a insistere perché la conquista della Sardegna non impedisse poi di
estendere la spedizione al regno di Napoli, anzi ne fosse il preludio.
Di conseguenza verso la fine dell’anno De Mari fu mandato con la
squadra sulle coste napoletane, al fine di appoggiare una rivolta che doveva
scoppiare all’arrivo della flotta spagnola.
La stagione, ormai avanzata, era poco propizia alla navigazione e
l’ammiraglio fu costretto a rientrare alla base a causa delle condizioni del mare
e dei venti.( 28)
La spedizione contro la Sicilia
Ufficialmente nessun addebito venne mosso a De Mari per questo insuccesso,
però l’anno successivo non ebbe il comando della spedizione contro la Sicilia,
che fu affidato a don Antonio Gaztañeta y de Turribálzaga (1666-1728), che
era soprattutto un navigatore e uno scienziato, passato alla storia per i suoi libri
di nautica, con scarsa esperienza militare.
La sua scelta venne giustificata con il fatto che era il più anziano degli
ammiragli presenti, ma considerando che le truppe erano guidate ancora dal
marchese di Lede, è probabile che si volesse avere uno spagnolo almeno al
comando della flotta; però la loro autonomia era limitata dalla presenza di José
Patiño, che accompagnava la spedizione, ed entrambi avevano ricevuto
istruzioni di non decidere nulla senza sentire il suo parere, che doveva essere
decisivo in caso di discordia fra loro.
(27) Sulle operazioni militari in Sardegna cfr. V. Ilari, G. Boeri, C. Paoletti, op. cit., p.
430-432; C. Fernandez Duro, op. cit., p. 135-138; R. Gerba, Guerre in Sicilia e in Corsica negli
anni 1717-1720 e 1730-1732, vol. XVIII dell’opera Campagne del principe Eugenio di Savoia,
Torino, Roux e Viarengo, 1901, p. 9-23; notare che le varie fonti divergono circa le date e
la composizione del corpo di spedizione, soprattutto sul numero dei trasporti, indicati
variamente da ottanta a cento.
(28) Cfr. P. Alatri, op. cit., p. 155-157; C. Fernandez Duro, op. cit., p. 138 sg.
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De Mari assunse così il comando di una delle divisioni della squadra di
Gaztañeta, che il 19 giugno 1718 salpava da Barcellona verso la Sicilia (allora
dominio di casa Savoia) forte di diciotto vascelli di linea, diciassette fregate, due
brulotti, due bombarde e sette galee, scortando oltre trecento navi da
trasporto.( 29)
Come scriveva lo stesso Alberoni, «non si è ancora pensato di portare
sopra il mare un’armata di trentatre mila homini effettivi, cento pezzi di
cannone da battere di 24, e venticinque da campagna, quaranta mortari,
trentamila bombe, ottantamila instromenti da movere terra, viveri tanto per
l’armata di mare quanto per quella di terra per tutto ottobre …».( 30)
Era uno sforzo senz’altro notevole per una nazione appena uscita da un
rovinoso conflitto durato oltre dieci anni, ma la spedizione era stata messa
insieme affrettatamente con elementi di qualità molto variabile per fini che
potevano interessare solo i Farnese, non certo gli spagnoli.
Erano passati oltre sei mesi dalla completa occupazione spagnola della
Sardegna, e in quel tempo i diplomatici europei avevano cercato di elaborare
una soluzione di compromesso, ma essendo fallito ogni tentativo, la Spagna
sfidava tutto il resto dell’Europa, per volere dei suoi sovrani più che di
Alberoni.
Il 1° luglio 1718 i primi scaglioni delle truppe spagnole presero terra nei
pressi di Palermo, che venne occupata facilmente, mentre le guarnigioni
piemontesi si ritiravano nelle fortezze di Messina, Siracusa e poche altre.
Le truppe procedettero rapidamente all’occupazione di tutta l’isola, dove
la recente sovranità sabauda non era popolare; per la fine di luglio il grosso
della squadra si era spostato a Messina venendo ben presto in possesso della
città, salvo la cittadella, che rimase in possesso dei piemontesi ben presto
rinforzati da truppe imperiali.( 31)
(29) C. Fernandez Duro, op. cit., p. 140, il cui computo si riferisce al momento della
partenza. Data di partenza, numero delle navi e forza del corpo di spedizione variano
secondo le fonti; inoltre non è sempre chiaro se tengano o no conto di uomini e navi
unitisi alla spedizione in Sardegna (a sua volta molto rafforzata in sei mesi) o dei rinforzi
mandati successivamente in Sicilia.
(30) Alberoni al conte Rocca, 6 giugno 1718, cit. in P. Alatri, op. cit., p. 170.
(31) Sulle operazioni militari in Sicilia cfr. V. Ilari, G. Boeri, C. Paoletti, op. cit., p.
433-439; R. Gerba, Guerre in Sicilia e in Corsica negli anni 1717-1720 e 1730-1732, vol. XVIII
dell’opera Campagne del principe Eugenio di Savoia, Torino, s.e., 1901, p. 24-187; A. Saluzzo,
Histoire militaire du Piémont, V, Torino, Pierre Joseph Pic, 1818, p. 270-276.
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Paolo Giacomone Piana - L'Ammiraglio Stefano De Mari
La battaglia di Capo Passero( 32)
Contro la Spagna si era intanto formata una quadruplice alleanza tra Francia,
Impero, Gran Bretagna e Paesi Bassi, ed era stata inviata nel Mediterraneo una
flotta britannica comandata dall’ammiraglio sir George Byng con istruzioni
segrete di eliminare prima di tutto la flotta spagnola.
Composta di bastimenti disparati e mediocri, comandati da ufficiali
improvvisati e montati da equipaggi senza preparazione, la flotta spagnola non
poteva reggere il confronto con quella britannica, che la soverchiava anche
come numero.
Gaztañeta era conscio della
sua inferiorità, e non appena
ebbe conoscenza, l’8 agosto,
dell’arrivo della squadra di
Byng, convocò un consiglio
di guerra nel corso del quale
De Mari fu alla testa di
quanti invitavano alla prudenza, sostenendo che la
cosa più importante era
conservare la flotta e non
metterla a repentaglio esponendola a un attacco delle
navi inglesi.
La copertina di un opuscolo
contemporaneo sulla battaglia
di Capo Passaro. Notare che la
flotta spagnola è detta “angioina” perché Carlo VI d’Asburgo non riconosceva l’ascesa di
Filippo V, già duca d’Anjou, al
trono di Spagna. (Collezione
Pietro Berti)
(32) Questa battaglia prende nome dal Capo Passero, in vista di Siracusa, anche se
talvolta si trova quella di «battaglia di Capo Passaro», ricalcata su quella usata fuori d’Italia;
su questo scontro cfr. V. Ilari, G. Boeri, C. Paoletti, op. cit., p. 436 sg.; C. Fernandez Duro,
op. cit., p. 147-163; R. Gerba, Guerre in Sicilia e in Corsica negli anni 1717-1720 e 1730-1732,
vol. XVIII dell’opera Campagne del principe Eugenio di Savoia, Torino, s.e., 1901, p. 69-71; J.
K. Loughton, Byng, George, Viscount Torrington, in Dictionary of National Biography, III, Londra
1908, p. 567-570; W. L. Clowes, The Royal Navy. A History from the Earliest Times to 1900, III,
Londra, Sampson Low, Marston and Company, 1898 (rist. anast. Londra, Chatham, 1996),
p. 33-39.
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Bollettino d'Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2012
Prevalse la considerazione che Spagna e Gran Bretagna non erano in
guerra, per cui Gaztañeta, con il consenso di Patiño, preferì lasciare le acque di
Messina con l’intenzione di rifugiarsi a Malta. L’ammiraglio inglese Byng si
lanciò all’inseguimento, e all’alba dell’11 agosto 1718 vide assai vicina la
retroguardia al comando di De Mari, consistente di sei tra vascelli e fregate,
delle galere, delle bombarde e dei brulotti, che si era separata dal grosso e
rivolta alla costa di Avola per ancorarsi.( 33)
Verso le 6 della mattina, l’ammiraglio inglese ordinò al capitano Walton,
comandante del Canterbury, di assalire De Mari con cinque vascelli. Circa alle 9
antimeridiane Walton raggiunse la retroguardia spagnola tra Avola e il Capo
Passero. Le navi di De Mari furono spinte verso terra e la Real su cui questi era
imbarcato si arenò. Dopo ostinata lotta la fregata Esperanza, un brulotto e due
balandre erano in fiamme, la Real presa (gli inglesi speravano pure di poterla
rimettere a galla), prese anche le fregate San Isidro e El Aguila. De Mari si salvò
gettandosi in mare con molti ufficiali e marinai della sua nave. Distrutta la
retroguardia, Byng impegnò il grosso spagnolo presso Capo Passero e lo
annientò completamente.
La battaglia di Capo Passero ebbe conseguenze immense, perché diede
inizio a un predominio marittimo inglese nel Mediterraneo durato fino alla II
guerra mondiale; la sproporzione delle forze in campo a svantaggio degli
spagnoli era però tale che gli stessi inglesi non la considerano una vera e
propria battaglia navale, facendola rientrare piuttosto nelle operazioni di
distruzione di flotte potenzialmente nemiche, come Copenaghen (1801) o Mers
el Kebir (1940). Pertanto nessuna colpa della disfatta fu fatta ricadere su
Gaztañeta, su De Mari o sugli altri ammiragli, mentre il capro espiatorio fu
Alberoni, che dovette fuggire dalla Spagna.
Un periodo di riconoscimenti
Per il resto del conflitto, che durò fino al 1721, De Mari non pare abbia avuto
altri comandi; lasciò l’isola con la squadra di Baltasar Velez de Guevara, che
riuniva le navi sopravvissute al disastro di Capo Passero, la quale giunse a
Cadice il 4 ottobre 1718. I suoi legami con il partito che faceva capo alla regina
Elisabetta Farnese portarono alla sua promozione a Teniente general (ammiraglio
(33) Come al solito non vi è accordo tra le fonti sul numero e la forza delle navi
spagnole effettivamente impiegate in combattimento; secondo C. Fernandez Duro, op. cit.,
p. 162 elenca ventisette tra vascelli e fregate (più altri due vascelli che arrivati verso la fine),
due brulotti e quattro balandre. Secondo lo stesso autore (p. 149) la retroguardia agli ordini
di De Mari comprendeva solo il vascello El Real, le fregate San Isidro, Tigre, Águila de
Nantes, un brulotto, due balandre e alcune navi da trasporto.
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Paolo Giacomone Piana - L'Ammiraglio Stefano De Mari
di divisione o di squadra) e il 17 marzo 1719 fu insignito dell’ordine del Toson
d’Oro, ricevendone le insegne (un collare d’oro con appesa la raffigurazione del
mitico Vello d’oro) a Genova nel dicembre dello stesso anno;( 34) ricoprì anche
la carica di Capitán comandante della compagnia dei guardiamarina (oggi si
direbbe direttore dell’Accademia Navale) che mantenne fino alla morte.
La guerra terminò nel gennaio 1720, quando Filippo V annunciò
l’adesione al trattato della Quadruplice Alleanza, alle condizioni stabilite dagli
alleati. La definitiva riconciliazione tra Spagna e Impero si ebbe però con il
trattato di Vienna, firmato il 7 maggio 1725, con il quale Carlo VI riconobbe
finalmente Filippo V come re di Spagna e s’impegnò ad appoggiarne le
iniziative per la restituzione di Gibilterra e Minorca occupate dagli inglesi.
Il governo spagnolo iniziò immediatamente i preparativi militari, e nel
luglio 1725 De Mari assunse il comando di una squadra di quattro navi da
guerra con le quali scortò da Cadice a Barcellona cinque battaglioni di fanteria e
due compagnie di bombardieri destinate a rinforzare l’armata della Catalogna;( 35) poi, insieme a quattro galee, protesse le navi maltesi che trasportavano
fondi per l’Ordine di San Giovanni, minacciate da una squadra barbaresca
comandata dal rinnegato inglese Purman.( 36)
Alla guerra vera e propria si giunse solo nel febbraio 1727, quando gli
spagnoli iniziarono il primo dei loro vani assedi a Gibilterra. Per tutta la durata
del conflitto le navi al comando di De Mari concorsero con le altre divisioni
della flotta spagnola a mantenere libere le comunicazioni marittime, minacciate
dalla superiorità delle flotte della Gran Bretagna e dei Paesi Bassi.
Dopo due anni di combattimenti inconcludenti, il 9 novembre 1729 fu
firmato a Siviglia il patto di «pace, unione, amicizia e mutua difesa tra le corone
di Gran Bretagna, Francia e Spagna». Con questo trattato venne riconosciuto il
diritto di successione dell’infante don Carlos (figlio di Filippo V e di Elisabetta
Farnese) al Ducato di Parma e Piacenza e al Granducato di Toscana,
consentendo anche all’invio di seimila soldati spagnoli nei ducati italiani, in
cambio della tacita rinuncia della Spagna a Gibilterra.
Questo periodo, che coincide con l’ascesa di José Patiño alle massime
cariche dello stato, fu per Stefano de Mari quello più ricco di riconoscimenti.
Subito dopo la fine delle ostilità, prima ancora della conclusione del trattato di
Siviglia, gli fu affidato l’onorifico incarico di scortare con quattro vascelli il
primo convoglio di diciotto bastimenti diretto nell’America spagnola, che salpò
(34) La insigne Orden del Toison de Oro, Madrid, Fundación Carlos III, 2000, p. 409
(notizia dovuta alla cortesia di Giancarlo Boeri).
(35) Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, 2671, Lettere consoli, Spagna,
Barcellona 1651-1680, Dal console Merizano (16 luglio 1725).
(36) F.P. Pavía, Galeria biografica de los Generales ..., cit., I, Madrid, J. Lopez, 1873, p.
551.
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Bollettino d'Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2012
da Cadice l’8 agosto 1729 alla presenza del re e di tutta la corte, ritornando
l’anno seguente con grandi ricchezze.
Nel 1731 fu promosso al rango supremo di Capitán General (equivalente
all’attuale di ammiraglio d’armata) e gli fu affidato il comando della squadra di
25 navi da guerra, 7 galere e numerose unità da trasporto che insieme a 17
vascelli inglesi dell’ammiraglio Wager condusse in Italia le truppe spagnole
destinate a presidiare Livorno e Portoferraio, e che cominciarono a sbarcare a
Livorno il 27 ottobre 1731.
Gli ultimi anni
Non sembra che Stefano de Mari abbia ricoperto altri comandi in mare dopo il
1731; si stabilì a Madrid, dove godeva grande influenza a corte grazie alla sua
intima amicizia con Patiño, che in quel periodo giunse a occupare la carica di
primo ministro. Nel 1737 entrò a far parte del Consiglio di Ammiragliato,
costituito per assistere l’infante don Felipe nominato Almirante general de las
fuerzas maritimas de España é Indias, e ne rimase membro fino allo scioglimento
del Consiglio, avvenuto nel 1748 in seguito all’ascesa dell’infante al trono di
Parma e Piacenza.
Si adoperò molto a favore della Repubblica alle prese con l’insurrezione
della Corsica, affinché fosse rispettato il bando del re che proibiva ogni forma
di commercio con l’isola e perché fossero allontanati i delegati corsi che
sollecitavano un intervento spagnolo a loro favore. L’incaricato d’affari
genovese a Madrid, Giuseppe Ottavio Bustanzo, ricorda spesso nelle sue
lettere «il signor generale marchese de Mari [che] approfitta di ogni congiuntura
per dimostrare il sommo suo zelo verso la Serenissima patria».( 37) Del resto fu il
fratello Ippolito, in qualità di inviato plenipotenziario a Milano, a concludere
nel 1731 il trattato che permise l’invio di truppe imperiali in Corsica e nel 17381739 l’altro fratello, Giovanni Battista, fu «commissario generale» a Bastia
all’indomani dell’arrivo di un corpo di spedizione francese a sostegno delle
truppe della Repubblica.
Nella delicata situazione in cui si trovò Genova durante la guerra di
Successione austriaca (1741-1748) l’atteggiamento della famiglia De Mari fu
univoco. Un cugino di Stefano, Lorenzo De Mari, doge nel biennio 1744-1745,
era a capo della Repubblica quando venne concluso ad Aranjuez il trattato di
alleanza con le potenze borboniche (Francia, Spagna, Napoli) seguito pochi
mesi dopo dall’entrata in guerra al loro fianco. Quando il 5-10 dicembre il
(37) R. Ciasca (a cura di), Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, VI Spagna
(1721-1745), Roma, Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea, 1968, p.
207, 220, 223, 225, 230 sg.
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Paolo Giacomone Piana - L'Ammiraglio Stefano De Mari
popolo genovese si sollevò, Ippolito si schierò a suo favore e, nel gennaio
1747, mise a disposizione la propria residenza presso piazza Banchi quale
quartier generale degli insorti. Nello stesso mese Giovanni Battista venne
mandato in Spagna come inviato straordinario con il compito di reclamare
sussidi finanziari e rinforzi di truppe per la città che si preparava a sostenere il
ritorno offensivo del nemico: si trattava di una missione delicata, ma De Mari,
nei pochi mesi della sua residenza a Madrid, durata fino alla metà di giugno,
riuscì a portarla a termine in maniera soddisfacente, senz’altro con l’appoggio
del fratello Stefano.
L’ultimo incarico pubblico fu quello di ambasciatore di Spagna a
Venezia, dove morì nel 1749.( 38) Il costante attaccamento di Stefano de Mari
per Genova è testimoniato dal suo testamento, col quale lasciò una grossa
somma a favore dell’Albergo dei Poveri (poi Istituto Brignole), nel cui atrio fu
collocata nel 1752 una statua che lo raffigura, con un’iscrizione che ne riassume
la brillante carriera. Essa dice:
D.O.M. / STEPHANO
CLASSIUM IMPERIO /
DE MARI / FRANCISCI FILIO / HISPANICARUM
AUREI VELLERIS ORDINE / REGUM GRATIA /
MAGNIS LEGATIONIBUS / DIFFICILISSIMIS EXPEDITIONIBUS / TERRA
MARIQUE CLARISSIMO / QUOD ABSENS / AUCTA GENTIS ET PATRIAE
GLORIAE / SEX AUREORUM MILIA / PAUPERUM URBIS LEGAVERIT / CIVI
MEMORI MERENTIQUE / EX OCTO VIR(OR)UM DECRETO /
MONUMENTUM / ANNO MDCCLII.
(38) L’esatto anno della morte è controverso: il 1749 è indicato in La insigne Orden
del Toison de Oro, cit., p. 409, mentre la scheda di P. Giacomone Piana, De Mari Stefano, p.
323, riporta il 1751; però quest’ultimo dato è derivato da fonti genovesi, mentre in questo
caso si può pensare che un dato di origine spagnola sia più preciso.
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