Vobis atque aliis
Introduzione
“E’ ormai un fatto acquisito che lo sviluppo intellettuale dei popoli è strettamente
correlato alle circostanze politiche; … che le letterature nazionali sono sempre
sottoposte all’influenza delle letterature di paesi stranieri, … che la musica,
l’architettura, la pittura e la scultura di una data epoca presentano nei diversi paesi
caratteri comuni che si sovrappongono agli elementi nazionali di base… Il
cosmopolitismo dell’epoca di Voltaire… è all’origine di quel gran crogiolo di idee e
sentimenti che si sviluppò durante la Rivoluzione… Nessuno ormai nega la…
presenza della cultura francese nell’ampio scambio di idee e forme artistiche che ha
plasmato il XVIII secolo”(1). In particolare, l’analisi delle relazioni storiche tra la
Francia e gli Stati italiani in un determinato periodo, ossia gli anni a cavallo tra Sette
e Ottocento, fa emergere un’idea nazionale destinata a svilupparsi e dare frutti in
questi territori e sul piano europeo.
Parma città viva
Sotto il governo di Ferdinando di Borbone la vita del Ducato scorreva tranquilla. Il
Duca aveva arricchito la Pinacoteca, protetto molti artisti, assegnato una pensione al
veneziano commediografo Carlo Goldoni. Si era disinteressato, però, della
Rivoluzione francese e imposto alla Gazzetta di Parma di non farne menzione, così
come aveva ignorato la Campagna d'Italia. Il 5 maggio 1796 Napoleone entrò nel
Territorio e concluse l'armistizio in cui obbligava Parma a “consegnare a Bonaparte
1700 cavalli, 2 milioni di franchi, grano, biada, duemila buoi, cinquemila paia di
scarpe e 16 quadri…opere di grandi maestri tra cui il Correggio” (2). La pesante
tassazione servì ad evitare l’occupazione militare e ciò attenuò il disagio della
popolazione, molto preoccupata per la presenza di truppe sul suolo piuacentino e
parmense. Il 5 novembre dello stesso anno la Repubblica francese e il Ducato
stipularono un trattato di pace: le truppe transalpine avevano libero passaggio nel
territorio dello Stato. La città viene descritta come “oziosa, apatica, formicolante di
poveri, accattoni e viziosi” (3).
In verità la città era viva. “La coscienza politica maturava e si esprimeva nelle bettole
e nelle osterie. Fumose e puzzolenti come sono tutte le bettole di questo mondo,
anche quelle di Parma s’aprivano nei borghi più bui”(4).
Già dalla prima metà del 1700 anche a Parma, come in Francia, si era costituito un
club, il Ridotto dei Cavalieri, dove i nobili si ritrovavano per conversare insieme. La
nascita del club, sollecitata dai tanti viaggiatori stranieri che visitavano la città più
che una moda rappresentava il bisogno di libertà dalle regole ed etichette di una
società che voleva discutere apertamente di fatti e problemi reali.
Dal 1764 si aggiunse il Casino o Ridotto dei Nobili, di carattere più aristocratico ma
con le stesse finalità e cui erano ammesse anche le donne.
Un altro luogo che permise l’incontro e l’apertura delle classi sociali fu il caffè, che
nell’Ottocento assunse anche un carattere politico: da ricordare il ruolo di primo
piano che nel periodo risorgimentale avrà il caffè Ravazzoni, sito all’angolo orientale
delle due attuali vie della Repubblica e XXII Luglio.
“A partire dal '95 la libreria di Guillaume Faure e del figlio Antoine” era a Parma
“un centro di propaganda patriottica; … luogo di incontro per coloro che la polizia
ducale chiama “i più accesi giacobini” (5); tutte persone che conosceranno l'esilio o
la prigione durante l'offensiva della armate austriache (mentre Napoleone è in Egitto).
Anche il libraio Blanchon da prima della Rivoluzione francese forniva opere di
filosofia ai liberali vicini al giansenismo (ad esempio G. Bodoni) che si legheranno
alla Repubblica Cisalpina e scriveranno sulla stampa rivoluzionaria di Milano.
E, morto Don Ferdinando, “nel periodo della conquista rivoluzionaria, che suscitò
tanto entusiasmo nel Nord dell’Italia, e nel primo tentativo di unità italiana” (6) i
francesi avranno la collaborazione di parmigiani conquistati e convinti dalle nuove
idee, che diverranno magistrati, soldati, agenti di propaganda; il conte Petitot de
Mont-Louis, nipote dell’ex architetto ducale, sarà ad esempio deputato della
coscrizione di Parma al Corpo legislativo.
Nel 1815 verrà fondato il Gabinetto Letterario, “un circolo moderno aperto alle
nuove idee letterarie, sociali e politiche… alla diffusione della cultura …per far
apprezzare dai più gli ideali di libertà, indipendenza e unità” (7) anche attraverso la
lettura dei giornali francesi e inglesi. Ne facevano parte diversi esponenti del
movimento liberale di Parma. Sarà sciolto nel 1832, dopo i moti insurrezionali del
1831.
I Francesi in Valtaro e a Parma
Nel 1799, quando il territorio di Borgotaro era occupato dai soldati austriaci e il
genovesato da quelli francesi (seconda Campagna d’Italia), ci fu uno scontro, iniziato
il 26 maggio, nei pressi della villa di Gotra riportato da Gianfrancesco Varsi in un
manoscritto custodito nella parrocchia di Pontolo: “Fatti d'armi tra Tedeschi e
Francesi in questo territorio di Borgotaro e specialmente in questa villa di Pontolo”.
Gli austriaci volevano scacciare i francesi dal passo Cento Croci. I tedeschi si
rifugiarono entro Borgotaro. Ebbe luogo così una battaglia a colpi di fuoco tra i
francesi e gli imperiali al termine della quale, verso sera, questi ultimi decisero di
abbandonare il paese dirigendosi a Parma.
I francesi radunati a San Rocco nella notte decisero a maggioranza di non
saccheggiare il paese e il giorno dopo entrarono nel Borgo con la bandiera bianca, in
segno di pace.
I soldati, però, per rivalsa nei confronti del colonnello già fuggito, saccheggiarono il
castello e successivamente anche Casa Manara e Casa Casali.
Inoltre le Chiese di San Domenico e San Rocco furono spogliate degli arredi e
raffigurazioni sacre, così come accadde in quelle di Gotra, Brunelli e San Vincenzo.
Gli oratori dei disciplinanti di San Clemente e della Chiesa delle Monache erano
serviti a Tedeschi e Francesi come magazzino per paglia, legna e cibo.
I francesi abbandonarono Borgotaro, dove poi rientrarono le truppe imperiali, alleate
del duca Ferdinando di Borbone.
A Marengo (14 giugno 1800), grande vittoria napoleonica, gli Austriaci furono
sconfitti e risorse la Repubblica Cisalpina.
Con il trattato di Luneville e di Aranjwetz (9 febbraio e 21 marzo 1801) il duca
Ferdinando di Borbone veniva privato del suo Ducato; gli fu assegnato il Granducato
di Toscana, mentre alla Francia toccarono Parma, Piacenza e Guastalla e gli Alberi
della libertà cominciarono ad essere innalzati nelle zone vicine alle città.
Ferdinando però non se ne andò, dichiarando di non voler lasciare i suoi sudditi.
Si trasferì a Piacenza, reputata più sicura, a causa del frequente passaggio di truppe
russe e austriache a Parma.
Nel 1800 il ducato di Parma era l'unico al Nord ancora nelle mani del suo legittimo
sovrano; il resto del Territorio era controllato dai giacobini italiani sostenuti dai
francesi. Già nel 1897 il Duca era stato minacciato dai repubblicani della Lombardia
e del Reggiano, ma Ferdinando era un Borbone protetto da un antico “patto di
famiglia” tra gli stati borbonici; Napoleone ne era consapevole e per mantenere buoni
rapporti con la Spagna lasciò sopravvivere il Ducato, pur sotto il dominio francese, in
cambio della Louisiana e del controllo di tutta la Pianura padana.
Napoleone mandò a Parma Moreau de Saint-Méry, con l’incarico ufficiale di
Amministratore straordinario (1802).
Il duca Ferdinando morì il 9 ottobre 1802 per sospetto avvelenamento.
Moreau de Saint-Méry
Méderic Louis Elie Moreau de Saint-Mery alla morte del duca Ferdinando venne
nominato Amministratore generale degli Stati di Parma. Nato nel 1750 in Martinica
da una famiglia coloniale, aveva prtecipato alla Rivoluzione e si era legato ai circoli
napoleonici dopo il Grande Terrore.
Moreau permise il passaggio dei poteri ai francesi con un cauto riformismo.
Grazie a lui il dominio francese portò a Parma progresso civile e culturale; attuò
infatti diverse riforme: abolì la manomorta, diede diritti agli ebrei, riformò il sistema
giudiziario, liberalizzò il commercio e sviluppò l'istruzione e il teatro.
Le sue riforme, tuttavia, verranno superate dal punto di vista giuridico con l'entrata in
vigore del codice di Napoleone, che abolì vincoli feudali, il maggiorascato e il
fidecommesso.
Moreau protesse le arti, fu uomo di studi interessato alla storia, al diritto e alla
letteratura.
In campo economico riuscì a dare un temporaneo beneficio: anziché introdurre nuove
produzioni cercò di incentivare quelle già esistenti e fondò la Società economica
agraria per fornire assistenza tecnica ai contadini; abolì l’antico diritto di decima nei
mercati commerciali della città.
A Parma e Piacenza la produzione industriale era limitata, quella tessile ed alimentare
(insaccati e formaggi) invece in via di sviluppo, come anche il settore agricolo.
Moreau cambiò anche l'ordinamento giudiziario e Parma ebbe modo di conoscere il
processo pubblico: tutti poterono assistere ai dibattimenti penali. Abolì la tortura nei
processi penali.
Dal 1802 al 1806 (anno della sua uscita di scena) volle G.D. Romagnosi alla cattedra
di Diritto pubblico dell'Ateneo parmense. Questi nel 1805 pubblicò l’opera
Introduzione allo studio del diritto pubblico universale dedicata appunto a Moreau,
dove diritto, etica e politica venivano collegate. Chiamato poi a Milano, sarà lo stesso
Giurista a compilare il nuovo Codice penale per il Regno Italico.
Moreau affidò la Biblioteca ad Angelo Pezzana, e provò ammirazione per
l’importante lavoro svolto da Giambattista Bodoni.
In campo sociale, ridimensionò il potere dei nobili e del clero, aprì le porte ai
borghesi di talento e non trascurò le condizioni dei ceti bassi visitando gli ospedali e
scoprendovi pessime condizioni di vita.
In passato l'assistenza ai poveri era esercitata dalla Chiesa, ma dopo la Rivoluzione
Francese sarà lo Stato ad occuparsene, un modello di Stato concepito da Napoleone e
che Bonaparte cercò di estendere all'Europa.
Moreau contrastò la manomorta vietando a chiunque di vendere, donare o cedere beni
o censi a manimorte e ciò provocò la forte reazione del clero.
L’Ospedale della Misericordia, gestito dai religiosi, in particolare dal canonico Vitale
Loschi, si manifestò a Moreau privo di efficienza, di soddisfacenti misure igieniche e
di assistenza. “Per un uomo che ha fatto incidere sul proprio orologio “Il est toujours
l’heure de faire le bien” il campo della beneficenza occupa un posto di rilievo tra i
compiti da assolvere” (8). Decise infatti di aumentare il numero di orfane da
accogliere nel Conservatorio interno dell’Ospedale a carico delle casse dell’Ospedale,
anticipò fondi in prima persona. Le esposte e illegittime, che venivano mantenute a
vita dall’Ospedale, tessevano abiti e biancheria ed erano iscritte alla “Scuola per la
maternità”, completata poi da Maria Luigia.
Moreau decise di ristrutturare locali, aumentare le strutture igieniche, accrescere il
corpo dei sanitari, con l’assegnazione del dottor Giacomo Tommasini e del chirurgo
Giuseppe Trombara, inserire orfani e trovatelli nell’Ospizio delle Arti e fargli
apprendere un’attività artigianale (fabbro, calzolaio, tessitore). I risultati furono di
allontanare i ragazzi da una vita oziosa e pericolosa e aprire la strada per una futura
modernizzazione dell’Ospedale della Misericordia.
Nel maggio 1804 Moreau assegnò al capitano Antonio Boccia l'incarico di
raccogliere notizie di prima mano per comporre una Descrizione del Ducato.
Ai primi di giugno Boccia iniziò il viaggio e a metà agosto arrivò a Borgotaro,
percorse le valli del Taro e del Ceno e raggiunse Salsomaggiore.
Boccia era nato in Spagna nel 1741 da genitori di origine parmense; poi trasferitosi
con la famiglia nel Ducato, come il padre intraprese la carriera militare servendo nel
Reggimento delle Guardie Valloni e della Compagnia Cacciatori.
Durante il governo di Ferdinando di Borbone le simpatie per le idee rivoluzionarie
francesi gli meritarono l'arresto. Fece ritorno nel Ducato nel 1801.
Napoleone a Parma
Napoleone arrivò a Milano nel 1805 facendosi incoronare re d'Italia.
Nel 1805 l’Imperatore, in visita a Parma con Giuseppina (26 Maggio 1805), fu ospite
a palazzo Sanvitale del conte Stefano Sanvitale, “modernista”, filantropo, creatore nel
1801 a Fontanellato di una scuola femminile, la “casa di educazione e lavoro”
“seguita poi da un’altra analoga per i maschi, dove si insegnava, oltre alle materie
di base, anche la musica” (9).
Napoleone chiese di ispezionare la fortezza di Bardi, comunicò l’intento di realizzare
una strada che andava da Parma a Sestri (progetto di Du Tillot), completata alla fine
dell’Impero e importante per i suoi spostamenti con l’esercito, e discusse con il
generale Le Suire sui provvedimenti da prendere per la Cittadella, che da fortezza
sarebbe dovuta diventare una caserma per la guarnigione; eliminò 23 conventi (9
giugno), adeguò la legislazione locale a quella francese adottando il nuovo calendario
e il nuovo sistema di pesi e misure.
Rimase però insoddisfatto del rendiconto di Moreau sulle entrate ed uscite negli stati
parmensi, e gli chiese com'era stata la contabilità prima del 1802. Moreau rispose che
prima di allora nessuno l'aveva mai controllata perchè in tempi ducali nessuno si era
mai preoccupato di esigerla. Napoleone avrebbe voluto adottare un conto a stampa
come quello usato in Francia e rimproverò Moreau anche per aver pubblicato un
codice appena prima che entrasse in vigore quello “napoleonico” (3 giugno).
L’insoddisfazione in realtà derivava anche dal fatto che gli stati parmensi avevano
inviato poco denaro a Parigi e che Moreau non aveva controllato le insurrezione
antigovernative dell'Appennino piacentino diffusesi anche nella campagna parmense
e represse da Junot.
I Ribelli di Setterone (1802-1804)
Da quando Parma era diventata suddita della Francia sotto la XVIII divisione con
sede a Genova Dipartimento degli Appennini (Prefettura a Chiavari e Sottoprefettura
a Pontremoli), era stata introdotta la leva militare obbligatoria, fino ad allora solo
volontaria. Molti montanari e contadini non acettarono l'imposizione e la requisizione
di muli e cavalli. Le guerre napoleoniche comportavano spese ingenti, per questo
motivo vennero imposte anche tasse fondiarie, focatico familiare, mobiliari e altre
indirette che gravavano sul sale e sul tabacco. Così in Val Tolla, Val d'Arda, Val
Ceno e Val Taro scoppiarono diverse proteste.
Nel 1804 ci fu un brutale rastrellamento nelle zone del Monte Groppo e sul Groppetto
(alle pendici del Monte Penna), comandato da Junot aiutato dai "preposé" locali
guidati da Etienne "Tiracuie". Tutta questa operazione fu diretta dalla trattoria di
casa Brina, ancora esistente.
In tutto il territorio tornolese ci fu un grande incendio che distrusse completamente
case e monumenti, come l'oratorio di Serravalle, il Convento della Madonna del
Faggio e il castello-guardiola di Tarsogno.
I francesi, vittoriosi, innalzarono gli Alberi della libertà, ovvero pali sui quali
venivano posti i cappelli rossi simbolo della Rivoluzione: Campi, Marzuola e
Bigarelli.
Compiano, riuscì a cacciare le bande armate attraverso l'uso del cannonne e abbatté
gli Alberi della libertà.
Molti però vennero impiccati sul posto dai francesi e lasciati lì per ammonire la
popolazione locale: morirono anche tanti tornolesi, soprattutto nella zone di Casale
Val Taro.
La rivolta si estese nel 1805 in tutto l'Appennino arrivando anche a Bardi e Bedonia.
Ci furono due grossi scontri con morti e prigionieri a Bardi e Borgotaro, e molti
annegarono nel Taro in piena.
Napoleone, preoccupato, ordinò al generale Junot di calmare la rivolta e colpire i capi
dell'insurrezione, probabilmente dei curati predicatori, spinti da preti sconosciuti, e i
Gesuiti.
Junot distrusse ogni segno della Compagnia di Gesù che era notoriamente contraria
alle idee napoleoniche; il clero infatti temeva il diffondersi delle idee illuministe, già
giunte prima dell'Ottocento anche in Valtaro con i soldati attraverso il Passo di Cento
Croci.
Moreau si oppose alle stragi di Junot e anche per "la sua difesa umana per i ribelli di
Setterone e della nostra montagna [cadde] in disgrazia e [fu richiamato] a
Parigi"(10).
Dopo Moreau
Negli anni successivi all’amministrazione Moreau, Napoleone dimostrò di non avere
più interesse per Parma che considerava ormai una delle tante città tra Milano e
Roma.
“La fama di un tempo non c’era più, la gloria che avrebbe dovuto elargire
Napoleone non era mai arrivata” (11).
A Moreau successe l’amministrazione di Ugo Eugenio Nardon.
Dal 1805 gli Stati di Parma, furono sottomessi alla legge sull'arruolamento
obbligatorio e nel 1808 buona parte del Ducato divenne Dipartimento del Taro
mentre un’altra, le valli del Taro e del Ceno, appartenne al Dipartimento degli
Appennini con capoluogo Chiavari. Gli stati parmensi persero così la loro
indipendenza e divennero a tutti gli effetti parte del territorio francese con
l’applicazione di tutti i provvedimenti amministrativi francesi.
La vita civica venne riorganizzata: fu istituito lo Stato Civile, costruiti cimiteri e
vietata la sepoltura nelle chiese, rinnovato il servizio postale, sequestrati monasteri,
conventi, archivi, biblioteche, argenteria e opere d’arte. Il territorio venne diviso in
Dipartimenti, Circondari, Cantoni e Comuni. Si costituì il servizio per la riscossione
delle contribuzioni dirette e per la contabilità del denaro dei Comuni su modello
francese; le regole delle Tesorerie Comunale attuali hanno ancora punti di contatto
con quelle imposte dai francesi. L’abbattimento dei dazi doganali tra i dipartimenti
del Taro e i territori di Genova e della Toscana favorì le attività mercantili, ma
sfavorì i commercianti parmigiani, in particolare il commercio dei vini, a favore di
quelli francesi.
Le tasse da pagare erano quattro: Fondiaria, Personale, delle Patenti e delle Porte e
Finestre; quest’ultima veniva applicata in ragione della grandezza dell’apertura di
porte e finestre (per questo c’era finestre così piccole nelle case).
I giovani, non volendo partecipare al servizio militare, scappavano e il governo
tassava la loro famiglia che, non potendo più vivere, era costretta a cercarli e
riportarli a casa. “Il numero dei disertori condannati fu allora: a Compiano 90, 57 a
Bedonia 57 e a Tornolo 59” (12). Per questo motivo venne aumentata la sorveglianza
soprattutto nel Cantone di Compiano (Bedonia, Compiano e Tornolo).
Nardon divise il territorio in tredici comuni (Mairie). Il primo sindaco (Maire) di
Parma fu il conte Stefano Sanvitale, che si preoccupò dell'istruzione: aveva creato già
nel 1801 a Fontanellato una “Casa di educazione e lavoro” per gli orfani e i poveri.
Nardon impose il francese come lingua ufficiale e fu promotore della costruzione
della strada tra Parma e La Spezia; chiuse a Parma il Collegio dei Nobili.
Nel 1810 subentrò il barone Dupont-Delporte fino all'arrivo degli Austriaci nel 1814.
Il nuovo prefetto amministrativo fece progredire la Città e le campagne. Curò la
costruzione e la manutenzione delle vie stradali e fluviali. Molte delle spese
pubbliche andarono alla realizzazione di edifici, stabilimenti di pubblica assistenza,
ospedali e carceri. Ridiede un giornale a Parma: la Gazzetta, che era stata chiusa nel
1796, fu sostituita fino al 1815 dal Giornale del Taro.
L’amministrazione Delporte cercò di rispondere alle esigenze della popolazione
parmense, pur rispettando la linea politica ed economica di Napoleone.
La voce di Napoleone: Il Giornale del Taro
Le pubblicazioni della “Gazzetta di Parma” erano state sospese prima che Napoleone
scendesse in Italia, nella primavera del 1796.
Nel 1811, quando Parma era diventata un dipartimento francese col nome di
Dipartimento del Taro, il governo napoleonico diede spazio ad un nuovo periodico:
con decreto del 4 febbraio il prefetto Delporte autorizzava il tipografo Filippo
Carmignani a pubblicare il “Giornale del Taro” (successivo 5 marzo): era bilingue
(italiano e francese) e si pubblicava ogni martedì e sabato; il suo primo direttore fu
Angelo Pezzana.
Era un giornale soprattutto politico con il compito di rendere noti i decreti imperiali,
gli atti più importanti dell'amministrazione del Dipartimento del Taro e quelli del
governo superiore, e le notizie del “Moniteur” di Parigi.
Durante la guerra contro la Spagna e la campagna di Russia, il giornale fu un
racconto dettagliato degli avvenimenti attraverso i Bollettini della Grande Armata.
“Il Giornale del Taro”, a differenza della vecchia Gazzetta di Parma, fu organo
ufficiale del governo napoleonico; nella sua funzione di informazione legislativa ed
amministrativa, si ritrova uno dei concetti base della Rivoluzione Francese.
Oltre all'informazione ufficiale politica, il giornale si occupò di cronaca locale. Infatti
alla morte di Giambattista Bodoni dedicò al tipografo un lungo articolo encomiastico;
Bodoni, sempre ammirato da Napoleone, aveva addirittura ricevuto una rendita
vitalizia di tremila Franchi.
Non mancava la produzione di poeti quali Giacomo Sanvitale ed Angelo Mazza.
Infatti la poesia dava al meglio il senso della “grandeur napoleonica”: Napoleone era
rappresentato di volta in volta come un dio, un re o il re dei re, sfiorando a volte
anche il ridicolo.
“Napoleone soleva dire a Vivant Denon, direttore del Louvre di Parigi”(13): “La
grandezza è quel che cerco più di tutto, ed è sempre bello”.
“Il giornale conserverà fino alla caduta dell'Impero la sua facciata vittoriosa
sottolineando i sentimenti di fedeltà che il popolo di Parma nutriva verso
l'Imperatore” (14).
Il 13 febbraio 1814 le truppe austriache entrarono in Parma.
Le pubblicazioni del “Giornale del Taro” si fermarono alla caduta dell'Impero
napoleonico.
Da qui il giornale riprese il nome di “Gazzetta di Parma”.
La soppressione degli Ordini religiosi nel Ducato
e la sorte della chiesa di S. Domenico a Borgotaro
Nel 1769 c’era stata una prima soppressione degli Ordini religiosi nel Ducato di
Parma imposta dal Ministo Du Tillot, e la chiesa di San Domenico, affidata ai Padri
Domenicani, non godette del privilegio di esenzione.
La seconda soppressione fu quella di Napoleono Buonaparte che impose "leggi
eversive", tra cui l'eliminazione delle corporazioni religiose a cui nessun istituto potè
sottrarsi.
Inoltre l'Imperatore emanò "il Decreto dell' Arcitesoriere Lebrun" per potersi
impossessare di beni mobili e immobili di proprietà dei vari Ordini religiosi.
La chiesa di San Domenico fortunatamente non fu mai chiusa al culto perchè, dopo
l'emissione di questo decreto, il Sindaco (Maire) di Borgotaro Silvio Picenardi diede
il permesso a Don Leopoldo Repetti (cappellano) di continuare le celebrazioni.
"Sinteticamente possiamo dire che la soppressione decretata da Napoleone, che
determinò la chiusura del convento dei Domenicani, pose fine alla loro presenza in
Borgotaro e divise nettamente in due parti la storia di S. Domenico" (15).
L’arte, gli artisti parmensi e la Francia
La Poesia fu il tratto dominante della cultura locale nel passaggio dei vari regimi.
I letterati e poeti parmensi dalla fine anni '90 composero versi in tributo alle nuove
autorità politiche. Per la visita dell'Imperatore (26-27 giugno 1805) venne stampato
da Bodoni, nel giardino imperiale, il madrigale “All'invittissimo imperatore de'
Francesi Napoleone primo re d'Italia” di Domanico Vincenzo Jacobacci.
Cerimonie pubbliche accolsero la ricorrenza di San Napoleone del 1806 (festa
istituita il giorno della nascita di Napoleone – 15 agosto – derivata da un San
Neapolis martire del secondo secolo). Tutti i principali eventi napoleonici ottennero
glorificazioni attraverso soprattutto la tipografia bodoniana.
Il 20 marzo 1811, in occasione della nascita del Re di Roma, molti scrissero e
celebrarono l'evento. Poeti tra i quali Jacopo Toschi composero un Serto di Fiori
Poetici. Forse non tutte queste adesioni erano sincere, ma la produzione poetica
registra poche voci di dissenso. Quella di Jacopo Sanvitale, allievo di Angelo Mazza
fondatore della Società libera italiana di Scienze e lettere, poi amico di U. Foscolo, di
G. Rasori (medico giacobino) e di G. D. Romagnosi, ed esule dopo i moti del 1831,
fu di critica accoglienza.
Jacopo Sanvitale
Jacopo Sanvitale è tra gli intellettuali destinati a mantenersi saldi sulla scena culturale
di Parma. Sanvitale, come altri, ad esempio Filippo Linati (poeta patriota che cantò
per il popolo ma non ebbe da esso riconoscimento), aveva accolto, seppur con
cautela, gli ideali del nuovo regime napoleonico che sembrava dare garanzia di
stabilità; coloro che invece non lo approvavano avevano assunto una posizione
passiva o tendevano ad andarsene, come Rasori (a Milano dal '96) o Michele Leoni
che rientrerà a Parma solo nel '22 come Segretario dell'Accademia di Belle Arti (al
ritorno di Maria Luigia).
Spirito illuminato, Sanvitale sapeva "che i ridicoli confini degli staterelli della
penisola dovevano fatalmente essere cancellati, sentiva […] l'iniquità delle divisioni
degli italiani, ed animat [o] da una salda fede nella liberazione e nell'unità della
Patria, osava […] sfidare le persecuzioni dei dominanti" (16).
Sanvitale anche negli anni in cui il Ducato fu parte dell'Impero francese continuò a
"tener vivo il senso della dignità nazionale de' nostri fra le prepotenze militaresche
degli stranieri" (17).
Il 20 marzo 1811, in occasione della nascita del Re di Roma, molti scrissero e
celebrarono l'evento. Sanvitale s'arrabbiò di fronte a tanta celebrazione "per un bimbo
che in culla si balocca/ e sallo Iddio se avrà poi sale in zucca... [perchè] il conio è
delli stessa zecca/ Ohimè! Che l'unghie in sen d'Italia ei ficca/ e le trae sanguinose e
il sangue lecca/ ei che farla potea libera e ricca” (18) e queste rime gli procurarono
quattordici mesi di reclusione nel forte di Fenestrelle.
Dopo la rivoluzione del 1821, accusato di aver trattato a Torino la cessione dei
Ducati, fu incarcerato per 22 mesi.
Quando Maria Luigia fuggì a Piacenza dopo i moti del 1831, Sanvitale fu chiamato a
far parte del Governo Provvisorio, ma il fallimento del moto liberale lo costrinse a
emigrare in Francia, dove scrisse per l'Italia perduta un testo molto triste, Nostalgia
(1834), componimento dalla struttura metrica complessa e imitata da G. Mameli (suo
allievo a Genova), che intreccia letteratura e vita e canta la lontananza dalla patria;
per A. Rondani un capolavoro. La poesia e la Patria erano tutt’uno nel cuore di
Sanvitale e “se la passione politica era il più vivace stimolo della sua ispirazione
lirica, la poesia da questo stimolo generata doveva alla sua volta stimolare
gl’Italiani all’azione per la libertà e l’unità della patria” (19).
………………………………………………………..
"Mi cacciò la tempesta al vostro lido.
Non canto io no, ma strido
lungi dal nido
Voi siete in festa e lo mio spirto è fosco:
augel d'estranio bosco, non vi conosco.
...............................................................
Fuor d'ogni amico suon, d'ogni prim'uso
come un sepolcro è chiuso
mio cor deluso.
(Da Nostalgia)
Dopo la restaurazione del governo ducale Jacopo Sanvitale fu esule a Marsiglia,
Corsica e sud della Francia; solo nel ‘40-‘43 poté tornare a Parma con due permessi
speciali di Maria Luigia.
L’altro volto del clero parmense
Anche all’interno del clero parmense era presente una corrente liberale e patriottica e
Mons. Marco Tamagni era il più autorevole rappresentante di essa. Ben prima del
1831, l'anno dei famosi "moti", don Tamagni, professore di filosofia Dogmatica
presso l’ Università di Parma, aveva dimostrato di avere "idee personali piuttosto
ardite e di non temere di manifestarle pubblicamente" (20). Un episodio è
emblematico: l'11 novembre 1830 pronunciò, contrariamente alle consuetudini, la
presentazione del suo corso di lezioni in lingua italiana anzichè in latino. Questo
parve disdicevole perchè sembrava disprezzare la filosofia che "si fonda soltanto
sulle autorità e sulle parole [... per] quella sola che ha per base la sperienza e
l'analisi" (21). Nonostante ciò, il discorso non provocò grandi reazioni forse perchè
Macedonio Melloni fece qualcosa di più grave poco dopo e venne destituito; don
Tamagni ebbe solo due mesi di sospensione dalla carica e dallo stipendio. Per un
certo periodo si tenne lontano da simili avventure ma nel 1848, quando in tutta
Europa divampò la rivoluzione, allora don Tamagni, Vicario Generale del Vescovo di
Parma, si trovò d'accordo con il Papa Pio IX, sia come autorità civile, che aveva
concesso ai suoi sudditi la Costituzione, sia come Capo della Chiesa che aveva
mandato i suoi volontari a combattere in nome del Signore.
Maria Luigia a Parma
Dopo Lipsia, decaduto l’Imperatore, l’Austria occupò di nuovo la Lombardia e a
Parma entrarono le truppe austriache.
Il 9 giugno 1815, il Congresso di Vienna assegnò a Maria Luigia, moglie di
Napoleone e figlia dell’imperatore Francesco I d’Asburgo, il Ducato di Parma,
Piacenza e Guastalla (Trattato di Fontainebleau 11 giugno 1814).
Maria Luigia entrò a Parma il 20 aprile 1816 con il fedele Neipperg (marito
morganatico).
Appena arrivata, rifondò l’Università, il Collegio dei Nobili e l’Accademia di Belle
Arti guidata dall’incisore Paolo Toschi. Inaugurò il ponte sul Taro e il teatro Regio.
Fu generosa con patrioti e liberali carbonari e non celebrò mai esecuzioni capitali ma
per lo più usò internare i cospiratori nel castello di Compiano. Si erano infatti diffuse
anche a Parma e in alcune zone della provincia, particolarmente in Valceno, nei primi
dell’800 le società segrete: la Carboneria (i buoni cugini) che chiedeva una
Costituzione, gli Adelfi repubblicani giacobini e i Sublimi Maestri Perfetti. I
principali esponenti della Carboneria cittadina furono Jacopo Sanvitale e Claudio
Linati, nel bardigiano Giuseppe Bertucci e Giovanni Grossardi.
Nel 1820 in molte città italiane (Napoli e Torino) scoppiarono moti. A Parma non
accadde nulla per la liberalità di Maria Luigia e quando nel ‘21 emersero nomi di
sudditi locali implicati nei moti, lei avviò processi giusti.
Nel ‘22 i liberali carcerati nel castello di Compiano erano 18 e tra essi Jacopo
Sanvitale e due bardigiani, Bertucci e Grossardi. Sei persone vennero assolte e non ci
furono esecuzioni capitali. Nel ’25 Maria Luigia concesse l’amnistia.
Nel ‘30 il segretario Misrali ispirò alla Duchessa la costruzione della strada della Cisa
e della via di raccordo tra Berceto e Borgotaro.
Le insorgenze
Nel luglio del ‘30 ci furono moti in Francia e al posto del liberticida Carlo X salì al
trono Luigi Filippo d’Orleans, sovrano liberale. Ciò diffuse un clima rivoluzionario in
tutta Europa.
A Parigi era presente la Società della italiana emancipazione di cui era partecipe il
parmigiano Claudio Linati. Il 15 novembre 1830 il fisico Macedonio Melloni,
parlando all’Università, invitò gli studenti parmigiani sulle barricate come i francesi.
Fu allontanato da Parma e gli studenti più attivi rinchiusi a Compiano. Nel 1831 il
comitato di Parigi decise che Parma, Modena e gli stati della Chiesa ”insorgessero” il
5 e il 6 febbraio.
Il 10 febbraio anche a Parma si ebbero manifestazioni di piazza e il 13 Maria Luigia
tentò di andarsene. Il popolo la fermò. Gli insorti non volevano deporre l’amata
sovrana ma ottenere concessioni liberali. Il 16 si formò un Governo Provvisorio, tra
cui Filippo Linati (padre di Claudio), Jacopo Sanvitale, Francesco Melegari, Antonio
Casa, Gregorio De Castagnola, Macedonio Melloni ed Ermenegildo Ortalli. All’alba
del 25 le truppe austriache entrarono però in città. Gli insorti tentarono la Resistenza.
Antonio Gallenga, brandendo un pugnale, provò a parlare e sollevare la folla dal
Palazzo del Governatore ma la folla non lo seguì.
I membri del governo Provvisorio lasciarono la città ma F. Linati e F. Melegari
rimasero; furono processati e assolti perché “il governo provvisorio nacque in
assenza di quello legale” (22).
Vennero sospese le lezioni universitarie e proibita la vendita di giornali francesi.
Maria Luigia rientrò a Parma l’8 agosto 1831. Non consumò vendetta ma mise
sudditi austriaci nell’amminiustrazione e, con l’appoggio dei Gesuiti, reintegrati, e
del vescovo ungherese Giovanni Neuschel, attivò una politica dura verso liberali e
patrioti.
Note
1. H. Bedarida, Parma e la Francia(1748-1789) Vol. II Parma SEGEA Editrice,
1986
2. Luigi Alfieri, Parma, la vita e gli amori Artegrafica Silva 1993
3. Idem
4. Famija Pramzana, Sua Maestà Maria Luigia Luigia Inserto Al Pont Ad Mez,
Banca Del Monte di Parma 1991
5. H. Bedarida, Parma e la Francia(1748-1789) Vol. II Parma SEGEA Editrice,
1986
6. Idem
7. La Società Parmense di Lettura nel Primo Centenario 1858-1958
8. Alba Mora, Aspetti della condizione ospedaliera a Parma in età napoleonica
Orfani ed illegittimi durante l’amministrazione di Moreau de Saint-Méry
9. Mario Zannoni, Napoleone Bonaparte a Parma nel 1805 Museo Glauco
Lombardi MUP Editore
10. Ferruccio Ferrari, Mito Tradizione Storia Alta Val Taro e Ceno 3
11. Famija Pramzana, Sua Maestà Maria Luigia Luigia Inserto Al Pont Ad Mez,
Banca Del Monte di Parma 1991
12. Araldo della Madonna di San Marco, L’occupazione francese in Valtaro 17961814
13. Aurea Parma, La voce di Napoleone: Il Giornale del Taro”, Organo Ufficiale
del Governo Napoleonico a. 1994 Fascicolo III
14. Idem
15. Don Mario Burlini, San Domenico di Borgotaro
16. Arnaldo Barilli, Saggi parmensi Parma - MCMLXIII
17. Idem
18. Idem
19. Arnaldo Barilli, Saggi parmensi Parma - MCMLXIII
20. Idem
21. Idem
22. Luigi Alfieri, Parma, la vita e gli amori Artegrafica Silva 1993
Altri riferimenti bibliografici
-
Studi Parmensi Anno IX Voll. I e II Giuffrè Editore 1959
1796 Napoleone a Parma – Gazzetta di Parma PPS Editrice
Archivio storico per le Province parmensi Vol. XII- Anno 1960
Archivio storico per le Province parmensi Vol. XXXVII- Anno 1985
Storia di Parma – I Caratteri Originali vol. I
Storia di Parma – Le Lettere Vol. IX
A. Brugnoli, Prospero Valeriano Manara La sua Borgo Val di Taro
Scuola tipografica benedettina PR 1959
- Pier Luigi Spaggiari, Economia e Finanza negli Stati Parmensi (18141859) Ist. Ed. Cisalpino
- Evgenij V. Tarle La vita economica nell’Italia napoleonica – Einaudi
Editore