Recensione della rappresentazione teatrale de "Il

Recensione della rappresentazione teatrale de "Il Bell'Antonio", in scena
al Teatro Giacosa di Ivrea il 28 febbraio 2014
"Antonio è un uomo potente!". Questa l'obiezione indignata che Alfio, uomo
siciliano ormai anziano ma ancora vigoroso e prestante, nonchè padre del
giovane e bellissimo Antonio, esclama, in un moto di rabbiosa
esasperazione, nel tentativo di difendere il figlio. D'altronde, quelle
appena citate sono senza dubbio le parole fondamentali che racchiudono
l'intero dramma descritto, in un'atmosfera a tratti fumosa e sensuale, a
tratti aspra e raggelante, ne "Il Bell'Antonio", lo spettacolo teatrale
tratto dall'omonimo romanzo di Vitaliano Brancati e rappresentato il 28
febbraio al teatro Giacosa di Ivrea. Chi già conosce la trama del romanzo,
o più semplicemente lo spettatore acuto ed esperto, coglie subito l'amara
ironia sottesa alla sopracitata battuta: Antonio è, in realtà,
sessualmente impotente, come egli stesso finirà con l'ammettere, ma non
solo. Tale condizione, una volta svelata, lo renderà impotente sotto tutti
i punti di vista.
Immerso nella mentalità siciliana, da cui tenta invano di sfuggire ma a
cui inevitabilmente ritorna, Antonio sembra aderire all'orgoglio popolare
dei compaesani, che vedono in lui il (fin troppo) perfetto esponente della
fierezza e della virilità siciliana, alle aspettative del padre, un
invecchiato Don Giovanni che proietta il proprio successo di uomo sul
figlio, agli ideali delle donne in generale, che lo rincorrono e lo
invocano, catturate dal suo fascino di amatore; immerso nella società
fascista, improntata su un modello di virilità a cui BISOGNA essere
all'altezza, che non tiene conto di alcuna dimensione emotiva o
spirituale, costantemente proiettata verso un ideale di potenza, coraggio
e forza impersonato nel Maschio, Antonio è potente grazie alla sua
presunta e ostentata virilità scalpitante, che gli vale l'ammirazione e le
invidie dei personaggi più in vista.
In questo contesto, in cui il valore di un uomo finisce con l'essere
valutato in base al successo sessuale, Antonio cerca di farsi strada,
districandosi dai soffocanti drappeggi della sua menzogna che sembrano
inghiottirlo insieme al suo segreto. Si illude perfino di poter trovare
una soluzione grazie al matrimonio con la donna di cui è innamorato. Ma
non c'è niente da fare: Antonio non può appartenere alla società fascista
e men che meno a quella siciliana, perché la sua è una vergogna
ignominiosa, e "nemmeno Gesù lo deve sapere", come ribadirà più volte la
madre disperata, convinta di avere colpa della disgrazia del figlio per un
"eccesso di pietas" col quale, nel tentativo di arginare la lussuria del
figlio, ha pregato il Padreterno di correrle in aiuto.
Una volta avvenuto l'inevitabile scandalo che prova, in modo più o meno
chiaro, l'impotenza del bell'Antonio, questi precipita immediatamente dal
posto che occupava in società: perde la famiglia, nel momento in cui il
padre lo definisce come "inutile", e addirittura "morto", gravato dalla
vergogna di non aver procreato un degno erede; perde l'amore, poichè sua
moglie annulla il matrimonio e trova un partito più vantaggioso; perde il
rispetto di cui godeva in società, emarginato da chi una volta lo ammirava
e additato da tutti mentre, in preda alla confusione, si aggira tra le vie
di Catania in drammatica solitudine, nella scena che chiude la
rappresentazione.
Lo spettacolo, così come il romanzo, mette in evidenza la critica al
fascismo (impersonato, tra l'altro, da un buffo e parodico personaggio che
alla fine indossa addirittura l'uniforme fascista) e ai valori che questo
impone, improntandosi alla virilità estrema senza accorgersi di
precipitare in una profonda crisi della sensibilità dell'individuo, dei
rapporti umani e dei legami affettivi. Ma più di tutto è aspra la denuncia
alla cattiveria degli uomini: Ermenegildo, lo zio di Antonio che ha girato
il mondo, apre e chiude la rappresentazione con constatazioni amare
riguardo a ciò che ha visto nei suoi viaggi, senza mai trovare un posto
che non gli procuri brutti ricordi e non alimenti in lui il desiderio di
lasciare il prima possibile questo triste e violento mondo. Poiché
l'ignoranza e la crudeltà umana si trovano dappertutto e si esprimono in
ogni modo, e l'Italia (fascista, ma è possibile, se non doveroso,
attualizzare) è indubbiamente in buona compagnia.