La costruzione di sé 6
Socrate e l’anima (psyché):
“la scoperta del nuovo concetto di psyche su cui si fonda l’Occidente (…). Quello che colpisce è
che quando Socrate, in Platone come negli altri Socratici, pronuncia questa parola “anima” vi
pone sempre un fortissimo accento e sembra avvolgerla in un tono appassionato e urgente, quasi
di evocazione. Labbro greco non aveva mai pronunciato così questa parola” (G. Reale
introduzione a W. Jaeger “Paideia” ed it. Bompiani, Milano 2011 p. 754. p. XIV).
Socrate accenna alla tradizione dei misteri orfici, largamente diffusa nella Grecia del suo
tempo 1 :
“e quella cosa che si ode dire in certi misteri, che noi uomini siamo come in una specie di
carcere, e che quindi non possiamo liberarcene da noi medesimi, e tanto meno fuggirne”
(Fedone 62 b)
“E a voi piuttosto, come dinanzi ai miei giudici, voglio rendere il conto che debbo; e dire che
un uomo che abbia realmente speso tutta la sua vita nella filosofia, non abbia alcun motivo di
timore quando è sul punto di morire, e sia pieno di fede che colà troverà beni grandissimi,
appena morto” (Fedone 63 e – 64 a)
“Tutti coloro i quali in modo retto si occupano di filosofia corrono il rischio che non sia
compresa dagli altri la loro intenzione, che di niente altro che morire ed essere morti. (Fedone
64 a)
“E l’anima ragiona appunto con la sua migliore purezza quando non la turba nessuna di queste
sensazioni (che riguardano il corpo n.d.r), né vista, né udito né dolore, e nemmeno piacere; ma
tutta sola si raccoglie in se stessa dicendo addio al corpo; e, nulla più prendendo parte al corpo,
né avendo contatto con esso, si volge con ogni suo sforzo alla verità” (Fedone 65 c)
“Dovremo spogliarci del corpo è guardare con la sola nostra anima pura la pura realtà delle
cose. E solamente allora riusciremo a possedere ciò che desideriamo e di cui ci professiamo
amanti, la sapienza; e cioè, come consegue al ragionamento, quando saremo morti, perché vivi
non è possibile” (Fedone 66 e)
“E purificazione (kathársis) non è dunque – come è detto nella parola antica (dei Misteri Orfici
n. d. r.), impegnarsi in ogni modo per tenere separata l’anima dal corpo, e abituarla a
raccogliersi e a racchiudersi in se stessa fuori da ogni elemento corporeo, e a restarsene, per
quanto è possibile, anche nella vita presente come nella futura, tutta solitaria in se stessa,
impegnata a questa sua liberazione dal corpo come da catene? (…) E questo appunto è
l’esercizio proprio dei filosofi, sciogliere e separare l’anima dal corpo” (Fedone 67 c, d)
Ipotesi che l’anima sia mortale.
“Se dunque l’anima è una specie di accordo (harmonía), è ben chiaro che quando il nostro corpo
viene rilassato da malattie o da altri mali o teso fuori del giusto equilibrio, necessariamente
l’anima deve subito cessare di esistere, per quanto divina essa sia, allo stesso modo degli altri
accordi che osserviamo nei suoli e in tutte generalmente le opere degli artisti” (Fedone 86 c).
Confutazione dell’ipotesi
Se l’anima è un accordo, è mortale. Ma se l’anima è un accordo non ci sono differenze tra le
anime, perché un accordo è tale o non lo è. Perciò, se l’anima è un accordo, non potrà essere
più virtuosa o più viziosa di un’altra. La conclusione è inaccettabile (esempio di applicazione
1
L’orfismo è largamente diffuso nella religione greca, se ne possono individuare le tracce fin dal VI secolo a. C.
“Crede che l’anima sia separata dal corpo e che essa, come un demone decaduto, abiti nella prigione della carne,
per ritornare poi, dopo la morte di questa, e attraverso un lungo errare in diverse forme corporali e per nature
diverse, alla sua patria divina” W. Jaeger “Paideia” ed it. Bompiani, Milano 2011 p. 754.
AlbertoMadricardo–Lacostruzionedisé2014‐20151di2
del metodo dell’elenchós: la confutazione per evidente insostenibilità della tesi a cui portano
le premesse analizzate).
L’anima è immortale, preesiste al corpo ed esiste anche dopo la morte di questo:
“che anzi questo suo entrare in un corpo umano è proprio esso come una malattia, il principio
della sua (dell’anima) rovina” (Fedone 95 d)
Soma - séma (corpo - prigione):
“Dicono alcuni che il corpo è séma (segno, tomba) dell’anima, quasi che ella vi sia sepolta durante
la vita presente; e ancora, per il fatto che con esso l’anima semaínei (significa) ciò che semaíne
(significhi), anche per questo è stato detto giustamente séma. Però mi sembra assai piú probabile
che questo nome lo abbiano posto i seguaci di Orfeo; come a dire che l’anima paghi la pena delle
colpe che deve pagare, e perciò abbia intorno a sé, affinché sózetai (si conservi, si salvi, sia
custodita), questa cintura corporea a immagine di una prigione; e cosí il corpo, come il nome stesso
significa, è séma (custodia) dell’anima finché essa non abbia pagato compiutamente ciò che deve
pagare. Né c’è bisogno mutar niente, neppure una lettera”. (Cratilo, 400 c”)
Sul demone:
“ E dicono che appena uno cessa di vivere, il suo demone, quello che lo ha avuto in sorte
durante la vita, lo conduce ad un certo luogo” (Fedone 107 d)
“Se conosceremo noi stessi, conosceremo forse la cura che dobbiamo prenderci di noi, se no,
non la conosceremo mai” (Alcibiade I 129 a)
Socrate: “Che cos’è dunque l’uomo? – Alcibiade: “Non lo so” –
Socr. : “Però tu sai almeno che è qualcosa che si serve del corpo” – Alc. : “Sì” - Socr. : “Che
altro mai si serve di questo se non l’anima?” - Alc. : “Niente altro” (cit. 129 e 130 a).
I due arrivano alla conclusione che è l’anima che comanda il corpo, perciò l’uomo è la sua
anima:
Socrate: “ poiché né il corpo, né il corpo e l’anima insieme sono l’uomo, rimane da concludere
– penso – che l’uomo o non sia nulla, o , se è qualcosa, non sia altro che anima” (cit. 130 c).
“Quindi colui che ci ammonisce di conoscere se stessi, ci ordina di conoscere la nostra anima”
(cit. 130 e).
Socrate si chiede in che modo si possa conoscere l’anima. Fa l’ipotesi che, invece di
consigliare l’uomo di conoscere se stesso, l’iscrizione delfica consigli l’occhio di conoscere
se stesso.
L’occhio conosce se stesso guardando qualcosa in cui esso è in grado di guardare se stesso.
“Dunque se un occhio guarda un altro occhio e fissa la parte migliore dell’occhio, con la quale
anche vede, vedrà se stesso” (…) Anche l’anima, se vuole conoscere se stessa, dovrà fissare
un’anima, e soprattutto quel tratto di questa in cui si trova la virtù dell’anima, la sapienza (…)
Possiamo noi indicare una parte più divina di quella in cui risiedono la conoscenza e il
pensiero?” (cit. 133 a, b)
“Quindi, mirando in dio, useremmo del più bello specchio anche delle cose umane che tendono
alla eccellenza dell’anima, e così potremo vedere e conoscere meglio noi stessi” (133 c).
Conoscere se stessi è dunque liberarsi dalla soggezione a fini che sono altri dalla stessa anima
(l’anima è il negativo, il punto più interno e più lontano dal mondo. Ciò che ha se stessa come
fine, cioè ha in se stessa interamente e internamente la differenza: ogni altro fine fa da
corollario).
AlbertoMadricardo–Lacostruzionedisé2014‐20151di2