INFORMAZIONE FILOSOFICA FILOSOFICA Rivista bimestrale a cura di: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli Viale Monte Nero 68, 20135 Milano Edizione Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r.l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano fax (02) 55192403 email: [email protected] Reg. n. 634 del 12/10/90 Tribunale di Milano. Sped. abb. post. comma 26 art. 2 legge 549/95 Milano Singola copia: lire 10.000 Copia arretrata: 15.000 Abbonamento a 5 fascicoli: Italia: 45.000, enti 50.000, studenti 35.000; Europa: 55.000, enti 60.000, studenti 45.000; Extra-Europa: 85.000, enti 90.000, studenti 75.000. Redazione e direzione: Viale Monte Nero, 68 20135 Milano tel. (02) 55190714/55015245 fax (02) 55192403 internet: http://www.infophil.it email: [email protected] abbonamenti: tel. (02) 55192403 ccp 17707209 - intestato a: Cooperativa Edinform Informazione e Cultura s. r. l. 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DIRETTORE EDITORIALE Riccardo Ruschi COMITATO SCIENTIFICO Mario Agrimi Remo Bodei Giuseppe Cantillo Franco Chiereghin Girolamo Cotroneo Jacques D'Hondt Hans Dieter Klein Antonio Gargano Domenico Losurdo Giovanni Mastroianni Aldo Masullo Vittorio Mathieu Adriaan Peperzak Roberto Racinaro Enrico Rambaldi Paul Ricoeur Paolo Rossi Pasquale Salvucci Hans-Jörg Sandkühler Livio Sichirollo Franco Volpi SEGRETERIA DI REDAZIONE Mariangela Giacomini Giovanni Malafarina Diana Soregaroli RELAZIONI ESTERNE Luisa Santonocito CONSULENZA GRAFICA E IMPAGINAZIONE Alessandra Dal Ben CORRISPONDENTI Giuseppe Cospito Alessandro Di Chiara Luca Scarantino Riccardo Pozzo Gian Luigi Paltrinieri STAMPA GSC Via Livorno 152, 20099 Sesto San Giovanni COLLABORATORI DISTRIBUZIONE Fabio Ciaramelli Monica Celi Gaspare Polizzi Joo Distribuzione Via Argelati 35, 20143 Milano 1 * Nel numero 30 è stato inavertitamente omesso nella redazione il nome di Clotilde Calabi 31 EDITORIALE A cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione (1947) presso l’editore Querido di Amsterdam, la Dialettica dell’illuminismo di Theodor W. Adorno e Max Horkheimer é di nuovo al centro dell’interesse degli studiosi, grazie anche ad una nuova edizione dell’opera presso Einaudi, a cura di Carlo Galli, che tuttavia mantiene gli errori e le lacune nella traduzione del testo, presenti già nella prima edizione (1966). Fin dalla sua prima apparizione quest’opera ebbe il merito, anche per via del periodo e del modo in cui veniva pubblicata, di sottrarsi ad una lettura distaccata o puramente teoretica, suscitando negli interpreti posizioni controverse, soprattutto riguardo all’analisi del nazismo e del fenomeno dell’antisemitismo e alla denuncia di totalitarismo della cultura americana. Ma il nodo teorico su cui si sarebbero affaticati gli interpreti di allora come quelli di oggi resta l’intreccio di mito e illuminismo, il reciproco ribaltarsi dei termini l’uno nell’altro, che fonda il processo di civilizzazione come progressivo dominio dell’uomo sulla natura esterna e sulla propria natura interna. Modello di questa dialettica di dominio e autodominio é l’Ulisse omerico, sulla cui vicenda, in un breve Excursus rimasto famoso, Adorno concentrava i caratteri, le aspirazioni, i desideri, le rinunce e tutte le idiosincrasie e barbarie dell’individuo moderno. In omaggio a questa interpretazione dell’eroe omerico, alla particolare suggestione linguistica e teoretica che queste pagine adorniane continuano a serbare per il lettore di oggi, presentiamo qui di seguito uno dei brani più noti (Dialettica dell’illuminismo, trad. it., Einaudi Torino 1966, pp. 67-69). la maledizione. Ogni diritto della storia passata reca i segni di questo schema. Nel mito ogni momento del ciclo ripaga quello che lo precede e collabora cosí a insediare come legge il nesso della colpa. A ciò si oppone Odisseo. Il Sé rappresenta l’ universalità razionale contro l’ineluttabilità del destino. Ma trovando egli l’universale e l’ineluttabile già strettamente intrecciati fra loro, la sua razionalità assume necessariamente forma restrittiva: quella, cioè, dell’eccezione. Egli deve sottrarsi ai rapporti giuridici che lo circondano e lo minacciano da ogni parte, e che sono inscritti, per cosí dire, in ogni figura mitica. Egli soddisfa alla norma giuridica in modo che essa perda il suo potere su di lui nell’atto stesso in cui egli glielo riconosce. E’ impossibile udire le Sirene e non cadere in loro balia: esse non si possono sfidare impunemente. Sfida e accecamento sono la stessa cosa, e chi le sfida è già vittima del mito a cui si espone. Ma l’astuzia è la sfida divenuta razionale. Odisseo non tenta di seguire un’altra via da quella che passa davanti all’isola delle Sirene. E non tenta neppure di fare assegnamento sul suo sapere superiore e di porgere libero ascolto alle maliarde, nell’illusione che gli basti come scudo la sua libertà. Egli si fa piccolo piccolo, la sua nave segue il suo corso fatale e prestabilito, ed egli comprende che, per quanto possa distanziarsi consapevolmente dalla natura, le rimane, come ascoltatore, asservito. Egli osserva il patto della sua dipendenza, e si divincola ancora, dall’albero della nave, per gettarsi nelle braccia di quelle creature di perdizione. Ma egli ha scoperto una lacuna nel contratto, attraverso la quale, mentre adempie al decreto, nello stesso tempo gli sfugge. Nel patto originario non è previsto se chi passa ascolterà legato o non legato il canto. L’uso di legare appartiene solo a uno stadio dove il prigioniero non è piú ucciso immediatamente. Proprio in quanto - tecnicamente illuminato - si fa legare, Odisseo riconosce la strapotenza arcaica del canto. Egli si china al canto del piacere, e lo sventa, cosí, come la morte. L’ascoltatore legato è attirato dalle Sirene come nessun altro. Solo ha disposto le cose in modo che, pur caduto, non cada in loro potere. Con tutta la violenza del suo desiderio, che riflette quella delle creature semidivine, egli non può raggiungerle, poichè i compagni che remano, con la cera nelle orecchie, non sono sordi solo alle Sirene, ma anche al grido disperato del loro capitano. Le Sirene hanno quel che loro spetta, ma già ridotto e neutralizzato - nella preistoria borghese - al rimpianto di chi prosegue. L’epos non dice che cosa accade alle cantatrici dopo che la nave di Odisseo è scomparsa. Ma nella tragedia sarebbe stata certo la loro ultima ora, come per la Sfinge quando Edipo risolve l’indovinello, eseguendo il suo ordine e cosí rovesciandola. Poiché il diritto delle figure mitiche, che è il diritto del piú forte, vive solo dell’ineseguibilità delle loro norme. Se esse vengono soddisfatte, i miti si dissolvono fino alla piú lontana posterità. Dall’incontro felicemente mancato di Odisseo con le Sirene tutti i canti sono feriti, e tutta la musica occidentale si arrabatta di fronte all’assurdità del canto nella civiltà, assurdità che è tuttavia, ad un tempo, l’ispirazione di ogni musica d’arte. E la formula dell’astuzia di Odisseo è proprio quella che lo spirito separato, strumentale, aderendo docilmente alla natura, dà ad essa quello che le appartiene e cosí facendo la inganna. I mostri mitici nel cui raggio d’azione egli capita. rappresentano ogni volta, per cosí dire, contratti pietrificati, diritti preistorici. E’ cosí che la religione popolare piú antica si presenta, nei suoi sparsi relitti, all’età patriarcale avanzata: sotto il cielo olimpico, essi sono divenuti emblemi del destino astratto, della necessità vuota di senso. Che non si potesse scegliere altra via che quella fra Scilla e Cariddi, si può interpretare - razionalisticamente - come trasposizione mitica dell’irresistibilità della corrente marina per le piccole navicelle arcaiche. Ma nella trasposizione e oggettivazione mitica il rapporto naturale di forza e impotenza ha già assunto il carattere di un rapporto giuridico. Scilla e Cariddi hanno un diritto su tutto ciò che capita sotto le loro unghie, come Circe ha il diritto di trasformare chi non è immunizzato, o Polifemo di divorare i suoi ospiti. Ognuna delle figure mitiche è tenuta a fare sempre la stessa cosa. Ognuna consiste nella ripetizione: il cui fallimento segnerebbe la sua fine. Hanno tutte qualcosa di ciò che nei miti di punizione degli inferi: Tantalo, Sisifo, le Danaidi - è motivato da un verdetto olimpico. Sono immagini di coazione: le atrocità che commettono sono la maledizione che pesa su di esse. L’ineluttabilità mitica è definita dall’equivalenza fra quella maledizione, il delitto che la paga e la colpa che ne deriva e che riproduce 2 SOMMARIO 5 RESOCONTO 46 Le meditazioni metafisiche di Cartesio 5 Theodor W. Adorno: Mito, mimesi e critica della cultura 46 I vizi per Tommaso D’Aquino 47 Verità e vita in Montaigne 11 PROFILO 48 La concezione dello spazio in Husserl 11 Attualità di Nicola Abbagnano 49 L’ontologia sensibile di Merleau-Ponty 50 La fenomenologia di Friburgo 17 INTERVISTA 51 L’estetica di Schelling 17 Sulla competenza lessicale 52 L’eliocentrismo di Copernico e Galilei 21 AUTORI E IDEE 55 CONVEGNI E SEMINARI 21 L’itinerario filosofico di Labriola 55 Sull’educazione 23 Tempo della vita e tempo del mondo in Blumenberg 55 Filosofi e scienziati in dialogo 24 L’ispirazione filosofica 57 Itinerari nel pensiero di Nietzsche 24 Ricoeur e il male 58 L’immaginazione 25 Metafisica ed etica del tempo 58 Individuo e comunità 26 Etica e saggezza greca 59 La filosofia russa tra Ottocento e Novecento 27 Sulla stanchezza 60 Filosofia e filologia classica 28 Realtà, linguaggio, pratica 60 La filosofia di Saul Kripke 29 Ripensando Carl Schmitt 61 Finitezza e trascendenza 29 Linguaggi matematici e matematiche del linguaggio 62 Scienza e filosofia in Francia e in Italia 30 Prini: il desiderio di essere 63 Cassirer, cinquant’anni dopo 30 Critica dell’interpretazione scientifica del mondo 64 Cristianesimo e modernità 31 Ermeneutica ed estetica 65 Filosofia a Bariloche 65 Bicentenario rosminiano 33 TENDENZE E DIBATTITI 67 Agostino interprete dell’Occidente 33 Sul mestiere dello storico 34 Poesia e filosofia 73 DIDATTICA 34 Nuovi studi di filosofia politica 73 Nuovi manuali di filosofia 35 Hegelismo francese 74 Strumenti 36 Le forme dell’ermeneutica 75 Convegni 37 Metafisica, epistemologia e storia 79 Primo piano: Per un confronto di opinioni 38 Contro la logica dell’identità 39 Filosofia ed esperienza di Dio 80 STUDIO 40 Natura e storia 80 La filosofia della religione 80 Il pitagorismo 41 PROSPETTIVE DI RICERCA 81 Sociologia della cultura 41 Eresia e amor puro in Fénelon 82 RASSEGNA DELLE RIVISTE 43 Dispute medievali 44 Emilio contro ‘Emilio’ 87 NOVITÀ IN LIBRERIA 45 Amore e filosofia in Kierkegaard 45 Le parole di Foucault 3 RESOCONTO Theodor Wiesengrund Adorno 4 RESOCONTO O r g a n i z z a to dalla rivista «Nuova corrente» (che ne pubblicherà gli atti) e dal Goethe Institut di Genova, in coldi laborazione Giuseppe Cospito con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e la Provincia di Genova, nei giorni 4 e 5 aprile 1997 si è tenuto a Genova un convegno internazionale di studi dal titolo: “Per una rilettura di Theodor W. Adorno. Mito, mimesis e critica della cultura”, che è stato anche un’occasione per riflettere sull’eredità e l’attualità della Dialettica dell’illuminismo (Amsterdam 1947) di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno a cinquant’anni dalla sua prima edizione. Come hanno rilevato Andrea Borsari e Santino Mele, ai quali si deve il progetto scientifico e l’organizzazione del convegno genovese, «Adorno rappresenta l’intransigenza di una teoria che prende corpo criticamente, ovvero eticamente, tanto nella resistenza ai processi pervasivi di integrazione, quanto in una ricerca che non rinuncia a circoscrivere l’umano nella sua interezza, interrogandosi sulle ambivalenze di un’antropologia tesa fra autoconservazione e creatività della vita». Di fatto, continuano Borsari e Mele, «dopo lunghi anni di mode, di usi ideologici, di oblio o di tran tran accademico, per riproporre oggi in Italia la lettura di Theodor W. Adorno (19031969) basterebbero ragioni scientifiche». E queste ragioni sono innanzitutto di ordine editoriale: dopo che è giunta a compimento l’edizione delle Gesammelte Schriften (Scritti completi, voll. 1-20, a cura di R. Tiedman, Francoforte s/M. 1970-86) è iniziata, a cura dell’Adorno-Archiv di Francoforte, la pubblicazione delle Nachgelassen Schriften (Scritti postumi), tra cui, particolarmente interessante, figura la trascrizione delle lezioni del semestre estivo 1963, Probleme der Moralphilosophie (Problemi di filosofia morale, Francoforte s/M. 1996). A queste ragioni si aggiungono poi motivi inerenti alla ricezione critica dell’opera adorniana, che è stata ultimamente tacciata di “sfrenato scetticismo della ragione” (J. Habermas), o considerata condizione per una ripresa radicale della teoria critica (Ch. Türcke), o messa a confronto con l’opera di Michel Foucault (A. Honneth), o utilizzata come un orientamento per la critica del post-moderno (F. Jameson). Nella sua ricostruzione del rapporto tra Per una rilettura di Theodor W. Adorno. Mito, mimesis e critica della cultura l’estetica di Adorno e il “secolo dell’estremo”, Rolf Wiggershaus ha preso le mosse dal celebre aforisma adorniano secondo il quale «scrivere una poesia dopo Auschwitz è una barbarie», mostrando come né l’accezione originaria di “barbaro”, né quella impiegata da Adorno siano da intendersi soltanto in senso negativo. In sostanza, Adorno non teorizza la fine dell’arte dopo gli orrori della seconda guerra mondiale e dell’Olocausto, ma ne distingue due possibili forme: una “radicale”, anche dal punto di vista formale (il primo Schönberg, il Picasso di Guernica), che non cela alcuna verità, anche la più terribile e “scandalosa”; l’altra che, con il suo andamento estetizzante (le poesie di Celan e Sachs), partecipa alla rimozione e alla mistificazione collettive dell’esperienza traumatica. In questo senso va intesa l’affermazione della Dialettica dell’illuminismo secondo la quale sessantottesco. Esponenti del “marxismo critico”, invece, pur rifiutandone alcuni aspetti estremistici, videro nel movimento francofortese una possibile alternativa al marxismo ortodosso di stampo sovietico. Infine, dopo “il periodo di latenza” degli anni Ottanta, oggi, con l’affermarsi delle tematiche postmoderne e del “pensiero debole”, la critica di irrazionalismo a suo tempo rivolta alla Dialettica si è significativamente rovesciata in accusa di eccessivo razionalismo. Petrucciani, anche se rifiuta la revisione della teoria critica operata da Habermas, non condivide tali esiti sostanzialmente scettici. La relazione di Josef Früchtl è stata rivolta a mettere in evidenza come l’originaria teoria critica della cultura francofortese, con la sua pretesa di insegnare qual è la vera cultura e di distinguerne forme “alte” e “basse”, appaia del tutto inadeguata nella società postmoderna. Früchtl si è soffermato in particolare sul saggio di Marcuse Sul carattere affermativo della cultura, mostrando come il concetto di cultura analizzato da Marcuse sia caratterizzato dall’offerta di uno spazio, sia pure “falso”, a quelle esigenze di individualità e felicità che non possono essere realizzate nella vita reale della società capitalistica: si tratta quindi di una cultura “idealistica” e come tale da superare. La ricerca sociologica e filosofica contemporanea (Foucault, Rorty, Taylor), ma anche i più recenti sviluppi della stessa teoria critica (Habermas) hanno tuttavia mostrato come oggi sia più opportuno parlare di carattere “ideal-simbolico” e “post-affermativo” della cultura: «la vecchia etica del dovere e del lavoro esercita ancora la sua influenza, ma è più forte quella della nuova etica dell’autenticità». Il concetto adorniano di mimesis è stato oggetto di numerosi interventi. Ispirandosi ai più recenti risultati dell’antropologia filosofica, della storiografia delle Annales e della ricerca etnologica, ma anche della psicanalisi di Freud, Christoph Wulf ha sottolineato come Adorno sia stato tra i primi a cogliere il carattere complesso e ambivalente della mimesis, non semplice imitazione, ma anche creazione. Carlo Gentili ha segnalato come il carattere mediano dell’attività mimetica (già presente nella Poetica di Aristotele) permetta la medietà stessa dell’arte, di cui la mimesis è organo, tra la magia e la razionalità. Essa quindi rimane in equilibrio precario tra le due, senza identificarsi con alcuna di esse, così come resta distinta dalla natura da cui pure trae ispirazione e di cui conserva il ricordo, producendo quel qualcosa di più (Mehr) e di distinto rispetto all’empirico, in cui consiste il suo specifico godimento. Theodor W. Adorno: Mito, mimesi e critica della cultura con interventi di Remo Bodei Fabrizio Desideri Josef Früchtl e Rolf Wiggershaus a cura di Riccardo Ruschi «le opere d’arte sono ascetiche e senza pudore; l’industria culturale è pornografica e prude»; quest’ultima inoltre appare strettamente connessa all’antisemitismo, in quanto entrambi sono «risultato e sintomo di una Zivilisation fallita». Stefano Petrucciani ha ripercorso la storia della ricezione italiana della Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno a partire dalla sua traduzione nel 1966 (ma i primi interventi di Cases e Solmi risalgono al ’54), che è anche «una microstoria di alcuni aspetti e tendenze non secondarie della cultura filosofica italiana» nel suo insieme. I marxisti “ortodossi” videro in quest’opera una critica romantica e irrazionalistica alla società moderna, che ignora gli aspetti positivi dell’ideologia illuminista e la natura materiale della reificazione capitalistica; posizione per certi versi analoga a quella della cultura laico-progressista, che accomunò in un unico giudizio di condanna pensiero negativo e movimento 5 RESOCONTO Tale concezione dell’arte appare esemplificata nell’analisi svolta nella Dialettica dell’illuminismo dell’episodio del “canto delle Sirene” del XII libro dell’Odissea: proprio grazie al noto espediente di farsi legare all’albero della nave, Ulisse può avvicinarsi al mana, alla natura, al mito primordiale, riprovarne il brivido, senza tuttavia venirne riassorbito. La proposta di una ripresa della teoria critica francortese in una prospettiva diversa da quella “normativa” habermasiana è stata al centro anche della relazione di Rino Genovese: occorre superare l’idea, di matrice hegeliana, di una possibile conciliazione tra mito e illuminismo, arcaico e moderno, sostituendo a tali coppie concettuali quella di mimesi e autoconservazione. Si tratta di due categorie al contempo naturali e storiche; anzi di due impulsi del vivente: l’uno ad adeguarsi all’ambiente esterno, l’altro a conservare la propria identità, manifestando tuttavia un’eccessiva tendenza all’autonomizzazione e a pervertire la stessa mimesi con esiti catastrofici (paranoia razzista). La Teoria estetica di Adorno è stata letta da Fabrizio Desideri non solo come «l’esito della “teoria critica” e in questo il punto di massima esposizione delle sue interne aporie», ma anche come «l’inizio di una riflessione post-dialettica», in direzione di quell’“atematismo” che Adorno vedeva incarnato nella “nuova musica”, così come nella ricerca filosofica dell’amico Benjamin. Dal momento che «l’atteggiamento estetico è la capacità di percepire nelle cose più di quel che esse sono», la produzione artistica si rivela da un lato come «mimesis di qualcosa che non c’è: la natura», dall’altro come «techne dell’irriproducibile». Gli ultimi interventi sono stati dedicati a un altro tema fondamentale della ricerca adorniana: il concetto di mito. David Roberts ha sottolineato come l’identificazione del mito con la natura originaria in Adorno corrisponda al ritorno all’Essere propugnato negli stessi drammatici anni da Heidegger: si tratta degli ultimi esiti del movimento romantico tedesco e del suo tentativo di una sintesi dialettica tra natura e storia, cui partecipano anche Lukács e Benjamin. Adorno è tuttavia l’unico a resistere alla tentazione del “salto politico” di sostituire al dio che è morto una nuova entità suprema: «il comunismo per Lukács, il nazionalsocialismo per Heidegger o il matrimonio di Benjamin tra messianismo e materialismo storico», rimanendo fedele a quella che Lukács definì come “ideologia del modernismo”. Francisco Jarauta ha messo ha confronto le circostanze nelle quali Horkheimer e Adorno abbozzarono la Dialettica dell’illuminismo (nel 1944, durante l’esilio americano) con le riflessioni di Max Weber sulla prima guerra mondiale appena conclusa: di fronte alla vera sconfitta, quella della ragione, della ragione pratica, l’unica possibile risposta parve essere a Weber quella di una revisione del programma delle scienze sociali, che aggiungesse alla semplice analisi della so- cietà una sua interpretazione e critica. Un obbiettivo analogo si posero i due francofortesi nel loro tentativo di ripensare la modernità che, depurato dagli errori in cui anch’essi incorsero (per esempio nell’interpretazione della figura sadiana di Juliette come critica intransigente della ragion pratica), si presenta ancor oggi tanto impossibile quanto necessaria. Remo Bodei ha infine operato un articolato tentativo di “scarnificare” la Dialettica dell’illuminismo ed enuclearne alcuni punti chiave: il “rischiaramento” illuminista vuole liberare gli uomini dalla paura, ma li allontana dalla natura e crea una coscienza che è il presupposto del dominio e del totalitarismo. Il tentativo di ripristinare il rapporto tra l’individuo e il tutto, espiando la colpa originale del distacco, sfocia nel sacrificio-scambio dell’individuo stesso, vero e proprio omicidio razionalizzato. Tuttavia, affinché l’emancipazione umana non sia solo mitica, utopica, occorre trovare una conciliazione tra mythos e logos, per realizzare la quale la riflessione filosofica può utilizzare, pur mantenendo le proprie peculiarità, alcune modalità dell’esperienza artistica quali sensibilità e fantasia. Presentiamo qui di seguito brani del testo di alcune relazioni lette al Convegno. Il testo integrale, insieme ad altri interventi, verrà pubblicato nel n. 119-120 della rivista «Nuova Corrente» (Tilgher ed., v. Assarotti 31/ 15, 16122 Genova, tel. 010-8391140 e fax 010-870653). specie di talismano, un vade retro pronunciato nei confronti della natura. Nella nascita della ragione e della coscienza, o meglio nel progressivo passaggio dalla magia al mito e poi alla ragione, vi è un eccesso di legittima difesa nei confronti della natura. Un atto originario che marchia non soltanto la civiltà dell’Occidente, ma la coscienza umana in quanto tale. Tale prepotenza originaria consiste nel gesto d’imperio con cui coscienza e dominio si identificano. Ogni coscienza, ogni forma di ragione è una presa di possesso della natura interna e esterna all’uomo. Lavoro e ragione, lavoro e rischiaramento, sforzo fisico e “fatica del concetto”, sono apparentati. Il lavoro, come la ratio, è una necessità che ha preso si è resa autonoma dai suoi scopi, che è stata scambiata per fine invece di essere considerata semplicemente come mezzo. I Minima moralia contengono uno splendido frammento intitolato Sur l’herbe, con riferimento a una novella di Maupassant. In esso Adorno sostiene l’esistenza in ciascuno di noi della voluttà di regredire a un mondo di inattività e di abbandono alla natura, di ritorno alla mitica età dell’oro, in cui gli uomini stanno stesi sull’erba, sotto i platani, come nello scenario del Fedro di Platone. Questo abbandono è indice del desiderio permanente di non continuare la lotta contro la natura in favore di un eccessivo rafforzamento della propria identità, di abbandonare la rincorsa continua verso un progresso che mira a trasformare ciò che è naturale fino a renderlo irriconoscibile. Bisogna La dichiarazione di apertura della Dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer, è che l’illuminismo - o il «rischiaramento», come preferirei tradurre - ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di di renderli padroni di se stessi. Di Remo Bodei che tipo di paura si tratta? Da dove proviene? Non è proprio, come in Hans Blumenberg, il carattere “assolutistico” della realtà che spinge gli uomini a creare dei miti come secrezione contro le potenze terribili e sconosciute del mondo. È piuttosto la paura di ricadere nell’amorfo dopo aver conquistato un barlume di coscienza di sé; è il panico, nel senso etimologico del dissolversi nel tutto. Secondo una lettura dei capitoli famosi della Fenomenologia dello Spirito di Hegel “Autocoscienza” e “Signoria/ servitù” (molto diversa da quella di Kojève e Sartre), l’uomo è diventato uomo e la coscienza è nata e si è sviluppata soltanto perchè ha reciso il cordone ombelicale con la natura, perché nella sua prepotenza, nella sua hybris, nel suo desiderio di emancipazione e libertà, ha tagliato e dimenticato i rapporti con la natura. La ratio di cui peraltro Adorno e Horkheimer danno un’immagine francamente caricaturale, riducendola a uno strumento degli strumenti, ad attività di manipolazione e di oppressione, a «prolungamento del braccio» - diventa una Le ombre della ragione. Emancipazione come mito 6 RESOCONTO dunque, aver presente questa paura primigenia che vive dentro la ragione - quella cioè di annullare il confine tra se stessi e la vita - per intendere il carattere antinomico dell’essere contemporaneamente cieca volontà di restare identici a se stessi, cioè di staccare la coscienza dal flusso della natura, e, insieme, volontà di dissolvimento, di perdita di sé [...]. Con accenti freudiani, la civiltà si presenta così in Adorno come opposizione della coscienza al contesto della natura mediante un rigido rituale di sacrificio. Noi costituiamo cioè noi stessi attraverso il sacrificio delle nostre tendenze naturali, della nostra natura. La coscienza si mantiene identica negandosi, negando il rapporto con la naturalità. Perché nel ritornare al mito, o nel rifiutare il mito, comunque sia, si cade allora nella nemesi? Adorno, nel commento all’Ifigenia di Goethe, dice che quanto più Oreste rifiuta il mito, tanto più vi ricade, perché l’illuminismo che sfugge a se stesso, che non custodisce nell’autoriflessione il nesso naturale da cui si separa attraverso la libertà, diventa colpevole nei confronti della natura. La conciliazione non è nuda antitesi al mito, bensì giustizia nei suoi confronti di questo. L’errore, in termini storici, o della ragione illuminata, aufgeklärte, in termini generali, da Odisseo in poi, è quello di combattere il mito, è di combattere la natura, invece di accettare che dentro la razionalità stessa, convivente con essa, vi sia spazio per il riconoscimento della nostra naturalità, del nostro nesso con la natura, del nostro essere esseri naturali e del fatto che il “racconto”, il mythos, non contrasta con il logos. [...] Adorno amava molto Schubert e sapeva che musica e pianto sono legate nell’abbandono: «l’uomo che si lascia defluire in pianto e in una musica che non gli somiglia più in nulla, lascia contemporaneamente refluire in sè la corrente di ciò che egli non è e che aveva ristagnato dietro lo sbarramento del mondo degli oggetti concreti. Col suo canto e il suo pianto egli penetra nella realtà alienata». Soltanto quando si rinuncia a un dominio sulla natura, quando si accetta che il mondo delle cose, dell’alterità, sia presente in noi, quando si accetta un minimo di passività rispetto all’attivismo continuo, le cose possono parlare e noi stessi rinasciamo da questo contatto con il mondo. 91). Decisiva non è la tradizionale distinzione - orientata in primo luogo ai generi artistici, ai luoghi e agli stili di ricezione istituzionalizzati - tra arte alta e bassa o tra arte e cultura popolare o tra musica classica e deteriore; decisivo è distinguere se le opere d’arte, o meglio comportamenti culturali o estetici, possono acuire od offuscare il senso per le immagini di felicità come pure le cause della sua negazione. Nei due saggi, “Industria culturale” e “Elementi dell’antisemitismo”, che nella Dialettica dell’illuminismo seguono al saggio introduttivo con i suoi due Excursus, è contenuta l’elaborazione dell’esperienza americana e di quella tedesca in diretta vicinanza. Industria culturale e antisemitismo non sono poste con ciò a un diverso livello. La connessione qui indicata è piuttosto questa: l’antisemitismo non è da classificare come qualcosa di anticivilizzatorio, a differenza della cultura di massa come fenomeno scadente di civilizzazione. Entrambi valgono come risultato e sintomo di una civilizzazione mancata. L’industria culturale viene concepita da ultimo come pseudodemocratizzazione della cultura, con cui viene promesso il piacere, di cui tuttavia viene ancora una volta offerta solo la negazione, imposta costantemente dalla civilizzazione. Industria culturale non significa partecipazione alla cultura e acuizione del senso per la sua promessa di una vita senza dettato socialdarwinistico, ma consumo di merci standardizzate, che promette felicità, senza che si debba cambiare qualcosa. L’antisemitismo viene da ultimo concepito come ribellione a una civilizzazione che alle negazioni non fa seguire le soddisfazioni promesse; come espressione, o meglio esplosione del “risentimento del soggetto, a sua volta dominato, del dominio sulla natura”. La natura, che dalla civilizzazione viene sottomessa invece che sublimata, si ribella, e questa ribellione viene presa in appalto dall’ordine fascista, che invece del dominio del popolo offre partecipazione al domino della natura. Ciò che ricorda la sottomissione del proprio desiderio - qualcosa che sembra dar corpo a una felicità senza potere, una ricompensa senza lavoro, una patria senza pietre di confine, una religione senza mito - attira su di sé il piacere dello sterminio di coloro che non hanno saputo mai del tutto portare a compimento il doloroso processo della civilizzazione e dominano la natura solo in modo spasmodico. Lo schema del modo di reazione antisemitico è la liberazione collettiva, razionalizzata, autoritaria di moti impulsivi proibiti e disprezzati. «In quanto disprezzata e sprezzante di sé, la funzione mimetica viene assaporata malignamente. Chi fiuta odori, per eliminarli, può imitare a suo piacere l’atto di annusare, che ha nell’odore il suo piacere irrazionalizzato. Nel mentre il civilizzato neutralizza l’impulso negato, identificandosi incondizionatamente con l’istanza che lo nega, questo impulso viene ammesso. Quando esso varca la soglia, esplode il riso» (Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 217; trad. it. cit., p. 197). Nei campi di concentramento i detenuti venivano spinti a prender parte alla repressione, o meglio alla denigrazione del mimetico. Ridicoli errori nell’allineamento delle file o nell’ordine di altezza dei detenuti durante l’apello, minimi movimenti, tosse, starnuti ecc. suscitavano nelle SS eccessi selvaggi. Il supera- «Le opere d’arte sono ascetiche e senza pudori, l’idustria culturale è pornografica e prude» - si dice nel capitolo sull’industria culturale nella Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno (Amsterdam 1947, p. 167; trad. di Rolf it., Torino 1966, p. 151). Le opeWiggershaus re d’arte danno corpo a un desiderio di felicità che non si lascia saziare con conpensazioni. Non trasfigurano rapporti che impongono sacrifici, né compensazioni per una felicità irraggiungibile. Adorno definisce in tal senso l’arte, nella Teoria estetica, come «rifugio del rapporto mimetico» Francoforte s/M. 1973, p. 86; trad. it., Torino 1977, p. Arte come trauma. L’estetica di Adorno e il secolo dell’estremo 7 RESOCONTO mento e l’annullamento della distanza culturale nel corpo proprio, nel corpo degli altri, nella natura e nelle sue provocazioni avveniva in condizioni insopportabili, che avrebbero avuto per sempre un effetto di derisione sulla vicinanza creaturale e la comunicazione intima. L’ordinamento del campo di concentramento era una parodia di rigido addestramento militare; la costrizione in comportamenti senza pudore, privi di rispetto, egoistici, calcolatori, una derisione del desiderio di liberazione dalle coazioni della civilizzazione. mal rationale”, Francoforte s/M. 1992, pp. 166 e 168). Moderna è una cultura e la sua critica quando essa, per dirla con Hans Blumenberg, può esporre la sua propria legittimità. La critica culturale, la critica della cultura in senso ideale-simbolico, come in senso olistico, è dunque oggi possibile solo se la critica si rapporta in primo luogo sempre anche a se stessa, se cioè si presenta in modo riflessivo, e se, in secondo luogo, può di volta in volta internamente, attraverso la critica, giustificare a se stessa il suo legittimo giudicare e condannare. A queste condizioni può certo richiamarsi un critico della cultura del tipo sia di Rorty, sia di Habermas. La questione se il criterio critico sia da desumere ogni volta dalla prassi olistico-culturale o sia da fissare in modo culturalmente invariante, se dunque il contestualismo e il relativismo culturale o l’universalismo sia la concezione adeguata del (post-)moderno, si può perciò rendere innanzitutto comprensibile con una decisione fondata se si connette la critica della cultura con la critica della ragione o della razionalità. I concetti di ragione, di critica e di cultura, riuniti dall’illuminismo del XVIII secolo, restano allora assegnati l’uno all’altro, ma la loro connessione necessita di una nuova, approfondita analisi. Motivo per una revisione della vecchia concezione di teoria critica e del suo concetto di cultura offre anche la concezione propria della critigê della cultura. La teoria della cultura di tipo critico-teoretico si pone nel contesto di una teoria della totalità di Josef Früchtl sociale, condivide però con la critica della cultura borghese le due premesse centrali: essere normativo-dogmatica da una parte, cioè sostenere l’affermazione di disporre di un concetto di vera cultura; dall’altra essere gerarchicoelitaria, cioè di conferire alla cosiddetta alta cultura la priorità nei confronti della bassa cultura. Conformemente a ciò, due sono le domande da porsi: si deve mantenere l’affermazione di ciò che la cultura sia in verità, e se sì in quale forma? In secondo luogo, si deve mantenere la gerarchizzazione degli ambiti culturali? Per quanto riguarda la prima domanda, avere una cognizione della vera cultura significa poter indicare un criterio che permetta una critica della falsa cultura. Per la teoria critica, rappresentata da Horkheimer, Adorno e Marcuse, ciò significa in particolare, alla scuola di Hegel e Marx, esercitare la critica dell’ideologia come una forma di critica immanente. Con questo, la cultura, sotto le pretese immanenti dell’ideale culturale, trapassa in critica della cultura e conseguentemente in sostitutivo della critica della società. Nel mentre la cultura (idealesimbolica e idealistica) afferma la validità del principio di armonia, non può evitare il confronto con la realtà sociale o la cultura nella sua totalità. Dal momento però che queste tesi non sembrano più convincere, si pone nuovamente la questione di un criterio per la cultura o di un nesso interno tra cultura e critica. In riferimento a questo vorrei collegarmi alla tesi di Herbert Schnädelbach, «che solo in culture che [...] si fanno un concetto di se stesse come cultura e sono divenute in tal senso riflessive può sussistere un nesso [...] interno tra cultura e critica della cultura». In modo esplicito ciò fa ingresso nella tradizione occidentale attraverso l’antica sofistica. Non solo riflessive, ma anche moderne - così suona la conseguente tesi di Schnädelbach, orientata verso Habermas - «sono innanzitutto quelle culture in cui la critica della cultura non si orienta più verso autorità mitiche, religiose o trascendenti, ma ha conseguito la coscienza che i criteri e le norme da cui essa segue devono essere legittimati essi stessi all’interno del discorso critico-culturale» (Zur Rehabilitierung des “aniSul carattere postaffermativo della cultura C’è mimesi solo in relazione all’alterità: si mima ciò che non Mimesi si è. Di qui deriva non solo e techne nella l’onniperformatività dell’atteg- Teoria estetica giamento mimetico, ma anche la sua differenza-distanza dal puro ri-produrre. Quest’ultimo, il riprodurre, è più questione di dell’autonomia della techne che Fabrizio Desideri della mimesis. Seppur bisogna dire che anche la mimesis «è una specie di produzione» «e gar pou mimesis poiesis tis estin» - come leggiamo nel Sofista platonico (Soph., 265b) - nel suo strato bio-logico lo è come poiesis improduttiva: al limite dell’a-intenzionalità, alla soglia dell’aisthesis. Per cui è proprio nell’arte come techne dell’irriproducibile - in quella che Kant chiama arte bella: nel suo carattere di quasi-natura - che si mostra in aporetica unità il rapporto tra techne e mimesis. A questo proposito evidente è il debito di Adorno nei confronti del Benjamin che, in Di alcuni motivi in Baudelaire, riconduce il carattere imitativoriproduttivo dell’opera d’arte all’idea di bello come «oggetto dell’esperienza nello stato della somiglianza» (W. Benjamin, Angelus Novus, a cura di R. Solmi, con un saggio di F. Desideri, Einaudi, Torino 1995, p. 118 n.). Ed entrambi sono debitori al Valéry che intende il bello come quanto esige «l’imitazione servile di ciò che è indefinibile nelle cose». Solo che, ancora una volta, si tratta di cogliere la tensione tra questo “indefinibile”, la sua in-determinabilità (il suo carattere sfuggente ed incommensurabile) e la sua mimesis. Tale tensione è colta perfettamente da Adorno, nel momento in cui sottolinea la non intenzionalità dello spirito dell’opera d’arte come “Mnemosyne”: memoria involontaria del brivido arcaico (cfr. Th.W. Adorno, Teoria estetica [Ästhetische Theorie], a cura di E. De Angelis, Einaudi, Torino 1975, p. 8 RESOCONTO 115) nella sua obiettivazione mimetica. A questo proposito Adorno non si nasconde che il brivido stesso è una sorta di prima mimesis ancora tutta sotto il segno della passività: quell’impulso ancora intrinseco al corpo come organon immediato (cfr. per questo Platone, Soph., 267a - che distingue il phantasma mimetico prodotto per mezzo di strumenti e quello «che si ha quando il produttore del fantasma offre se stesso come strumento»); quell’impulso che “mette in moto” l’atteggiamento estetico come qualcosa d’irriducibile alla dimensione logotetica dell’Io. Così, «alla fin fine l’atteggiamento estetico sarebbe da definire come la capacità di rabbrividire in un qualche modo, come se la pelle d’oca fosse la prima immagine estetica» (Th.W. Adorno, Teoria estetica, cit, p. 466). La coscienza che dimentica questo brivido è “reificata” non solo perché s’illude di liberarsi della sua origine, ma anche perché così si dimentica della sua stessa natura, in un senso più esteso di quanto si potrebbe pensare: «ciò che più tardi si chiama soggettività», che si distacca dalla cecità a-intenzionale del brivido, non è altro «al tempo stesso che il vero e proprio dispiegamento di questo» (ibid.). Il dispiegamento di quell’urto con l’in sé della cosa, di quell’esser toccati da altro che è inassimilabile ad ogni futura identità: irriducibile alla soggettività che qui «si muove senza già esserci». Alla luce di questo rapporto di reciproca implicazione tra la mimesi e il non-identico si chiarisce la stessa idea di affinità come implicante una dialettica tra spirito e natura ancora più radicale di quella tra Aufklärung (illuminismo) e mythos. C’è affinitas e dunque verità solo nel presupposto dell’alterità che si annuncia nell’aisthesis, ma ritraendosi in sé. Qui quanto osservato da Adorno in conclusione al suo grande saggio su Hölderlin, ossia che Com’ è noto, Horkheimer e Adorno, i fondatori della teoria critica, pur occupandosi ampiamente di problemi moradi Ulrich li in vari punti Kohlmann delle loro opere, non hanno mai elaborato un’etica. Per questo motivo da alcuni anni il vivace dibattito sulla forma adeguata della teoria critica si è concentrato sulla questione se la sua prosecuzione attuale richieda un’integrazione per mezzo di un’etica. Mentre Habermas, Benhabib e altri hanno risposto affermativamente a questo interrogativo, la legittimità e il bisogno di un riarmo normativo della teoria critica è stato messo in dubbio da alcuni studi recenti. In questa situazione la recente pubblicazione di un corso di lezioni di Adorno sulla filosofia morale, Probleme der Moralphilosophie (Problemi della filosofia morale, a cura di Thomas Schröder, «Nachgelassene Schriften», sez. IV, vol. 10, a cura dello AdornoArchiv, Suhrkamp, Francoforte s/M. 1996), tenuto nel 1963 all’Università di Francoforte, è particolarmente rilevante. Oltre l’etica normativa: la sfida della filosofia morale di Th. W. Adorno senza l’affinità, come voleva Platone, non è possibile l’esperienza dell’altro (cfr. Th.W. Adorno, Note per la letteratura [Noten zur Literatur], vol. II, 1961-1968, tr. it. di E. De Angelis, Einaudi, Torino 1979, p. 169), può esser rovesciato nel suo opposto. L’affinitas suppone, quindi, sia l’esperienza del confine dove si annuncia la comunità con l’altro nella sua irriducibilità, sia l’oscuro fondo naturale di ogni eterogeneo. Appunto di questa affinitas può esservi soltanto mimesis come l’unica possibilità di una methexis alla sua oscurità e, dunque, al suo carattere incommensurabile, improducibile: non oggetto di techne. O meglio oggetto di techne come mimesis improduttiva della natura e non come sua “perfezione”. Mimesis di qualcosa che non c’è: «la natura, alla cui “imago” l’arte si abbandona, ancora non c’è affatto; nell’arte è vera una cosa che non c’è» (Th.W. Adorno, Teoria estetica, cit, pp. 188-189). Di qui il carattere di apparenza della sua stessa verità: l’opera d’arte è «”res” che nega il mondo delle “res”» (ibid., p. 172) e dunque nega se stessa, ma per rammemorare il brivido che la potenza della cosa in sé - come un Altro che «non è unità e concetto, bensì un plurimo» (ibid., p. 189) - ha lasciato come traccia nell’esperienza. Qualcosa d’analogo possiamo osservarlo del bello - e Adorno lo fa a più riprese; in questo caso il carattere d’apparenza, che ancora ha a che fare con il terribile, è tutto interno all’aisthesis: è l’immagine che ce lo rende sopportabile sostituendo il suo sottrarsi, misurando apparentemente la sua incommensurabilità. Quest’immagine - lo stesso carattere di apparenza del bello - è mimema di qualcosa che non c’è; mimesis la cui negatività è indifferente al “non più” e al “non ancora”, crisi immanente ad ogni sintesi. Già il titolo di queste lezioni segnala che Adorno non intendeva né la costruzione di una nuova etica normativa, né il congedo frettoloso dalle questioni morali. Attraverso analisi esemplari di alcuni concetti centrali della filosofia morale egli cerca piuttosto di promuovere una riflessione critica sui problemi morali che rende perspicua l’intrinseca «problematicità delle categorie morali» (op. cit., p. 15). Il corso adorniano è diviso in due parti di estensione ampiamente differente: nella prima parte Adorno spiega problemi fondamentali della filosofia morale in base a una interpretazione rigorosa di alcuni punti nodali dell’opera di Kant; e solo nell’ultima lezione tematizza esplicitamente la questione della giusta forma di una filosofia morale per i nostri tempi. Nella sua analisi della filosofia morale di Kant Adorno dà il massimo peso alle argomentazioni della Critica della ragion pura svolte da Kant nella discussione della terza antinomia e al rapporto tra massima e legge universale. L’aspetto della lettura adorniana di Kant che qui forse richiede la maggiore attenzione è il suo approccio metodico: Adorno cerca infatti di elaborare con rigore i motivi teorici razionali anche e soprattutto per le antinomie, le contraddizioni e i dilemmi in cui la filosofia 9 morale di Kant s’impiglia, che pur rimangono esposti alla critica adorniana. Benché Adorno sostenga che «la non-inclusione della realtà» (ibid.., p. 242) nella «radicale etica della coscienza» (ibid.., p. 218) di Kant «rovesci le conseguenze empiriche su cui insiste la volontà pura» (ibid.., p. 242) non si schiera peró dalla parte di una pura etica della responsabilità, perché «mediante l’attenzione alle conseguenze, la filosofia morale in un certo senso si rende dipendente dall’oggetto e tende a un’intesa troppo ampia con il mondo così com’esso è sino ad ora divenuto» (ibid.., p. 243). Se, dunque un’etica della coscienza implica la tendenza a conseguenze pratiche fatali e un’etica della responsabilità, quella di un adattamento troppo condiscendente nei confronti del corso del mondo, una riflessione critica della filosofia morale conduce necessariamente a un dilemma e «la questione che sta veramente di fronte oggi alla filosofia morale» è perciò «il modo in cui essa deve rapportarsi nei confronti di tale dilemma» (ibid.., p. 247). Il tentativo adorniano di sostituire un pensiero etico alla ricerca di fondamenti giustificativi con un lavoro che faccia emergere la coscienza della situazione di crisi della filosofia morale può essere fruttuosamente ricostruito sulla base delle lezioni universitarie RESOCONTO del 1963 appena pubblicate. Tuttavia questo corso non basta da solo a favorire una comprensione più ampia e sistematica della filosofia morale adorniana. A tal fine occorre sempre rifarsi alle Gesammelte Schriften, come pure al suo primo corso di “filosofia morale (tenuto nel semestre invernale 195657 e conservato nell’Adorno-Archiv di Francoforte). Una differenza decisiva tra i due corsi di lezioni dedicati alla filosofia morale sta nel fatto che solo nel primo dei due (195657) Adorno accoglie il progetto, avanzato da Nietzsche in «Aurora», di una critica della morale - ovvero nella terminologia odierna - di una critica dell’etica, “a partire da motivazioni morali”. «In una effettiva critica della morale» - affermava Adorno - «non ci si può limitare a rigettare, a distruggere semplicemente la morale, ponendo qualcos’altro al suo posto; la morale va invece confrontata con il suo proprio concetto, e ci si deve chiedere: è morale la Morale, soddisfa essa davvero i principi che contiene in se stessa?» (Probleme der Moralphilosophie [Vorlesung 1956/57], p. 01513). Nonostante il carattere programmatico di questa formulazione, la questione di una “dialettica della morale” (ibid.., p. 01513), di una Aufhebung der Il compito della filosofia morale odierna, sostiene Adorno, «consisterebbe nel tentativo [...] di portare alla consapevolezza più piena la coscienza delle sue antinomie. Io credo che, onestamente, non si di possa promettere niente di più. Theodor Innanzitutto non si può promettere W. Adorno che le considerazioni del tipo di quelle avanzate nell’ambito della filosofia morale possano, da parte loro, fornire un canone della vita giusta, in quanto la vita stessa è oggi così deformata e stravolta che in fondo nessuno riesce a viverla in modo giusto, realizzando in essa la sua autentica destinazione umana; anzi, vorrei quasi dire: il mondo è costituito in modo tale che già anche la più semplice esigenza di integrità ed onestà quasi per chiunque deve condurre alla ribellione. Io credo soprattutto che solo la consapevolezza di questa situazione coattiva - e non il fatto di nascondersela - possa creare le condizioni che permettano di porre in modo corretto la questione di come sia mai possibile vivere oggi. L’unica cosa che forse si può dire è che la vita giusta consiste nella resistenza contro le forme di una vita falsa, rese manifeste e risolte criticamente dalla coscienza più progredita. Non è effettivamente possibile fornire altro se non questa indicazione negativa. [...] Con ciò io intendo la negazione determinata della cattiva realtà che si è compresa e, insieme, la forza della resistenza contro tutto quanto ci viene imposto, contro ciò che il mondo ha fatto e, ancor più, vuole fare di noi. Non ci resta altro che la riflessione su questa problematica e il tentativo di contrastarla avendo fin dall’inizio ben presente la propria impotenza oggettiva; e questa resistenza contro ciò che il mondo ha fatto di noi, non è davvero solo una diffidenza nei confronti del mondo esterno, di fronte a cui noi dovremmo metterci dalla parte del giusto - qualunque tentativo del genere si limiterebbe infatti a rafforzare il principio del corso del mondo, che è in ogni caso attivo in noi, e in tal modo contribuirebbe al rafforzamento del male - bensì questa resistenza dovrebbe manifestarsi, essere in gioco in noi stessi, contro tutto ciò a cui noi tendiamo. Vorrei quasi dire che anche un’attività apparentemente così innocente come l’andare al cinema, a cui noi ci condanniamo, dovrebbe per lo meno essere accompagnata dalla coscienza che un tale impiego del nostro tempo, se lo impieghiamo così, costituisce in effetti già una sorta di tradimento rispetto a quanto abbiamo riconosciuto e che, verosimilmente - anche se solo in misura Ethik lungo il cammino della propria autoriflessione, sarà però realmente affrontata e sviluppata da Adorno solo nelle Gesammelte Schriften e non ancora nel corso della metà degli anni Cinquanta. In tali ulteriori sviluppi del suo pensiero Adorno acumina la questione tradizionale circa il bene al punto da rendere problematica l’etica stessa, identificata dalla conoscenza come illegittima legittimazione, per quanto sublimata teoreticamente, di una forma di coazione contro l’uomo. Riportiamo qui di seguito alcuni brani tratti da Probleme der Moralphilosophie (Suhrkamp, Francoforte s/M. 1996, pp. 248-251). infinitesimale, tuttavia certamente con effetto cumulativo può irretirci sempre più proprio in ciò che si vuole che noi diventiamo, e che noi stessi chiaramente diveniamo in misura sempre maggiore, al fine di sopravvivere, al fine di adattarci. Io penso infatti che per la situazione attuale sia decisivo che questo momento dello “stare al gioco”, di cui ho parlato, è qualcosa che nessuno che semplicemente voglia sopravvivere può evitare del tutto, a meno che non si tratti di un santo - ma anche l’esistenza di un santo oggi è qualcosa di assai precario. [...] Forse però le cose stanno così, che se questo “stare al gioco” è assunto nella riflessione e noi sappiamo quali conseguenze esso comporti, allora tutto ciò che facciamo - che facciamo sapendo che contribuisce al falso - diventa leggermente diverso da come sarebbe di per sé. [...] A questo riguardo siamo effettivamente davvero all’interno di una situazione antinomica. Ci si deve attenere al carattere normativo, all’autocritica, alla questione del giusto e del falso e, al contempo, bisogna tenere presente la critica della fallibilità dell’istanza che un tale genere di autocritica ritiene di poter affidabilmente avanzare. [...] Se debbo impiegare qui infine quest’espressione, ad un’umanità capace di autoriflessione apparterrebbe in ogni caso il non lasciarsi distogliere, un momento di imperturbabilità, di fermezza in ciò che uno crede infine di avere esperito, come d’altra parte, anche proprio quel momento non solo dell’autocritica, bensì anche della critica alla rigidità e inesorabilità che vuole imporsi in noi. Apparterrebbe inoltre anche, prima di tutto, la coscienza della propria fallibilità e, con ciò, direi, che è il momento dell’autoriflessione ad aver assunto oggi l’eredità di quelle che una volta erano chiamate le categorie morali. Ovvero, nella misura in cui oggi esiste dal lato della soggettività qualcosa come una soglia, una distinzione tra vita vera e vita falsa, essa va ricercata probabilmente in questa alternativa: se uno agisce ciecamente all’esterno - e pone se stesso e il gruppo a cui appartiene come positivo, negando ciò che è diverso - o se invece impara riflettendo sulla propria condizionatezza a concedere giustizia anche a ciò che è diverso, e ad avvertire che la vera ingiustizia risiede effettivamente sempre nel ritenersi ciecamente dalla parte del giusto e nel pensare gli altri dalla parte del torto. Questo non-imporre-se stessi - e ciò si estende sino alla metafisica della morte e all’ostinazione dell’essere a tutti costi se stessi, rintracciabile ancora, ad esempio, nella dottrina heideggeriana dell’Entlossenheit (risolutezza) - questo mi pare davvero l’elemento centrale in merito a ciò che oggi si può in assoluto esigere dal singolo individuo». (trad. it. di Tommaso Cavallo) Problemi di filosofia morale 10 PROFILO L’eco provocata da quotidiani e periodici in occasione del convegno commemorativo sulla figura e l’opedi ra di Nicola SilvioPaoliniMerlo Ab b a g n a n o (Salerno 1901 - Milano 1990), tenutosi a S. Margherita Ligure nei giorni 29 e 30 marzo 1996 e incentrato sul tema della “finitudine dell’uomo”, suggerirebbe una fase di “riscoperta” dell’esistenzialismo positivo. Ai trafiletti comparsi sui maggiori organi di diffusione della carta stampata nazionale, di semplice registrazione dell’evento, si sono affiancati interventi della più diversa natura: rievocazioni più o meno apologetiche, ripensamenti globali, cenni di dibattito, in qualche caso proposte tematiche e anticipazioni di discussione introdotte da alcuni fra gli stessi partecipanti al convegno - Aniello Montano, Gianni Vattimo, Franco Volpi, Giuseppe Cacciatore, Giovanni De Crescenzo. Non meno significativa la valutazione venuta da esponenti e raggruppamenti di ogni area culturale del paese, di destra e di sinistra, di estrazione laica quanto cattolica, concordi nell’assegnare ad Abbagnano un ruolo d’indiscutibile maestro e d’innovatore originale. E questo mentre si apprestano riedizioni antologiche, aggiornamenti e traduzioni finanche in lingua ungherese di molti fra i suoi principali scritti. Dunque Abbagnano torna alla generale attenzione delle coscienze? Può darsi. Certo bisogna augurarsi che si tratti di un’attenzione diversa: attenzione che significhi prima di tutto il definitivo abbandono dell’equivoco, finora largamente invalso, secondo il quale la fortuna e in pratica la stessa reale capacità d’incidenza del filosofo coinciderebbero con la maggiore o minore fortuna ottenuta in Italia dall’esistenzialismo occidentale, ormai svanita da oltre un trentennio. Questa coincidenza è affatto apparente: non è possibile in realtà parlare “solo” di esistenzialismo quando si parla dell’esistenzialismo di Abbagnano. Privo, come sostanzialmente è rimasto, di una precisa collocazione storica e di una propria legittima fisionomia filosofica, l’esistenzialismo (o forse meglio la “componente esistenziale”) di Abbagnano non è una filosofia, ma un “atteggiamento” filosofico, un luogo obbligato di partenza e di ritorno dell’uomo che ha assistito al crollo di tutti i valori, il crocevia di molti generi differenti di filosofia lungo il quale si riversano e si Abbagnano e oltre l’esistenzialismo confondono ottimismo e pessimismo, umanismo e antiumanismo, razionalismo e antirazionalismo, eticismo ed estetismo, ontologismo e psicologismo, e molto altro ancora. A sua volta “positivo”, nel senso di non-negativo e di non-nichilistico, un esistenzialismo potrà esser detto in contesti e secondo accezioni anche radicalmente alternative a quelle seguite da Abbagnano: la forte eticità dell’uomo “in rivolta” camusiano, il “Tu assoluto” di Marcel, la “teologia della caduta” di Enrico Castelli, la stessa “fede nell’assurdo” kierkegaardiana sono, a loro modo, connotazioni “positive” di ciò che comunemente intendiamo per esistenzialismo. Abbagnano è in questo senso collocato da subito al contempo “entro” e “oltre” la tradizionale riflessione esistenzialista. Il vero obiettivo che egli ci ha indicato non è recuperare, cogliere o interpretare estaticamente l’essere nella sua dal proprio interno tutta intera la razionalità occidentale seguita al tramonto del positivismo e dell’idealismo ottocenteschi. Insegnamento, tuttavia, che nella sua integrale complessità non ha nome esistenzialismo, o esistenzialismo positivo, ma “neoilluminismo”. Se in questo senso la “finitudine esistenziale” può rappresentare uno dei temi meglio adatti a introdurre il problema di una riconsiderazione complessiva della personalità e del pensiero di Nicola Abbagnano, è necessario aggiungere che questa “finitudine”, quale primo fondamentale risultato del passaggio da una considerazione pensante necessaria ad una problematica, è nozione delle più precise e inequivocabili. Intanto, essa viene tenuta nettamente distinta sia dalla “finitezza”, che è il consumatum, il totalmente compiuto dell’essere parmenideo e dell’universo aristotelico, sia dalla “finità”, in cui consiste il puro stato fisico dei corpi nello spazio. Analogamente, essa si articola in almeno tre specie o condizioni differenti: una finitudine intesa come resa e condanna al finito, come ciò che ha perduto, venendone via, una sua certa originaria perfezione (ne sono esempi lo Scheitern jaspersiano e la sartriana néantisation); una finitudine, apparentemente opposta alla prima, intesa come “momento o rivelazione dell’infinito”, attributo transitorio, ma indispensabile, del futuro riscatto (riferita a certo esistenzialismo teologico e ai provvidenzialismi storici d’estrazione crociana e gentiliana); una finitudine, infine, intesa solo come realizzazione e consolidazione del finito in quanto tale. Di queste, l’unica finitudine che Abbagnano riconosca conforme ad un esistenzialismo di tono “positivo”, neoilluministico e metodologico, disilluso ma operoso, senza esaltazioni né disperazioni, quale egli lo venne elaborando da La struttura dell’esistenza (1939) in poi, è l’ultima. Duplice dunque potrebbe esser detta, o polivalente, questa finitudine “positiva” di Abbagnano, che è problema ma nello stesso tempo fondamento, che è crisi, scepsi radicale, messa al bando di ogni certezza sul piano cognitivo, ma è insieme strumento di discernimento, dialogo, proposta, intesa e contesa. Duplice, perciò, di una duplicità che non è doppiezza, come non è conciliazione, ma aequitas. Nell’aver tratteggiato un primo circostanziale panorama dell’importante nozione di finitudine, fornendo elementi utili per sottrarla alle reiterate accuse di quanti non vi hanno mai visto altro che impotenza, solipsismo e nullismo, il convegno di Santa Margherita Ligure, presieduto e coordinato da Giovanni Fornero, ha conseguito Attualità diNicolaAbbagnano intervengono Giovanni Fornero e Dario Antiseri a cura di Riccardo Ruschi totalità, ma “strutturarlo” in una sua specifica possibilità esistenziale costitutiva: possibilità di essere-vissuto, essere-conosciuto, essere-realizzato, essere-perduto e così via. Diverso dunque è l’“esistere” di Abbagnano perché diverso è l’“essere” al quale si rapporta: un essere che non si trova in disparte, o “al di là” dell’esistenza concreta dell’uomo, ma direttamente in ognuna delle infinite piccole cose che possono costituirla in quanto tale, in tutto ciò che si media “attraverso e per mezzo” di essa. Non è allora Abbagnano filosofo “positivo” perché esistenzialista, ma filosofo “esistenzialista” perché metafisico strutturale dell’esistenza, perché tecnico della finitudine lato sensu. In questo, molto probabilmente, la ragione profonda della sorprendente vitalità trasmessa dal suo insegnamento: non solo la grande problematicità che lo rende ancora interamente aperto, ma il significato e il limite propriamente umani da esso ricercati nel tentativo di riformare 11 PROFILO Nicola Abbagnano 12 PROFILO forse il suo risultato maggiore. Significativo il particolare risalto che relazioni pure fra loro diverse hanno dato agli scritti dell’Abbagnano più maturo. Scritti altrimenti detti “della saggezza”, dove più vivo si è fatto l’interesse per le circostanze del comune vivere quotidiano. Se Gianni Vattimo, attraverso una comunicazione, vi ha ravvisato «l’esito logico e conseguente» di tutto un certo iter speculativo anteriore, Giulio Giorello ha tratto interamente dal binomio “saggezza” - “finitudine” il nesso implicito e indisgiungibile dell’altro fondamentale binomio abbagnaniano, quello di “scienza” - “esistenza”. Binomio del quale, giustamente, Giorello ha scandito l’assoluta originalità. Tanto è stato forte, ha questi evidenziato, l’impegno congiunto del filosofo nel, da un lato, denunciare ambizioni idealistiche di globale interpretazione del mondo e, dall’altro, promuovere la ricerca di nuove efficienti tecniche di controllo, in armonia coi mezzi sempre più sofisticati di cui l’uomo dispone, che ben potrebbe dirsi essere Abbagnano andato al di là sia del positivismo che del fallibilismo. Altrettanto propositivo è parso a Bruno Maiorca l’atteggiamento insieme d’assenso e dissenso mantenuto per John Dewey che pure tanta parte ebbe nell’auspicata e mai raggiunta svolta “neoilluministica” della cultura italiana, di cui l’Abbagnano fu anima trainante. Di Dewey venivano accolti infatti l’abito operativo e il carattere “pubblico” del pensiero, ma non la pretesa ch’esso potesse colmare le distanze fra sé e il mondo della vita, quasi a farsi, oltreché “valido”, automaticamente “vero”. Se è certo che Abbagnano vedeva nel naturalismo del filosofo americano residui di millenarismo cosmico e nella stessa decisiva categoria del “possibile” altrettante insidie di ricaduta assolutizzante, ciò non avviene per smentire, ma anzi per riaffermare la “futurità” dei progetti, non perché stemperi ma perché s’accresca l’idea d’impegno e di lotta del filosofare. Non meno istruttiva in questo senso si è dimostrata la lettura che Giovanni De Crescenzo ha proposto del singolarissimo approccio di Abbagnano al fenomeno religioso. Coscienza sinceramente laica, Abbagnano accoglie il riconoscimento della “possibilità” di Dio e del trascendente come ciò che può saldare anziché opporre le “due vie” della ricerca (interpretazione esistenziale della fede) e della credenza (interpretazione ontologica). Questo riconoscimento - che, vorremmo aggiungere, permane invariato in tutta l’opera di Abbagnano - è per l’appunto il riconoscimento che la finitudine esistenziale compie di se stessa, nello scegliere e appassionarsi al proprio compito. Riconoscimento vale a dire che «non comporta alcun “salto” dalla ragione e dalla ragionevolezza alla non ragione e non ragionevolezza», poiché fonda le proprie argomentazioni, parimenti a scienza e filosofia, più che sui risultati, dove l’indagine si arresta, sui problemi, sulle incertezze, le ignoranze e i dubbi che sempre vi restano connessi. Cogliere e rimarcare il grande equilibrio mantenuto dalla riflessione abbagnaniana, segnatamente in ambito di storicità e di temporalità esistenziale, è stato anche uno degli obbiettivi di Antimo Negri. Riflessione da un lato protesa a fare dell’esistere un essere “diviso” e “cronotopico”, un essere che nell’uscire dalla propria radicale indeterminazione «cade nel tempo» e heideggerianamente si scopre “gettato” nel mondo. Dall’altro, con pari coerenza e lucidità, decisa a fare di questa indeterminazione di fondo (che è la finitudine) non un “finire”, ma un “nascere. Non un chiudersi all’altro ma un interrogarlo e ascoltarne le risposte, fondando storicità e ricerca storica entro una “trascendenza coesistenziale” che diviene la condizione stessa; fondamentale e ineliminabile, della humus, dell’umiltà quale sanguinea ricchezza della condizione terrena. Concentrandosi intorno ai temi del valore, della solidarietà e della coesistenza, Giuseppe Cacciatore ha individuato nella dimensione “etico-pratica” del lavoro di Abbagnano, prevalsa definitivamente con gli ultimi scritti, il «filo conduttore» e la «costante disposizione» comune a ognuna delle tappe del suo percorso intellettuale. Graziella Federici Vescovini si è brevemente soffermata sul riferimento allo spessore teoretico del fondamentale apporto in campo storiografico e pedagogico della produzione di Abbagnano, culminata nel noto manuale e nel mirabile Dizionario di filosofia. Non è la storia di Abbagnano, crocianamente, «storia di ciò che è vivo e di ciò che è morto», ma storia precisatasi in un’indagine che saldi il passato al futuro nel presente. In ideale sintonia col richiamo di Vescovini la comunicazione di Nino Langiulli, pervenuta da New York, in cui si è evocata, nella bella immagine di un filosofo che serenamente «naviga fra il tutto e il nulla», l’instancabilità del dialogare abbagnaniano. Pertanto «è vero che i filosofi appartengono alla propria epoca, ma Kant dialoga con Platone, Hegel con Kant, e noi con loro». È tuttavia con l’agile e intensa relazione dell’ungherese Tibor Szabò, ordinario di Scienze sociali all’Università di Szeged, studioso traduttore e divulgatore delle opere del filosofo in terra magiara, che il convegno ha trovato nei modi più consoni il proprio epilogo. Szabò ha individuato, nelle ultime fatiche di Abbagnano, l’esito finale di un’unica persistente scommessa: quella per una forma di filosofia “operante”, applicata, pluralista e geoetnica, duttile, ma al contempo rigorosamente configurata. Bibliografia delle opere in volume di Nicola Abbagnano Opere storiografiche e didattiche La filosofia di E. Meyerson e la logica dell’identità, Perrella, Napoli-Città di Castello 1929. Guglielmo d’Ockham, Carabba, Lanciano 1931. La nozione del tempo secondo Aristotele, Carabba, Lanciano 1933. Bernardino Telesio, Bocca, Milano 1941. Compendio di storia della filosofia, Paravia, Torino, vol. I, 1945; vol. II, 1946; vol. III, 1947. Storia della filosofia, Utet, Torino, vol. I, 1946; vol. II, 1948; vol. III, 1950; ried. 1993 (voll. I-III dell’Autore, vol. IV, tomo 1, di G. Fornero, 1993; vol. IV, tomo 2, di G. Fornero, F. Restaino e D. Antiseri, 1994). Rist. in ed. econ., Tea, Milano, 1995. Storia del pensiero scientifico, Paravia, Torino, vol. I, 1951; vol. II, 1952; vol. III, 1953. Linee di storia della pedagogia (con A. Visalberghi), Paravia, Torino, vol. I, 1957; voll. II-III, 1958; 4a rist. 1961. Linee di storia della filosofia, Paravia, Torino, voll. I-III, 1960; ried. 1970. Dizionario di filosofia, Utet, Torino, 1961; ried. 1971 (rist. 1993); rist. in ed. econ., Tea, Milano 1993. Filosofi e filosofie nella storia (con G. Fornero), Paravia, Torino, voll. I-III, 1986; ried. 1992 Il nuovo idealismo inglese e americano, Perrella, Napoli 1927. Opere divulgative e di raccolta Opere teoretiche Le sorgenti irrazionali del pensiero, pref. di A. Aliotta, Perrella, Genova-Napoli 1923. Il problema dell’arte, Perrella, Genova-Napoli-Città di Castello 1926. La fisica nuova. Fondamenti di una Teoria della Scienza, Guida, Napoli 1934. Il principio della metafisica, Morano, Napoli 1936. Lineamenti di pedagogia, Morano, Napoli, 1936 La struttura dell’esistenza, Paravia, Torino 1939; ried. in Scritti esistenzialisti, a cura di B. Maiorca, Utet, Torino 1988. Introduzione all’esistenzialismo, Bompiani, Milano 1942; ried. Mondadori, Oscar Saggi, Milano 1989; ried. in Scritti esistenzialisti, cit. Filosofia religione scienza, Taylor, Torino 1947; ried. in Scritti esistenzialisti, cit. Esistenzialismo positivo. Due saggi, Taylor, Torino 1948; ried. in Scritti esistenzialisti, cit. Possibilità e libertà, Taylor, Torino 1956. Problemi di sociologia, Taylor, Torino 1959; 2a ed. ampl. , 1967. 13 Scritti scelti, intr. di N. Bobbio, a cura di G. De Crescenzo e P. Laveglia, Taylor, Torino 1967. Per o contro l’uomo, Rizzoli, Milano 1968. Fra il tutto e il nulla, Rizzoli, Milano 1973. Questa pazza filosofia ovvero l’io prigioniero, Editoriale Nuova, Milano 1979. L’uomo progetto Duemila. Dialogo con Giuseppe Grieco, Dino Editori, Roma 1980. La saggezza della vita, Rusconi, Milano, 1985 (13a ed. 1988); ried. con intr. di F. Minazzi, 1994. La saggezza della filosofia. I problemi della nostra vita, Rusconi, Milano 1987; ried. con intr. di F. Minazzi, 1994. Scritti esistenzialisti, cit. Ricordi di un filosofo, a cura di M. Staglieno, Rizzoli, Milano 1990. L’esercizio della libertà. Scritti scelti 1923-1988, nuova ed. a cura di B. Maiorca, Boni, Bologna 1990. Rassegne bibliografiche Bibliografia degli scritti di e su Nicola Abbagnano (1923-1973), a cura di B. Maiorca, Giappichelli, Torino 1974. Bibliografia degli scritti di Nicola Abbagnano (19221992), a cura di B. Maiorca, Laterza, Roma-Bari 1993 (fuori commercio). PROFILO Sull’attualità del pensiero di Nicola Abbagnano di Giovanni Fornero Vi sono temi del pensiero di Abbagnano che, al di là della loro “attualità” o meno, risultano particolarmente significativi e meritevoli di non cadere nell’oblio. Fra i molti possibili, mi limito a sottolinearne alcuni. scandalo dell’esistenza, Abbagnano si era valso, e si sarebbe valso [...] per tracciare le linee di un umanesimo costruttivo, lontano tanto dall’ottimismo trionfante come dal pessimismo eroico» (N. Bobbio). Questa sottolineatura della costituiva finitezza dell’uomo (su cui Semerari e Santucci hanno scritto alcune delle pagine più belle) spiega la specifica fisionomia del neoilluminismo di Abbagnano, il quale, pur appellandosi alla ragione e ai suoi poteri, rifiuta ogni enfatizzazione di essa, perseguendo l’obiettivo di un illuminismo che «smessa l’illusione ottimistica dell’illuminismo settecentesco e il pesante dogmatismo del razionalismo ottocentesco, vede nella ragione ciò che essa è, una forza umana diretta a rendere più umano il mondo». Un (neo)illuminismo, è bene aggiungere, consono a un tipo di esistenzialismo che non intende partecipare né «al mito della Scienza, né al mito dell’Anti-scienza, né al mito della Tecnica, né al mito dell’Anti-tecnica». La concezione dell’uomo in termini di problematicità e possibilità. Per Abbagnano l’uomo è costituito da un insieme di possibilità ed è, lui stesso, la possibilità delle possibilità in suo possesso. Tale situazione costituisce la “struttura” dell’esistenza e si identifica con il modo d’essere proprio dell’uomo, inteso come problematicità autoreferenziale, ossia come un problema che attraverso le sue soluzioni si riconferma come tale: «L’uomo vive essenzialmente come problema, il problema è il suo modo d’essere fondamentale, la sua esistenza specifica». Da ciò il privilegiamento della “categoria delle possibilità”, intesa come il principale strumento di analisi e interpretazione del reale. La tesi della stretta connessione tra esistere e filosofare e l’idea della filosofia come “uso del sapere a vantaggio dell’uomo”. Secondo Abbagnano non ci sarebbe la filosofia dei filosofi, cioè non ci sarebbero i problemi tecnici della filosofia se l’uomo non fosse condotto a filosofare dalla sua stessa vita di uomo: «trattare oggi della natura della filosofia significa ritenere già fermamente stabile un punto essenziale: la necessità per l’uomo, per ciò che egli “è”, per ciò che “deve” essere, del filosofare. Perché, se la filosofia fosse il giardino di Epicuro dove si potesse vivere in disparte, al di fuori delle vicende e dei colpi duri, noi dovremmo ritenerla, oggi, indegna di noi. Ma essa non è il giardino di Epicuro. Non è l’aristocratica esercitazione di pochi spiriti oziosi, né la stratosferica regione dove si possa trovare rifugio e conforto per i mali e le delusioni della vita. C’è un senso ed è un senso assai antico - in cui il filosofare si identifica con l’esistenza stessa dell’uomo e in cui (come Platone voleva) non si può essere uomo senza essere filosofo». Nel dopoguerra (parallelamente all’«incontro con Dewey») la convinzione secondo cui l’uomo non possa fare a meno di vivere e pensare senza, con ciò stesso, di filosofare si è accompagnata alla tesi della filosofia come “attività direttiva” e strumento di modificazione e correzione del mondo naturale e umano. Tesi che Abbagnano non abbandonerà più. «Secondo un’interpretazione abbastanza diffusa del suo pensiero, condivisa da taluni suoi discepoli» - chiesi un giorno ad Abbagnano - «la filosofia si ridurrebbe sostanzialmente a metodologia. Lei è d’accordo con questa interpretazione?» «No» - rispose Abbagnano. «Questa lettura è troppo riduttiva. Per me la filosofia è piuttosto “metodologia dell’esistenza”, cioè riflessione globale sulla vita e sui modi, le “tecniche” atte a orientarla». (Con questa espressione “inedita”, socraticamente fiorita nel corso di una conversazione, Abbagnano non faceva che ribadire quel concetto della filosofia come “guida della scelta” che è tipica del suo pensiero.) Coerentemente con l’immagine della filosofia come “uso del sapere a vantaggio dell’uomo”, l’ultimo Abbagnano è andato sviluppando un tipo di “filosofia applicata” (come l’ha definita lo studioso ungherese Szabò Tibor) che si misura con i problemi della vita quotidiana (l’amore, il matrimonio, l’educazione dei figli ecc. ) e che si rivolge, tramite i giornali, a un pubblico più vasto di quello degli specialisti. In questa pratica della filosofia come L’insistenza sulle nozioni di scelta, progetto e rischio. La visione problematicistica dell’esistenza si concretizza in una “filosofia della libertà” incentrata sulle nozioni di scelta, progetto e rischio. Abbagnano ritiene che la scelta, sia pur all’interno di una serie più o meno ampia di condizionamenti, sia operante a tutti i livelli della nostra umanità ed esista solo dove il possibile presenta le sue “alternative”: «Di fronte al necessario non c’è nulla da fare né da dire. Il possibile è la libertà: di fronte a esso l’uomo può scegliere». Ne segue che l’uomo - secondo una tesi che Abbagnano è andato approfondendo lungo un percorso di pensiero che va da La struttura dell’esistenza ai Ricordi di un filosofo - non è soggetto a una forza necessitante che ne determini univocamente il comportamento e lo sviluppo ma è un processo sempre aperto che può procedere in direzioni diverse e contraddittorie. Da ciò la teorizzazione del rischio e della progettazione “responsabile”. L’affermazione dei limiti dell’uomo e l’accettazione lucida e appassionata della finitudine. Il pensiero di Abbagnano è permeato da un “senso del limite” che si esprime nell’energico rifiuto di ogni infinitizzazione dell’esistenza e delle sue capacità: «Vedo nell’uomo la finitudine e nell’accettazione della finitudine l’unica vera scelta». Questa “ermeneutica della finitudine” (per usare un’espressione che Abbagnano, in un corso universitario degli anni Quaranta, adopera in riferimento a Kant) non riveste significati negativi, tragici o nichilistici, poiché nell’esistenzialismo “positivo”, com’è noto, il limite non è soltanto scetticamente constatato, ma anche criticamente accettato e posto alla base di ogni possibilità o valore dell’esistenza. Anzi, l’originalità dell’“esistenzialismo critico” di Abbagnano, che si mantiene in una posizione equidistante dall’ottimismo e dal pessimismo, è stata proprio quella di aver cercato di fondare la “validità” (o la “positività”) dell’esistenza sui “limiti” stessi dell’esistenza: «Di quelle stesse categorie filosofiche, che erano servite ai primi esistenzialisti e ancor più crudamente agli esistenzialisti letterari, a proclamare l’insufficienza dell’uomo, lo scacco di ogni sforzo verso l’essere, lo 14 PROFILO “scuola di saggezza” - che non può essere ridotta a una forma di moralismo spicciolo scaturente da una sorta di involuzione senile del suo pensiero - Vattimo ha giustamente scorto «l’esito logico e coerente» di tutta l’opera di Abbagnano. tazioni filosofiche” esistono, e sono irriducibili a problemi, teorie e argomentazioni di qualsiasi altro tipo. Le “teorie filosofiche” esistono. Ed esistono perché esistono i “problemi filosofici”. In realtà, la storia del pensiero filosofico è l’affascinante e tortuosa storia di teorie su “Dio” (teodicee o differenti forme di ateismo), sull’“uomo” (antropologie filosofiche), sulla “storia” (filosofie della storia), sulla “morale” e la “politica” (filosofia morale e teorie dello Stato e del diritto), sulla “conoscenza” (gnoseologie), sulla “scienza” (epistemologie), sull’“universo” (cosmologie) ecc. Queste teorie sensate e significative per l’individuo, e socialmente spesso del massimo rilievo, non pretendono solamente “forza pragmatica” (cioè funzioni psicologiche o sociopolitiche), ma hanno avanzato e avanzano “pretese di verità”: pretendono di dimostrare che l’universo è oppure che esso non è solo quello empirico; pretendono di narrarci la natura dell’uomo (l’uomo è anima e corpo, l’uomo è il suo inconscio, l’uomo è i suoi comportamenti osservabili ecc.); di svelarci le leggi che sottenderebbero lo sviluppo della storia (la storia è guidata da leggi di “decadenza”, la storia è progresso dialettico ecc.); di esibire il fondamento della conoscenza (pensiamo alle “sensazioni” della tradizione empirista, o ai “principi autoevidenti” della tradizione razionalistica); di stabilire i fondamenti razionali delle norme etico-giuridiche (si rammenti la tradizione del giusnaturalismo). Queste teorie non sono nate e non nascono per caso: sorgono per risolvere problemi urgenti - i problemi più urgenti (i quali sgorgano dalla religione e dalla scienza, dalla politica e dall’arte: insomma da ambiti extra-filosofici) -, sono teorie che formano il tessuto della storia della filosofia, ma che simultaneamente in-formano (danno forma) alla storia umana. Che lo si voglia o meno, “noi tutti viviamo immersi dentro a teorie filosofiche”: se oggi un giudice ha emesso una sentenza, egli l’ha emessa in base ad un presupposto puramente metafisico, in base cioè al presupposto che l’uomo è capace di intendere e di volere. Magari non lontano dal tribunale opera uno psicanalista che cura una persona in preda all’angoscia e la cura presupponendo l’idea che l’uomo è il suo inconscio. Le nostre scelte politiche, le ideologie dei partiti comportano immagini dell’uomo, concezioni della giustizia, idee di libertà, visioni della storia. E sappiamo tutti che la Terra è inzuppata di sangue versato in nome di idee metafisiche, di metafisiche del sangue o della razza o di metafisiche di classi in possesso di verità presunte o assolute o di giusti e ineluttabili sensi della storia. Come le teorie scientifiche esistono perché esistono i problemi scientifici, così le teorie filosofiche esistono perché esistono i problemi filosofici: esiste Dio? la storia ha un senso? i valori possono venire razionalmente fondati? quali sono i fondamenti teorici della democrazia? che cos’è la verità? la scienza può dare certezze? conosciamo attraverso il metodo induttivo? il metodo delle scienze storico-sociali è lo stesso di quello delle scienze fisico-naturalistiche? ecc. Supponiamo ora che il criterio di falsificabilità (anch’esso una teoria filosofica!) sia un buon criterio di demarcazione fra teorie scientifiche e teorie non scientifiche. Ebbene, a questo punto il primo problema che emerge immediatamente è il seguente: le teorie scientifiche proposte quali soluzioni di problemi si controllano e si selezionano con il ricorso ai “fatti”: se le conseguenze di una teoria corrispondono a quegli asserti che, per quanto ne sappiamo, descrivono fatti, La proposta di una concezione storiografica rispettosa della specificità e pluralità del discorso filosofico. Rifiutandosi di ridurre la storia della filosofia ad “altro” da essa (a storia economica, sociale, culturale ecc.), Abbagnano ha difeso la specifica identità e la reale consistenza del discorso filosofico e ha concepito lo storico della filosofia non come un arrogante depositario di qualche verità assoluta intorno al passato, ma come un “modesto dossografo” - nel senso etimologico e non dispregiativo del termine - impegnato a riportare le idee altrui nel modo più onesto e scrupoloso possibile (l’espressione fra virgolette è nostra, ma piacque al Maestro). Inoltre, contro la tendenza (tipica di certa storiografia idealistica, cattolica e marxista) a privilegiare “una” posizione filosofica a scapito delle restanti, Abbagnano ha insistito sulla “pluralità” delle voci che compongono il grande dialogo della storia della filosofia e sul principio del “rispetto” di tutte le posizioni filosofiche, ossia dei vari modi in cui l’uomo può interpretare la realtà e atteggiarsi di fronte a se stesso, agli altri, al mondo e a Dio. Certo, Abbagnano non è sempre stato fedele a queste direttive e, in certi casi, ha privilegiato taluni filosofi rispetto ad altri (ad esempio i “filosofi della possibilità” rispetto ai “filosofi della necessità”) e ha fatto pesare le proprie opzioni teoretiche o la propria antipatia verso determinate figure o correnti (ad esempio nei confronti di Hegel o della Scuola di Francoforte). Ma ciò costituisce un limite “di fatto” della sua storiografia filosofica, che non infirma la validità “di diritto” degli ideali a cui essa si ispira (e a cui “deve” ispirarsi, a nostro avviso, chiunque voglia prendere come modello la sua opera). Scrive Giovanni Fornero: «Rifiutandosi di ridurre la storia della filosofia ad “altro” da essa (a storia economica, sociale, culturale ecc. ), Abbagnano ha difeso la specifica identità e la reale consistenza del discorso filosofico». di Della difesa della specifica idenDario Antiseri tità e della reale consistenza del discorso filosofico ai nostri giorni non pare esservi urgente bisogno; eppure, negli anni del secondo dopoguerra tale difesa fu necessaria preziosa. La filosofia, allora, o veniva negata in nome della scienza (neopositivismo, varie forme di scientismo) o veniva considerata come un pezzo di sovrastruttura di una più profonda struttura economica (marxismo), ovvero ancora, più tardi, si cercò di diluirla tra le “scienze umane” (psicologia, sociologia, antropologia); ci fu addirittura qualche tentativo di cancellarla dai programmi di scuola media superiore. Abbagnano - a ragione - intese tenere fermo il discorso sulla specificità e autonomia della filosofia. A ragione, perché i “problemi filosofici”, le “teorie filosofiche” e le “argomenNicola Abbagnano e la difesa della specifica identità della filosofia 15 PROFILO allora diciamo che la teoria è per il momento confermata; se invece qualche conseguenza di una teoria urta contro qualche fatto, dobbiamo seriamente pensare a cambiare la teoria. Questo, detto così per summa capita, vale per le teorie scientifiche, per le teorie fattualmente confutabili. Le teorie filosofiche, però, sono tali proprio perché infalsificabili, perché fattualmente non falsificabili. E, allora, come è che noi possiamo controllare , scartare o magari stabilire la “verità” di teorie filosofiche fattualmente non falsificabili? Forse che, di volta in volta e per sempre, una teoria metafisica vale l’altra e tutte valgono cognitivamente zero? Ovvero c’è da supporre che, di volta in volta, in epoche precise (in un determinato “ambiente culturale” fatto di certi valori etici e religiosi, di certo sapere comune, di quella scienza e di una determinata tecnologia, di certe istituzioni ecc. ), una metafisica possa esibire “indizi di verità” che a essa provengono da “appoggi” e “consensi” di pezzi e aspetti di quell’ambiente culturale in cui è sorta e si sviluppa (e magari è stata eliminata)? Dobbiamo davvero cancellare dalla mente il pensiero che le teorie metafisiche sono fuori dalla razionalità perché non sono scientifiche? La realtà è che la storia del pensiero filosofico è una storia di una lotta fra teorie filosofiche: si scorge una vita, uno sviluppo, una selezione delle teorie filosofiche, che assomiglia allo sviluppo e alla selezione delle specie viventi. E in questa lotta tra pensieri (quando la battaglia non si risolve, per esempio, con la sola forza politica) si cercano argomenti ovunque se ne trovino. C’è, insomma, una selezione storica delle teorie metafisiche. E questa selezione è non di rado una selezione razionale. Ma cosa vuol dire selezione razionale delle teorie metafisiche, se queste, essendo infalsificabili, non possono venire scalzate dai fatti? Ebbene, la selezione razionale delle teorie metafisiche significa che le teorie metafisiche possono “venire criticate” (e quindi selezionate) sebbene non possano venire falsificate. La razionalità delle teorie scientifiche consiste nella loro confutabilità fattuale. La razionalità delle teorie metafisiche consiste nella loro criticabilità. Ma ancora: cosa vuol dire “criticabilità” delle teorie metafisiche? Con quali “attrezzi” (tipi di argomenti) è possibile criticare e selezionare teorie fattualmente inconfutabili? E qual è il valore di questi attrezzi? Nell’“Epilogo metafisico” del Poscritto alla logica della scoperta scientifica, Karl Popper ha scritto: «Ogni teoria razionale, non importa se scientifica o metafisica, è tale solo perché è in rapporto con qualcos’altro, perché è un tentativo di risolvere certi problemi, e si può discutere razionalmente solo “in rapporto alla situazione problematica” con cui è collegata. Ogni discussione critica di essa consisterà, soprattutto, nell’esaminare in che misura lo faccia meglio di varie teorie rivali; se non crei delle difficoltà maggiori di quelle che intende dissipare; se la soluzione sia sempre semplice, quanto feconda nel suggerire nuovi problemi e nuove soluzioni, e se non sarebbe eventualmente possibile confutarla mediante controlli empirici. Quest’ultimo metodo non è, beninteso, applicabile se la teoria è metafisica. Ma gli altri metodi possono ben essere applicabili. Ecco perché è possibile la discussione razionale critica di alcune teorie metafisiche. (Beninteso, possono esserci altre teorie metafisiche che non sono suscettibili di discussione razionale.)». Non diversamente da Popper (che su questo punto pare avere dei debiti nei confronti di Bartley), William Bartley asserisce che l’importante non è demarcare tra ciò che è empirico e ciò che non lo è, ma «fra ciò che è razionale e ciò che è irrazionale, fra ciò che è critico e ciò che non è critico». E questa demarcazione, dice Bartley, implica una idea di “ecologia della razionalità”: le teorie (siano esse scientifiche, etiche o metafisiche) sono in funzione di problemi; lottano con idee alternative; e questa lotta si svolge in un determinato “ambiente culturale”, all’interno di specifiche e determinabili zone culturali del «mondo 3». La vita di una idea e il suo sviluppo, il suo successo e il suo fallimento, il destino insomma di una teoria, la decisione sul suo essere una buona o cattiva teoria si gioca all’interno di un ambiente critico e creativo in evoluzione. Possiamo criticare una teoria filosofica se guardiamo al problema (concettuale, politico, morale, religioso ecc. ) che intende risolvere in quel determinato “ambiente culturale” in cui viene proposta, e al modo e agli “attrezzi” usati per risolverlo. La razionalità delle teorie metafisiche o filosofiche equivale, dunque, alla loro “criticabilità”. E le teorie filosofiche sono criticabili quando possono urtare contro qualche pezzo di mondo 3 (una teoria scientifica, un teorema logico, un risultato di matematica, un’altra teoria metafisica ecc.) all’epoca consolidata e al quale non siamo disposti, all’epoca, a rinunciare. Così, se vale la legge di Hume, allora crolla il giusnaturalismo; se è valida la teoria evolutiva della vita sulla faccia della Terra, allora va in frantumi la filosofia idealistica; se è impossibile la costruzione di un autopredittore scientifico, allora è pure infondata la pretesa di tutte quelle filosofie della storia nelle quali si afferma di essere venuti in possesso di leggi ineluttabili dello sviluppo della storia umana nella sua totalità; la costruzione della geometria non euclidea rende impossibile concepire gli assiomi della geometria euclidea quali principi autoevidenti e li trasforma in cominciamenti; se vale l’assunto kantiano per cui la categoria di causalità funziona soltanto nell’ambito del fenomenico, allora crollano tutte le proposte di ogni teologia razionale. Questi sono solo alcuni esempi di critica di teorie filosofiche. La razionalità è più ampia di quelle delle teorie scientifiche. Questo sembra essere un risultato banale; ma quando Nicola Abbagnano vi insisteva, le idee di autonomia, specificità e razionalità del discorso filosofico erano (tutte insieme o disgiuntamente) delle “impossibilità” per tanti “filosofi”. La stessa idea di sensatezza del discorso filosofico era una “impossibilità” per alcuni di loro. La difesa della filosofia non è uno degli ultimi meriti di Abbagnano. Per lui la storia della filosofia è la storia degli «sforzi che mirano a rendere chiara per quanto è possibile la condizione e il destino dell’uomo»; e «ogni vero filosofo è un maestro o compagno di ricerca, la cui voce ci giunge affievolita attraverso il tempo, ma può avere per noi, per i problemi che ora ci occupano, un’importanza decisiva». La realtà - dice ancora Abbagnano - è che «il problema di ciò che noi siamo e dobbiamo essere è fondamentalmente identico col problema di ciò che furono e vollero essere, nella loro sostanza umana, i filosofi del passato». I filosofi sono «persone che dialogano intorno al loro destino; e le dottrine non sono che espressioni di questo dialogare ininterrotto, domande e risposte che talora si richiamano e si corrispondono attraverso i secoli. La più alta personalità filosofica di tutti i tempi, Platone, ha espresso nella stessa forma letteraria delle sue opere - il dialogo - la natura vera del filosofare». 16 INTERVISTA In che cosa consiste la nostra abilità nell’usare le paro- ‘picchiare’. Questa scelta aveva due ragioni. Da un lato, le? Cosa intendiamo con “competenza lessicale”? Qual i programmi di ricerca nati nell’ambito della semantica è la differenza tra un sistema in grado di comprendere il filosofica di tradizione freghiana, il cui punto di vista linguaggio e uno non in grado di farlo? Perché molti sullo studio del significato nelle lingue naturali mi pareva degli approcci al significato delle parole falliscono nel di gran lunga il migliore, non sembravano dar conto in dare una spiegazione su un aspetto essenziale della modo adeguato del significato delle parole (la natura di nostra competenza linguistica, ovvero la nostra abilità tale inadeguatezza, e alcune sue radici, sono esplorate nel nell’applicare parole al mondo reale? A queste e molte Cap. 1). La semantica lessicale era percepita da molti altre questioni risponde l’ultimo lavoro di Diego Marco- come un’area problematica per la semantica modellistica ni, Lexical Competence (MIT Press, Communication e per gli altri programmi di ricerca incentrati sulla nozioseries, Bradford Book, Cambridge 1997, 216 pp.). ne di condizioni di verità. Sembrava inoltre che questa La tesi di fondo di questo studio è la visione dualistica inadeguatezza al livello lessicale fosse almeno in parte della competenza lessicale umana, nella quale le abilità responsabile della difficoltà di ricavare dalla tradizione inferenziali sono separate da quelle referenziali. Tesi fregeana risposte davvero soddisfacenti ai problemi della confermata dai recenti studi di neuropsicologia su per- competenza. La tradizione tendeva a identificare la conosone cerebrolese, in cui le due capacità sembrano essere scenza del significato (cioè la competenza semantica) separate. Secondo l’autore, i sistemi artificiali per la con la conoscenza delle condizioni di verità degli enuncomprensione del linguaggio naturale farebbero un gros- ciati. Ma quelle condizioni di verità erano specificate in modo tale che era difficile so passo avanti, come emuidentificarne la conoscenlatori della comprensione, za con una competenza sese si conformassero a quemantica piena; e una ragiosta visione dualistica della ne sembrava essere che i competenza. valori semantici della magTra gli argomenti trattati, gior parte delle unità lessitemi da sempre centrali nelcali non venivano specifila filosofia del linguaggio e cati. [...] nella filosofia della mente: la “dicotomia analitico/sinDall’altro lato, il fatto che tetico”, le “teorie causali il problema venisse posto del riferimento”, l’“olismo in termini di comprensiosemantico”, le “teorie duane e competenza portava con un’intervista a li”, la “pubblicità”, il “veimmediatamente in primo Diego Marconi rificazionismo”, la “stanpiano le parole. Sembrava za cinese di Searle”. chiaro, ad esempio, che non si potesse considerare competente un sistema artifiDall’Introduzione ciale che fosse capace di a Lexical elaborare in vari modi gli Competence enunciati di un linguaggio naturale ma ignorasse i sia cura di Luisa Santonocito gnificati dei loro costituenti lessicali, comunque tali significati andassero identificaQuesto libro si occupa di un sinti. Un tale sistema non avrebbe saputo distinguere tra ‘Il golo problema filosofico, e cioè di Diego Marconi gatto è sul tappeto’ e ‘Il libro è sul tavolo’; o comunque della differenza tra un sistema non nel senso in cui avrebbe saputo farlo un parlante (naturale o artificiale) di cui si umano competente. Era chiaro che la competenza lessipuò dire che comprende un linguaggio naturale e un cale la capacità di usare le parole era un ingrediente sistema di cui non lo si può dire. Inizialmente, il problema mi si è posto in connessione con i sistemi artificiali di essenziale della competenza semantica. La domanda elaborazione del linguaggio naturale che mi era avvenuto diventava allora: in che cosa consiste la nostra capacità di di studiare all’inizio degli anni Ottanta. Che cos’avevano usare le parole? Su quali conoscenze e capacità essa si basa? che non andava? Perché a tanti sembrava così chiaro che Mi è sembrato che essere capaci di usare una parola sia, quei sistemi non comprendessero davvero il linguaggio? da un lato, avere accesso ad una rete di connessioni tra Si poteva fare qualcosa per dotarli di una competenza quella parola e altre parole ed espressioni linguistiche: è semantica autentica, e che cosa? Era naturale pensare sapere che i gatti sono animali, che per arrivare da che, per rispondere a queste domande, fosse almeno utile qualche parte ci si deve muovere, che una malattia è analizzare la nostra competenza semantica, cioè doman- qualcosa da cui si può guarire, e così via. Dall’altro lato, darsi quali conoscenze e capacità rendono possibile a noi essere capaci di usare una parola è saper mettere in corrispondenza le unità lessicali col mondo reale, cioè la comprensione del linguaggio. Fin dall’inizio mi sono concentrato sulla comprensione essere capaci di denominazione (la selezione della parola delle parole: non di parole come ‘tutti’, ‘e’ o ‘necessaria- giusta in risposta ad un dato oggetto o circostanza) e di mente’, ma invece di parole come ‘giallo’, ‘libro’ o applicazione (la selezione dell’oggetto o della circostan- Sulla competenza lessicale 17 INTERVISTA za giusta in risposta ad una data parola). Le due capacità meno provvisoria e più solida e sicura della ricerca sono largamente indipendenti l’una dall’altra; sono de- scientifica. Trovo che l’idea che la filosofia debba essere scritte in dettaglio nel Cap. 3. La prima capacità può in qualche modo preservata dalle vicissitudini della coessere chiamata ‘inferenziale’, perché soggiace alle no- noscenza empirica derivi da un pregiudizio platonico: si stre prestazioni inferenziali (per esempio, interpretare presuppone che la ricerca filosofica riguardi un dominio una normativa relativa agli animali come applicantesi ai separato di oggetti, o che abbia, non si sa come, la fortuna gatti); la seconda può essere chiamata “referenziale”. I di accedere direttamente ai suoi oggetti (quali che essi sistemi di “comprensione” del linguaggio naturale di tipo siano), o entrambe le cose. Nulla di tutto ciò è vero. La standard possono allora essere descritti come inferenzial- filosofia è la compagna fedele (ancorché instancabilmente confinati: essi sono incapaci di prestazioni referen- mente critica) della scienza, con qualunque tempo, ziali, perché hanno accesso al mondo solo attraverso buono o cattivo. descrizioni linguistiche. Quei sistemi possono fare passi Nella seconda metà degli anni Settanta e negli anni avanti nella direzione di una Ottanta, molti ricercatori comprensione autentica hanno proposto immagini solo a condizione di essere “duali” del significato (anconnessi al mondo in un che se non della competenmodo che assomigli di più za). Tuttavia, quella che al modo in cui noi siamo viene chiamata “semantica connessi al mondo, cioè dei due aspetti” in senso attraverso la percezione e stretto - la teoria sostenuta l’azione. Qualche suggerida McGinn, Block, Loar, mento in questa direzione Fodor (ad un certo punto) e si trova nel Cap. 6. altri - non può fare da base Più tardi, mi è accaduto di ad un’immagine duale delscoprire, grazie a Glyn la competenza come quella Humphreys e ad altri neuche io propongo, perché ropsicologi, che la ricerca nella semantica dei due empirica sui pazienti cereaspetti il componente refebrolesi confermava, in una renziale è concepito estercerta misura, l’immagine nisticamente. Anzi, la teointuitiva della competenza ria dei due componenti è lessicale che avevo abbozstata in parte motivata prozato. Le capacità inferenprio dalla convinzione che ziali e quelle referenziali Putnam e altri avessero fatrisultavano essere separato vedere che almeno un te: erano stati descritti molaspetto del significato non ti casi in cui una competenera “nella testa”: esso era za inferenziale intatta andeterminato da circostanze dava insieme a gravi menoesterne, naturali e sociali. mazioni delle capacità reAl contrario, la competenferenziali. Recentemente è za referenziale è una capastato descritto anche il caso cità cognitiva della mente complementare: il caso di umana, e in questo senso è una donna del tutto incapainteramente “nella testa”. ce di caratterizzare verbalIl riferimento, così come è Diego Marconi mente oggetti di uso comuconcepito nella semantica ne di cui pure conosce il dei due aspetti, è una pronome. Per questa donna, un telefono è solo questo: un prietà oggettiva delle parole: non c’è nessuna garanzia oggetto chiamato ‘telefono’, e nient’altro. Questi casi, e che la competenza referenziale di un parlante - di qualsil’immagine della competenza lessicale che se ne può asi parlante - relativa ad una parola sia mai adeguata al derivare, sono descritti nella seconda parte del Cap. 3. riferimento di quella parola. Dunque la competenza Si sostiene a volte che la filosofia non dovrebbe occuparsi referenziale nel mio senso non può essere identificata dei risultati minuti e quotidiani della ricerca scientifica, con la conoscenza del riferimento nel senso dei dualiche sono notoriamente instabili, di dubbia interpretazio- sti (o, più in generale, nel senso degli esternisti). Anzi, ne e spesso forzati nel letto di Procuste dei pregiudizi un esternista particolarmente aggressivo direbbe che, teorici di ciascun singolo ricercatore. La filosofia - si dice usata come la uso io, l’espressione “competenza refe- non dovrebbe essere messa alla mercé di materiali così renziale” è fuori luogo. dubbi. Ora, anche ammettendo che i risultati della ricerca Questo contrasto ammette una facile via d’uscita, che scientifica siano effettivamente precari (alcuni, in verità, consiste in una netta separazione tra teoria della compemeno di altri), non sono d’accordo con la tesi generale: tenza e teoria del significato. Si potrebbe concedere il non credo che la filosofia debba essere concepita come significato agli esternisti, o ai dualisti; si potrebbe cioè 18 INTERVISTA ammettere che la competenza semantica lessicale, intesa come complesso di conoscenze e capacità (individuali), resti al di qua della conoscenza del significato, dove il significato, o una parte del significato, è concepito esternisticamente. Ciò non escluderebbe che la competenza, e anche la competenza referenziale, sia un oggetto di ricerca del tutto rispettabile. Tuttavia, non sono sicuro che questa facile soluzione sarebbe soddisfacente, perché mi sembra che ci sia un terreno di intersezione - e dunque di possibile disaccordo - tra la teoria della competenza e la concezione esternistica del significato, e che esso sia rappresentato dai fenomeni dell’uso del linguaggio. Come si deve descrivere l’uso del linguaggio? Per esempio, dobbiamo dire che Putnam in realtà usa la parola ‘elm’ per riferirsi agli olmi, anche se confonde sistematicamente gli olmi con i faggi (sicché gli avviene di dare appuntamento ad un amico “sotto il grande olmo” e di comparire, all’ora giusta, sotto un faggio)? O dobbiamo dire che il Bert di Burge, che crede che l’artrite sia una malattia che investe sia le articolazioni sia i muscoli, condivide in realtà il concetto di artrite dell’esperto, nonostante le sue credenze erronee? O ancora - il caso paradigmatico - gli abitanti di Terra Gemella si riferivano a XYZ (e mai a H2O) usando la parola ‘acqua’ anche prima del 1750, quando nessuno sarebbe stato in grado di distinguere le due sostanze, e qualsiasi abitante di Terra Gemella avrebbe chiamato l’H2O ‘acqua’? In tutti questi casi, mi pare, la teoria della competenza e l’esternismo (e il dualismo) tendono a prendere strade diverse. Nei Capitoli 4 e 5 cerco di far vedere che si possono descrivere i fenomeni dell’uso del linguaggio in termini di competenza, tenendo conto dell’ambiente normativo nell’ambito del quale sono collocate le competenze individuali. Quell’ambiente normativo, a sua volta, può essere descritto in termini quasi-naturalistici, senza presupporre l’esistenza di norme e standard assoluti. Naturalmente, una tale descrizione, anche se fosse soddisfacente, non sarebbe una confutazione dell’esternismo: il suo effetto sarebbe piuttosto, secondo le mie intenzioni, di fare del significato degli esternisti una ruota che gira a vuoto, che non svolge nessuna funzione utile nella descrizione dell’uso del linguaggio. Tuttavia, poiché per questo aspetto il mio è un tentativo di ricondurre la semantica dal cielo alla terra, mi immagino che molti saranno insoddisfatti; dato che, come è ovvio, in cielo si sta molto meglio. petenza lessicale” si richiama direttamente al modello chomskyano e in cosa se ne distingue? R. Parlo di competenza semantica lessicale per intendere la nostra capacità di usare le parole in modo (più o meno) socialmente adeguato. Certamente il contenuto della competenza così intesa dipende anche, come tu dici, dal “contesto culturale specificato”; e questa è una differenza rispetto alla nozione chomskyana. Io ho cercato di caratterizzare non il contenuto di una competenza semantica lessicale, che è estremamente variabile, ma la “forma” di una tale competenza, cioè di chiarire “che tipo di ingredienti” entrano a costituirla, di che tipo di informazioni e abilità deve disporre un parlante perché si possa dire che sa usare il lessico. Peraltro, rispetto al contenuto io sono persuaso (come Chomsky, credo) che non pochi suoi aspetti siano innati e “cablati” nella mente: che il nostro bagaglio genetico ci predisponga ad avere concetti di un certo tipo e non di un altro, per esempio; e che il nostro apparato percettivo renda possibili certe procedure di applicazione delle parole e non altre. Ma di questi problemi nel libro non mi occupo, sia perché non ne so ancora abbastanza, sia perché mi sono concentrato su problemi di forma della competenza. D. Sostieni, a ragione, che Quine è stato uno dei primi a riabilitare la distinzione fregeana tra senso e riferimento, distinguendo teorie del senso e teorie (tarskiane) del riferimento; d’altra parte, è proprio Quine a criticare l’uso di nozioni intensionali in logica. Perché dunque Quine fa tale distinzione, se poi gli serve a buttare a mare uno dei due concetti (quello di senso o intensione)? R. È una domanda difficile; bisognerebbe chiederlo a Quine. Comunque, la mia impressione è che, quando Quine (all’inizio degli anni Quaranta) ribadisce la distinzione di Frege, considerandola ben fondata nei fenomeni del linguaggio, la sua sia una mossa all’interno di una strategia argomentativa il cui obiettivo principale è screditare certe nozioni modali, specialmente le nozioni di “possibile” e “necessario” applicate a cose (le cosiddette modalità de re). Quine, per esempio, vuol far vedere che la nozione di “individuo possibile” nasce - tra l’altro - da un ragionamento come il seguente: la parola ‘Pegaso’ ha un significato; ma Pegaso non esiste; quindi ‘Pegaso’ deve denotare un individuo possibile, altrimenti non si capirebbe come facciamo a usare la parola. Quine osserva che il ragionamento è basato sulla confusione tra senso e riferimento: ‘Pegaso’ ha un senso - e noi usiamo la parola in base a questo senso - ma non ha un riferimento. Solo se si identificano senso e riferimento può venire in mente di dire che il caso di ‘Pegaso’ richiede che si ammettano individui possibili. Che poi Quine abbia ritenuto - a partire dall’inizio degli anni Cinquanta, credo - che sia molto difficile dare una teoria scientifica del senso non vuol dire che si sia messo a pensare che il valore semantico di un’espressione linguistica possa ridursi al suo riferimento. All’inizio degli anni Ottanta, per esempio, Quine rileva che i tentativi di ridurre l’identità di significato a identità d’uso si scontrano con la vaghezza della nozione, e con la difficoltà di trovare due D. Il termine “competenza” è stato introdotto in linguistica da Chomsky come esplicazione della capacità di produrre frasi grammaticali. La competenza è rappresentabile per Chomsky in un insieme finito di regole grammaticali. Chomsky ha introdotto il di Carlo Penco termine limitatamente agli aspetti universali sintattici-combinatori della facoltà del linguaggio. Si può estendere questo modello agli aspetti lessicali, che apparentemente dipendono più dal contesto culturale specificato che non dalla grammatica universale? In cosa il tuo concetto di “com- Intervista a Diego Marconi 19 INTERVISTA espressioni che abbiano esattamente lo stesso uso; ma non sembra avanzare obiezioni di principio contro il tentativo. Notoriamente, gli argomenti di principio di Quine - come l’argomento di indeterminatezza di Parola e oggetto - non riguardano più il senso che il riferimento, anzi, si rivolgono in primo luogo al riferimento. mentale e una direttamente referenziale. Che differenza c’è tra queste semantiche e la tradizionale distinzione tra senso e riferimento? Qual è la tua posizione rispetto a tali teorie semantiche? R. Nella teoria semantica tradizionale (Frege), il senso determina il riferimento: conoscere il senso di un’espressione linguistica è essere in grado di determinarne il riferimento. Nelle semantiche duali, i due componenti sono indipendenti: il riferimento ad esempio di una parola come ‘acqua’ è determinato da circostanze esterne (i campioni di materia con cui la comunità linguistica è stata ed è di fatto in rapporto), che possono essere in parte sconosciute a ciascun parlante e alla comunità nel suo insieme, e che quindi non sono necessariamente rappresentate nell’ente mentale associato alla parola. Perciò, in queste semantiche il contenuto mentale associato ad ‘acqua’ (il “senso” della parola ‘acqua’) non determina il suo riferimento (non determina che cosa, nel mondo, è acqua). La mia prospettiva è diversa: io non parlo (come i teorici “duali”) di due componenti del significato, ma di due aspetti della “competenza” semantica lessicale, cioè dell’organizzazione delle capacità di usare il lessico di cui è dotato il singolo parlante. Entrambi gli aspetti della competenza - quindi anche quello referenziale - sono “nella testa”. Esattamente come la mia capacità di avvitare viti è “nella testa”, anche se il suo esercizio comporta un’interazione col mondo reale, allo stesso modo la mia capacità di applicare la parola ‘gatto’ è nella mia testa, anche se il suo esercizio ha a che fare con animali in carne e ossa. D. Uno dei temi più dibattuti in questi anni, specie dopo la pubblicazione del libro di Fodor e Lepore, è stato quello dell’olismo. Tu prendi le distanze dalla visione olista (almeno dall’olismo del significato) per una forma di molecolarismo alla Dummett. Eppure parli di “verità nell’olismo”. Come potresti riassumere la tua critica all’olismo e qual è la verità presente nella posizione olistica, che vuoi salvare? R. Secondo me, una delle difficoltà maggiori dell’olismo semantico è che non riesce a rendere ragione della comprensione del linguaggio. Noi concepiamo la comprensione di un enunciato (come ‘La matita è nel cassetto’) come un processo di elaborazione il cui input è rappresentato dai significati delle parole. Se questa immagine sembra troppo “computazionale” la si può indebolire in vari modi, ma è difficile rinunciare all’idea che la comprensione di un enunciato sia basata sulla comprensione delle parole, sulla conoscenza del loro significato. Ora, se hanno ragione gli olisti, la conoscenza del significato di una parola chiama in causa (come, non è chiaro; ma che sia così, è parte dell’olismo) la conoscenza dell’intero linguaggio. Quindi la comprensione di un singolo enunciato richiede la mobilitazione dell’intera competenza semantica. Se così fosse, tuttavia, la comprensione di un enunciato sarebbe un processo praticamente impossibile per un sistema dotato delle risorse di memoria e di calcolo di cui dispone la mente umana. Dunque gli olisti non possono avere una teoria della comprensione plausibile: la loro teoria del significato non è compatibile con una teoria della comprensione. Per me, questo basta a confutare una tesi semantica. Ho parlato di “verità nell’olismo” (oltre che per il caso particolare dell’olismo strutturale, che qui tralascio) a proposito dell’idea che la nostra conoscenza del significato di una parola (come ‘rosa’) è arricchita dalla conoscenza del significato di altre parole con cui essa è connessa (come ‘fiore’). Nella mia immagine, la cosa funziona così : essere competenti su ‘rosa’ è (tra l’altro) sapere che le rose sono fiori; questa conoscenza, a sua volta, è arricchita dal fatto di sapere che i fiori sono vegetali, che i vegetali sono esseri viventi ecc. Quando parlo di “arricchimento” intendo che chi dispone di queste conoscenze è in grado di compiere più inferenze, a partire da un enunciato in cui compare ‘rosa’, di uno che non ne disponga. Ciò non vuol dire che la competenza su ‘rosa’ richieda o presupponga la competenza - o un’uguale competenza - su tutte le parole con cui ‘rosa’ è associata, e su tutte le parole con cui queste parole sono associate, e così via fino a coprire l’intero lessico, come vorrebbe un olista. D. Parli della visione artificiale, delle possibilità di macchine “pensanti” e “vedenti”. Quanto la tua analisi della competenza lessicale è rivolta alla costruzione di un sistema artificiale, e quanto questa analisi mostra un limite di una tale costruzione? Che scopo ha la tua filosofia? Costruire macchine che comprendono? R. La mia analisi vuol far vedere che una ragione - forse la ragione principale - per cui i sistemi artificiali attuali non comprendono “davvero” il linguaggio naturale è che, a differenza di noi, non hanno un accesso percettivo al mondo e quindi non hanno competenza referenziale. Al tempo stesso, l’analisi mostra che una competenza referenziale come quella umana è comunque molto difficile da approssimare con strumenti artificiali. Quindi, quel che io sostengo è da un lato che i sistemi artificiali farebbero un grosso passo avanti - come emulatori della comprensione - se venissero dotati di un rudimento di competenza referenziale; dall’altro, che molte cose restano da capire su come funziona la nostra competenza prima che il passo avanti possa essere decisivo, cioè prima che sia possibile costruire sistemi la cui competenza complessiva verrebbe giudicata una buona approssimazione di quella umana. Il mio scopo non è costruire macchine che comprendono, ma chiarire i problemi della semantica. Se quel che dico dà delle idee agli informatici e serve a costruire sistemi di comprensione più convincenti, ne sono contento e lo considero una conferma indiretta del mio lavoro. D. Dopo l’articolo di Putnam sul “significato di ‘significato’” vi è stato un fiorire di “semantiche duali”, che vedono il significato distinto in due componenti, una 20 AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE L’itinerario filosofico di Labriola Nel volume dal titolo ANTONIO LABRIOLA FILOSOFO E POLITICO (Guerini e Associati, Milano 1996), a cura di Luigi Punzo, vengono raccolti saggi di diversi autori che analizzano l’itinerario filosofico di Labriola dalla sua formazione alla maturità, ripercorrendo i suoi rapporti con Spinoza, con Kant e il neokantismo, con Hegel, con Herbart, con Croce e Gentile ed esaminando il significato della sua adesione al materialismo storico di Marx. Come sottolinea Giuseppe Lissa nel suo saggio Labriola e il positivismo, la filosofia di Antonio Labriola è caratterizzata da due tendenze contrapposte. Se da un lato Labriola identifica la sua ricerca filosofica con una inesauribile attività di continua interrogazione, dall’altro tende ad approdare ad un sapere che sia in grado di ricostruire il reale secondo un’immagine di totalità, in grado di rispondere ad un rigoroso impegno morale. In base a questa prospettiva, sia l’idealismo, sia il positivismo mirano a ricondurre il reale ad un principio unitario, anche se definito in maniera differente. Entrambi i sistemi appaiono tuttavia a Labriola estremamente negativi, perché compromettono seriamente la realizzazione della libertà e la fondazione di una moralità. Come rileva Edoardo Massimilla nel suo scritto L’etica kantiana negli scritti sulla morale e sulla libertà in Antonio Labriola, la componente morale ricopre una posizione importante nella teoria filosofica di Labriola. Muovendo dalla filosofia di Kant, intesa come una “grande riforma dell’etica” in quanto solleva la questione della libertà del volere dopo la sua “liquidazione” da parte di Hobbes, Spinoza, e Hume, Labriola riprende la teoria etica di Herbart, sostenendo che il compito dell’etica è quello di mostrare come le idee, nella «loro originaria purezza e determinatezza» che mette in evidenza i legami reciproci tra gli atti volontari, determinino «un giudizio di approvazione tanto universale quanto immediato». Nel suo saggio Natura e funzioni del diritto e dello stato nel primo Labriola Luigi Punzo mostra inoltre come Labriola, aven- do individuato un rapporto “indissolubile” tra diritto e morale, conferisca allo stato una funzione etica e pedagogica. Egli infatti, criticando sia il liberalismo, per il suo fondamento individualistico, sia una visione totalitaria dello stato inteso come entità eterna e assoluta, considera lo stato come una «formazione storica, determinata, positiva e mutabile». Per Rossella Bonito Oliva, che interviene con uno scritto dal titolo Psicologia e filosofia della storia: continuità e differenze. Una riflessione sul rapporto tra Labriola e Hegel, esiste un legame tra la concezione di Labriola della storia e la costruzione sistematica di Hegel. L’analisi della filosofia di Hegel da parte di Labriola ha un significato propedeutico per la sua futura adesione al materialismo storico di Marx attraverso lo strumento della dialettica che gli permette di cogliere «l’intreccio tra unità e divenire che sempre presenta la realtà storica». A questo proposito, come rileva Maurizio Martirano nel suo saggio Le idee nella storia: Antonio Labriola, Labriola ritiene che il metodo storico debba realizzare un’armonia tra “l’oggettività del fatto storico” e “la soggettività dell’atteggiamento interiore dello storico”. Infatti, per Labriola, gli eventi storici non devono essere “dedotti”, ma “compresi” attraverso uno strumento metodologico che sappia cogliere l’evoluzione della forma nella storia. Come sottolinea Dino Fiorot nel suo scritto Il rapporto tra Loria, Turati e i socialisti italiani nella corrispondenza di Antonio Labriola, l’influenza della concezione di Loria ha determinato nella teoria labriolana l’intento di conciliare logica e storia, fatti e teorie in modo tale da stabilire un legame stretto tra l’economia e le scienze storico-sociali. Infatti, come rileva Maria Donzelli nel suo saggio Il concetto di scienza in Antonio Labriola, Labriola, sebbene rifiuti l’ideologia del sapere scientifico per la sua pretesa di comprendere in modo assoluto il reale, tuttavia recupera l’attività concreta delle scienze particolari che realizza il bisogno di scientificità nell’ambito della storia. Secondo Corrado Ocone, come traspare dal suo scritto Croce e Labriola sul tema dell’utile. Motivi di dissenso di Labriola rispetto a Croce, il suo distacco da Croce si misura anche dal diverso modo di 21 concepire la scienza. Infatti, Labriola in base alla sua concezione prassistica ritiene che la scienza sia uno «strumento di emancipazione piuttosto che di disinteressata e distaccata comprensione». Inoltre, come rileva Mario Agrimi nel suo saggio Labriola tra Croce e Gentile, nella formazione filosofica di Labriola ha inciso il dibattito tra Croce e Gentile le cui linee filosofiche sono divergenti. Infatti, se da un lato Croce è interessato ad analizzare la filosofia come attività di riflessione critica anche nelle sue implicazioni etico-politiche, Gentile, dall’altro lato, è interessato all’attività di riflessione come «coerente e sistematico approfondimento concettuale» dominata dall’aspetto logico-formale. Nella formazione di Labriola, osserva Antonello Gugliano nello scritto Appunti su Labriola e il neokantismo, ebbe influenza anche il neokantismo, da cui Labriola desume, contro le visioni unilaterali e totalitarie, l’importanza della tendenza critica della ricerca filosofica. D’altra parte Stefano Poggi mette in risalto, nel suo saggio Labriola e la filosofia del suo tempo, come Labriola, che si accosta al marxismo partendo da riflessioni di carattere etico-morale, rappresenti uno dei protagonisti all’interno del dibattito sulla crisi del marxismo e sul revisionismo. Per Labriola, infatti, è centrale la questione della libertà interiore in contrapposizione alla prospettiva del determinismo fatalistico; una concezione della libertà, questa, in cui confluisce anche la sua interpretazione di Spinoza. Seguendo questa linea interpretativa Labriola ritiene che il fondamento del pensiero di Marx sia la filosofia della prassi che si concretizza nel lavoro. La concezione marxista fornisce a Labriola anche la chiave per una diversa visione della storia. Come sottolinea Filippo Mignini nel suo scritto Antonio Labriola lettore di Spinoza, Labriola trova nella concezione marxista della storia la possibilità di un suo radicamento nell’uomo inteso come creatore dei suoi strumenti di lavoro. Per Giuseppe Cacciatore, che interviene con un saggio su Labriola: da un secolo all’altro, anche se risulta evidente che Labriola non si distacca dal classico schema marxista della formazione di una nuova società senza classi in base alle contraddizioni AUTORI E IDEE Pieter Bruegel, Torre di Babele (1536, part.) 22 AUTORI E IDEE delle precedenti fasi storiche, tuttavia egli cerca di apportare alcune correzioni a questo schema in una direzione che predilige il metodo storico-genetico e “il pluralismo degli elementi strutturali”. M.Mi. Tempo della vita e tempo del mondo in Blumenberg Di Hans Blumenberg è stata pubblicata l’edizione italiana di TEMPO DELLA VITA E TEMPO DEL MONDO (trad. it. di B. Argenton, a cura di G. Carchia, il Mulino, Bologna 1996), in cui il filosofo, scomparso il 28 marzo 1996, proseguendo il proprio confronto con Husserl, mette a fuoco il problema della divergenza fra la temporalità della coscienza individuale e quella degli eventi storici e naturali. Nato il 13 luglio 1920 a Lubecca, Hans Blumenberg compie il proprio cursus studiorum fino all’abilitazione (1950) nell’Università di Kiel e successivamente diviene docente a Amburgo, Giessen, Bochum e, infine, Münster. Per l’ampio uso di materiali provenienti dalla storia e dalla letteratura, nelle sue opere prende corpo una filosofia della cultura che si configura come una fenomenologia della comprensione, da parte dell’uomo, della propria posizione nel cosmo e nella storia. Die Genesis der kopernikanischen Wende (La genesi della svolta copernicana, 1975) mette a fuoco la duplice valenza dell’atto inaugurale dell’età moderna: la rimozione dell’uomo dalla sua posizione privilegiata al centro del cosmo cede il passo, attraverso l’ideale legislativo prospettato per la scienza, alla riappropriazione della natura da parte del soggetto galileiano-cartesiano, che la conosce in quanto la pianifica. La questione dell’essenza e della specificità dell’età moderna costituisce, anche, il tema dell’opera più celebre di Blumenberg: Die Legitimität der Neuzeit (La legittimità dell’età moderna, trad. it. di C. Marelli, Genova 1992), in cui il filosofo polemizza con la cosiddetta “tesi della secolarizzazione” (sostenuta, fra gli altri, da Karl Löwith e Carl Schmitt), secondo la quale le categorie interpretative della realtà e della storia, tipiche dell’età moderna, non consisterebbero se non in una secolarizzazione, senza alcuna ulteriore soluzione di continuità, rispetto alle configurazioni concettuali teologiche dell’epoca precedente. Contro questa tesi, Blumenberg individua nella nozione di autoaffermazione l’elemento attraverso il quale l’uomo definisce la propria posizione nei confronti dell’universo cosmo-storico, nonché il tratto specifico che caratterizza l’età moderna nei confronti di quella precedente. La nozione di “età moderna” appare del resto, nella prospettiva blumenberghiana, come una figu- ra concettuale afferente a una categoria interpretativa più che come l’indicazione di un momento storicamente determinato. Il rapporto tra “prospettiva storica” e prospettiva mitica rappresenta il nucleo tematico di Arbeit am Mythos (Elaborazione del mito, trad. it. a cura di B. Argenton, Bologna 1991), opera pubblicata nel 1979. Lo sguardo storico appare qui come un’articolazione dell’“elaborazione del mito”, caratterizzata dal fenomeno della “complicatezza”: il lavoro del mito tende a dissimulare la propria origine e i propri presupposti (i fatti, gli interessi, gli agenti storicamente determinati), e così fa pure lo sguardo storico, quando pretende di epurare da sé il proprio carattere “mitico” marcando, attraverso un gesto autoaffermativo, la propria distanza dall’esperienza mitica. Tale gesto autoaffermativo non trova, del resto, altra legittimità se non in sé medesimo, e nella propria pretesa a una specificità che soltanto esso afferma e riconosce. In altri termini: è l’interpretazione di sé medesima (e soltanto essa), avviata dalla modernità, a costituirla come tale. Qui la figura dell’interpretante si pone nei confronti dell’universo cosmo-storico come un lettore, ma rischia la propria sovrapposizione con chi questo grande libro dell’universo lo ha scritto: così accade appunto nella ricezione del paradigma concettuale che considera il mondo come un libro, esaminato da Blumenberg in Die Lesbarkeit der Welt (La leggibilità del mondo, trad. it. di B. Argenton, a cura di R. Bodei, Bologna 1984) nel 1981. Del resto, come Blumenberg mostra in Schiffbruck mit Zuschauer. Paradigma einer Daseinsmetapher (Naufragio con spettatore. Paradigma di una metafora dell’esistenza, trad. it. di F. Rigotti e B. Argenton, Bologna 1985), del 1979, l’elaborazione narrativa della celebre metafora lucreziana si è orientata, nel corso dei secoli, al rifiuto della figura dello spettatore, in quanto concepito come non coinvolto nella azione della quale è testimone. In Höhlenausgänge (Buchi d’uscita, 1989), imponente “variazione sul tema” del mito della caverna platonico, emerge in modo marcato l’orizzonte antropologico e umanistico della prospettiva blumenberghiana, frutto anche del debito, riconosciuto dallo stesso Blumenberg, nei confronti della riflessione di Ernst Cassirer. In Tempo della vita e tempo del mondo, traduzione italiana di Lebenszeit und Weltzeit del 1986, Blumenberg sviluppa ulteriormente il confronto con il pensiero di Husserl. Come sottolinea, nella sua “Introduzione”, Gianni Carchia, curatore dell’edizione italiana dell’opera, la stessa nozione di Selbstbehauptung (autoaffermazione) è di ascendenza husserliana. Il concetto di autoaffermazione non indica affatto un’esaltazione della ragione, nella caratterizzazione che ne 23 ha dato l’Illuminismo; piuttosto, l’ “autoaffermazione” segnala l’uscita della modernità dalla visione di sé e del mondo che l’uomo medievale assume come ovvietà delle cose. Questa uscita appare vicina a quella che Husserl prevede nei confronti del “mondo della vita”. In quest’opera Blumenberg mette a fuoco la “forbice temporale” che si apre fra la temporalità dell’esperienza della coscienza individuale e quella degli eventi storici. Laddove in Die Genesis der kopernikanischen Welt viene tematizzato lo spaesamento dell’uomo nello spazio del mondo, qui lo spaesamento dell’uomo deriva dall’incommensurabilità fra il tempo che egli riconosce come proprio e quello del mondo in cui vive. La nostra esperienza percepisce, infatti, uno scorrere del tempo che è differente dal tempo “oggettivo”, “nel quale” viviamo; quest’ultimo viene attinto mediante idealizzazioni di carattere scientifico. La percezione della differenza tra l’esistenza e il mondo rinvia ora alla contrapposizione fra l’esistente e la realtà mondana che gli si oppone; quest’ultima incarna il dominio di ciò che, nei confronti dell’esistente, è indifferente e senza senso. In questa prospettiva, il tempo del mondo appare come il fenomeno in cui si manifesta l’assolutismo dell’universo nei confronti dell’uomo. In Tempo della vita e tempo del mondo Blumenberg riprende il motivo, già presente in Elaborazione del mito e ne La leggibilità del mondo, della perdita di significato dell’universo dopo la caduta dei valori mitici e metafisici. Lo husserliano “mondo della vita” resta, dopo questa caduta di valori, il solo ambito nel quale l’uomo possa sentirsi “a casa propria”: l’uscita da esso comporta, secondo Blumenberg, l’aprirsi della “forbice temporale” e lo sprofondare nel baratro che si apre fra l’esistente e il sussistente. Del resto per Blumenberg la filosofia deve essere considerata agli antipodi del mondo della vita; qualunque riflessione filosofica non può che inaugurarsi con l’uscita da questo mondo e comporta, di conseguenza, proprio la caduta in quel baratro. Nel suo momento iniziale, tale uscita si configura, secondo Blumenberg, sotto le spoglie dell’epoché husserliana. Tuttavia, rispetto a Husserl, la “messa fra parentesi” del mondo della vita assume in Blumenberg un carattere affatto più problematico: essa non appare, infatti, mai come un atto compiuto; la resistenza che l’ente del mondo oppone alla riduzione da parte del soggetto fa segno alla sua irriducibilità, e al conseguente dualismo che disegna, per l’esistente, uno scenaro di tragicità. F.C. AUTORI E IDEE L’ispirazione filosofica L’insorgenza prepotente della nozione di alterità nel dibattito filosofico contemporaneo ha dato luogo a schieramenti contrapposti, a seconda che si prediliga l’interpretazione di Heidegger o quella di Levinas. Contro questa tendenza si leva la voce eccentrica e polemica, a tratti beffarda, dell’israeliano Amin Bouganim, che ne LA RIME ET LE RITE. ESSAI SUR LA PRECHE PHILOSOPHIQUE (La rima e il rito. Saggio sulla predica filosofica, L’Harmattan, Parigi 1996) ripercorre la vicenda della fenomenologia, per un verso, e delle filosofie del dialogo di ascendenza ebraica, per l’altro, spingendo l’una e le altre alla coerenza. La fedeltà della filosofia all’ispirazione dei testi profetici è invece al centro dell’attenzione di Catherine Chalier, di cui si segnala lo studio L’INSPIRATION DU PHILOSOPHE. L’AMOUR DE LA SAGESSE ET SA SOURCE PROPHÈTIQUE (Albin Michel, Parigi 1996) Voce difficilmente classificabile quella di Amin Bouganim, scrittore e filosofo israeliano di origine marocchina e di lingua francese, autore di uno studio su La rime et le rite, che parrebbe un pamphlet dagli accenti sarcastici se le sue 350 pagine non rivelassero un’analisi attenta e puntuale, criticamente equidistante, anche se talora dispersiva, degli autori trattati: da Husserl a Heidegger, a Levinas, sul versante fenomenologico; da Cohen a Rosenzweig, a Buber e ancora a Levinas, su quello “confessionale”. La riflessione di Bouganim muove dallo sconcerto di fronte a una nozione come quella di alterità, che appare oggi, nel dibattito contemporaneo, tanto misteriosa da sottrarsi a ogni possibilità di indagine, tanto pervasiva da paralizzare ogni critica. Una nozione tipica di una letteratura «parafilosofica, pseudo-filosofica e meta-filosofica», osserva Bouganim, che trova il suo pendant in una parallela letteratura (o chiacchiera?) dell’Essere: entrambe sono caratterizzate dal linguaggio iniziatico, dall’andamento paradossale, a-logico, talora ripetitivo, più simile all’oscura predicazione che all’analisi filosofica; il tutto sullo sfondo di un generale rigetto della filosofia occidentale, la cui essenza si esprimerebbe nell’equazione: idealismo = intellettualismo = totalitarismo. Il lavoro di Bouganim si articola in una parte dedicata alla fenomenologia, dove viene privilegiata una certa continuità della speculazione di Heidegger su quella di Husserl, e in una parte riservata alle filosofie del dialogo, limitata però a quelle di matrice ebraica sia per il maggior fascino che queste rivestirebbero rispetto a quelle cristiane, sia per quel tocco suppplementare di “patetismo”, che «tradisce l’esaltazione religiosa solo per meglio acconciare lo scoramento intellettuale che intima l’invo- cazione - a mio parere eminentemente anarchica - di Dio». Troneggia su tutto la querelle tra Heidegger e Levinas, non solo per l’accanimento del confronto tra i due, ma anche perché in essa si esprimerebbe la reale antinomia della filosofia occidentale al volgere del secondo millennio: l’opposizione tra paganesimo, rappresentato dal pensiero di Heidegger, e monoteismo, proclamato da un Levinas che contrappone alla dialettica essere-non essere la dinamica finito-infinito. Bouganim affronta le circostanze che hanno determinato questo risorgere della nozione di alterità, tentando di verificarne la portata e soprattutto l’ambito di pertinenza e, su questa falsa riga, saggiare l’autonomia della riflessione filosofica, per approdare in ultima istanza a una posizione che, pur nella critica sempre vigile, sembra sposare un “levinasianesimo” radicalmente creaturale, un monoteismo senza dio, che trova riscontro in una delle letture preferite da Levinas, Dostoevskj. La ripresa, da parte di Levinas, della figura del peccato originale elaborata da Dostoevskj e la sua radicalizzazione in forma di responsabilità consentirebbe di spostare il senso del discorso da Dio (ivi compresa la sua esistenza) all’uomo: un antropocentrismo del tutto opposto a quello heideggeriano, in cui il Da-Sein (Esserci) è teso alla realizzazione egocentrica di sé, e che anzi volge l’aspirazione all’infinito in etica. Un’aperta rivendicazione della vocazione più intima della filosofia nella sua fedeltà all’ispirazione, segnatamente dei testi profetici di tradizione ebraica è quella che proviene invece dallo studio di Cathérine Chalier (allieva e interprete pregevole di Levinas), L’inspiration du philosophe, che non propone «una dubbia compromissione [...] con l’irrazionale e l’insensato», né la rinuncia allo strumento privilegiato del concetto, ma invita a pensare «la tensione vivente e continua» tra filosofia e parola profetica in un reciproco arricchimento, che mentre evita lo scadimento del profetismo in idolatria, sottrae la filosofia al suo ruolo di puro esercizio intellettuale, finalizzato al dominio sull’alterità, restituendola al suo significato originario di “amore per la saggezza”. Il profeta biblico, osserva Chalier, non rivela una verità nascosta, ma si abbandona alla voce che lo abita, trasmettendola ad altri, proprio perché non se ne impossessa. Ascoltare la profezia significa essere segnati «dalla traccia della rivelazione nel pensiero»: parola assolutamente altra, indispensabile alla filosofia perché capace di ricordarle ciò che essa sempre dimentica, «l’apertura su un’anteriorità fondatrice del senso delle parole e dei concetti [...] che orienta i significati che l’uomo pensa di poter dare alle cose», e insieme di aprire l’ambito della morale, creando la tensione alla giustizia e al bene. K.B. 24 Ricoeur e il male Il male nel pensiero sulla giustizia e in quello filosofico è il tema attorno a cui ruotano gli ultimi lavori di Paul Ricoeur: LE JUSTE (Il giusto, Editions Esprit, Parigi 1996), REFLÉXION FAITE (Riflessione fatta, Editions Esprit, Parigi 1996), LA CRITIQUE ET LA CONVINCTION (La critica e la convinzione, Calmann-Levy, Parigi 1996), a cui fa riscontro, con il titolo: KIERKEGAARD, LA FILOSOFIA E L’ECCEZIONE (Morcelliana, Brescia 1995), l’edizione italiana di due saggi di Ricoeur, comparsi originariamente nel 1992 in «Lectures 2», ma composti ancora nel 1963. La conoscenza del giusto, spiega Paul Ricoeur nel suo Le juste, deriva da un’esperienza vissuta originariamente nella sua negazione, l’ingiustizia. Il concetto di giustizia si definisce attraverso il suo contrario, un torto, un male subito, che percepiamo, fin dall’infanzia, a “nostre spese”. Da qui si origina la riflessione etico-politica sul male, che secondo Ricoeur rappresenta un problema proprio del nostro tempo, «scioccato dalla liberazione della violenza durante quest’orribile XX secolo». Affrontare questo problema implica per Ricoeur due possibilità: vedere il giusto nelle sue applicazioni politiche o in quelle giuridiche. Nel primo caso il concetto di giusto viene analizzato dalla filosofia politica all’interno di strategie di potere e di affermazione di sé che possono portare alla degenerazione della politica stessa, alla guerra. Nel secondo, invece, la giustizia si sottrae alla logica delle parti e si fa Terzo, mediazione tra due contendenti, a pari distanza tra le parti. Questa riflessione si articola ulteriormente in Réflexion faite e ne La critique et la convinction, che sottolineano in particolare il carattere fenomenologico dell’ermeneutica di Ricoeur. Soprattutto Réflexion faite, che si presenta come un’autobiografia intellettuale, mette in evidenza una fenomenologia della morale e del giuridico, intesa come “fenomenologia dell’agire”. Il pensiero di Kierkegaard nei confronti del male viene invece affrontato da Ricoeur nei due scritti che compongono il Kierkegaard. La filosofia e l’eccezione, il primo dei quali prende in esame due testi kierkegaardiani, Il concetto dell’angoscia, del 1844, e La malattia mortale, del 1849. Secondo Ricoeur il male è il punto critico di ogni pensiero filosofico e, in Kierkegaard, è ciò che più si oppone al sistema, inteso come il “sistema” per eccellenza, la filosofia hegeliana. I due scritti kierkegaardiani, osserva Ricoeur, sono costruiti sulla base di due sentimenti: l’angoscia e la disperazione. L’angoscia è la realtà della libertà, perché «ne è la possibilità»; è il nulla come possibilità di potere, come ex-sistere, uscir fuori. Il superamento di questo stato della possibilità AUTORI E IDEE assoluta è il salto, la scelta drastica tra due vie (l’aut aut). Ma se l’angoscia è un salto, la disperazione è uno stato, «il male del male», precisa Kierkegaard. Infatti il disperato è colui che parla del male come di uno stato di cose, come ciò che in-siste, che sta dentro, e da cui ci si domanda come uscirne. In questo proporre una dialettica spezzata, non conciliata, senza mediazioni, Kierkegaard si dimostra, secondo Ricoeur, assolutamente anti-hegeliano. Il sospetto è tuttavia che questa dialettica possa avere più affinità con la dialettica di Hegel che con i suoi presunti eredi. Si può infatti pensare una dialettica spezzata senza una filosofia della mediazione? «L’opposizione tra dialettica hegeliana e kierkegaardiana» - afferma Ricoeur - «diviene essa stessa una figura dialettica che chiede di essere compresa per se stessa e di costituire una nuova struttura del discorso filosofico». Ma proprio in ciò che non riesce a comunicare, nella sua esistenza incomunicabile, Kierkegaard inaugurerebbe, secondo Ricoeur, una post-filosofia: egli ci imbarazza perché si trova, rispetto la filosofia, al di dentro e al di fuori. In Briciole di filosofia, Kierkegaard ci fa un inventario di tutta una serie di categorie - eternità e istante, individuo ed esistente, la scelta, l’unico, la soggettività, il dinanzi a Dio, l’assurdo - al punto che, sospetta Ricoeur, qui non ci troviamo più nella non-filosofia o nell’anti-sistema, ma, viceversa, nell’iperfilosofia, nell’ultra filosofico, tanto che è possibile pensare che Kierkegaard stia consapevolmente tracciando una caricatura del filosofico. Con Kierkegaard, sottolinea Ricoeur, possiamo arrivare solo a risposte parziali; in lui la filosofia è sempre in relazione con la non-filosofia, tanto che laddove vien meno il suo legame vitale, la filosofia corre il rischio di non essere più che un gioco di parole o una grottesca manifestazione di concetti da cui ironicamente allontanarsi. Un utile strumento di approfondimento del pensiero di Ricoeur è offerto da un’opera collettiva a cura dell’Istituto Cattolico di Parigi, Paul Ricoeur, l’hérmeneutique à l’école de la phénomenologie (Paul Ricoeur, l’ermeneutica alla scuola della fenomenologia, Beauchesne, Parigi 1996), che raccoglie atti di convegni tenutisi tra il 1992 e il 1993. In questi contributi, osserva Jean Greisch, curatore del volume, emerge come alla fine di una lunga traversata dalla semantica alla pragmatica del linguaggio e poi alla semantica dell’azione, Ricoeur scommetta sulla possibilità di un’alleanza nuova fra la tradizione analitica e la tradizione fenomenologica ed ermeneutica. G.Di L. Metafisica ed etica del tempo La ripubblicazione del volume di Aldo Masullo, METAFISICA. STORIA DI UN’IDEA (Donzelli, Roma 1996), uscito in prima edizione nel 1980 e da tempo esaurito, consente di analizzare quello che per Masullo rappresenta il nucleo del progetto filosofico della ragione occidentale. La pretesa di elaborare un’ordinata rappresentazione del mondo umano, il cui principio ordinatore immanente viene identificato nella teoreticità, è presentato da Masullo come il limite intriseco della metafifica tradizionale. L’esame dell’intima crisi del progetto della metafisica funge da premessa storica per le analisi contenute in un’altro studio di Masullo, IL TEMPO E LA GRAZIA. PER UN’ETICA ATTIVA DELLA SAL VEZZA (Donzelli, Roma 1995), in cui l’autore persegue una riabilitazione dell’etica a partire dalla centralità del tema del tempo. Pur riconoscendo la complessità e la ricchezza della vicenda culturale che va sotto il nome di “metafisica”, Aldo Masullo propone il privilegio della ragione teoretica come chiave di lettura unitaria dell’intenzione fondamentale che ha sostenuto lo svolgimento del pensiero metafisico. Attraverso l’istituzione del logos nelle poleis greche, fa la sua comparsa nella storia dell’Occidente la potenza dell’astrazione concettuale, decisiva, secondo Masullo, allo stabilirsi d’una prospettiva teorica che pretende di ritrarsi da ogni coinvolgimento immediato con il mondo, al fine di individuarne le costanti fondamentali e universali. L’esperienza umana, nella sua instabilità e indeterminatezza, viene depurata dalle scorie empiriche e temporali e ricondotta alla sua struttura permanente e stabile. Alla “via della notte”, cui corrisponde il mutevole e cangiante sapere della doxa (opinione), riguardante anche il mondo umano, Parmenide contrappone la “via del giorno”, nella quale il sapere scientifico dell’episteme (conoscenza certa), attraverso l’astrazione concettuale, stabilizza l’esperienza. In Parmenide, tuttavia, l’equivalenza tra pensare ed essere non ha, secondo Masullo, la pretesa di applicarsi al campo dell’esperienza umana. È precisamente a partire dal “parricidio” platonico che nasce la metafisica, il progetto cioè di sottoporre la totalità dell’esperienza umana a una “logica generale delle misure assolute”. A partire da questa premessa, continua Masullo, la storia della metafisica è la storia di una hybris (presunzione) teoretica, consistente nel cedere alla tentazione di guardare “dall’esterno” al mondo dell’esperienza comune, come se fosse possibile acquisire la prospettiva panoramica d’uno spettatore disinteressato. Proprio l’evidente irrealizzabilità di questo progetto, che in ultima analisi consiste nel negare la temporalità dell’esistenza e del pensiero 25 che la anima, rende ragione da un lato delle fratture e delle svolte che costellano la storia dell’idea metafisica e dall’altro della sua autodissoluzione nel pensiero post-kantiano. L’intima crisi della metafisica è dunque connessa all’insorgenza sempre più esplicita della centralità del tema del tempo. Tuttavia, osserva Masullo nel saggio su Il tempo e la grazia, il riconoscimento della temporalità autentica della nostra esistenza, pur avviato dalla filosofia postkantiana, non riesce ad attingere la sua radicalità, in quanto resta prigioniero di una comprensione idealizzante del tempo, cioè di una subordinazione del vissuto temporale alla sua rappresentazione conoscitiva. Il paradosso del tempo, già segnalato da Agostino, riguarda la sua immediata e originaria afferrabilità come sentimento ed emozione e, nel contempo, l’impossibilità di una sua rappresentazione concettuale. Scavando in siffatto paradosso, Masullo riconduce l’immediatezza del tempo vissuto all’indicibilità sempre e solo individuale di un phatos incomunicabile, che conduce alla zona oscura e inquietante di un’“autoreferenzialità muta”. Il tempo idealizzato della filosofia resta nonostante tutto un tempo conoscibile e rappresentabile, mentre la carica eversiva del tempo selvaggio, in cui è immersa l’esistenza umana, non si lascia rappresentare, cioè stabilizzare dalla ragione teoretica: esso viene da noi costantemente vissuto e avvertito, secondo Masullo, come destabilizzazione e perdita. L’affettività originaria, grazie alla quale avvertiamo il cambiamento e che chiamiamo tempo, è la falda originaria della soggettività; la dimensione del pratico che precede il semantico, il livello inaugurale del sé ove nell’uomo insorge il primordiale sensus sui, più antico della conoscenza oggettivante. Di qui Masullo riconosce al tempo l’autentica dimora dell’uomo, originaria e infondabile, che nella sua fattualità “senza ragione” si sottrae alla ricerca metafisica delle ragioni ultime e viene inscritta nella categoria della grazia. L’indagine di Masullo si conclude nella formulazione della centralità filosofica dell’etica, che non consiste nell’attribuire a quest’ultima l’antico progetto metafisico di salvarci dal tempo, ma consiste invece nel compito “attivo” di salvare il tempo, insegnando all’uomo a eleggere come propria dimora l’indeterminatezza del puramente fattuale, senza eludere l’enigmatica infondatezza dell’esperienza. L’uomo deve vivere, secondo Masullo, la passione assoluta come riconoscimento della grazia, di ciò che è altro rispetto alla ragione teoretica. F.Ci. AUTORI E IDEE Etica e saggezza greca Il ritorno alla filosofia classica può costituire una risposta ai mali e alle incertezze che affliggono l’uomo contemporaneo. Ne LA FRAGILITÀ DEL BENE (il Mulino, Bologna 1996) Martha C. Nussbaum sottolinea che solo una mediazione tra la virtù e la buona sorte, come avveniva nella tragedia e nella filosofia greca, può rappresentare una strada per la felicità dell’uomo. I valori dell’antichità all’interno di un’ottica escatologica costituiscono, invece, l’oggetto di studio di Giovanni Reale, che nella SAGGEZZA ANTICA (Cortina, Milano 1995) ritrova una terapia per i mali dei nostri tempi. Saggezza e fortuna costituiscono in eguale misura gli ingredienti necessari per riuscire a vivere felicemente: questa è la tesi dello studio di Martha Nussbaum, La fragilità del bene, che offre un’analisi dettagliata del pensiero greco attraverso le voci di Eschilo, Sofocle ed Euripide, accostati a Platone e Aristotele. Il metodo d’analisi è rigorosamente storico e permette di fare sia confronti di ordine cronologico tra i diversi autori, sia considerazioni all’interno dello stesso autore attraverso l’evoluzione del suo pensiero. Da notare, nell’impostazione metodologica, è anche l’assenza di cesura tra tragedia e filosofia, considerate in un continuum, rivolto più ai contenuti che alle forme di rappresentazione, dal momento che entrambe si fondano sulla consapevolezza che solo l’accordo del bene con la fortuna può portare l’individuo al ritrovamento della felicità. I primi tragici, Eschilo e Sofocle, sono presentati da Nussbaum in funzione del conflitto tra valori che, nelle loro tragedie, pervade la vita dell’individuo. Se in Eschilo l’uomo è spesso portato a scegliere una strada sbagliata a causa di circostanze non Athena Varvakion (copia romana, sec. II a.C., part.) 26 volute, in Sofocle l’individuo resta paralizzato dal conflitto tra valori diversi che lo conducono, necessariamente, a peccare contro qualcuno. Il conflitto tra pietà e rispetto delle leggi dell’Antigone, infatti, mostra il politeismo di valori che rappresenta la contraddizione più grande tra volontà e necessità. In Platone la filosofia sembra risolvere il conflitto, ma l’esigenza di farlo resta un’illusione: nella Repubblica la virtù è data dalla ragione, in grado di cancellare i bisogni e le emozioni, mentre nel Simposio proprio la più forte delle emozioni, l’amore, diventa strumento di comprensione filosofica. Il fallimento razionalistico compare, però, nel Fedro, dove la filosofia stessa è presentata come follia e irrazionalità. Solo Aristotele, e in parte Euripide, nota Nussbaum, riescono a conciliare etica e fortuna, che si incontrano nella deliberazione, ovvero nell’azione che si conforma alle sensazioni in una sorta di saggezza pratica. La virtù razionalistica appare qui in tutta la sua debolezza per lasciare il posto ad una ragione antropocentrica che solo nell’incontro quotidiano può indirizzare l’uomo alla felicità. Rivolto direttamente all’uomo contemporaneo più che all’uomo greco, Saggezza antica costituisce una sorta di trattato “farmacologico” per il nichilismo che affligge l’umanità contemporanea. Dopo aver descritto la genesi del nichilismo e gli effetti devastanti prodotti sull’uomo moderno, Giovanni Reale tenta in questo suo studio di proporre una sorta di ritorno al platonismo come strumento di salvezza. L’intento di Reale è dunque quello di riportare l’individuo al pensiero greco, nella sua versione escatologica, che solo sembra in grado di salvare l’uomo dalla morte di Dio e dalla conseguente caduta del concetto di Bene e di Verità. Il metodo è qui rigorosamente dialettico: per ogni male dell’uomo viene proposto un rimedio che scandisce il recupero dei valori tradizionali cristiani e platonici. I dieci capitoli in cui è diviso il libro si riferiscono, infatti, ad altrettanti mali, e alle rispettive “terapie”, che caratterizzano l’uomo contemporaneo. Il riferimento più ricorrente è a Platone, che offre una soluzione, ad esempio, al materialismo, allo smarrimento delle forme e all’assenza di finalità che affliggono l’uomo. Il ritorno ad una visione dualistica in cui, da una parte, l’anima rappresenta il fine della vita e, dall’altra, l’armonia sovrasensibile diventa il modello di armonia etica ed estetica, permette di recuperare, secondo Reale, una direzione e un senso nel caos nichilistico in cui vive l’umanità. Solo ricercando l’interiore a discapito dell’esteriore e l’essere al posto dell’avere, nota Reale, è possibile guarire dal nichilismo contemporaneo e tornare a quei valori eterni in grado di fornire felicità e salvezza all’uomo. A.S. AUTORI E IDEE Salvador Dalí, La persistenza della memoria (1931, part.) Sulla stanchezza Oggetto di insistenti cenni lungo tutta la tradizione filosofica, l’esperienza della stanchezza viene indagata in modo autonomo e fondamentalmente filosofico da Jean-Louis Chrétien nel suo studio dal titolo: DE LA FATIGUE (Sulla stanchezza, Minuit, Parigi 1996), che di questo concetto disegna in modo agile e denso di riferimenti il quadro fenomenologico e la genealogia storico-filosofica. Che cosa c’è di più comune e insieme di più sfuggente della quotidiana esperienza della stanchezza? Da quella concreta e fisica, generata dal lavoro manuale o dalla prestazione sportiva, a quella altrettanto pervasiva, non solo a livello mentale, del lavoro intellettuale, alle varie forme di stanchezza psicologica - esaurimento, esasperazione, ossessione - che ci affliggono ogni giorno, fino all’ontologica stanchezza di vivere: l’esperienza della fatica si declina quotidianamente in una “pluralità” di fenomeni, sui quali le scienze del corpo e della mente, dai rispettivi parziali punti di vista, tuttora si esercitano. Anche la filosofia registra il ricorrere, periferico ed episodico, ma tuttavia insistente, della fatica, della stanchezza e del loro termine antitetico, l’infaticabile: da Aristotele a Levinas, passando per Nietzsche, la storia del pensiero filosofico sembra riservarci, a margine o tra le righe, una variegata e mute- vole fenomenologia della stanchezza, che ci restituisce anche una diversa concezione della condizione umana. Lo studio di Jean-Louis Chrétien non consiste semplicemente nel tratteggiare una genealogia della fatica, ma più profondamente nel lasciar emergere, attraverso un’analisi eminentemente filosofica, ciò che fondamentalmente chiama in causa il nostro rapporto con il corpo, con il tempo e con la morte. L’espressione “esperienza” rischia tuttavia di descriverla male: la fatica, infatti, non ha un’origine riconoscibile, un’istante inaugurale, ma anzi ci ha ha sempre già presi, «c’è sempre stata... prima ancora di dire io». Inoltre la stanchezza non sembra isolabile in quanto oggetto autonomo, indipendente dall’esistenza umana; al contrario, le è coessenziale: non esiste la stanchezza in sé, si è sempre stanchi “di” qualche cosa. In questo senso «essa costituisce una dimensione della condizione umana in quanto tale, in cui si ritrovano il suo rapporto con il tempo e con la morte, con lo sforzo e il lavoro, con il senso e il non-senso». A partire da questo suo carattere essenziale, la stanchezza diventa il tema di un pensiero che non si vuole oggettivante, ma che da essa si lasci afferrare e condurre. In tal senso, la genealogia di Chrétien si scandisce secondo figure storiche, che rappresentano altrettante «possibilità essenziali in cui si declina ogni volta l’essere dell’uomo», e che possono essere sintetizzate in tre tappe principali: il pensiero greco, quello giudaico-cristiano e 27 infine quello moderno. La filosofia greca concepisce il divino come l’infaticabile per eccellenza, relegando fatica e stanchezza nell’ambito umano e facendone la cifra stessa della vita (in greco la parola kekmékotes, che indica i defunti, è participio passato del verbo kamno, stancarsi appunto); Aristotele approfondisce in modo decisivo tale distinzione, identificando il motore immobile con il puro pensiero e dunque legando la stanchezza dell’umano al suo dover passare dalla potenza all’atto - che implica appunto il rapporto con la materia e con il corpo - e al suo compito specifico: contemplare il divino. In questo modo, «la possibilità della stanchezza non è una possibilità tra le altre [...] è la possibilità in quanto tale, la potenzialità in quanto tale, l’essere in potenza che deve diventare atto [...] essa si radica nelle condizioni ontologiche di ogni esperienza umana». Su questa dimensione specifica dell’umano torneranno a riflettere la tradizione spiritualista - da Agostino a Barth - come pure quella moderna - da Cartesio a Husserl a Sartre passando per la grande e tragica esperienza del nichilismo nietzscheano, ridotto a un maldestro tentativo di affrancarsi da un Dio di cui non sa e da cui non può, per definizione, liberarsi: pur non potendosi dire, secondo Chrétien, che il nichilismo porti il lutto della morte di Dio, giacché solo la fede cristiana è in grado di portarlo avendone fatto un articolo di fede, resta nondimeno il fatto che «la stanchezza nichilista non può essere descritta AUTORI E IDEE senza fare appello a quella fede che ha perduto». Molte altre suggestioni completano il quadro offerto da Chrétien, evocando un vasto panorama non solo filosofico e mistico, ma anche letterario (Beckett, Handke, Pessoa ecc.). È tuttavia dalla tradizione ebraicocristiana che questo studio trae la propria chiave d’approccio al tema della stanchezza: il legame essenziale che in essa è posto tra il divino infaticabile e la creatura, perché è per noi che instancabilmente Dio si affatica. «La fatica cristiana, che muore e resuscita tutti, è il luogo della lucidità dell’amore, dove palpita l’infaticabile grazia.» In questo contesto, un rilievo particolare, da un punto di vista strettamente filosofico, viene dato a Levinas, oggetto di diversi studi da parte di Chrétien, che legge la stanchezza come «uno sfasamento dell’essere in rapporto a se stesso», marcando l’evento stesso della nascita: tutto comincia, precisa Chrétien, con «lo sprofondamento in sé, con l’oppressione sotto se stessi, sotto il proprio peso»: l’essere-peraltri instancabilmente e senza pretesa di reciprocità è la chiave per risolvere positivamente questa essenziale dimensione dell’umano. K.B. Realtà, linguaggio, pratica Nel contesto di riflessione sul problema della comunicazione, ne L’INCOMPRENSIONE LINGUISTICA (trad. it. di F. Casadei, Laterza, Roma-Bari 1996) Talbot J. Taylor accusa le teorie del linguaggio di assumere la comprensione comunicativa come una premessa autoevidente, giungendo a sostenere che l’unico modo per ovviare allo scetticismo sia una soluzione antirealistica, in cui la comprensione è in realtà un problema pratico all’interno di un determinato processo comunicativo. In INTERPRETATION RADICAL BUT NOT UNRULY (Interpretazione radicale ma non sregolata, University of California Press, Berkeley 1995) Joseph Margolis concentra invece la propria attenzione sul momento dell’interpretazione, affermando che il rapporto fra verità e realtà è risolvibile solamente all’interno delle pratiche intenzionali di una comunità culturalmente definita. Le teorie del linguaggio, esordisce Talbot J. Taylor ne L’incomprensione linguistica, si preoccupano di stabilire “cosa” e “come” comprendiamo, ma non si chiedono “se” veramente comprendiamo; è qui che emerge allora l’importanza dello scetticismo comunicativo, che invece viene solitamente annullato dall’affermazione pre-teorica della comprensione comunicativa. In realtà il linguaggio ci appare come una pratica normativa, la cui regolarità siamo noi stessi a creare e rinforzare nell’esecuzione concreta di questa pratica. Nel confronto con lo scetticismo Taylor rivolge la sua attenzione su quello che definisce “discorso metacomunicativo”, discorso puntato sulla riuscita o l’insuccesso della comprensione comunicativa. John Locke individua secondo Taylor l’inadeguatezza dell’agente linguistico nell’assicurare la comprensione comunicativa, giungendo al paradosso che nonostante il linguaggio funzioni per gli scopi ordinari in realtà non ci capiamo reciprocamente. Le cosiddette teorie dei “codici comunicativi”, per cui il linguaggio fornisce segni che sono estranei all’uso che ne facciamo, introducono secondo Taylor nei loro modelli la comprensione come ipotesi empiricamente giustificata; in realtà si tratta di una tesi introdotta surrettiziamente: la domanda sul “come” avviene la comprensione comunicativa si sposta sul “cosa”, diventa cioè una domanda relativa ai codici linguistici. Esempi di questo tipo di teorie sono per un verso il naturalismo filogenetico di Condillac o il naturalismo ontogenetico della linguistica generativa di Chomsky, per un altro lo strutturalismo di De Saussure. In realtà, lo scetticismo non è messo in difficoltà da questo tipo di teorie, che all’insegna del “dogma” della comprensione comunicativa mostrano che le lingue sono ciò che fa funzionare la comunicazione. Per mettere fuori gioco lo scetticismo, osserva Taylor, occorrerebbe dimostrare che esistono motivi indipendenti dall’assunto della comprensione comunicativa. Così, per tenere correlati la comunicabilità dei pensieri e l’oggettività della verità, Frege replicherà allo scetticismo sostenendo che i “significati” delle parole e delle proposizioni devono essere indipendenti dai soggetti che comunicano. Ritenendo la significazione al di fuori del controllo del singolo agente, anche l’epistemismo viene classificato da Taylor all’interno delle teorie del codice. Un’importante forma di transizione si ha con l’epistemismo di Dummett, che rivolge l’attenzione alla pratica dell’attività comunicativa operando uno spostamento dal “riduzionismo linguistico” delle teorie del codice ad una “riduzione alla pratica”. Alternativa alle teorie del codice è la teoria pragmatica di Dugald Stewart e Alan Gardiner; ma anche il determinismo pragmatico non fa altro che riprodurre le strategie deterministiche naturali e sociali dei teorici del codice. L’unica via d’uscita, secondo Taylor, è l’adozione di una soluzione antirealistica, che assumendo come punto di partenza la posizione dello scettico giunga a delineare una forma di teoria linguistica «basata sull’indagine empirica delle pratiche pubbliche delle comunità e sull’indagine delle condizioni di asseribilità alle quali le singole comunità fanno riferimento nella descrizione verbale di quelle pratiche». Per dimostrare il successso della comprensione non è necessario far riferimento all’esistenza di significati o norme oggettive, ma semplicemente al giudizio di una comunità: il primo teorico di questa soluzione, osserva Taylor, è stato Saul Kripke. Nel prendere in considerazione le teorie antirealistiche del linguaggio e dell’interpreta28 zione, Taylor si sofferma sul relativismo di Derrida e di Stanley Fish, che, pur individuando gli stessi paradossi logici della teoria realistica del linguaggio, non riescono a spiegare perché le persone che comunicano agiscano come se si capissero davvero. L’antirealismo più efficace è quello dell’etnometodologia di Garfinkel e Heritage, contraddistinto dalla funzione fondamentale attribuita all’agente individuale nell’interazione comunicativa, a differenza delle teorie naturalistiche, strutturalistiche ed epistemiche, che negano un controllo volontario sulla significazione. Qui la comprensione comunicativa è vista come un «risultato locale e pratico raggiunto da particolari agenti dotati di volontà che agiscono all’interno di un particolare contesto d’interazione. Non c’è dunque alcuna spiegazione generale, di principio, di “come” si verifichi l’ordine comunicativo; esistono solo casi particolari, contingenti, di particolari parlanti che riescono a capirsi». In Interpretation Radical but Not Unruly Joseph Margolis si pone la questione se la realtà sia caratterizzata da una struttura invariante o sia piuttosto concettualizzabile come un “flusso”. La soluzione corretta deve essere individuata nell’interpretare ogni realtà come un “costruire” degli esseri umani, formato e definito, all’interno di succedentisi orizzonti storici: una realtà determinata è un “manufatto” delle pratiche consensuali di comunità umane vitali. Il costruttivismo storico viene difeso da Margolis soprattutto nei confronti della filosofia analitica, ricorrendo a diversi elementi presenti in pensatori quali Peirce, Wittgenstein, Foucault, Gadamer, Derrida, e soprattutto applicandolo ai testi letterari, alle opere d’arte e agli eventi storici. In questo, il ruolo centrale dell’“interpretazione” si evidenzia nell’identificazione e nella “produzione” di quelle entità particolari che sono i testi; il costruttivismo, anzi, non è nient’altro che la generalizzazione di questa funzione: «l’interpretazione è una pratica produttiva mediante la quale un mondo intero è costituito». Sono i teorici del postmoderno e del costruzionismo come Paul de Man che, secondo Margolis, una volta afferrato il messaggio costruzionista, stravolgono i risultati di Derrida e negano che le parole possano mai far riferimento a qualcosa presente nel mondo, giungendo così a negare qualsiasi distinzione tra fatto e finzione, tra storia e leggenda. L’elemento decisivo del costruttivismo storico sta nella natura collettiva dell’elemento culturale. Le “letture”, di qualunque argomento trattino, perché siano intelligibili al prossimo e a noi stessi, devono stare all’interno di “tradizioni”, “modi di vita”, che in ogni determinata situazione storica formano e prefigurano le interpretazioni di prodotti culturali determinati. Da ciò deriva che l’interpretazione, sebbene “radicale”, non è senza regole. In tal senso Margolis rivolge una serrata critica a quegli autori che si situano a metà strada fra la filosofia analitica e il decostruttivismo, incapaci di portare a radi- AUTORI E IDEE cale conclusione ciò che apprezzano della filosofia analitica a causa della vecchia concezione che hanno dell’interpretazione come attività secondaria. Secondo Margolis non ci sono verità socio-scientifiche e “semplici cose reali” astraendo dalle pratiche “intenzionali” di comunità culturalmente individuate. M.B. Ripensando Carl Schmitt Due nuovi testi si aggiungono ai numerosi recentemente pubblicati sul pensiero di Carl Schmitt, oggetto di nuova e ancor più imparziale considerazione da parte di filosofi, giurisperiti e politologi. Si tratta dello studio di F*** Balke, DER STAAT NACH SEINEM ENDE . DIE VERSUCHUNG CARL SCHMITTS (Lo stato dopo la sua fine. Il tentativo di Carl Schmitt, Wilhelm Fink, Monaco di Baviera 1996) e della traduzione italiana di un saggio di Schmitt del 1943 che appare con il titolo: LA CONDIZIONE DELLA SCIENZA GIURIDICA EUROPEA (Antonio Pellicani Editore, Roma 1996), preceduto da un’introduzione di Agostino Carrino. Lo studio di F*** Balke si colloca in linea con la recente “Schmitt-Renaissance” che ha finalmente reso possibile una lettura antiideologica dell’opera di Carl Schmitt; un’esigenza, questa, nata dalla consapevolezza contemporanea di quella fine dello ius publicum Europae che Schmitt aveva prefigurato, denunciando l’eutanasia tecnica del Diomortale, dello Stato-Leviatano. Nell’opera di Schmitt Balke rintraccia una visione prospettica, composta e stratificata della realtà, secondo i suggerimenti forniti da Deleuze e Guattari in Mille piani. A questo proposito, torna utile per Balke la distinzione schmittiana di causa e occasio, enunciata in Politische Romantik (Romanticismo politico) del 1925, e in particolare il modo in cui Schmitt si muove tra le due istanze, attento alla concatenazione immanente di elementi eterogenei e preoccupato dell’effetto neutralizzante che i media, il mercato e la tecnica hanno esercitato sulle coppie opposizionali di Stato/società, nemico/amico, interno/esterno, criteri irriducibili, dotati di valore esistenziale, a cui è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici. Alla luce di questo contesto di riflessione, benché sia da ritenersi un pericolo del tutto improbabile nella società contemporanea un’intervento del Sovrano o del Dittatore del tipo descritto da Schmitt per porre termine al mondo superficiale e inconsistente della tecnica, Balke dimostra come il Potere sembri comunque in grado di individuare nuove vie di autoaffermazione più nascoste, e per questo più minacciose ed efficaci, quali i canali digitali e il “bio-potere”, la produzione della vita secondo lo standard dell’analisi genetica. Di particolare interesse per una rivisitazione obiettiva del pensiero di Carl Schmitt risulta anche la traduzione in italiano di un suo saggio risalente al 1943, Die Lage der europeischen Rechtswissenschaft (La condizione della scienza giuridica europea). Il saggio consente di costatare la struttura principalmente giuridica del pensiero schmittiano, ulteriormente confermata dalla data di composizione, che colloca questo scritto nella fase matura dello sviluppo spirituale di Schmitt, quando la sua interpretazione della storia della scienza del diritto europea come “ricezione” del diritto romano lo pone in netto contrasto con il nazismo, avversario irriducibile del diritto romano stesso. Da questo scritto affiora indubitabilmente tutto il realismo del giurista tedesco, per il quale il diritto è innanzitutto Sein (essere), non mero Sollen (dovere): seguendo la lezione della scuola storica di von Savigny, Schmitt sostiene infatti che il diritto, come ordinamento concreto, non può essere isolato dalla sua storia e sorge in un’evoluzione involontaria, vivendo storicamente nelle elaborazioni della scienza giuridica, non come suo prodotto, ma come “dato” da essa pensato. Si comprende in tale contesto l’avversione di Schmitt per il positivismo giuridico, anche nella sua versione kelseniana, che egli accusa di legalismo giuridico e, in ultima analisi, di “statualismo”. In tutta l’opera di Schmitt, pur segnata da grandi contraddizioni, è infatti sempre presente la convinzione della superiorità del mondo spirituale e in particolare della natura spirituale del diritto, che costituisce un frutto del grande albero della storia e non è perciò subordinabile ad altri scopi se non a se stesso. A tale considerazione esistenziale del diritto il positivismo giuridico contrappone invece una concezione strumentale dello stesso, perché «la sua mira ultima è il dominio e la calcolabilità». In questo scritto Schmitt denuncia inoltre l’impotenza e la confusione che regnano nella Modernità come conseguenze dell’erosione della sovranità prodotta dalla socializzazione dello Stato e dalla statalizzazione della società; la crisi della legalità statale, già iniziata nel XIX secolo, ha trovato la sua massima espressione nel “legislatore motorizzato” del XX secolo, inverando l’argomentazione di von Kirchmann secondo cui la giurisprudenza mancherebbe di scientificità. Il procedimento legislativo nel nostro secolo si è infatti semplificato e velocizzato, cosicché decreti e ordinanze si sono sostituiti alla legge generale. Nonostante ciò, Schmitt è convinto che oggi più che mai la scienza giuridica abbia ragion d’essere come ultimo asilo della coscienza giuridica, poiché «la legge è sempre più avveduta del legislatore» e la giurisprudenza si sottopone sì positivisticamente alla legge volta a volta in vigore, ma parla in nome di quella stessa legge obiettivata, isolata dalle sue motivazioni soggettive. L.R. 29 Linguaggi matematici e matematiche del linguaggio Considerata sin dai tempi di Platone un adeguato strumento di interpretazione della realtà, la matematica diventa oggi, attraverso la logica e l’analogia che la caratterizzano, uno dei più efficaci linguaggi di conoscenza e analisi, in grado di spiegare la complessità dei fenomeni. Ne LA VISIONE MATEMATICA DELLA REALTÀ (trad. it. di G. Israel, Laterza, Bari-Roma 1996), Giorgio Israel traccia i limiti di questa concezione. Un esempio di traduzione del mondo empirico nel linguaggio logico matematico è invece quello offerto dallo studio di Roberto Casati e Achille C. Varzi, BUCHI E ALTRE SUPERFICIALITÀ (Garzanti, Milano 1996). Teorizzata per la prima volta da Pitagora, la matematizzazione della natura ha fornito per due millenni sia una teoria di fondo utile per l’interpretazione della natura, sia uno strumento di verità. Con l’evoluzione delle scienze, e in particolare con la relativizzazione della meccanica newtoniana e delle geometrie euclidee, il modello matematico classico è andato in crisi. A questa situazione reagisce Giorgio Israel, che ne La visione matematica della realtà propone un nuovo modello di matematizzazione della natura, che intende superare i limiti delle posizioni precedenti. In tal senso, la visione matematica della realtà diviene, da una parte, la storia della matematizzazione della realtà da Platone a Newton, con i suoi pregi e i suoi limiti, dall’altra ciò che oggi si definisce modellistica matematica. Eretta su base platonica, la natura di Galileo e Newton era caratterizzata da quegli elementi che hanno costituito la rivoluzione scientifica. La natura si presentava “scritta in caratteri matematici”, che fornivano un’immagine unificata e semplificata dei fenomeni. Un’interpretazione riduzionistica di tal genere, osserva Israel, aveva come fondamento la meccanica classica, secondo cui le leggi della natura procedevano in un ordine meccanicistico, analizzabile dall’osservatore. Quest’immagine del mondo comincia a vacillare, da una parte, con la scoperta delle geometrie non-euclidee e, dall’altra, con la meccanica quantistica, che mettono in crisi sia la concezione dello spazio, sia la neutralità dell’osservatore, che entrava in discussione nell’analisi dei fenomeni. Per di più, nota Israel, lo sviluppo di scienze non matematiche come la biologia e l’economia fornivano un nuovo approccio ai fenomeni non rigidamente quantitativo, ma pur sempre efficace. Da questa crisi dei fondamenti nasce un nuovo modello assiomatico della natura che, pur non fornendo una visione unificata della realtà, ne costituisce un linguaggio efficace. La nuova modellistica si definisce come rappresentazione in un linguaggio matematico della realtà che resta suscettibile di altre interpretazioni e che, per questo, non AUTORI E IDEE si esaurisce nella matematica. Questo linguaggio si serve dell’analogia tra fenomeni diversi che vengono di volta in volta raccolti in forme vuote, prodotte dall’osservatore. In altre parole, il nuovo linguaggio tiene conto dell’osservatore che descrive il mondo complesso dei fenomeni attraverso l’uso di metafore e analogie prodotte diversamente di volta in volta. La logica sintattica perde qui il carattere di linguaggio universale per diventare uno dei tanti linguaggi possibili ad usum di interpretazione della realtà. A questo proposito, lo studio di Roberto Casati e Achille C. Varzi, Buchi e altre superficialità, propone un’interpretazione empirica, filosofica e logica al tempo stesso, del concetto di “buco”. La questione è se il buco sia un ente realmente esistente, un’illusione percettiva o, piuttosto, un’entità metafisica. Infatti, se da una parte i buchi possono essere localizzati nello spazio e nel tempo come qualsiasi altro oggetto reale, dall’altra non ricevono un’identità dal materiale di cui sono formati. Per definire il buco, osservano allora Casati e Varzi, occorre analizzarne le forme, le capacità di interagire con gli altri oggetti, la provenienza. Il risultato di questa analisi è l’identificazione del buco come un individuo parassitario, in quanto dipende dal contorno, e immateriale. L’analisi ontologica a cui Casati e Varzi sottopongono il concetto di buco è accompagnata da una morfologica, che cerca di analizzare la formazione percettiva del buco, invisibile in un mondo a due dimensioni, tipo quello di Flatlandia, o carico di illusioni percettive, tipo quelle del vaso di Rubin, in cui il vuoto e il pieno si confondono e si inseguono all’infinito. Una volta analizzato il concetto di buco dal punto di vista verbale, viene fornito un quadro esauriente del concetto di buco anche a livello geometrico. Lo studio si chiude infatti con un’appendice di logica formale, in cui i concetti di vuoto, pieno, esistente, non esistente, e così via, appaiono in un ordine assiomatico e deduttivo. La logica diventa così un modo per cercare di cogliere quest’entità, sfuggente al pensiero razionale, nel modo più semplice possibile. A.S. Prini: il desiderio di essere Nel volume dal titolo IL DESIDERIO DI ESSERE. L’ITINERARIO FILOSOFICO DI PIETRO PRINI (Edizioni Studium, Roma 1996) vari autori esaminano l’opera filosofica di Pietro Prini mostrando come egli abbia cercato di coniugare la fede con la ragione, radicando l’esistenza umana nel vissuto corporeo e aprendola al mistero della fede attraverso il superamento sia dello spiritualismo astratto, sia del positivismo razionalista. Ne emerge così un ampio quadro della filosofia di Prini, il cui nucleo centrale è costituito dal desiderio di essere in contrapposizione al bisogno di avere, un desiderio inteso anche come “contemplazione creatrice” rivolta a Dio. Come sottolinea Dario Antiseri nel suo scritto Diritti della ragione e spazio della fede, Pietro Prini si oppone sia allo spiritualismo dei metafisici cattolici, sia al razionalismo del positivismo e del neopositivismo, con lo scopo di cogliere la peculiarità dell’esperienza religiosa. Secondo Prini, infatti, la filosofia cristiana, lungi dal saldarsi con la metafisica dogmatica, come credono certi filosofi cattolici, è perfettamente conforme alla dimensione contingente e finita dell’essere umano: la fede è un «mondo ontologicamente contingente». Con questo tuttavia, come osserva Giuseppe Riconda nel suo saggio Esistenzialismo e nichilismo, Prini non approda al nichilismo;. anziché rappresentare uno sbocco naturale del pensiero contemporaneo, il nichilismo, per Prini, può costituire un momento di passaggio per scoprire il senso autentico dell’essere. Come rileva Andrea Gonzi nel suo scritto L’ambiguità dell’essere e l’uscita dalla circolarità ontologica, per Prini l’enigma più sconvolgente dell’essere è il suo svelarsi nascondendosi e il suo essere sia identico a sé sia differente da sé. L’essere, come mette in chiaro Guido Traversa nel suo saggio Necessità e libertà: le articolazioni dell’essere nella “domanda fondamentale”, è caratterizzato da una originaria “ambiguità”, dovuta al fatto che l’essere si fonda contemporaneamente su tre principi: il principio di identità (Parmenide), il principio di ragion sufficiente (Leibniz) e il principio di coincidenza degli opposti (Cusano). In Prini questi principi si completano l’uno con l’altro, determinando la sintesi di necessità, libertà e finalità. Nella prospettiva di Prini, precisa Angela Maria Isoldi nel suo scritto Il paradosso umano: l’ascolto dell’essere e il discorso metafisico, l’affermazione dell’“ambiguità” dell’essere deve essere considerata come manifestazione della necessità di sostenere l’essere di ogni esistente contro la possibilità del suo “annientamento ideale”. Con uno scritto dal titolo Pensare è desiderare, Marianna Gensabella Furnari mette invece in evidenza come Prini esamini la dialettica tra bisogno e desiderio, sottoline30 ando la superiorità del desiderio sul bisogno. Il desiderio di essere, sostiene Prini con Gabriel Marcel, esprime il consenso umano a essere e coincide con la corporeità vissuta. Come precisano Isabella Lucchese e Nicola Grana in Situazione ed alterità del discorso, il logos diviene in Prini “intelletto d’amore” e, quindi, desiderio dell’altro: l’uomo si deve realizzare nella propria interiorità stabilendo un legame tra logos ed eros, che rappresenta «il fondo intimo e misterioso della nostra umanità». D’altra parte, sottolinea Lidia Giancola nel suo saggio Plotino e l’identità della contemplazione e dell’azione, Prini riprende la filosofia di Plotino, mostrando come la contemplazione coincida nello stesso tempo con l’essere e il fare, originando il pensiero inteso come “contemplazione creatrice”. Il platonismo di Prini, osserva Antonio Pieretti, che interviene su Platonismo ed umanesimo interiore: Plotino, Rosmini, Marcel, è caratterizzato dall’idea della liberazione dalle passioni in modo tale che l’anima possa ritornare nella propria interiorità. Infatti, è nella propria interiorità che l’anima trova il suo fondamento ontologico, il cui autentico significato è quello di realizzare la partecipazione mistica all’essere di Dio. D’altra parte, l’interpretazione del pensiero di Gabriel Marcel, rileva Aurelio Rizzacasa nel suo scritto L’interprete di Gabriel Marcel, spinge Prini a rivalutare la dimensione del corpo vissuto in contrapposizione a quella del corpo oggetto, considerandola come essenziale apertura al mistero dell’essere. Così l’itinerario filosofico di Prini, riprendendo la tradizione platonico-agostiniana, giunge all’affermazione di una sorta di “empirismo mistico” all’interno della filosofia esistenziale, che propone la “scelta dell’essere” e il superamento dell’avere. M.Mi. Critica dell’interpretazione scientifica del mondo È ormai opinione diffusa che la visione scientifica del mondo costituisca solo una delle possibili interpretazioni della natura. Con questa tesi Babette E. Babich, in NIETZSCHE E LA SCIENZA (trad. it. di F. Vimercati, Cortina, Milano 1996), riprende la filosofia nietzscheana e mostra lo scacco della scienza nei confronti dell’arte, unico sguardo esaustivo sull’esistenza umana. In linea con questa interpretazione si pone lo studio di Alan Cromer, L’ERESIA DELLA SCIENZA (trad. it. di M. Pasi, Cortina, Milano 1996), che affronta il problema della genesi accidentale della scienza dalla concezione animistica che originariamente caratterizzava il rapporto dell’uomo con la natura. Strutturato in modo sistematico e chiaro, lo studio di Babette E. Babich riprende il rapporto nietzscheano tra scienza e arte nei AUTORI E IDEE confronti della vita. L’interesse di Nietzsche per la scienza è sempre stato filtrato da una profonda critica che intendeva smascherare l’impresa scientifica dalla sua apparente innocenza. Seguendo quest’impostazione, Babich sottolinea tre elementi fondamentali, intorno ai quali ruota la concezione nietzscheana della scienza. In primo luogo, la critica del concetto di verità oggettiva e assoluta della scienza che, da baluardo del positivismo, diventa uno strumento fazioso e limitato in mano all’uomo contemporaneo. «Non esistono fatti, ma solo interpretazioni», ricorda Nietzsche, sottolineando come l’oggettività comporti sempre una scelta del soggetto nell’interpretazione dei fatti che condiziona a priori l’idea stessa di oggettività. Secondo Babich, lo scopo della scienza, nella sua ricerca di realtà immutabili e permanenti, è conseguenza di una sorta di malattia culturale, che esige regolarità e calcolabilità all’interno della natura in continuo divenire. La scienza diventa in tal senso l’ultima espressione della morale ascetica che pervade l’Occidente. Abbagliata dal mito della felicità, la scienza pretende di conservare la vita nella sua immobilità, fuggendo dal dolore e dalla morte che, al contrario, la caratterizzano nella sua più intima essenza. Da questa analisi Babich ricava il fondamentale carattere limitativo della scienza, inadeguata di fronte alla vita e alla sua complessità. Solo l’arte, ed è questa la conclusione di questo studio, riesce a tener conto del carattere dionisiaco della vita, a dar voce all’amor fati, unico approccio possibile all’esistenza. L’ideale estetico è quello dell’annientamento della soggettività, del piacere del divenire in tutte le sue componenti vitali, compresa l’esperienza del dolore. L’arte, osserva Babich, perde di vista l’illusione della felicità immobile e decadente della scienza, per cogliere l’attimo nella sua autenticità e fuggevolezza. Ne L’eresia della scienza, in cui l’impresa scientifica appare esclusivamente come sviluppo casuale del pensiero greco e occidentale, Alan Cromer intende dimostrare come la tendenza naturale dell’uomo porti in direzioni radicalmente opposte all’impresa scientifica. La tendenza innata dell’uomo, ricorda Cromer, è soggettivistica e animistica in quanto l’individuo, essenzialmente egocentrico, tende ad attribuire a sé l’operato del mondo. Questo spiega l’abitudine alla credenza e alla magia tipiche delle religioni e delle culture anche orientali. In Occidente, al contrario, lo sviluppo del pensiero greco, caratterizzato dalla riflessione critica e dal principio di non contraddizione, ha allontanato l’uomo dalla sua natura. Con atteggiamento darwinista, Cromer fa notare come determinate componenti biologiche e condizioni fortuite abbiano condotto, nella filosofia greca, allo sviluppo della matematica e, di conseguenza, al sapere scientifico. In tal senso, lo sviluppo della democrazia e del sapere pubblico avrebbero rafforzato l’impresa scientifica, che affonda le sue radici proprio nel controllo ripetuto delle sue asserzioni, diversamente dalla credenza, che esclude qualsiasi dimostrazione oggettiva e universale. In altre parole, il successo della scienza, secondo Cromer, sarebbe dovuto non ad una necessità della storia, bensì al concorso di determinati fattori, come la fiducia nel controllo intersoggettivo, che la hanno favorita. In tal modo, la scienza moderna perde, da un lato, la tipica connotazione di percorso obbligato del pensiero occidentale e la sua conseguente universalità, dall’altro diventa una deviazione fortuita e accidentale, e quindi particolare, del pensiero greco. A.S. Ermeneutica ed estetica Nel volume ERMENEUTICA E METODICA. STUDI SULLA METODOLOGIA DEL COMPRENDE- (Marietti, Genova 1996) Carlo Gentili contrappone l’ermeneutica adialogica di Gadamer, basata sulla continuità tra passato e presente, all’ermeneutica di Jauss, fondata sull’apertura al futuro e sulla possibilità del dialogo che implica il riconoscimento dell’alterità di ciò che viene interpretato. In MALINCONOIA ED EPOCHÈ (Mercurio, Vercelli 1995) Livio Bottani mette invece in risalto come i limiti dell’ermeneutica gadameriana risiedano nell’importanza eccessiva conferita alla componente conoscitiva. Evidenzia così l’enigma dell’opera d’arte che pone la coscienza di fronte alla nullità del mondo aprendo una ferita non rimarginabile. RE Secondo Carlo Gentili, l’ermeneutica filosofica di Gadamer si pone in contrapposizione alla tradizione storica dell’ermeneutica, intesa come tecnica e perciò come attuazione di un metodo. Solo con Schleiermacher l’ermeneutica perde, secondo Gadamer, il carattere di tecnica per acquisire la «dignità di una riflessione sul comprendere in generale». Tuttavia, secondo Bolher, fa notare Gentili, l’ermeneutica filosofica di Gadamer, come pure quella di Schleiermacher, risulta essere a-dialogica, caratterizzata dalla continuità rispetto al passato e quindi essenzialmente a-critica. Nella prospettiva gadameriana la contemporaneità è già posta dal testo, considerato come «eterno presente». In tal senso Gadamer riconduce la storicità del comprendere alla dimensione “sostanzialistica” della continuità, che priva la comprensione della componente “dialogica”, originando un’ermeneutica che non comporta la domanda e la risposta. L’ermeneutica di Jauss può essere considerata per Bolher un completamento della prospettiva avviata da Gadamer. Jauss infatti, osserva Gentili, si appropria, modificandolo, di uno dei concetti fondamentali della teoria gadameriana, la concezione per cui l’esperienza estetica modifica colui che la 31 compie. Esiste infatti, per Gadamer, un distacco temporale tra il testo e l’interprete, che può essere “produttivamente utilizzato”, anche se la modificazione del soggetto interpretante può avvenire per Jauss solamente se l’oggetto estetico o il testo si rivelano radicalmente diversi. In base a questa prospettiva la comprensione può verificarsi solo nel caso in cui venga riconosciuta l’alterità di ciò che deve essere compreso: solo in questo modo, sottolinea Gentili, viene difeso il carattere “dialogico” che consegue dall’ammissione dell’autentica diversità degli interlocutori. In tal senso, quella di Jauss può essere definita un’ermeneutica dell’alterità. Inoltre per Jauss, fa notare Gentili, il compito gadameriano della comprensione si realizza effettivamente nell’esperienza estetica e quindi nella ricezione dell’opera d’arte. Qui il significato dell’opera d’arte non viene stabilito definitivamente in maniera univoca, ma si costituisce a partire da un’“opacità” che lascia sempre aperta la possibilità di svelare tale significato. Sui rapporti tra ermeneutica ed estetica interviene anche Livio Bottani, che pur riconoscendo a Gadamer il merito di aver evidenziato come l’estetica consenta di determinare un cambiamento profondo nella vita quotidiana dell’uomo, lo accusa di attribuire troppa importanza alle componenti “mimetico-riconoscitive” dell’arte. Per quanto l’estetica gadameriana determini infatti una giusta comprensione dell’“ontologicità” dell’esperienza dell’arte, per ridurre il peso della conoscenza che in tal modo viene chiamata in causa è necessario recuperare l’estetica kantiana che considera l’opera d’arte in primo luogo come «sospensione di ogni giudizio e di ogni riconoscimento di ordine». Secondo Bottani, l’opera d’arte rivela il suo carattere enigmatico solamente se viene interpretata da un’ermeneutica del mistero e dell’enigma. Analizzando le tonalità affettive della noia, dell’acedia e della malinconia in diverse concezioni filosofiche, Bottani mostra come in esse la coscienza venga posta in relazione con la possibilità del nulla mondano e dell’assenza di significato. Così se la noia evidenzia la condizione emotiva del «ristare del tempo», l’acedia, invece, coincide con la noia mortale, mentre fa parte della melanconia sperimentare il senso dell’orrore che sorge dalla consapevolezza del nulla che vanifica ogni attività umana. Nella melanconia si attua una sorta di epochè e di distanziamento da ogni «ente semplicemente presente», che rivela il suo carattere fondamentalmente libero. Infatti, osserva Bottani, la ferita causata dallo sguardo melanconico sul nulla non potrà mai essere rimarginata definitivamente. Ne consegue che la coscienza del melanconico si trova in un continuo movimento di “spossessamento” e di “riappropriazione”; la sua ironia è privazione di ogni garanzia e di ogni certezza, in quanto produce un’insanabile “lacerazione” e rivela così il suo volto demoniaco. M.Mi. TENDENZE E DIBATTITI Albrecht Dürer, L’imperatore Carlo Magno (part.) 32 TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Sul mestiere dello storico Nella seconda metà del 1996 hanno visto la luce in Francia varie opere che tendono a riaprire un dibattito intorno alle discipline storiche, in cui storici di professione s’interrogano sui riflessi delle proprie convinzioni politiche o religiose, sul “mestiere” che esercitano e sul ruolo del sapere storico nell’orizzonte della contemporaneità. Tra queste opere si segnalano L’HISTORIEN ET LA FOI (La storia e la fede, Fayard, Parigi 1996), di Jean Delumeau; ENTRE MYTHE ET POLITIQUE (Tra mito e politica, Seuil, Parigi 1996), di Jean-Pierre Vernant; MYTHES GRECS, AU FIGURÉ DE L’ANTIQUITÉ AU BAROQUE (Miti greci, il senso figurato dall’Antichità al barocco, Gallimard, Parigi 1996), di Jean-Pierre Vernant e Stella Georgoudi; SUR LA “CRISE DE L’HISTOIRE” (Sulla “crisi della storia”, Belin, Parigi 1996), di Gérard Noiriel. Noto specialista di storia dei sentimenti e delle rappresentazioni religiose, autore di Histoire de la peur en Occident (Storia della paura in Occidente) e di Histoire du Paradis (Storia del Paradiso), Jean Delumeau ha raccolto in volume le risposte ottenute da una nutrita schiera di colleghi a due domande di notevole rilevanza: la prima, sull’influenza delle convinzioni religiose di ciascuno nell’esercizio del mestiere di storico; la seconda, sui riflessi della familiarità con la storia religiosa sulle posizioni personali dello storico credente. Secondo Delumeau, la tipologia dello studioso di storia religiosa è molto cambiata dagli anni Sessanta a oggi; non sembra infatti esservi una distinzione tra storia sacra, che godrebbe di uno statuto privilegiato, e storia profana; ma esisterebbe un’unica storia, la Storia, che non può sfuggire a un metodo di analisi critica. La fede in sé non sembra offrire uno strumento euristico in più allo storico della religione: se lo storico della religione non avesse alcuna sensibilità per i fatti spirituali, rischierebbe di non coglierne l’essenziale; la sua sensibilità deve servirgli a evitare di interpretare semplicisticamente, in termini riduttivi, fenomeni controversi come l’In- quisizione. Tutti gli studiosi, osserva Delumeau, sembrano tuttavia riconoscere alla propria fede il merito di averli tenuti lontani da spiegazioni totalizzanti e ideologicamente riduttive, soprattutto da quelle di ascendenza marxista, al cui richiamo solo gli storici cristiani sembrano avere resistito. Paradossalmente la fede, nel momento in cui presuppone il fatto che la storia sia dotata di un senso, mette gli studiosi credenti al riparo dall’inclinazione ad assolutizzare un ambito che sembra essere anzitutto quello del relativo. Lo storico credente, fa notare Delumeau, non deve fare astrazione dalla propria fede, ma cercare, basandosi su di essa, di capire le posizione diverse o avverse, lottando contro ogni forma di dogmatismo e contro l’autocompiacimento precoce nel lavoro di scavo e di interpretazione delle fonti. Sul piano teologico, la conoscenza storica, attraverso la ricostruzione dell’origine di dogmi e contrasti, mostra il ruolo di fattori contingenti nel loro emergere, svolgendo in questo modo una funzione demistificante. Nella sua autobiografia Jean-Pierre Vernant rivela di essersi dedicato allo studio della Grecia antica non solo a causa della sua ammirazione per la letteratura classica in generale e per Platone in particolare, ma anche per evitare quei condizionamenti che, data la sua fede politica marxista, vedeva in agguato nello studio e nell’interpretazione della contemporaneità. Il suo rapporto con il marxismo voleva essere dinamico e differenziato, muovendo dall’utilizzo e dalla riattualizzazione del pensiero di Marx, in quanto teoria critica, al rifiuto di ogni dogmatismo, in special modo, del messianismo inerziale legato ai partiti comunisti. Punto di convergenza tra le proprie aspirazioni di militante antifascista e quelle di storico dell’ellenismo risiede nell’investigazione di un particolare tipo di razionalità nella Grecia classica, la ragione democratica. La sua indagine sull’antichità non ha potuto non avere, come conseguenza di più ampio raggio, un chiarimento e una messa in prospettiva degli aspetti e dei problemi della democrazia contemporanea. Centrale è la riflessione condotta da Vernant su una nozione-chiave del mondo classico, quella di philia, la cui funzione per gli antichi 33 Greci era di rendere omogeneo un gruppo senza tuttavia escludere le tensioni, o addirittura le rivalità interne: «Il sentimento profondo della comunità di eguali» - scrive Vernant - «include sempre l’idea di una competizione». La democrazia significa discussione, implica la possibilità del conflitto, e l’amicizia, la condivisione di un percorso con altri, racchiude al proprio interno l’eventualità di una rottura, di una divisione, maturata sulla base di una «fedeltà a se stessi» e ai propri ideali di partenza, inizialmente condivisi con il gruppo. Gli altri interlocutori, idealmente amicirivali, con cui Vernant si confronta in questo “diario di viaggio” nel mestiere di storico, sono Martin Heidegger, a proposito dell’interpretazione dei presocratici, e Louis Althusser, fautore di una concezione della storia come “processo senza soggetto”. Il percorso esistenziale e scientifico di Vernant sembra dunque confermare le conclusioni dell’inchiesta di Delumeau sul potere demistificante della storia: anche per chi, come lui, sceglie un terreno di indagine “lontano nel tempo”, il mestiere di storico si è rivelato un deterrente contro gli accecamenti dell’ortodossia. La riflessione di Gérard Noiriel, storico e sociologo che si è occupato della questione dell’immigrazione e del diritto di asilo, è invece volta a individuare e descrivere ciò a cui si riferiscono gli specialisti quando parlano di “crisi della storia”. In particolare, Noiriel s’interroga sull’apparente contraddizione tra due versanti, quello della scrittura commemorativa e quello della trasmissione didattica dei saperi e dei metodi, in cui sembrano scindersi le produzioni degli storici professionisti contemporanei. Secondo Noiriel, fin dal XIX secolo la pratica della storia è riconoscibile come pratica plurale: pratica dei saperi e delle competenze che costituiscono l’oggetto stesso del mestiere di storico; pratica di potere, legata alla funzione di trasmissione, ossia all’insegnamento; pratica della memoria, legata alle comunità a cui i singoli studiosi appartengono. L’equilibrio tra questi diversi livelli diventa problematico nel momento in cui, con la nascita di una comunità scientifica definita da una identità professionale (nelle università tedesche del XIX secolo), questi livelli si trovano TENDENZE E DIBATTITI riuniti e intrecciati in un’unica attività. La professionalizzazione della storia, osserva Noiriel, mette in luce la tensione esistente tra lo storico come “pubblico funzionario”, sottoposto a condizionamenti da parte dello Stato da cui dipende, e l’autonomia di una pratica conoscitiva intesa come sapere critico. Si è assistito così, soprattutto nel secondo dopoguerra e per ragioni burocratiche, all’aprirsi di un divario tra storici organici all’establishment e outsiders, divario ulteriormente accresciuto dalle attuali discussioni sull’oggetto e la natura della conoscenza storica. Polemiche teoriche che si sono incentrate via via sulla svolta linguistica, sulla svolta critica o su quella epistemologica, per mettere in questione l’obiettività o verità storica, i rapporti tra realtà e finzione, tra descrizione scientifica e racconto, facendo slittare i termini del confronto dal terreno dei metodi a quello della scrittura storica. Secondo Noiriel, gli storici dovrebbero abbandonare questi “vani” dibattiti speculativi, per tornare a riflettere collettivamente sull’insieme delle loro pratiche concrete, perché la “funzione sociale” della storia si fonda sulla sua capacità di distruggere le falsificazioni, fornendo una conoscenza il più possibile “adeguata” di ciò che è stato, attraverso un vero e proprio “lavoro sul campo”. D.F. Poesia e filosofia L’opposizione che da sempre esiste tra poesia e filosofia, come quella tra mito e logos, sembra essere, ultimamente, meno evidente. Ne parlano, inserendosi nel dibattito contemporaneo, diversi autori nell’annuario FILOSOFIA ’95, (Laterza, Bari-Roma 1996), curato da Gianni Vattimo. La caduta dei grandi sistemi e il conseguente indebolimento della filosofia come scienza specifica hanno ridotto le distanze che separavano la filosofia stessa dalle altre discipline. Se un tempo era improponibile accostare la poesia alla filosofia, e pertanto l’immaginazione alla ragione, oggi il discorso diventa possibile se non auspicabile. Gianni Vattimo, nell’introduzione a Filosofia ’95, si chiede se l’accostamento sia dovuto ad una questione di utilità o di necessità. Nel primo caso, la poesia e il pensiero per immagini risultano uno strumento di divulgazione e quindi utile al logos, alla maniera del mito in Platone; nel secondo caso, la poesia diventa uno strumento indispensabile alla filosofia in quanto costituisce la capacità di pensare per immagini, fondamentale per il pensiero logico alla maniera di Aristotele nel De Anima. Esaminando l’opera di Vico e di Leopardi, Sergio Givone nota il forte legame tra verità e bellezza, e quindi tra filoso- fia e immaginazione, che conduce ad una posizione di deciso nichilismo. In Vico lo sviluppo circolare dell’umanità si fonda sull’immaginazione che, pur costituendo l’errore e l’illusione, fornisce la base necessaria per produrre la ragione e la filosofia: la «riflessione con mente pura» deve la sua esistenza «all’animo perturbato e commosso», che diventa da una parte la dimensione da superare e correggere perché ingannevole, dall’altra la base della ragione stessa. In Leopardi poesia e filosofia conducono al nulla, ovvero alla dimensione d’essere dell’uomo. Se la poesia e la bellezza portano alle illusioni della giovinezza, la filosofia e la verità portano al disinganno, che apre, senza via di scampo, la dimensione del nulla. Meno tragica e più esistenziale è la posizione di Gaetano Chiurazzi che analizza il concetto di possibilità all’interno del discorso ontologico. Chiurazzi confronta la modalità, e quindi la categoria della possibilità, tipica della poesia e del mondo dell’immaginazione, nel pensiero di Kant e di Heidegger. Se nel primo la possibilità risulta essere solo una categoria dell’intelletto e quindi accidentale, nel secondo la possibilità diventa un esistenziale, un modo d’essere del Dasein che è colto anche e soprattutto nella tonalità emo tiva. In a ltre parole, Heidegger si rende conto che anche la comprensione e il processo razionale necessitano di quella Stimmung che diventa costitutiva dell’esserci. Lo sviluppo di questo pensiero, nota Chiurazzi, porterà Heidegger alla svolta e alla teorizzazione della poesia che apre alla verità e alla costituzione del senso, fondato, quindi, sull’immaginazione. Non solo poesia e filosofia, ma anche matematica e filosofia costituiscono l’oggetto di riflessione di Maurizio Ferraris, che cerca un legame costitutivo tra queste dimensioni del pensiero: la matematica diventa una costruzione sulla “tabula mentale” attraverso le immagini che presuppongono lo scorrere nel tempo. Lo stesso discorso vale per la poesia e la filosofia che, pur utilizzando da una parte le intuizioni e dall’altra i concetti, necessitano di un processo costruttivistico che presuppone, ancora una volta, il tempo. In altre parole, secondo Ferraris esiste una corrispondenza tra il sentire nella tabula e il pensare delle forme a priori che prescinde da qualsiasi priorità. In questo modo, la soluzione diventa una sorta di corrispondenza leibniziana, in cui l’a priori e l’a posteriori si intrecciano l’un l’altro in una corrispondenza senza fine. A.S. 34 Nuovi studi di filosofia politica Tra i recenti studi di filosofia politica ve ne sono alcuni orientati a rimettere in discussione i paradigmi stessi di costituzione del politico; altri intendono ripercorrere gli autori fondamentali da cui questi stessi paradigmi derivano, nell’esigenza di verificarne ancora la portata: è questo il caso dell’antologia di scritti curata da Roberto Esposito, OLTRE LA POLITICA (Bruno Mondadori, Milano 1996), in cui viene riproposta una messa in discussione radicale del concetto stesso di “politico”. Un’altra schiera di studi si propone invece di fornire nuove letture complessive di grandi pensatori: LA FILOSOFIA POLITICA DI KANT (FrancoAngeli, Milano 1996), di Filippo Gonnelli; ROUSSEAU. LA POLITICA E LA STORIA, (Guerini e Associati, Milano 1996), di Alberto Burgio; RAZIONALITÀ E POLITICA. FONDAMENTI DELLA RIFLESSIONE DI HEGEL E DI WEBER SULLA BUROCRAZIA (FrancoAngeli, Milano, 1996), di Cristiana Senigaglia; CARL SCHMITT E LA TRADIZIONE MODERNA (Laterza, Roma-Bari 1996), di Geminello Preterossi. Perché andare oltre il politico? Secondo Roberto Esposito , il “politico” è costitutivamente esposto alla negazione dei suoi stessi valori-guida: sono la sua stessa opera di politicizzazione, insieme al nesso potere/bene, che necessariamente divorano i suoi presupposti. La salvezza del politico sta fuori di esso, nell’«impolitico», che non significa «spoliticizzazione», in quanto questa è ancora una categoria interna al politico stesso. L’«impolitico» assume che il bene non è rappresentabile dal potere e assegna unicamente a quest’ultimo la sfera della forza. Di conseguenza, sostiene Esposito, esso rappresenta lo stesso realismo politico visto da una prospettiva rovesciata. L’«impolitico» non è antagonistico al politico, ma «altro» rispetto a esso. Così le vie dell’impolitico possono essere o quella “ascetica”, percorsa da Simone Weil, o quella “estatica”, a cui si rifà Bataille. Comprendere e uscire dal politico significa, per Esposito, guardare ai pensatori che con esso hanno intrattenuto una sorta di rapporto di implicazione essenziale a distanza, che lo hanno attraversato con un bagaglio formativo e concettuale a esso non assimilabile, sebbene da esso permeabile. Nel suo studio monografico su Kant, Filippo Gonnelli ripercorre le diverse letture con cui il pensiero politico di Kant è stato di volta in volta proposto o come ambito di riferimento dei fondamentali postulati liberali, o come concezione inassimilabile a un’ottica genuinamente liberale. Emerge così un’immagine frantumata di Kant, contro cui si tratterebbe invece di far valere le linee interne di composizione. Gonnelli TENDENZE E DIBATTITI non manca di evidenziare le fratture e i passaggi presenti nel discorso kantiano lungo il corso della sua elaborazione, sebbene con ciò non si pervenga a risultati di carattere aporetico. Il luogo particolarmente critico è quello in cui Kant pone l’esigenza di saldare la libertà individuale con la sovranità popolare. Contro il giudizio, risalente già a Voltaire, ma avvalorato da un critico della statura di Starobinski, per cui la visione teorica di Rousseau risulterebbe antistorica (naturalistica) e antimoderna, lo studio di Alberto Burgio intende invece mostrare come la storia costituisca un elemento centrale nella filosofia politica rousseauiana. A Rousseau, sottolinea Burgio, andrebbe tolta la pesante accusa di “capostipite del totalitarismo democratico” e riconosciuta la facoltà di critico della società e del “progresso incompiuto” nello stesso processo di emancipazione, che rischia di lasciare ai margini tutta la schiera di coloro che non possiedono né abilità né talento. Da qui il suo ideale di democrazia che si indirizza al godimento realmente universale dei diritti politici e del benessere sociale. La teoria politica di Rousseau appare, secondo Burgio, come una prima formulazione, critica per un verso e propositiva per l’altro, di ordinamento politico visto dall’ottica dei proletari. Sulla base di questo stesso approccio interpretativo, ci si dovrebbe allora chiedere perché la democrazia rousseauiana non assuma tratti di un sistema che postula appunto la “dittatura degli uguali”. In effetti, osserva Burgio, il nesso tra volonté générale e giacobinismo (che non troviamo in Rousseau) non è così facilmente risolubile senza cadere fatalmente nella improponibile volonté des tous (che è invece lo statuto ineliminabile delle democrazie inegualitarie o “liberali”). Pare difficile perciò riproporre la validità del discorso rousseauiano senza assumerne contemporaneamente anche la radicalità: la democrazia non è solo consenso generale; ma proprio perché vuole essere tale al di là dei particolarismi, essa non può che postulare l’atto di forza delle minoranze che credono di interpretare un bene comune altrimenti non rinvenibile. Cristiana Senigaglia propone invece un confronto tra la concezione di Hegel e le formulazioni di Max Weber in fatto di burocrazia che entrambi intendono come una configurazione centrale dello Stato moderno, in grado di esprimerne il suo carattere di razionalità. Ma mentre per Hegel lo Stato, attraverso il ceto dei funzionari, fa propria la capacità di penetrare l’intero cogliendo in uno sguardo complessivo l’intera strutturazione della società, per Weber la burocrazia diventa un momento, per quanto caratterizzante dell’attività statale, privo di qualsiasi riferimento sostanziale al perseguimento dell’interesse comune; a garantire il suo carattere di generalità basta infatti il solo riferimento formale alle procedure legali-razionali. Dunque, osserva Senigaglia, è a proposito del valore da attribuire alla razionalità burocratica che le posizioni dei due pensatori divergono notevolmente: se in Hegel è presente una connotazione fortemente etica della burocrazia, interprete della volontà generale dei cittadini, per Weber la razionalità burocratica perde qualsiasi riferimento rispetto ai valori e si connota essenzialmente come razionalità di scopo, connessa a funzioni interamente formali. Per Hegel si tratta ancora di trovare il luogo costitutivo della volontà generale; Weber sembra presagire invece i pericoli insiti nella moderna costituzione della sovranità politica, proprio nella misura in cui essa vuole darsi come espressione di una volontà generale. La critica della burocrazia in Weber, che si snoda parallelamente alla sua profonda sfiducia rispetto a ogni soluzione di carattere genuinamente democratico, mostra già l’eclisse della volontà generale come paradigma costitutivo della sovranità politica. Proprio con Schmitt, rileva Geminello Preterossi, emerge il carattere non costitutivamente liberale insito tanto nell’idea di rappresentazione, quanto in quella di volontà generale. Nel suo studio su Carl Schmitt e la tradizione moderna, Preterossi ci offre una ricostruzione dell’evoluzione intellettuale complessiva di Schmitt, basata su alcuni nuclei tematici rilevanti, quali quelli di “costituzione”, “sovranità”, “neutralità”, che consentono di collocare il giurista tedesco all’interno della tradizione giuridico-politica moderna. Mettendo in luce i presupposti filosofici e antropologici della moderna dottrina dello Stato, Schmitt stesso avrebbe contribuito più che altri proprio al definirsi della “modernità politica” in quanto tradizione i cui paradigmi classici sono dati da Hobbes, Descartes, Hegel e la cui modellistica giuridica si rifà alla dottrina tedesca dello Stato dell’Ottocento. G.B. Hegelismo francese A testimonianza del rinnovato interesse per la ricezione del pensiero di Hegel in Francia, dovuta a pensatori quali Jean Hyppolite, Alexandre Kojève, Alexandre Koyré, Jean Wahl, la rivista «FENOMENOLOGIA E SOCIETÀ» (n. 2-3, XVIII, 1995) pubblica due saggi di Jean Hyppolite, inediti in Italia, dedicati a Martin Heidegger e alla sua interpretazione di Hegel, e gli atti del convegno “Lo hegelismo francese: bilancio di una ricezione filosofica”, organizzato dal Seminario permanente di filosofia contemporanea e tenutosi presso l’Istituto filosofico Aloisianum di Gallarate (17-18 novembre 1995). Tra i vari contributi presenti nel fascicolo di «Fenomenologia e società» dedicato 35 allo hegelismo francese, Judith Revel ricorda che nella Francia degli anni Trenta la ricezione del pensiero di Hegel appare funzionale a una reazione nei confronti, anzitutto, del positivismo e dello spiritualismo, allora prevalenti nella cultura e nella riflessione filosofica francese. Per Kojève, la Fenomenologia dello spirito è il “libro dei libri”, che compendia e racchiude in sé la possibilità per ogni ulteriore elaborazione; dopo di essa, alla fine della storia, la riflessione può essere soltanto commento, ripetizione all’infinito del già detto. Ciò spiega l’imporsi in Kojève di un linguaggio “romanzesco”, nonché la genesi dei romanzi “hegeliani” di Raymond Queneau. Come sottolinea Adelino Zanini nel suo contributo, spesso la “scoperta” di Hegel in Francia si sviluppò a partire da prospettive che non sono hegeliane. Hegel viene riscoperto con e per mezzo dei suoi avversari, osservava Hyppolite: lo Hegel di Jena e della Fenomenologia viene letto insieme agli inediti del giovane Marx. Nella sua posizione Hyppolite, osserva Zanini, sintetizza alcune delle letture hegeliane più importanti dell’epoca, finalizzandole a un confronto con i filoni di pensiero che erano, all’epoca, più vicini a Hegel: il pensiero marxiano e quello esistenzialista. Partendo dal primato conferito da Hegel alla dimensione tragica dell’esistenza umana, Hyppolite giunge, anche attraverso l’influsso di Heidegger, a conferire primato all’aspetto logico. In questa prospettiva la teoria marxiana dell’alienazione diventa, per Hyppolite, un caso particolare della teoria hegeliana dell’oggettivazione, sebbene, secondo Zanini, Hyppolite pecchi qui di considerazione riduttiva del pensiero marxiano, a cui fa riscontro una considerazione altrettanto riduttiva dello stesso pensiero hegeliano. Secondo Flavio Cassinari, l’evolversi della lettura hyppolitiana di Hegel nel corso degli anni Cinquanta, con il conferimento al sapere logico del primato nei confronti di quello fenomenologico, testimonia l’influsso del pensiero di Heidegger sulla riflessione di Hyppolite. Il permanere dell’interesse di Hyppolite per la Fenomenologia dello spirito richiama un contesto in cui il riferimento non va al «pensiero dell’essere», prefigurato negli scritti heideggeriani dopo gli anni Venti, bensì a Essere e tempo. Ciò si spiega, secondo Cassinari, con la centralità che, nell’ultima fase della riflessione di Hyppolite, acquisisce la questione della finitezza umana, nella sua connessione con quella della storia. Mettendo a fuoco i rapporti tra Kojève e Strauss, Mario Piccinini individua l’esistenza, fra i due autori, di un retroterra comune, costituito, in primo luogo, dall’interpretazione antropologica della Fenomenologia hegeliana da parte di Kojève, da un lato, e dalla lettura di Hobbes, sviluppata da Strauss, dall’altro. Sulla base della collaborazione con la rivista di Kojève, «Récherches philosophiques», in Strauss emer- TENDENZE E DIBATTITI ge per la prima volta in maniera dichiarata l’urgenza di una riconsiderazione di Platone e comincia a prender forma la successiva interpretazione di Hobbes. Da questo stesso terreno nascono anche, secondo Piccinini, le molteplici modalità attraverso le quali Kojève, negli anni successivi, avrebbe declinato il tema della “fine della storia”. Affinità e differenze tra la posizione di Kojève e quella di Husserl sono invece al centro del contributo di Luigi Franco. Secondo Kojève, il metodo autenticamente filosofico e hegeliano consiste nell’assicurare l’adeguazione del pensiero all’essere, così che il corretto atteggiamento del saggio corrisponde alla pura e passiva contemplazione. Nel pensiero di Kojève, il pensiero proiettato verso l’avvenire dà vita a una filosofia della storia che ne prevede il compimento e, dunque, una chiusura; in Husserl, al contrario, pare proporsi un’apertura costante. Punto di contatto tra Kojève e Husserl, osserva Franco, è la questione del tempo. L’apertura del futuro rappresenta un tema decisivo nella riflessioni husserliane, in quanto essa fonda la possibilità di un tempo “storico”. Nel suo contributo Maria Laura Lanzillo mette in evidenza come la sua concezione della storia e il problema della fine della storia in Hegel diano avvio al dibattito tra Wahl, Hyppolite e Kojève sul reale rapporto tra filosofia della storia e filosofia della vita. In tal senso la Fenomenologia viene letta come tentativo di comprendere il proprio tempo quale meta e termine ultimo della storia umana; la storia diventa qui, al tempo stesso, soppressione della storia; ma la storia è anche la presa di coscienza di sé, che culmina nel sapere assoluto. Per questo, osserva Lanzillo, la fine della storia coincide con l’ottenimento della conformità tra realtà e discorso; si offre, cioè, un criterio di valutazione a chi pretende di giudicare il mondo. Dopo aver sottolineato l’estraneità dell’indagine kojèviana alle problematiche trattate nella filosofia del diritto di Hegel, Massimiliano Guareschi ha individuato nel Concetto del politico di Carl Schmitt il testo a partire dal quale si sviluppa il tentativo di Kojève di definire l’ambito del diritto. Tra gli elementi di temporalizzazione che Kojève introduce nella propria fenomenologia del diritto, al fine di storicizzarla, rileva Guareschi, vi è, anzitutto, la distinzione fra diritto in potenza e diritto in atto, e la ripresa delle tematiche di antropologia filosofica che il filosofo francese aveva messo a punto, a partire dalla Fenomenologia dello spirito. Le figure della giustizia sono ricalcate su quelle della dialettica del riconoscimento, e dunque corrispondenti a esse: giustizia dell’uguaglianza (signore), dell’equivalenza (servo) e, come risultante della loro dialettica, giustizia dell’equità (stato universale e omogeneo). La ricezione, in Kojève, della figura di Hegel come di un fenomenologo descritti- vo di impronta husserliana, è al centro dell’intervento di Victor Descombes. Nella grammatica di Port-Royal, sottolinea Descombes, attraverso una ripresa della nozione scolastica dell’intenzionalità, il verbo viene definito come l’azione intenzionale, laddove vengono a identificarsi la forma passiva e quella attiva; il soggetto è qui colui che subisce l’oggetto dell’azione medesima. È su questo terreno che si fonda, in Kojève, l’idea di una storia intenzionale degli oggetti. Questo tema, osserva Descombes, rappresenta la traduzione, in ambito fenomenologico, dell’idea di una realtà che si costituisce attraverso la storia degli attori umani: poiché l’accadimento intenzionale per eccellenza è l’imposizione del nome alle cose, la realtà viene costituita e mutata in forza dei discorsi su di essa. Anche in Derrida, rileva Descombes, si ripropone l’idea della storia intenzionale, laddove si sottolinea il fatto che la storia degli oggetti matematici consista nella storia delle intenzioni dei matematici, che danno così luogo all’oggetto (matematico) della loro conoscenza. M.C. Le forme dell’ermeneutica Con tre studi di carattere espressamente teoretico: ORFEO E IL SUO CANTO, di Vittorio Mathieu; ONTOLOGIA DELL’ESSERCI, di Dario Vicari; IL RITORNO DEL POSSIBILE, di Ugo Ugazio (Zamorani, Torino 1996) hanno preso avvio i «Quaderni di ermeneutica filosofica», promossi dal Dipartimento di Ermeneutica filosofica e tecniche dell’interpretazione dell’Università di Torino. I volumi intendono contribuire allo sviluppo del dibattito filosofico che, a vario titolo, si può ricondurre all’ermeneutica, intesa non solo come un’efficace chiave interpretativa delle più diverse prospettive filosofiche, ma anche e soprattutto come un approccio teorico che getta ponti tra diverse tradizioni ed esplora variamente la filosofia e la sua storia. Con Orfeo e il suo canto, Vittorio Mathieu propone una raccolta di saggi dal 1950 al 1993 (una riflessione su Galileo filosofo, ma anche sul rapporto poesiaverità in Vico, sulla teoria delle idee di Schopenhauer, sul binomio tempo-eternità in Bergson e Proust), il cui filo conduttore può forse essere individuato, come nota Guglielmo Gallino nella “Postfazione” al volume, nell’unità della scrittura che si fa ricerca di stile per mostrare i limiti di una realtà che non è mai completamente rappresentabile. La ricerca di Mathieu è prima di tutto il risultato di una sintesi tra impegno teoretico e storico, ma, anche, tra discipline profondamente differenti, quali estetica, morale, diritto, e ancora matematica, 36 fisica, economia e biologia. In questo frastagliato panorama teorico, il progetto ermeneutico, oltre che il ruolo dell’interprete, si rivelano essenziali, dal momento che formano il nucleo decisivo attorno a cui si gioca la “tenuta” dell’intera ricerca. L’ermeneutica di Mathieu si colloca nell’ambito della fenomenologia, tuttavia non appartiene ad una fenomenologia di stampo husserliano, quanto piuttosto ad una prospettiva che si richiama direttamente a Hegel. La ricerca di senso si attua in Mathieu all’interno di un orizzonte aperto, in cui non tutto è soggetto a spiegazione, e in cui la funzione dell’interprete, partecipe di una ben precisa dimensione storica, si fa essenziale. Siamo sulle orme di Heidegger, Gadamer e Ricoeur: il filosofo è condizionato dal sistema dei propri pregiudizi, tuttavia tale situazione, ricorda Mathieu, non impedisce l’emergere del senso, purché l’interprete stesso decida di intervenire sul complesso dei condizionamenti, assumendosi l’impegno di modificarli a seconda della normatività richiesta di volta in volta dall’atto interpretativo. Lo studio di Dario Vicari, Ontologia dell’esserci, ha come oggetto i primi anni di insegnamento di Heidegger (dalla tesi di abilitazione del 1916 fino al 1923, anno in cui il filosofo tedesco tenne il suo ultimo corso a Friburgo) e si sofferma soprattutto sulla riproposizione della “domanda sull’uomo”, ovvero su quell’ontologia dell’esserci che Heidegger andava sviluppando proprio in questo periodo: la nostra epoca, l’epoca del definitivo imporsi delle scienze e dello sviluppo delle ontologie parziali, non è stata in grado, secondo Vicari, di rispondere al quesito centrale su che cosa sia l’uomo. Il succedersi di visioni del mondo, tutte parziali e relative, è testimone del fallimento delle più tradizionali posizioni antropologiche: quella dell’uomo possessore della ratio (dunque, la filosofica), quella dell’uomo come imago dei (ovvero la cristiano-teologica), e infine quella dell’antropologia scientifica, che pone gli individui sul gradino più alto della scala evolutiva. I lavori heideggeriani degli anni Venti e, più in particolare, del periodo di Friburgo, sarebbero da interpretarsi, secondo Vicari, non tanto come la volontà di elaborare una nuova Weltanschauung (visione del mondo) antropologica, in opposizione a quelle dalla tradizione, bensì come il tentativo di progettare una “ontologia dell’esserci” che abbia come fondamento la distruzione dell’idea di un uomo come animale razionale, per lasciar semplicemente vedere l’ente in questione (l’uomo) a partire dal suo manifestarsi. Ancora d’argomento heideggeriano è il lavoro di Ugo Ugazio, Il ritorno del possibile, che esamina le ragioni della metafisica in tutto il suo svolgersi storico. Da sempre, nota Ugazio, il problema più rilevante per il pensiero metafisico non è la salvezza dell’uomo o dell’ente in generale, bensì TENDENZE E DIBATTITI l’apertura dell’essere come verità. Per questo la filosofia non può concludersi, perché il suo oggetto non è qualcosa che possa trovare un compimento, e, di conseguenza, l’interrogazione metafisica si deve necessariamente articolare nella ripetizione. L’uso pragmatico, infatti, non esaurisce affatto il pensiero e, al di là della prassi, tutto ciò che resta è la domanda sull’essere che costituisce fin dalle origini il problema stesso del pensiero; esso infatti, sospendendo il proprio uso pratico e sopportando l’angoscia data dal “nulla di utilizzabile”, non scopre una realtà semplicemente presente, bensì la forza di un interrogativo cui non si può rispondere richiamandosi alla pura utilizzabilità. In questa prospettiva, sostiene Ugazio, il problema metafisico è quello del “perché” aristotelico, piuttosto che quello della “certezza” cartesiana. A partire da Cartesio, la filosofia ha creduto di potere porre con più radicalità i propri interrogativi; tuttavia è proprio con Cartesio e con tutta la filosofia moderna che il pensiero dimentica le sue origini e il suo legame con la vita. Perciò, il tentativo fatto dalla filosofia moderna di stabilire i propri fondamenti prescindendo dal pensiero greco rappresenta l’errore specifico e fondamentale. T.A. Metafisica, epistemologia e storia Due opere di ricostruzione storico-critica delle interazioni tra metafisica, epistemologia e storia nella cultura francese del primo Novecento: BERGSON ET BACHELARD (Bergson e Bachelard, Presses Universitaires de France, Parigi 1995), di Marie Cariou, ed EPISTEMOLOGIA E STORIA. UN PENSIERO ALL ’APERTURA NELLA FRANCIA TRA LE DUE GUERRE (FrancoAngeli, Milano 1996), di Enrico Castelli Gattinara, richiamano in primo piano l’esperienza francese dell’intreccio tra storia ed epistemologia per una più articolata riflessione sulle forme della razionalità scientifica. Ad arricchire l’indagine sulle origini dell’epistemologia francese e sul rapporto metafisica-epistemologia contribuisce l’edizione italiana del noto volume di Henri Bergson, MATERIA E MEMORIA, SAGGIO SULLA RELAZIONE TRA IL CORPO E LO SPIRITO (a cura di A. Pessina, Laterza, Roma-Bari 1996). MONDIALI Alla presentazione dell’atmosfera culturale francese degli anni Venti, nell’intreccio tra sapere storico, filosofia ed epistemologia, è dedicato lo studio di Enrico Castelli Gattinara, che ricostruisce il tessuto di interazioni tra cultura storica ed epistemologica francese nel periodo tra le due guerre, al fine di individuare i modi in cui è stata affrontata in Francia la questione della “crisi della ragione”, rimarcando l’esito positivo e “forte” che tale crisi ha avuto nella cultura francese e che ha condotto al consolidamento di un “pensiero dell’apertura”, ovvero di una nuova razionalità storica ed epistemologica. Mentre nel mondo culturale mitteleuropeo si sviluppa un pensiero negativo intorno al tema della “crisi della ragione”, che si allontana consapevolmente dal sapere scientifico, in Francia si realizza un originale intreccio di proposte provenienti da filosofi, epistemologi e storici sul problema della scientificità della storia e sul metodo storico. Nel ricostruire tale dibattito, Castelli Gattinara indica come paradigmatico della nuova epistemologia il nascere a contatto con la nuova scientificità relativistica e quantistica; sul versante delle scienze umane la nuova fisica produce una rivoluzione concettuale che investe la gnoseologia tradizionale e impone la nascita di un terreno autonomo per l’epistemologia. La “doppia articolazione” fra storia ed epistemologia produce ripercussioni profonde sull’indagine storiografica, sugli interrogativi filosofici e sulla ricerca epistemologica sul metodo scientifico. Il riconoscimento del carattere storico e aperto della ragione si presenta quindi come l’esito più maturo di una filosofia della scienza che, pur legata alle sue origini cartesiane e positiviste, intende la necessità di un rinnovamento del razionalismo classico. Entrando nell’ambito specifico della cultura storica Castelli Gattinara si sofferma su alcune delle principali tendenze della storiografia francese del Novecento. Un’attenzione particolare viene rivolta alla “filosofia della sintesi” di Henri Berr, ritenuto elemento di cerniera fra gli epistemologi, gli scienziati e gli storici. Parimenti viene esaminato l’apparato concettuale della nouvelle histoire , con analisi specifiche delle posizioni di Lucien Febvre e di Marc Bloch. Uno spazio a sé stante assume nella ricostruzione di Castelli Gattinara la storia delle scienze, letta nel suo duplice asse francese: l’epistemologia storica di Gaston Bachelard e la storia epistemologica e fenomenologica di Alexandre Koyré. La storia delle scienze si presenta dunque in Francia come “laboratorio” della filosofia, permettendo di intendere la dialettica tra reale e razionale e di assumere la verità scientifica nel suo sviluppo storicamente diversificato. Sempre nella direzione di una ricostruzione problematica della fase nascente dell’epistemologia storica, il saggio di Marie Cariou si propone di mettere in atto un’indagine retrospettiva sulla storia dell’epistemologia francese leggendo l’opera di Bachelard alla luce delle concezioni di Bergson. Ne emerge la proposta di una duplice ricongiunzione: tra la dimensione della rêverie e quella della scienza all’interno della produzione bachelardiana, e tra il crepuscolo della metafisica testimoniato da Bergson e 37 l’aurora dell’epistemologia apparsa con Bachelard. Pur celate dietro una presa di posizione polemica, le tesi centrali del pensiero bachelardiano paiono a Cariou ritrovare il loro fondamento nell’opera di Bergson: il carattere storico e approssimato della scienza, l’immaginazione creatrice e aperta, la connessione tra il sapere scientifico e la metafisica sono tratti del “nuovo spirito scientifico” già evidenziabili negli scritti bergsoniani. Cariou analizza con attenzione i principali testi dei due pensatori, liberandosi dalle consuetuduni critiche consolidate che valorizzano la prospettiva metafisica di Bergson e quella epistemologica di Bachelard. Notevole interesse assume la riconsiderazione del dibattito tra Bergson e Albert Einstein. In Durée et simultanéité (Durata e simultaneità, 1922) Bergson sostiene che la teoria della relatività ristretta, nel suo meccanicismo allargato e corretto, propone una concezione della simultaneità come entità fittizia e relativa esclusivamente ai diversi “punti di vista”, mentre la simultaneità intuitiva prodotta dalla nostra esperienza temporale non dipende da convenzioni matematiche e da dispositivi tecnici. Illuminante risulta su questo punto il confronto con Bachelard, che coglie a pieno il “surrealismo” della teoria della relatività. La teoria einsteiniana conduce ricorda Bachelard - a un “razionalismo di seconda posizione” che nega ogni carattere assoluto della realtà e corregge l’empirismo sommario dell’esperienza comune dello spazio e del tempo. Bachelard coglie quindi, a differenza di Bergson, tutte le conseguenze epistemologiche e filosofiche della nuova dimensione di realtà sviluppata dal surrazionalismo relativistico contrapponendola al livello di realtà del senso comune. Il rinnovato interesse per l’opera di Bergson si misura anche in Italia con la recente riproposizione di Materia e memoria. Saggio sulla relazione tra il corpo e lo spirito (1896; edito in prima edizione italiana nel 1983). Dopo l’edizione delle Opere 18891896 (contenente il Saggio sui dati immediati della coscienza, Materia e memoria, L’idea di luogo in Aristotele, le Lettere, a cura di P.A. Rovatti, trad. it. di F. Sossi, Milano 1986) questa traduzione permette di avvicinarsi integralmente al secondo dei quattro capolavori bergsoniani, presentando la teoria bergsoniana della memoria, fulcro della relazione tra materia e spirito: si tratta di oltrepassare il materialismo (e lo spiritualismo) tramite la separazione tra i due ordini nettamente distinti della realtà materiale e di quella spirituale, che trova nella memoria la sua “verifica sperimentale”. Bergson introduce qui la sua teoria della temporalità nella nota dimensione del ricordo puro, serbatoio profondo e nascosto della coscienza, e prospetta una teoria dell’immaginazione che sarà tra l’altro un riferimento costante per la poetica bachelardiana dell’immaginazione. G.Po. TENDENZE E DIBATTITI René Magritte, I giorni giganteschi (1928, part.) Contro la logica dell’identità Nel suo studio LE POLITICHE DELLA DIFFE(Feltrinelli, Milano 1996) Iris Marion Young, mostra come nella società attuale sia prevalsa la “logica dell’identità” di tipo maschile che riconduce a unità le differenze, ispirandosi al modello illuministico della ragione. I saggi raccolti nel volume dal titolo FEMMINILE E MASCHILE TRA PENSIERO E DISCORSO (a cura di P. Cordin, G. Govi, P. Giacomoni, A. Neiger, Università degli Studi di Trento, Trento 1995) intendono scardinare la centralità del maschile come unico polo di riferimento che impedisce di cogliere le peculiarità proprie del femminile. Infine, lo studio di Cettina Militello, IL VOLTO FEMMINILE DELLA STORIA. MADRI E AMANTI , MONACHE E RIBELLI (Piemme, Casale Monferrato 1995), mette in rilievo l’importanza della donna nella cultura e nella Chiesa. RENZA Ne Le politiche della differenza, Iris Marion Young si propone, all’interno di un’analisi generale della società, di sottolineare come fenomeni quali il razzismo, il sessismo, l’omofobia non costituiscano il prodotto di antiche superstizioni medievali, ma siano invece il risultato del discorso scientifico e filosofico moderno. Secondo Young, la cultura scientifica, estetica e morale dell’ Ottocento e del primo Novecento hanno classificato alcuni gruppi come “corpi brutti e degenerati” in contrapposizione alla “purezza e rispettabilità” di altri gruppi identificati come soggetti “neutri e razionali”. Le teorie critiche della ragione strumentale, la critica del post-moderno dell’umanesimo e del soggetto cartesiano e la critica femminista alla «freddezza incorporea della razionalità moderna» hanno contribuito a mettere in luce l’inadeguatezza dell’autorità della ragione scientifica moderna. Fondandosi sulla “logica dell’identità”, il soggetto scientifico analizza la pluralità degli attributi riducendoli a 38 unità: gli scienziati moderni, sottolinea Young, concepiscono la natura come una «femmina sottoposta al dominio e all’attività indagatrice del maschio». Così la ragione non viene più considerata, come nel mondo antico, una facoltà contemplativa, ma una funzione mirante a scandagliare l’attività della natura con l’obiettivo di indirizzarne i suoi processi verso la produzione. In questa situazione, osserva Young, i gruppi privilegiati si trasformano in entità incorporee, in quanto superano la particolarità e la materialità e agiscono in base ad una prospettiva universale; i gruppi oppressi vengono invece rinchiusi nei loro “corpi oggettivati”, identificandosi con individui degenerati e fisicamente deboli. Il volume dal titolo Femminile e maschile tra pensiero e discorso, raccoglie saggi che si occupano di analizzare la coppia femminile-maschile nell’ambito della cultura, col proposito di scardinare la centralità del maschile come unico polo di riferimento che impedisce di cogliere le peculiarità proprie del femminile. Secondo Adriana Cavavero (Un soggetto femminile oltre la metafisica della morte) esiste un legame tra il soggetto maschile universale e razionale e la morte, in quanto l’uomo non partorisce. In contrapposizione al pensiero della morte, Cavavero sottolinea come Hanna Arendt abbia sostenuto il pensiero della nascita come caratteristica tipica del femminile. Rispetto alla predominanza del maschile con la sua pretesa di universalità e obiettività, Paola Giacomoni, nel suo saggio Femminile/maschile: concentrazione e differenziazione in Georg Simmel, mostra come Simmel evidenzi la necessità di riconoscere al femminile la possibilità di formulare un altro criterio per giudicare l’umanità che abbia pari dignità di quello maschile: è necessario abbandonare il criterio “monolitico” di valutazione della cultura per difendere una visione diadica, che non tolga niente, ma anzi aggiunga qualcosa. Secondo Rosi Braidotti, che interviene su Soggetto nomadico, ormai si è verificata la crisi del soggetto tradizionale a vantaggio di un nuovo tipo di soggettività, nomadica, che non si fossilizza in un momento di passaggio, ma che trascorre continuamente dall’uno all’altro soggetto e può quindi conseguire una conoscenza più intima e più profonda della donna. Un aspetto importante del femminile è il rapporto con la lingua, come sottolinea Gianna Marcato nel suo scritto Il lessico al femminile ’800 e ’900. La “semantica” del femminile trasmette in modo non neutro “immagini”, “idee”, “valori” e “pregiudizi” che indicano determinate svalutazioni sociali e culturali della donna. Nel suo saggio Linguaggio femminile e scrittura popolare in diari e memorie di donne trentine (1914-1917), Patrizia Cordin, analizzando testi in lingua femminile che appartengono alla TENDENZE E DIBATTITI cultura popolare, mette in luce come non esistano delle caratteristiche peculiari che diversifichino in modo netto i due linguaggi; l’unica diversità riguarda un certo modo di strutturare il testo proprio del femminile, caratterizzato dalla tendenza alla marginalizzazione del soggetto e quindi a concedere all’io uno spazio esiguo. Non si tratta - come sostiene Maria Rosa Cutrufelli nel suo scritto Il filo della scrittura - di stabilire se esiste una “qualità femminile o maschile” del testo, ma di comprendere come nella scrittura si concretizzi l’esperienza della corporeità di chi scrive. Nella storia della cultura si è verificata la cancellazione del corpo femminile, tenuto in una zona separata rispetto al sapere creativo dell’uomo. Negli anni Settanta, tuttavia, il femminismo ha permesso alle donne di esprimersi rompendo con le tradizioni letterarie e culturali del passato. Intervenendo su Soggettività decolonizzante, teorie storicizzate: la cyborg delle Filippine, Giovanna Covi mostra come sia molto importante lo sforzo di conservare una posizione situata al confine tra maschile e femminile, affinché il mondo possa essere considerato relazionale anziché oppositivo o complementare. Bisogna quindi evitare il rischio di sostituire alla definizione universalistica del maschile un’altra femminile altrettanto oggettivante e limitante. Nel suo saggio Nata, l’eroe femminile della verghiana tigre reale, Ada Neiger sottolinea come Nata possa essere definita “eroe-femmina”, in contrapposizione al termine eroina, per evitare l’evocazione di caratteristiche femminili come quelle di debolezza, passività, di bisogno e di dipendenza. Parlando di “eroe- femmina” Neiger intende parlare di un tipo di donna che non si adegua alla femminilità voluta dagli uomini, ma «vuole solo dare ascolto a ciò che sente». Nel suo studio, Il volto femminile della storia, Cettina Militello recupera il tema del legame tra parola e femminilità, rivelando come nella storia della cultura e della chiesa le donne abbiano manifestato la loro “soggettualità profetica”, presentando così un rapporto stretto tra la donna e la parola come costitutivo del cristianesimo e altrettanto importante di quello tra l’uomo e la parola. È necessario, sottolinea Militello, ricondurre il paradigma della parola e della corporeità a quello della “reciprocità”: uomo e donna non sono antagonisti di fronte a Dio ma si rapportano entrambi condotti all’espressività propria della parola e del dialogo, e all’espressività del corpo. M.Mi. Filosofia ed esperienza di Dio Il significato dell’esperienza di Dio è al centro dei contributi al volume L’ESPERIENZA DI DIO. FILOSOFI E TEOLOGI A CONFRONTO (a cura di E. Morandi e R. Panattoni, Il Poligrafo, Padova 1996). Nel suo studio, CONFESSIO THEOLOGI. AI FILOSOFI (Cronopio, Napoli, 1996), Bruno Forte riprende la riflessione sul significato della fede considerata non come acquisizione di certezze, ma come ricerca drammatica del senso dell’esistenza. In FILOSOFIA E TEOLOGIA DI FRONTE A CRISTO (Cronopio, Napoli, 1996), Eugenio Mazzarella riprende la tematica della “rivelazione”, sottolineando l’importanza per la religione dell’incarnazione di Dio in Cristo. Nel volume collettaneo L’esperienza di Dio. Filosofi e teologi a confronto, vari autori s’interrogano sull’esistenza divina proponendo differenti prospettive teologiche. Nel suo saggio Argomento ontologico ed esperienza di Dio, Johannes B. Lotz sostiene che l’unica prova possibile per la dimostrazione dell’esistenza divina è quella “trascendentale”. Non si tratta tanto di dimostrare l’esistenza divina, quanto di mostrare come l’esistente sia “divino”, così il procedimento della prova trascendentale non consiste nell’aggiungere qualcosa di esterno alla realtà umana, ma di sviluppare ciò che è insito in essa. Sul percorso filosofico di Lotz si sofferma Massimo Marassi in Esperienza e riflessione trascendentale in Johannes B. Lotz. La concezione di Lotz conduce alla rivalutazione del pensiero di S. Tommaso attraverso la riflessione sui problemi che Heidegger aveva esplicitato, dove l’esperienza “trascendentale” costituisce la dimensione principale, in quanto in essa è possibile individuare le caratteristiche di ricettività e spontaneità che qualificano i diversi gradi dell’esperienza. Nel suo contributo, Trascendenza immanente (note sul rapporto tra Dio e il mondo), Vittorio Possenti sostiene che la “trascendenza presenziale” non solamente impedisce l’intero dissolvimento dell’essente, ma favorisce anche la valorizzazione del suo aspetto estetico. Se, invece, si ipotizzasse la totale separazione tra Dio e il mondo, fa notare Possenti, non esisterebbe l’arte, dal momento che essa scopre nella natura quella dimensione spirituale che anima i fenomeni sensibili. Così nella forma finita brilla la luce divina. Rifacendosi alle tesi di Levinas e contro la “trascendenza immanente” a cui fa riferimento Possenti, Luigi Marcolungo, nel suo saggio Il Dio che viene dall’idea, accentua la radicalità della trascendenza che si rivela totalmente altra rispetto all’uomo, tanto da rendere fallimentare ogni tentativo razionale di comprenderla e sottolinea l’importanza in Levinas dell’aspetto etico, in quanto la trascendenza investe l’uomo di Salvador Dalì, Crocifissione (1954, part.) 39 TENDENZE E DIBATTITI una notevole responsabilità etica che non può essere assolutamente elusa. In La riscoperta dell’oggetto puro: ‘Deus dixit’, la svolta di Karl Barth, Bruno Forte mette in risalto come in Barth l’alterità di Dio determini l’impossibilità di una sua riduzione all’identità, senza implicare la negazione di ogni possibile comunicazione di Dio, come avviene nel tardo Schelling. In contrapposizione a Schelling e a Hegel, la rivelazione rappresenta per Barth il luogo nel quale l’alterità divina si manifesta nel mondo anche se non si riduce a esso. La rivelazione costituisce un evento fondamentale dell’esperienza religiosa anche nei contributi di Umberto Sancini, Prospettive preliminari ad una ermeneutica fenomenologica del testo biblico, dove lo stile evangelico si rivela di tipo fenomenologico in quanto rivela quella religiosità naturale propria della realtà umana, e di Piero Coda, Rivelazione cristologica ed esperienza di Dio, per il quale l’avvento di Gesù Cristo ha modificato la relazione dell’uomo con Dio. Nel suo contributo Esperienza (di Dio) e differenza femminile, Luisa Muraro mostra che negare la possibilità dell’esperienza di Dio significa negare l’esperienza della donna e della sua differenza. Tematica questa ripresa anche da Umberto Regina, Soren Kierkegaard. Il felice incontro di ragione e paradosso. Per Kierkegaard, infatti, la crisi della metafisica, intesa come “logica dell’identità”, determina la riacquisizione da parte dell’uomo della capacità di cogliere la differenza: se la religione è la “differenza irriducibile all’identità”, il cristianesimo, per Kierkegaard, rappresenta il “paradosso” generato dalla passione del pensiero. Chiude il volume collettaneo il contributo di Emmanuele Morandi: Morte dell’uomo e presenza di Dio. La teologia come “rapporto” in Divo Barsotti, dove la morte è la massima realizzazione dell’uomo e insieme la più valida dimostrazione dell’esistenza divina. Lo studio di Bruno Forte, “Confessio Theologi”. Ai filosofi, è una raccolta di aforismi che intende sottolineare come il teologo non possieda un “pensiero totalizzante” e non sia esente dalle sofferenze causate dalla ricerca di Dio. La fede in Dio non implica per l’autore l’abbandono della lotta con Dio, poiché l’autentico credente è colui che sperimenta la stessa tragedia propria dell’ateo che non ha trovato Dio. Pertanto, osserva Forte, la condizione del religioso è quella del “pellegrino”, in costante ricerca della “patria lontana” e che considera una “malattia mortale” la certezza di essere giunti alla meta. In Filosofia e teologia di fronte a Cristo Eugenio Mazzarella mostra come la differenza tra filosofia e teologia risalti in modo più evidente non con Dio, ma con l’identificazione di Cristo in Dio. Solamente con Cristo la promessa della resurrezione dopo la morte è “piena”; in tale prospettiva il cristianesimo si rivela non come «mortificazione della carne», ma come «strenua difesa della carne; suo intorpidito esserci naturale secondo la carne». M.Mi. Natura e storia All’approfondimento dei concetti di natura e storia all’interno della riflessione filosofica e scientifica occidentale è dedicato il volume collettaneo NATURA E STORIA, SAGGI DI FILOSOFIA (Edizioni Sestante, Ascoli Piceno 1996), che raccoglie i contributi presentati in occasione del secondo Convegno filosofico di Sansepolcro. Nel suo contributo, Alessandra Bertini Malgarini prende in esame alcuni aspetti della physis (natura) negli scritti del Corpus Hippocraticum, dove giunge a compimento il processo di “laicizzazione” del concetto di natura e di affrancamento da ogni dimensione “soprannaturale” avviato con i pensatori milesii, che rappresenta la condizione necessaria allo sviluppo dell’indagine medica e scientifica. Maria Mucillo si sofferma invece sull’opera di Francesco Patrizi da Cherso, pensatore di epoca rinascimentale, e in particolare sui suoi dialoghi Della Historia e Della Retorica, in cui viene chiaramente alla luce una rinnovata e moderna trattatistica dell’“arte storica”. Sul Rinascimento si sofferma anche il contributo di Giuseppina Saccaro Del Buffa, in particolare sul concetto di rinascimento come si presenta nell’interpretazione degli storici della filosofia tra Cinquecento e Seicento, e sul problema storico del passaggio tra due epoche (Medioevo e Rinascimento) soprattutto alla luce del dibattito filosofico, teologico e scientifico del tempo (Lorenzo Valla, Mario Nizolio, Gianfrancesco Pico ecc. ), in cui sono in gioco la libertà di pensiero, la formulazione di nuovi sistemi filosofici e la rifondazione delle scienze della natura. Il saggio di Stefania Mariani, dedicato invece al dibattito filosofico-scientifico ottocentesco, propone un serrato confronto tra i diversi modi di concepire la ricerca storica e il rapporto tra natura e società in Auguste Comte e Hyppolite Taine, evidenziando il diverso ancoraggio culturale dei due pensatori, più legato alla scienza biologica il primo, alla scienza psicologica il secondo. Le concezioni della natura e della storia nell’elaborazione teorica di Marx ed Engels sono invece al centro dell’intervento di Giuseppe Turco Livieri, che sottolinea il processo di stretta connessione e reciproca determinazione esistente tra le nozioni di natura, storia, economia e politica nella prospettiva teorica e pratica del comunismo, sgomberando il campo da ogni concezione ingenua o mistificante. In un’ottica psicoanalitica, Guido Coccoli esamina la questione natura/storia all’interno dell’eziologia della nevrosi freudiana, a partire dal concetto di “serie complementari”, sottolineando come nel prodursi della patologia psichica giochino un ruolo centrale sia la sfera della costituzione individuale, l’ereditarietà, sia la sfera dell’influenza ambientale, all’interno della pur sempre prevalente dimensione della sessualità. 40 Il contributo di Giuseppe Saponaro approfondisce l’insolito rapporto tra Husserl e Kandinsky, accomunati da una messa in discussione tanto del cosiddetto mondo naturale, con cui abbiamo quotidianamente a che fare, quanto del nostro spontaneo “atteggiamento naturale”. Sui concetti di storia e natura nel dibattito storiografico italiano del primo Novecento, e sulle discussioni intorno alla questione della “razionalità” o “irrazionalità” della storia in Rodolfo Mondolfo, Corrado Barbagallo e Giuseppe Rensi si sofferma Franco Ratto, che sottolinea come per questi autori i due concetti siano strettamente dipendenti l’uno dall’altro: per Mondolfo e Barbagallo sono parti di un’unica realtà superiore; per Rensi, anche se distinti, tendono a identificarsi. Di taglio linguistico è invece il contributo di Caterina Marrone, volto a cogliere l’opposizione tra storicità e naturalità nella riflessione di Ferdinand de Saussure, che ribadisce continuamente la storicità delle categorie linguistiche, togliendo spazio alla referenzialità, alla fisicità delle cose e cercando così di eliminare dalla propria teoria linguistica ogni possibile equivoco naturalistico. Al centro dell’intervento di Massimo Prampolini troviamo il pensiero di Wittgenstein e le sue continue riflessioni sul problema del tempo. Sulla filosofia della storia di Walter Benjamin e sulle sue peculiarità teoriche interviene Dino Ferreri, che sottolinea come dal pensiero benjaminiano emerga una teoria della soggettività umana volta all’emancipazione dai limiti della coscienza naturalisticamente intesa, sulla base di un appello alla dimensione storica della “memoria”, che è decifrazione del passato e insieme orizzonte di attesa. Ad un altro importante pensatore tedesco del Novecento, Ernst Cassirer, dedica il suo contributo Fiorella Bassan, che si sofferma sugli anni americani e sulle problematiche del mito, dell’arte e della storia, in cui Cassirer ravvisa le forme privilegiate per indagare la natura umana. Anna Ludovico sposta invece il discorso sul versante scientifico e naturalistico, parlando dei processi di formazione delle forme naturali e organiche secondo un «principio di generazione di ordine dinamico». Ancora da un punto di vista scientifico, Elena Gagliasso indaga sui presupposti metodologici della conoscenza scientifica istituendo alcuni confronti tra metodologia e storia, tra norme e valori sul terreno della cultura, del senso comune e della scienza. Chiude il volume il saggio etnologico di Rodolfo Calpini, che riflette sulle contraddizioni della civiltà occidentale, contemporaneamente impegnata nella costruzione di musei demologici ed etnologici e nella distruzione delle diverse culture indigene e primarie del pianeta. G.P. PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Eresia e amor puro in Fénelon «L’amore per Dio solo, considerato in se stesso e senza che vi sia mescolato alcun interesse, né timore, né speranza, è il puro amore o la perfetta carità»: così descriveva il tema centrale della propria dottrina François de Fénelon (1651-1715), autore di rilievo nella tradizione del misticismo religioso dell’età moderna, arcivescovo di Cambrai e spirito profondamente inserito nel dibattito dottrinale a lui contemporaneo. Una buona introduzione alla sua opera è ora costituita dal volumetto di Denise Leduc-Fayette, FÉNELON ET L’AMOUR DE DIEU (PUF, Parigi 1996), centrato sulla dottrina dell’amor puro e sulla “sistemazione” offertane da Fénelon. Lo studio di Denise Leduc-Fayette intende presentare una ricostruzione sistematica della dottrina dell’“amor puro” di Fénelon, una dottrina “scomoda”, avversata dalla Chiesa cattolica in quanto minacciava di sostituire l’esperienza mistica individuale all’autorità dottrinale, cosa che attirò su Fénelon gli attacchi di Bossuet e, successivamente, la condanna papale di alcune proposizioni contenute nella sua Explication des maximes des saints sur la vie intérieure (Spiegazione delle massime dei santi sulla vita interiore, 1697). È in particolare il tema dell’itinerarium, dello sforzo dell’uomo per giungere alla contemplazione dell’amor puro e disinteressato e liberarsi da ogni costrizione che non sia la “perfetta carità” che pone la mistica di Fénelon a confronto con l’eresia quietista e con la dottrina etica della Chiesa. Dal punto di vista dottrinale, osserva LeducFayette, l’importanza di Fénelon consiste soprattutto nell’esser stato il primo a elaborare un sistema di teologia mistica, ovvero una “scienza mistica” intorno ad una nozione cardine, “pura e semplice: l’amore disinteressato”. Nel clima di rinnovamento spirituale che caratterizzava la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, Fénelon subisce l’influsso della mistica di Teresa d’Avila e di Juan de la Cruz, e con essi l’insegnamento di Pierre de Bérulle, il creatore dell’Oratorio francese. Nell’insieme di tali influenze, cruciale appare tuttavia la questione del rapporto con il movimento quietista, a cui Fénelon si sarebbe avvicinato tramite Jeanne de Guyon (1648-1717). La teologia mistica, da Dionigi l’Aeropagita a Francesco di Sales, viene distinta dalla teologia speculativa per il fatto che questa tende alla conoscenza intellettuale di Dio, mentre quella ne ricerca l’amore. A tale tradizione si ispirava anche Miguel de Molinos (1628-1696), padre spirituale di quel Quietismo che Leibniz ebbe a definire obscura res e di cui si deve a J.-R. Armogathe una caratterizzazione secondo uno schema quadruplice: amor puro, abbandono in Dio, stato di continua contemplazione e innecessarietà di rinnovare l’atto di fede, carattere secondario delle opere. Tuttavia, fa notare Leduc-Fayette, se Molinos si spingerà ad affermare che la scienza mistica non si apprende, né si studia, ma la si riceve direttamente dal Cielo, Fénelon considera l’esperienza mistica come accessibile a tutti e non affatto ristretta ad una élite di iniziati. Per Fénelon la dotta ignoranza, la science de l’amour, si impara attraverso il progressivo abbandono e la mortificazione dell’amor proprio. Per il mistico Fénelon, sottolinea infatti Leduc-Fayette, Dio dev’essere agostinianamente cercato intimior intimo meo, e non “trovato” in un’illuminazione ricevuta senza la sofferenza della ricerca e dell’ascesi. È questo processo di continuo perfezionamento, queste continue “conversioni” che permettono di elevarsi al livello dell’amor puro e disinteressato, secondo un’esperienza ascetica di altissimo spessore etico. L’uomo possiede infatti dentro di sé tanto la “diabolica potenza dell’amor proprio”, quanto la capacità di considerarsi privo di importanza, di estraniarsi a se stesso e di realizzarsi interamente nell’infinita alterità del divino: in questa possibilità risiede lo spazio per la libertà. La libertà dell’uomo costituisce quindi uno dei punti capitali della mistica féneloniana; qui egli si riallaccia all’agostinismo; qui si radica la sua avversione al giansenismo e, finalmente, la sua distanza dal quietismo di Molinos. Per Fénelon il processo ascetico è, al di là della grazia, una responsabilità del singolo uomo, e non un privilegio riservato a pochi eletti. Se per Malebranche, osserva Leduc-Fayet41 te, l’amore verso Dio non può venir disgiunto dal desiderio dell’uomo di trovarvi piacere, Fénelon appare invece come un “estremista” dell’amor puro: l’amor proprio, «cieco, sfrenato, insaziabile, tirannico, vuol tutto per sé solo, ci rende idolatri di noi stessi, fa che noi si voglia essere il centro del mondo intero, e che Dio stesso non sia che per lusingare i nostri vani desideri»; l’amor conduce invece chi lo raggiunge ad un’identificazione totale con l’oggetto del proprio amore. La “potenza estatica dell’amore”, il primato dell’agire divino, in quanto esso è eminentemente amore: ecco secondo Leduc-Fayette il pensiero che guida l’intero sistema di Fénelon. Quella di Abramo è agli occhi di Fénelon l’esperienza simbolica che meglio illustra l’estaticità dell’agapè: abbandonando il proprio “io” il Patriarca si dà interamente a Dio, ed è questo originario darsi incondizionato che dà inizio all’esperienza biblica. Abramo è il simbolo e la piena realizzazione dell’abbandono che apre la via dell’amor puro: fiducia totale in colui che si ama, che diviene la guida dei nostri atti, della nostra volontà, motore della nostra stessa esistenza. Nulla che sia voluto per se stessi condiziona il rapporto d’amore, che assorbe in sé l’interezza della volontà e ne prende il posto: «amare Dio è volere la Sua volontà». Qui sta l’identificazione tra amor puro e Spirito Santo che compie la teologia mistica, sostituzione della volontà dell’Amato alla nostra propria volontà. Questa centralità della volontà, sottolinea Leduc-Fayette, Fénelon la riceve direttamente da Francesco di Sales e segna il confine invalicabile con l’abbandono quietista, tenendo Fénelon al di qua della soglia di eresia. Lo stretto legame che identifica volontà e amore richiama quella centralità del “cuore” nell’avvicinarsi al divino che da Sales a Pascal il Seicento esplora così profondamente. Passività, insomma, purificazione dalle passioni è la condizione privilegiata per aprirsi, per accogliere in sé quegli impulsi che devono prendere nell’animo il posto dell’amor proprio. Patire, fa notare Leduc-Fayette, diventa dunque innanzitutto un atto dell’uomo. Passività diviene sinonimo di «un uso assai libero della nostra volontà perché essa venga condotta da quella di Dio». Essa non è più un non-agire, ma un «lasciarsi agire da PROSPETTIVE DI RICERCA Alberto Magno (affresco di Tommaso da Modena, part.) 42 PROSPETTIVE DI RICERCA Dio»; è questa un’altra differenza profonda dal quietismo di Molinos. Se la carità, strumento dell’amor puro, è il totale annullamento della personalità nella Rivelazione, il mistico, agito da Dio, agisce. La passività, l’indifferenza è dunque un continuo “agire divinamente”, uno stato di continua e incessante preghiera. Per il mistico l’unione si compie attraverso la preghiera, ininterrotta e incessante tendenza della volontà verso Dio: ecco lo strumento dell’ascesi, ciò che rinsalda il continuo processo di liberazione dell’animo dall’amor proprio. La preghiera mistica è il legame tra l’uomo e Dio. Il carattere “strutturalmente estatico” dell’amore, spiega Leduc-Fayette, permea di sé la concezione e il ruolo della filosofia in Fénelon, distanziandolo da Descartes e dalla teologia speculativa di Malebranche. Il compimento della filosofia è la sua transfigurazione. Soltanto così l’anima perviene al “gusto profondo della verità”, al “sapore della divina saggezza”. Per Fénelon «la concezione della filosofia è indissolubilmente unita alla dottrina dell’amor di Dio». La filosofia è essenzialmente mistica perché essa si compie solo trasfigurandosi e inverandosi nella “perfetta carità”. La libido sciendi non è che espressione dell’amor sui; per Fénelon, anche in filosofia l’ordine esistenziale ha il primato su quello razionale. E l’erudizione fine a se stessa aspira non tanto alla scienza quanto alla celebrazione di se stessi. L.Sc. Dispute medievali Nel suo studio LA QUERELLE DES UNI - VERSAUX . DE PLATON À LA FIN DU MOYEN (La disputa degli universali. Da Platone alla fine del medioevo, Seuil, Parigi 1996), Alain de Libera sembra essere partito dall’assunto deleuziano secondo il quale «gli universali non spiegano niente, ma devono essere essi stessi spiegati». Questa spiegazione de Libera la cerca in un inquadramento della tematica all’interno di un ampio arco di tradizione storico-filosofica, dal V al XV secolo, cioè dalla tarda antichità agli inizi dell’età classica, quando il problema, così com’era stato dibattuto per tutto il Medioevo, viene apparentemente accantonato, in seguito alla critica moderna dei modelli speculativi aristotelico e platonico. Altro problema che ha origine nell’esegesi della composita tradizione aristotelica è il rapporto fra l’essenza e la sostanza, tra l’essenza e l’essere. Ne dà testimonianza il volume dal titolo: L’ÊTRE ET L’ESSENCE. LE VOCABULAIRE MÉDIÉVAL DE L ’ ONTOLOGIE (L’essere e l’essenza. Il vocabolario medievale dell’ontologia, Seuil, Parigi 1997), primo titolo di una collana diretta da Alain Badiou e Barbara Cassin. ÂGE Secondo Alain de Libera le questioni sollevate nel periodo di massimo splendore del dibattito sugli universali, che al pensiero contemporaneo possono sembrare talvolta oziose, sono tutt’altro che futili: nella valutazione e nella interpretazione instancabile dei dettagli speculativi e delle conseguenze teoretiche di dottrine di ascendenza greca, nella forma, tanto cara al medioevo, del commento - e nella differenza tra le varie glosse ai testi canonici - si nascondono in realtà, sotto forma di slittamenti infinitesimali di significato e dello stile di pensiero, vere e proprie rivoluzioni del senso che hanno operato il passaggio dalla filosofia antica a quella moderna. Di fatto, osserva de Libera, nella discussione sugli universali si esprimono le tappe principali della «lunga marcia del pensiero da Oriente a Occidente», e «si nascondono le scelte e le articolazioni disciplinari (rispettivamente ontologia, semantica o psicologia)», che corrispondono a differenti sintesi delle problematiche filosofiche, a seconda che si affermi il primato teorico delle cose, delle parole o dei concetti. Insomma, la disputa degli universali è l’immenso laboratorio alchemico in cui si è forgiata, in sordina, la filosofia moderna. Per capire il senso di un dibattito minuziosamente protrattosi per secoli, è necessario per de Libera pensare il problema degli universali all’interno della translatio studiorum, ovvero di quel lungo processo tramite cui la filosofia greca, attraverso traduzioni e adattamenti, è stata trapiantata dapprima a Roma, poi nel mondo arabo e infine, di qui, nell’Occidente latino. De Libera vede in questo passaggio la continuazione della «gigantomachia fondatrice della storia della metafisica occidentale», ovvero di quella contrapposizione tra Platone e Aristotele che si è giocata nel corso dei secoli non come superamento del platonismo da parte dell’aristotelismo, ma come contaminazione tra le due scuole dottrinali. In questo senso, una figura emblematica è quella di Porfirio, discepolo del neoplatonico Plotino, che, con la sua introduzione alle Categorie di Aristotele, ha delimitato il terreno di una possibile intesa tra le due scuole, platonica e aristotelica, e formalizzato il dibattito per un millennio a venire. Di fatto, sottolinea de Libera, la disputa degli universali, così come siamo abituati a pensarla, esplode nel XII secolo sotto forma di contrasto tra nominalisti e realisti. Per i nominalisti, come Roscellino di Compiègne, gli universali non sono che un flatus vocis; a essi non corrisponde nulla di reale, mentre per i realisti, ovviamente, si tratta di entità non esclusivamente linguistiche o concettuali. Al volgere del secolo, con l’arrivo nell’Occidente latino di nuove fonti - alcuni testi aristotelici tradotti direttamente dal greco e le traduzioni dall’arabo dei grandi testi della filosofia musulmana , i termini del dibattito cambiano. Così, Alberto Magno può risalire a Platone per il tramite di Avicenna e Tommaso d’Aqui43 no può rifersi ad Aristotele con la mediazione di Averroè. Si assiste alla nascita della scolastica. Per Averroè, gli universali non sono una sostanza, né sono parti delle cose o della loro sostanza, ma, grazie a essi, si possono conoscere le cose: definizione che sarà al centro della disputa tra Occam e Duns Scoto, nel XIV secolo. Il realismo di Duns Scoto e il nominalismo di Occam si affrontano, forti delle nuove conoscenze a disposizione (fonti greche e arabe), e costruiscono, nella disputa, la struttura formale di una filosofia che cresce su se stessa in un movimento di critica, decostruzione e confutazione delle posizioni avversarie, non mancando però di assorbirle e rigiocarle al proprio interno. Il problema degli universali, fa notare de Libera, è un “catalizzatore di innovazioni”, nella misura in cui, attraverso il dibattito tra posizioni contrapposte, si formano e si codificano nuovi linguaggi teorici e nuovi modelli e strumenti analitici. La storia di questo problema consente pertanto di assistere alla nascita di categorie concettuali e stili di pensiero che caratterizzeranno la tradizione occidentale nei secoli successivi. Il luogo di nascita della nuova attrezzatura concettuale sono le scuole, le sette e le correnti che si combattono e si avvicendano nel corso del tempo, ciascuna con i suoi peculiari interessi e le sue strategie. È all’interno di un simile orizzonte - ontologico, logico, teologico e semantico - che nascono le teorie dell’intenzione e le distinzioni tra universale e predicabile. L’opera di ricostruzione storica di de Libera mostra, in sostanza, come una questione nodale come quella degli universali non vada ricondotta all’alternativa filosofica atemporale sulla possibilità di interpretare o meno le proprietà comuni a cose reali come cose reali a loro volta (realismo) o semplici nomi che ci consentono di riferirci a un determinato insieme di oggetti (nominalismo), con o senza la mediazione di altre entità (i concetti). Non si tratta di formulare il problema in maniera sovrastorica; il problema degli universali, ribadisce de Libera, non esiste «al di qua» della sua formulazione storica, esiste solo «al suo interno», e questo interno ci mostra come un tale problema si costituisca proprio nell’alea delle traduzioni, nelle ambiguità definitorie dei frammenti e dei testi di cui si dispone, nei conflitti tra le varie istituzioni e scuole, nelle vicissitudini dei manoscritti, negli errori di trascrizione. Riportando la filosofia ai suoi fattori materiali (stato delle fonti, interessi delle scuole), de Libera mostra in atto una “logica dell’invenzione”: è infatti nel modo in cui risponde alle lacune, alle contraddizioni e alle ambiguità dei testi assunti come canonici che il pensiero si rinnova. Nel modo in cui vengono gestiti gli scarti della trasmissione storica si forgia un destino concettuale, proprio nel momento in cui si insiste, peraltro, sulla fedeltà e sul ritorno alle origini, cioè nel momen- PROSPETTIVE DI RICERCA to in cui l’attività speculativa non si percepisce come innovativa ma come glossa, commento. D.F. Sul problema, invece, del rapporto fra l’essenza e la sostanza, l’essenza e l’essere, che pure deve la sua origine all’esegesi della composita tradizione aristotelica, offre un interessante materiale documentativo il volume dal titolo: L’être et l’essence. Le vocabulaire médiéval de l’ontologie, che raccoglie le traduzioni (con testo latino a fronte) del De ente et essentia (a cura di C. Michon) di Tommaso d’Aquino e del De ente et essentia (a cura di A. De Libera) di Dietrich von Freiberg, che si oppose alla teoria di Tommaso. Ancora una volta, la distinzione fra sostanza prima e sostanza seconda delle Categorie di Aristotele rende problematico il rapporto fra la sostanza e l’essenza, e comporta difficoltà di traduzione oltre a tensioni concettuali. Essentia, una delle varie traduzioni di ousia, si applica meglio alla sostanza seconda, al genere e alla specie, e di conseguenza alla quidditas; l’eidos è certo ciò per cui una cosa è ciò che è; tuttavia indica di più la forma individuale del composto e, in un certo senso, si applica piuttosto alla sostanza, substantia, altra traduzione di ousia. Per Tommaso, d’altra parte, l’essenza è equivalente alla forma e costituisce, con l’essere, una delle componenti ontologiche della sostanza. È l’essere che attualizza l’essenza, la quale rispetto all’essere è in potenza; esse è dunque l’atto di ogni sostanza. Quest’interpretazione viene criticata da Dietrich von Freiberg, per il quale l’esse è equivalente all’essenza e quindi all’ens o entitas, termine che egli rivendica come espressione del carattere d’essere di una sostanza. Questo dibattito comporta dunque una riflessione su ciò per cui una cosa è ciò che è (per Tommaso l’esse come atto e forma d’attualità ; per Dietrich l’essentia) e sulla distinzione fra ciò che una cosa è e il fatto che è nel senso di un individuo concreto (fra l’essenza e la sostanza, la sostanza seconda e la sostanza prima). Un glossario annesso al volume permette di meglio reperirsi nelle traduzioni; una raccolta di testi sulle fonti della querelle e un altra raccolta sulle conseguenze della disputa contestualizzano e approfondiscono lo spessore filosofico del problema. F.M.Z. Jacob Bernays: filologia e filosofia dell’antichità Nella Germania del XIX secolo la filologia anticha era al contempo uno dei luoghi in cui si affermava risolutamente il metodo critico e le innovazioni della scienza tedesca e uno dei luoghi in cui si elaborava la co- struzione dei miti politici che avrebbero conferito alla “nazione ritardatrice” una legittimità culturale incontestabile, anche se ambigua. Su questi aspetti interviene il volume collettivo dal titolo: JACOB BERNAYS . UN PHILOLOGUE JUIF (a cura di J. Glucker e A. Laks, Presses Universitaires du Septentrion, Lille 1996), che raccoglie gli atti di un convegno dedicato al filologo Jacob Bernays (18241881), corredato da un insieme di aforismi inediti del medesimo a cura di B. Kytzler, K. Gruender e A. Laks. Di Jacob Bernays si deve ricordare innanzitutto il contributo decisivo all’interpretazioe della tragedia greca e in particolare dell’idea di katharsis nella Poetica di Aristotele (1449b 24-28). Allorché con Lessing l’Illuminismo scorgeva nella katharsis la dimensione pedagogica e moralizzatrice della tragedia, il cui effetto sullo spettatore avrebbe dovuto essere di «trasformare le passioni in disposizioni virtuose» e dunque di “purificare” l’anima, Goethe e un certo Romanticismo vi scorsero l’affermazione dell’autonomia e della sovranità dell’arte, nel suo carattere produttivo. Bernays pose invece la questione della katharsis sul terreno medico, come purgazione delle passioni ed evacuazione necessaria degli affetti violenti. La sua interpretazione si situa dunque sul piano di una economia generale degli affetti, contro le restrizioni razionaliste, con l’intento di dare spazio alle passioni “inconsce”. Così Bernays conduce, suo malgrado, Nietzsche sulla via dell’interpretazione dionisiaca del tragico e forse fornisce a Freud elementi decisivi per la sua concezione del “metodo catartico”. L’economia delle pulsioni veniva così presa in conto ben prima dell’approccio psicoterapeutico. Non meno preziosa è l’opera di Bernays nell’ambito della filosofia antica. A lui si deve un’importante messa a punto della problematica degli scrittti esoterici di Aristotele, in un momento storico in cui l’idea di un Aristotele autore di dialoghi perduti non si confaceva assolutamente all’immagine corrente della coppia Platone/Aristotele: artista filosofo l’uno, empirista laborioso l’altro. Bernays rifiutava questo cliché e i suoi lavori su Teofrasto hanno aperto piste importanti per la ricerca sul razionalismo della tradizione aristotelica. Altrettanto innovatori sono stati i suoi interventi su Antistene, Luciano, Focione o Filone. Infine, riguardo alla riflessione politica e storica, di Bernays va ricordata la lucidità con cui considerava l’impossibilità di un’“armonia” fra ebrei e tedeschi nell’accrescersi dell’odio razziale che accompagnava la consolidazione dell’impero bismarckiano. In questo contesto è da rilevare l’atteggiamento precorritore 44 di Bernays, che non si aspettava nulla dai “diritti” o dall’emancipazione politica, che leggeva già in Tacito l’incomprensione per i semiti dalla parte degli “indo-germani”, che concepiva la classe politica come una banda di briganti e scorgeva, soprattutto nella nascita dell’impero bismarckiano, una quinta età del mondo. La riflessione sulla storia nasce in Bernays all’interno del suo lavoro filologico sugli antichi. Contro la Grecia ideologizzata come la patria dei filosofi e dei poeti, modello della nazione e della vita civica, Bernays voleva riabilitare il mondo ellenico quale Alessandro e Aristotele l’avevano concepito a oriente. Seguiva così la linea interpretativa di Droysen, ma senza prospettare una sintesi neo-hegeliana; la sua antichità era invece percorsa dalla tensione fra Atene e Gerusalemme, unificate in un quadro universale e cosmopolita. Per Bernays, anche se “democratico”, il ripiegamento sulla polis lasciava la porta aperta a un nazionalismo intollerante, allorché l’apertura all’impero significava la trasformazione del senso stesso dell’antichità classica, facendole guadagnare un’universalità più vera di quella di un’età classica idealizzata. D.T. Emilio contro ‘Emilio’ Per la prima volta in edizione italiana, è stato pubblicato il seguito dell’‘Emilio’ di Jean Jacques Rousseau con il titolo: EMILIO E SOFIA O I SOLITARI (a cura di G. Merlino, Cronopio, Napoli 1996). Qui l’autore, nei panni di Emilio, racconta al suo precettore le vicende capitategli una volta entrato nella società. Jean Jacques Rousseau aveva probabilmente intenzione di scrivere un intero romanzo epistolare in cui narrare le vicende di Emilio e Sofia, una volta terminato il processo educativo e iniziata la vita in società. Il progetto è rimasto incompiuto: restano solo due lettere in cui Emilio racconta al suo precettore la rottura del matrimonio con Sofia e, tra le righe, il fallimento dell’ideale pedagogico con cui era stato cresciuto. Tutti ricordiamo i principi educativi dell’Emilio che rappresentano il punto di riferimento della pedagogia contemporanea. A questo proposito, la nuova edizione italiana di quest’opera a cura di Emma Nardi (La Nuova Italia, Firenze 1995), corredata da un’ampia sezione di sintesi e note, metteva in luce i motivi essenziali dell’opera di Rousseau nel suo intento di indicare il corretto sviluppo dell’adolescente, attraverso l’educazione naturale e negativa. L’educazione in campa- PROSPETTIVE DI RICERCA gna, spontanea e priva di premi, punizioni e costrizioni di ogni tipo, costituiva il modo migliore per sviluppare la bontà originaria del bambino, che in tal modo sarebbe diventato un individuo sano e guidato da solidi principi. D’altra parte, già l’Emilio era caratterizzato da evidenti contraddizioni che, se da un lato, sottolineavano la personalità complessa di Rousseau, dall’altro ne mettevano in luce i dubbi e le aporie. Ricordiamo che Rousseau aveva abbandonato i suoi cinque figli in orfanotrofio e le sue esperienze educative erano state disastrose: per questo l’Emilio risultava assolutamente astratto e teorico. Inoltre i principi educativi, se da un lato, apparivano del tutto naturali e spontanei, dall’altro denotavano la necessità di un pubblico d’élite per comprenderli. In ogni caso, le contraddizioni esplodono in questo Emilio e Sofia o i solitari, nel quale l’educazione naturale risulta inadeguata per la vita reale all’interno della società civile. Con tono accorato e meditativo, Emilio racconta la vita di Parigi, dove il divertimento e la chiacchiera hanno distolto i due sposi dai valori originari nei quali erano cresciuti. Se Emilio si è dato alla mondanità e ai salotti, Sofia ha manifestato il suo istinto naturale di seduzione, tradendo il marito. La reazione di Emilio è tragica: l’educazione naturale non lo ha preparato al dolore del tradimento che lo devasta nella sua identità personale. Emilio si dà al vagabondaggio notturno per Parigi, che lo accoglie nella dissipazione e nel tormento. L’educazione ha dunque fallito: la prova della civiltà, con la corruzione che comporta, si rivela fatale per i due sposi, che non reggono alla tentazione della quotidianità. Il volume si conclude con due finali che rivelano entrambi la consapevolezza del fallimento dell’educazione, ma anche l’impossibilità di vivere in una civiltà così lontana dai principi in cui i due erano stati cresciuti. Nel primo finale Emilio sceglie di vivere alla giornata senza alcun tipo di progettualità etica o civile; nel secondo si ritira in un viaggio senza fine nei paesi selvaggi nei quali la civiltà non ha ancora compiuto il suo ingresso. Il fallimento dell’ideale educativo emerge in tutta la sua drammaticità e rivela le contraddizioni di fondo già espresse nell’Emilio e, del resto, anche nell’opera politica di Rousseau. Probabilmente, quello che spinge Rousseau a teorizzare, da una parte, orizzonti idilliaci e, dall’altra, conclusioni aberranti, è la consapevolezza che l’elemento del “buon selvaggio”, che pervade le sue opere, rimane solo un ideale regolativo. In fondo, la civiltà corrompe Emilio e Sofia perché alimenta, al suo interno, elementi marci e totalmente estranei ai suoi ideali. In altre parole, la filosofia di Rousseau ruota intorno al mito della bontà originaria che, se da un lato costituisce lo spunto per la ricerca di un ideale pedagogico e politico di felicità, dall’altro nasconde il suo carattere utopistico. A.S. Amore e filosofia in Kierkegaard Caratterizzati da una sottile ironia, vengono pubblicati in traduzione italiana due scritti minori di Søren Kierkegaard: IN VINO VERITAS (trad. it. di D. Borso e S. Davini, Tranchida Editore, Milano 1996), che, alla maniera del ‘Simposio’ platonico, costituisce un dialogo sull’amore, e di JOHANNES CLI MACUS O DE OMNIS DUBITANDUM EST (a cura di S. Davini, ETS, Pisa 1996), un racconto autobiografico che narra dei piaceri offerti dalla filosofia. In vino veritas costituisce il primo dei tre scritti che compongono gli Stadi sul cammino della vita, forse una delle più celebri opere di Søren Kierkegaard. Concepito originariamente come scritto autonomo, il dialogo si svolge durante un banchetto in cui i partecipanti disquisiscono sull’amore. I cinque invitati, accompagnati dai suoni della musica e immersi nel verde di un bosco, tra un boccone di cibo e un bicchiere di vino raccontano le proprie esperienze, tracciando i confini di quella che è l’esperienza amorosa. Più che un dialogo sull’amore, In vino veritas è forse un pamphlet sulle donne, protagoniste del dialogo ma assenti al banchetto. Attraverso quel linguaggio ironico che caratterizza la prosa kierkegaardiana, la donna è descritta come un essere debole e soprattutto contraddittorio. Tuttavia, per quanto una strutturale inattendibilità sembri rappresentare una manifestazione della fragilità femminile, ad una attenta lettura lo stesso carattere rivela la sua forza quasi diabolica. La donna - afferma infatti Kierkegaard - è stata creata dagli dei per indebolire l’uomo, per incantarlo e sedurlo attraverso la sua apparente innocenza. La misoginia di Kierkegaard si mostra qui in tutta la sua complessità: la donna è necessaria quanto pericolosa per l’uomo che non riesce a farne a meno e contemporaneamente la teme. Lo stesso avviene per l’esperienza amorosa, che si mostra, da un lato, come un pericolo e, dall’altro, come un evento ridicolo, deriso dall’osservatore. L’amante che si annulla nel desiderio dell’amata vuole annullare il suo io che, d’altro canto, si mostra solo nell’unione con l’altro. Se per Kierkegaard l’amore offre un piacere solo apparente all’uomo, causandogli in realtà dolore e scherno, lo stesso non si può dire per la filosofia, che costituisce l’unico vero piacere per l’individuo. Questo è l’oggetto di un racconto autobiografico incompiuto di Kierkegaard, Johannes Climacus, in cui la filosofia costituisce una passione profonda e fonte di soddisfazione per l’individuo. Il racconto costituisce di fatto una sorta di esercizio intellettuale, in cui il protagonista procede di pensiero in pensiero, complicando via via il proprio cammino sino a far diventare il pensiero stesso il 45 proprio oggetto d’amore. Filo conduttore del racconto è il dubbio, che costituisce, da una parte, l’elemento portante della filosofia e, dall’altra, l’elemento scatenante la passione di Johannes. La prima parte del racconto, che complessivamente doveva constare di tre parti di cui solo la prima e parzialmente la seconda sono state ultimate da Kierkegaard, prende le mosse dal dubbio cartesiano che rappresenta l’inizio della filosofia moderna. Partendo dal dubbio, Johannes inizia il suo percorso intellettuale che lo porta a chiedersi se il dubbio permetta l’inizio della filosofia o se, piuttosto, ne costituisca la sua prima manifestazione. Di questo passo, passando da un pensiero all’altro, il protagonista arriva a comprendere che, in ogni caso, il dubbio costituisce l’essenza vera e propria della filosofia, che dunque ha senso solo come esercizio spirituale personale. Per questo, la seconda parte rappresenta una ricerca personale da parte di Johannes che si addentra nei meandri del dubbio sino a cogliere i concetti di ripetizione e di ricordo, finché il racconto non si interrompe. Come nota Simonella Davini nell’“Introduzione”, Kierkegaard interrompe il racconto mentre affronta il concetto di ripetizione, che costituirà l’oggetto dello scritto successivo, intitolato, peraltro, La ripetizione. L’interruzione del racconto non indica pertanto un fallimento nell’intento dell’autore, quanto piuttosto una manifestazione vera e propria dell’esercizio filosofico. In altre parole, l’addentrarsi nel pensiero e nella speculazione porta Kierkegaard a cominciare un’ulteriore ricerca, sulla ripetizione appunto, che, a costo di interrompere il lavoro iniziato, ne manifesta l’intima essenza, ovvero l’esigenza, imprescindibile, di procedere nel pensiero e nella ricerca intellettuale. A.S. Le parole di Foucault La forza della parola è forse l’elemento che meglio caratterizza il pensiero di Michel Foucault. Ne sono testimonianza due volumi in cui il linguaggio si mostra in tutta la sua capacità critica. Si tratta degli SCRITTI LETTERARI (a cura di C. Milanese, Feltrinelli, Milano 1996), in cui vari saggi sulla letteratura descrivono la scrittura come l’ultimo elemento della trasgressione, e di DISCORSO E VERITÀ (trad. it. Di A. Galeotti, Donzelli, Roma 1996), in cui Foucault spiega come la verità esponga l’individuo al rischio e al pericolo. Se ne Le parole e le cose (Milano 1967) Michel Foucault rivela il carattere dissacratorio della parola, che riesce a rompere gli equilibri di potere, negli Scritti letterari offre una dimostrazione concreta del potere dirompente della parola. La scrittura, PROSPETTIVE DI RICERCA infatti, diventa la voce dell’Altro che parla dal di fuori e mette fine al pensiero antropocentrico. La trasgressione si rivela nell’atto dello scrivere che, non rimandando ad alcun contenuto, diventa il gioco fine a se stesso dei significanti. Foucault scompare così nella messa in opera della scrittura che riflette su se stessa all’infinito e perde il significato denotativo e connotativo. Come la sessualità che supera, trasgredendo l’ordine, la morte di Dio, così la scrittura rivela il gioco continuo dell’inconscio che mette fuori uso il soggetto cartesiano e apre la parola agli orizzonti dell’infinito. Il decentramento del soggetto e delle categorie metafisiche fanno da sfondo anche a Discorso e verità in cui Foucault, descrivendo la problematizzazione di un tema, sposta l’attenzione sugli elementi marginali e nascosti delle società. In questo scritto Foucault affronta il concetto di verità che, emergendo come “problema” nell’antica Grecia, apre una serie di questioni decisive sia dal punto di vista logico (quando una proposizione è vera?) sia da quello pratico (che ruolo ha nella società la verità?). Attento a questo secondo aspetto del problema, Foucault affronta le conseguenze della verità in un individuo pronto a modificarsi con le esperienze della vita e in grado di abbandonare quell’identità fondativa tipica del cartesianesimo e della metafisica. Il concetto analizzato da Foucault è la parresìa, ovvero la verità intesa come quel dovere che implica un rischio da parte del parlante. Colui che usa la parresìa si trova sempre in una condizione di inferiorità rispetto all’interlocutore e perciò, smantellando la forza di questi, mette a rischio la propria incolumità. L’analisi di Foucault parte dalla tragedia di Euripide per arrivare al mondo cristiano in cui è possibile riscontrare legami con quello moderno. Euripide ha il merito di aver svelato la verità come problema: grazie alla parresìa, infatti, l’uomo è riuscito a smascherare i giochi degli dei e a riabilitare se stesso. Dello stesso tono è l’opera di Dione Crisostomo, che mostra la ribellione di Dionigi nei confronti di Alessandro Magno, impossibilitato a esercitare il suo potere di fronte alla forza della verità. Diverso è il discorso per quanto riguarda il mondo cristiano, dove la verità costituisce uno strumento di ascesi e di ri-unione con la divinità. In questo modo, Foucault torna ai temi già affrontati nell’analisi dell’età moderna come la moralizzazione e la critica alla sessualità. Se infatti questi temi, durante il monachesimo, costituivano la garanzia dell’affermazione dell’individuo, nell’età moderna nascondono il potere moralistico delle istituzioni che soffocano l’autonomia dell’uomo. La verità diventa, così, un esercizio per la cura di sé in grado di decostruire l’identità sociale e raggiungere un vero e proprio autogoverno. In altre parole, la scoperta della verità costituisce un esempio di autonomia dell’individuo che, a proprio rischio e pericolo, affronta le contraddizioni dell’esistenza e riesce a scardinarsi dalla società. A.S. Le meditazioni metafisiche di Cartesio Fino a che punto Cartesio ha influenzato la filosofia post-cartesiana e in quali ambiti possiamo ancora osservare le tracce di questa influenza? A questo tema è dedicata una raccolta di saggi critici, contenuta in un volume a cura di David Weissman, METAPHISICAL MEDITATIONS (Yale University Press, New Haven e Londra 1996), che oltre alle ‘Meditazioni metafisiche’ e al ‘Discorso sul Metodo’ di Cartesio offre un valido contributo critico all’approfondimento di alcuni temi cartesiani riguardo alla metafisica, l’epistemologia, la fisica, la matematica, l’etica e l’antropologia. Tra i vari contributi raccolti nel volume, David Weissman interviene con un saggio sulle radici cartesiane della metafisica da Leibniz a Russell e Wittgenstein e con uno sulla nozione cartesiana di coscienza e sul rapporto fra fisico e psichico. Seguono interventi di Stephen Toulmin su Descartes and his Time (Cartesio e il suo tempo), di John F. Post su Epistemology (Epistemologia), di Lou Massa su Physics and Mathematics (Fisica e matematica), di William T. Bluhm su Political Theory and Ethics (Teoria politica ed etica), di Thomas Pavel su Literature and the Arts (La letteratura e le arti). L’idea di fondo che guida questa raccolta di saggi è che le teorie filosofiche sono sempre dotate di una storia e non possono essere studiate in un presente senza tempo. Questa storia è la storia della trasformazione di concetti chiave; una trasformazione che può portare a profonde modificazioni dei concetti originari, al punto da non riuscire più a riconoscere questi ultimi nella loro “progenie”. Si prenda, per esempio, l’ontologia “psicocentrica” di Cartesio: la convinzione che “Io sono, Io esisto” è vera tutte le volte che la pronuncio o la concepisco mentalmente. Alcuni discendenti di Cartesio rendono il cogito autosufficiente, riducendo tutto il resto a semplici qualificazioni della mente - la mente assume una funzione creativa, sul modello di quella divina; altri, invece, più cautamente, riprendono la sua enfasi sul rigore e logico e l’economia concettuale, proponendo un’ontologia forse più ascetica, fatta di idee, giudizi, proposizioni. In questa seconda tradizione il rigore finisce col trasformarsi in un esasperato scetticismo, che dissolve tutto ciò che non può essere ricondotto a percezione: ciò che esiste sono solo le impressioni e le loro più deboli copie. Ora, l’uno come l’altro filone hanno il cogito come proprio punto di partenza, ovvero la capacità di esercitare l’autoriflessione. Riflettendo su se stessa la 46 mente analizza le idee oscure, costruisce il complesso a partire dal semplice, dà il proprio assenso ai contenuti che trova in se stessa oppure li nega. Se si sottolinea l’aspetto dell’autoriflessione e il ruolo della volontà, è breve il passo che porta dal cogito cartesiano alle monadi leibniziane e all’unità trascendentale dell’appercezione di Kant, a Fichte e all’assoluto di Hegel; se, invece, si ignora l’autoriflessione e si sottolinea piuttosto l’analisi delle idee, così come la loro organizzazione logica, da Cartesio si arriva a Locke, Berkeley, Hume, Russell e i positivisti. Anche riguardo all’altro filone interpretativo, quello analitico, lo psicocentrismo cartesiano, osserva Weissman, si evolve nella direzione dell’idealismo. In questo senso: se in una prima fase sono dotate di esistenza solo le cose che sono rappresentate da percezioni e idee, in seguito lo scetticismo limita l’esistenza alla mente e ai suoi prodotti, per poi confinarla soltanto alle impressioni. L’ultimo passo di questo processo consiste nel rendere l’esistenza funzione di un impegno linguistico o grammaticale: ci sono tanti generi di cose nell’universo quanti sono i termini predicativi del linguaggio che è utilizzato; sintatticamente l’esistenza è costruita come il valore di una variabile vincolata. E questa evoluzione si ispira alla concezione cartesiana dell’esistenza: x esiste nella misura in cui è percepito (conosco me stessa per conoscenza diretta) oppure perché vi è una teoria, consistente con altre teorie, che ne asserisce l’esistenza. In questo secondo caso nulla può esistere se non all’interno di un linguaggio o di una teoria. C.C. I vizi per Tommaso D’Aquino La nuova traduzione, con testo latino a fronte, de I VIZI CAPITALI (a cura di U. Galeazzi, Rizzoli, Milano 1996), uno dei contributi filosoficamente più originali e meditati della colossale produzione filosofica di Tommaso D’Aquino, intende mettere in luce l’attualità del pensiero morale di Tommaso e l’acutezza con cui quest’ultimo riconduce ai loro fattori teoretici originari questioni di vasta portata e incidenza sociale, come i sette vizi capitali. Secondo Umberto Galeazzi, le Quaestiones disputatae de malo, di cui De vitiis capitalibus (I vizi capitali) rappresentano la seconda parte, costituiscono l’espressione più ampia, approfondita e rigorosa del pensiero di Tommaso D’Aquino, frutto del suo insegnamento, soprattutto all’Università di Parigi, che si affianca a una straordinaria produzio- PROSPETTIVE DI RICERCA ne scientifica lungo un arco di circa sedici anni, dal 1256 al 1272. L’opera, sottolinea Galeazzi, si presenta organica sia alle esigenze dell’insegnamento, sia a quelle della ricerca; non si discosta infatti da quel metodo del dialogo e del lavoro in équipe che caratterizza lo stile proprio della quaestio, articolata nei suoi tre momenti strutturali: la discussione, la soluzione o risposta e, infine, la redazione definitiva con l’edizione di competenza del maestro. Applicando un simile metodo al tema dei vizi capitali, Tommaso ci offre una dettagliata disamina delle limitazioni e delle imperfezioni a cui l’uomo è soggetto nell’avventura morale che ne caratterizza la condizione e l’esistenza. L’analisi della superbia, della vanagloria, dell’invidia, dell’accidia, dell’ira, dell’avarizia, della gola e della lussuria finiscono, così, per essere punto di accesso - per via negativa - a ciò che è “capitale” per la vita stessa del pensiero, la questione del fine ultimo. Al di là, infatti, di una semplice ed elenchica ricognizione fenomenologica della vita morale dell’uomo, con i suoi problemi e le sue contraddizioni, quest’opera ci conduce, come rileva Galeazzi, all’interno della natura stessa del problema come una questione di principio. Persino il ricorrere dell’aggettivo “capitali”, a fianco del sostantivo “vizi”, indica l’attestarsi di questi non a livello della tenuta dell’agire umano, entro il criterio etico della coerenza morale, bensì sul piano della suprema vocazione del pensiero alla questione del principio. Con Tommaso, osserva Galeazzi, il pensiero di natura, proprio attraverso la disamina dei suoi vizi, viene a configurarsi come pensiero-facoltà del principio e, in quanto tale, come segnato da uno statuto genuinamente morale; il pensiero è infatti facoltà del bene. In questa prospettiva Tommaso si segnala come colui che, stigmatizzando lo statuto morale del pensiero, lo ha restituito alla sua suprema vocazione speculativa, liberandolo da inutili pastoie etico-moralistiche. In questa prospettiva Galeazzi individua il nucleo centrale di un possibile confronto critico con i presupposti teoretici della filosofia moderna e contemporanea. Nel volume compare anche una puntuale bibliografia riguardo alle note presenti nel testo. Il testo latino a fronte riproduce la versione critica dell’edizione leonina; la traduzione di Galeazzi ha tenuto presenti sia il testo dell’edizione Marietti, sia quello a cura di R. Busa, oltre alle versioni in lingua francese (Parigi 1992) e in lingua inglese (Indiana 1983). G.F. Verità e vita in Montaigne In PICTA HISTORIA. LETTURA DI MONTAIGNE E NIETZSCHE (QuattroVenti, Urbino, 1995), Nicola Panichi mette in evidenza, attraverso l’analisi dell’opera di Montaigne, una concezione della filosofia come “arte di vivere”. In OH, UN AMICO! IN DIALOGO CON MONTAIGNE E I SUOI INTERPRETI (FrancoAngeli, Milano, 1996), Sandro Mancini mostra invece come nei ‘Saggi’ di Montaigne traspaia non solamente una componente fenomenologica, ma anche una componente dialettica che, tuttavia, non culmina in una sintesi capace di sanare tutte le lacerazioni, ma lascia sussistere i misteri e le ambiguità dell’esistenza. Nel ricostruire la filosofia che sta alla base dei Saggi di Montaigne, Nicola Panichi mostra come il filo conduttore di quest’opera sia costituito dall’affermazione del carattere attivo della conoscenza filosofica. Montaigne, infatti, polemizza con l’astratta speculazione filosofica per la mancanza di un suo concreto riferimento all’esperienza vissuta, rivelando così l’impronta fenomenologica del suo argomentare. Come sottolinea Panichi, la filosofia “autentica” deve immergersi, per Montaigne, nella profondità della condizione umana, saldandosi all’etica e qualificandosi come “pittura del passaggio” e non dell’essere. D’altra parte, Montaigne tende a mettere in crisi, nella sua opera, l’idea di una natura umana immodificabile, evidenziandone invece il suo carattere mutevole e la sua condizione di instabilità e di incertezza. Pertanto nella vita umana risulta predominante la capacità dell’uomo di costruire la propria vita cercando di conseguire una “soggettività consapevole” e manifestando la propria libertà. Da questo punto di vista rilevanti sono per Panichi i punti di contatto di questa concezione con la filosofia di Nietzsche, che mettono in luce l’estrema modernità del pensiero di Montaigne. Come Nietzsche, anche Montaigne ritiene che la filosofia debba radicarsi nella corporeità, non dovendo mai prescindere dai suoi legami con l’ambito esperienziale dell’esistenza. D’altro canto, entrambi i pensatori ricercano «le parole che agiscono», «le parole che sanguinano»; ogni parola viene in loro vissuta profondamente come fosse incisa nella corporeità umana. Così l’io che essi sostengono, fa notare Panichi, è un io “lacerato”, “diviso”, “pieno di molteplici parole”, di diversi stili e di mutevoli stati d’animo. Per Nietzsche, come per Montaigne, l’uomo, non essendo in grado di entrare in contatto con l’essere, assume come realtà il continuo divenire. In tale prospettiva all’eterno ritorno di Nietzsche corrisponde il carattere ciclico attribuito da Montaigne al corso della storia. D’altro canto, sarà lo stesso Nietzsche a elogiare Montaigne, mostrando come nella personalità dell’autore dei Saggi siano compre47 senti una forte vitalità e una profonda saggezza, che si rivelano nel suo piacere di filosofare e nel suo sereno stato d’animo. La ricostruzione che Sandro Mancini compie del percorso filosofico presente nei Saggi ha lo scopo di mettere in evidenza come nella filosofia di Montaigne sia possibile rintracciare non solamente una componente fenomenologica, come vari pensatori hanno già sottolineato, ma anche una componente dialettica. Già Merleau-Ponty aveva messo in luce la dimensione fenomenologica presente nell’opera di Montaigne, mostrando come essa delinei un rapporto “costitutivo” tra la vita della coscienza e quella del corpo. D’altra parte, anche Starobinsky ha avuto il merito di individuare il “movimento” che pervade la filosofia di Montaigne, impedendole di cristallizzarsi in una forma stabile e immutabile. Tuttavia, osserva Mancini, entrambi non hanno saputo cogliere la “dialettica dell’espressione” che si rivela nei Saggi secondo un percorso caratterizzato da tre fasi. Se in una prima fase Montaigne afferma la tesi dell’esistenza delle apparenze, nella fase dell’antitesi tenta di vanificarle, per sancire alla fine, nella sintesi, l’impossibilità della negazione delle apparenze e la necessità di una riconciliazione con esse. Tuttavia questa dialettica, sottolinea Mancini, si distacca nettamente da quella hegeliana, poiché la sintesi non determina una soluzione definitiva della posizione iniziale. Se nel corso del secondo movimento l’identità sostanziale si converte nell’opposta polarità della “differenza”, la sintesi finale non implica la riaffermazione del carattere sostanziale del soggetto, ma semmai fornisce nuovo “spessore” al senso dell’esistenza. Infatti, la filosofia di Montaigne non elimina “l’opacità” e “l’ambiguità” dell’esistenza, lasciando piuttosto sussistere tutti i suoi iati e tutte le sue lacerazioni, senza per questo spalancare il baratro del vuoto abissale di senso, ma rivelando invece un carattere “fenomenista” e non nichilista. Sia Baroz che Starobinsky hanno d’altra parte mostrato come lo scetticismo di Montaigne sia consono alla riflessione sull’«esperienza primordiale del corpo vissuto». Inoltre, Merleau-Ponty ha evidenziato come Montaigne abbia promosso un movimento di ricerca della verità volta «a mettere tra parentesi i presupposti categoriali», non con uno scopo distruttivo, ma con l’intento di far emergere le manifestazioni originarie dell’esperienza. Così lo scetticismo fenomenologico di Montaigne finisce con l’enucleare tutti i “paradossi della ragione dialettica”: partendo dall’affermazione del carattere contradditorio della verità Montaigne conclude che «la contraddizione è verità». M.Mi. PROSPETTIVE DI RICERCA Edmund Husserl La concezione dello spazio in Husserl Nel volume dal titolo: LIBRO DELLO SPA(Guerini e Associati, Milano 1996) vengono raccolti, a cura di Vincenzo Costa, alcuni testi di Husserl che erano stati preparati in previsione della pubblicazione di uno studio sullo spazio e sulla geometria. Il volume costituisce un valido contributo per la comprensione della concezione fenomenologica husserliana. ZIO Negli scritti raccolti in Libro dello spazio, Edmund Husserl si propone di mostrare come sia possibile giungere alla percezione dello spazio tridimensionale. Per Husserl lo “spazio geometrico” è il prodotto di una rappresentazione concettuale. In questo egli si differenzia dalla prospettiva kantiana, secondo cui la rappresentazione dello spazio che sta alla base della geometria è generata da un’intuizione. Già Platone, sottolinea Husserl, aveva mostrato il carattere “bastardo” dello spazio, che pur non potendosi manifestare, costituisce tuttavia l’orizzonte entro cui si manifestano le cose. Bisogna allora partire dalla “costituzione della cosa spaziale” per poter delineare la formazione dello spazio obiettivo. In tale prospettiva lo spazio si manifesta attraverso le percezioni visive, tattili, che costituiscono l’oggetto spaziale in quanto, a differenza di altre percezioni, come ad esempio quelle acustiche, «riempiono l’oggetto in senso pieno ed autentico», facendo emergere dallo sfondo indefinito la cosalità dell’oggetto nella sua struttura globale. A queste si aggiungono le sensazioni cinestetiche, che testimoniano del legame essenziale tra il campo visivo e i “decorsi cinestetici”, legame che implica la corrispondenza tra la posizione dell’oggetto e la rispettiva sensazione oculare. In tal senso, il cambiamento di posizione nel campo visivo favorisce la costituzione delle “forme di obiettivazione”. Non bastano però l’avvicinamento e l’allontanamento; basilare è il processo di “rotazione su di sé” dell’oggetto per poterne determinare la percezione della tridimensionalità nello spazio. In tale processo di rotazione dell’oggetto si realizza un movimento “ciclico” generato dal passaggio continuo dal “coprimento” al “disvelamento”, in base al quale l’immagine non scompare dal campo visivo, ma viene semplicemente “coperta” da un’immagine dello stesso oggetto. Attraverso la rotazione su di sé l’oggetto rivela sempre nuovi suoi lati determinando la sua percezione come “corpo chiuso”. Quando un oggetto ha acquisito la sua collocazione insieme agli altri oggetti nel campo attuale, per Husserl, viene 48 conservato nella coscienza individuale. Pertanto, attraverso le relative circostanze cinestetiche nel mondo, esso rappresenta “un’orizzonte sempre presente” anche nel caso in cui visivamente di esso non sia data alcuna immagine. D’altra parte, per Husserl la percezione delle cose è dovuta ad un “me” che non si colloca nello spazio nella stessa maniera delle altre cose. Il punto di partenza della percezione è in verità il “corpo proprio” che coglie il passaggio dal “qui” inteso come la sua posizione nello spazio al “qui” inteso come “forma intercambiabile” attraverso il camminare. In tale prospettiva d’indagine, ricopre un ruolo essenziale lo “spazio-ambiente”. Infine, mentre Kant negava l’esistenza dello spazio vuoto poiché, essendo la spazialità una dimensione della ricettività, rendeva impossibile la sensazione del vuoto, Husserl, considerando la spazialità una componente della “spontaneità cinestetica”, ritiene possibile la sensazione del vuoto. In quest’ottica il vuoto si configura come “potenzialità di oggetti”. M.Mi. PROSPETTIVE DI RICERCA L’ontologia sensibile di Merleau-Ponty L’opera postuma di Maurice MerleauPonty, LA NATURA (trad. it. di M. Mazzocut-Mis e F. Sossi, a cura di M. Carbone, Cortina, Milano 1996) mette a disposizione i testi dei corsi di lezione tenuti dal filosofo nell’ultimo periodo della sua riflessione, dedicati al tema della natura. Essi testimoniano del deciso orientamento ontologico della ricerca merleaupontyana in questo periodo, la quale si concreta nel tentativo di coniugare l’istanza ontologica a quella sensibile. A questi stessi temi è dedicata l’opera di Mauro Carbone, IL SENSIBILE E L’ECCEDENTE. MONDO ESTETICO, ARTE, PENSIERO (Guerini e Associati, Milano 1996), che, in forza anche delle indicazioni di Merleau-Ponty, propone, con taglio critico, una “presa di partito” per il sensibile. Pubblicato per la prima volta in Francia nel 1995 e ora disponibile in edizione italiana (con alcune revisioni rispetto al testo stabilito dal curatore dell’edizione francese), La nature raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto da Maurice Merleau-Ponty al Collège de France nel 1956-57, dedicato a “Il concetto di natura”, e di quello tenuto nel 1959-60, dedicato al tema “Natura e logos: il corpo umano”. La natura è qui “il primordiale”, “il noncostruito”, ciò che non può mai stare davanti all’uomo come un oggetto, perché non è un oggetto. Piuttosto - afferma Merleau-Ponty -, essa “sostiene” l’uomo, in quanto ne costituisce il “suolo”, cioè quel fondamento che è sempre dato “con” l’uomo, e mai “di fronte” a esso. La natura è dunque ciò che è altro dall’uomo, pur riguardandolo intrinsecamente; la natura è il “differente” dall’uomo. Per Merleau-Ponty, non si tratta di dar luogo a una “teoria della conoscenza della natura”; del resto, egli rigetta anche la configurazione di una “filosofia della natura”, concepita come una sorta di “super-scienza”, a sé stante, peculiare e separata. Il concetto di natura gode invece, per Merleau-Ponty, di un legame inscindibile con quello di “uomo” e quello di “Dio”, in quanto essa rappresenta «un foglio dell’essere totale». L’ontologia della natura è perciò la via d’accesso privilegiata per l’ontologia in quanto tale: il concetto stesso di natura costituisce «l’espressione privilegiata» dell’ontologia. Questi scritti merleaupontyani testimoniano dello sforzo, da parte del filosofo, per giungere, negli ultimi anni della sua riflessione, a un concetto di ontologia che sappia scorgere il nesso, intrinseco alla dimensione fondativa che la natura riveste nei confronti dell’uomo, fra attività e passività. Non è un caso se, su questa strada, come sottolinea nella sua “Presentazione” dell’opera Mauro Carbone, Merleau-Ponty si imbatte in Schelling, quale suo interlocu- tore privilegiato. Il tema della circolarità del rapporto che vincola l’uomo alla natura rinvia, infatti, a un’indivisione fra i due poli della relazione attivo-passivo, da guadagnarsi, attraverso la riflessione, dopo che proprio quest’ultima l’ha determinata. I testi di questi corsi di lezione, rileva Carbone, vanno letti in stretta connessione da un lato con i materiali pubblicati ne Il visibile e l’invisibile, dall’altro con le note, tutt’ora inedite, che il filosofo aveva approntato per il suo ultimo corso, prima dell’improvvisa scomparsa, dedicato al tema “L’ontologia cartesiana e l’ontologia odierna”. Queste note vengono ora prese in esame da Carbone nel suo saggio Il sensibile e l’eccedente. Mondo estetico, arte, pensiero, al fine di mostrare come Merleau-Ponty, in particolare nell’ultima fase della sua riflessione, fornisca indicazioni rilevanti in merito al problema del rapporto tra attività e passività dell’esperienza umana. Per quanto quest’esperienza rinvii all’elemento sensibile che connota la conoscenza umana, il riconoscimento del carattere passivo, ovvero ricettivo, di quest’ultima non ha storicamente comportato un corrispondente e correlato riconoscimento, decisivo e fondante per la conoscenza, dell’elemento sensibile. Quest’ultimo appare anzi, secondo Merleau-Ponty, come il vero e proprio impensato dell’ontologia contemporanea: occorre dunque “prendere partito” per il sensibile. Carbone ritrova le tracce di questa presa di posizione già nelle considerazioni di Husserl dedicate alla Einfühlung (empaia), nelle quali emerge una decisiva attenzione per la corporeità. Al mondo sensibile viene riconosciuta una significatività sua propria, riconoscimento che appare come inconciliabile con l’assunzione di un’impostazione soggettivista, in quanto quest’ultima rimuove (o, comunque, relega in secondo piano) il carattere passivo della conoscenza umana. Occorre invece mettere ulteriormente in rilievo la caratterizzazione patica, ovvero sensibile, della conoscenza, radicando quest’ultima in una configurazione ontologica adeguata. In questo senso, osserva Carbone, le indicazioni più rilevanti provengono proprio dall’ultima fase della riflessione di Merleau-Ponty. Nei materiali pubblicati ne Il visibile e l’invisibile e negli inediti del corso dedicato al tema “L’ontologia cartesiana e l’ontologia odierna” Carbone ritrova elementi atti a enucleare il “pensiero del sensibile”. Il conato conoscitivo si connota, nella conoscenza intellettiva, come irrimediabilmente coniugato a una prospettiva soggettivista, che comporta, da un lato, la rimozione dell’istanza recettiva della sensibilità, dall’altro quella dell’istanza ontologica, con l’“oblio dell’essere” già segnalato da Heidegger. Il “lasciar essere” l’ente da parte del soggetto, che connota l’“ontologia sensibile” proveniente dall’opera di Mer- Maurice Merleau-Ponty 49 PROSPETTIVE DI RICERCA leau-Ponty, fa riferimento a una prospettiva “estesiologico-ontologica”, in cui il soggetto non riveste più, nella sua attività concettualizzante, un ruolo appropriativo: nel primato conferito alla modalità della aisthesis il soggetto si caratterizza come autenticamente ricettivo proprio perché assunto, in primo luogo e in via originaria, come sensibile. F.C. La fenomenologia di Friburgo Il volume 30 della serie “Phänomenologische Forschungen” (Ricerche fenomenologiche), a cura di Ernst Wolfgang Orth, raccoglie, sotto il titolo DIE FREIBURGER PHÄNOMENOLOGIE (La fenomenologia di Friburgo, Alber, Friburgo in Brisgovia-Monaco di Baviera 1996), i contributi presentati al convegno sul tema omonimo, organizzato a Friburgo in Brisgovia nell’ottobre 1994 dalla Società tedesca per la ricerca fenomenologica. Con la denominazione di “fenomenologia di Friburgo” viene intesa non solo la fenomenologia dell’ultimo Husserl, ma anche quella dei suoi allievi e collaboratori come Eugen Fink, Oskar Becker, Aron Gurwitsch, Hans Reiner, Jan Patocka, Roman Ingarden, Fritz Kaufmann, o quella di un pensatore come Maurice Merleau-Ponty, che dall’ultimo Husserl ha ricevuto numerosi stimoli di pensiero. Come osserva Ernst Wolfgang Orth nella “Premessa” al volume, sarebbe riduttivo intendere la filosofia husserliana del periodo friburghese (dal 1916 al 1938, anno della morte del filosofo) come la filosofia di una scuola. È però certamente vero, continua Orth, che l’attività husserliana di ricerca e di insegnamento di questo periodo ha rappresentato il punto di partenza di una serie di effetti, che nell’insieme possono essere considerati come una risposta più o meno esplicita alla fenomenologia di Husserl. È questo il caso di pensatori come Eugen Fink, Oskar Becker, Aron Gurwitsch, Hans Reiner e Jan Patocka. All’ultimo periodo della filosofia husserliana si connettono inoltre i contributi offerti da autori come Maurice Merlau-Ponty e Roman Ingarden, Fritz Kaufmann e Jean-Paul Sartre nell’ambito dell’analisi fenomenologica dell’arte e della letteratura, della percezione e dell’immaginario. Con le sue analisi sulla fantasia e sulla coscienza di immagine Husserl aveva profondamente stimolato le indagini fenomenologiche in ambito estetico e letterario, di cui rendono conto in questo volume i contributi di László Tengelyi (sugli studi dedicati da Fink alla coscienza d’immagine e alla coscienza di irrealtà), Eliane Escoubas e Käte Meyer-Drawe (sui concetti di coscienza, fenomeno e arte in Merleau-Ponty), Hans-Reiner Sepp (sulle analisi della coscienza estetica di immagine sviluppate da Fritz Kaufmann), Lambert Wiesing (sulla fenomenologia dell’immagine in Husserl e Sartre) e Eckhard Lobsien (sulla teoria della letteratura di Ingarden). Quando ereditò la cattedra che era stata di Windelband e Rickert, osserva Otto Pöggeler, Husserl aveva sviluppato la propria fenomenologia nel senso di una filosofia trascendentale e non nascondeva la sua prossimità alle tradizioni neokantiane. Gli anni di Friburgo sono per Husserl gli anni del confronto con il neokantismo e con l’“antropologismo” della filosofia della vita che, attraverso Scheler e Heidegger, aveva lasciato le sue tracce nella fenomenologia. Ma sono anche gli anni del passaggio dalla fenomenologia “statica” delle Idee alla fenomenologia “dinamica” delle Meditazioni cartesiane e della Crisi delle scienze europee. Con le sue ricerche sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo Husserl aveva scoperto che l’io non è solo il centro di irradiazione di un’attività riflessiva e critica, ma che esso si costituisce anche in una dimensione di passività. Con il corso sulla Filosofia prima (1923-24) egli aveva ripecorso la via cartesiana, ma per giungere a una monadologia di tipo leibniziano e al riconoscimento della dimensione dell’intersoggettività. Un aspetto importante della fenomenologia friburghese è il confronto di Husserl con Heidegger. Quest’ultimo, ricorda Pöggeler, aveva letto la Critica della ragion pura alla luce della fenomenologia husserliana, ma si era distaccato dal maestro con le sue analisi sulla temporalità dell’esserci (condotte nello spirito della filosofia di Dilthey) e con il successivo passaggio in primo piano dei temi nietzscheani della finitezza e dell’abissalità dell’esserci. Tra le altre “risposte” alla fenomenologia husserliana del periodo friburghese, Pöggeler considera quella di Ludwig Landgrebe, che attraverso lo studio del giovane Marx era arrivato a Hegel e considerava compatibili le filosofie di Husserl e Heidegger, e quella di Eugen Fink, che con il suo corso del 1946-47 sulla “Filosofia dello spirito” aveva connesso Husserl e Heidegger nel segno di Hegel. Particolare importanza Pöggeler attribuisce a Oskar Becker, che aveva criticato Heidegger per il suo misconoscimento del senso della matematica e delle scienze della natura, intendendo la matematica in senso ermeneutico e trascendentale come un prodotto dell’attività del “matematizzare”, e aveva trattato, riferendosi a Schelling, il problema della posizione dell’arte nell’insieme della vita spirituale. 50 Le figure di Husserl, Heidegger e Becker si ripresentano nel contributo di Wolfhart Henckmann, dedicato al problema della validità intersoggettiva dei valori in Hans Reiner, che con Husserl e Becker aveva preparato la tesi di dottorato su Freiheit, Wollen, Aktivität. Phänomenologische Untersuchung in Richtung auf das Problem der Willenfreiheit (Libertà, volere, attività. Ricerca fenomenologica in ordine al problema della libertà della volontà, 1926), e che dopo l’influsso di Husserl subisce nella sua elaborazione teorica quello di Heidegger. Nella prolusione friburghese del 3 maggio 1917 Husserl individuava nel presente l’epoca di un “impetuoso divenire” che coinvolgeva tutti gli ambiti della vita culturale, dalla politica all’economia, dalla tecnica alle arti. A quasi ottant’anni dalla prolusione friburghese di Husserl, sottolinea Pöggeler, bisogna chiedersi se l’“impetuoso divenire” di quell’epoca, con i suoi rischi e i suoi smarrimenti, non abbia prodotto un mondo nuovo, che rende obsoleto il pensiero di Husserl. Una risposta a questa domanda arriva, oltre che dall’intervento dello stesso Pöggeler, dal contributo di Ilja Srubar che, considerando la filosofia pratica di Jan Patocka, rileva la presenza di una terminologia fenomenologica in un pensatore assai distante dalla fenomenologia come Francis Fukuyama. Questi, nella sua Fine della storia, cercando di mostrare che la storia europea “finisce” con l’affermazione globale del mercato capitalistico e della democrazia liberale, cita un brano di Vaclav Havel, che fu allievo del fenomenologo Patocka, oppositore del regime comunista cecoslovacco e membro del movimento per i diritti umani “Charta 77”. L’opera di Havel, recepita da Fukuyama come un’opera volta a difendere i diritti umani, appare dunque profondamente radicata nel pensiero fenomenologico, che in questo lascia emergere potenzialità proprie di analisi del presente, che in modo particolare si sono sviluppate laddove la fenomenologia si è vista costretta ad affermarsi come pensiero “alternativo” al marxismo dogmatico del “socialismo reale”. Tuttavia, all’ipotesi di una possibile conciliazione tra una visione “positivistica” della storia, come quella di Fukuyama, e l’antipositivismo della fenomenologia Srubar preferisce l’idea di Patocka che la fenomenologia sia «l’aspirazione a contrapporre una via indagante al [...] concetto fondamentale della modernità»: un’idea secondo cui nella struttura del mondo della vita sono impliciti sia momenti che hanno reso possibile la costruzione e il successo, ma anche la debolezza e le catastrofi, dell’umanità europea, sia momenti che rappresentano un’alternativa alla fatticità dell’attuale situazione dell’Europa. PROSPETTIVE DI RICERCA Un elemento comune alle diverse indagini fenomenologiche del periodo friburghese sembra essere la problematizzazione delle analisi fenomenologiche della coscienza proposte da Husserl nelle Idee. È questo il caso di Aron Gurwitsch che, osserva Ulrich Melle, ha sviluppato l’analisi intenzionale della coscienza nel senso di una connessione tra fenomenologia e teoria della Gestalt, giungendo così a una “fenomenologia orientata in senso noematico” già presente nella sua tesi di dottorato Phänomenologie der Thematik und des reinen Ich (Fenomenologia della tematica e dell’io puro, 1928) e approfondita nell’opera The Field of Consciousness (Il campo della coscienza, 1975). Ed è anche il caso di Eugen Fink, al cui tentativo di elaborare, su richiesta di Husserl, una Sesta meditazione cartesiana sono dedicati i contributi di Ronald Bruzina e di Guy van Kerckhoven. Bruzina considera le analisi husserliane sulla coscienza trascendentale in quanto «processo costitutivo della temporalizzazione originaria», come fenomenologia “radicalizzata e sistematizzata”, che sottopone a indagine le proprie radici, cerca coerenza e integrazione per le proprie analisi particolari e tenta di autointerpretarsi e di sottoporre a critica i propri principi. Riferendosi sia alla Sesta meditazione, sia a manoscritti inediti, Bruzina mette in luce come Fink distingua diversi livelli dell’analisi fenomenologica, da quello “mondano” a quello “trascendentale”, e individua la natura “aperta” del sistema di Husserl nella continua interazione tra “analisi” e “speculazione”. La tendenza trascendentale che si risveglia nell’essere umano e che lo spinge a inibire le validità dell’“atteggiamento naturale” attraverso l’epoché, implica, secondo Bruzina, una tendenza al superamento dell’essere umano secondo un processo di de-umanizzazione, in quanto lo schema “mondano” della correlazione tra soggetto e oggetto appare inadeguato a cogliere il processo della costituzione trascendentale. Paradossalmente l’analisi regressiva del trascendentale, intesa come analisi delle “origini”, parla del trascendentale utilizzando termini che descrivono strutture “umane”, ma cerca al tempo stesso di “de-umanizzare” queste espressioni. Per esprimere la dimensione dell’origine - un “al di là” rispetto all’essere inteso in senso mondano - è invece necessaria, secondo Fink, una logica “meontica”, cioè una logica della “mancanza”, del “nulla”, del “non-essere”. Così, fa notare van Kerckhoven, mettendo in luce l’importanza della Sesta Meditazione per la filosofia di MerleauPonty, nella fenomenologia trascendentale irrompe la problematica della “mondanizzazione”, che provoca un ampliamento della fenomenologia da “statica” e “genetica” a “costruttiva”. La fenomenologia si avvicina qui al suo “culmine”: la consapevolezza dell’impossibilità di una completa riduzione, poiché la coscienza trascendentale si sviluppa sempre sul terreno dell’esistenza, e ogni pratica teorica dello spettatore trascendentale è sempre impegnata e coinvolta nel movimento dell’esistenza. La “fenomenologia della fenomenologia” proposta da Fink mostra dunque che non si dà una riflessione che sia in grado di lasciarsi alle spalle il mondo in quanto istanza ultima dell’individuazione umana. M.M. L’estetica di Schelling Quale ruolo abbia l’estetica nella filosofia schellinghiana e come si rapporti all’idealismo e alla ricerca dell’Assoluto sono gli obbiettivi dei più recenti studi di Tonino Griffero sulla filosofia di Schelling. Si tratta di L’ESTETICA DI SCHELLING (Laterza, Bari-Roma 1996) e COSMO ARTE NATURA . ITINERARI SCHELLINGHIANI (Cuem, Milano 1996). In questo contesto di riflessione devono essere segnalate due pubblicazioni di testi schellinghiani, ovvero TIMAEUS (trad. it. di M. D’Alfonso e F. Viganò, Guerini e Associati, Milano 1996) e CRITICISMO E IDEALISMO (trad. it. di C. Tatasciore, Laterza, Bari-Roma 1996). Pur nella sua complessità, la filosofia di Schelling è strettamente legata all’arte e all’estetica, per quanto, nell’ultima fase, il suo pensiero sia caratterizzato da un distacco dall’arte stessa, relegata in secondo piano. Nel suo studio, L’estetica di Schelling, Tonino Griffero cerca tuttavia di dimostrare che questo distacco è solamente apparente in quanto anche l’ultimo Schelling considera l’arte determinante nella comprensione filosofica. Il volume analizza l’evoluzione del pensiero di Schelling a partire dalla opere giovanili fino alle Lezioni di Stoccarda e all’elaborazione della filosofia positiva. All’interno delle opere giovanili del periodo di Tubinga spicca l’analisi del Timeo platonico, nel quale Schelling, commentando il mito omonimo, riscontra nell’opera di Platone la capacità di mediare finito e infinito attraverso la sintesi di idee e cose. Il legame con l’estetica sta tutto nel concetto di bellezza, che ispira Platone nella sua opera e che è colta dall’uomo grazie all’intuizione prodotta dall’anima. Il processo razionale risulta insufficiente a percepire la conciliazione tra finito e infinito, che viene colta unicamente nell’intuizione estetica. L’analisi di Griffero prosegue con la considerazione delle opere fino al 1800, nelle quali Schelling si è occupato espressamente della natura intesa come organismo. Qui l’arte, come la storia e come la natura stessa, diventa sintesi di libertà e necessità e, pertanto, conciliazione di finito e infini51 to. L’attenzione nei confronti dell’arte raggiunge tuttavia il suo apice nella filosofia dell’Identità, in cui la Bellezza, attraverso la teorizzazione del panteismo, diventa sintesi di reale e ideale. Schelling analizza diverse forme d’arte, dalla musica alla scultura, riscontrando sempre nell’arte l’organo supremo della filosofia in grado di cogliere l’Assoluto. L’abbandono dell’arte sembra presentarsi nell’ultimo periodo, quando Schelling, nella filosofia della libertà, afferma la divina follia, ovvero la prevalenza dell’inconscio anche nella figura di Dio che appare nella sua finitezza e oscurità. La filosofia diventa, così, abbandono della razionalità e ricerca dell’abisso, di quell’Abgrund così lontano dall’idealismo e dalla riflessione filosofica. Per quanto, ad una prima lettura, l’arte sembri aver perso in questa fase di pensiero la sua funzione di organo della filosofia, Griffero fa tuttavia notare come anche nell’ultimo Schelling l’estetica rivesta una funzione determinante, se non come rivelazione dell’Assoluto, senz’altro come originaria forma delle cose, che si rivelano nella loro finitezza e malinconia, fissate nella propria estaticità. In Cosmo arte natura. Itinerari schellinghiani Griffero contrappone la filosofia dell’arte e la tendenza essoterica all’intuizione intellettuale, patrimonio dell’inconscio e, pertanto, esoterica. Secondo Griffero, la filosofia di Schelling si è sempre mossa tra queste due tendenze che, pur contrapposte, si completano l’una con l’altra. La componente estetica si manifesta nell’interpretazione dell’universo inteso come struttura simbolica da decifrare e da comunicare; per questo Griffero intende l’estetica la parte essoterica della produzione schellinghiana. La luce, i colori, addirittura le comete e le stelle, diventano elementi simbolici dell’unità di reale e ideale e quindi manifestazione dell’Assoluto. D’altra parte, in questo è altrettanto presente la componente extrafilosofica attraverso l’intuizione intellettuale, che riporta la meditazione all’inconscio e alla “detronizzazione” dell’io e della coscienza. In altre parole, nota Griffero, il legame con Fichte e con la spontaneità originaria dell’io risulta molto evidente e apre la filosofia di Schelling alla crisi della coscienza, che troverà il suo apice nella psicoanalisi freudiana. Lo scopo di Schelling, infatti, come appare anche nello scritto giovanile Criticismo e idealismo, è il superamento del dualismo kantiano e fichtiano in una dimensione di unità originaria, riscontrabile nell’intuizione intellettuale. Secondo Griffero, questa tendenza si dirige verso una dimensione esoterica, e quindi incomunicabile, tipica della filosofia schellinghiana e della meditazione successiva. A.S. PROSPETTIVE DI RICERCA Sfera armillare L’eliocentrismo di Copernico e Galilei Diffusosi a prezzo di enormi difficoltà, l’eliocentrismo costituisce il fondamento della scienza moderna. Dedicati ai due padri della rivoluzione astronomica, sono disponibili due studi che intendono ridiscutere l’elaborazione della teoria eliocentrica: COPERNICO E LA QUESTIONE COPERNICANA IN ITALIA (a cura di L. Pepe, Olschki, Firenze 1996), che raccoglie una serie di interventi sull’elaborazione dell’ipotesi eliocentrica e CONTRO GALILEI. ALLE ORIGINI DELL’AFFAIRE (Olschki, Firenze 1996), di Massimo Bucciantini, che affronta le motivazioni filosofiche e giuridiche che portarono Galilei al processo e alla condanna. Il volume dal titolo Copernico e la questione copernicana in Italia raccoglie i principali interventi tenutisi nel 1993, presso l’Università di Ferrara, in occasione del 450˚ anniversario della morte dell’astronomo e della pubblicazione del De Revolutionibus Orbium Celestium. La tesi che sottende le relazioni presenti nel testo è la consapevolezza dell’importanza dell’opera di Copernico, rimasta, però, a livello ipotetico e perciò ancora, parzialmente, legata al mondo antico. Tra gli altri segnaliamo, a questo proposito, l’intervento di Francesco Barone, che si occupa proprio della contestualizzazione di Copernico nel frammezzo tra antichità e modernità. Se infatti Copernico è ancora legato al mondo antico, in quanto rimane ancorato ad un universo sferico e finito con derivazioni religiose ed ermetiche, la sua matematizzazione della natura costituisce la base per la rivoluzione scientifica operata da Galilei e da Keplero. Per di più, nota Barone, l’opera copernicana non deriva da un lavoro esclusivamente teorico, bensì da ripetute osservazioni che convalidano le sue ipotesi e che conducono l’astronomo nell’epoca moderna. La continuità tra Copernico e il mondo antico è l’oggetto dell’intervento di Paolo Casini, secondo il quale tra Pitagora e Newton esiste una profonda continuità, riscontrabile nella matematizzazione della natura, della quale Copernico si è fatto il primo portavoce nell’età moderna. Pur confermando l’importanza dell’intuizione copernicana, il sistema eliocentrico resta un’ipotesi matematico-teorica sino a quando Galilei, con il cannocchiale, dimostra nei fatti la nuova struttura dell’Universo. È questo l’oggetto dell’intervento di Leonida Rosino, che nota come l’opera copernicana riesca, da una parte, a screditare l’Almagesto di Tolomeo e a sviluppare le intuizioni dei pitagorici e di Cusano, ma, dall’altra, si dimostri insufficiente a fornire prove certe a suo sostegno. Solo l’osservazio52 ne dei pianeti e gli esperimenti sulla terra operati da Galilei riusciranno a scardinare del tutto il sistema geocentrico e a fornire una nuova visione del mondo. Proprio a causa dell’abbattimento dell’universo geocentrico, Galilei si trova ad affrontare il tribunale del Sant’Uffizio che lo costringe, alla fine, all’abiura. È questo l’oggetto dello studio di Massimo Bucciantini che affianca ai documenti processuali le interpretazioni filosofiche e astronomiche in grado di spiegare gli eventi processuali. Pensato come una riapertura del caso giudiziario e filosofico di Galilei, questo studio, ricco anche di documenti inediti, fornisce una nuova interpretazione delle vicende che videro lo scienziato pisano protagonista dal 1616 al 1632. Nonostante la riabilitazione operata da Giovanni Paolo II nel 1992, secondo Bucciantini occorre ridiscutere il caso Galilei in modo da cogliere il collegamento tra l’ammonimento del 1616 e il processo del 1632 per ottenere una nuova considerazione del rapporto scienza-fede. Tornando agli eventi del 1616, nota Bucciantini, è necessario notare il ruolo decisivo di due personaggi, Tommaso Caccini e Francesco Ingoli. Se il primo va ricordato per aver denunciato Galilei nel 1615 e dato via al caso, il secondo, grazie alla pubblicazione di diversi libelli, ha contribuito alla demolizione del copernicanesimo e delle tesi di Keplero. Più precisamente, l’importanza di Ingoli sta nell’aver mostrato in che modo il sistema eliocentrico comportasse un’inversione di rotta morale e religiosa in grado di svuotare la Chiesa di tutto il suo potere. Per di più, esisteva la questione dell’interpretazione allegorica di quel passo biblico sul movimento del Sole che sminuiva l’importanza della Bibbia, sino a quel momento considerata il Libro per eccellenza. Il conflitto tra Scienza e Fede, dunque, assumeva i caratteri della lotta tra il predominio culturale e la decadenza della Chiesa: per queste ragioni il caso fu riaperto. Secondo quest’ottica, l’esame di Bucciantini prosegue nella considerazione del rapporto tra scienza e fede. Se le interpretazioni classiche vedono Galilei a sostegno della scienza e la Chiesa a difesa della fede, Bucciantini, quasi paradossalmente, nota come in realtà, da una parte Galilei si sia fatto portavoce di alcune interpretazioni allegoriche degne di un teologo contemporaneo, dall’altra la Chiesa abbia preteso argomentazioni di rigore epistemologico a sostegno dell’Eliocentrismo. In questo modo, la cesura tra lo scienziato e la Chiesa viene ricongiunta, sottolineando come il rapporto tra scienza e fede non sia mai stato di totale separazione, bensì di collaborazione. A.S. NOTIZIARIO Dedicato alla ricostruzione del pensiero di GILLES DELEUZE, filosofo francese scomparso nell’autunno del 1995, è uscito in Germania un volume collettaneo dal titolo Gilles Deleuze - Fluchtlinie der Philosophie (Gilles Deleuze - La linea di fuga della filosofia, a cura di Friedrich Balke e Joseph Vogl, Wilhelm Fink Verlag, Monaco di Baviera 1996). Con la pubblicazione di questo testo, i curatori hanno cercato di compensare le lacune e talvolta le deformazioni che hanno caratterizzato la ricezione di Deleuze in Germania (ne sono un esempio le traduzioni assai tardive di sue opere fondamentali quali Differenza e ripetizione, Logica del senso e soprattutto Spinoza e il problema dell’espressione, risalenti al 1968/69 e uscite in tedesco dopo quasi vent’anni), nonché di rivedere l’immagine più diffusa del suo pensiero, che in Germania è stata pesantemente determinata dai frutti dell’intenso sodalizio del filosofo con lo psichiatra Félix Guattari e in particolare dall’opera scritta con la sua collaborazione L’Anti-Edipo. Il volume comprende, da un lato, i contributi di importanti filosofi e letterati, non solo tedeschi, redatti in occasione della pubblicazione del volume e, dall’altro, la riproposizione di alcuni interventi già apparsi altrove (com’è il caso dell’introduzione, affidata a Pierre Macherey, autore di un ampio commento all’Etica di Spinoza, e di cui appare un articolo del 1988 sui rapporti fra Spinoza e Deleuze). L’opera si articola in tre parti, ciascuna dedicata a un aspetto particolare della composita produzione del filosofo. Nella sezione “Teatro filosofico” vengono ricostruite le tappe più significative del confronto deleuziano con la tradizione filosofica occidentale, concretizzatosi in importanti studi monografici su Hume (analizzato nell’intervento di Bruce Baugh), Spinoza, Leibniz (Christiane Frémont), Kant e Nietzsche. Le altre sezioni, rispettivamente intitolate “Il politico” e “Logica delle sensazioni” tematizzano invece, attraverso i contributi di Stefan Hesper, Wolfgang Schäffner ed Elisabeth Weber (quest’ultima con un intervento sul rapporto fra Deleuze e Lacan), l’originale approccio teorico di Deleuze alla realtà, quale emerge soprattutto in opere come L’Anti-Edipo e Mille piani. L’interessante analisi di Alain Badiou espone, sotto forma di due lettere scritte al filosofo, la concezione deleuziana del rapporto fra arte e filosofia nella sua differenza da quella di Heidegger. Infine, il contributo di Friedrich Balke tenta un confronto sull’idea di politica in Carl Schmitt e Franz Kafka. A.M. La casa editrice Schwabe di Basilea ha inaugurato una nuova collana dal titolo JACOB BURCKHARDT-GESPRÄCHE AUF CASTELEN (Conversazioni con Jacob Burckhardt a Castelen), con la pubblicazione di due volumi: Gibt es eine Kunst des Vergessens? (Esiste un’arte del dimenticare?) di Harald Weinrich e Die Musik und das Mythische (La musica e il mitico) di Kurt Hübner. I testi riproducono il contenuto di due conferenze NOTIZIARIO che hanno dato avvio, nella tenuta di Castelen presso Basilea, a un’iniziativa culturale che prevede tre incontri ogni anno. Lo scopo delle “conversazioni con Jacob Burckhardt” è quello di illustrare temi significativi della cultura europea con l’aiuto di eminenti personalità. Il nome del celebre storico svizzero vuole indicare l’orientamento tematico degli interventi proposti. Il testo di Weinrich affronta una questione interessante quanto apparentemente insolita: esiste, o può esistere, accanto a un’arte della memoria, già nota ai classici greci e latini, “un’arte del dimenticare”, e che utilità potrebbe avere? Contrariamente a Umberto Eco, che in un intervento citato dall’autore, ha negato la legittimità di una ars oblivionalis, il parere di Weinrich è positivo. Egli dimostra la sua tesi ricorrendo a una serie di esempi tratti da ambiti fra loro eterogenei, che spaziano dalla medicina (con il caso di ipermnesia analizzato dal neuropsichiatra russo A.R. Lurija), alla letteratura (col racconto di J. L. Borges Funes el memorioso e un riferimento al Faust di Goethe), alla filosofia (richiamando le considerazioni di Nietzsche sul rapporto oblio/memoria) e, per finire, alla psicoanalisi di Freud, che rappresenta il tentativo emblematico di recuperare, attraverso un’ars oblivionalis, ciò che è stato dimenticato (rimosso) dalla coscienza, cioè l’inconscio. L’intervento di Kurt Hübner riguarda invece il rapporto tra musica e mitologia o, più precisamente, il ruolo dell’esperienza musicale in quanto trasposizione nella visione mitica del mondo. A suo avviso, entrambi i fenomeni sono caratterizzati dalla medesima fusione del generale astratto con l’individuale concreto, del soggettivo con l’oggettivo, della dimensione profana della temporalità con quella trascendente dell’eternità. A.M. della letteratura e, appunto, della filosofia. L’iniziativa è animata da un intento divulgativo, avvertibile, tra l’altro, nell’uso di un linguaggio semplice non eccessivamente specialistico e nella presenza di una breve scheda informativa sulle tappe principali della vita e dell’opera di ogni autore. Di ciascuno di essi vengono individuati e discussi pochi temi caratteristici, annodati in un percorso unitario che, pur essendo necessariamente schematico, non manca per questo di un certo approfondimento teorico. È forse questo il maggior pregio dell’iniziativa: quello di rivolgersi al grande pubblico senza per questo scadere nella banalità o nell’approssimazione. Fra i filosofi contemporanei trattati nella rubrica (come Adorno, Gadamer, Gilson, Heidegger e il filosofo giapponese Nishida), figura anche Benedetto Croce. Nella ricostruzione del suo pensiero, affidata a H. Helbling e intitolata Deutung als Ordnung (Interpretazione come ordinamento), emerge in primo piano il motivo antimetafisico e antidealistico, difeso dal filosofo anche durante il fascismo, cui fa da contrappunto il costante e peculiare interesse per la storia. Se il «principio capitale» di Croce - riscontrabile, ad esempio, in Filosofia e storiografia, del 1945 - è quello di riconnettere i principi filosofici alla loro origine storica, per poi chiedersi contro chi e che cosa siano diretti, alla filosofia in quanto «metodologia della storia» spetta il compito di articolare e ordinare i fatti in una forma coerente, secondo il principio fondamentale dell’identità dell’universale e del particolare, dell’intelletto e dell’intuizione (di cui anche l’opera d’arte è espressione). In quanto critica storica, la filosofia non incarna dunque un sistema ab-soluto; essa è piuttosto un’interpretazione ordinata, in questo senso “sistematica”, del mondo, in costante riferimento alla concretezza. A.M. A testimonianza della considerazione e dell’interesse che la stampa tedesca dimostra per la filosofia, si può segnalare una recente iniziativa del quotidiano svizzero “Neue Zürcher Zeitung”. Con scadenza bisettimanale o trisettimanale (solitamente il martedì), fra le pagine dedicate alla cultura, figura la rubrica “INTER- Il 1996 è stato un anno particolarmente denso di ricorrenze legate all’ambito dell’ Illuminismo tedesco. Duecento anni prima scompare infatti uno dei suoi principali rappresentanti, ADOLPH FREIHERR KNIGGE, e viene costretto alla chiusura il periodico più famoso del movimento in area germanica, la Berli- PRETATION IM 20. JAHRHUNDERT” (interpretazione nel XX se- colo), dedicata alla ricostruzione del contributo intellettuale di autori contemporanei nel campo della musica, 53 nische Monatsschrift, del quale Knigge è un valido collaboratore. Knigge, definito da un suo contemporaneo come “uomo della rivoluzione filantropica”, costituisce un esempio tipico dell’ intellettuale “enciclopedico” dell’età illuministica. Si interessa delle nuove società segrete sorte in terra germanica, aderendo con particolare convinzione al movimento della massoneria e all’ordine degli Illuminati fondato da Adam Weishaupt, con il quale entra successivamente in conflitto per divergenze d’ opinione che lo inducono all’ azione autonoma. A lui dobbiamo romanzi, recensioni per l’ «Allgemeine Deutsche Bibliotek», numerosi scritti polemici, critiche teatrali, scritti pedagogici, politici e morali, con i quali si augura di diffondere lo spirito riformistico dell’Illuminismo anche nei reazionari salotti aristocratici : la “bella educazione” (feine Bildung) deve infatti condurre alla borghesizzazione dei nobili e all’aristocratizzazione della borghesia con l’obiettivo di creare il vir bonus, dotato di delicatezza d’ animo, cortesia e gentilezza di modi, capace di conversare, sicuro di sé, ma anche di spirito critico e tollerante, consapevole del valore incommensurabile della dignità umana. L’intellettualità è per Knigge concepibile solo in quanto legata al mondo, di cui è pubblicamente responsabile; l’uomo colto acquista automaticamente, grazie alla sua formazione, le capacità e i doveri del vir publicus, che deve categoricamente applicare le proprie conoscenze del “buono” e del “giusto” sia nel campo della vita privata che in quello politico-sociale. Su o di Knigge sono ultimamente comparse numerose pubblicazioni, di cui citiamo le più recenti: A.F. Knigge,Uber Eigennutz und Undank (“Su egoismo e ingratitudine”, Klopfer & Meier, Tubingen 1996); A.F. Knigge, Texte und Musik (CD) (“Testi e musica (CD)”, Temmen, Bremen 1996); M. Ruppel, W. Weber, Adolph Freiherr Knigge in Bremen. Texte und Briefe (“A. F. Knigge a Brema. Testi e lettere”, Temmen, Bremen 1996). Lo spirito critico che anima gli scritti di Knigge è presente anche nelle pagine della «BERLINISCHE MONATSSCHRIFT», coro poliedrico dei sostenitori della ragione tra il 1783 e il 1796, quando è costretta a cessare la pubblicazione a causa dell’ opprimente restaurazione prussiana a seguito degli echi della temuta rivoluzione francese. Il periodico, diretto da J.E. Biester e F. Gedikes, tiene a battesimo, nel 1784, il ben noto scritto di Kant Was ist Aufklarung ,si batte con zelo contro fanatismo e oscurantismo a favore della verità e cerca di preservare il vero spirito dell’Illuminismo da abusi e mistificazioni, come quella tentata ( e con successo) dal teologo Adam Weishaupt, fondatore negli anni Settanta di una nuova società segreta, la società degli Illuminati, che si pone vergognosamente al servizio del regime predicando la fondatezza razionale dell’ordine e della gerarchia. Al contrario, la Berlini- NOTIZIARIO sche Monatsschrift non tradisce mai le sue radici giacobine, in nome delle quali si proclama contro l’ortodossia religiosa e la reazione politica a costo di dover cambiare sede per fuggire alle operazioni di polizia e di vedere i propri editori perseguiti come “nemici della religione” e sovversivi. Se gli ultimi articoli del periodico si fanno meno incisivi negli attacchi polemici e più inclini alle trattazioni di carattere genericamente esteticoculturale, ciò è soprattutto imputabile alla nuova spiritualità romantica, più cauta e conservatrice, che si va ormai sostituendo a quella illuministica. L.R. LA FILOSOFIA COME VOCAZIONE è il tema monografico del primo Annuario di filosofia, uscito nel mese di marzo per la Leonardo Mondadori Editore. Questa raccolta annuale di saggi attorno a un tema della filosofia è promosso da un comitato scientifico, composto da E. Berti, M. Ivaldo, G. Mura, V. Possenti, alla luce di un titolo permanente, “seconda navigazione”. Questa espressione richiama il Fedone di Platone, là dove è indicata la ricerca di una causa soprasensibile, o ulteriorità, all’interno della Metafisica. Nell’editoriale di presentazione di questo Annuario si può leggere: “la lingua fondamentale dell’ homo sapiens è quella della metafisica, di cui le parole chiave posseggono un nome elaborato nel corso di una lunga tradizione: essere, vero, bene, bello, uno, fine, causa. Qui cercano di articolarsi la domanda sul senso e le possibili risposte”. Ed è qui che risiede la vocazione filosofica, ed è qui che il filosofo diventa, usando un’espressione di Heidegger, “funzionario dell’umanità”. Hanno partecipato a questo primo numero: Enrico Berti, Vittorio Possenti, Marco Santambrogio, Adriano Fabris, Maria Cristina Bartolomei, Carmelo Vigna, Gaspare Mura, Robert Spaeman, Virgilio Melchiorre, Evandro Agazzi, Francesco Viola, Antonella Corradini. G.DI.L. È dedicato a “Ermeneutica e applicazione” il primo numero di ARS INTERPRETANDI. ANNUARIO DI ERMENEUTICA GIURIDICA edito dalla casa editrice Cedam di Padova e diretto da Martin Kriele, Francesco Viola, Franco Volpi e Giuseppe Zaccaria. Il saggio di apertura è di KarlOtto Apel, sulla questione relativa alle condizioni di possibilità di un comprendere valido, nel confronto tra l’ermeneutica di Gadamer, orientata a un’ontologia dell’essere temporale, e la propria ermeneutica trascendentale riflessiva. Seguono contributi di Otfried Höffe, sulla facoltà di giudizio e sull’applicazione dei principi morali universali a situazioni problematiche di tipo nuovo, e di Alessandro Pinzani, sull’etica del discorso di Habermas e sulla distinzione tra fondazione e applicazione delle norme formulata da Klaus Günther e ripresa nella teoria del diritto esposta da Habermas in Faktizität und Geltung . Nel suo contributo Paul Ricoeur affronta alcune questioni centrali dell’attività giudiziaria sulla polarità interpretazione/argomentazione rivolgendo l’attenzione alle idee di Ronald Dworkin in tema di interpretazione e a quelle dei teorici dell’argomentazione giuridica Alexy e Atienza. Nel suo scritto Luigi Mengoni tratta della peculiarità dell’ermeneutica nel campo del diritto costituzionale o, come viene definito, “diritto dei principi”. Concludono la parte monografica della rivista i saggi di Antonio Ruggeri sui limiti alla revisione della Costituzione e dell’identità costituzionale attraverso il ruolo svolto dai principi fondamentali e dalla loro interpretazione, e di Peter Brooks, in cui da una prospettiva narrativistica viene affrontato il tema della confessione in diritto e in letteratura. Il numero di Ars Interpretandi vede inoltre la pubblicazione dei lavori della tavola rotonda svoltasi a Padova il 17 ottobre 1995 su “Arte e limiti della interpretazione: dal diritto all’ermeneutica; dall’ermeneutica al diritto”. L.S. stenibile dal proprio punto di vista. Ciascun volume della collana sarà dedicato ad un singolo tema e costituirà, di volta in volta, un esempio determinato dell’assunto teorico generale sopra riportato. Il secondo numero, che apparirà a luglio, avrà per tema “La natura della visione”, il terzo, previsto per gennaio 98, tratterà delle “Rappresentazioni della libertà”, il quarto della “Natura della natura”. L.S. La casa editrice Pagano di Napoli comincia un nuovo corso della sua collana filosofica “INTERLINEE” con il libro di Leonardo Distaso, Attraverso Wittgenstein, un saggio attorno alla possibilità di trovare tracce di un’estetica nell’opera del filosofo viennese. A questo volume faranno seguito nel prossimo autunno Sulla possibilità di una forma della filosofia in generale di Friedrich Schelling, testo del 1794 che prepara il saggio Dell’Io, e Alla scoperta dell’esistenza con Husserl e Heidegger, di Emmanuel Levinas. Pagano Editore intende così proporre all’attenzione dei lettori sia testi di ricerche e studio che quelli d’autore. Tra i titoli recentemente pubblicati in “Interlinee” , l’epistolario CroceMann. Lettere 1930-36, a cura di Rosario Diana e Croce e il problema del metodo di Giuseppe Gembillo. G.Di.L. Si intitola La trasmissione delle idee il primo volume (e manifesto teorico) della collana periodica di filosofia MONTAG, per i tipi di Fahrenheit 451 (Roma, Campo dei Fiori 44). Attorno al tema centrale della “origine naturale delle idee e della qualità empirica e esperienziale del conoscere” ruotano saggi di varia provenienza disciplinare - dalla musicologia, alla ecologia, al cognitivismo, alla storia della filosofia, alla filosofia della religione - nei contributi, fra gli altri, di Guido Traversa, Dan Sperber, Hans Cees-Speel, Nazario Bellandi, Brunella Antomarini. Come si legge nell’editoriale generale della collana, il progetto, realizzato come un work in progress, intende «ristabilire le potenzialità della filosofia, messa in crisi dal relativismo contemporaneo, colpevole di avere contribuito alla riduzione dei procedimenti dimostrativi e argomentativi delle scienze e della filosofia a mere narrazioni, alla configurazione esclusivamente retorica della verità, ed esclusivamente estetica dell’esperienza, con il risultato di un diffuso atteggiamento di disimpegno e cinismo etico». Scopo di Montag è provocare discussioni sulla questione, «non per ripristinare le vecchie posizioni, ma per rinnovare la parte migliore della tradizione realista e materialista». In ogni volume interagiranno i risultati delle ricerche che distinguono tra ruolo della cultura e ruolo della natura nella formazione delle idee, con approcci alla questione - come per esempio la materialità delle condizioni economiche, l’evoluzione biologica, le funzioni cognitive, l’irriducibilità individuale - che a volte possono essere fra di loro anche divergenti o contrastanti. Per evidenziare il carattere problematico delle posizioni assunte poi, alla fine di ogni volume apparirà un “glossario” , dal titolo “sed contra” in cui ciascun autore darà di alcuni terminichiave la definizione che ritiene so- È uscito presso Edizioni di Comunità di Milano lo studio in quattro volumi LA PERSONALITÀ AUTORITARIA DI ADORNO, FRENKELBRUNSWIK, LEVINSON, SANFORD, una ricerca condotta dal- l’Università di Berkeley a partire dal 1944 al 1949 sulla psicologia dell’antisemitismo. Lo studio, promosso dall’American Jewish Commitee, rientrava nella serie degli Studies in Prejudice edita da Max Horkheimer e Samuel H. Flowerman. Tra le intenzioni iniziali quello di analizzare il fenomeno dell’anti-semitismo avvalendosi di una metodologia che raccoglieva i contributi della sociologia della scuola di Francoforte di Adorno, della psicanalisi f reudiana di Else Frenkel-Brunswik, della psicologia americana di Levinson e Sanford. Lo studio successivamente si ampliò a comprendere il fenomeno dell’autoritarismo a partire dall’individuo e dalla sua personalità. A quest’opera seguirono una serie di critiche, soprattutto quella di psicologismo. Critiche che gli stessi autori avevano già contemplato come limiti di una ricerca che partiva dall’osservazione diretta di un campione d’individui. Adorno in particolare affermò che non si voleva assolutamente dare una spiegazione solo soggettiva dell’antisemitismo, piuttosto si trattava di esaminare “com’era fatto” l’antisemita, l’autoritario, il fascista all’interno di una concezione storica più generale del fascismo. G.Di.L. 54 Con il numero 1-2 1996, la RIVISTA DI ESTETICA (Rosenberg & Sellier, Torino) è entrata nella sua terza serie, a quarant’anni dalla sua fondazione. Diretta inizialmente da Luigi Stefanini, cui successe Luigi Pareyson, la nuova serie - diretta da Gianni Vattimo, Maurizio Ferraris e Roberto Salizzoni - prolunga la prospettiva pareysoniana nel senso di una ontologia dell’attualità: «La modernità come epoca della smaterializzazione, ossia hegelianamente, della spiritualizzazione assoluta - affermano i tre direttori - vede nell’arte come dominio dell’apparenza una testimonianza sul proprio essere autentico». Alla domanda “perché l’arte parla del nostro essere storico?” se ne aggiunge un’altra: “che cosa significano sentire, e che tipo di essere è quello che si sente?”. La risposta a questo interrogativo «radicato in una ontologia del sensibile» non verrà solo da filosofi, ma anche da percettologi, matematici, fisici e psicologi. La nuova serie della rivista di estetica si propone un sostanziale rinnovamento della qualità scientifica delle ricerche di estetica affiancando alla consolidata definizione in termini di filosofia dell’arte una rinnovata attenzione alle implicazioni gnoseologiche dell’aisthesis. Di qui il valore programmatico del primo numero “Doppio senso” (vol. XXXVI, n. 1-2), che indaga i due lati di quella che per Hegel era una parola meravigliosa «senso», che indica insieme l’immediata presenza estetica e ontologica e l’idealizzazione logica. Il primo fascicolo dell’annata 1997 (vol XXXVII, n. 4) tratterà i temi: l’“Immaginazione” e il carattere estetico della “resurrezione” e sarà presentato al Salone del Libro di Torino, sabato 24 maggio 1997, Sala Madrid, nel corso dell’incontro “Cristo è veramente risorto? Questioni di estetica” con M. Ferraris, T. Griffero, P. Kobau, G. Marconi, A. Saccon, E. Salman. I temi degli altri volumi del 1997: “Animali” (vol. XXXVII, n. 5), “Fantasmi” (vol. XXXVII, n. 6). L.S. Il tema monografico dell’Almanacco 97 di Filosofia di «Micromega», la rivista diretta da Paolo Flores d’Arcais, è: CHE COSA È ‘MORALE’ e raccoglie quindici contributi di filosofi provenienti da esperienze diverse di riflessione: Flores d’Arcais, Savater, Esposito, Kolakowski, Severino, Cacciari, Vattimo, Nancy, Cavarero, Sgalambro, Honneth, Viano, Givone, Larmore, Veca, Frigo, Rocca, Volpi, Franceschelli. Corredano il volume tre inediti, di Ludwig Feuerbach, Contro il dualismo di corpo e anima, di carne e spirito; di Soren Kierkegaard, Guardate gli uccelli del cielo; di Karl Jaspers, Splendore e miseria di Martin Heidegger, e il carteggio Karl Lowith/Herbert Marcuse, Dialogo su “Ragione e rivoluzione”. G.Di.L. CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Sull’educazione Con il titolo “L’EDUCAZIONE COME CREAZIONE DI PERSONALITÀ E DI STORIA” mons. Luigi Giussani ha tenuto, il 15 maggio 1996, una conferenza presso l’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti, proponendo un itinerario di riflessione articolato attorno a quattro punti chiave: la valorizzazione e la trasmissione del passato, la verifica nel presente dei valori del passato, la criticità legata alla libertà dell’uomo e l’ecumenismo come caratteristica del pensiero cristiano. Contrapponendosi all’idea gramsciana secondo la quale il cristianesimo avrebbe perso la propria capacità di costituire un modello e un punto di riferimento per la società, Luigi Giussani ha aperto la propria relazione sottolineando l’importanza dell’educazione come fattore decisivo dell’attuale crisi della cultura cristiana. Tale questione è stata prospettata da Giussani come una questione di metodo: in essa infatti è ravvisabile sia una possibile risposta alla domanda sul perché la gioventù non creda, sia il contributo più specifico dei cristiani alle richieste della società civile. Il cristianesimo, secondo Giussani, è stato dato ai giovani secondo una modalità educativa inadeguata, provocando il loro allontanamento. Giussani ha presentato i contenuti della propria relazione come l’esito di un’esperienza educativa in atto, frutto di uno scambio di parole capaci di comunicare l’esperienza stessa. Innanzitutto, per Giussani, l’educazione è valorizzazione e trasmissione di un passato, eludendo il quale essa non può che rovesciarsi in menzogna. “Padre” è la parola che dice la centralità del passato nel fenomeno educativo, parola la cui dimenticanza definisce gran parte della cultura moderna come progressiva riduzione e svuotamento di senso della parola “educazione”. In secondo luogo Giussani ha ravvisato la necessità di una verifica presente della proposta che proviene dal passato; è solo in questa verifica che il passato può svelare il suo nesso con il cuore dell’uomo. Il terzo passaggio, denominato critica, è, per Giussani, quello che chiama in causa la libertà dell’uomo affinché il percorso educativo possa attuarsi come creazione di personalità e di storia. “Critica” non è sinonimo di “dubbio” né, tanto meno, di “negazione”, bensì di vaglio, al fine di trattenere consapevolmente gli elementi positivi contenuti nella proposta educativa. Nell’ambito di questa prospettiva critica Giussani ha poi additato come quarto punto una caratteristica peculiare della cultura cristiana, identificabile con la parola ecumenismo, che consiste in un’apertura e in una buona disposizione nei confronti dell’intera realtà, quale risultato dell’incontro con il vero attraverso l’educazione. Giussani ha proposto infine due osservazioni conclusive: richiamando il significato biblico della parola cuore, egli l’ha identificata con quel livello primario dell’esperienza che, accomunando tutti gli uomini, rende possibile l’educazione come avvenimento di comunicazione. Essa sta infatti a indicare l’uomo così come è stato fatto dal suo Creatore, con quel nucleo di esigenze originarie (di verità, giustizia, bontà e bellezza), che l’educazione è chiamata a far emergere e realizzare. In questo orizzonte l’avventura educativa scopre tutta la profondità e la cogenza del Tu, con la sua realtà di infinito, fino alla suprema e ineludibile parola: destino. L’infinito è per Giussani questo Tu, è l’esperienza del destino; «un aiuto educativo» - ha concluso Giussani - «è un calore, un abbraccio, una forza... Bisogna che l’educazione ci porti a capire questo io fatto da un Altro e questo Tu”. G.F. Filosofi e scienziati in dialogo Organizzata dal Center for Philosophy of Science dell’Università di Pittsburgh, dal 20 al 24 maggio 1996 si è tenuta a Castiglioncello (Li), in collaborazione con il Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della scienza, la “THIRD INTERNATIONAL FELLOWS CONFERENCE”. Coprendo la gran parte delle principali aree d’interesse della filosofia della scienza, la Conferenza ha costituito un momento d’incontro e dialogo tra filosofi di differente orientamento culturale e specializzazione. 55 Nella relazione iniziale, W. Salmon ha presentato un’“apologia della filosofia della scienza” di fronte alle critiche che a questa vengono rivolte dagli scienziati di professione, spesso insofferenti nei confronti delle analisi filosofiche, considerate datate o, più in generale, condizionate da pretese normative illegittime. Attraverso la specifica analisi filosofica della nozione di “spiegazione”, Salmon ha mostrato come queste accuse nascano da un fraintendimento del lavoro filosofico. Di fatto, la polemica tra filosofia della scienza e ricerca scientifica appare inconsistente, poiché l’analisi concettuale ha bisogno di entrambe, come è risultato evidente specialmente nelle sezioni del convegno dedicate a singole discipline scientifiche, specificamente alla filosofia della matematica (Urchs, Manders, Cantini, Marquis, van Bendegen, per citare alcuni nomi), alla meccanica quantistica (Kantorovich, Stoeckler, Forge, Arsenenijevic, Szabo, Dalla Chiara), alla filosofia dello spazio-tempo (Earman, Rovelli, Bartels, Norton, Belnap) e alla psicoanalisi (Macmillan, Erpenbeck). Oltre alla discussione su particolari discipline scientifiche, non sono mancate sezioni dedicate ai più generali problemi filosofici: accanto ai tradizionali temi che concernono il realismo (Haldane, Parrini, Haugeland), la storiografia della scienza e la storia dell’epistemologia (Machamer, Rossi, Uebel, Irzik, Ryckman), il convegno ha mostrato un grande interesse verso la cosiddetta epistemologia naturalizzata (Worrall, Gale, a cui si sarebbe dovuto aggiungere Robert Nola), in cui il metodo scientifico del controllo empirico viene, fin dove è possibile, trasferito nelle discussioni sull’accettabilità delle varie teorie filosofiche della razionalità scientifica. Per completare la rassegna, merita ricordare le sezioni dedicate ai recenti problemi posti dall’applicazione della retorica al ragionamento scientifico (Lyne, Tsinorema), alle teorie della complessità (Agazzi, Mainzer), alla filosofia della medicina e delle scienze biologiche (Lennox, Wolters, Diederich, Ereshefky) e alla teoria delle decisioni (Bicchieri e Lauth). Infine, ben due simposi sono stati dedicati alla filosofia di Thomas Kuhn, recentemente scomparso (Nersessian, HoyningenHeune, Barker, Sankey, Tuchanska). Dagli interventi al convegno è emersa sem- CONVEGNI E SEMINARI Friedrich Nietzsche e Elisabeth Förster-Nietzsche. La casa natale di Nietzsche a Röcken presso Lützen 56 CONVEGNI E SEMINARI pre più chiaramente una notevole specializzazione negli studi epistemologici, al punto tale che, per esempio, i filosofi della biologia mostrano qualche difficoltà nel comprendere i filosofi della fisica, e viceversa. Si tratta di un limite severo, perché la filosofia in generale e la filosofia della scienza in particolare ha da sempre avuto l’ambizione di rappresentare un terreno comune di incontro tra le diverse specializzazioni del sapere. Tra i motivi di questa situazione si deve sicuramente annoverare la caduta del neopositivismo, che pure offriva una comunanza di problemi e il linguaggio con cui affrontarli. P.B. Itinerari nel pensiero di Nietzsche Connesso alla mostra documentaria intitolata “Sguardi su Nietzsche” e allestita a Milano il 19-20 aprile 1996, presso il teatro Franco Parenti, si è svolto un convegno italo-tedesco su “FRIEDRICH NIETZSCHE: ITINERARI DEL PENSIERO”, organizzato dalla Regione Lombardia e dal Goethe-Institut di Milano. Dedicata a considerazioni di carattere letterario ed estetico, la prima giornata del convegno si è aperta con l’intervento di Aldo Venturelli (“La biblioteca ideale di Nietzsche”), dedicato al lavoro di catalogazione della biblioteca, realmente posseduta e idealmente consultata da Nietzsche, che fu a suo tempo avviato da Mazzino Montinari ed è attualmente condotto da un’équipe di ricerca attiva presso le Università di Firenze, Pisa e Urbino, in stretto contatto con i responsabili scientifici della nuova edizione critica delle opere di Nietzsche a Berlino, Basilea e Vienna, oltre che con le «Nietzsche-Studien». Un primo passo della ricerca sulla biblioteca Nietzsche, ha reso noto Venturelli, riguarda l’accertamento della consistenza del fondo librario effettivamente posseduto, letto e consultato dal filosofo, conservato a Weimar: si tratta di un migliaio di libri, in alcuni dei quali sono rimaste tracce di lettura di diverso genere, che Nietzsche comprava o riceveva in regalo e che conservava presso la casa di famiglia a Naumburg. Per completare il quadro delle letture di Nietzsche è necessario però ricorrere, secondo Venturelli, agli elenchi dei prestiti delle biblioteche universitarie delle città dove egli studiò (Pforta, Lipsia e Bonn) o svolse la sua attività di insegnamento (Basilea). Vivetta Vivarelli (“Aggirare le parole ovvero l’arte del tacere”) ha affrontato il tema della maschera o della facciata, che assume in Nietzsche essenzialmente due aspetti: uno biografico e uno filosofico-letterario. In tutta la sua opera, ma soprattutto dalle Lettere (in particolare quelle scritte dopo il 1885), emerge ripetutamente il senso di solitudine, di scoraggiamento e di distanza che Nietzsche avvertiva fra sé e il resto dell’umanità. Di qui la scelta di risparmiare agli altri l’abisso della propria diversità celandola dietro le spoglie di un’apparente somiglianza. La maschera è in Nietzsche un segno di aristocrazia spirituale, di difesa dai propri simili; d’altro canto, ha osservato Vivarelli, il suo stesso stile filosofico è espressione coerente del suo «odio per l’esplicitezza»: la sua predilezione per l’esposizione succinta e parziale, per l’aforisma e la sentenza testimonia, tra l’altro, la reazione di Nietzsche al romanticismo e all’enfasi dei suoi scritti giovanili, con il suo distacco da Wagner. Ma soprattutto egli intendeva costruire uno steccato attorno ai suoi pensieri per proteggerli e salvaguardarli dall’incomprensione. Sulla riflessione nietzscheana sulla morale si è invece soffermato Carlo Sini (“Oltre la morale”), mostrando come nell’opera di Nietzsche si possano rintracciare due grandi passi, i cui testi di riferimento sono Al di là del bene e del male e Genealogia della morale, entrambi del biennio 1886-87, attraverso i quali Nietzsche polemizza nei confronti di quello che è l’imperativo dell’etica stoica: «vivere secondo natura». La natura, la vita, non è infatti altro che volontà di potenza, cioè oppressione, sopraffazione e sfruttamento di tutto ciò che è estraneo e più debole. Anche la morale cristiana è per Nietzsche un’espressione della volontà di potenza, benché più alta e sottile, in quanto è diretta non più alla sottomissione dell’altro, ma di se stessi. Nondimeno, essa incarna un grandioso tentativo di rispondere al senza scopo del dolore, cioè il prezzo che l’uomo antico deve pagare per la sua obbedienza alla natura. Resta ora da compiere per Nietzsche un terzo passo, quello “oltre la morale”, attuato dal “redentore” quale ultima figura della Genealogia della morale. Al termine dell’opera, osserva infatti Sini, Nietzsche parla di una «pura natura finalmente ritrovata e redenta», nel senso di una redenzione della parzialità della propria natura, restando nella parzialità, come impegno etico “oltre ogni morale”. Attraverso puntuali riferimenti storici e testuali, Jörg Salaquarda (“Volontà di potenza. Problema filosofico - Progetto letterario - Presunta opera principale”) ha ricostruito e discusso le stazioni principali della storia dell’interpretazione della volontà di potenza. Dopo un interessante confronto fra Nietzsche e Schopenhauer sul tema della volontà, Salaquarda ha richiamato l’attenzione sulle attuali e più autorevoli interpretazioni della Wille zur Macht (Volontà di potenza), fra cui quelle di W. Kaufmann, W. Müller-Lauter e V. Gerhardt. Eckard Heftrich (“Soffrire per Nietzsche, soffrire per la Germania”), ha invece enfatizzato lo stretto rapporto esistente tra il tragico destino del filosofo e gli esiti travagliati della storia tedesca nella prima metà 57 del nostro secolo, con riferimento particolare a Thomas Mann, del quale nel 1946 comparve l’edizione scelta del diario con il titolo significativo Soffrire per la Germania. Il complesso rapporto che lega Nietzsche alle sorti della Germania è particolarmente manifesto nell’opera di Thomas Mann, il cui Doktor Faust fornisce, nella figura del proprio protagonista, un esempio emblematico di “artista sifilitico” creativamente inebriato dal veleno della malattia e capace perciò di produrre opere geniali. Se il Doktor Faust può essere considerato un tentativo di fusione della confessione autobiografica con l’allegoria dell’epoca in cui Mann visse nella figura-simbolo di Nietzsche, la stessa Zauberberg (Montagna incantata), ha fatto notare Heftrich, si nutre della lezione nietzscheana e la connette al destino tedesco, ma in termini ottimistici e in una prospettiva di speranza: il filosofo è qui infatti considerato sia come analitico della decadenza sviluppatasi a partire dal Romanticismo che come suo superamento. Attraverso il ricorso a considerazioni nietzscheane tratte da La genealogia della morale, da Al di là del bene e del male e dai Frammenti postumi, Reinhart Maurer (“L’alternativa aristocratica. Intorno alla filosofia politica di Nietzsche”) ha rilevato le analogie esistenti tra Nietzsche e Platone proprio in relazione al problema dell’unità, con particolare attenzione per l’ambito politico, nel quale l’esclusività dell’elemento “molteplicità” significherebbe non solo caos, ma anche vittoria del nichilismo. L’importanza riconosciuta da Nietzsche al “pathos della distanza” tra sopra e sotto, tra aristocrazia e gregge richiama il programma platonico di una classe dirigente di uomini superiori non solo perché più forti, ma anche perché più saggi e sapienti, “uomini sintetici” (così definisce Nietzsche il suo Uebermensch nei frammenti postumi) che uniscono in sé le tendenze contraddittorie della realtà grazie allo sviluppo di una spiritualità superiore. Proprio in tale spiritualità, intesa come straordinaria capacità di interpretare la pluralità delle forze vitali secondo unità complesse e ordinate, va individuata, secondo Maurer, la definizione più appropriata della volontà di potenza, al di là della più immediata e superficiale identificazione di tale forza con le istanze vitalistiche. Franco Volpi (“Nietzsche e il nichilismo contemporaneo”) ha preso in considerazione il profetico annuncio nietzscheano della “crescita del deserto”, del cataclisma dello spirito come malattia dell’Europa per i secoli a venire, mostrando che per quanto Nietzsche teorizzi esplicitamente il nichilismo soprattutto nei frammenti degli anni Ottanta, la sua riflessione sul tema risale agli anni giovanili: in un frammento del 1870, Nietzsche sostiene di credere «nell’antica sentenza germanica: “tutti gli dei devono morire”». La morte di Dio diventa così il filo conduttore per interpretare la CONVEGNI E SEMINARI storia della cultura occidentale come decadenza. In un celebre frammento del 1888 dal titolo “Critica del nichilismo”, Nietzsche, ha sottolieato Volpi, afferma che il nichilismo subentra di necessità, come stato psicologico, nel momento in cui le grandi categorie “regolative” della cultura occidentale (fine, unità e verità) vengono vanificate dalla scoperta della loro natura illusoria, che non implica comunque, almeno inizialmente, la scomparsa della fede in un mondo “vero”. Il compimento del nichilismo si ha solo con la negazione estrema dell’esistenza di una costituzione assoluta delle cose (nichilismo attivo), che apre di nuovo la possibilità dell’affermazione grazie alla “trasvalutazione di tutti i valori” (nichilismo classico), consentendo la nascita dell’uomo nuovo come colui che al meglio esprime la volontà di potenza e che reinterpreta il senso del divenire senza cadere nei vecchi schemi metafisici. Marco Vozza (“Nietzsche tra vitalismo e prospettivismo”) ha tentato di smentire l’interpretazione heideggeriana di Nietzsche, evidenziando in particolare due aspetti del pensiero nietzscheano: la subordinazione del paradigma vitalistico ad un’istanza di svolta antropologica e l’importanza del prospettivismo anche nella definizione del rapporto tra salute e malattia. La vita è “possibilità di esistenza” in cui il soggetto oltreumano prende dimora nel mondo delle code prossime, determinando l’affermazione delle istanze vitali al di là della separazione di interno ed esterno, profondità e superficie. Nietzsche, ha rilevato Vozza, pone l’accento sull’importanza della forma, definendo l’esistente come insieme infinito di forme simboliche, come gioco di prospettive generato dalla vita stessa in qualità di forza interpretante. A.M./L.R. L’immaginazione Il 22 maggio 1996, presso la Sala Incontri dell’ISU di Milano, si è tenuto un dibattito dal titolo “L’ESTETICA SENZA ARTE”, in occasione della presentazione dell’opera di Maurizio Ferraris, L’IMMAGINAZIONE (il Mulino, Bologna 1996). Al dibattito hanno partecipato, oltre all’autore, Elio Franzini, Giulio Giorello, Francesco Moiso. Aprendo i lavori dell’incontro, Elio Franzini ha ricordato le numerose ambiguità e le molteplici interpretazioni generate, nella storia della filosofia, dal termine “immaginazione”, rilevando come la definizione, proposta da Maurizio Ferraris ne L’immaginazione, permetta di indirizzare l’analisi nel senso dell’instaurazione di un legame non fra estetica e arte, bensì fra estetica e logica. Sulla genesi euristico-intuitiva, e in quanto tale non logica, della conoscenza è intervenuto invece Francesco Moiso, che ha mo- strato come la caratterizzazione estetica della scoperta scientifica si collochi nel legame intercorrente fra il concetto e l’immagine; quest’ultima è ciò che permette il passaggio dal concetto al dato sensibile. Nella dimensione della scoperta, memoria e analogia costituiscono gli elementi fondamentali che permettono l’appropriazione del continuum mnemonico che consiste, a livello individuale e a livello collettivo, nel tessuto dell’esperienza concreta. Come Kant ha mostrato, la logica formale non esaurisce l’ambito della conoscenza e, per questo, vi è la necessità di una scienza sperimentale, anche se poi Kant faceva riferimento, a questo proposito, alla logica trascendentale, laddove i postkantiani rivalutano invece la valenza conoscitiva delle idee estetiche, cioè la loro funzione performativa nei confronti dell’esperienza. Per delineare la funzione dell’immaginazione, Giulio Giorello ha ricordato l’idea «di una nuova terra, sotto un nuovo cielo» che, secondo Mach, colse Cristoforo Colombo alla scoperta dell’America: prima ancora di vederla, egli la immaginò a partire dai detriti, cioè dalle tracce, che giungevano dal mare. La questione della traccia, ha osservato Giorello, rimanda all’enigma dell’immaginazione, che da un lato si presenta come elemento alieno all’oggettività del conoscere, dall’altro come il suo fondamento. Soltanto attraverso l’immaginazione Newton potè istituire un’analogia fra la terra e la luna, pervenendo alla legge di gravitazione universale. Ciò introduce il problema del “carattere finzionale” della conoscenza scientifica e, conseguentemente, il problema di distinguere tra le finzioni ben fondate e quelle frutto di follia. Sulla questione della traccia, in rapporto alla facoltà immaginativa, è intervenuto anche Franzini, che ha sottolineato il carattere passivo e, insieme, di attiva iscrizione, dell’immaginazione che, in tal modo, viene ricondotta all’immagine, che è una traccia: la memoria agisce sulle immagini, collocandosi, in questo modo, nella tensione fra attività e passività. La collocazione dell’immaginazione nel dominio sospeso fra attività e passività del soggetto, ha rilevato Franzini, la sottrae alla sua caratterizzazione come poietica. Alla luce del nesso tra immaginazione produttiva e immaginazione riproduttiva, la contrapposizione fra un aspetto attivo e uno passivo dell’immaginazione corre il rischio di ridurre quest’ultima a una facoltà psicologica. Rispondendo ai vari interventi, Maurizio Ferraris ha ricordato che il termine di immaginazione indica da un lato una facoltà psicologica fra le altre (quella che produce immagini), dall’altro una sorta di metafacoltà, cui fa riferimento la definizione dell’immaginazione come di una “facoltà della traccia”, che rinvia a una tradizione filosofica, spesso non esplicitata, da Aristotele fino a Kant. Secondo tale tradizione, ciò che si imprime nell’anima non è la cosa percepita, bensì soltanto il suo fanta58 sma, il segno di una presenza assente. Si instaura dunque qui un gioco di rinvii, dalla percezione alla ritenzione della medesima, e viceversa, che fonda l’identità fra l’immaginazione e la memoria. Riguardo poi alla distinzione fra un aspetto attivo e uno passivo della conoscenza umana, Ferraris ha rilevato come ciò valga tanto più radicalmente nei confronti dell’immaginazione da riproporsi anche relativamente al ruolo sintetico di quest’ultima, fino a far sorgere la questione intorno al carattere della sintesi. Il problema del rapporto fra immaginazione produttiva e immaginazione riproduttiva, che si riconnette alla distinzione fra carattere attivo e carattere passivo della facoltà immaginativa, deve fare i conti, ha sottolineato Ferraris, con il compenetrarsi, nella conoscenza, di produzione e riproduzione, di creazione e ritenzione (ovvero, la memoria) di dati; l’immaginazione riproduttiva si confonde in tal senso con la memoria. La (involontaria) rielaborazione immaginativa dei dati mnemonici avviene, infatti, pressoché immediatamente dopo l’accadimento che ha dato luogo alla percezione. Ciò fonda, in ultima analisi, l’accostamento di estetica e logica, cioè l’attribuzione di valore conoscitivo alla produzione immaginativa e, per converso, del carattere creativo alla conoscenza. F.C. Individuo e comunità Nei giorni dal 6 al 8 maggio 1996, si è tenuto a Merano, presso l’Accademia di studi italo-tedeschi, il XXIII Convegno internazionale di studi italo-tedeschi sul tema: “INDIVIDUO E RAPPORTO COMUNITARIO NELL’EUROPA ALLE SOGLIE DEL TERZO MILLENNIO”. Il convegno ha inteso illuminare il rapporto tra individuo e società, ponendo l’accento sulla tendenza dell’individuo alla chiusura in se stesso e alla ricerca di un inserimento nei rapporti sociali, nel contesto storico della fine del secondo e dell’avvento del terzo millennio. I lavori del convegno sono stati suddivisi in tre parti, dedicate rispettivamente alle tematiche: “L’evento del nuovo millennio”, “Individuo e comunità”, “Mobilità etnica e pluralismo”. Aprendo il convegno, Vittorio Mathieu ha messo in rilievo la duplice esigenza che deve oggi affrontare la comunità mondiale nel suo tentativo di darsi un adeguato assetto giuridico-organizzativo: da un lato, instaurare un’organizzazione non meramente formale e di facciata; dall’altro, istituire e salvaguardare la titolarità dei diritti dell’individuo, evitando che questi venga ridotto a “suddito” dei poteri operanti a livello nazionale e sovranazionale. Aldo Stella ha illustrato il compito degli uomini di CONVEGNI E SEMINARI cultura dinnanzi alle richieste di istituire, nel mondo “orfano” delle ideologie materialistiche totalitarie e dinnanzi al diffuso disorientamento culturale, un’Europa all’insegna di una solidale «civiltà dello spirito», per sopperire alla mancanza di nuovi riferimenti culturali. In una prospettiva pedagogica, Peter Nenninger ha argomentato la necessità di un deciso riorientamento della cultura educativa e formativa dinnanzi alle esigenze di riqualificazione che caratterizzeranno sempre più le figure professionali del futuro: è necessario mirare ad un’ampia formazione di base che assicuri capacità analitiche e flessibilità di pensiero in un’ottica di possibile simbiosi tra economia e cultura. Comparando la situazione letteraria attuale con quella della fine dell’Ottocento, Ulrich Schulz-Buschhaus ha individuato analogie e differenze tra il modo in cui la letteratura di fin-de-siècle rispecchiava la crisi del rapporto tra individuo e comunità e le diverse reazioni alla tendenza all’individualizzazione rilevabili alla fine del XX secolo. Partendo da una ricostruzione della storia dello Stato sociale in Europa, Francesco Paolo Casavola ha affrontato il problema della necessaria riforma del Welfare State, che, se da un lato deve mirare a eliminarne i tratti degenerativi, non deve dall’altro cedere alle richieste, provenienti da posizioni di radicale liberalismo politico e liberismo economico, di uno smantellamento dell’intero organismo legislativo e amministrativo dello Stato sociale. La prima parte del convegno si è chiusa con le comunicazioni di Riccardo Scrivano e Claus Artur Scheier. Francesco Botturi ha discusso il problema della rottura tra “vincolo interiore” del singolo e società alla luce del concetto di libertà. Si tratta oggi di evitare concezioni riduttive e unilaterali di tale concetto, aprendosi invece ad una visione organica e dialettica dei diversi significati che esso comprende. Solo coniugando la libertà come autodeterminazione e autorealizzazione con quel bisogno costitutivo della libertà che è il rapporto con la libertà dell’altro si potrà aprire una riconciliazione tra l’esperienza del singolo e la sua partecipazione sociale. Hans Lenk ha poi indicato le categorie di coscienza e responsabilità personale come le basi su cui fondare un’etica per l’intera società umana. Spostando il discorso verso una prospettiva sociologica, Paul Trappe si è occupato del mutamento della struttura sociale che percorre la storia occidentale a partire dall’Ancien régime, e che da circa un secolo viene indicato come “differenziazione sociale”. Tale fenomeno è stato analizzato nella sua acutizzazione nel corso del XX secolo, con riguardo ai suoi effetti sulla posizione dell’individuo e sulle strutture sociali formali, quali per esempio il diritto. L’approccio della scuola austriaca allo studio e alla spiegazione dei fenomeni sociali è stato illustrato da Dario Antiseri, portavoce dell’urgenza di una maggiore diffu- sione in Italia delle idee di Menger, von Mises, von Hayek e Popper, per i quali i concetti collettivi (Stato, società, partito ecc. ) sono meri stenogrammi per individui che agiscono in base alle loro idee soggettive, e tutt’al più utili astrazioni o concetti ausiliari per l’analisi. A differenza di quanto sostenuto dalle posizioni costruttiviste, utopiste o psicologiste, le istituzioni e gli eventi sociali vanno spiegati come conseguenze volute o, più spesso, come esiti inintenzionali e inattesi di azioni individuali. Ben venti comunicazioni - tra cui quelle di Marco Buzzoni, Ubaldo Pellegrino, Giovanni Santinello, Francesco Piselli e Giorgio Penzo - hanno contribuito a integrare e sviluppare le tematiche di questa sezione. Horst Möller ha inteso chiarire la dimensione storica dei fenomeni di mobilità etnica nel nostro secolo, analizzando i diversi concetti di nazione a partire dal XVIII secolo fino ai giorni nostri. Il problema di una valutazione speculativa ed etico-politica del pluralismo è stato affrontato da Armando Rigobello, che ha rilevato come la giustificazione speculativa della coesistenza di orientamenti ideali, culturali, etico-politici, ideologici o religiosi, diversi tra loro, risieda in ultima analisi nel fatto che vi sono differenti livelli di verità e modi alternativi di attingerli. Rigobello ha sottolineato inoltre come la verità, nella sua totalità, oltrepassi le potenzialità conoscitive dell’uomo, il quale, nelle diverse prospettive che esprime, è sempre portatore di una verità parziale. Il pluralismo viene in tal modo ad assumere il valore di una feconda interazione di approcci teoretici e pratici. Il problema del pluralismo è stato affrontato su un altro livello anche da Peter Kampits, che ha trattato della tensione, oggi esistente in Europa, tra universalismo e nazionalismo. L’idea di un’unità sovranazionale deve confrontarsi con l’istanza del pluralismo; le spinte verso l’omogeneizzazione, esercitate dalla civiltà unitaria globale, suscitano e si scontrano con l’esigenza dell’affermazione di specificità culturali. Il problema di ridefinire, dopo il crollo dell’utopia marxista, il concetto di internazionalismo, richiede una nuova determinazione del nazionalismo attraverso la riflessione critica sulle sue radici. Wolfhart Henckman ha analizzato i mutamenti dei rapporti tra individuo e comunità nei momenti salienti dello sviluppo psicologico individuale: nascita, gioventù, maturità e vecchiaia. Massimo Borghesi ha evidenziato il radicale mutamento ideologico avvenuto a partire dagli anni Ottanta: se negli anni Settanta si scopriva il valore delle differenze e si rifiutava la cultura dell’Occidente, negli anni OttantaNovanta è prevalso l’ideale dell’identità nazionale e del potere omogeneizzante della cultura occidentale. Altri dieci interventi, tra cui quelli di Emilio Baccarini, Luigi Secco e Mario Signore, hanno completato il programma del convegno. I.De G. 59 La filosofia russa tra Ottocento e Novecento L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Genova, l’Associazione filosofica ligure hanno organizzato, nei giorni 2-3 maggio 1996 a Santa Margherita Ligure, presso il Castello Lo Faro, un convegno dal titolo: “LA FILOSOFIA RUSSA, 18001900”, in cui è stato preso in considerazione il pensiero dei filosofi russi maggiormente significativi a cavallo dei due secoli: Solov’ev, Berdjaev, Bachtin, Florenskij, nonché i contributi derivanti alla riflessione filosofica dalle opere di Bulgakov, Dostoevskij e Tolstoj. L’intervento di Nynfa Bosco (“Alle radici del pensiero russo”) ha aperto il convegno analizzando la genesi della filosofia in Russia, per elaborare poi un dettagliato profilo di Solov’ev, presentandolo come il pensatore russo e cristiano per eccellenza, il cui pensiero si situa all’incrocio tra teologia e filosofia: secondo Bosco, la miglior chiave interpretativa per avvicinarsi all’opera Solov’ev è la sua inquitudine esistenziale. Attraverso un’analisi della simbologia utilizzata da Bulgakov (il libro, l’orologio, la casa), A. Dell’Asta (“Cultura, responsabilità e valori nel primo Michail Bulgàkov”) ha fatto notare come la conservazione della memoria costituisca un elemento essenziale di questo autore. In Ricordi di un giovane medico, Dell’Asta ha individuato il valore della responsabilità quale espressione centrale del rapporto dell’uomo con l’alterità e il mistero. Emanuele Severino (“Dostoevskij e il ‘muro di pietra’”) ha preso spunto da una lettera scritta nel 1854 da Dostoevskij: «Se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità, o fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità», per dimostrare l’impossibilità, in Dostoevskij, di tenere separate fede e verità e per sottolineare come la scelta di Cristo da parte di Dostoevskij sia legata al ‘muro di pietra’, cioè «all’impossibilità di affermare e negare la stessa cosa». Alessandro Di Chiara (“La scaturigine della libertà nel pensiero di N. A. Berdjaev”) ha tematizzato l’influsso di Boehme e di Schelling sul pensiero del filosofo russo e ha analizzato i tratti salienti del concetto di libertà nella sua opera: l’inoggettivabilità, l’intrinsecità e l’autodeterminazione che trae dall’indeterminatezza la propria origine. Giovanni Mastroianni (“Problemi dell’opera di Bachtin”), ha compiuto un’attenta ricostruzione filologica del pensiero di Bachtin e in particolare di Problemi dell’opera di Dostoevskij, restituendo a quest’opera il suo peculiare significato storico e politico e i suoi specifici riferimenti, alla luce dei frammenti di Bachtin degli anni 1920-1924. CONVEGNI E SEMINARI I. Sibaldi (“Il profetismo in Tolstoj”) ha analizzato il conflitto di Tolstoj con la Chiesa cattolica e con quella ortodossa, tematizzando il suo profetismo attraverso la lettura di Anna Karenina e mostrandone l’aggancio con il Vangelo, che viene preso a fondamento di tale dimensione. Ha chiuso il convegno G. Lingua (“Gli spazi dell’immaginario in P. Florenskij”), che ha evidenziato come Florenskij individui uno spazio diverso dalla vuota spazialità di Picasso e proponga una teoria della verità come esperienza della spazialità estetica. A.Di C. Filosofia e filologia classica Organizzato dal PARSA (Pole Alpin de Recherches sur les Societés Anciennes), il 9-10 maggio 1996 si è tenuto a Torino un incontro tra filosofi e filologi delle università di Torino, Pavia e Grenoble, dedicato ad alcuni aspetti della cultura greca classica, in special modo legati al pensiero di Platone. L’incontro si è concluso con una tavola rotonda sul tema “PHILOSOPHIE, HISTOIRE ET IMAGINAIRE MYTHOLOGIQUE” (Filosofia, storia e immaginario mitologico) nella quale sono stati sottolineati alcuni “luoghi” tipici della tradizione filosofica greca, con particolare riguardo al ruolo delle immagini letterarie nella costruzione di concetti e tradizioni filosofici. Marie Laurence Desclos (“Come non essere filosofo: Antifonte o la voce che risuona”) ha affrontato il problema del rapporto tra filosofia e tempo nei dialoghi di Platone, con particolare riguardo al Parmenide e al Teeteto, sottolineando come la vaghezza dei riferimenti temporali renda difficile stabilire sia la data di composizione sia la “data drammatica” dei diversi testi, ovvero l’epoca in cui si svolge l’azione ivi narrata. In realtà in Platone, ha sottolineato Desclos, il tempo filosofico si articola in varie forme: il tempo che semplicemente trascorre; il tempo dell’anima, che si saggia nell’intreccio tra domande e risposte, affermazioni e negazioni, quando si esamina un problema; e, infine, il tempo storico. Rispetto a quest’ultimo, tuttavia, Desclos ha mostrato come la temporalità filosofica sia caratterizzata da un’articolazione nuova del passato, del presente e dell’avvenire: l’idea secondo la quale il “ciò che è stato” e il “ciò che è” sono condizionati da “ciò che sarà”, e non il contrario. Il rapporto tra Platone e i personaggi dei suoi dialoghi, con particolare riferimento alla presentazione di Socrate nel Simposio, è stato oggetto della relazione di Diego Lanza (“Il gioco della verità e del riso”). L’avvicinamento del filosofo al Sileno non è, per Lanza, casuale; il Socrate platonico presenta infatti spesso le caratteristiche del- l’attore comico, anzi del capocomico aristofaneo: un vecchio svagato e goffo, che si serve di un linguaggio quotidiano, ricco di espressioni gergali o gnomiche, ostentando incomprensione per quello specialistico della filosofia e che, soprattutto, è l’unico dei personaggi a rivolgersi direttamente al pubblico. Rimane tuttavia ancora aperta la questione del motivo per cui Platone attribuisca proprio tali caratteristiche al protagonista della maggior parte dei suoi dialoghi. Nella tavola rotonda conclusiva C. Jourdain Annequin ha proposto di applicare all’evoluzione del discorso mitico la nozione bachtiniana di “cronotropo”; Philippe Hanus ha invece mostrato come tale concetto funzioni nell’esame della Vita di Apollonio di Tiana scritta da Filostrato. Alain Fouchard si è soffermato sulla figura del sofista Trasimaco, noto come rivoluzionario aristocratico, ma capace anche di tessere un elogio della moderazione e della concordia. Silvia Sueli Milanezi ha ricordato l’autopresentazione di Aristofane in chiave eroica, nella quale il poeta comico si equipara ad un novello Eracle. David Bouvier ha notato come Platone citi molto frequentemente i poeti nelle sue opere (a cominciare da Omero) e non riservi invece alcuno spazio agli storici. Giancarlo Mazzoli ha esaminato il rapporto tra mito e storia nello stoicismo di Seneca. Michel Fattal ha ricordato la figura di Eraclito che piange in Luciano di Samosata, corrispondente all’immagine tradizionale del filosofo pessimista, contrapposto all’ottimista Democrito. Gian Franco Gianotti ha mostrato il contributo di Plutarco nel costruire l’immagine di Sparta e nell’analizzare la crisi successiva alla vittoria su Atene. G.C. La filosofia di Saul Kripke Con il titolo “SAUL KRIPKE’S CONTRIBUTION TO PHILOSOPHY ” (Il contributo di Saul Kripke alla filosofia) si è tenuto, dal 20 al 23 maggio 1996, presso il Centro Internazionale di Studi Semiotici e Cognitivi della Repubblica di San Marino, un convegno organizzato da Paolo Leonardi, che ha messo in evidenza il contributo di Saul Kripke in diversi ambiti della filosofia: logica, metafisica, ontologia, filosofia del linguaggio, filosofia della mente. Aprendo i lavori del Convegno, Scott Soames ha offerto un’analisi critica delle due principali strategie di confutazione dell’argomento modale, presentato da Saul Kripke in Naming and Necessity (Nome e necessità, 1972), a sostegno del diverso comportamento semantico dei nomi e delle descrizioni definite: l’analisi ad ambito ampio e l’analisi in termini di descrizioni rigidificate. Kevin Mulligan ha invece 60 parlato del ruolo semantico della percezione, elemento imprescindibile nella riflessione sul linguaggio. Evitando i rischi più noti connessi a tale impostazione (verificazionismo, atomismo percettivo, psicologismo, atomismo del significato) Mulligan ha preso le mosse dalla questione del ruolo della percezione e dei meccanismi coinvolti nel fissare il riferimento dei termini singolari e nel determinare il significato dei termini predicativi. Ernesto Napoli ha proposto un’interessante rilettura di alcune questioni discusse da Kripke in A Puzzle about Belief (1979): che cos’è essere un nome; che cos’è essere competenti nell’uso di un nome. La chiave per risolvere il puzzle di Kripke sta proprio, secondo Napoli, nella questione della competenza linguistica del parlante, che deve potersi valere di un certo numero di fonti di apprendimento. Nathan Salmon si è confrontato con il tema dell’identità personale, connettendolo ad una coppia di dottrine sulla modalità elaborate da Kripke in Naming and Necessity: la dottrina dell’essenzialismo individuale e la dottrina “stipulativa” dei mondi possibili. Contrapponendo alla versione riduzionistica tradizionale del problema quella essenzialistica, Salmon ha proposto come risoluzione della questione dell’identità personale l’idea dell’essenzialità del cervello. David Kaplan ha assunto come oggetto d’indagine lo studio dei rapporti tra semantica e contesto, ponendo al centro della sua riflessione la distinzione tra semantica dell’uso e semantica del significato, laddove la validità logica riguarda la preservazione non tanto della verità quanto dell’informazione, articolata in un contenuto descrittivo ed espressivo. Sydney Shoemaker ha rivolto la propria attenzione alla natura della necessità metafisica e di quella causale e al tipo di relazione che sussiste tra esse, sostenendo che la necessità causale pre-teorica è un caso speciale di necessità metafisica che può assurgere a paradigma della necessità. Rudolf Haller ha considerato dapprima il problema del non-esistente nelle Fictional entities, trattate da Kripke nelle John Locke Lectures del ’73, per poi passare ad analizzare il contributo di Kripke alla comprensione dello scetticismo di Wittgenstein. Quest’ultimo tema è stato al centro anche dell’intervento di George Wilson che ha assunto come obiettivo polemico la tesi di McDowell circa l’inadeguatezza dell’apparato esegetico utilizzato da Kripke in Wittgenstein on Rules and Private Language (Wittgenstein su regole e linguaggio privato, 1982). Jens Erik Fenstad ha fatto notare come in rapporto alla semantica formale il trattamento teorico dei termini di specie naturale richieda l’adozione della geometria, la quale, d’altro canto, non risulta disponibile entro la cornice della teoria dei modelli. Sul tema della verità e sul trattamento kripkeano di tale nozione si è incentrata la relazione di Donald A. Martin. Massimo Mugnai ha messo invece in CONVEGNI E SEMINARI evidenza le somiglianze tra la concezione della modalità in Kripke e in Leibniz, richiamando l’analogia tra la teoria leibniziana dei mondi possibili e la teoria di Lewis delle controparti. Joseph Halpern ha affrontato la questione se sia possibile, per un sistema di agenti in comunicazione, pervenire ad uno stato di conoscenza comune, dopo aver dimostrato che questa non è indispensabile ai fini pratici. Joseph Almog ha considerato due diverse concezioni metafisiche: quella che antepone la possibilità all’attualità e quella che fa dipendere l’attualità dalla possibilità, confermando il primato metafisico dell’attualità che emerge dalla logica modale di Kripke. L’intervento di C. Anthony Anderson si è incentrato sui concetti individuali intesi come ciò che è espresso dai termini singolari e come ciò che è afferrato dai parlanti competenti, connettendo questa disamina al suo progetto di fondare una teoria generale delle intensioni e delle entità intensionali. Steve Jablo ha argomentato contro la tendenza diffusa in filosofia ad analizzare in termini esistenziali nozioni che di per sé non implicano tale dimensione, criticando l’analisi di Lewis della nozione di mondo possibile. L’intervento di Saul Kripke, presente al convegno, si è incentrato su una ricostruzione storica della nozione di “coppia ordinata”. E.S. Finitezza e trascendenza A Macerata, organizzato dal Dipartimento Universitario di Filosofia e Scienze Umane, in collaborazione col Centro di Studi Filosofico-religiosi “Luigi Pareyson” dell’Università di Torino, si è tenuto nei giorni 16-18 maggio 1996 il VII Colloquio su Filosofia e Religione dal titolo: “ERMENEUTICHE DELLA FINITEZZA”, che ha analizzato le diverse modalità di rapporto tra finito e infinito attraverso il pensiero di filosofi, teologi e scrittori della tradizione occidentale. Introducendo il convegno, Giovanni Ferretti ha sottolineato come la finitezza, fenomenologicamente poliedrica quanto pervasiva, non sia un dato empiricamente bruto, ma una interpretazione della condizione umana nelle sue relazioni costitutive, tant’è che occorre parlare necessariamente al plurale di “ermeneutiche della finitezza”. L’alternativa interpretativa di fondo è quella tra le ermeneutiche che comprendono il senso del finito in riferimento all’infinito (così da Cartesio a Levinas) e quelle che comprendono il finito escludendo ogni riferimento all’infinito (come per esempio in Heidegger). All’interno di questa alternativa si dispiegano poi trasversalmente altre differenze, come per esempio tra quanti sottolineano la negatività del finito, la sua costitutiva carenza, e quanti ne rimarcano la positività. Jean Greisch (“Ermeneutica della fatticità e analitica della finitudine”) ha inquadrato la nozione di finitudine attraverso le indicazioni di Foucault, Heidegger e Ricoeur. Nel primo caso viene stabilito uno stretto legame tra la finitudine dell’uomo e la positività del sapere umano, quale s’impone nell’Ottocento. La peculiarità di Essere e tempo, secondo Greisch, è invece quella di riconoscere all’analitica della finitezza un andamento intrinsecamente ermeneutico, al cui centro sta l’interpretazione dell’essere-per-la-morte in termini di vita fattiva. Ricoeur, infine, propone un’ermeneutica della finitezza come antropologia filosofica centrata sul tema della fallibilità. Mario Ruggenini (“Tra l’essere e il nulla. L’evento dell’altro e il mistero della morte”) si è soffermato invece sulla relazione essenziale che lega la filosofia al tema della morte. Come il destino di Socrate nell’Apologia e nel Fedone platonici si decide in rapporto al divino, così, secondo Ruggenini, va pensata la finitezza e la morte che ne costituisce il sigillo. Laddove oggi prevale una concezione della morte come mera nientificazione, si tratta invece, secondo Ruggenini, di pensare a essa partendo dalla finitezza come rapporto col divino: la morte come evento dell’altro appartiene alla vita e non è l’irruzione di quel nulla assoluto che la teologia cristiana ha finito per riabilitare. Bruno Forte (“La salutare finitezza dell’altro”) ha proposto un’accezione della rivelazione divina tale da non esaurire l’alterità di quest’ultima e da comportare per il credente una fondamentale rilevanza etica. Prendendo innanzitutto le distanze dalla Offenbarung (rivelazione) hegeliana, Forte ha richiamato le indicazioni antihegeliane di Barth, per il quale Dio è insieme rivelatore, rivelazione e rivelato: il rivelato non esaurisce però Dio, la cui alterità resta salva. Superando lo stesso Barth, Forte accoglie le indicazioni di Bonhoeffer, il quale sottolinea l’autofinitizzarsi di Dio nella vergogna della croce. Secondo Virgilio Melchiorre (“Per una fenomenologia trascendentale del finito”) la domanda intorno alla finitezza è una domanda trascendentale e, determinante per la sua rilevanza ermeneutica, è il necessario legame con il tema dell’infinito. Il finito porta con sé la traccia dell’infinito e lo spazio fenomenico ove questa traccia si dà è il dire metaforico; qui l’infinito viene a parola, finitizzandosi, ma rimanendo in parte inoggettivabile. Torna preziosa, a questo riguardo, l’intenzionalità simbolica di Jaspers, quale tensione esistenziale dell’io in rapporto col trascendente, tensione destinata peraltro a rimanere irrisolta. Vincenzo Vitiello (“Redenzione o salvezza del finito?”) è partito dalla lettura heideggeriana della Grundfrage (domanda fondamentale) leibnizia61 na, «Perché c’è qualcosa piuttosto che niente?». Svincolando questo “perché” dalla causalità, Heidegger ci rivela quel terreno all’interno del quale è possibile che tutto quello che accade accada. In questo senso, secondo Vitiello, si possono riprendere le riflessioni di Derrida sulla chora platonica, quale luogo-non luogo di una ospitalità radicale, sottratta a ogni consolazione o conciliazione. Compito del pensiero è allora quello di muoversi in questa chora, spazio nichilista aperto, tuttavia, ad una speranza. Claudio Ciancio (“Finitezza e problema del male”) ha insistito su un finito che, come ha insegnato Pascal, porta la traccia dell’infinito e proprio per questo è affetto dalla contraddizione e dal male. Dopo aver richiamato alcuni tradizionali, quanto falsificanti, tentativi filosofici di depotenziare la contraddittorietà del finito e con essa del male (come quello soggettivistico di Sartre o quello dialettico di Hegel), Ciancio ha rigettato l’idea che il male inerisca tout court allo statuto ontologico del finito. Jure Zovko (“Aspetti ermeneutici della coscienza”) ha richiamato alcuni contributi di carattere morale sui problemi della coscienza riconducibili all’ontologia di Heidegger: l’analitica del Dasein mette in luce l’autodeterminazione individuale dell’uomo e la sua responsabilità nei confronti di se stesso e delle altre persone, rendendo la scelta concreta per l’autenticità simile alla scelta morale nel senso socratico del rendere ragione. Armido Rizzi (“Ermeneutica della creaturalità”) si è soffermato sull’accezione ebraico-cristiana di creazione come productio ex nihilo, sottolineando il contesto originariamente religioso, anziché metafisico-teoretico, entro cui essa sorge. Peculiare al testo biblico è il liberare la religione dal sacro, sganciando il divino dall’identificazione con la natura e facendo emergere la trascendenza di Dio. Un Dio che liberamente crea, così come stringe alleanza col mondo. Da tale visione discende, secondo Rizzi, una concezione dell’uomo come ente finito, ma dotato di libertà di scelta. Ricollegandosi alla centralità assegnata da Celan al tema dell’io, Ugo Perone (“Il limite del finito”) si è detto d’accordo con Cartesio nel considerare l’io quale punto d’avvio della riflessione filosofica e luogo in cui si incontra il limite e la finitezza. Secondo Perone, tali limiti non vengono tuttavia vissuti dal soggetto come mera autolimitazione, ma come orizzonte entro il quale può darsi l’azione. Carlo Sini (“Finitezza alla lettera”) ha analizzato il concetto di finitudine relativamente alla pratica filosofica, sostenendo che solo nell’analisi delle proprie reiterate pratiche la filosofia si salva dall’essere mera chiacchera e trova il proprio “infondato fondamento”. G.L.P. CONVEGNI E SEMINARI Antonio Banfi, Moritz Schlick Scienza e filosofia in Francia e in Italia Con il titolo “SCIENZA E FILOSOFIA IN FRANCIA E IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE” si è tenuta a Parigi, il 10 e 11 maggio 1996, una giornata internazionale di studi, organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura, dalla Maison des Sciences de l’Homme dell’EHESS di Parigi e dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Ha aperto i lavori della giornata Jacques Sebestik, soffermandosi sulla differenza di tensione della conoscenza scientifica in Francia e in Italia e nella vicina Austria. Per Bachelard, Cavallès, Bergson, da un parte, e per Banfi, Preti, Enriques, dall’altra, la conoscenza scientifica deriva dalla storia, e non si vergogna di appoggiare su un’ontologia; per i viennesi, invece, la scienza è un’attività, una pratica che si limita ai suoi enunciati. Contro questa distinzione tra una prassi strettamente formale e una riflessione filosofica e storica della scienza, Antonio Banfi, ha sottolineato Luca Scarantino, proponeva un’ideale di cultura scientifica e parallelamente di filosofia scientifica, che avrebbe dovuto informare il progetto di unificazione di tutti i domini di sapere; un’ideale presente anche nell’opera di Giulio Preti, nella dimensione etica della filosofia scientifica, nella sua capacità di pro- porre una struttura formale del sapere e, allo stesso tempo, nell’operare sulle forme culturali. Su Preti è intervenuto anche Paolo Parrini, che rilevato come intorno agli anni Trenta si siano potute elaborare due maniere differenti di realizzare non tanto una filosofia delle scienze, quanto una filosofia scientifica. E qui sta l’interesse del confronto dell’opera di Preti con quella di Moritz Schlick, e del loro confluire in una teoria critica della conoscenza. Schlick riconosce infatti, avvicinandosi alle posizioni kantiane, che esiste una trascendenza della conoscenza che sfugge ai dati immanenti: l’oggetto di conoscenza è oggetto costituito, è trascendente rispetto agli oggetti immanenti e immanente rispetto alle regole di costituzione. Roberto Maiocchi ha invece proposto un panorama storico dei maggiori rappresentanti della cultura scientifica in Italia all’epoca del fascismo, dimostrando come allora si fosse generata «una vera e propria spaccatura tra la filosofia idealista e il pensiero scientifico, a partire dall’ingresso della teoria relativista di Einstein dopo la prima guerra mondiale». Tra i sostenitori delle tesi relativiste Maiocchi ha annoverato Tullio Levi Civita, Augusto Righi e Mario Pantaleo. Tra le fila degli oppositori troviamo, oltre agli idealisti Croce, Gentile, Ugo Spirito, i neotomisti Giuseppe Sanfranceschi e Paolo Rossi, e il neokantiano Enrico Fermi, mentre Federico Enriques non si accorse 62 dell’originalità delle teorie einsteiniane. L’inattualità dell’opera di Federigo Enriques, ha osservato Ornella Pompeo Faracovi, portò questi ai margini della cultura scientifica tra le due guerre. Il centro del suo pensiero sta nel rapporto tra spazio reale e spazio rappresentato così come viene presentato dalla geometria non euclidea: l’originalità o la sua inattualità consiste nell’aver legato i postulati spaziali della geometria a criteri psicologici. Le azioni della geometria sono infatti delle costruzioni, alla cui origine sta l’intuizione che offre al geometra la possibilità di tradurre in assiomi matematici la realtà. Riprendendo la dialettica della verità oggettiva e del valore storico in Albert Lautman, Jean Petitot ha messo in luce l’istanza storica all’interno della verità scientifica, che in questo senso non è già là per sempre, ma è continuamente costruibile. La storia, vista non in una prospettiva evoluzionista della scienza, bensì all’interno di un’ermeneutica scientifica, è terreno inesauribile di significazione, in cui agiscono le idee problematiche della scienza, prese nel loro valore ermeneutico di costituzioni obiettive. Fabio Minazzi si è infine soffermato sul rapporto ostile tra scienza e filosofia. Se a Banfi tale ostilità risultava paradossale in un paese come l’Italia, Preti sosteneva che la filosofia doveva «darsi un metodo, o dei metodi, risolvere il caos delle logiche, definire i suoi contatti con tutto il resto della cultura, così da potersi inserire come forza attiva». G.Di L. CONVEGNI E SEMINARI Cassirer, cinquant’anni dopo Organizzata dalla rivista «Informazione Filosofica» in collaborazione con la «Rivista di storia della filosofia», il 14 maggio 1996, presso l’Università degli Studi di Milano, si è tenuta una “GIORNATA DI STUDIO SU ERNST CASSIRER ”, con la partecipazione di Massimo Ferrari, Renato Pettoello, Stefano Poggi, Enno Rudolph. Nell’ambito dell’attuale ripresa di interesse per la filosofia di Cassirer, si segnalano, in Italia, l’ampia monografia di Massimo Ferrari, ERNST CASSIRER . DALLA SCUOLA DI MARBUR GO ALLA FILOSOFIA DELLA CULTURA (Olschki, Firenze 1996) e la traduzione di un testo che testimonia l’importanza del pensiero di Goethe per la riflessione filosofica di Cassirer: GOETHE E IL MONDO STORICO (a cura di R. Pettolello, Morcelliana, Brescia 1995). In lingua inglese è stato pubblicato, con il titolo THE PHILOSOPHY OF SYMBOLIC FORMS . VOLUME FOUR: THE METAPHYSICS OF SYMBOLIC FORMS (a cura di J. M. Krois e di D. Ph. Verene, Yale University Press, New Haven e Londra 1996), il IV volume inedito della ‘Filosofia delle forme simboliche’ di Cassirer che fa seguito alla sua apparizione in edizione critica tedesca nel 1995. In apertura della giornata di studi milanese Massimo Ferrari ha ripercorso le tappe fondamentali dell’esperienza intellettuale di Cassirer, soffermandosi sui temi del rapporto con la tradizione filosofica, del confronto con la discussione epistemologica della fisica moderna, dell’allargamento della critica (kantiana) della ragione in una critica trascendentale della cultura. Enno Rudolph ha sottolineato le ragioni della mancata ricezione della filosofia di Cassirer nel dibattito tedesco del dopoguerra. Da un lato l’hegelismo difeso, su versanti opposti, dalla teoria critica della scuola di Francoforte e dalla scuola di Joachim Ritter, dall’altro il crescente peso dell’ermeneutica heideggeriana hanno contribuito ad una “ghettizzazione” del neokantismo, in cui con troppa facilità si è cercato di risolvere la proposta filosofica cassireriana. Stefano Poggi si è soffermato invece sulla “fortuna” del pensiero di Cassirer in ambito italiano fin dagli anni precedenti il conflitto bellico; mentre Renato Pettoello ha messo in evidenza le tensioni interne del tentativo cassireriano di conciliare Kant con Goethe. L’ampia monografia di Massimo Ferrari dedicata a Cassirer costituisce il tentativo più aggiornato in ambito italiano di ricostruire l’intreccio multiforme della riflessione cassireriana, senza comprimerla su un solo aspetto settoriale o ridurla al semplice piano biografico. Piuttosto Ferrari avanza una precisa propo- sta interpretativa: accostare l’opera di Cassirer come un gioco di «rispecchiamenti ripetuti» (secondo un’immagine goethiana), in cui riescono a convergere molteplici prospettive di indagine. Questo tentativo di pervenire a un «quadro ad un tempo unitario e differenziato» dell’opera di Cassirer è arricchito da un costante rimando alla situazione della filosofia tedesca (e non solo) dei primi decenni del Novecento e da una puntuale ricostruzione del dialogo di Cassirer con alcuni dei momenti più “alti” del dibattito contemporaneo: uno specifico capitolo, per esempio, è dedicato alla interpretazione cassireriana della teoria della relatività e alle reazioni da parte neopositivistica (Schlick e Reichenbach). Ampiamente analizzati sono anche il retroterra storico e i termini filosofici del confronto fra Cassirer e Heidegger; particolarmente ricca, poi, è la ricostruzione dei rapporti intrattenuti da Cassirer con l’ambiente intellettuale della Biblioteca Warburg e, in particolare, con Panofsky. Ma altri e molteplici confronti punteggiano tutti i capitoli del libro: da quello sulla genesi e struttura dell’opera di Cassirer sul Problema della conoscenza nella filosofia e nella scienza dell’età moderna (che sfata il mito di un Cassirer storico della filosofia sic et simpliciter), a quelli sulle fonti leibniziane delle Forme simboliche e sulla filosofia della cultura, dove acquista rilievo il confronto di Cassirer con Dilthey, Simmel, Scheler. Per quanto riguarda l’ampia riflessione, o meglio ridefinizione cassireriana dei temi di quella linea di pensiero che da Leibniz conduce a Goethe, Ferrari fa notare come con Libertà e forma, del 1916, dedicata alla storia spirituale della cultura tedesca, Cassirer esprima una presa di distanza dalla retorica nazionalistica del germanesimo, diffusa negli anni del primo conflitto mondiale (da cui non furono esenti gli stessi maestri di Cassirer: Cohen e Natorp). Ciò testimonia di quel peculiare cosmopolitismo e umanesimo, da cui trae origine quella inflessione etica e politica della filosofia cassireriana che la critica recente (Krois, Paetzold) ha evidenziato, seppure relegandola unilateralmente nell’ultima fase della sua ricerca. In un suo precedente lavoro, Il giovane Cassirer e la scuola di Marburgo (1988), Ferrari metteva in luce la specifica componente “leibniziana” che Cassirer innestava nel tronco del neokantismo. Nella monografia attuale l’attenzione per le ascendenze leibniziane di Cassirer è ripresa, ma viene soprattutto arricchita mediante l’individuazione di quel filo di continuità da Leibniz a Goethe che costituisce il peculiare referente storicoideale cui si rifà la ricerca di Cassirer e in Ernst Cassirer 63 CONVEGNI E SEMINARI cui si situa anche la sua rilettura di Kant. In particolare, come mostra Ferrari, Cassirer sembra trarre da Goethe non solo ispirazione per il suo progetto di una Formenlehre (teoria delle forme), di una “morfologia” dello spirito, ma soprattutto quello stile di fondo che contraddistingue i «rispecchiamenti ripetuti» in cui si compendiava il senso della sua stessa opera. Questo filo “goethiano” della riflessione di Cassirer è individuato anche da Renato Pettoello nella sua “Introduzione” all’edizione italiana di Goethe e il mondo storico, che raccoglie tre saggi cassireriani apparsi per la prima volta in volume nel 1932, in occasione del primo centenario della morte di Goethe. Nella riflessione filosofica di Cassirer, Goethe riveste un ruolo centrale: «Un saldo punto di unità, un centro ideale nel quale convergono diverse tensioni spirituali ed esigenze speculative, lungo una linea ideale: Leibniz-KantGoethe». Un evento editoriale di grande rilievo è la pubblicazione in edizione “americana” del IV volume, finora inedito, della Filosofia delle forme simboliche. Nell’ambito di una riedizione dei testi di Cassirer, si segnala invece la pubblicazione della raccolta di saggi Dall’Umanesimo all’Illuminismo (La Nuova Italia, Firenze 1995), che a suo tempo fu curata da P.O. Kristeller. Si tratta di saggi che Cassirer pubblicò tra il 1930 e il 1945, dei quali i più furono scritti durante il suo esilio in Svezia e negli Stati Uniti. Solo per una convenzione peraltro discutibile si può parlare di questi saggi come aspetti “minori” della produzione di Cassirer; in realtà essi ci mostrano - come ha evidenziato anche Enno Rudolph - una peculiare tendenza della sua ricerca storica e filosofica: quella di interpretare il Rinascimento attraverso il concetto di Illuminismo e di riscoprirlo come “primo Illuminismo”. R.L. Cristianesimo e modernità La Pontificia Università Gregoriana di Roma promuove ogni anno un ciclo di letture di pagine significative, tratte da testi di autori cristiani, con l’intento di offrire a studenti e studiosi la possibilità di “dialogare” con il pensiero di questi autori mediante un’interpretazione metodologicamente corretta e criticamente aggiornata. Tra il 22 febbraio e il 16 maggio 1996, si sono tenuti otto incontri, seguiti ognuno da una discussione sul rapporto tra cristianesimo e modernità in alcuni tra i maggiori filosofi della tradizione occidentale. Il ciclo si è aperto con una lectura di testi di Francisco Suarez (“Suarez metafisico”), tenuta da Costantino Esposito. Da alcune pagine delle Disputationes Metaphysicae è emersa la concezione suareziana dell’ente secondo la quale l’esistere risulta non originario, ma quasi una contrazione dell’essenza. Il concetto di ente costituisce per Suarez l’oggetto adeguato della metafisica, ma è fondamentale anche per la teologia, che vacillerebbe senza i principi fondati dalla metafisica. Nella seconda lettura (“Dio ingannatore e genio maligno”), incentrata sulle Meditationes de prima philosophia di Cartesio, in particolare sulla prima meditatio e sulle secundae obiectiones, Tullio Gregory ha mostrato come nel testo cartesiano emerga la distinzione tra l’inganno sulla realtà esterna (che può essere causato da un genio maligno), e il dubbio radicale che mette in crisi le verità matematiche, del quale solo Dio può ritenersi responsabile. La figura del “Dio ingannatore”, ha d’altra parte osservato Gregory, non è solo un’ipotesi di Cartesio, ma risulta radicata nella tradizione teologica tardomedievale. Nella terza lettura (Il “verum factum” e l’“universale fantastico”), Francesco Botturi ha illustrato come in Vico emerga, da alcune pagine del De antiquissima italorum sapientia, il tema del “verumfactum”, secondo il quale la conoscenza umana equivale ad una composizione degli elementi che porta alla luce la forma della cosa: il vero risulta così oggetto di produzione. Tale concezione è stata ricollegata da Botturi a quella dell’universale e del fantasico, nozioni presenti nella Scienza nuova seconda e nell’Idea dell’opera: i generi fantastici si producono, come gli universali, dalla convergenza di elementi comuni, operata dall’ingegno dell’uomo nell’età degli dei; la conoscenza poetica è allora la conoscenza originaria della mente. Nella quarta lettura (“Cum Deus calculat”), Gino Roncaglia ha analizzato un testo di Leibniz, De veritatibus primis, databile tra il 1677 e il 1680. Partendo dall’affermazione per cui omne possibile exigit existere (tutto ciò che è possibile deve esistere), Leibniz si chiede come mai non tutti i possibili esistano, trovando la risposta nella compossibilità; esiste cioè una combinazione che permette la coesistenza della massima quantità di essenza: Dio crea così il migliore dei mondi possibili. Nella quinta lettura, Salvatore Spera ha presentato un testo di Soren Kierkegaard, Briciole Filosofiche, rilevando nella frase introduttiva il problema se possa esserci “nella storia un punto di partenza di una coscienza eterna”; problema a cui Kierkegaard risponde positivamente: chiunque infatti può arrivare a Cristo, anche il “discepolo di seconda mano”, 64 che non lo ha conosciuto direttamente. Nella “Morale” finale del testo Spera ha mostrato la ripresa dei temi fondamentali, dalla considerazione della fede come nuovo organo, nuovo presupposto alla nuova decisione che sorpassa l’esperienza socratica. La sesta lettura, dedicata a John Henry Newman, è stata tenuta da Onorato Grassi, che ha preso in esame la seconda parte della Grammar of Assent (Grammatica dell’assenso), in particolare le pagine che si riferiscono all’inferenza. Grassi ha notato come Newman illustri le modalità seguite dalla mente umana nella conoscenza, quando non si possa procedere da verità evidenti. Nel campo dell’esperienza, infatti, noi inferiamo una verità attraverso la convergenza delle premesse verso un “centro comune”. Nella settima lettura Peter Henrici ha esposto L’Action, di Maurice Blondel, facendo emergere dal testo il problema del senso della vita e il luogo ove Blondel cerca la risposta, cioè nell’agire dell’uomo. Henrici ha sottolineato anche il metodo filosofico utilizzato da Blondel, che si basa sulla constatazione dei fatti, sulla loro circoscrizione e sull’utilizzazione delle informazioni negative. In Blondel la filosofia arriva a dimostrare che la ragione non è autosufficiente, poiché l’azione dell’uomo trascende l’uomo stesso. Il ciclo si è chiuso con una ottava lettura (“Fine della modernità”) a opera di Paolo Nepi. Prendendo spunto dal triplice significato, etimologico, storico e concettuale, che il termine modernità può assumere, Nepi ha messo in rilievo la lettura ambivalente di questo periodo, determinata dalla eterogenesi dei fini che si è venuta attuando: dalla fiducia nella ragione si è giunti alla crisi della ragione stessa. Ciò ha messo in luce alcuni paradigmi di interpretazione, quali la secolarizzazione e il senso dell’illimitato, e ha permesso di caratterizzare il rapporto tra modernità e cristianesimo come un incontro non esente da contrasti, basato soprattutto sui problemi etici (per esempio quelli sollevati dalla bioetica). Il ciclo si è concluso con un intervento di Andrea Di Maio che ha osservato come il tema prescelto potesse anche intendersi come la persistenza nella modernità del cristianesimo, che è presente trasversalmente in tutte le epoche e pone ai cristiani il compito di confrontarsi con i valori e i problemi del proprio tempo; la prima sfida cui il cristianesimo deve rispondere è identificata con il problema della secolarizzazione. G.S. CONVEGNI E SEMINARI Filosofia a Bariloche Dal 29 al 31 agosto 1996 si è svolto nella città argentina di S. Carlos de Bariloche, ai piedi delle Ande, il “TERZO CONVEGNO INTERNAZIONALE BARILOCHE DI FILOSOFIA ”, a cura della Fondazione Bariloche, dell’UNESCO, delle università di Buenos Aires, La Plata, Còrdoba, Comahue, del Centro de Investigaciones Filosòficas di Buenos Aires e della Società argentina di analisi filosofica. Sul tema “Ripensare la filosofia oggi” si sono confrontati oltre cento relatori provenienti da America Latina, Europa, Stati Uniti e Israele. Identità e significato della filosofia in relazione alle scienze e all’insieme dell’attività umana; valutazione e bilancio dell’attività filosofica nei suoi diversi settori di ricerca; ruolo della filosofia di fronte ai grandi temi che attraversano il mondo contemporaneo, filosofia politica e democrazia, femminismo, identità comunitarie, tecnoscienza: sono state queste le direzioni principali di discussione che hanno caratterizzato il Terzo Convegno Bariloche di Filosofia. Tra i vari interventi, molti relatori hanno sottolineato come anche la filosofia non sfugga all’incertezza che caratterizza quest’ultimo scorcio di millennio. Secondo Oscar Nudler (Fondazione Bariloche) e Patrice Vermeren (UNESCO), alcune delle principali tendenze critiche possono essere individuate nella crisi dell’idea illuminista di “sistema filosofico”. Contro tali tratti negativi, Quintìn Racionero (Università Complutense di Madrid) ha parlato di “potenzialità filosofica” di grande spessore: la potenzialità filosofica propria di tutti i momenti critici di transizione. Sulla stessa linea di discorso è intervenuto anche Luca Scarantino (Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales), che ha ribadito il ruolo culturale insostituibile della filosofia. Secondo Marcelo Dascal (Università di Tel Aviv), l’idea sistematica della filosofia come sapere assoluto ha subìto, tra la fine del secolo scorso e l’inizio dell’attuale, gravi contraccolpi: la scoperta della psicoanalisi e lo spodestamento del ruolo privilegiato della coscienza nel processo di fondazione della conoscenza; la difficoltà di istituire un sapere speculativo che trascenda la dimensione storica, economica e culturale; l’abbandono di un modello “realista” di scienza in favore del modello “ipotetico-deduttivo”; il procedere del pragmatismo scientifico a scapito del fondazionismo. Questa nuova realtà mette in crisi l’idea sistematica della filosofia e conduce ad un suo riposizionamento in relazione alle scienze e alla vita pratica, dove la filosofia non può più essere definita a partire dal progetto di un sapere assoluto rispet- to alla diversità della conoscenza umana. Per contraddistinguere oggi, nel momento di un’accettata autonomia dei saperi particolari e delle pratiche individuali e sociali rispetto alla filosofia, il senso dell’attività filosofica in quanto tale è necessario, secondo Michael Wrigley (Università di Campinas) e Junqueira-Smith (Università di Curitiba), fare riferimento all’“attività” filosofica piuttosto che alla “dottrina” o alla “teoria”, secondo quanto indicato da Wittgenstein, che distinse il “privo di senso” (sinnloss) delle pseudoproposizioni del Tractatus, dal “senso” del Tractatus, in quanto attività volta a mostrare i limiti tra ciò che può essere detto in modo sensato e ciò che non può esserlo. L’assunzione della filosofia come definizione dei limiti è stata affrontata da Oscar Nudler in relazione a quelli che chiama «filosofi del limite», i cui casi paradigmatici sono Socrate e Wittgenstein. Esaminando il modo in cui Kant e Wittgenstein affrontano la nozione di limite, Nudler ha osservato che il significato non ne rappresenta una delimitazione di un settore - la conoscenza o il linguaggio dotato di senso - ma la relativizzazione filosofica di un dominio in vista dell’apertura di un altro campo. Così, accanto a un contenuto negativo dell’idea di limite (il tracciato della frontiera come chiusura) esiste un contenuto positivo, in relazione con la liberazione di un orizzonte che può apparire in condizioni radicalmente nuove. Secondo Quintìn Racionero, «alla filosofia sembra spettare un duplice ruolo in relazione al concetto di limite: reinventare lo stupore a partire dalle domande filosofiche non sui “dati”, ma volte a mostrare i limiti di un determinato sistema concettuale, e recuperare una dimensione di “mediazione” e “dialogo” tra gli spazi separati, che solo la filosofia può rappresentare». Se il pensiero postmoderno ha saputo opporsi all’idea di “unità riduttrice” soggiacente al concetto sistematico di filosofia, insistendo sulla dimensione di “differenza” inerente al pensiero umano, «il pericolo che incombe oggi sulle nostre culture» - ha ammonito Patrice Vermeren - «non è più tanto lo spirito di sistema, quanto lo spirito di indifferenza». La mera esistenza della pluralità non è condizione sufficiente affinché la differenza circoli in un senso filosofico, dando luogo ad un dialogo con il sostrato filosofico ricevuto in eredità. Un dialogare che abbia senso per la filosofia non può sottrarsi alle tradizioni storiche della filosofia, come neppure alle nuove forme di cultura filosofica che acquistano valore nell’attualità. La sfida è mettere i due universi in situazione di dialogo. F.N. 65 Bicentenario rosminiano In occasione del bicentenario della nascita di Antonio Rosmini, presso l’Abbazia Sacra di San Michele, si è tenuto nei giorni 7 e 8 giugno 1996, promosso dall’Università di Torino e dal Centro Internazionale di Studi Rosminiani di Stresa, un convegno dal titolo: “ROSMINI E LA CULTURA DEL RISORGIMENTO - ATTUALITÀ DI UN PENSIERO STORICOPOLITICO”. Il convegno ha inteso affrontare il pensiero di Rosmini sia in ambito politico che in quello religioso, mettendolo a confronto con quello di altri pensatori italiani ed europei non solo nell’ambito delle vicende storiche risorgimentali. Successivamente, presso il Centro Internazionale di Studi Rosminiani di Stresa si è tenuto, nell’agosto 1996, il “SECONDO CORSO STRAORDINARIO DELLA CATTEDRA ROSMINI”, che ha voluto analizzare i rapporti del pensiero rosminiano con la filosofia moderna e gli stimoli che esso offre alla riflessione contemporanea. Aprendo i lavori del convegno all’Abbazia Sacra di San Michele, Vittorio Mathieu ha presentato un’ipotesi paradigmatica: se avesse vinto la linea politica rosminiana nel 1848, non ci sarebbe probabilmente stata quella rottura insanabile fra cattolicesimo e liberalismo che caratterizzò invece la storia italiana successiva. Giorgio Campanini ha analizzato l’incidenza di Rosmini sul piano europeo sotto il profilo sia politico, sia filosofico, mostrando come Rosmini seppe rimanere immerso nel dibattito coevo intervenendo soprattutto attorno a tre temi: la concezione della persona, adottando la definizione kantiana della persona come fine; la critica all’idea di progresso, inteso nel senso totalitario del perfettismo della Rivoluzione francese; la valenza pubblica della famiglia, considerata la cellula sociale di base. Sulle polemiche che Rosmini ingaggia costantemente contro le ideologie della Rivoluzione Francese si è soffermato Francesco Traniello nella prospettiva del contributo di Rosmini al Risorgimento italiano. Dopo un approccio inizialmente reazionario, Rosmini approda al superamento di un’analisi solo politica della rivoluzione, accedendo al suo senso più propriamente storico, nell’orizzonte delle vicende europee. In questo modo, secondo Traniello, Rosmini perviene all’analisi del dispotismo nel suo polimorfismo, al rifiuto critico del concetto di sovranità e di pubblico potere che fagocita i diritti del singolo, come pure di sovranità nazionale, alla quale Rosmini contrappone la sovranità del popolo che si organizza in apparato civile. L’irreversibilità che l’evento rivoluzionario ha determinato anche in ambito religio- CONVEGNI E SEMINARI Antonio Rosmini so conduce Rosmini al superamento delle posizioni intransigenti della restaurazione cattolica, prospettando un cambiamento sia culturale che istituzionale all’interno della Chiesa cattolica, nel recupero di una efficace interazione fra individuo, società e persona, in una circolarità di diritto oggettivo e soggettivo, di doveri e di diritti, in cui, come ha sottolineato Annamaria Tripodi, si radica il significato più completo e alto di soggetto umano. Michele Nicoletti ha proposto una riflessione sul federalismo di Rosmini attraverso l’analisi del Saggio sulla unità d’Italia scritto a Milano sulla spinta degli eventi quarantotteschi. Nicoletti ha evidenziato il fondamento realista della proposta rosminiana, nata dalla considerazione della positività della composizione multiforme degli stati e delle culture italiane, e dal timore che un’unificazione nazionale imperniata sull’appiattimento piemontese avrebbe prodotto intolleranza e sopruso. Luciano Malusa ha ripercorso le tappe di tale esperienza, ricordando come le preoccupazioni eminentemente politiche di Rosmini mal si accordassero agli immediati interessi pratici dei Savoia. Sui difficili rapporti di Rosmini con la cultura piemontese si è soffermato Umberto Levra. Mentre è ben documentata l’amicizia che unì Rosmini alla famiglia Cavour, sulla quale si è soffermato Alfeo Valle, più aperta è l’analisi dei rapporti di Rosmini con il moderatismo piemontese, di cui condivideva la sensibilità per gli studi storici, la tensione antinapoleonica e le riflessioni di economia politica. Non altrettanto facile era per Rosmini sentirsi in sintonia con l’immagine secondaria attribuita dai Savoia alla Chiesa cattolica. Ciò è emerso anche dalla relazione di Fulvio De Giorgi, che ha sottolineato l’originalità della concezione teologica di Rosmini, guidata da un ideale di carità intellettuale che passa attraverso l’ab66 bandono mistico e la contemplazione della bellezza. Paolo Marangon ha offerto un’ampia ricognizione delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa, opera nella quale sono rinvenibili tracce di diverse visioni ecclesiologiche: accanto alla Chiesa-sposa, di origine patristica, troviamo la Chiesa del Cristo segnata dal dolore, la Chiesa provvidenziale, e infine la Chiesa come realtà dinamica, ermeneuticamente aperta ai tempi e coinvolta, come la società, in periodi critici e organizzatori, epoche di marcia e di stazione, secondo un disegno implicito nei piani di Dio. Ha chiuso il convegno Umberto Muratore, che ha messo a fuoco la dimensione etica sottesa alla concezione politica rosminiana: la politica per Rosmini è morale per sua stessa natura, in quanto è al servizio della persona che, a sua volta, è diritto sussistente, base della morale. Punto di partenza del convegno di Stresa è stato un ripensamento del pensiero CONVEGNI E SEMINARI moderno. Sull’ipotesi di un “altro moderno” hanno discusso Vittorio Mathieu e Piero Prini. All’immagine classica e razionalista del moderno, che vuol fare della filosofia una scienza e che si dipana da Cartesio a Hegel, si contrappone una diversa dimensione del moderno: quella del finito. E proprio Rosmini ribadisce la possibilità e la veridicità di una filosofia del finito che giustifica l’evidenza non razionale o discorsiva, una diversa linea interpretativa del pensiero moderno, secondo la quale compito della filosofia cristiana è la riunificazione di razionalismo teologico ed esistenzialismo religioso. In questo quadro ermeneutico si sono mosse le annotazioni di Massimo Borghesi, Edoardo Mirri e Armando Rigobello. Il legame di Rosmini con la problematica aperta da Cartesio è stato analizzato da Ugo Perone, che ha mostrato come nel pensiero di Cartesio sia presente un’insanabile tensione e un’ambigua compresenza tra l’elemento laico e quello religioso. Rosmini, sottolinea Perone, nell’intraprendere la propria rigenerazione della filosofia, cerca invece di ricollegarsi alla tradizione cristiana. Xavier Tilliette ha poi esaminato le critiche di Rosmini all’idealismo tedesco, che hanno portato il filosofo a trascurare quegli schematismi religiosi e cristiani, soggiacenti a questa tradizione speculativa, che con tanto impegno egli stesso contribuiva a restaurare. Francesco Mercadante ha insistito sul fatto che le idee rosminiane di rigenerazione della tradizione religiosa cristiana divengono concreto programma di azione anche e soprattutto nei riguardi della questione politica, rimarcando il fatto che Rosmini pensava ad una confederazione italiana, fondata su una costituzione originale elaborata dalla società civile, l’unica che potesse dare un’unità al popolo italiano. Nella società ipotizzata da Rosmini, ha proseguito Evandro Botto, gli individui non rinunciano a nessuno dei loro diritti naturali, ma consentono che sia una sola mente, la società civile, a farsi carico di questo regolamento. Sergio Cotta ha invece sottolineato come la rosminiana società naturale non estrometta il divino dalla natura umana e si fondi ontologicamente sul singolo individuo sussistente, portatore dei diritti naturali e dei principi della loro applicazione. Clemente Riva, Umberto Muratore e Giambattista Zantedeschi, ricordando la continuità e la perennità della filosofia, hanno infine invitato alla partecipazione e alla corresponsabilità nella concreta realizzazione delle potenzialità contenute nella via moderna da Cartesio a Rosmini, e oltre Rosmini. C.B./S.N. Agostino interprete dell’Occidente Organizzato dal Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze dell’Università di Venezia e dalla Parrocchia di Santo Stefano in Venezia, nei giorni 24 maggio 1996, si è svolto, presso la Sagrestia Maggiore di quest’ultima, un convegno dal titolo: “SANT’AGOSTI NO E IL DESTINO DELL ’OCCIDENTE ”. Gli interventi si sono raccolti sotto diverse tematiche: “Fede e intelligenza”, “l’Anima”, “la Storia” e “S. Agostino e il destino dell’Occidente”. Mario Ruggenini (“Quaerere Deum. La ricerca di Dio e la comprensione della fede in Agostino”) ha mostrato come in Agostino il Dio desiderato e ricercato sia, da un lato, un Dio ancora platonico, simile anzi all’essere immutabile neoplatonico, dall’altro un Dio abissale, biblico, conoscibile solo sprofondandosi in un’interiorità non greca, quella della fede, che è dono. Ruggenini ha sottolineato l’intreccio paradossale per cui la fede è necessariamente legata all’annuncio mediato dalla parola umana e, inoltre, l’inseparabilità in Agostino di filosofia e teologia, tipica del pensiero greco classico. Sergio Rostagno (“Libertà e servitù dell’uomo”) ha sottolineato il senso circolare e dialettico del pensiero di Agostino, in cui la domanda non presume mai di muovere da un inizio assoluto e il cercare non trova, ma è un esser trovato da Dio. L’uomo si muove entro questa dialettica, in cui libertà e servitù sono inscindibili, così come la faccia temporale e quella intemporale della realtà. Agostino pone la perfezione nell’intentio, come incessante ricominciare secondo l’intenzione e insegna con ciò all’Europa a essere attiva e a non arrendersi al male feticizzandolo. Italo Sciuto (“Se Dio, perché il male?”) ha focalizzato le questioni di “teodicea” che attraversano in profondità il pensiero di Agostino, caratterizzato dal fatto di sottrarre peso alle domande che cercano una risposta causale, per soffermarsi sulla questione «qual è il senso del male?». La determinazione di questo senso, ha osservato Sciuto, è attingibile per Agostino solo nella vicenda, nel percorso, che ogni uomo compie attraverso la luce e le tenebre per giungere là dove esse non si mescolano più. Luigi Ruggiu (“Il tempo e l’anima in Agostino”) ha sottolineato come Agostino, nel porre la domanda: «che cos’è il tempo?», sposti l’accento dal “che cosa” al “dove” è il tempo e assegni alla questione anche una valenza pratica: il tempo è nell’anima in quanto interiorità ed è sia tensione verso il nulla, dispersione nel molteplice, sia, anche, tensione positiva verso il futuro, in cammino verso l’eternità di Dio. Con uno sguardo esplicitamente rivolto alle odierne Alessandro Botticelli, Sant’Agostino (1495, part.) 67 CONVEGNI E SEMINARI questioni di bioetica, Marta Cristiani (“L’anima e l’infanzia”) ha confrontato le posizioni di Agostino intorno all’anima dei bambini con quelle di Tertulliano che, con gli Stoici, negava a essa intelletto e sapere; di contro, per difendere il primato dell’anima razionale, che non può confondersi con le forze che animano il corpo, Agostino riprende il concetto platonico di reminiscenza per sostenere che l’anima del bambino ricorda e dunque è tutt’altro che sprovvista di sapere. Luigi Alici (“Agostino e il futuro dell’interiorità”) ha richiamato quegli aspetti dell’accezione agostiniana dell’interiorità che restano al riparo dai legittimi sospetti sollevati dalla filosofia contemporanea. Di fronte al sospetto di sostanzializzazione dell’inte- Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Palazzo Serra di Cassano Via Monte di Dio14, Napoli Esistenza, sogno e follia in Binswanger Con il titolo “LA CATTEDRALE SOMMERSA. ESISTENZA, SOGNO E FOLLIA NELL ’ANALISI ESISTENZIALE DI LUDWIG BINSWANGER”, Bianca Maria D’Ippolito ha tenuto, dal 13 al 17 maggio 1996, un seminario il cui scopo è stato di mostrare come, nell’indagine filosofica di Binswanger, fenomenologia e psichiatria si trovino unite nell’indagare le diverse modalità dell’esistenza umana e nel mostrarne la continuità. In Binswanger, la metafora della cattedrale sommersa, ha esordito Bianca Maria D’Ippolito, coglie l’essenza della sua visione tragica del mondo. La profonda analogia tra l’attività letteraria e l’esperienza clinica, già sottolineata da Freud, viene messa a fuoco da Binswanger nel rapporto tra poesia-filosofia-follia, in cui l’esperienza estetica, etica e schizofrenica si trovano intimamente unite non solo per penetrare il mondo altro del malato, ma anche per rivelare qualcosa che è al fondo dell’esperienza umana. In Tre forme di esperienza mancata (1956, stramberia, esaltazione fissata, manierismo) Binswanger mostra come nella follia si manifesti un elemento comune a tutta l’esistenza umana. Il rapporto altezza-profondità-ampiezza come ascesi e caduta nel loro significato poetico, estetico e morale giocano in riorità, Agostino ci propone un’interiorità dinamica e attiva, ben lontana dal paradigma statico-essenzialista platonico; al problema del dualismo interno-esterno, l’interiorizzazione agostiniana del conflitto tra bene e male risponde lasciando cadere tale distinzione; infine, per quanto riguarda il sospetto di solipsismo, l’interiorità agostiniana, secondo Alici, proprio nell’approfondirsi, fa accrescere il dialogo con la comunità. Bruno Forte (“Teologia della storia: Agostino e Gioacchino da Fiore”) ha proposto una possibile teologia della storia attraverso l’integrazione reciproca di Agostino e Gioacchino da Fiore. Se la “metafisica della conversione” di Agostino insiste soprattutto sull’istante, come momento di rottura, in cui la città terrena si converte in città di Dio, e rischia con ciò di lasciare nel disprezzo il tempo ordinario dell’esistenza, la teologia trinitaria di Gioacchino restituisce dignità al tempo storico, restando al riparo da esiti hegeliani o meramente ideologici. Nella tavola rotonda su “S. Agostino e il destino dell’Occidente”, Roberta De Monticelli ha proposto una lettura fenomenologica di Agostino che, sostituendo il concetto di “interiorità” con quello di “intenzionalità”, muove alcune obiezioni sia al modo di affrontare il problema “mente-corpo” in campo “analitico”, sia al modo heideggeriano di pensare la Sorge (Cura). Salvatore Natoli ha invece sottolineato come Agostino abbia tolto al paganesimo la possibilità di reperire nella vita terrena l’elemento di Binswanger un ruolo centrale per la determinazione della modalità esistenziale dell’individuo. Muovendo dall’analisi del termine “vissuto”, D’Ippolito ha tracciato la storia del concetto dalla sua origine goethiana (laddove nel romanzo di formazione esso sta a significare il cammino di trasformazione di un soggetto), alla sua formalizzazione filosofica nel pensiero di Dilthey e nella fenomenologia di Husserl. Dopo aver sottolineato che il vissuto, secondo Dilthey, è la vita nella sua immediatezza, che lascia una traccia nella coscienza dell’uomo e che porta sempre con sé un senso, D’Ippolito ha messo in evidenza che esso contiene un pensiero tacito, un ordine che non è imposto dall’alto, dalle regole dell’intelletto, ma che di esse prepara l’avvento. Mentre per Dilthey c’è coincidenza, nel vissuto, di soggetto e oggetto, di realtà e coscienza, nel vissuto husserliano interviene uno scarto, essendo privilegiato il momento del significare, l’intenzionalità della coscienza, il movimento della trascendenza. Tali elementi, ha rilevato D’Ippolito, dimostrano che la coscienza non consiste in un essere compatto, in un’immediata autotrasparenza, ma in un qualcosa di spezzato, che ha accolto in sé il niente e l’assenza per volgersi verso l’alterità. Nella riflessione binswangeriana i concetti di fenomeno e di essenza della fenomenologia di Husserl e di Scheler, nonché della lettura heideggeriana, servono secondo D’Ippolito come guide attraverso cui ci si può avvicinare al mondo del malato per riconoscere che l’alterità estraniata è pur sempre un vissuto dotato di senso. Il fenomeno, inteso come enigma, come qualcosa da interpretare, e l’essenza, ossia la possibilità di identificare una regolarità che appartiene a esperienze individuali, assumono in Binswanger un aspetto drammatico: la visione del senso è quella contenuta nella metafora della cattedrale sommersa. Solo la fenomenologia, come paziente ispezione dei fenomeni nella loro mobilità, nella molteplicità del loro apparire, permette di superare quel pregiudizio psicologicofilosofico che ritiene la percezione sensi- bile l’unica forma possibile di esperienza. A modificare profondamente la regolarità, la tipicità propria di un’esperienza strutturata, ha rilevato D’Ippolito, è la poesia e con essa la metafora, “patria” esistenziale nella teoria dell’immaginazione di Binswanger, che si avvicina alla concezione dell’immaginemetafora di Bachelard, per il quale è metafora in senso stretto quell’immagine cui appartiene una dimensione ontologica. Certe espressioni metaforiche indicano lo spezzarsi improvviso del rapporto di familiarità e di fiducia col mondo, rivelando, nell’attimo senza tempo di Kierkegaard, l’essere preda della vertigine quando si getta lo sguardo in quell’abisso che può ingoiare fino all’esperienza delirante e sull’orlo del quale vive il genio poetico, facendo fronte al terribile, elemento costitutivo dell’esperienza di fondo dell’Esserci. Per Binswanger l’improvviso è una caduta e questa, assieme all’ascesi, come ha sottolineato già Bachelard, è un’immagine in senso ontologico. Per quanto riguarda la tematica del sogno, elemento centrale nella speculazione di Binswanger, Bachelard ritiene che esso sia rivelatore della condizione morale del soggetto, in quanto l’essere percepisce come il desiderio di elevazione e di altezza lo configuri moralmente. Il tema dell’immaginario pervade così anche il sogno, che non è soltanto evento che avviene nell’inconscio, ma è forma in cui si manifesta il rapporto tra la figurazione e il sentimento: l’emergere di un’emozione che ha completamente dissolto in sé l’oggettivazione figurativa è il segnale di uno squilibrio, della sproporzione tra immagini ascensionali e caduta e testimonia così uno squilibrio esistenziale del soggetto. Il discorso sull’immaginazione e sul sogno, ha continuato D’Ippolito, coinvolge anche il rapporto memoria/immaginazione, che una lunga tradizione, a partire da Schopenhauer, interpreta sulla base di un conflitto in grado di spiegare follia e genio. A questa tradizione, rifiutata da Dilthey per il ruolo essenziale svolto dalla memoria come garante della stabilità della realtà, si richiama Binswanger, per il quale la differenza tra il folle, il poeta e il fenomenologo 68 CONVEGNI E SEMINARI governo della propria inquietudine: l’elemento tragico infatti si dissolve e si prospetta la vittoria in Cristo sul tempo e sulla morte. Carmelo Vigna ha richiamato analogie e prossimità tra la situazione veritativa propria del momento filosofico-speculativo e la situazione del credente che si consegna a Dio nella fede: in entrambi i casi “ciò che appare” viene riportato a ciò che è sempre vero. Carlo Natali (“Un male necessario. La menzogna nel pensiero greco dai Sofisti agli Stoici”) ha richiamato innanzitutto la diversa risposta dei Sofisti e di Platone, così come degli Stoici, alla domanda se sia possibile mentire. Integrando reciprocamente l’interpretazione di Detienne e Vernant e quella di Foucault, ha sottolineato come la metis, quale capacità di ingannare, venga apprezzata solo in un contesto polemico, ovvero nei confronti dei nemici. Maria Bettetini (“Il De Mendacio”) ha ricordato i due presupposti dell’intera questione della “menzogna”: la dottrina della conoscenza come illuminatio e il riferimento all’interiorità. Mentire significa innanzitutto conoscere la verità. Inoltre Agostino, ha continuato Bettetini, pur diffidando fermamente della potenzialità veritativa del linguaggio, il quale comunque falsifica e depotenzia la verità della mente, ascrive interamente all’intenzione dell’anima la responsabilità della menzogna: mente chi pensa una cosa e ne dice un’altra. Manuel Cecilio Diaz y Diaz (“Il Contra Mendacium) ha ricostruito l’occasione storica entro la quale Agostino scrisse il saggio contro la menzogna, la polemica della chiesa ortodossa spagnola nei confronti dei Priscillianisti, persuasi erroneamente che alcuni passaggi della Bibbia avvallassero il diritto a mentire. Giancarlo Alessio (“Menzogna e verità nella teoria letteraria del Medioevo”) ha fatto notare come a partire da alcune indicazioni del De Mendacio e del Contra Mendacium e attraverso la mediazione dei Libri di etimologie di Isidoro di Siviglia si siano diffusi nel Medioevo quegli atteggiamenti rigoristi con i quali veniva delegittimata la leggibilità dei testi pagani. La fictio letteraria e poetica, mendace per sua natura, può acquisire liceità solo se portatrice di un messaggio vero: tale era il caso del testo biblico. G.L.P. sta nel fatto che il delirio, per il primo, si trasforma in destino di tormento senza uscita, mentre per il poeta e per il filosofo l’Esserci, come soggetto di visione poetica o comunicazione esistenziale, si trasferisce sì sulla scena del terribile e dell’angoscia, ma conserva la libertà di volgersi da essa alle molteplici possibilità d’essere dell’esistenza. L’originarietà del terribile, del caos, che costituisce per Nietzsche la base della nascita della tragedia, è quello stesso elemento deviante analizzato da Binswanger alla luce del quale, piuttosto che indagare la causa della malattia mentale, risulta opportuno analizzare la genesi dell’ordine quotidiano. A.F. Differentemente, la filosofia antica non si è mai considerata, secondo Peperzak, una forma di sapere esaustivo e ha lasciato aperte altre vie di avvicinamento al reale. Una di queste vie è quella aperta dal misticismo, che accomuna l’intera linea evolutiva da Plotino sino a Bonaventura. Platone invece, pur avendo contemplato nei suoi dialoghi anche gli aspetti religiosi dell’esistenza umana, non fu, come ha sottolineato Peperzak, un pensatore mistico. Sembra quindi che il neoplatonismo costituisca una reinterpretazione di Platone abbastanza lontana dalla lettera e dallo spirito dei suoi scritti. Tuttavia, se al principio di tale percorso c’è proprio Platone, la ragione va ricercata da un lato nella completezza della sua filosofia, dall’altro nella consapevolezza che tale forma di riflessione non può mai essere esaustiva né definitiva. La dialettica platonica, che è continua tensione alla conoscenza, non ha pretese di totalità e si identifica in una ricerca sempre rinnovata. Lo stesso Plotino, sottolinea Peperzak, che si considera l’epigono più fedele di Platone, non permette alla filosofia di chiudere totalmente la propria prospettiva sul reale. L’esito ultimo della sua riflessione è il riferimento a quell’Uno che non è più attingibile né con il pensiero, né con il linguaggio, ma solo attraverso un’esperienza di estasi e di abbandono. L’Uno plotiniano, come il Bene nella Repubblica di Platone, non può identificarsi con nessuno dei valori o delle virtù che sono nel mondo ma, al di là di ogni realtà, sta semplicemente a indicare la direzione verso la semplicità e la felicità, non attingibili attraverso il rapporto con il mondo del molteplice. Anche negli interpreti cristiani si possono rintracciare, sia pure in un contesto e con una funzione differenti, quegli elementi platonici e neoplatonici che conferiscono al pensiero, secondo l’interpretazione di Peperzak, il carattere di un’autentica filosofia. Dionigi Areopagita, per esempio, partendo dalla discussa questione della legittimità degli epiteti di Dio, giunge a conclusioni molto vicine a quelle di Plotino. Nel corso del suo ragionamento egli sottolinea da un lato l’ine- vitabilità dell’attribuzione di un nome a Dio, dal momento che “di Dio” si parla nei testi sacri e in quelli dottrinali e “con Dio” si parla nella liturgia e nella preghiera, dall’altro la non correttezza di tale attribuzione, dal momento che Dio non può essere identificato con nessun contenuto sensibile o concettuale. La teologia negativa di Dionigi Areopagita consiste in un’operazione di negazione di ogni attributo positivo assegnato a Dio e nell’abbandono delle negazioni stesse, in quanto determinazioni predicate della divinità. Di fronte a questo inarrestabile processo Dionigi postula come ultima negazione possibile il silenzio, nel quale l’uomo può incontrare Dio. Peperzak ha proseguito mostrando come in Agostino la tensione verso l’invisibile, verso quel mistero divino che illumina la vita e resta tuttavia oscuro e impenetrabile, non sia caratterizzata soltanto da una pura curiosità teoretica, ma anzi faccia appello soprattutto alla forza della fede. Se per Agostino la fede non esclude la ragione, la filosofia dal canto suo non considera estranea a sé la sfera affettiva. Emozione e sentimento sono aspetti dell’uomo che motivano, accanto allo sforzo intellettuale, l’ascesa verso Dio. Anche in questo caso non siamo affatto lontani dalla filosofia platonica nella quale l’elemento irrazionale, l’eros, guida nel Simposio l’ascesa verso il sapere. Tale carattere non è estraneo neanche a Bonaventura, per il quale l’esplorazione metafisica dell’universo comincia con un’infiammazione erotica che è contemporaneamente desiderio intellettuale e movimento affettivo. In conclusione, Peperzak ha dimostrato come per tutti questi pensatori la filosofia non sia mai lontana dalla prassi, ma rimanga anzi fedele al mito platonico della caverna (Repubblica), che vede il filosofo impegnato in un’opera di educazione e divulgazione del sapere. Così Bonaventura vede nel Crocifisso la fine di ogni percorso di purificazione: il ritorno di Dio sulla terra indica all’uomo come il suo destino non si compia nella pura contemplazione, ma nell’attenzione alla realtà storica, nella necessità che la teoria non sia mai separata dalla prassi. M.Me. Platonismo e attualità Dal 6 al 9 maggio 1996, Adriaan Peperzak (Loyola University di Chicago) ha svolto un ciclo di seminari dal titolo “INTERPRETAZIONI DI PLATONE”, nel corso del quale sono state messe a fuoco le riletture in chiave religiosa della filosofia platonica fornite da Plotino, Dionigi Areopagita, Agostino e Bonaventura. La filosofia moderna, ha esordito Adriaan Peperzak, ha oggi completamente abbandonato il campo che le è proprio, quello cioè della riflessione sull’insieme delle problematiche riguardanti la vita dell’uomo, e si è del tutto omologata al modello delle scienze esatte, cancellando la propria specificità e decretando la propria fine. Essa infatti persegue, da un lato, obiettivi di rigore metodologico, di sistematicità ed esaustività nella definizione di ogni aspetto del reale, dall’altro si tiene programmaticamente lontana da ogni contaminazione affettiva e da ogni implicazione pratica. Se da un lato, dunque, ha continuato Peperzak, il pensiero moderno ha la pretesa di racchiudere la totalità del reale entro il cerchio di un logos neutro e asettico, dall’altro l’atteggiamento di pura contemplazione finisce col recidere ogni legame con la prassi. 69 CALENDARIO A cura del Goethe Institut di Torino, in collaborazione con i dipartimenti di Filosofia delle Università di Torino, Milano e Udine e con il contributo dell’Assessorato per le Risorse Culturali e la Comunicazione della Città di Torino e la Fondazione Luigi Pareyson, il 29, 30 e 31 maggio 1997, si è svolto a Torino un convegno internazionale su L’Occidente della Verità. Sono intervenuti, giovedì 29 maggio, sul tema Mito e verità: M. Olivetti, “Teologia e analogia subjecti”; B. Casper, “Fenomenologia ermeneutica della religione e il problema della molteplicità delle religioni”; sul tema Apparenza e verità: W. Welsch, “Musica e verità”; G. Carchia, “Filosofia dell’arte - arte della filosofia”. Venerdì 30 maggio, tema Metodo e verità: la scienza: D. von Engelhardt, “Progresso della conoscenza e responsabilità nei confronti della natura in età romantica”; P. Rossi, “Come cresce la scienza”; tema La verità interpretata: la filosofia: H. Michael Baumgartner, “L’Europa come tema e come sfida della filosofia”; G. Vattimo, “Il filosofo e la responsabilità”. Sabato 31 maggio, tavola rotonda su “Verità e identità dell’Europa”, con la partecipazione di C. Ciancio, S. Givone, D. Marconi, F. Moiso, C. Sini, M. Ruggenini, V. Verra. Informazioni: Goethe Institut di Torino, piazza San Carlo 206, 10121 Torino, tel 011 5628810, fax 539549; e-mail: [email protected]; http:// www.goethe.de/it/tur • Nel corso degli appuntamenti del Salone del Libro di Torino, sabato 24 maggio 1997, alla Sala Madrid del Lingotto, la «Rivista di estetica » organizza un incontro dal titolo Cristo è veramente risorto? Questioni di estetica, relatori: M. Ferraris, T. Griffero, P. Kobau, G. Marconi, A. Saccon, E. Salman. Nell’occasione verrà presentata la nuova serie - diretta da Gianni Vattimo, Maurizio Ferraris, Roberto Salizzoni - della rivista e l’ultimo numero (primo dell’annata 1997, su l’“Immaginazione”. Informazioni: Casa Editrice Rosenberg & Sellier, via Andrea Doria 14, 10123 Torino, tel. 011 8127820, fax 8121808 • Per la sessione “filosofia” del corso di perfezionamento Esperienza giuridica: scienza, storia, filosofia che si svolge presso l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli, il 30 maggio 1997 F. Gentile interviene su: “Due modi di intendere l’ordinamento giuridico. Scienza e filosofia di fronte all’esperienza giuridica”; 3 giugno: M. Corsale, “Agire razionale e senso comune”; 4 giugno: S. Castignone, “Sui nuovi diritti: per una ridefinizione del diritto soggettivo”; 7 giugno: G. Rebuffa, “Costituzionalismo e filosofie”; 9-10 giugno: Y. Zarka, “La question du fondement du droit dans la penseé juridique mo- CALENDARIO Il calendario aggiornato è on-line all’indirizzo http://www.infophil.it e-mail [email protected] a cura di Luisa Santonocito derne: Grotius, Pufendorf, Domat et Leibniz”; 10 giugno: D. Corradini, “Taxis, dike e chronos: per una filosofia del diritto come sapere filosofico”; 11 giugno: V. Vitiello, “Della possibilità di distinguere ‘dover essere’ da ‘essere’”; 28 giugno: F.P.Casavola, “Filosofia e scienza giuridica nell’esperienza dello storico”; 3 luglio: E. Castrucci, “I fondamenti di una antropologia politica nell’analisi delle passioni. Hobbes, Spinoza, Canetti, Foucault: alla ricerca di un modello di incontro”. Informazioni: Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, via Suor Orsola 10, 80135 Napoli, tel. 081 400070 - 412641 ces”; Y. Varoufakis, “Irrationality and the economist’s audacity”; M. Wallace, “The conversion experience”; J. Watson, “Brain imaging studies of blindsight and visual illusions”. Informazioni: Philip Gerrans or Ian Gold, Centre for the Mind, The Australian National University Canberra ACT , 0200 Australia. Tel: +616 249 4061 fax: +61-6 249 5184 [email protected], [email protected], http://www.anu.edu.au/mind. • • Informazioni: http://www.sbg. •ac.at/phs/docs/wittgenstein97.htm Quattro giornate in riva al Lago Maggiore in compagnia di Jacques Derrida e Carlo Sini, con la partecipazione di Studio Azzurro per il seminario laboratorio di arte e filosofia Pensare l’arte: verità, figura, visione, a cura del Centro di formazione individuale trivioquadrivio di Milano, con il patrocinio dell’Institut du Dessin, la Fondazione Adami e il Comune di Meina, dal 4 al 7 settembre 1997 al Teatro all’aperto di Villa Zuccoli a Dagnente di Arona (NO) e presso la Sala Consiliare del Palazzo Comunale di Meina (NO). I lavori prenderanno spunto dagli abstract che trenta partecipanti elaboreranno a partire dai materiali che gli organizzatori metteranno a loro disposizione (tra cui testi Derrida e Sini, documentazioni sulle opere di Studio Azzurro). La tassa di iscrizione al seminario è di lire un milione (trivioquadrivio offrirà la partecipazione gratuita a 15 iscritti). Informazioni e iscrizioni: trivioquadrivio, via Trincea delle Frasche 1 - 20136 Milano, anche via fax (02 58113836) o via email ([email protected]). Il termine per le domande di partecipazione è il 23 giugno 1997. • Perspectives on Animal Consciousness è il titolo della conferenza che si tiene Wageningen il 3 e 4 luglio 1997, a cura di: KNAW Onderzoekss Ethiek - Netherlands School for Research in Practical Philosophy, NWO Stichting voor Filosofie en Theologie, Anti-Vivisectie Sticthing AVS. Intervengono per la sessione Animal Consciousness & Philosophy: C. Allen, S. Lijmbach, W. van der Steen, J. Vorstenbosch; Animal Consciousness & Ethics: D. Macer, H. Verhoog, E. Rivas, P. Cohn, P. Carruthers, R. Heeger, M. Bracke; Animal Consciousness & Science: B. Bermond, R. van den Bos, J. Fentress. Organizzato dal Centre Culturel Francais di Milano, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia e Teoria della Scienza dell’Università Cà Foscari di Venezia, mercoledì 11 giugno 1997 si tiene a Venezia un incontro su: La langue et la politique des poètes (Heidegger et la rencontre de Hölderlin). Informazioni: Centre Culturel •Francais di Milano, corso Magenta 63, 20123 Milano, tel. 02 4859191, fax 48591952 Institute of Evolu•tionaryInformazioni: and Ecological Sciences, Sec- tion Theoretical Biology, University of leiden, P. O. Box 9516 2300 RA Leiden, the Netherlands, tel. 071 527 4921, fax 071 527 4900, e-mail: V A N D E N B O S @ r u l l f 2 . m e df a c. leidenuniv.nl Irrationality: questo il titolo della conferenza internazionale a cura del Centre for the Mind presso l’Australian National University, dal 19 al 21 luglio 1997, presso l’“Accademy of Science” di Canberra. Relazioni di: R. Jeffrey, “Preparing for the millennium: Are we right with Bayes?”; G. Andrews, “Cognitive therapy for irrational thinking in people with mental disorders”; J. Bigelow, “Who does my rationality benefit?”; R. Green, “Can non-human animals be rational?”; C. Groves, “The mosaic evolution of rationality”; D. Gardner, “Magical conceptions of control”; P. Mullen,”The mass killer: Projects and constructions of rationality”; B. O’Sullivan, “The neurobiological basis for irrationality: The results of PET studies in schizophrenia”; M. Smithson, “Rationality under ignorance”; N. Thomason, “A proposed cure for the irrationality that is so damaging the social scien- Dal 10 al 16 agosto 1997, a Kirchberg, in Austria, si svolge il 20th International Wittgenstein Symposium su “The Role of Pragmatics in Contemporary Philosophy” e suddiviso nelle sessioni Pragmatic Aspects of Applied Logic, The Pragmatic Dimension of Language, Pragmatic Problems in the Philosophy of Science, Pragmatic Approaches in Ethics and in Theory of Action, Pragmatic Philosophers and Systems of Thought, Wittgenstein. Partecipano: E. Adams, D. Birnbacher, J. Bouveresse, P. Gärdenfors, P. Gochet, H. Haider, W. Harper, D. Pears, J. Pollock, N. Rescher, B. Skyrms, P. Suppes. 70 A cura dell’Istituto Banfi, si terrà a Reggio Emilia, dal 29 al 31 ottobre 1997, presso la Sala Convegni dell’Hotel Astoria, un convegno di studi su Estetica e Fenomenologia. Mercoledì 29 ottobre 1997: G. Scaramuzza, “Estetica monacense”; N. Krenzlin, “I modi d’essere dell’opera d’arte letteraria secondo Roman Ingarden, Edmund Husserl e Waldemar Conrad”; M. Uzelac, “L’arte della fenomenologia di Husserl”; giovedì 30 ottobre: H.R. Sepp, “L’estetica di Oskar Becker”; L. Albertazzi, “L’estetica dei particolari”; R. Rollinger, “L’estetica di Aloys Fischer”; W. Henckmann, “L’estetica incompiuta di Max Scheler”; K. Schuhmann, “Le teorie estetiche di Johannes Daubert”; venerdì 31 ottobre: P. Bozzi, “Grammatica elementare delle qualità terziarie”; R. Poli, “Livelli”. L’iniziativa è stata riconosciuta quale corso di aggiornamento per personale docente (a.s. 1996/97) dal Provveditorato agli Studi di Reggio Emilia e verrà rilasciato attestato di partecipazione se richiesto. Informazioni: Istituto “Antonio Banfi”, via Pasteur 11, 42100 Reggio Emilia, Tel. e Fax. 0522/554360, email: [email protected] • Una giornata di studio su Mito e Scienza in Cassirer si è svolta, il 7 maggio 1997, presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze (Sala delle Conferenze). Introduce ai lavori Paolo Parrini, seguono relazioni di M. Ferrari:“Teoria del concetto e pensiero mitico”; A. Poma: CALENDARIO “Scienza e cultura nel problema delle forme simboliche”; D. Lena: “L’approccio trascendentale alla conoscenza scientifica e il problema del mito”; C. Dal Monte: “Mito della ragione e scienza del mito”; L. Landi: “Dal mito alla scienza: invarianza e mutamenti della coscienza culturale”. Informazioni: Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Filosofia, via Bolognese 52, 50139 Firenze, tel. 055 472498, fax 055 475640 • Su L’escatologia nel pensiero filosofico del ’900 si è tenuto un ciclo di seminari organizzati dal Centro Studi filosofico-religiosi “Luigi Pareyson” di Torino, da aprile a maggio 1997. Lunedì 10 e martedì 11 marzo (dipartimento di ermeneutica, via Po 18), S. Moses (Hebrew University of Jerusalem) è intervenuto su: “L’Europa e la fine dei tempi: il tema dei quattro regni in Hegel e nella tradizione ebraica”, “Storia e redenzione in Franz Rosenzweig”; venerdì 18 e sabato 19 aprile, O. Clément (Institut Saint Serge): “L’escatologia nel pensiero russo del ’900”; giovedì 15 e venerdì 16 maggio (Chiesa di S. Pelagia, via S. Massimo 21), J. Moltmann (Eberhard Karls-Universitat, Tubingen): “L’escatologia nella teologia del ’900”. Informazioni: Centro Sudi filosofico-religiosi “Luigi Pareyson”, via Po 18, Torino, tel. 011 9425289 • zione Faraggiana, dal Provveditorato agli studi di Novara, dalla sezione novarese della Società Filosofica Italiana e dalla Provincia di Novara, coordinato da Maurizio Ferraris. Martedì 8 aprile 1997, ore 10 presso il Teatro Faraggiana, G. Giorello: “Estetica e scienza”; ore 21 presso Albergo Italia, P. Bozzi e G. Giorello: “Estetica e percezione”; martedì 15 aprile, ore 21 (Albergo Italia), F. Moiso: “Estetica e natura”; martedì 22 aprile, ore 21 presso Auditorium BPN, G. Vattimo: “Estetica e linguaggio”. Informazioni: Fondazione Faraggiana, sito internet http://www. starnova.it/intersezioni Università degli Studi di Torino, via Po 18, 10123 Torino, tel. 011 9425289 Su Kant and Neo-kantianism si è tenuta una conferenza internazionale organizzata dalla Kant Society e dalla British Society for the History of Philosophy presso il Dipartimento di Filosofia della Keele University, dal 3 al 5 aprile 1997. Relatori: P. Guyer, “Heidegger’s Interpretation of Kant”; O. O’Neill, “Kantian Constructivisms”; G. Stock, “Activity and Passivity in our knowledge of Space and Time”; I. Lyne, “Rickert and Heidegger: on the Value of Everyday Objects”; C. Wenzel, “The Judgement of Taste and its Universal Validity”; T. Thornton, “Wittgenstein, Kant and the Connection between Aesthetic and Empirical Judgements”; C. Adair-Toteff, “Imagination and Synthesis in the A and B Deductions”; H. Glock, “Frege, Kant and Neo-Kantianism”; A. Tucker, “Uniqueness and the Distinction Between the Sciences”; J. O’Shea “Reflections on Sense and Science in Kant and Sellars”; R. Taylor, “Kant Defended against a Criticism by Paul Guyer”. Informazioni: Philip StrattonLake, Department of Philosophy, Keele University, Staffordshire, ST5 5BG, e-mail: pia07@ cc.keele.ac.uk. • A cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (sede di Venezia) e dell’Istituto Gramsci Veneto, sabato 19 aprile 1997, presso la Sala Rossini del Caffè Pedrocchi di Padova, si è svolto un convegno su La Forma e il disincanto. Sono intervenuti per la sessione “L’architettura nella città contemporanea”: R. Masiero, V. Pastor, M. Petranzan, A. Polesello, F. Purini, D. Ruzzon; su “Crisi dell’appartenenza: che cosa può fare l’architetto?”, S. Givone, V. Gregotti, G. Marramao, R. Masiero, C. Sini, M. Donà. Informazioni: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Cannaregio 2593, 30121 Venezia, tel. 041 717940, fax 720510 • • A Melbourne, dal 3 al 6 aprile 1997, si è svolta la Fifth National ConfeIl Centro di Studi di Saulchoir di Parigi, in collaborazione con il Dipartimento di Ricerca dell’Istituto Cattolico di Parigi, ha organizzato, venerdì 25 aprile (Salle des Actes, Institut Catholique, 21 rue d’Assas) una giornata di studio su Dominique Dubarle, Une Liberté Pensante. Hanno partecipato: J. Courcier, “Science, philosophie et foi dans les années 50”; F. de Gandt, “D. Dubarle et l’histoire des sciences”; J. Ladriere, “Hommage”; O. Boulnois, “D. Dubarle, lecteur de saint Thomas”; M. Renaud, “D. Dubarle, interprète de Hegel”; A.M. Dubarle e J. Coucier, “Histoire et invention d’une fidélité”; E. Bauer e H. Marcovich, “Engagement et combat pour la paix”; J. Greisch, “Le projet d’une ‘philosophie pour théologiens’”. Informazioni: Frère Jacques Arnould, centre d’Etudes du Saulchoir, 43 bis rue de la Glacière, 75013 Parigi • Su invito del Centro Studi Filosofico-religiosi «Luigi Pareyson», martedì 8 aprile 1997, alle 17.30, presso la Sala del Dipartimento di Discipline Filosofich e dell’Università di Torino, in via Po 18, Reinhard Lauth (Ludwig Maximilians Universitat di Monaco di Baviera) ha tenuto una conferenza su L’idea di Descartes della filosofia come sistema aperto. • Informazioni: Centro Studi Filosofico-Religiosi “Luigi Pareyson”, rence della Australian Bioethics Association. Sessione su “The new Per il ciclo “Lezioni Italiane” promosso dalla Fondazione Sigma Tau e della casa editrice Laterza, Daniel Dennet (Center for Cognitive Studies, Tufts University, Boston) ha tenuto a Milano, presso l’Aula Magna dell’Istituto Scientifico dell’ Ospedale San Raffaele, dal 28 al 30 aprile 1997, una conferenza su: Is your mind in your brain?. Sono intervenuti: M. Di Francesco, G. Giorello, D. Marconi, M. Piattelli Palmarini. Informazioni: Fondazione Sigma Tau, viale Shakespeare 1, 00100 Roma, tel. 06 5926600, e-mail fondst @uni.net genetic”: R. Zaner (Vanderbilt University); A. Bittles (Human Biology), E. Cowan (University, Perth), R. Galbally (Victorian Health Promotion Foundation), C. Cordner (Philosophy, Melbourne University); “The body”: P. Rothfield (Philosophy, La Trobe University), R. Diprose (Philosophy, New South Wales); “Cross-cultural issues”: G. Gillett (neurosurgeon/ ethicist, New Zealand), Tony Coady (Philosophy, Melbourne); “Ethical issues in nursing”: K. Chater (RN), Carol Rushden (RN), Chris Breakwell (RN), H. Kuhse (Bioethics, Monash University), S. van Hooft (Social Theory, Deakin); “Narratives of illness”: A. Frank (Calgary, Canada), J. Wiltshire (English, La Trobe), J. Parker (Nursing, Melbourne University); “Symposium on ‘Troubled bodies’”: P. Komesaroff, D. Russell (Philosophy, Sydney), P. Rothfield, R. Diprose, G. Gillett, A. Frank; “The boundaries of bioethics”: R. Sybylla (Philosophy, ANU), R. Zaner. Informazioni: Fifth National Australian Bioethics Association Conference, Baker Medical Research Institute, PO Box 348, Prahran, Victoria 3181- Australia • Matematica e Cultura è stato il titolo delle due giornate di studio sul ruolo della matematica nella cultura contemporanea - arte, musica, letteratura, cinema - a cura della sede veneziana dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che si sono svolte a Venezia, il 21 e il 22 marzo 1997 (Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista, S. Polo 2454 e l’Auditorium S. Margherita, Campo S. Margherita, Dorsoduro 3688). Venerdì 21 marzo: P. Odifreddi, “Matematica e filosofia”; G.O. Longo, “Tautologia e informazione in matematica”; P. Zellini, “Matematica e etica”; G. Sambin, “Matematica, logica e verità”; sabato 22 marzo: “Matematica, musica e arte” (T. Tonielli, C. Sbordone, L. • Su Estetica e... si è tenuto un ciclo di conferenze promosso dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dall’Associazione Intersezioni, dalla Fonda- 71 Saffaro Artista, B. Scimemi, G. Lolli); “Matematica Letteratura e Immagini” (R. Queneau, P. Fabbri, J. Roubaud, M. Emmer); “Matematica e politica” (M. Cacciari, G. Castellani, A. Guerraggio, L. Modica, M. Primicerio, E. Vesentini). Informazioni: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, sede di Venezia, Cannaregio 2593, Calle Longo, tel. 041 717940, fax 720510 • Su invito del Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della Scienza e del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze, Robert Nozick ha tenuto a Firenze, il 18 e 19 marzo 1997, due conferenze su The objectivity of science e The world according to quantum mechanics. Informazioni: Centro Fiorentino •di Storia e Filosofia della Scienza, Villa Arrivabene, Piazza Alberti 1/a, 50136 Firenze, tel. 055 677109, fax 667573 History, Philosophy & Science è stato il tema del Fourth Annual Florence-Stanford Meeting, a Firenze, il 14 marzo 1997 a Palazzo Strozzi, presso la Sala Conferenze dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento e il 15 e 16 marzo presso la Stanford University in Florence in piazza S. Maria Sopr’Arno 1. Venerdì 14: S. Hampshire, “The Necessity of Pluralism”; P. Rossi, “Giambattista Vico: Archaism and Modernity”; E. Giusti, “Gerard of Brussels and the Origins of Medieval Kinematics”; T. Lenoir, “The Manhattan Project for Biomedicine”; A. La Vergata, “Biological Imagery and Criticism of Technology”; S. Poggi, “Psychologism Reconsidered: A Historical Point of View”; D. Follesdal, “Ultimate Justification in Science and in Ethics”; sabato 15: Y. Guttmann, “The Pragmatist Foundations of Statistical Mechanics”; N. Cartwright, “Causal Structures and Causal Laws”; D. Costantini, “Jarrett’s Locality from a Statistical Point of View”; D. Mundici, “Defining a Function by Overlapping Cases”; I. Pitowsky, “Infinite and Finite Gleason’s Theorems and the Combinatorial Uncertainty Principle”; P. Hajek, “Advocating Fuzzy Logic”; R. Giuntini, “On the Axiomatizability of Quantum MV-Algebras”; domenica 16: J. Buttefield, “Philosophical Aspects of Consistent Histories”; G. Ghirardi, “Bohmian Mechanics Revisited”; E. Beltrametti, “Classical Extensions of Operational Statistical Theories”. Informazioni: Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della Scienza, Villa Arrivabene, piazza Alberti 1/A, tel. 055 677109, fax 667573 - Stanford University in Florence, tel/fax 055 2480378 • Per il ciclo di conferenze Idealismo e romanticismo tedesco, a cura dell’Associazione Insegnanti di Filo- CALENDARIO sofia, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che si è tenuto al liceo scientifico di Francavilla al mare (Chieti), lunedì 3 marzo 1997, V. Verra ha parlato di: “Introduzione all’Idealismo tedesco”; lunedì 10 marzo, S. Givone: “La figura del compositore in Tieck, Hoffman, Th. Mann”; giovedì 13 marzo, C. Cesa: “Diritto e morale da Kant a Hegel”; sabato 22 marzo, relazione di P. Collini: “Dalla teofania notturna al notturno. Le origini del Nachtstück”; lunedì 24 marzo, presso il liceo scientifico “F. Masci” di Chieti, R. Bodei: “Hegel e la teoria dell’arte”. Associazione Insegnanti di Filosofia, via Gorizia 2, Francavilla al mare (Chieti), tel. 085 817418 • In occasione del bicentenario della nascita di Antonio Rosmini si sono tenuti nei mesi di marzo e aprile 1997 due convegni internazionali. A Rovereto, dal 17 al 21 marzo 1997: Il pensiero di Antonio Rosmini a due secoli dalla nascita (VI Con- vegno internazionale di studi rosminiani), interventi di: G. Riconda, R. Rossi, L. Malusa, P. Prini, A. M. Tripodi, G. Cantillo, G. Pontara, E. Botto, F. Traniello, M. Baldini, M. Guglielminetti, G. Beschin, L. Prenna, A. Valle, K. Heinz Menke, U. Muratore, e a Milano il 17 e il 18 aprile 1997, a cura dell’Università degli Studi di Milano, della Università Cattolica del Sacro Cuore, del Centro rosminiano di Stresa e del Centro Studi manzoniani, su: Rosmini e la cultura lombarda, a cui hanno partecipato: F. Della Peruta, N. Raponi, G. Vigorelli, F. Traniello, M. Nicoletti, C. Boracchi, F. De Giorgi, E. Bressan, R. Lollo, S. Rebora, C. Sideri. Informazioni: Civiche Raccolte Storiche, via Borgonuovo 23, Milano, tel 02 8693549, fax 02 72001483; Istituto Trentino di Cultura, via S. Croce 5, 38100 Trento, tel. 0461 210111 • A cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e del Dipartimento di Filosofia “A. Aliotta” dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, si è tenuto a Napoli, dal 17 al 19 aprile 1997, il convegno internazionale Heidegger oggi . Giovedì 17 presso l’aula magna “P. Piovani” della Facoltà di Lettere e Filosofia (via Porta di Massa 1), relazioni di: M. Riede, “Vorgestalten der Seinsgeschichte”; E. Mazzarella, “Heidegger oggi”; T. Shrehan , “I cugini dell’America: Problems of Heidegger- Reception in the United States”; H. Boeder, “Das Bewegende des heideggerschen Gedankens”; J. Sallis, “The Sense of Time”; J. Nancy, “S’abandonner, s’arriver”; venerdì 18, presso l’Istituto Italiano degli Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano (via Monte di Dio 14): G. Vattimo, “Heidegger e la post-mo- dernità”; T. Kisiel, “Heideggers Einsetzung der Rhetorik/Politik in seine urpraktische ontologie (Die Franzosen besetzen das Ruhrgebiet 1923-25); S. Poggi, “La fedeltà al proprio inizio: l’attualità del primo Heidegger”; H. Padrutt, “Zuvorkommende Zurückhaltung, Ortsverlegung und nichtinformatisches Sprachverständnis. Drei Stichwörter zur Bedeutung von Heideggers Denken heute”; C. Strube, “Die aufgehobeine Seinsfrage”; P. Manganaro, “Heidegger, Derrida e la chora”; U. Regina, “Noi eredi dei Cristiani e dei Greci. Destruktion e Factizität nel cammino di Heidegger”; sabato 19 (Palazzo Serra di Cassano): A. Masullo, “Heidegger e il senso”; F. Duque, “El contratiempo. Desplazamiento ermenéutico de la religiòn en la fenomenologia heideggeriana”. F. Donadio, “In margine al nesso tra dogma, ermeneutica e vita”. Informazioni: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano, via Monte di Dio 14, Napoli, tel. 081 7642652 5890320, fax 081 7642654 Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Sede di Napoli, Palazzo Serra di Cassano, via Monte di Dio 14 gora - Platone: la Repubblica, le Leggi - La guerra giusta - Guerra, conflitto, politica nella tradizione marxista. 2-6 giugno 1997 Giuseppe Semerari (Università di Bari) 30 giugno - 4 luglio 1997 Remo Bodei (Università di Pisa) Ripensare la fenomenologia di Edmund Huisserl Libertà e sottomissione «Dovevo filosofare per poter vivere in questo mondo» - «Noi vogliamo tornare alle “cose stesse”» «Esistono tanti io puri quanti sono gli io reali» - «Comprendere l’altro come uomo... L’altro è il primo uomo, non io» - «La situazione attuale delle scienze europee esige prese di coscienza radicali». 9-13 giugno 1997 Nadia Urbinati (New York University) • L’individualismo democratico Libertà dei moderni e tramonto dell’ordine comunitario - I Trascendentalisti americani, ovvero le radici protestanti della democrazia moderna - I caratteri dell’individualismo democra tico nell’analisi di due contemporanei (Tocqueville e Emerson) - Un regime più che politico e l’obsolescenza della politica - L’individuo cittadino e le forme della politica democratica. Atomisme et continuum au XVII siècle è il stato titolo del convegno internazionale organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici in collaborazione con il Centre Alexandre Koyré (EHESSCNRS), il Centre International de Synthèse di Parigi, il CERPHI de l’Ecole Normale Supérieure (Fontenay/Saint Cloud), il Groupe d’Histoire des Sciences (CNRS) e il Seminario didattico della Facoltà di Scienze mm.ff.nn dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, a Napoli dal 28 al 30 aprile 1997. Per la sessione “Traditions et Interprétations” intervengono: E. Festa, A. Romano, R. Gatto, J. Seidengart, P. Souffrin, M. Galuzzi; “Auteurs et doctrines”: G. Nonnoi, V. Jullien, A. Perfetti, L. Maierù, M. Blay, M. Fichant, B. Escoubès; “Debats et controverses”: S. Roux, C. R. Palmerino, E. Giusti, O. Trabucco, A. Borrelli, A. Ottaviani, M. Bitbol. Informazioni: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano, via Monte di Dio 14, Napoli, tel. 081 7642652 5890320, fax 081 7642654 16-19 giugno 1997 Enrico Berti (Università di Padova) Aristotele nella filosofia analitica contemporanea J.L. Austin e l’analisi semantica G. Ryle e l’argomentazione dialettica - P.F. Strawson e il problema dell’identificazione - H. Putnam e il Mind-Body Problem. 16-20 giugno 1997 Saverio Ricci (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici) Il pensiero civile di Paolo Mattia Doria La formazione e gli studi - Della vita civile - Doria, Vico e la tradizione platonica - Doria e i «Moderni» - Gli scritti economici e politici. • 23-26 giugno 1997 Giuseppe Cantillo (Università di Napoli «Federico Il») Individuo e comunità nella filosofia del diritto di Hegel (Die Vorlesung 1819/20) Su invito del Centro Studi Filosofico-religiosi “Luigi Pareyson” dell’Università degli Studi di Torino, lunedì 5 maggio 1997 alle 17, a Torino, presso la Sala Conferenze della Biblioteca Nazionale (piazza Carlo Alberto), Paul Ricoeur ha tenuto una conferenza su Ermeneutica e saggezza pratica. Informazioni: Centro Studi Filosofico-religiosi “Luigi Pareyson”, Università degli Studi di Torino, via Po 18, 10123 Torino, tel. 011 9425289 Lo sviluppo del pensiero etico-politico di Hegel: la Realphiloso phie, I’Enciclopedia (1817) - La Vorlesung del 1819/20 - Filosofia del diritto e politica - La concezione del diritto. La critica della moralità - L’eticità. 23-27 giugno 1997 Umberto Curi (Università di Venezia) • Il rapporto politica-guerra nel pensiero occidentale Polemos pater - Platone: il Prota- 72 Teoria e storia della libertà: definizioni e manipolazioni - Auto nomia e dipendenza personale - Sottomissione: schiavitù antica e servidumbre natural tra Aristotele e Sepulveda - Padronanza di sé e dominio della legge - Politica e morale alle origini del liberalismo moderno - Fragile libertà: il dibattito contemporaneo sui rischi e i limiti della libertà. 7-11 luglio 1997 Domenico Losurdo (Università di Urbino) Etica, filosofia della storia, ingegneria sociale Storia della morale e storia della filosofia della storia (I) - Storia della morale e storia della filosofia della storia (II) - Filosofia della storia, morale e violenza (I) - Filosofia della storia, morale e violenza (II) - Sulla categoria di « ingegneria sociale ». 14-19 luglio 1997 Imre Toth (Università di Regensburg) Parola e oggetto, verità e essere: la filosofia del linguaggio nel Cratilo di Platone nel suo contesto matematico L’aritmetica, come linguaggio autonomo nel Teeteto - L’ontologia inversa del linguaggio matematico: la priorità ontica della parola e della verità e la critica di Platone (Repubblica, Lettera settima). Il Demiurgo come soggetto trascendente del linguaggio - Il linguaggio di Cratilo e il suo modello matematico: termini e ipotesi primitivi, struttura deduttiva, coerenza logica, adeaquatio rei ad intellectum, corrispondenza perfetta tra parola ed oggetto, duplicazione del mondo - Il Demiurgo cattivo e la sua geometria pervertita. Il passo geometrico del Cratilo, la geometria non-geometrica degli Analitici posteriori e le ricerche assiomatiche intorno all’Accademia di Platone. DIDATTICA DIDATTICA a cura di Cristina Boracchi e Riccardo Lazzari Nuovi manuali di filosofia Una nuova serie di manuali filosofici s’impone all’attenzione e al giudizio degli insegnanti: si tratta di FILOSOFIA, TESTI-PERCORSI (con la collaborazione di A. Barli, N. Moschini, E. Panaccione, M. Pancaldi, A. Porcarelli, M. Villani, Poseidonia, Bologna 1997), a cura di Mario Trombino; DENTRO LA FILOSOFIA NODI, PERCORSI, PROFILI (con la collaborazione di A. Bussotti, F. Moriani, M. Messeri, Zanichelli, Bologna 1997), a cura di Fabio Palchetti; STORIA DELLA FILOSOFIA (Editrice La Scuola, Brescia 1997), di Giovanni Reale e Dario Antiseri; CORSO DI FILOSOFIA (Bruno Mondadori, Milano, vol. 1, 1996, voll. 2 e 3, 1997), di Fabio Cioffi, Franco Gallo, Giorgio Luppi, Amedeo Vigorelli ed Emilio Zanette. Manuale di impostazione non tradizionale, Filosofia, testi-percorsi presenta alcuni aspetti innovativi degni di nota, a partire dalla scansione tematica dei volumi - La filosofia greca arcaica e classica (vol. 1.1); Dalle filosofie ellenistiche alla Scolastica (vol. 1.2); Dall’Umanesimo all’Illuminismo (vol. 2.1); Da Kant a Hegel (vol. 2.2); La ricerca contemporanea (vol. 3) - e dalle sezioni che li compongono, pensate in assoluta autonomia reciproca. Il volume dedicato alla contemporaneità richiama anche le nuove tendenze della ricerca filosofica, di cui vengono prospettate tematiche e linee emergenti con ricchezza di apporti culturali. La sezione riservata ai “Testi” propone itinerari di ricerca sui filosofi attraverso le opere, offrendo, oltre alla consueta selezione antologica - qui particolarmente ricca e curata - un approccio diretto alle opere che vengono presentate o in versione integrale, o con una selezione di capitoli in versione integrale o parziale, o con ampie riduzioni, raccordando però le parti mancanti, al fine di mantenere l’impianto generale ben riconoscibile e ricostruibile. Tra le opere integrali, appare subito interessante la presenza di testi sui quali verte ordinariamente l’attenzione dei docenti nella scelta dei classici. Fra gli altri, spiccano l’Apologia di Socrate e il Fedone di Platone, la Lettera a Meneceo di Epicuro e il Sulla Bellezza di Plotino, il Discorso sul metodo di Cartesio e la Monadologia di Leibniz, La pace perpetua di Kant, Il più antico programma dell’idealismo tedesco di Hegel e, infine, la Tesi su Feuerbach e il Manifesto del Partito comunista di Marx accanto a L’esistenzialismo è un umanismo di Sartre e a La scienza: congetture e confutazioni di Popper. Ogni testo è introdotto da un’analisi letteraria e teoretica dei contenuti e dei contesti culturali originari ed è inoltre guidato da un apparato di note esplicative e di rimandi all’eserciziario che compone l’appendice del manuale. Quest’ultima, peraltro, propone non solo attività di sintesi e di confronto su temi e sistemi, ma anche stimola alla creatività con proposte di composizione, di analisi e di riflessione su tematiche di più ampio approfondimento, che portano a impostare autonomi percorsi culturali di lettura. La sezione “Percorsi” segue lo sviluppo della storia del pensiero occidentale dalle origini a oggi attraverso un impianto più tradizionalmente manualistico. Originali sono le schede, che intervallano l’esposizione ragionata dei sistemi, con frammenti e spunti di analisi tratti dalle opere dei filosofi stessi. Il manuale non prevede suppoti informatici, ma offre agli insegnanti la connessione con un sito Internet (http://www.cglbo.com/ servizi/entiasso/proteo/bib_fil.htm), a cura di Mario Trombino e di Mario De Pasquale, membri del Gruppo di Ricerca in Filosofia che informalmente opera in varie città d’Italia sulla didattica della filosofia intesa come disciplina filosofica essa stessa. Il sito è attualmente aggiornato a ottobre 1996 e comprendente segnalazioni di testi di didattica della filosofia in formato FTP, a disposizione di chi ne fa richiesta. Dentro la filosofia - nodi, percorsi, profili prevede una scansione classica in tre volumi (Filosofia antica e medioevale, Filosofia moderna, Filosofia contemporanea), con un’articolazione dei contenuti alla luce dei nuovi programmi di filosofia, e anche di storia, che esigono l’anticipazione dell’Ottocento (sino a Hegel) nel penultimo anno delle superiori e il trattamento esteso del Novecento nell’ultimo anno. Ogni volume è poi diviso in tre parti, tra le 73 quali quella dei “Nodi” è la più consistente. Imperniati su “questioni chiave” della storia della filosofia, i “Nodi” comprendono un’introduzione - che propone in sintesi le diverse posizioni teoretiche assunte attorno alla questione dibattuta e le linee interpretative - e una selezione di testi, all’analisi dei quali il manuale assegna una funzione didattica determinante. L’impostazione è dunque quella di una lettura problematica della storia della filosofia, la cronologia della quale viene rispettata all’interno degli sviluppi tematici proposti. Conseguentemente, la sezione dedicata ai “Profili” viene posta in secondo piano in quanto degli autori viene privilegiata la collocazione entro un quadro teoretico di riferimento e di confronto infrasistemico. Questa scelta, che appare molto coraggiosa e che intende assimilare lo stile della docenza della filosofia in Italia a quella già da tempo collaudata in Francia e Germania, non va comunque a scapito di una conoscenza globale dei sistemi degli autori, poiché nei “Profili” si possono ritrovare quegli elementi biografici, bibliografici e contenutistici che caratterizzano i singoli filosofi di cui vi sia stato anche un solo riferimento all’interno della vasta trattazione dei “Nodi”. Una tale impostazione facilita - oltre a esigere - che la didattica si imposti in termini di problem solving e di effettiva interattività dialogica con gli studenti, “costretti” a “lavorare” sul testo, ad “agirlo”, definendo un proprio schema mentale di riferimento e di elaborazione concettuale. Su questa linea, il manuale stimola la ricerca, la lettura e l’interesse per itinerari autonomi di approfondimento, che peraltro sono suggeriti con rimandi a questioni di grande attualità. Infatti, la parte intermedia di ogni volume, dedicata ai “Percorsi”, propone interconnessioni fra i “Nodi”, sviluppando sia i temi classici della filosofia (come ad esempio “filosofia e metafisica”), ma anche portando, soprattutto nel terzo volume, alla ricostruzione di quegli ambiti disciplinari come le scienze umane e la logica che, ormai autonome dalla filosofia, con essa tuttora dialogano. Quaderni di lavoro completano il manuale pur essendo opzionali: ognuno di essi comprende un dizionario filosofico e una sezio- DIDATTICA ne di esercizi oltre alla bibliografia delle fonti e a suggerimenti ulteriori e alternativi a quelli indicati nei volumi. C.B. Il nuovo manuale in tre volumi di Giovanni Reale e Dario Antiseri, Storia della filosofia, non vuole essere una semplice ripresa e un riaggiornamento della precedente opera dei medesimi autori, IL PENSIERO OCCIDENTALE DALLE ORIGINI AD (Brescia 1983), ma intende costituire una storia della filosofia ripensata ex novo, almeno per quello che riguarda i criteri didattici. Se infatti l’impostazione della materia segue le linee interpretative dell’opera precedente, questo nuovo manuale se ne distingue per una diversa articolazione didattica ed espositiva. Anzitutto compare, a fianco del percorso storico, una scelta di testi. Ogni capitolo o paragrafo, poi, presenta all’inizio una sintesi, che intende fornire un primo approccio ai temi e al pensiero d’un autore ed è concepita anche come «strumento didattico e ausilio della memorizzazione». Segue la parte propriamente analitica, quella che più assomiglia ai percorsi dell’opera precedente. Sono presenti anche schede di tipo lessicale, che nel loro insieme formano un vero e proprio dizionario dei concetti filosofici fondamentali. Al termine dei diversi capitoli sono inserite mappe concettuali, che avvalendosi di schemi figurativi intendono favorire un ripasso visivo della materia trattata. In definitiva, questo manuale intende conciliare le esigenze di un’esposizione rigorosa della storia della filosofia con criteri pedagogico-didattici, calibrati secondo le tipiche esigenze di un apprendimento piano e puntuale nell’informazione. OGGI Con l’uscita del secondo e del terzo volume giunge a completamento il Corso di filosofia. Si conferma qui quanto avevamo già messo in luce in occasione dell’uscita del primo volume («Informazione filosofica» n. 29): il Corso di filosofia, che si affianca al Testo filosofico dei medesimi autori (completato nel 1993), ne ricalca l’articolazione di fondo e i criteri che hanno portato ad una larga diffusione di quest’opera nelle scuole, sfrondandola da alcuni approfondimenti e arricchimenti tematici e offrendone una versione più sintetica. La novità saliente è costituita soprattutto da una più netta distinzione fra i capitoli di “Profilo storico” e i capitoli dedicati ai “Testi”, introdotti anch’essi da un profilo espositivo e accompagnati da schede di lavoro e di tracciati per l’analisi. R.L. Strumenti Nel vasto panorama di pubblicazioni di sussidi didattici, una parte consistente è assegnata alla riproposta di classici o di scelte antologiche guidate da una lettura analitica. A questo proposito si segnalano alcuni testi che rivestono particolare interesse o per il tipo di mediazione didattica privilegiata oppure per l’originalità della scelta metodologica e contenutistica. Si tratta di GALILEO E LA PROSA SCIENTIFICA (a cura di G. Bellini e G. Mazzoni, Laterza, Roma-Bari 1997); MACHIAVELLI E L’IDEA D’ITALIA (Laterza, Roma-Bari 1997); DIETRICH BONHÖFFER. CRISTIANESIMO E STORIA DELL ’OCCIDENTE (a cura di U. Perone, SEI, Torino 1996). Nati all’interno della collana «Moduli di letteratura italiana» (curata per gli apparati didattici da G. Gori e C. Zanotti), i “quaderni” proposti dalla casa editrice Laterza rappresentano un agile strumento di approccio agli autori attraverso i testi e in un’ottica di effettiva interdisciplinarietà con l’ambito della letteratura. Per quanto riguarda Galileo e la prosa scientifica, il volume presenta il ritratto dell’autore e l’incontro con una significativa scelta antologica della sua opera, che viene collocata nel contesto del genere letterario al quale si riferisce. La selezione dei testi ha tenuto conto delle linee portanti dello sviluppo tematico così da agevolare il confronto intertestuale anche fra autori diversi - anche stranieri - e dando così spessore storico-culturale al percorso di lettura. L’introduzione all’opera propone una breve sintesi dello sviluppo del sapere scientifico dalla classicità all’era moderna, affrontando la questione dei caratteri, della diffusione e del linguaggio della scienza. La cronologia della vita e delle opere di Galileo introducono poi alla lettura dei passi, fra i quali spiccano le Lettere a Castelli, Dini e Madama Cristina di Lorena, il testo dell’abiura e un ampio itinerario all’interno del Dialogo sui massimi sistemi. Ogni brano è corredato da una schedaeserciziario di analisi che indirizza lo studente anche ad un approccio personale alle fonti. Completa il progetto un’antologia di brani di autori - da Lucrezio a Redi, da Marmontel a Darwin, da Planck a Einstein - che si esprimono sulle stesse tematiche selezionate entro il sistema galileiano. Riveste particolare interesse anche la “Guida per l’insegnante”, che integra con proposte di verifica e di prove conclusive il lavoro curricolare, suggerendo anche scansioni per unità didattiche e itinerari di approfondimento, spaziando nella proposta anche cinematografica. Analoga struttura è rinvenibile anche in Machiavelli e l’idea d’Italia, in cui l’opera di Machiavelli viene proposta attraverso il duplice taglio letterario e politologico. Ne danno ampio riscontro la selezione opera74 ta di passi de Il Principe e il percorso fra gli autori , da Dante Alighieri a Mameli, da Cattaneo a Gramsci, che compone la seconda parte del testo, unitamente a un discreto ventaglio di letture interpretative del pensiero politico machiavelliano, che arriva a toccare persino problematiche istituzionali contemporanee. Data l’impostazione del quaderno, la possibilità di lavoro interdisciplinare investe non solo il binomio letteratura-storia, ma anche quello filosofia-educazione civica, spesso trascurato. Il volume dedicato a Dietrich Bonhöffer. Cristianesimo e storia dell’Occidente, figura all’interno della collana «I libri dei filosofi», diretta da Ugo Perone, autore, in questo volume, dell’introduzione generale oltre che della scelta antologica e delle note bibliografiche. Il testo si avvia con una parte propedeutica all’autore e alla sua elaborazione teologica, della quale si mettono in luce le componenti innovative sia inserendole nel contesto culturale della modernità e della secolarizzazione, sul quale hanno fatto presa, sia prospettando l’abbattimento degli stereotipi e delle etichette falsanti che ne hanno accompagnato la ricezione anche recente. Perone pone l’accento sulla prospettiva etica di Bonhoeffer, proponendo un’analisi di brani tratti dalle Lettere e dall’Etica (nelle traduzioni curate da A. Comba e A. Gallas rispettivamente per le edizioni Bompiani e San Paolo). Ogni sezione antologica presenta un’ulteriore inquadramento storico-filosofico dei saggi ai quali si fa riferimento nella selezione dei brani, ampia e guidata anche da una tavola cronologica che ne favorisce la collocazione e la considerazione della portata toretica. La ricca bilbiografia primaria e secondaria rappresenta infine una guida ragionata per un approfondimento dei temi indicati. C.B. Con il titolo: LA DIDATTICA DELLA FILOSOFIA NELL ’UNIVERSITÀ E NELLA SCUOLA SECONDARIA SUPERIORE (a cura della SFI - sez. Trevigiana, Treviso 1996), sono finalmente disponibili gli atti del Convegno Nazionale della Società Filosofica Italiana, svoltosi a Treviso dal 25 al 27 novembre 1993. Il volume presenta la documentazione completa degli interventi e dei risultati dei laboratori che hanno animato le giornate di studio, apportando risultati e spunti di riflessione che si propongono di grande attualità anche dopo qualche anno dalla loro elaborazione. La prima sezione, di carattere teorico, propone non solo un’analisi sullo status quaestionis della didattica della filosofia a livello liceale e universitario (a cura di C. Sini, E. Serravalle e D. Massaro), ma affronta anche questioni di applicazione ai curricoli scolastici tanto di materiali scientifici (quali l’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche e il progetto ISPER), quanto di DIDATTICA modelli didattici (aggiormento docenti e approcci storici o tematici). Molto interessanti per l’immediata ricaduta didattica sono invece i resoconti dei laboratori - ben sette - alcuni dei quali sono da segnalare per il contributo operativo che immediatamente offrono, e tra questi, in particolare, il gruppo di studio su “Metodo e teoresi: esperienze didattiche a confronto” (coordinato da E. De Palma), il cui scopo è stato quello di «fornire una serie di strumenti pratici e nello spesso tempo facilmente utilizzabili e trasferibili, da applicare nelle pratica quotidiana, pur con le correzioni che la diversità delle situazioni dell’insegnamento sollecitano». Ne è risultata una ricca segnalazione di esperienze - da una ricerca su “Logica ed ontologia in Aristotele” (di A.C. Cabino) a unità didattiche su “Come il mondo vero diviene apparente: Schopenhauer, Freud, Nietzsche” (di C. Lazzarato) - corredate da ampia documentazione in merito a obiettivi cognitivi disciplinari e trasversali, tempi e svolgimento per scansione contenutistica e soprattutto utilissimi modelli di eserciziario - esercitazione teorica o test oggettivo - sui contenuti oggetto dell’esperienza. C.B. Convegni Una serie di iniziative ha imposto l’attenzione, nel corso del 1996, sul tema della didattica della filosofia nelle scuole straniere. Dal 26 al 29 ottobre 1996 si è tenuto a Reggio Emilia un convegno italo-francese su “LA FILOSOFIA E IL SUO INSEGNAMENTO ”. In relazione a questo convegno nel «Bollettino della Società Filosofica Italiana» (n. 158, maggio-agosto 1996) è stato pubblicato un DOSSIER FRANCIA con l’intento di offrire alcuni elementi sui temi in discussione negli ultimi anni a proposito della didattica francese della filosofia. Organizzato dall’Associazione per la Ricerca e l’Insegnamento di Filosofia e Storia (ARIFS) di Brescia, in collaborazione con l’Università di Padova, il 2 dicembre 1996 si è poi tenuto a Padova un corso di aggiornamento per insegnanti di filosofia sul tema “L’INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA NEI LICEI D’EUROPA ”. Il Dossier Francia, presentato dalla commissione didattica della SFI sul «Bollettino», non intende avanzare una pretesa di completezza, ma cerca di offrire, attraverso una scelta di articoli e di interventi, elementi utili al dibattito in Italia su alcuni temi relativi all’insegnamento della filosofia che sono al centro della riflessione in Francia. Com’è noto, la filosofia viene insegnata in Francia con lo scopo di formare i giovani in quanto cittadini: per questo, come ci ricorda Jean D’Yvoire nella “Pre- messa” al Dossier, il suo insegnamento è presente in tutti i tipi di scuola secondaria (a eccezione delle scuole professionali) ed è concentrato in un solo anno, nella classe terminale. Di necessità esso appare strutturato in maniera molto differente dall’insegnamento d’impostazione essenzialmente storica che contraddistingue la filosofia nelle scuole superiori italiane. Le scelte programmatiche in Francia conseguono soprattutto dalla finalità complessiva di favorire nei giovani il libero esercizio della ragione, il giudizio, la riflessione critica, mirando a «trasmettere la capacità di compiere un percorso, non un sapere costituito». Questo orientamento di fondo dell’insegnamento filosofico in Francia, finalizzato all’esercizio della libertà di pensare e alla formazione della capacità di giudizio del futuro cittadino, era già fissato nelle celebri Istruzioni del 2 settembre 1925, redatte da Anatole de Monze, che restano tuttora in vigore, nonostante le integrazioni subite dai programmi scolastici. Da un punto di vista collegato alla concretezza dell’esperienza didattica, Nicole Grataloup (“La lingua al lavoro. Il pensiero al lavoro”) affronta nel Dossier la duplice questione del senso dell’insegnamento filosofico (il “perché far filosofia”) e delle operazioni del pensiero (il “come far filosofia”). Elemento centrale della sua riflessione è il rilievo che il lavoro sulla lingua (per esempio sul tentativo di gettare un ponte tra la scrittura spontanea degli allievi e la scrittura filosofica) è lavoro sul pensiero ed è la molla che fa scattare negli allievi la problematizzazione. L’autore descrive quindi alcuni tipi di attività che è possibile condurre con gli allievi: le attività di classificazione, di definizione e di risoluzione dei problemi, di intertestualità, attraverso le quali l’apprendimento filosofico si sviluppa come movimento di riflessione, oltreché di formalizzazione e decontestualizzazione dei saperi, tale da consentire al giovane di diventare soggetto delle proprie norme. Un tema quanto mai attuale anche nel dibattito italiano è quello affrontato da Michel Tozzi (“Si può ‘didatizzare’ l’insegnamento filosofico?”): il problema del rapporto fra la ricerca didattica e la filosofia; più precisamente il problema se la ricerca didattica sia da intendere come spazio autonomo, o se deve fondarsi sulla filosofia stessa. Per molti, infatti, ogni determinazione “estrinseca” di obiettivi pedagogici snatura le finalità dell’insegnamento filosofico, irrigidendolo e sottoponendo il testo filosofico a richieste (relative allo sviluppo di abilità intellettuali) che gli sono estranee. Dopo aver richiamato i molteplici argomenti di chi denuncia «l’influenza illegittima delle scienze dell’educazione nel campo dell’insegnamento filosofico», Tozzi avanza una proposta fondata essenzialmente sui presupposti che una didattica della filosofia non può essere una scienza, non può ridursi soltanto ad una 75 tecnica, deve essere filosofica, ma non può essere puramente filosofica. Se è giusto criticare la pedagogia per obiettivi di tipo comportamentistico, non va però smarrita la funzione specifica della didattica di offrire le giuste mediazioni tra le finalità dell’insegnamento filosofico e la concreta situazione di apprendimento degli allievi. Alcuni aspetti “classici” dello stile della lezione in Francia vengono invece esaminati da Jacques Muglioni (“La lezione di filosofia”), che si sofferma in particolare sul “prendere appunti” da parte degli allievi (questione su cui già si esprimevano le Istruzioni del 1925). Secondo Muglioni, inoltre, l’interrogazione non costituisce nell’insegnamento filosofico un momento staccato, come potrebbe essere una prova di verifica: «è tutta la lezione, già dal suo inizio, che deve avere uno stile interrogante». Ciò esige, ovviamente, che l’insegnante abbia una cultura filosofica viva e aggiornata, che in lui prevalga la libertà intellettuale su ogni irrigidimento della didattica, come condizione indispensabile per istituire un rapporto vivente con la classe, «un rapporto di una mente con altre menti». Da segnalare infine nel Dossier un’intervento di vari autori (“La filosofia e la sua pedagogia”) in cui vengono riportate le risposte date da alcuni docenti a quattro domande, relative alla specificità dell’insegnamento della filosofia, all’esistenza di una via di ingresso privilegiata a essa, ai rischi di fallimento, alla presenza nell’allievo di condizioni preliminari necessarie perché possa seguire il corso di filosofia. Sono infine pubblicate alcune pagine tratte da lavori promossi dal “Gruppo di ricerca in didattica della filosofia” sui temi “La lettura filosofica: la dissertazione sul testo” e “La dissertazione filosofica: la didattica all’opera”. R.L. Il convegno italo-francese di Reggio Emilia su “La filosofia e il suo insegnamento” è stato il frutto dell’organizzazione congiunta tra La Società Filosofica Italiana, la Société Française de Philosophie, l’Association des professeurs de philosophie e l’Inspection Générale de Philosophie, che hanno trovato nell’Istituto Banfi di Reggio Emilia il necessario supporto logistico e finanziario, a cui si è affiancato l’impegno organizzativo del Servizio Culturale dell’Ambasciata di Francia. Dietro le sigle di queste associazioni si è andato sviluppando il fitto lavoro organizzativo e di scambi culturali condotto per oltre un anno da molte persone. L’impegno di tutti è stato anche valido motivo per tentare di dare una continuità a questa iniziativa; a questo proposito l’Istituto Banfi si è detto disposto, se vi saranno le condizioni, ad appoggiare gli sforzi della Società Filosofica Italiana per la organizzazione ogni due anni a Reggio Emilia di analoghi convegni internazionali, in modo da stabilire una rete di conoscenza reciproca tra le istituzioni attive in campo filosofico in tutta Europa. Sta di DIDATTICA fatto che in paesi come l’Italia, la Francia e la Spagna, l’insegnamento filosofico è molto diffuso nelle Scuole Secondarie e ovunque in Europa la ricerca filosofica è attiva al di fuori di qualsiasi rapporto con l’insegnamento. Il convegno si ricollega idealmente ad un precedente lontano. Le associazioni filosofiche italiane e francesi si incontrarono vent’anni fa in un’analoga occasione in Francia e di questo è stata fatta memoria da Luciana Vigone - a cui si deve in larga parte l’avvio dell’iniziativa del convegno - al momento della apertura dei lavori. Le relazioni di André Tosel ed Enrico Berti su “Filosofia, istituzioni e insegnamento filosofico” hanno sin dalla prima giornata messo in luce le differenze tra i due paesi. Nei dibattiti successivi e nei gruppi di lavoro si è poi tentato di mettere a fuoco queste differenze, pur nella constatazione di quanto poco gli insegnanti dei due paesi conoscano della realtà e delle tradizioni dell’altro, al di là delle formule generali. Differenze rilevanti si sono osservate nel campo dell’insegnamento nelle scuole secondarie. In Italia, ad esempio, l’insegnante di filosofia deve trasmettere un sapere (la storia della filosofia), mentre in Francia il professore di filosofia deve essere l’autore delle proprie lezioni. Il lavoro dei gruppi è stato preceduto da un’ampia relazione di Charles Coutel su “L’unità del lavoro filosofico”. Poi i singoli gruppi hanno trattato i seguenti temi: “La tradizione e le finalità dell’insegnamento della filosofia” (Patrice Henriot e Cesare Quarenghi); “Il ricorso ai testi filosofici” (Henri Pena-Ruiz e Mario De Pasquale); “I lavori degli alunni, loro esigenze, loro modalità, loro valutazione” (Françoise Raffin e Mario Trombino); “La formazione degli insegnanti” (Pierre Choplain e Anna Sgherri Costantini). Nei lavori dei gruppi è emersa, in modo evidente, la divergenza di interessi e di ricerche tra gli insegnanti delle scuole superiori e gli insegnanti universitari. Come è noto, in Italia forse più che in Francia - ormai i due settori di insegnamento della filosofia, nelle Scuole Superiori e nell’Università, procedono per vie parallele. Contro questa separazione da anni lavora la Società Filosofica Italiana, associazione nella quale confluiscono entrambe le componenti. Nella Tavola rotonda successiva, in seduta plenaria, è emerso un quadro impressionante della ricchezza di analisi e di studi sull’insegnamento della filosofia nei due paesi e sulla identità professionale degli insegnanti: il cantiere di lavoro su questi temi è negli ultimi anni in piena attività, parallelamente nei due paesi per ragioni diverse. La direzione delle ricerche è simile, perché simili sono i problemi emersi nel rapporto con gli allievi, sia pure in un quadro di riferimento molto diverso quanto al senso dell’insegnare filosofia ai giovani. Poiché il convegno trattava questioni generali, non si sono potuti affrontare temi filosofici specifici. Tuttavia alcune tematiche generali sono state oggetto di ampia descrizione e questo ha permesso un interessante dialogo tra la componente italiana e quella francese. François Dagognet e Paolo Rossi hanno tenuto ampie relazioni su “Filosofia e scienza(e)”; Bernard Bourgeois e Carlo Sini hanno trattato della “Attualità della filosofia”. Il convegno si è concluso con una “Sintesi finale” di Christiane Menasseyre dell’Inspection Général de Philosophie. Ma si è anche preso l’impegno, da parte di tutti, di proseguire i contatti e lo scambio di esperienze e di conoscenze in altre sedi. M.T./J.D’Y. Nel corso di aggiornamento su L’insegnamento della filosofia nei licei d’Europa, quattro relazioni hanno illustrato le panoramiche disciplinari strutturali e metodologiche di Inghilterra, Italia, Germania e Spagna. Intervenendo su “La filosofia nelle scuole superiori in Gran Bretagna: alcune questioni ideologiche e alcune questioni metodologiche”, Dermot O’ Keeffe (Trinity College di Cambridge) ha ricordato una celebre similitudine che paragona il «fare filosofia al costruire una zattera in mare aperto, senza alcuna speranza di trovare un bacino di carenaggio» (Neurath, Quine). L’educazione, ha sottolineate O’ Keeffe, è una questione di “personificazione”, per cui i problemi filosofici debbono partire dal coinvolgimento dell’esistenza dello studente: lo studio dei classici e delle opere, affrontate come se fossero state scritte poche settimane prima, deve servire per sviscerare tematiche che partono dall’individuo e sono utili alla costruzione del suo “io”. Poiché l’estrema frammentazione dell’apparato scolastico inglese non permette uno sguardo “nazionale”, O’ Keeffe ha cercato di tracciare alcune linee-guida concettuali e d’approccio metodologico per dare almeno uno spaccato della strutturazione interna del “fare filosofia” in Gran Bretagna. Con una relazione su “I programmi di Filosofia in Italia”, Gregorio Piaia (Università di Padova) ha tracciato un quadro riassuntivo dei principali passaggi dell’insegnamento della filosofia nelle scuole italiane, dalla “Legge Coppino” del 1877 sino ai nostri giorni, appaiandolo ad una analisi dei differenti sensi che l’insegnamento filosofico ha veicolato nelle varie epoche storico-politiche. Alla fine del 1800, sotto la lente interpretativa del positivismo, la filosofia, nell’insegnamento scolastico, si era avvicinata quanto è possibile allo status di scienza; i nuovi programmi del 1884 dividevano 76 lo studio filosofico in Logica, Etica e Storia della filosofia. La “Legge Gabelli” cambiò tale tripartizione in Psicologia, Logica ed Etica. Finalmente si arriva alla “Riforma Gentile” del 1923, nella quale, all’interno della generale riorganizzazione della scuola italiana, la filosofia trova un suo spazio, incastonata in uno sfondo storico che voleva dar conto dell’evoluzione del pensiero filosofico stesso. La degenerazione dogmatico-storicistica che si è poi solidificata nel corso dell’epoca fascista ha snaturato le finalità che lo stesso Gentile voleva perseguire, fino a giungere ad uno scontro tra i fautori della “storia” della filosofia e coloro che invece propendono per l’analisi delle “problematiche” filosofiche. Barbara Bruning (Università di Amburgo) è intervenuta su “Insegnamento della filosofia e struttura dei programmi nei 16 Länder della Repubblica della Germania”, offrendo un’analisi storica che ha preso le mosse dal finire del XIX secolo, quando nelle scuole tedesche, dove si insegnava il latino, erano insegnate altresì discipline quali Logica, Retorica ed Etica. Dopo la riforma prussiana di von Humboldt del 1806 la filosofia viene bandita dai curricoli della scuola superiore come disciplina autonoma, rimanendo come principio ispiratore metodologico-didattico nel canone delle discipline del Ginnasio. Hegel, nel 1812, sostenne la necessità di una formazione filosofica attraverso uno studio propedeutico articolato in Logica, Studio dell’antichità e Religione, ritenendo che un approccio storico dovesse essere oggetto di studi universitari, e auspicava l’unità degli aspetti materiali (contenutistici) e di quelli formali (metodici). Attualmente, ha rilevato Bruning, nei 16 Länder della Germania le dizioni attraverso le quali vengono indicati gli studi filosofici variano da “Etica” a “Valori e norme”, da “Insegnamento dell’etica” a “Filosofia”; ogni regione ha infatti grande autonomia nell’organizzare gli ordinamenti scolastici. Dopo il 1945 non vi è stata nessuna regolamentazione unitaria per l’insegnamento della filosofia. Nel 1972, ha continuato Bruning, si è avuta in Germania una riforma del livello superiore per gli alunni dai 16 ai 19 anni. Tutti gli studenti dovevano seguire materie fondamentali, quali Matematica e Tedesco, e scegliere due materie elettive nelle quali approfondire le proprie potenzialità. Filosofia/Etica poteva infatti essere scelta come materia sia facoltativa, sia obbligatoria. Tra gli estensori dei programmi della scuola media superiore si distinguono due posizioni fondamentali: a) un approccio che potremmo definire tradizionale, attraverso un lavoro con i testi della tradizione filosofica; b) un approccio “esistenzialistico”, che parte dai problemi degli stu- DIDATTICA denti. Dopo la riunificazione tedesca del 1990, Filosofia/Etica raggiunge nell’ordinamento scolastico il suo massimo livello d’importanza come materia opzionale obbligatoria in alternativa alla religione. La base dell’insegnamento fa perno sulle quattro domande kantiane: che cosa posso sapere (Teoria della conoscenza), che cosa devo fare (Etica), che cosa posso sperare (Religione), che cos’è l’uomo (Antropologia). Antonio Imenez Garcia (Università Complutense di Madrid) è intervenuto su “I programmi di filosofia in Spagna”, mostrando come in Spagna, sino alla metà di questo secolo, la filosofia nel Bachillerato (scuola secondaria superiore) abbia sempre avuto un ruolo ben preciso. Da allora, l’insegnamento di questa disciplina ha subito una serie di trasformazioni, seguendo le varie fasi politiche del paese. Sull’onda montante delle materie tecniche ed economiche, ultimamente la filosofia è stata alquanto svalutata, soprattutto dopo la riforma del 1990, che ha relegato la filosofia ad un ruolo secondario nella scuola superiore. Nel periodo che va dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, ha rilevato Garcia, si studiava Filosofia nell’ultimo anno del livello superiore e Storia della filosofia nell’anno preuniversitario. Nei venti anni successivi la “Legge Villar” riformò l’insegnamento medio e la filosofia venne insegnata, sotto il titolo di “Etica” come alternativa alla religione nei tre corsi del Bachillerato Unificado Polivalente (BUP); come “Filosofia” solo nel 3˚ corso del BUP; come “Storia della filosofia” nel Corso di Orientamento Universitario (COU). Dal 4 ottobre 1990 una nuova legge ridefinisce i livelli scolastici: l’insegnamento di “Vita morale e riflessione etica” è materia obbligatoria nel 4˚ corso dell’Educazione Secondaria Obbligatoria (ESO), rivolto ai giovani di 15 anni; “Filosofia” è materia obbligatoria nel primo anno del Bachillerato per i quattro indirizzi della scuola superiore (indirizzo artistico, indirizzo delle scienze umane e della salute, indirizzo umanistico e delle scienze sociali, indirizzo tecnologico); “Storia della filosofia” è materia specifica di indirizzo nella specializzazione umanistica e delle scienze sociali. T.T. INTERNET/SCUOLA Internet sta ormai entrando in molte scuole, anche se l’uso rischia di restare limitato all’ambito delle discipline scientifiche o addirittura della sola informatica come materia specifica di insegnamento. In rete sono però disponibili anche molte risorse interessanti per l’insegnamento della filosofia, spesso non utilizzate soprattutto perché l’estrema dispersività di Internet rende difficile individuarle. Questa rubrica intende indicare quelle più interessanti e suggerirne possibili usi didattici. Internet non può sostituire una buona biblioteca ma consente possibilità precluse ai testi a stampa. In particolare: a) i testi elettronici consentono una serie di operazioni altrimenti improponibili, dalla ricerca lessicale a quella stilistica, dal calcolo delle frequenze al confronto lessicale tra opere diverse ecc.; b) Internet offre una prospettiva aggiornata dello stato della disciplina e dei problemi di maggiore interesse di livello mondiale, attraverso una serie di strumenti che vanno dalle riviste ai preprints (articoli e saggi divulgati in rete per ricevere pareri e suggerimenti prima della stampa su carta), dai programmi dei corsi delle maggiori università italiane e internazionali, a dispense o resoconti di seminari su argomenti specifici, dai convegni alle notizie sulle nuove pubblicazioni ecc.; c) Internet è interattiva, consentendo di partecipare in prima persona a gruppi di discussione (Newsgroups e liste elettroniche) su tematiche specifiche della disciplina e anche, eventualmente, di avviare cambi e collaborazioni tra scuole. Le schede proposte di volta in volta consentiranno l’esplorazione di queste potenzialità e la loro applicazione alla didattica. Reperibile alla URL: http://www. liberliber. it, il progetto, che prende il nome dal celebre umanista ed editore veneziano, ospita il testo integrale di un grande numero di opere, prevalentemente letterarie, tradotte in formato elettronico da volontari e liberamente utilizzabili. Il Progetto Manuzio, mutuato da uno analogo e di più vasta portata in lingua inglese (Progetto Gutenberg), utilizza una delle possibilità più interessanti della rete: la collaborazione fra studiosi o studenti di un’intera nazione (o di tutto il mondo) su progetti comuni. Per quanto riguarda la filosofia, troviamo attualmente le seguenti opere: Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene; Tommaso Campanella, Città del Sole; Friedrich Engels e Karl Marx, Manifesto del Partito Comunista; Epicuro, Lettera sulla felicità a Meneceo; Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia; Sigmund Freud, Aforismi e pensieri; Galileo Galilei, Lettere; Francesco Guicciardini, Ricordi politici e Storia d’Italia; Lao-Tzu, Tao Te Ching (Libro della Via e della Virtù, testo fondamentale del taoismo); Niccolò Machiavelli, Il principe; Platone, Apologia di Socrate e Critone; Giovanni Vailati, Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della scienza e della cultura; Voltaire, Candido ovvero l’ottimismo. Sono inoltre in preparazione: Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo; Platone, Cratilo. Le opere disponibili possono essere prelevate e trasferite su hard disk. Impiegando in seguito un comune word processor o altri programmi specifici, sarà possibile compiere ricerche stilistiche e di contenuto, comparazioni, o utilizzare brani delle opere per rielaborazioni e ricerche. Recentemente il progetto si è ampliato con l’inserimento in rete di alcune tesi di laurea, che spesso costituiscono importanti e originali lavori di ricerca, raramente utilizzati al di là della presentazione accademica. Al momento sono soltanto sei, tra le quali segnaliamo quella di Viviana Viviani, Un contributo alla discussione delle teorie dell’obbligo politico (relatore: Salvatore Veca). 77 Esistono numerosi siti dedicati alla bioetica, in genere gestiti da facoltà universitarie o da associazioni. Un lungo elenco di risorse, a livello nazionale e mondiale, è reperibile nel sito Bioethics Online Service, presso l’Università di Torino, all’URL http:/ /www. medfarm. unito. it/bioethics/bioeth1. html. In Italia, uno dei siti più interessanti sull’argomento è quello curato da Massimiliano Marinelli, all’URL http:// www. fastnet. it/servizi/utenti/marinelli/ index. html. Questo sito è molto ampio, il linguaggio è accessibile, la pagina è ben organizzata e offre materiale originale, oltre a una serie di link aggiornati periodicamente. La home page è divisa in tre sezioni: Bioetica, Filosofia e medicina, Filosofi ed etiche. La prima, indubbiamente quella più ricca, è articolata in una serie di pagine secondarie, ognuna dedicata a un problema specifico, dall’ingegneria genetica all’eutanasia, dalla manipolazione degli embrioni ai “testamenti di vita”. Ogni questione è illustrata brevemente dal curatore del sito, Marinelli, che propone poi una serie di links sull’argomento. Una delle sezioni più interessanti è il “Corso di bioetica”, la trascrizione in formato elettronico del corso tenuto da Marinelli nell’anno accademico 1996/97, presso la cattedra di Bioetica dell’Istituto di Filosofia di Urbino. Le lezioni riguardano per adesso due unità: “Le trasformazioni della medicina”, una storia recente di questo settore, e “Nascere oggi”, una rassegna delle tecniche di fecondazione artificiale e delle loro implicazioni morali, e un’analisi del dibattito sull’embrione umano. Il linguaggio delle lezioni è rigoroso ma non eccessivamente specialistico, e può essere utilmente seguito anche da studenti liceali, per il rilievo che è dato ai riferimenti filosofici. Dalla pagina principale di “Bioetica” si accede anche ai documenti ufficiali pro- DIDATTICA dotti dal Comitato Nazionale di Bioetica, che offrono un importante materiale di riferimento, per ricerche o dibattiti da proporre in classe, su argomenti di stretta attualità, dai trapianti d’organi all’eutanasia, dalla “identità e stato dell’embrione” al parere del Comitato sulle tecniche di fecondazione assistita. L’abbondanza delle risorse filosofiche presenti in Internet contrasta con la povertà del panorama italiano. Una rassegna di quanto è disponibile, regolarmente aggiornata per accogliere le nuove iniziative, è Filosofia in Italia all’URL http://vega. unive. it. / fasolo/FilosofiainItalia. html, a cura di Davide Fasolo, studente dell’Università di Venezia. La home page è suddivisa in diverse sezioni, dalle opere di filosofia in rete alle riviste filosofiche («Informazione filosofica», «Episteme», «Aut-Aut» ecc. ) e culturali in genere, dai “Siti religiosi ed esoterici in Italia” ai Dipartimenti di Filosofia delle Università italiane, dalle mailing lists con le istruzioni per iscriversi ai newsgroups di argomento filosofico. Per le opere filosofiche troviamo links ad alcuni testi in edizione integrale disponibili in rete, fra i quali la Città del Sole di Campanella, L’elogio della follia di Erasmo, il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, alcuni dialoghi di Platone ecc. (quasi tutti curati dal “Progetto Manuzio” all’URL http:// www.liberliber.it). Sono inoltre presenti in questa sezione alcune sintesi di classici filosofici: Linguaggio, verità e logica di Ayer, La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn e il Saggio sulla libertà di John Stuart Mill. Non è difficile immaginare una crescita esponenziale di queste iniziative e del materiale prodotto, adesso che Internet sta uscendo dalla fase pionieristica per diventare uno strumento di largo uso, anche in ambito scolastico. In Italia sono già oltre 700 le scuole che hanno una propria pagina in rete (se ne può trovare l’elenco aggiornato all’URL http:// www.tol.it/netscuola/doc/scuole/scuole. html) e dalla loro collaborazione potranno nascere importanti iniziative. E.R. CALENDARIO L’ARIFS di Brescia organizza per sabato 3 maggio 1997 (ore 9. 30-18. 30), in Collaborazione e presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, una giornata di studio sul tema Figure del Settecento. La proposta si configura come Corso nazionale di aggiornamento per docenti, valevole ai fini della progressione di carriera. Verranno analizzate quattro fra le figure emblematiche del panorama teoretico del Settecento europeo secondo la seguente scansione: “P. Casini, J. J. Rousseau”; R. Ciafardone, “Ch. Wolff”; F. Baroncelli, “D. Hume”; G. Francioni, “C. Beccaria”. Informazioni: ARIFS, C. P. 103, 25100 Brescia, tel. e fax 030/3757341 (ore 18. 30 - 19. 30). • Dal 17 al 20 aprile 1997, si svolge presso la Domus Mariae di Roma l’ottavo Seminario Nazionale di Studio per insegnanti, genitori e educatori sul tema: Le nuove frontiere della Bioetica III, valevole ai fini dell’aggiornamento sul piano nazionale. Promosso dall’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica e, tra gli altri, dall’UCIMM e dal Movimento per la Vita italiano, il Seminario, diretto da E. Sgreccia, si colloca in un percorso formativo triennale. Questo il programma degli incontri: 17 aprile: E. Sgreccia, “Le radici etico-cultrali della cultura della violenza”; 18 aprile: M.L. Di Pietro, “Adolescenza e comportamento a rischio”; G. Cesari, “Dalla violenza subita alla violenza agita in adolescenza”; S. Grygiel, “Antropologia della sofferenza e del dolore”; I. Carrasco, “La morte e il morire; 19 aprile: P.G. Miranda, “Il diritto a morire con dignità”; G. Fasanella, “I testamenti di vita”; M.B. Fisso, “Trapianti d’organo: dalla cultura dell’esproprio alla cultura del dono”; Tavola rotonda, “Bioetica: dal laboratorio al quotidiano”; 20 aprile: G. Vico, “Prevenire la violenza: percorsi educativi nella scuola e nella famiglia”. Informazioni: MpVi, via degli Scipioni 252, 00192 Roma, tel. 06/3211474 3211793; fax 06/3221481. Organizzati dall’Istituto G. Pascoli di Milano, dal 1 febbraio al 10 maggio 1997 hanno luogo nove incontri con docenti e ricercatori per approfondire la conoscenza del pensiero demnocratico liberale. Il ciclo di lezioni, dal titolo: Le fonti della liberaldemocrazia , propone il seguente programma: 1 febbraio, “Finalità, obiettivi e metodo” (presentazione dei docenti e degli argomenti del corso); 8 febbraio, L. Rizzi: “Liberalismo e democrazia in De Tocqueville”; 15 febbraio, V. Lora: “Libertà e individualità in John Stuart Mill”; 15 marzo, T. Arenare: “Libertà, mercato, istituzioni”; 22 marzo, V. Lora: “Libertà, uguaglianza ed impegno politico in Kelsen”; 29 marzo, S. Creperio: “Libertà ed equità in Rawls”; 26 aprile, L. Rizzi: “Le due vie dell’unità politica italiana”; 3 maggio, S. Creperio, T. Arenare: “Liberismo e tradizione liberaldemocratica in Italia”; 10 maggio, Tavola rotonda: “Le prospettive di una teoria e di una pratica democratico-liberale in Italia”. Informazioni: Susanna Creperio, Istituto G. Pascoli, via Poerio 14, 20129 Milano, tel. 02/29518327. • Promosso dall’Università Commerciale Luigi Bocconi ha luogo il 5 maggio 1997, presso la sede di via Sarfatti 25 a Milano, un convegno di studi sul tema: I cambiamenti organizzativi nella scuola: un’opportunità per la didattica? , va- levole ai fini dell’aggiornamento dei docenti. Gli incontri previsti sono concentrati in un’unica mattinata con la seguente scansione: ore 9.30: C. Mombelli 78 (CESDIA), “La valutazione del funzionamento dell’organizzazione scolastica: problemi aperti e impatto delle scelte organizzative sulla didattica”; ore 11.00: C. Ondoli (CESDIA), “Le specificità culturali delle organizzazioni e le possibilità di cambiamento: riflessioni sull’istituzione scolastica”. Informazioni: Bocconi Comunicazioni, via Sarfatti 25, 20136 Milano, tel. 02/5836. 3022 - fax 02/5836. 3024. • Giovedì 8 maggio 1997, alle ore 18.30, presso la Fondazione Europea Dragàn (Via Larga 11, Milano) si tiene un Convegno su La riforma della scuola. La proposta Berlinguer e il contesto europeo - Opinioni a confronto, promosso dai Lions Club di Lodi Europea e dai Lions Club Milano Ducale in collaborazione con la Fondazione Europea Dragàn e, fra gli altri, dell’Unigold, del Colitato Rapporti Internazionali Distr. Lions 108 IB & e con il patrocinio del Centro Unesco di Milano. Due i temi trattati: “Scuola statale e non statale” e “Prospettive per gli operatori della scuola”. Interverranno presidi di scuola media e di scuola secondaria superiore di secondo grado; ispettori e direttori di sovrintendenza regionale, provveditori agli studi e, in particolare, fra gli altri, O. Fumagalli Carulli , M.T. Risi, G. Risari, E. Albertoni, P. Bassetti, A. Calderara, S. Accetta, P. Del Giudice, A. Marrae A.M. Dominici. Informazioni: Giovanni Rossi, via Cairoli 25, Varese, tel. 0332/288481. • DIDATTICA Primo piano: Per un confronto di opinioni Sul documento di lavoro del Ministero della Pubblica Istruzione (gennaio 1997) Alla luce della grande eco che nel mondo della scuola sta riscontrando la proposta di riordino dei cicli elaborata dal Ministero della Pubblica Istruzione, crediamo opportuno presentare qui di seguito il documento di sintesi che accompagna il più ampio testo programmatico della riforma. È evidente che una tale svolta nel sistema dell’istruzione in Italia si impone all’attenzione dei nostri lettori nello specifico interesse della docenza della filosofia, oltre che del confronto con altri sistemi scolastici europei, ai quali, peraltro, il documento governativo sembra ispirarsi. La nuova scuola delle competenze e delle professionalità rimette infatti in discussione il ruolo e la valenza della filosofia, sia che ne venga proposta l’estensione, come previsto dai “Programmi Brocca”, all’attuale biennio - che diviene nel nuovo riordino la conclusione dell’istruzione primaria - sia che se ne rilegga la finalità didattica all’interno del nuovo ciclo secondario e, forse, anche dell’istruzione post-secondaria. È altrettanto evidente che il dibattito e i progetti in merito - attualmente mancano riferimenti espliciti da parte del Ministero - verteranno sulle finalità formative della filosofia all’interno di ogni indirizzo di studio e nello specifico di ciascuno di essi - filosofia prima e seconda, filosofia e filosofie “di”. È in uno spirito di discussione e confronto che con la presentazione del documento che segue intendiamo qui dare avvio a una serie di proposte di riflessione, che a partire dal prossimo numero della rivista verranno affidate a riconosciuti esponenti del mondo della filosofia e della didattica della filosofia, al fine di contribuire a quel dibattito che la stessa commissione ministeriale che ha redatto il documento e gli insegnanti tutti si auspicano. Il dibattito sulla scuola che si è sviluppato in Italia nel corso delle ultime legislature ha evidenziato con grande chiarezza, come del resto era già avvenuto negli altri Paesi europei, l’esigenza di un approccio globale al problema dell’istruzione e della formazione. È emersa la necessità di una prospettiva e di una riflessione strategiche, “a tutto campo”, nell’impostazione di una riforma che sappia affrontare i nodi della formazione complessiva delle nuove generazioni. La proposta odierna cerca di rispondere a questa esigenza di completezza e di organicità ed in tale prospettiva è senz’altro l’ipotesi di rinnovamento della scuola italiana più ampia dopo la riforma realizzata da Giovanni Gentile. Data l’importanza strategica della riforma, è essenziale che il confronto sia il più vasto possibile e che ad esso partecipino tutte le forze politiche, sociali ed economiche. Il Governo non procederà a colpi di maggioranza. Vi è qui il dichiarato proposito di aprire un ampio dibattito, al quale sono chiamati a partecipare anche le famiglie, i docenti, i dirigenti scolastici, gli studenti, gli esperti del settore e tutto il mondo della cultura. La riforma prevede un sistema che a partire dal prolungamento dell’obbligo scolastico (si passa dagli attuali otto a dieci anni di scolarità obbligatoria e gratuita) conduca ad un innalzamento della qualità dell’istruzione e dei livelli culturali e scientifici generali e alla realizzazione di una formazione integrata che faciliti l’ingresso nel mondo del lavoro e le successive possibili riconversioni professionali. La scuola deve perdere alcuni caratteri di rigidità, per trasformarsi in una struttura flessibile all’interno della quale si salvaguardino gli obiettivi culturali, ma in cui ogni fase identifichi precise soglie da raggiungere e consolidi risultati spendibili. Occorre passare ad una concezione in cui siano definiti finalità, obiettivi e standard, intesi come livelli differenziati di raggiungimento degli obiettivi formativi; è quindi necessaria una revisione dei programmi che vada in tale direzione. Un modello di governo del sistema fondato sul decentramento, sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, sulla sinergia tra i vari soggetti istituzionali, formativi, sociali, sulla responsabilizzazione dei vari soggetti e sull’efficace rapporto fra istruzione, formazione, territorio, favorisce un processo di sburocratizzazione e consente di realizzare tale flessibilità. Il sistema proposto (in linea con quello degli altri paesi europei) supera la tradizionale distinzione in scuola elementare, media e superiore, per articolarsi in una scuola di base delle durata di sette anni e di un ciclo secondario di sei. Tale configurazione favorisce il rispetto dei naturali ritmi di crescita e di apprendimento degli alunni, meglio garantiti dalla complessiva unità del percorso della scuola di base, e consente di evitare la ripetizione di identici programmi in spazi temporali ristretti (si pensi al programma di storia, 79 identico nelle elementari e nelle medie). Il compito della preparazione del ciclo primario è affidato alla scuola dell’infanzia, il cui ultimo anno diviene obbligatorio. Al ciclo primario è affidato il compito di provvedere, nei primi due bienni, all’alfabetizzazione culturale, all’acquisizione di corretto collegamento spazio-temporali, al primo avvicinamento alle tecnologie informatiche, all’apprendimento di una lingua straniera, alla presa di coscienza del mondo circostante e dei propri diritti e doveri; nell’ultimo biennio, al consolidamento delle acquisizioni culturali e dei metodi dell’apprendimento. La scuola secondaria è volta a dare risposta alle esigenze di crescita culturale e professionale degli studenti. Essa si articola in due trienni, dei quali il primo, denominato “dell’orientamento”, conclude la scuola dell’obbligo. Il primo anno di tale triennio è volto a consolidare le conoscenze fondamentali e ad impostare correttamente le scelte successive, mediante la presentazione concerta, ma ancora indicativa, di un ventaglio di opzioni. Gli ultimi due anni sono volti a focalizzare le scelte su percorsi caratterizzati, lasciando aperto un margine per ripensamenti e passaggi da un indirizzo all’altro. Il primo triennio è quello maggiormente caratterizzato dalla presenza di figure professionali, quali i tutor, con compiti di aiuto alle scelte. Al termine del triennio si sostiene il primo esame di stato, l’esame di licenza. Il secondo triennio fonde in sé l’aspirazione culturale e l’aspirazione professionale, prevedendo momenti di avvicinamento al mondo del lavoro, possibilità di integrazione con altri sistemi formativi, di primo contatto con l’organizzazione degli studi universitari e della formazione avanzata. In questo quadro, il sistema della formazione professionale, che fa parte a pieno titolo del complessivo sistema della formazione, deve costituire una vera e propria opportunità alternativa dopo l’obbligo scolastico. I tal modo anche l’Italia potrà sviluppare, in linea con gli altri Paesi dell’Unione europea, il rapporto e l’integrazione fra sistema scolastico e sistema della formazione professionale. Il nuovo sistema è stato pensato anche con riferimento ai suoi tempi di attuazione. Dall’approvazione parlamentare saranno sufficienti tre anni. STUDIO STUDIO La filosofia della religione In INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA DELLA RELIGIONE (Laterza, Roma-Bari 1996) Adria- no Fabris si propone di fornire una chiave di lettura della filosofia della religione che permetta di chiarificare il significato di questa disciplina in rapporto ai problemi a essa inerenti, che riguardano in particolar modo il rapporto tra filosofia e religione. Nel suo studio Adriano Fabris mostra come il suo intento non sia quello di offrire una definizione della filosofia della religione, né quello di partire da definizioni stabilite storicamente, ma piuttosto di esaminare il rapporto tra filosofia e religione, considerando queste ultime come il prodotto di due diversi “atteggiamenti” nei confronti della realtà. Innanzitutto, per Fabris è importante distinguere la filosofia della religione dalla teologia filosofica, poiché quest’ultima, fondandosi sulla capacità della ragione di dimostrare l’esistenza di Dio, in ultima analisi “mette in trono” la ragione come Dio. Invece, la filosofia religiosa, considerando il discorso filosofico come dotato della stessa dignità di quello religioso, ritiene che la filosofia possa adeguarsi alla religione. Secondo Fabris, esistono due modalità differenti nelle quali si esplica il rapporto tra filosofia e religione nell’ambito della filosofia religiosa. La prima è caratterizzata dalla presenza di un legame stretto tra filosofia e religione, legame fondato sulla «preliminare autocomunicazione di Dio» e quindi sulla rivelazione. La seconda, invece, è basata su un discorso filosofico che si impossessa di alcune componenti essenziali dell’atteggiamento religioso, acquisendone le funzioni. In entrambi i casi, osserva Fabris, la filosofia religiosa stabilisce un rapporto problematico tra la dimensione filosofica e la sfera religiosa, costituito da un intreccio di unione e di separazione. La complessità di tale rapporto si rivela dal fatto che la filosofia religiosa non pretende di fornire una giustificazione apologetica della religione, ma è caratterizzata da quell’ “inquietudine” pro- pria della ricerca filosofica che implica l’impossibilità di arrestarsi in una realtà definitiva e presuppone invece la capacità di porre continue domande. D’altra parte, filosofia e religione sembrano attrarsi reciprocamente poiché ognuna trova nell’altra un completamento di se stessa. Infatti, se da un lato la filosofia trova nella religione la possibilità di applicare a livello concreto la sua concezione astratta basata sul “mero comprendere”, dall’altro l’atteggiamento religioso è dotato di una componente conoscitiva che gli consente di cogliere le modalità dell’agire gradite a Dio. Pertanto, sottolinea Fabris, è necessario che vengano mantenute le differenze tra la filosofia e la religione affinché la religione possa conservare la sua identità senza divenire una «tappa nello sviluppo della comprensione del mondo». Altrimenti, la ricerca filosofica sulla religione rischia di risolversi in un superamento della religione attraverso l’attuazione di un processo di inglobamento della stessa nel suo sistema concettuale. Il modo migliore per evitare questo rischio è quello di non considerare la religione come un oggetto di studio, ma di interrogarla, ponendosi nei suoi confronti in una prospettiva “dialogica”. In tal modo, il rapporto con la religione si rivela più attivo e più creativo, poiché essa non si riduce ad una dimensione passiva e inerte, ma rappresenta una realtà capace di fornire indicazioni valide alla filosofia. La religione nella sua forma ebraico-cristiana, osserva Fabris, consente all’uomo di superare la sua situazione di scissione attraverso la presenza di un orizzonte di senso che garantisce al credente una “unificazione finale”. Nel sapere filosofico, invece, si può riscontrare una componente di “indifferenza” e di “distacco”, costitutiva della sua essenza, per difendersi dalla quale il sapere filosofico ha elaborato “strategie di interessamento” e stabilito così un legame originario tra conoscente e conosciuto se non, in alcuni casi, costruito un «ordine garantito all’interno di una ben definita concezione del mondo». M.Mi. 80 Il pitagorismo In INTRODUZIONE AI PITAGORICI (Laterza, Roma-Bari 1996) Bruno Centrone fornisce una chiave di lettura del pitagorismo, mostrando come di esso si siano succedute nella tradizione diverse concezioni. Non si tratta né di scegliere un’immagine rispetto alle altre, né di conciliare immagini così differenti tra loro e neppure di porre l’accento sulla contradditorietà del pensiero pitagorico. Ciò che si propone Centrone è invece di rendere conto della complessità del pitagorismo, dovuta ai diversi ambiti di ricerca cui si è dedicata la scuola pitagorica, e di evidenziare la prevalenza in esso di una concezione enciclopedica del sapere. Lo studio di Bruno Centrone consente di orientarsi nell’ambito della complessità della filosofia pitagorica, complessità che è dovuta alla molteplicità di interpretazioni fornite dalla tradizione. Infatti, il pitagorismo è stato via via considerato o come un movimento religioso, o come un partito politico, o come una scuola filosofica o infine come una scuola scientifica con prevalenti interessi in campo matematico. Come sottolinea Centrone, questa molteplicità di prospettive deve essere ricondotta al differente modo in cui viene presentata dalla tradizione la figura di Pitagora: uomo politico, filosofo, matematico, «taumaturgo dai tratti sciamanici» o addirittura figura molto vicina alla divinità. Di fronte a questa stratificazione di immagini si tratta allora, secondo Centrone, di stabilire a livello ermeneutico cosa significhi “essere pitagorico” attraverso l’individuazione di un criterio oggettivo, come per esempio l’appartenenza ad una stessa scuola o un comune modo di vivere. Una delle immagini di Pitagora più ricorrenti nella tradizione è quella che accentua la sua partecipazione alla vita politica. Secondo questa prospettiva Pitagora s’impone come uomo pubblico, educatore che non si rivolge solamente ad una ristretta cerchia di iniziati, ma alla popolazione nel suo complesso. D’altra parte, non essendo rimaste tracce di una sua attività legislativa non si può affermare con certezza che Pitagora si STUDIO sia occupato in prima persona della gestione del potere politico. Invece, l’immagine di Pitagora più distante dalle concezioni moderne è quella che lo ricopre di un alone mistico e misterioso, presentandolo come un “taumaturgo” dotato di poteri magici. Addirittura, secondo questa linea interpretativa, Pitagora appare quasi come una divinità legata in particolar modo ad Apollo. D’altra parte, assai diffusa nella tradizione è l’immagine di Pitagora come sapiente e quindi come «fondatore del sapere razionale». In realtà è possibile, secondo Centrone, considerare Pitagora un filosofo sia facendo rientrare nel concetto di filosofia la predicazione pubblica e la sua attività di educatore, sia individuando le tracce di una sua cosmologia. L’immagine di Pitagora più diffusa nella tradizione è quella scientifica, legata alla scoperta del suo famoso teorema. Tuttavia, sembra esagerato considerare i pitagorici come fondatori delle basi del pensiero matematico astratto; al massimo si può parlare di un loro contributo in questo ambito, come nel caso della loro scoperta della teoria degli irrazionali e delle grandezze incommensurabili. Centrone rileva inoltre come il neopitagorismo non abbia mai avuto un centro geografico, né sia mai stata istituita una scuola “ufficiale” come quella della tradizione platonica, peripatetica o stoica. Anzi, la tradizione pitagorica è sempre stata intrecciata con il medio e il neo-platonismo, al punto che i confini tra di essi risultano molto labili, sebbene, sottolinea Centrone, per Platone i numeri siano separati dalle cose sensibili e gli enti matematici vengano considerati come «intermedi tra le cose e le idee-numeri», mentre per i pitagorici i numeri coincidono con le cose stesse. In ogni caso l’intervento della mediazione dell’Accademia platonica è decisivo per la sopravvivenza della filosofia pitagorica. Da questo momento il pitagorismo diviene inseparabile dal platonismo. M.Mi. Sociologia della cultura Con il suo MANUALE DI SOCIOLOGIA DELLA (Laterza, Roma-Bari 1996) Franco Crespi si propone di fornire un orientamento nel panorama letterario della sociologia della cultura, assai complesso e variegato. Muovendosi su differenti livelli d’analisi, Crespi prende in considerazione le teorie sociologiche principali, i vari ambiti specifici in cui vengono applicate e i diversi metodi adottati. CULTURA Intento del Manuale di sociologia della cultura di Franco Crespi è di fornire un quadro introduttivo della sociologia della cultura in modo da consentire una possibilità di accesso al vasto e variegato panora- ma letterario proprio di questo ambito. La complessità del concetto di cultura è dovuta anche al fatto che gli uomini possono essere considerati nello stesso tempo gli “attori sociali” della cultura e il prodotto di essa. Inoltre, la cultura non è in grado di esprimere le differenti sfumature della realtà in quanto essa si modifica ogni volta che si trasformano le condizioni storicoambientali del reale. Nella prima parte del suo lavoro Crespi esamina le diverse teorie della sociologia della conoscenza. Innanzitutto, la sociologia della conoscenza indaga il rapporto tra le “strutture della società” e le “forme del sapere” mettendo in risalto anche le influenze reciproche tra queste due dimensioni. Essa si fonda sull’idea che differenti teorie non siano altro che diverse interpretazioni della realtà che riflettono i problemi relativi a quegli ambiti sociali in cui si sono originate. Se nella prospettiva di Marx il rapporto tra struttura e sovrastruttura ideologica è rigidamente deterministico, in Weber le strutture sociali sono il risultato di un’analisi selettiva che si orienta verso determinati problemi. D’altra parte, per Durkheim la società è un organismo dotato di proprie autonome funzioni, che si impongono agli individui stessi. Per Pareto, invece, se le teorie filosofiche e politiche sono nettamente distinte da quelle logico-sperimentali, per la mancanza di una base oggettiva, tuttavia sono fondamentali all’interno della dinamica sociale. Riprendendo Pareto e in opposizione a Durkheim, Simmel ritiene che la società sia il frutto delle interazioni reciproche tra gli individui. Pertanto, egli sottolinea la componente creativa delle idee, rifiutandosi di farle derivare in modo rigido dalle condizioni sociali. Invece, il contributo di Mannheim alla sociologia della cultura riguarda il rilievo delle difficoltà di tipo epistemologico inerenti al tentativo di legare ogni forma di conoscenza ad un contesto sociale specifico. Passando in rassegna le fasi evolutive della sociologia della conoscenza, Crespi rileva come inizialmente essa tenda a ritenere il sapere scientifico come una forma di conoscenza radicalmente diversa dall’ideologia. Successivamente, in seguito agli sviluppi della scienza (Plank, Einstein, Heinsenberg), il concetto di scienza si modifica anche grazie alle teorie di Popper e di Kuhn, per cui il parametro oggettivo della scienza viene individuato nello «scambio sociale della comunicazione reciproca delle osservazioni scientifiche, effettuate dai diversi scienziati». In base a questi mutamenti la sociologia della conoscenza situa la scienza nell’ambito dei processi concreti del suo realizzarsi. Secondo Crespi, le differenti teorie sociologiche si possono distinguere essenzialmente in due differenti tipi. Il primo tipo riguarda quelle teorie che sottolineano in particolar modo la funzione di “integrazione” svolta dal81 la cultura (Durkheim, Luhmann, Levì Strauss); il secondo tipo concerne quelle teorie che mettono in rilievo l’aspetto “dinamico” della cultura ( Blumer, Mead ecc.). Nella seconda parte del suo studio Crespi si occupa dei diversi ambiti di produzione della cultura e tra questi, in particolare, dell’ambito del linguaggio, in cui si evidenzia l’interdipendenza tra la struttura sociale, il linguaggio e i condizionamenti sociali dei fenomeni linguistici. In questo contesto Wittgenstein, soprattutto, ha sostenuto la presenza di una pluralità di giochi linguistici diversi collegati a differenti forme di vita. Un altro ambito analizzato da Crespi è quello del mito che, secondo la prospettiva della sociologia della cultura, viene considerato come la «prima forma di mediazione simbolica», frutto dell’esperienza collettiva e fonte della costituzione dell’identità sociale (Frazer, Lévi Strauss). Un altro ambito strettamente collegato a quello del mito è quello religioso, esaminato dalla sociologia della cultura soprattutto in relazione alla sua influenza nella dinamica sociale. La sociologia della religione si è sviluppata in due diverse direzioni; quella funzionalistica (Durkheim, Einsenstadt, Wilson, Malinoswski ecc.) e quella fenomenologica (Otto, Wach, Eliade ecc.). La sociologia della cultura ha studiato anche l’ambito artistico prendendo in considerazione i processi in base ai quali viene definito l’oggetto artistico. Sociologi dell’arte come Simmel, Weber e Mannheim, abbandonata la concezione romantica dell’artista come genio solitario, hanno sottolineato come i processi di creazione siano il prodotto di un «insieme complesso di condizioni economiche e sociali in rapporto a determinate istituzioni». Altri ambiti della sociologia della cultura considerati da Crespi sono i mezzi di comunicazione di massa, i sistemi di diritto, le simbologie prodotte dalle organizzazioni lavorative e le rappresentazioni politiche. Nell’ultima parte del libro, Crespi esamina i vari metodi di ricerca empirica dei fenomeni culturali tra i quali sono da rilevare l’analisi quantitativa e qualitativa, lo studio delle storie di vita, l’analisi dei processi di socializzazione e le tecniche reattive e non reattive. Secondo Crespi, ciò che definisce in modo peculiare la cultura contemporanea rispetto al passato è l’aver evidenziato l’ordine simbolico come ambito dotato di una propria autonomia rispetto alla realtà e nello stesso tempo come costitutivo di essa. Ciò ha determinato una svolta linguistica in base alla quale il linguaggio viene considerato come «l’intero dominio della ricerca umana» e viene criticata la metafisica tradizionale per la sua pretesa di trovare il fondamento assoluto della verità. M.Mi. RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi RIVISTA DI FILOSOFIA Vol. LXXXVII, n. 3, dicembre 1996 il Mulino, Bologna Alcune conseguenze della possibile violazione spontanea del principio cosmologico, di P. Budinich: l’abbandono del principio cosmologico, secondo cui «l’universo a grande scala è isotropo ed omogeneo», implica una rivoluzione scientifica le cui conseguenze fuoriescono dallo stretto campo della disciplina di cui il principio è a fondamento e vanno a modificare la nostra concezione del mondo. Obbligo naturale e motivazione normativa nel “Trattato” di Hume, di T. Magri. Il problema delle grandezze intensive nella filosofia dopo Kant, di R. Martinelli: intensivo ed infinitesimale da Kant ad Herbart; psicologia e dialettica delle grandezze intensive; la misurazione psicofisica; soluzione e dissoluzione del problema delle grandezze intensive. Pura storia o mera erudizione? La storia della filosofia nei paesi di lingua inglese, di L. Turco. Rousseau e un nuovo Enrico IV, di L. Luporini: la riflessione di Rousseau sul progetto di pace perpetua. La pseudoriforma del corso di laurea in Filosofia, di P. Rossi. FENOMENOLOGIA E SOCIETÀ Anno XIX, n. 3, 1996 Rosenberg & Selllier, Torino Il fascicolo contiene gli interventi relativi alla conversazione organizzata dalla rivista nel mese di dicembre 1994 a Padova sul rapporto fra tradizioni laiche e tradizioni religiose dopo la caduta del marxismo: Nuovo principio speranza, di G.L. Brena; Esercizi di perplessità, di R. Bodei; Identità religiose e cambiamento di paradigma: l’impossibile storicismo religioso a fondamento della teoria mo- rale di C. Taylor, di A. Fortin Melkevik. Sul simbolo. Un confronto tra la teoria psicoanalitica e la riflessione filosofica, di F. Sarcinelli: la natura polimorfa e complessa del simbolo impedisce una concettualizzazione esaustiva e univoca di esso. L’articolo si occupa del simbolo nell’ambito della teoria psicoanalitica di tipo freudiano tentando di inserire anche i possibili arricchimenti che a essa possono venire dalla riflessione filosofica in termini di aperture concettuali, strumenti analitici e ipotesi interpretative. La teoria voltairiana della tolleranza e le sue contraddizioni, di M. Zani: il Trattato sulla tolleranza di Voltaire (1763), sul tema della specifica proprietà morale della tolleranza che ne fa un’obbligazione universale, si basa sui presupposti teorici della prospettiva morale di tipo utilitaristico e della dottrina etica del giusnaturalismo, dalla cui sintesi dovrebbe scaturire, secondo Voltaire, una solida impalcatura argomentata a favore della tolleranza, ma che in realtà costituisce una coerenza più retorica che teorica, generando così aporie e difficoltà. Linguaggio e antropologia. Habermas e Gehlen: un confronto critico, di A. Sartori: una revisione delle tesi sull’agire sociale e sul linguaggio di Habermas dal punto di vista della riflessione di Gehlen che ha indagato con sistematicità il rapporto tra linguaggio, corporeità e pulsioni. T.S. Kuhn e la scoperta di Aristotele:. dalla metodologia alla storicità della conoscenza, di G. De Anna: se Wittgenstein e Quine fornirono a Kuhn alcuni concetti importanti per chiarire la propria concezione di razionalità, ancora più originaria appare l’influenza della Fisica di Aristotele. È quindi a partire da Aristotele e non da Wittgenstein che occorre riflettere per capire l’idea di razionalità di Kuhn, in particolare quando egli, opponendosi all’irrazionalismo, rifiuta anche il razionalismo. di derivazione cartesiana. RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Anno LXXXVIII, n. 2, aprile-giugno 1996 Vita e Pensiero, Milano Aristotele e la fondazione henologica dell’ontologia, di R. Brandner: l’articolo prende in esame la fondazione della cognizione ontologica in Aristotele intesa come scienza dei primi fondamenti e principi dell’ente in quanto ente; tale fondazione risiederebbe nell’henologia, cioè nel concetto di unità che circoscrive il campo concettuale preciso e distinto da quello di essere-ente. L’argomentazione si snoda a partire dall’innovazione ontologica socratica rappresentata dal pensare l’essere come essenza, per poi individuare la questione henologica all’interno del concetto di essenza; viene poi messa in luce la differenza tra on e hen come viene concepita da Aristotele per poi delimitare i concetti tematici dell’henologia. La “Freiheitsschrift” del 1809 come momento decisivo tra filosofia dell’identità e il rilievo dell’esistenza nel pensiero di Schelling, di M. Millucci: l’evoluzione del pensiero schellinghiano viene ormai interpretata come uno sviluppo coerente segnato da alcuni nodi centrali che scandiscono il passaggio da una fase all’altra della sua filosofia. In questo articolo si vuole analizzare la fase del tramonto della filosofia dell’identità identificabile nell’idealità negativa del concettolimite della “caduta” e nell’emergere di nuove urgenze teoretiche innescate dalle critiche di Eschenmayer e da nuove riflessioni dello stesso Schelling. In questo senso è emblematico il ruolo rivestito dallo scritto sulla libertà umana del 1809 dalla cui analisi possono essere tratti proficui spunti per un ancoraggio della filosofia schellinghiana ad alcune posizioni filosofiche attuali. Alcuni rilievi sul nesso tra verità, libertà e temporalità nella filosofia di Nietzsche, di D. Sacchi. Idealità del segno e intenzione nella filosofia del linguaggio di Edmund Hus- 82 RASSEGNA DELLE RIVISTE serl, di V. Costa: il linguaggio viene qui affrontato come tema “regionale” preliminare, secondo l’autore, al problema del linguaggio come condizione trascendentale della stessa fenomenologia. ARCHIVES DE PHILOSOPHIE tomo 59, n. 3, luglio-settembre 1996 Beauchesne Editeur, Parigi Fichte et la question nationale, di M. Maesschalck: nei Dialoghi patriottici e nel Discorso alla nazione tedesca di Fichte la comunità nazionale viene intesa non come insieme “chiuso” di caratteri etnico-linguistici, ma come figura storica “aperta”, ovvero come il luogo in cui il popolo viene progressivamente educato alla libertà civile e politica mentre, nell’estendersi dei rapporti internazionali, si pongono le basi di una “cultura comune” tra le diverse nazioni; una concezione, questa, che tende al superamento tanto del nazionalismo (nella sua versione romantica come in quella espansionistico-militarista) quanto del cosmopolitismo individualistico della philosophie dei Lumi. Jaspers, Heidegger et le langage, di D. Di Cesare: ontologia e filosofia del linguaggio in Jaspers nel confronto critico con Heidegger e con la filosofia analitica. Il discorso sulla natura dell’essere, che non si manifesta in modo immediato ma solo grazie alla mediazione dei “significati” del linguaggio e all’uso della metafora come strumento per andare “oltre” l’ente (dove la metafora “mira” all’essere senza tuttavia poterlo cogliere in modo definitivo e completo), consente a Jaspers di individuare una concezione profondamente inautentica e artificiale del linguaggio (definita come “arte linguistica secondaria”) tanto nell’“etimologismo” di Heidegger (l’equivalenza tra filosofare e fare etimologia imperniata sulla convinzione che sia il linguaggio la sede originale della verità e del senso, il luogo autentico in cui “avviene” la “storia dell’essere”) quanto nella presunta razionalità tecnico- scientifica della filosofia analitica. Scepticisme et usage du monde, di H. Vincent: una rilettura dello scetticismo di Montaigne come spunto per evidenziarne, oltre che le naturali componenti gnoseologiche, anche le implicazioni più tipicamente esistenziali: la scienza (o ricerca delle cause) come preclusione de “l’usage du monde”, dell’uso delle cose come le troviamo a prescindere dalla nostra capacità di penetrarne l’essenza; la natura del pregiudizio; il “commerce des hommes” e la costruttiva messa in gioco delle proprie opinioni con quelle altrui; il carattere “paradossale” della verità come emerge dal dialogo e dal confronto reciproco tra gli individui. Ces “Exercices spirituels” que Descartes aurait pratiqués, di M. Hermans e M. Klein: gli studi di Cartesio presso i Gesuiti, al Collegio di La Flèche, e i debiti della sua filosofia nei confronti degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola e del Manuale sodalitatis di P. Verron. Discours et méthode, di G. Boss; il Discorso sul metodo di Cartesio come premessa per una serie di considerazioni sulla ripartizione della razionalità tra gli uomini, sulla possibilità di individuare le condizioni concrete per elaborare una riflessione sul metodo e sul rapporto tra scoperta del metodo e casualità. La dialectique ascendante du “Banquet” de Platon, di G. Liberman: il nesso tra Amore e Bellezza in una lettura del Simposio che mira ad analizzare, nella loro coerenza interna e nel loro significato, le varie fasi dell’ascesi dell’amante verso il Bello in sé. Nel presupposto della continuità tra il mondo dei corpi e quello dello spirito vengono evidenziate le due modalità di astrazione che sovrintendono all’ascesi (qualitativa, che ordina l’elevazione dal sensibile all’intellegibile, e quantitativa, che regola il progressivo elevarsi dall’individuale all’universale) e la compresenza, in entrambe le dimensioni, dei tre livelli dell’uno, della pluralità e dell’universalità. Nouveautés schellingiennes, di X. Tilliette: sintetica rassegna dei più recenti studi dedicati alla filosofia di Schelling dalla ricerca francese, italiana e tedesca. LES ETUDES PHILOSOPHIQUES luglio-settembre 1996 PUF, Parigi Tema della rivista: “Philosophie médiévale, logique et sémantique” (con una introduzione di J. Biard). Naissance de la logique de la volonté dans la pensée médiévale, di S. Knuuttila (trad. dall’inglese di N. Combettes): partendo dalla descrizione della teoria agostiniana dell’autonomia del volere esposta da A. Dilhe nel saggio The Theory of Will in Classical Antiquity, l’articolo esamina il concetto di “volontà” come si delinea nel De Civitate Dei, soffermandosi sui commenti di Agostino alla teoria classica delle “emozioni” nei loro rapporti con la parte superiore dell’anima in cui ha sede la volontà ed evidenziando l’influenza esercitata dal vescovo di Ippona sull’etica e sulla logica deontica della tradizione medievale, con particolare riguardo per la genesi e gli 83 sviluppi della cosiddetta “logica della volontà”. Asymetries: Thomas d’Aquin et Guillaume d’Occam précurseurs de Frege, di C. Michon: muovendo dalla critica di un saggio di P.T. Geach sui rapporti tra logica classica e medievale e logica moderna l’articolo intende dimostrare come, riguardo soprattutto ai concetti di simmetria e asimmetria tra soggetto e predicato di una proposizione, Tommaso e Occam non siano tra loro in antitesi e possano a buon diritto venire considerati come precursori delle teorie logiche di Frege. Le langage mental en discussion: 13201335, di C. Panaccio: le teorie logicofilosofiche di Occam (critica nominalistica degli universali e dottrina del “linguaggio mentale”), i loro più immediati precursori (Agostino, Anselmo, Duns Scoto) e il dibattito sviluppatosi su di esse, nella prima metà del XIV secolo, nell’ambiente dei logici inglesi sia dell’ordine domenicano (Lawton, Crathorn e Holkot) che dell’ordine francescano (Chatton, Wodeham e lo Pseudo-Campbell). Autour des “Obligations” de Roger Swynhed: la “Nova Responsio”, di E.J. Ashworth: le regole della disputa logica “obbligazionale” elaborate dall’inglese R. Swynhed riconsiderate nei loro rapporti con le teorie di Richard Laveham, Robert Fland ed altri logici del XIV secolo. De la logique à la physique: quantité et mouvement selon Albert de Saxe; di J. Biard: riflettendo sulle interconnessioni tra la logica e le altre forme del sapere (in primo luogo la fisica) nella filosofia tardo-medievale, l’articolo si sofferma sulla Francia del XIV secolo, prendendo in esame le osservazioni elaborate da Alberto di Sassonia (1316-1390) sul concetto di quantità e sulla natura del movimento locale. Théories de la vérité et sémantique des conditions de vérité: le projet de Tarski, di F. Rivenc: un’attenta disamina della nozione tarskiana di verità nei suoi rapporti con le teorie di Popper, Quine, Carnap e Davidson. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN n. 2, maggio 1996 Università Cattolica di Lovanio Sezione “articles”: Descartes. Le quatrieme centenaire. 1596-1996. L’analyse cartésienne et la construction de RASSEGNA DELLE RIVISTE l’ordre des raisons, di B. Timmermans: l’articolo si sofferma sul significato e sul ruolo dell’analisi nella costruzione del metodo, sul carattere aprioristico dell’analisi cartesiana, sui suoi rapporti con la nozione di analisi propria della tradizione scolastica e sulla sua parentela con il “modello architettonico” di analisi elaborato da Galeno. De la liberté absolue. A propos de la théorie cartésienne de la création des vérités éternelles, di O Depré: sono qui esaminati i testi in cui viene elaborata la dottrina della creazione divina delle essenze eterne e delle verità matematiche per evidenziare come, in Cartesio, tale teoria sia finalizzata ad affermare l’assoluta trascendenza e libertà di Dio in una prospettiva filosofica sostanzialmente originale nel panorama della riflessione metafisica tanto medievale (Duns Scoto e Scoto Eriugena) quanto moderna (Leibniz e Spinoza). Du bon sens le mieux partagé..., di D. Lories: riflettendo sui rapporti tra sapere filosoficoscientifico (metafisica, fisica e matematica) e agire pratico nel pensiero di Cartesio e sul riconoscimento, nei due ambiti, di differenti gradi di evidenza e di certezza, si mette a confronto il concetto cartesiano di génerosité con quello aristotelico di phronésis (la virtù etico-politica come descritta nell’Etica a Nicomaco) evidenziandone i tratti comuni maggiormente significativi: la relazione, in essi implicita, tra la contingenza e la particolarità del soggetto agente e la norma universale cui dovrebbe conformarsi la sua azione (la regola del “bene agire”) e l’apertura, anche e soprattutto in chiave politica, al rapporto “amichevole” e “solidale” con l’altro. L’esthétique musicale de Descartes et le cartesianisme, di B. Van Wymeersch: l’articolo prende in considerazione le riflessioni di Cartesio sull’arte e sul bello, dalle teorie esposte nel giovanile Compendium musicae all’evoluzione verso un’estetica di tipo “soggettivo” caratteristica delle opere più mature; il giudizio sull’estetica di Cartesio come estetica “razionale”, formulato dagli stessi cartesiani tra il XVII e il XVIII secolo , appare così all’autore un fraintendimento, almeno parziale, della autentica concezione estetica del filosofo francese. Le cogito ébloui ou la noèse sans noème, di M. Dupuis: l’autore dedica il suo intervento ai rapporti tra Cartesio e Levinas, con particolare riguardo alla dottrina della creazione delle idee eterne e alla questione della presenza, nell’uomo, dell’idea di infinito. Penser l’Autre: de l’architectonique d’un système qui ne serait pas homogéneisant, di P.W. Rosemann, dedicato agli insegnamenti che la riflessione filosofica potrebbe ricavare dall’architettura e dalla moda cosiddette “post-moderne” soprattutto in materia di attenzione al contesto storico e sociale, di eclettismo di pensiero, di uso di adeguati codici d’interpretazione e di lettura della realtà e di riconoscimento dei limiti delle facoltà razionali-. “sapienza universale”, evidenziando come la nuova impostazione del pensiero di Husserl tenda a elaborare un concetto di a-priori in grado di rimettere in discussione la nozione di “a-priori materiale” propria delle precedenti Ricerche logiche. REVUE DE METAPHYSIQUE ET DE MORALE Concept, jugement et “forme serielle”: à propos de la philosophie des formes symboliques comme “logique des relations”, di F. Capeillères: dopo aver affrontato, in Sostanza e funzione, le tematiche della natura e del ruolo del concetto e del giudizio nella conoscenza scientifica (unità quantitativa della funzione concettuale, logica delle relazioni, nesso tra logica del concetto scientifico e logica matematica legata al calcolo delle funzioni) Cassirer, in Filosofia delle forme simboliche, tende al superamento della problematica del concetto e del giudizio in vista di una progressiva delucidazione del processo di simbolizzazione tanto nel sapere scientifico quanto in altre modalità del conoscere (in primo luogo il mito); la logica delle relazioni ricompare però anche nell’analisi e nello studio delle forme simboliche e dei loro rapporti reciproci. n. 3, settembre 1996 Armand Colin-Parigi Tema della rivista: “Le Jugement” La monstration, unique mode de donation de l’a-priori chez Wittgenstein, di C. Chauviré: il tema del darsi dell’a-priori nelle due fasi del pensiero di Wittgenstein. Mentre nel Tractatus logico-philosophicus le proprietà logiche del linguaggio (l’a-priori appunto) non si possono dire ma si limitano a “mostrarsi” nel linguaggio medesimo, e lo stesso apriori ha origine “mondana” in quanto è il mondo a imprimere la propria struttura al linguaggio (da cui il giudizio di inutilità sulla teoria dei tipi logici), nel cosiddetto “secondo Wittgenstein” la mostrazione resta ancora il solo modo di donazione dell’a-priori; qui, però, l’a-priori si mostra propriamente nelle regole grammaticali e proviene non dal mondo, ma dallo stesso soggetto che instaura le regole stesse senza subire imposizioni di alcun genere dalla natura (tesi della “autonomia relativa” della grammatica). L’étude des théories du jugement chez le jeune Heidegger, di F. Dastur: l’articolo esamina la Dissertazione del 1914 (La théorie du jugement dans le psychologisme), esempio importante delle giovanili ricerche logiche di Heidegger e della sua analisi critica delle teorie dei logici contemporanei; ritenendo che la maggior parte dei logici persistano nel rimanere legati a concezioni di tipo “psicologistico” (in quanto definiscono il giudizio come atto sostanzialmente “psichico”), Heidegger, avendo come riferimento le Ricerche logiche di Husserl, si sofferma piuttosto sul “senso” del giudizio e sulla sua struttura relazionale, nel tentativo di chiarificare e delineare compiutamente la natura propriamente “logica” del giudizio medesimo. L’“en soi” husserlien à la lumière de la doctrine trascendentale du jugement, di E. Rigal: l’articolo analizza la “fenomenologia trascendentale” husserliana (soprattutto quella esposta in Logica formale e logica trascendentale), con particolare riguardo per la dottrina trascendentale del giudizio e per la nozione di radicamento dell’“in sé” logico nella soggettività trascendentale (ovvero nella coscienza come “residuo fenomenologico”) quale fondamento dell’idea di 84 La doctrine du jugement correct dans la philosophie de F. Brentano, di J.C. Gens: l’articolo si propone di individuare le caratteristiche fondamentali della dottrina brentaniana del giudizio, inquadrandola nel tentativo di Brentano di pervenire a una riforma “semplificatrice” della logica e della sillogistica in particolare. Dall’analisi del rapporto tra “evidenza” della percezione e “verità” del giudizio e della differenza tra modo “giudicativo” e modo “rappresentativo” della relazione tra soggetto e oggetto del rapporto conoscitivo, oltre che dall’esame della natura della rappresentazione (rinuncia all’idea scolastica della “presenza intenzionale” e distinzione delle modalità - diretta, laterale, temporale interne al processo rappresentativo) e dall’affermazione del “giudizio esistenziale” come essenza del modo giudicativo viene delineata, in Brentano, la tendenza a ricondurre la predicazione logica al giudizio (dunque alla soggettività) e a elaborare una teoria del giudizio come fenomeno psichico senza per questo scadere in una interpretazione meramente “psicologistica” della logica medesima. Théorie du jugement negatif, di A. Reinach: viene qui pubblicato, con presentazione e traduzione dal tedesco di M. de Launay, un breve saggio sulla natura del giudizio scritto da Adolf Reinach (18831917), fenomenologo oltre che assistente e collaboratore di Husserl. Reinach inizia col distinguere due “modi” del giudizio, la “affermazione” e la “con- RASSEGNA DELLE RIVISTE vinzione”, introduce quindi la distinzione tra i concetti di “stato di cose” (caratterizzato dalla “consistenza”) e “stato di fatto” (caratterizzato dalla “esistenza”) e, analizzando il rapporto tra “stato di cose” e “modi” del giudizio, passa a esaminare la natura del giudizio negativo nel modo della convinzione (convinzione negativa verso uno stato di cose positivo e viceversa) e il rapporto tra giudizio negativo e positivo nel modo dell’affermazione (dove ciò che qualifica i due tipi di giudizio come tali è proprio il momento dell’affermazione, con la differenza che, nel giudizio negativo, l’affermazione è caratterizzata da una “funzione di negazione” che non si riscontra nel giudizio positivo). Viene quindi introdotta la figura del giudizio negativo “polemico” che si differenzia dal giudizio negativo “semplice” sia per la particolare “insistenza”, in esso, della funzione di negazione, che per il suo presupporre un giudizio positivo a esso contraddittorio. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER n. 3, luglio-settembre 1996 PUF, Parigi Tema della rivista: “Jean-Paul Sartre”. La conscience n’est pas sujet: pour un materialisme authentique, di M. Kail: la tradizione marxista e quella heideggeriana hanno definito, sovente con intento spregiativo, la filosofia esistenzialistica di Sartre come mero “soggettivismo”; in realtà, anche tramite un confronto non solo con Marx e Heidegger, ma anche con il trascendentalismo kantiano e lo spiritualismo di Maine de Biran, il pensiero di Sartre, nella sua dimensione innegabilmente materialistica ed immanentistica, opera una “dissociazione” tra dimensione soggettiva e dimensione coscienziale, ricomprende la prima nella maggiore ampiezza e significatività della seconda ed è dunque più correttamente definibile non come “filosofia del soggetto”, quanto come vera e propria “filosofia della coscienza”. Etre social et logique de l’impuissance, di H. Rizk: la lettura della Critique de la raison dialectique evidenzia come Sartre non si sottragga al dilemma posto da Merleau-Ponty nella sua critica al marxismo, quello per cui la libertà del soggetto può risultare di fatto incompatibile con la necessità che impregna e domina il processo storico; nella riflessione sui rapporti tra relazione interindividuale, penuria dei beni materiali (rareté) e genesi della società, si vede infatti come, per Sartre, sia la stessa attività del soggetto (il per sé) nella realtà “opaca e massiccia” che lo circonda (l’in sé) a produrre la sua “alienazione” in un mondo sociale e in uno sviluppo storico che risultano così dominati, a prescindere dalla capacità dei soggetti, uniti nella figura del “gruppo in fusione”, di sottrarsi alla “inerzia” del reale, dalla necessità, dall’impotenza e dalla mancanza di libertà. Panbiographisme chez Sartre, di R. Harvey: in tutti i numerosi generi della produzione sartriana, e dunque non solo, ad esempio, nelle “vite” di Baudelaire o di Flaubert, è possibile riscontrare la presenza di una componente “biografica”; di qui la possibilità di parlare, legittimamente, di un “panbiografismo” sartriano, concetto non privo di rapporti con la tematica del “soggetto collettivo” e caratterizzato dalla costante tendenza all’identificazione tra la personalità dello stesso Sartre e quella dei soggetti delle sue biografie. L’engagement dans “Journal de guerre I” de Jean-Paul Sartre, di G. Idt: nel Journal de guerre I, redatto tra il settembre e l’ottobre del 1939 e facente parte dei Carnets de la drole de guerre, Sartre, richiamato alle armi allo scoppio del secondo conflitto mondiale, riflette sul significato della guerra e sui dilemmi, filosofici, politici e morali che l’esperienza bellica suscita in colui che la subisce; si può così formulare l’ipotesi, supportata dal confronto del Journal con le opere più significative del filosofo francese (in primo luogo L’Etre et le néant), che proprio nell’esperienza della guerra vada individuato il momento in cui, in una riflessione come quella sartriana fino ad allora caratterizzata dall’individualismo apolitico dell’“uomo solo”, inizi a trovare spazio il concetto di engagement, ovvero di impegno attivo dell’intellettuale nelle dimensioni “collettive” del sociale e del politico. MAN AND WORLD vol. 29, n. 2, luglio 1996 Kluwer Academic Publishers Dordrecht, Boston, Londra The Other, society, people of God, di A. Peperzak: l’autore rilegge le principali riflessioni di Levinas alla luce di un linguaggio non-levinasiano. Così l’ipseità dell’io, l’alterità dell’Altro e quella forma di società che Totalità e Infinito chiama economia si concretizzano nel mondo dell’Amministrazione e della Politica, che è l’ordine della giustizia generale. L’articolo si conclude con alcune suggestioni sul “popolo di Dio”, la cui storia è segnata dalla tensione tra amore e giustizia. Dis-possessed: How to remain silent “af85 ter” Levinas, di R. Visker: in polemica col decentramento del soggetto operato dallo strutturalismo, viene riaffermato il valore della soggettività, da cui scaturisce un quesito a cui l’autore tenta di dare una risposta ricorrendo al ruolo della parola “Dio” in Levinas, vale a dire se la soggettività implichi una certa chiusura difficile da conciliare con il desiderio di apertura e ricettività del presente. I principali termini di confronto sono Kant e Habermas. The time of Being and the metaphysics of presence, di C.J. White: sulla metafisica della presenza che caratterizza tutta la cultura occidentale a partire da Platone e Aristotele, poiché, come ha evidenziato Heidegger, l’Essere e la Temporalità coincidono, e quindi l’Essere è la presenza. Merleau-Ponty and feminine embodied existence, di B. Preston: sulla filosofia del corpo di Merleau-Ponty confrontata con un articolo di I.M. Young che elabora una fenomenologia dell’esistenza corporea femminile che approda a risultati opposti. Nature and philosophy: Adam Smith on stoicism, aesthetic reconciliation, and imagination, di C.L. Griswold jr. Simmetry and asymmetry: on Girard’s concept of mimesis, di D. Barbiero. INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY vol. XXXVI, n. 3, settembre 1996 Fordham University, New York Kant’s Changing Conception of the Causality of the Will, di C. Nussbaum: l’introduzione del teleologico come indispensabile principio del giudizio riflessivo ha permesso a Kant di formulare il nuovo imperativo morale della Religione nei limiti della semplice ragione, in cui realizza in modo più convincente il legame tra teleologico e ragione pratica, di quanto non avesse già fatto nella Critica del giudizio. Husserl, Derrida, Hegel and the Notion of Time, di J. Smith: intende fornire una risposta alla decostruzione derridiana della fenomenologia della coscienza interna del tempo di Husserl, rintracciando le radici della differenza di Derrida nella dialettica hegeliana dell’Aufhebung. Aquina’s Concept of Substantial Form and Modern Science, di T.L. Nichols: la nozione di forma sostanziale è centrale nel pensiero di San Tommaso, come di RASSEGNA DELLE RIVISTE molti antichi e medievali, mentre il suo rifiuto è una delle caratteristiche fondamentali del pensiero moderno, in particolare delle scienze naturali. Secondo l’autore è fondamentale il recupero di un concetto scientificamente credibile di forma sostanziale, molto simile alla nozione di causa olistica recentemente ripresa dalle scienze naturali, per bilanciare la iperspecializzazione e conseguente frammentazione del pensiero moderno incapace di risolvere i problemi della vita moderna. Descartes and Wittgenstein on Emotion, di J.V. Arregui. Radical Pragmatism and a Theory of Person, di R.J. Roth S.J.: James afferma che l’empirismo “ordinario” (Berckeley, Hume, J. Mill, J.S. Mill) non è abbastanza radicale, non penetra in profondità nell’esame dell’esperienza, cogliendo così singoli eventi mentre connessioni e relazioni vengono perse. Allo stesso modo l’autore intende mostrare che il pragmatismo stesso non è abbastanza radicale nel selezionare le implicazioni della sua tradizione e considerare la possibilità di nuove dimensioni nel convenzionale buon senso pragmatico da una più radicale, riflessiva considerazione dell’esperienza. linguaggi formali di un numero di plausibili e distinti concetti di verità logica. Ricordiamo anche The validity Paradox in Modal S5, di D. Jacquette; Confirmation Holism and Semantic Holism, di M. Harrell e infine Anti-realistic Truth and Concepts of Super-assertibility, di J. Edwards che sconfronta le tesi di Wright sulla superassertabilità come esplicazione antirealista della verità con quelle di Dummett. JOURNAL OF LOGIC, LANGUAGE AND INFORMATION (vol. 5, n. 3-4, ottobre 1996, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, Boston, London) presenta un numero doppio a carattere monografico su “Teoria dimostrativa e linguaggio naturale”. RIVISTA ROSMINIANA (Anno XC, n. 4, ottobre-dicembre 1996, Sodalitas, Stresa) presenta un intervento di J.M. Trigeaud dal titolo La justice divine entre nature et personne. INTERSEZIONI (Anno XVI, n. 3, dicembre 1996, il Mulino, Bologna) presenta un intervento di J. Jiménez Heffernan dal titolo La Cena delle Ceneri. Verso una conoscenza immaginativa e Il mito di Prometeo nell’interpretazione di Francesco Bacone, di A. Ciocci in cui il mito greco viene letto in chiave di progresso scientifico. TEOLOGIA (Anno XXI, n. 3, settembre AXIOMATHES (vol. VII, n. 1-2, aprile- settembre 1996, Estrella de Oriente, Trento) presenta un fascicolo doppio sulla filosofia di Alexius Meinong comprendente numerosi interventi riguardanti l’ontologia, la gnoseologia e l’epistemologia meinongiana, messe a confronto con le teorie di Husserl, Frankl, Daubert, Witasek. Tra i molti articoli segnaliamo: A cubist state of mind: Meinong’s ontology, di L. Albertazzi, e On defoliating Meinong’s jungle, di D. Jacquette, per quanto concerne l’ontologia; Meinong and Husserl on assumptions, di R.D. Rollinger, Wissenschaftstheorie der Grazer Schule: Meinong und Frankl, di W.G. Stock, Seeing and thinking: Vittorio Benussi and the Graz School, di N. Stucchi, dedicati a temi epistemologici. MIND (vol. 105, n. 420, ottobre 1996, Oxford University Press) presenta Rossstyle Pluralism versus Rule-consequentialism, di B. Hooker; Instrumentalism and the Interpretation of Narrative, di A. Savile e Anti-realism, truth-value Links and Tensed Truth Predicates, di B. Weiss. SYNTHESE (vol. 109, n. 1, ottobre 1996, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, Boston, London), presenta The logic of Question as a Theory of Erotetic Arguments, di A. Wisniewski, sulle argomentazioni nelle quali le domande fungono da conclusioni; The Truth of Logic, di E.M. Hammer, presenta la possibilità anche per i 1996, Glossa, Milano) riporta gli interventi al dibattito sul tema del rapporto tra filosofia e teologia organizzato il 13 maggio 1996 presso la facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Pur essendo considerate sul piano della cultura pubblica due discipline estrinseche reciprocamente, anche quando trattano lo stesso oggetto, nei fatti per gli studiosi tale estrinsecità appare sterile e teoreticamente di scarso valore. Senza porre necessariamente l’esigenza di un confronto tra i due saperi è emersa comunque una prospettiva di irrinunciabile dialogo. CUADERNOS SOBRE VICO (n. 5-6, 1995-96, Centro Studi Vichiani, Università di Siviglia) presenta una fascicolo piuttosto esteso con contributi allo studio di Vico provenienti da studiosi spagnoli italiani, anglosassoni. Essa rappresenta pertanto un punto d’incontro internazionale e interdisciplinare tra studiosi appartenenti ad aree geografiche diverse. turale, dove vengono prese in esame due opere Renewing Philosophy (1992) e Words and Life (1994) da cui in maniera paradigmatica possono essere individuate le due caratteristiche fondamentali della filosofia di Putnam, la versatilità e la fecondità. È comunque vero che, al di là dei cambiamenti di opinione che si sono succeduti nel tempo, dalla metafisica realistica e dal funzionalismo alla concezione epistemica della realtà, la sua filosofia appare fondata sul proposito di individuare un approccio alla filosofia intermedio tra il realismo dogmatico e l’antirealismo dogmatico. KAMEN (Anno V, n. 9, novembre 1996) presenta l’ultima parte del Narciso di G.S. Skovoroda a complemento dell’opera pubblicata nel numero precedente della rivista. TEOLOGIA E FILOSOFIA (Anno X, n. 3, settembre-dicembre 1996, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) presenta un fascicolo monografico su “Linguaggio e rivelazione”. Come spiegano Luigi Perissinotto e Mario Ruggenini, i saggi qui raccolti, inerenti a una tematica sia teologica che filosofica, sembrano tutti animati dalla convinzione che le due discipline siano inevitabilmente portate al confronto. Più in particolare, la svolta linguistica propria della filosofia contemporanea necessita un ripensamento “sia delle maniere in cui la teologia ha pensato la linguisticità dell’evento rivelativo che dei modi in cui la filosofia ha compreso ed interpretato se stessa e i suoi rapporti con l’esperienza religiosa”. Gli autori hanno prvilegiato nei loro saggi quei filosofi che con maggior forza hanno tematizzato la relazione tra linguaggio e rivelazione, anche se in campo filosofico ciò non ha comportato atteggiamenti preconcetti; ne sia testimonianza la significativa presenza di Wittgenstein, filosofo che più di altri ha sperimentato la disvelatività del linguaggio con strumenti molto lontani da quella tradizione ermeneutica che più chiaramente si richiama alla teologia. LA CULTURA (Anno XXXIV, n. 3, di- dicembre 1996, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) presenta un fascicolo monografico sul tema della “responsabilità”. cembre 1996, il Mulino, Bologna) presenta un intervento di A. D’angelo, Le categorie in quanto essere per sé. Commentator contra Avicennam , in cui si prende in esame la contrapposizione esegetica tra Averroé, Tommaso d’aquino, Sigieri di Brabante da un lato, Avicenna dall’altro, circa il significato primario e secondario delle categorie. Segnaliamo inoltre Idealismo e trascendenza, di S. Pietroforte su Gustavo Bontadini. LINGUA E STILE (Anno XXXI, n. 4, FILOSOFIA POLITICA (Anno X, n. 3, dicembre 1996, il Mulino, Bologna) presenta un articolo di M. De Caro su Il lungo viaggio di H. Putnam. Realismo metafisico, antirealismo e realismo na- dicembre 1996, il Mulino, Bologna) presenta un numero monografico sul tema “Materiali per un lessico politico europeo: tirannide”. IL CANNOCCHIALE (n. 3, settembre- 86 NOVITÀ IN LIBRERIA AA.VV. (a cura di) Lexikon des Mittelalters Artemis & Winkler, settembre 1996 pp. 1120 al vol., DM 660 per vol. Si tratta di un’opera in otto volumi, più un volume aggiuntivo, curata da oltre 100 esperti di mediovalismo, che sarà pronta nel ’98 e di cui sono già apparsi i volumi dal I al VII. Contiene articoli biografici, sulle città e le nazioni, di impianto generale e specifico. I volumi forniscono anche il primo resoconto del livello a cui è giunto lo studio sul Medioevo e uno strumento indispensabile per gli studenti e i ricercatori. NOVITÀ IN LIBRERIA Baumgartner, E. (a cura di) Handbook of Phenomenology and Cognitive Science Röll, novembre 1996 pp. 392, DM 98. Beeley, Philip Kontinuität und Mechanismus. Zur Philosophie des jungen Leibniz in ihrem ideengeschichtlichen Kontext Steiner, novembre 1996 pp. 398, DM 140. AA.VV. L’esthétique des philosophe Dis voir, ottobre 1996 pp. 160, F 160 Dieci filosofi si sono riuniti per discutere di alcuni problemi di estetica. Per tutti gli interessati alla materia. Abel, G. - Sandkühler, H.J. (a cura di) Pluralismus - Erkenntnistheorie Ethik und Politik Meiner, novembre 1996 pp. 160, DM 36. Aboul-El-Magd, Esam Nietzsche. Ressentiment und schlechtem Gewissen auf der Spur Königshausen & Neumann, ottobre 1996 pp. 138, DM 29,80. Adorno, Francesco Paolo Le style du philosophe: Foucault et le dire vrai Kimé, ottobre 1996 pp. 162, F 125 L’autore manifesta qui il suo interesse per le affermazioni intorno alla verità di Foucault. Egli cercherà di infrangere gli steccati all’interno dei quali i suoi contemporanei lo avevano rinchiuso. Gli sembra infatti necessario insistere su quello che sarebbe il fulcro principale del pensiero di Foucault: il fatto che Foucault avrebbe stabilito un legame tra un paradigmatico della verità e un certo modo di pensare al soggetto. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Agacinski, Sylviane Critique de l’égocentrisme: l’évènement de l’autre Galilée, ottobre 1996 pp. 157, F 150 Bisogna abbandonare la posizione egocentrica della questione dell’altro e quindi non partire dal soggetto che crede di pensare a se stesso prima dell’altro, che si interroga su se stesso a proposito dell’altro. Il pensiero che testimonia il suo non essere all’altezza del compito rivolge quindi la sua attenzione all’altro come unico testimone della sua inquietudine e del suo interrogarsi. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Alcaro M., Bufalo R. (a cura di) John Dewey oggi: contributi di M. Alcaro et al. Abramo, settembre 1996 pp. 195, £ 29.000 Studiosi di diversa formazione si confrontano su uno dei pensatori più significativi del ’900. Visalberghi, Semerari, Bufalo, Lecaldano e Alcaro rivisitano i settori principali della produzione strumentalista per sondarne l’attualità. Maffettone, Spadafora, Liguori, Candreva e Quaranta segnalano l’influenza che Dewey ha esercitato su vari indirizzi della filosofia e della pedagogia contemporanee. Algra, K.A. (a cura di) Polyhistor. Studies in the History and Historiography of Ancient Philosophy Brill, settembre 1996 s.pp., FOL 225. Althusser, Louis Pour Marx pref. di Etienne Balibar postf. di Louis Althusser La Découverte, novembre 1996 pp. 288, F 69 Si tratta di un’opera di grande importanza, una raccolta di articoli, pubblicata per la prima volta nel 1965, uno dei cardini fondamentali del percorso intellettuale originale. Quest’edizione contiene una prefazione inedita del filosofo E. Balibar e la postfazione proccio al problema dei fondamenti della matematica, finora visti nell’ottica delle proposte formalista e intuizionistica. Baltes, M. (a cura di) Der Platonismu in der Antike. Grundlagen - System - Entwicklung Indice ai voll. I-IV Frommann-Holzboog, novembre 1996 pp. 200, DM 79 Il volume raccoglie le ricerche di Heinrich Dörrie. che L. Althusser aveva redatto per le edizioni straniere di questo libro. Per tutti gli interessati alla materia. Apel, Karl-Otto L’éthique après Kant Cerf, novembre 1996 pp. 185, F 150 Apel, l’iniziatore con Habermas dell’etica della discussione, ha riunito nell’ultima sua opera - Discussione e responsabilità - una somma di studi che rappresentano il tentativo più ardito di esaminare sistematicamente i problemi etici, sia dal punto di vista della filosofia moderna e contemporanea sia da quello delle realtà del mondo di oggi. Per tutti gli interessati. Bar-Elli, Gilead The Sense of Reference. Intentionality in Frege de Gruyter, novembre 1996 pp. 251, DM 168 Si tratta di un’interpretazione dei concetti fondamentali della filosofia del matematico tedesco Gottlob Frege (1848-1925), il fondatore della moderna logica e della filosofia del linguaggio. Aristoteles Discorsi sull’esistenza:libri 7-8-9 della Metafisica introduzione, traduzione e note di Giovanni Salmieri San Paolo, ottobre 1996 pp. 316, £ 38.000 Questa edizione, che presenta integralmente con testo originale a fronte i libri che costituiscono il nucleo della ricerca intende suggerire un ritorno allo spirito primitivo della ricerca di Aristotele. Con l’aiuto di una nuova traduzione e note di commento il più possibile aderenti alla lettera del testo, emerge una Metafisica attenta soprattutto a riconoscere la limitazione del pensiero umano di sua natura povero e sempre bisognoso di un supporto empirico. Barloewen, C. von (a cura di) Der Tod in der Weltkulturen und Weltreligionen Diedrichs, ottobre 1996 pp. 500, DM 58. Bartelborth, Thomas Begründungsstrategien. Wege durch dia analytische Erkenntnistheorie Akademie Vlg., novembre 1996 pp. 400, DM 78 Quando un’opinione è ben motivata? Ricollegandosi alle moderne concezioni teorico-scientifiche delle teorie, viene presentata una nuova teoria della conoscenza, che raccoglie sia le spiegazioni che vengono fornite nella quotidianità sia le scienze dello spirito e della natura. Arz de Falco, Andrea Töten als Anmaßung- Lebenlassen als Zumutung. Die kontroverse Diskussion im Ziele und Konsequenzen der Pränataldiagnostik Univ.-Vlg. Freiburg/CH, novembre 1996 pp. 308, DM 58 Si tratta della tesi di laurea presentata dall’autrice presso l’Università di Friburgo, in Svizzera, quest’anno. Bartels, Andreas Grundprobleme der modernen Naturphilosophie UTB, ottobre 1996 pp. 240, DM 24,80 L’autore riflette su concetti centrali per l’apparato teoretico - spazio, tempo, materia, caos, spirito, ambiente -, presenta le teorie e fornisce una risposta alla domanda intorno a quale idea si ha della natura e se sono vere le moderne teorie delle scienze naturali. Averroè Discours décisif intr. di Alain de Libera tr. dall’arabo di Marc Geoffroy Flammarion, settembre 1996 pp. 256, F 45 Si tratta di un testo breve, ma essenziale, sulla necessità di conciliare la logica aristotelica con la scrittura. Il volume dovrebbe essere letto e inquadrato nel dibattito attuale sull’Islam, che per qualcuno significa fanatismo. L’autore, nato nel 1126, ricorda la necessità dell’esoterismo e il rifiuto dell’interpretazione letterale della religione. Il volume presenta il testo nella versione bilingue francese-arabo. Per tutti gli interessati. Baruzzi, Arno Machbarkeit. Perspektiven der Lebensformen Alber, novembre 1996 pp. 272, DM 28 La teoria classica non dà alla vita ciò di cui ha bisogno: l’autodeterminazione e l’autonomia. Queste facoltà sono, secondo Baruzzi, da conquistare attraverso un pensiero, che non diventa ideologia, ma che riconosce i suoi limiti e soprattutto le sue fonti vitali e non permette che queste si esauriscano. Baldino, Mario - Bonesio, Luisa Resta, Caterina (a cura di) Geofilosofia Lyasis, ottobre 1996 pp. 206, £ 27.000 In questo libro gli autori mostrano come attualmente la filosofia debba intendersi come geofilosofia, cioè consapevolezza che non c’è più spazio per la settorializzazione dei problemi ma che è già da tempo iniziata l’era planetaria in cui si devono affrontare scelte che riguardano il destino della Terra nel suo complesso e dei suoi abitanti. Basti, Gianfranco Le radici forti del pensiero debole: dalla metafisica, alla matematica, al calcolo Il poligrafo, settembre 1996 pp. 332, £ 35.000 Questo libro tenta per la prima volta di mettere in luce l’intrinseca connessione tra i problemi della metafisica classica e le questioni dei fondamenti della matematica affrontate dai moderni. L’originalità di questo tentativo consiste nella proposta di una “terza via”- di ispirazione tomista - di ap- 87 Besnier, Jean-Michel Les théories de la connaissance Flammarion, ottobre 1996 s.pp., F 39 L’autore esamina tutte le teorie filosofiche che rendono conto dei saperi sul mondo. Si tratta di un’analisi critica dei concetti di intenzionalità e di rappresentazione. Mostra la ricerca dell’assoluto e dell’unità che sottiene a ogni progetto scientifico e critica anche il modo in cui la scienza a volte diventa una specie di sostituto delle religioni. Per tutti gli interessati. Besse, Jean-Marc - Boissière, Anne Précis de philosophie Nathan, ottobre 1996 pp. 160, F 63 Il volume raccoglie dei testi esplicativi che consentono di capire meglio i grandi filosofi di ieri e di oggi, le correnti del pensiero del XX secolo, così come le nozioni fondamentali. Vengono studiati i principali campi della filosofia attuale e le prove d’esame presentate. Di livello universitario. Bianchi, Lorenzo Rinascimento e libertinismo: studi su Gabriel Naudé Bibliopolis, novembre 1996 pp. 306, £ 50.000 Questo libro propone degli studi su Naudé: rinascimento e libertinismo, libertinismo e conservatorismo politico, Naudé e lo stoicismo, Naudé e la critica all’alchimia, per una biblioteca libertina. Biesinger, A. - Strack, H.-B. Gott, der Urknall und das Leben. Was Glaube und Naturwissenschaft voneinander lernen können Kösel, ottobre 1996 pp. 200, DM 36. Binder, Th. - Fabian, R. et al. (a cura di) International Bibliography of Austrian Philosophy 1986/87 Ed. Rodopi, settembre 1996 pp. 233, FOL 125. Birnbacher, D. (a cura di) Schopenhauer in der Philosophie der Gegenwart Königshausen & Neumann, settembre 1996 pp.182, DM 38. Blanchet, Régis La liberté de la conscience Ed. du Prieuré, ottobre 1996 pp. 220, F 105 Si tratta di un’esplorazione della libertà della coscienza nelle sue sfaccettature filosofiche, che porta il lettore a mettere la libertà in rapporto con il metodo di lavoro della religione e della politica. Per tutti gli interessati alla materia. Blanquer, Jean-Michel Changer d’ère: progrès, déclin, transformation Descartes & Cie, ottobre 1996 pp. 115, F 75 L’autore si propone di affermare che l’uomo non è finito, giocando su tutte le sfumature della parola “fine”: fine, finitudine, finalità. L’autore ha incontrato diversi intellettuali appartenenti ad ambiti differenti: Attali, Atlan. Per tutti gli interessati alla materia. Blaukopf, Kurt Die Ästhetik Bernard Bolzanos. Begriffskritik, Objektivismus, ‘ echte’ Spekulation und Ansätze zum Empirismus NOVITÀ IN LIBRERIA Akademie Vlg., novembre 1996 pp. 100, DM 18. Böcher, Wolfgang Selbstorganisation, Verantwortung, Gesellschaft. Von subatomaren Strukturen zu politischen Zukunftsvisionen Westdt. Vlg., novembre 1996 pp. 528, DM 89. Bontadini, Gustavo Dall’attualismo al problematicismo Vita e pensiero, settembre 1996 pp. 394, £ 62.000 Questo libro di Bontadini intende aiutare a non smarrire il senso “forte” antico e sempre nuovo della filosofia considerata come mediazione incontrovertibile dell’immediato o, come la definisce lo stesso Bontadini, come “metafisica dell’esperienza”. Borchmeyer, D. (a cura di) ‘Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben’ Suhrkamp, novembre 1996 pp. 240, DM 19,80. Bottani, Livio La ferita mortale e il perdono Tirrenia stampatori, ottobre 1996 pp. 200, £ 30.000 In questo libro l’autore mostra come la cultura possa essere intesa come un gigantesco meccanismo riassumente in sé tutti i possibili tentativi di restituzione soteriologica attraverso cui si testimonia la radicale esigenza di pervenire al “perdono per la colpa originaria del sapere” dell’infranto che il sapere della sostanziale caducità di tutte le cose. Bourdil, Pierre-Yves Le temps: concours HEC 1997 Ellipses-Marketing, settembre 1996 pp. 128, F 55 Si tratta di uno studio filosofico sulla nozione del tempo. Di livello universitario. Bourg, Dominique L’homme artifice: le sens de la technique Gallimard, novembre 1996 pp. 347, F 150 Ciò che ci rende uomini non è semplicemente il risultato della nostra costituzione storica e cerebrale: l’uomo è il prodotto del suo artificio. L’umanità si ricollega agli animali, grazie a diversi utensili, tra cui il linguaggio. L’autore confronta la sua tesi con le realtà delle tecniche contemporanee (artificializzazione dell’agricoltura, tecniche del genio genetico...). Per tutti gli interessati. Bouveresse, Jacques Le demande philosophique: que veut la philosophie et que peut-on vouloir d’elle? Eclat, novembre 1996 pp. 176, F 79 Questo volume è la versione integrale della lezione inaugurale della Cattedra di Filosofia del linguaggio e della conoscenza del Collège de France, tenuta il 6 ottobre 1995. Per tutti gli interessati. Bozal, Valeriano Il gusto il Mulino, ottobre 1996 pp. 116, £ 15.000 Questo volume traccia un sintetico percorso del gusto come concetto fondamentale dell’estetica all’interno della tradizione artistica e filosofica occidentale esaminando in particolare temi quali l’autonomia dell’arte, il gusto come facoltà, il piacere del giudizio e il piacere della conoscenza, l’intersoggettività della rappresentazione, le forme del guardare. Bozzetti, Mauro Hegel und Adorno. Die kritische Funktion des philosophischen Systems Alber, ottobre 1996 pp. 256, DM 58. Braitenberg, V. - Hosp, I. (a cura di) Die Natur ist unser Modell von ihr. Forschung und Philosophie Rohwohlt, ottobre 1996 s.pp., DM 18,90 Dieci autori, biologi, fisici, neuro-scienziati e scienziati in informatica si occupano dell’importanza e del significato della filo- sofia della natura per l’epoca contemporanea e analizzano l’influsso che hanno avuto le diverse discipline e gli ambiti di ricerca sulla filosofia della natura. studi in onore di Aldo Masullo ESI, settembre 1996 pp. 256, £ 44.000 L’importanza di Masullo è legata al fatto che, alla fine degli anni Cinquanta, avvia la ricerca di un approccio non obiettivistico, né psicologistico al soggetto, avvicinandosi alla fenomenologia husserliana ed elaborando con essa e con i suoi svolgimenti un confronto critico. Braun, E. (a cura di) Die Pardigmenwechsel in der Sprachphilosophie. Studien und Texte Wiss. Buchges., ottobre 1996 pp. 320, DM 68 Nel volume viene tracciata la genesi di questo cambiamento dei paradigmi, per il quale si può risalire fino all’Antichità e ne vengono tematizzate le fasi nel XX secolo e poi fino ai dibattiti contemporanei. La presentazione monografica da parte del curatore e la scelta dei testi che ne documentano la versione originale, presentati in una nuova traduzione, portano il lettore a fare il punto della situazione in cui si trova il dibattito sulla concezione della lingua come premessa cognitiva oggettiva. Capriolo, Paola L’assoluto artificiale: nichilismo e mondo dell’espressione nell’opera saggistica di Gottfried Benn Bompiani, novembre 1996 pp. 108, £ 24.000 Questo libro si pone come uno dei contributi decisivi alla conoscenza della filosofia dell’arte elaborata da un grande poeta tedesco del nostro secolo: Gottfried Benn. Suscita molto interesse la seconda fase del pensiero di Benn poiché si basa su una concezione apollinea dell’arte e quindi, determina un utilizzo in chiave positiva del nichilismo. Brenner, Andrea Ökologie-Ethik Reclam, ottobre 1996 pp. 176, DM 20. Carrara, Carlo Heidegger: dal Si al sé Cyrano, ottobre 1996 pp. 117, £ 20.000 Il presente studio si propone di focalizzare uno dei nuclei fondamentali del pensiero heideggeriano, l’essere inautentico e autentico dell’Esserci, esplicato dall’espressione “dal Si al sè”. Mentre il “da” ne rivela l’inautenticità, l’ “a” palesa la ricerca ontologico-esistenziale dell’autenticità. Breton, Stanislas Philosophie et mystique, existence et surexistence J. Millon, novembre 1996 pp. 192, F 130 Il volume affronta il tema della pre-esistenza, legata a colui che vive la vita in legame con Dio; l’autore parte dai testi medioevali che appartengono alla metafisica, alla teologia e alla spiritualità e alla sua inflessione speculativa. Per tutti gli interessati. Brisson, Luc Introduction à la philosophie du mythe vol. I: Sauver les mythes Vrin, novembre 1996 pp. 243, F 125 Come e perché, dall’Antichità fino al Rinascimento, la trasmissione dei miti della Grecia antica e di Roma fu assicurata dalla filosofia che, dopo aver denunciato la loro incapacità di essere dichiaratamente veri o falsi e la loro inferiorità in rapporto all’argomentazione, si impiegò a presentare il significato più alto in virtù del presupposto che tutti gli uomini condividono le stesse verità. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Carravetta, Peter Il fantasma di Hermes:saggio su metodo, retorica,interpretare Milella, settembre 1996 pp. 418, £ 35.000 Questo libro affronta il problema dell’inseparabilità tra essere e conoscere, tra teoria e metodo, attraverso una ricerca mirante a ridefinire lo statuto e il ruolo dell’attività interpretativa, del fare critica nelle materie umanistiche. L’opera ripensa la storia del metodo e dell’interpretare rimettendo in gioco le esclusioni e le conclusioni delle varie epoche e il destino di una comprensione costretta a convivere con il fantasma della propria unità e irrevocabilità ma anche interdipendenza e correlazione con altri esseri, con altre interpretazioni. Brunschwig, Jacques (a cura di) Le savoir grec: dictionnaire critique pref. di Michel Serres Flammarion, ottobre 1996 pp. 1096, F 450 In sessentatré saggi individuali, questo libro si domanda che cosa sapessero i Greci, che cosa abbiano inventato e se sia possibili metterli in discussione. Gli autori si situano in una prospettiva precisa, quella dell’invenzione filosofica, della conoscenza scientifica e della pratica della politica. Per tutti gli interessati. Carrier, M. - Machamer, P. (a cura di) Mindscapes: Philosophy, Science and the Mind UVK, novembre 1996 pp. 300, DM 108 Il libro rappresenta il risultato della conferenza “Philosophy and the Sciences of the Mind”, tenutasi a Costanza nel maggio del 1995. Contiene importanti contributi da parte di rilevanti rappresentanti della filosofia dello spirito e affronta temi di diversi ambiti di ricerca. Brüntrup, Godehard Das Leib-Seele-Problem. Eine Einführung Kuhlhammer, ottobre 1996 pp. 160, DM 34 L’essere umano è una specie di computer biologicamente molto evoluto? Le macchine possono pensare e avere addirittura una coscienza? Tutti gli accadimenti mentali sono determinati dai loro dati biologici? Recentemente, nella filosofia accademica, si sono avute diverse discussioni che hanno chiarito le varie questioni, senza le quali non si sarebbe arrivati al livello di riflessione qui proposto. Cartesio Le monde, l’homme intr., note e tr. di A. Hespériès e J.-P. Verdet Seuil, ottobre 1996 pp. 226, F 290 Quest’edizione integrale del Mondo di Cartesio, nella sua versione definitiva del 1633, è costituita da due trattati inseparabili e che sono emblematici del cartesianesimo: il primo analizza il mondo visibile (il trattato della luce) e il secondo il suo “spettatore” (il trattato dell’uomo). Per tutti gli interessati alla materia. Bubner, Rüdiger Welche Rationalität bekommt die Gesellschaft? Vier Kapitel aus dem Naturrecht Suhrkamp, ottobre 1996 pp. 200, DM 18,80. Cartesio Lettre-préface des ‘Principes de la philosophie’ a cura di Denis Moreau Flammarion, settembre 1996 pp. 144, F 20 Il testo presenta le questioni fondamentali e l’insieme del progetto filosofico di Cartesio. Per tutti gli interessati. Buttiglione - Palous - Seifert Die Verantwortung des Menschen in einem globalen Weltzeitalter. Radim Polous’ und Hans Jonas’ Entwürfe einer Ethik für ein neues Zeitalter Winter, novembre 1996 pp. 73, DM 16. Castelpietra, Aldo Al cinema con Platone: breve viaggio filmosofico intorno al Simposio presentazione di Carlo Sini F.Angeli, novembre 1996 pp. 79, £ 20.000 Questo libro esamina il Simposio di Platone Cantillo, Giuseppe (a cura di) Comunità e solitudine: 88 secondo una prospettiva cinematografica. Caysa, V. - Eichler, K.-D. (a cura di) Philosophiegeschichte und Hermeneutik Leipziger Univ.-Vlg., settembre 1996 pp. 200, DM 40. Charpa, Ulrich Grundprobleme der Wissenschaftsphilosophie UTB, ottobre 1996 pp. 190, DM 21,80 In questo volume viene messa in discussione un’interpretazione filosofica complessiva della scienza, affrontando diversi blocchi tematici, come i concetti, le teorie, i dati, i fenomeni, le argomentazioni, i principi, la durata e il cambiamento, le persone, le razionalità. Chiusano, Lido Il mondo degli uomini di Franco Lombardi Bibliotheca, settembre 1996 pp. 110, £ 15.000. Choulet, Philippe - Nancy, Hélène Nietzsche, l’art et la vie Félin, settembre 1996 pp. 384, F 150 Si tratta di un’antologia commentata dei principali testi dell’autore de La genealogia della morale. Un Nietzsche più affermativo che negativo, meno “filosofo con il martello” che non agitatore irritato e anche provocatorio... Per tutti gli interessati. Ciafardone, Raffaele La critica della ragion pura in Kant: introduzione alla lettura NIS, settembre 1996 pp. 217, £ 29.000 L’opera di Kant viene presentata in questo volume tenendo in debito conto la precedente tradizione filosofica e soprattutto i cosiddetti scritti precritici. Attraverso un continuo rinvio alle opere giovanili e alla corrispondenza di Kant con i maggiori pensatori del suo tempo (in particolar modo con Lambert e Mendelssohn), emerge la complessa trama di cui risulta intessuta la prospettiva critico-trascendentale. Colli, Giorgio Ecrits sur Nietzsche tr. dall’it. di P. Farazzi Eclat, ottobre 1996 pp. 156, F 80 Il volume raccoglie le prefazioni alle varie opere di Nietzsche, scritte da Giorgio Colli. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Combès, Joseph Etudes néoplatoniciens J. Millon, ottobre 1996 pp. 368, F 190 Questa raccolta di studi, il cui centro di gravità è rappresentato dall’analisi dell’interpretazione di Damacius del Parmenide di Platone, rintraccia un filosofo instancabile, nella sua coerenza e nel suo percorso di ricercatore. Per tutti gli interessati alla materia. Comte-Sponville, André Impromptus PUF, settembre 1996 pp. 192, F 88 Fare filosofia significa pensare la propria vita e vivere il proprio pensiero. Esiste però uno scarto tra queste due situazioni, uno scarto che ci fa esistere e ci strazia. La filosofia spesso non è altro che la negazione di questo iato. A che cosa pensare, se il pensare rappresenta così poco ai fini del vivere? Per tutti gli interessati alla materia. Conche, Marcel Montaigne et la philosophie PUF, settembre 1996 pp. 176, F 98 Montaigne rifiuta il nome di filosofo, si ricollega alla filosofia dominante la sua epoca, ma elabora anche un discorso filosofico nuovo, che riconosce l’imperfezione di tutta la conoscenza umana e cerca di riconciliare il tempo con la logica e il “me” con “l’altro da me”. Per tutti gli interessati alla materia e di livello universitario. Costa, Gustavo Vico e l’Europa: contro la boria delle nazioni Guerini e Associati, settembre 1996 NOVITÀ IN LIBRERIA pp. 183, £ 32.000 In questo libro l’autore sostiene che Vico sia un anticonformista che adotta la distinzione tra simulazione e dissimulazione per contrabbandare una filosofia originale alimentata dal pensiero più vitale e più controverso del suo tempo (Locke e Spinoza nelle interpretazioni di eruditi come Leclerc e Bayle). Cramer, Friedrich Symphonie des Lebendigen. Versuch einer allgemeinen Resonanztheorie Insel Vlg., settembre 1996 pp. 280, DM 42 La risonanza è ciò che “tiene unito il mondo nel suo profondo”. Tutto, dai più piccoli mattoni della materia fino alle immensità dell’universo e quindi anche al corpo e allo spirito dell’uomo, alla società e i rapporti degli uomini tra di loro, si trova in un rapporto di scambio che può essere descritto come risonanza, un’oscillazione tra poli che si trovano in accordo. Crépon, Marc Les géographies de l’esprit: enquête sur les caractérisations des peuples, de Leibniz à Hegel Payot, settembre 1996 pp. 432, F 160 Quest’opera ha come punto di partenza i giudizi del senso comune che caratterizzano i diversi popoli. Di questi giudizi viene innanzitutto sottolineata la violenza riduttrice e generalizzante, ma anche il loro ricorrere nelle filosofie tedesche e francesi che interessano all’autore. Per tutti gli interessati. Croce, Benedetto Carteggio Croce-Antoni a cura di Marcello Mustè; introduzione di Gennaro Sasso il Mulino, ottobre 1996 pp. 169, £ 40.000. D’Aquino, Tommaso Freiberg, Dietrich von L’être et l’essence, le vocabulaire médiéval de l’ontologie: deux traités ‘De ente et essentia’ de Thomas d’Aquin et Dietrich de Freiberg Seuil, novembre 1996 pp. 288, F 49 Il primo trattato qui ripreso di T. d’Aquino, morto nel 1274, è una sintesi quasi definitiva dell’ontologia, che formula per la prima volta la distinzione scolastica tra essere ed essenza. Il secondo trattato, che porta lo stesso titolo, è stato scritto da un domenicano verso il 1230 ed è una critica diretta del precedente. Per tutti gli interessati. Dagognet, François Les dieux sont dans la cuisine: philosophie des objets et objets de la philosophie Synthélabo, novembre 1996 pp. 124, F 195 L’oggetto, non considerato dai romanzieri, gli psicologi e i filosofi, merita oggi più attenzione. Da una parte raccoglie in sé l’ingegnosità del suo costruttore, dall’altra sono rintracciabili in esso i segni della cultura. Esso è ciò che l’uomo fabbrica e ciò che noi possiamo “leggere”. Per tutti gli interessati. Dahm, H. - Ignatow, A. (a cura di) Geschichte der philosophischen Tradition Osteuropa Wiss. Buchges., ottobre 1996 pp. 656, DM 138 Questo volume si propone di ricordare le tradizioni filosofiche che hanno preceduto la cosiddetta comunità socialista. L’opera è la prima presentazione complessiva delle filosofia dell’Europa dell’est e di quella del sud. Vengono presentate anche le nuove tendenze della filosofia che si possono ravvisare in questi paesi, dopo la svolta degli anni 1989-91. Dal Pra, Mario Storia della filosofia e della storiografia filosofica:scritti scelti a cura di Maria Assunta Del Torre F.Angeli, ottobre 1996 pp. 156, £ 30.000 In questo libro sono raccolti gli scritti di Mario Dal Pra riferiti alla problematica storico-filosofica con l’obiettivo di propor- re uno spaccato del suo discorso teorico e della sua attività di storico della filosofia. Dolci, Danilo La struttura maieutica e l’evolverci La Nuova Italia, novembre 1996 pp. 291, £ 28.000 In questo libro l’autore mostra come affinché il processo di comunicazione possa consentire a ognuno di crescere insieme a ognuno, formando gruppi e sistemi diversi ma condividenti l’unità occorre che si diffondano strutture nella cui maieutica reciproca i punti di vista e le intuizioni si trasformino in una nuova esperienza. Dalmasso, Gianfranco La verità in effetti:la salvezza dell’esperienza nel neo-platonismo Jaca Book, ottobre 1996 pp. 172, £ 24.000 In questo libro l’autore sosiene che nella tradizione del pensiero neo-platonico viene custodita l’esperienza nel duplice senso originario di limite e di prova. Da Platone a Plotino, da Agostino a Vico il pensiero è interrogato come metodo di approccio al sapere che è in grado di porre il suo dislivello con la verità come ciò che fa tutt’uno con la generazione della propria esperienza. Dominguez, F. - Salas, J.D. (a cura di) Costante y fragmentos del pensiamento lulino. Actas del simposio sobre Ramon Llull en Trujillo, Sept. 1994 Niemeyer, novembre 1996 pp. 174, DM 82 Questo volume contiene studi su Ramon Llull (1232-1316) in dodici lingue. I saggi mostrano le linee principali della ricerca contemporanea. Damiata, Marino I problemi di G. D’Ockham Studi francescani, settembre 1996 pp. 312, £ 50.000 In questo libro vengono analizzate le tematiche fondamentali della filosofia di Ockham: il processo conoscitivo, l’intelletto, l’universale, la scienza. Inoltre, si prende in considerazione il rapporto del filosofo con Aristotele e con i moderni. Duhot, Jean-Joël Epictète et la sagesse stoïcienne Bayard Editions-Centurion, ottobre 1996 pp. 264, F 95 Epitteto è lo schiavo liberato che ha fondato la filosofia stoica dell’impassibilità di fronte all’accettazione della vita confrontati con la morte e la cui influenza si è fatta sentire nel pensiero greco e latino e nell’evoluzione del cristianesimo. Per tutti gli interessati alla materia. De Bury, Gianni Luciano De Crescenzo: istruzioni per l’uso Edizioni associate, settembre 1996 pp. 173, £ 24.000 L’autore si propone di far conoscere con maggiore chiarezza De Crescenzo che è stato oggetto di molti dibattiti fornendo una serie di dettagli che riguardano sia l’aspetto privato che quello pubblico del filosofo. Duns Scot, John La théologie comme scienece pratique: prologue de la ‘Lectura’ a cura e tr. di Gérard Sondag Vrin, novembre 1996 pp. 232, F 189 La Lectura, composta da Duns Scot (1265/ 66-1308) negli ultimi decenni della sua vita, nel XIII secolo a Oxford, è la matrice della sua teologia, di cui l’Ordinatio, più conosciuta, è una versione ampliata. Nel prologo, l’autore stabilisce che la teologia non è una scienza teorica, ma una scienza pratica. Per tutti gli interessati e di livello universitario. De Leo, Daniela L’inizio della vita. Per una filosofia tra etica e trascendenza Capone, ottobre 1996 pp. 103, £ 22.000 Le presentazioni al volume, elaborate da Gilbert Hottois e da Giovanni Invitto, focalizzano il problema dei rapporti tra etica e scienza, orientando l’attenzione sulle responsabilità di quest’ultima. Nelle prime due parti del libro si rielabora il problema della fondazione dell’etica e nella terza parte del libro si propongono due saggi con l’intento di fornire un valido contributo biologico per fondare la dignità umana del neoconcepito. Dutz, Kl.D. - Gensini, St. (a cura di) Im Spiegel des Verstandes. Studien zu Leibniz Nodus-Publ., novembre 1996 pp. 220, DM 48. Decher, Friedhelm Bertrand Russell auf der Suche nach dem guten und glücklichen Leben Junghans, ottobre 1996 pp. 120, DM 28. Eichler, K.-D. - Schneider, U.J. (a cura di) Russische Philosophie im 19. Jahrhundert Leipziger Univ.Vlg., settembre 1996 pp. 210, DM 40. Di Nuoscio, Enzo Le regioni degli individui:individualismo metodologico di Raymond Boudon con un commento di Raymond Boudon Rubbettino, ottobre 1996 pp. 402, £ 24.000 Il sociologo francese Boudon elabora una metodologia individualistica secondo la quale per esaminare un fenomeno sociale, qualunque esso sia, occorre prima di tutto comprendere le buone ragioni che gli individui hanno per compiere un’azione o per aderire ad una credenza per poi spiegare come l’aggregazione delle singole azioni produce degli effetti perversi. Enders, Heinz W. Einführung in die Repräsentations-Notationen. Eine logisch-semantische Studie zu den Problemen der Interpretation, der wahren Rede und des richtigen Denkens Alber, novembre 1996 pp. 136, DM 20. Engfer, Hans-Jürgen Empirislus versus Rationalismus? Kritik eines philosophiegeschichtlichen Schemas Schöningh, ottobre 1996 pp. 461, DM 68. Dietsch, Steffen Fortdenken mit Kant. Philosophische Versuche von diesseits und jenseits der Fakultät Die Blaue Eule, settembre 1996 pp. 204, DM 48. Erbrich, Paul Makrokosmos-Mikrokosmos. Ursprung, Entwicklung und Problem der Physik Kohlhmmer, ottobre 1996 pp. 208, DM 36 La storia della fisica si presenta come strutturata in tre stadi: la fisica influenzata dall’aristotelismo e la cosmologia dell’Antichità e del Medioevo; il lento passaggio che porta alla fisica di Newton; l’epoca contemporanea, in cui la risposta classica (“le cose della natura vengono poste in movimento”) diventa problematica. Dietz, Th. - Ignatiev, I. (a cura di) Zur Philosophie der Individualität. Festschrift für Prof. Dr. phil. Edith Düsing zu ihrem 45. Geburtstag Shaker, novembre 1996 pp. 83, DM 59. Diogene La philosophie épicurienne sur pierre: les fragments de Diogène d’Oenoanda Ed. univ. de Fribourg, novembre 1996 pp. 136, F 100 Si tratta dell’edizione critica di un centinaio di frammenti, resti di testi che riassumono la filosofia di Epicuro redatti a cura di Diogene, notabile della città dell’Asia Minore nel II secolo d.C. Per gli specialisti e i professionisti. Ersterbauer, Reinhold Verlorene Zeit - wider einer Einheitswissenschaft von Natur und Gott Kohlhammer, ottobre 1996 pp. 296, DM 79 L’autore propone, al posto di una scienza unica, una definizione del rapporto tra le varie discipline del sapere umano, sulla base del concetto di mondo e della vita su 89 questa terra. Diventa anche chiaro che una concezione del tempo univoco e unico non può sostituirsi al rapporto che esiste tra le scienze naturali, la filosofia e la teologia. Esser, Andrea Marlen Kunst als Symbol. Die Struktur ästhetischer Reflexion in Kants Theorie des Schönen W. Fink, settembre 1996 pp. 208, DM 68. Fagiuoli, Ettore - Fortunato, Marco (a cura di) La questione dell’uomo nella filosofia contemporanea Mimesis, ottobre 1996 pp. 303, £ 30.000 Questo libro raccoglie scritti di vari autori che si interrogano sul binomio soggettoverità. Da essi emerge la messa in questione, propria in particolare del pensiero novecentesco, sia dello statuto logico-ontologico del soggetto sia della consistenza e legittimità della nozione stessa di verità. Farouki, Nayla La foi et la raison: la fin d’un malentendu? Flammarion, ottobre 1996 pp. 324, F 130 In questo saggio, Nayla Farouki tenta di dimostrare, attraverso un’analisi dei discorsi mitici, filosofici, scientifici e religiosi, che ogni sistema di conoscenza è costruito su di una presa di posizione volontaria, riguardante l’esistenza di un oggetto o di un altro. Per tutti gli interessati. Fasching, G. Verlorene Wirklichkeiten. Über die ungewollte Erosion unseres Denkraumes durch Naturwissenschaft und Technik Springer, novembre 1996 pp. 108, DM 25 Il libro si occupa di un tabù, l’ovvietà del legame scienza naturale-tecnica. Si ritiene che l’immagine che descrive la scienza naturale sia assolutamente giusta e non si nota che si tratta solo di un’opinione che viene resa assoluta. Fellmann, F. (a cura di) Geschichte der Philosophie im 19. jahrhundert. Positivismus, Linkshegelianismus, Existenzphilosophie, Neukantianismus, Lebensphilosophie Rohwohlt, novembre 1996 s.pp., DM 24,90 Il volume si occupa dello sviluppo e delle posizioni della filosofia del XIX secolo. Ferraris, Maurizio Estetica / Maurizio Ferraris, Sergio Givone, Federico Vercellone Tea, ottobre 1996 pp. 114, £ 13.000. Ferrarotti, Franco Simone Weil: la pellegrina dell’assoluto Messaggero, ottobre 1996 pp. 158, £ 18.000 Ferrarotti evidenzia in questo libro gli aspetti più straordinari della complessa personalità di Simone Weil mostrando in particolar modo il valore profetico di certe sue letture della realtà e della storia come quelle sul nazi-fascismo, sul marxismo, sul comunismo ecc. Fiorillo, Vanda Politica ancilla juris: le radici giusnaturalistiche di Wilhelm von Humboldt: con traduzione italiana di Aus Klein Vorträgen über Naturrecht Giappichelli, novembre 1996 pp. 190, £ 25.000 In questo libro viene analizzata la concezione politica di Humboldt; la subordinazione della politica al diritto, “Spirito nazionale prussiano” e interiorizzazione della pena, dalla “cultura sui” alla “bildung”, dalle lezioni di Klein sul diritto naturale. Fischer, P. (a cura di) Technikphilosophie. Von der Antike bis zur Gegenwart Reclam, settembre 1996 pp. 350, DM 28. Flasch, Th. (a cura di) Tommaso Campanella: NOVITÀ IN LIBRERIA Philosophische Gedichte intr. e commento di K. Flasch Klostermann, ottobre 1996 p. 292, DM 78 Il commento di K. Flasch a questa scelta di poesie, che vengono presentate in versione italiana con traduzione a fronte di Th. Flasch, coglie l’importanza teoretica e la posizione storica di Tommaso Campanella. Egli cerca il punto di convergenza tra poesia e filosofia. Inoltre, il volume contiene un commento filosofico-storico a ogni poesia. Flusser, Vilèlm Choses et non-choses: esquisses phénoménologiques J. Chambon, settembre 1996 pp. 250, F 149 Guardare le cose come se le si vedesse per la prima volta è un metodo per scoprire in esse degli aspetti fino ad allora sconosciuti. Questo libro raccoglie diversi saggi che mostrano come la sottile osservazione di un oggetto può essere un “mettere in movimento”, un “risveglio” della filosofia. Per tutti gli interessati. Folscheid, Dominique Les grandes dates de la philosophie antique et médiévale PUF, settembre 1996 pp. 128, F 40 Questa storia della filosofia cerca, nella memoria di se stessa che ha la filosofia, i grandi momenti che l’hanno costituita e l’hanno resa così com’è. Questo volume si occupa dell’Antichità e del Medioevo. Per tutti gli interessati. Folscheid, Dominique Les grandes dates de la philosophie classique, moderne et contemporaine PUF, settembre 1996 pp. 128, F 40 Si tratta di una storia della filosofia che, interessandosi alle grandi date, afferma la natura propria della filosofia. Questo volume tratta il periodo che va dal 1444 al 1983. Per tutti gli interessati. Fourier, Charles Charles Fourier ou La contestation globale a cura di René Scherer Séguier, settembre 1996 pp. 232, F 140 Charles Fourier, discendente da una famiglia di ricchi commercianti borghesi, è tra i primi testimoni della nascita della società industriale. Egli non smetterà mai di denunciarla, ma anche di ricostruirla su altre basi. Il volume presenta una scelta di testi. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Freda, Franco G. Platone: lo Stato secondo giustizia Edizioni di Ar, settembre 1993 pp. 137, £ 24.000 In questo libro l’autore mostra come la dottrina platonica dello Stato sia un frutto particolare maturato in un clima storico di una pianta del sapere dalle radici metastoriche, rinvenibile nella fonte arcaica della generale sapenzialità indo-europea. Allo stesso modo per l’autore l’idea di giustizia non è una elaborazione utopica del filosofo greco, ma l’eco e la proiezione di principi tradizionali effettivamente operanti negli ordinamenti primordiali degli Arii. Freund, J.A. (a cura di) Dynamik, Evolution, Strukturen. Nichtlineare Dynamik und Statistik komplexer Strukturen Köstner, novembre 1996 pp. 300, DM 64,80. Fuchs, G. - Kessler, H. (a cura di) Gott, der Kosmos und die Freiheit. Biologie, Philosophie und Theologie im Gespräch Echter, settembre 1996 pp. 240, DM 39,80 Siamo soggetti al gene? Esiste la libertà in natura? Il mondo è l’opera di un Dio creatore o il risultato di un processo cosmico? Il volume raccoglie i contributi, centrati su queste tematiche, di J. Bereiter-Hahn, B. Dörr, W.F. Gutmann, H. Kessler, A. Peacocke, G. Scherer e H. Schröder. Fulda, H.F. - Horstmann, R.-P. (a cura di) Skeptizismus und spekulatives Denken in der Philosophie Hegels Klett-Cotta, settembre 1996 pp. 336, DM 128 Questa raccolta riunisce i contributi di una sessione della Internationale Hegel-Vereinigung, tenutasi nel settembre del 1995 a Pisa. Peeters, settembre 1996 pp. 279, F 280 L’autore, che è un filosofo cristiano, si augura di poter “rinnovare la strana novità della fede”. Le sue fonti sono le opere di Kant, Kierkegaard e Pascal. Per tutti gli interessati e di livello universitario. pp. 282, F 42 Il volume fornisce una sorta di iniziazione alla riflessione filosofica e invita il lettore a considerare i grandi temi che strutturano il pensiero filosofico, da due millenni. Il volume è conciso, chiaro e rigoroso. Per tutti gli interessati. Funghi, Maria Teresa (a cura di) Odoi dizesios: le vie della ricerca: studi in onore di Francesco Adorno Olschki, settembre 1996 pp. 730, £ 140.000 Il volume contiene scritti di diversi autori che esaminano questioni filosofiche relative a differenti periodi storici. Infatti, si suddivide in quattro parti; edizioni dei Papiri, antichità, medioevo e rinascimento, età moderna e contemporanea. Giannantoni, Gabriele (a cura di) Epicureismo greco e romano: atti del Congresso internazionale: Napoli, 19-26 maggio 1993 Bibliopolis, settembre 1996 pp. 1128, £ 200.000. Griffero, Tonino L’estetica di Schelling Laterza, ottobre 1996 pp. 261, £ 40.000 Griffero in questo libro ricostruisce l’estetica di Schelling mostrandone l’evoluzione e le trasformazioni a partire dal giovanile sistema dell’identità fino alle posizioni più mature. Ginev Dimitri The Idea for a Hermeneutic Philosophy of Science Ed. Rodopi, novembre 1996 pp. 300, FOL 150 In questo libro, l’autore ha riunito i suoi interessi, coltivati negli anni, per la razionalità scientifica e l’ontologia moderna, sviluppando un’alternativa ermeneutica all’epistemologia della scienza analitica (e naturalista). Gadenne, V. - Wendel, H.J. (a cura di) Rationalität und Kritik Mohr, novembre 1996 pp. 150, DM 60 I saggi raccolti in questo volume sono i contributi al colloquio che si è tenuto in occasione del 75esimo della nascita di Hans Albert. Il volume si propone come un confronto critico, attraverso la sua filosofia, i suoi sviluppi ulteriori e le sue applicazioni alle scienze sociali. Giustiniani, Pasquale Filosofia e religione:ricognizione di modelli e problemi Luciano, settembre 1996 pp. 143, £ 25.000 Il libro raccoglie scritti di vari autori tra i quali alcuni problematizzano la questione religiosa, altri affrontano direttamente la questione di una “filosofia della religione” con una vera e propria dichiarazione di oggetto formale e di metodo epistemologico. Gäng, Peter Was ist Buddhismus? Campus, ottobre 1996 pp. 150, DM 24 Il buddismo non è solo una religione, è anche una psicologia e una filosofia. Petre Gäng presenta in modo vivo e comprensibile la Weltanschauung buddista. Glasersfeld, Ernst von Wege des Wissens. Konstruktivistische Erkundungen durch unser Denken Carl-Auer-Systeme, novembre 1996 pp. 246 DM 44. Gargano, Monica La ricerca della misura:essere, armonia e tragico nel pensiero di Hölderlin ETS, novembre 1996 pp. 339, £ 30.000 Questo volume si propone una interpretazione complessiva del pensiero di Hölderlin a partire dal concetto di “misura” intesa sia come unità di misura che come ricerca di equilibrio e armonia. Gourinat, Jean-Baptiste Les Stoïciens et l’âme PUF, ottobre 1996 pp. 128, F 45 La dottrina dell’anima non è più solamente una delle più originali dello stoicismo. È anche un tema centrale che si riallaccia alle tre parti della filosofia stoica: la fisica, la logica e l’estetica. Ognuna di queste tre parti dottrinali ha anche una funzione pratica. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Gasparini, Ludovico Azione e comprensione nei Cahiers di Paul Valéry F.Angeli, novembre 1996 pp. 246, £ 38.000 L’autore in questo libro mostra come Valéry, mediante una riflessione sviluppatasi nell’intero arco dei suoi Cahiers in modo del tutto autonomo, anticipi tanto il metodo di indagine del Circolo di Vienna, quanto la filosofia analitica del linguaggio elaborata dall’ultimo Wittegenstein, muovendosi però in direzioni di ricerca e verso conclusioni profondamente diverse. Infatti, Valéry sostituisce alla spinta verso una teoria complessiva propria della filosofia una operatività scettica, basata su un continuo esercizio analitico e riassumibile nel motto “fare senza credere”. Goyard-Fabre, Simone La philosophie du droit de Kant Vrin, settembre 1996 pp. 292, F 250 Per seguire la filosofia del diritto, bisogna misurare l’ampiezza della rivoluzione così come essa si compie rispetto alle teorie del diritto naturale del XVIII secolo. Bisogna ricollegarla alla sistematicità di un corpus filosofico caratterizzato da uno svolgimento procedurale, bisogna, infine, decrifrare il modello normativo di un diritto puro e universale. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Gerhardt, V. - Reschke, R. (a cura di) Nietzscheforschung. Ein Jahrbuch vol. III Akademie Vlg., ottobre 1996 pp. 300, DM 98 In questo nuovo volume vengono analizzati il rapporto tra Nietzsche e Hegel, considerando la tragedia e quello rispetto all’Illuminismo e alla natura. Una serie di contributi si occupa degli aspetti letterari dell’opera di Nietzsche e del suo influsso sulla lirica del XX secolo, nonché dell’influsso di Goethe sulla lirica di Nietzsche. Grateloup, Léon-Louis (a cura di) Les philosophies de Platon à Sartre vol. I: De Platon à Montesqueieu LGF, settembre 1996 pp. 381, F 50 Dal V secolo a.C. fino al XVIII secolo, ogni filosofia viene affrontata a partire dalla problematica essenziale delle opere che ha prodotto e, parallelamente, rispetto ai grandi temi del suo pensiero. Ogni presentazione è seguita da giudizi sull’autore e da una cronologia succinta. Per tutti gli interessati. Gerhardt, Volker Vom Willen zur Macht. Anthropologie und Metaphysik der Macht am exemplarischen Fall Friedrich Nietzsches de Gruyter, ottobre 1996 pp.372, DM 198 Si tratta di una tesi di abilitazione, tenuta presso l’Università di Münster. Geyer, Caarl-Friedrich Philosophie der Antike. Eine Einführung Primus Vlg., novembre 1996 pp. 208, DM 39,80. Grateloup, Léon-Louis (a cura di) Les philosophies de Platon à Sartre vol. II: De Hume à Sartre LGF, settembre 1996 pp. 382, F 50 Dal XVIII al XX secolo, ogni filosofia viene affrontata a partire dalla problematica essenziale delle opere che ha prodotto e, parallelamente, rispetto ai grandi temi del suo pensiero. Ogni presentazione è seguita da giudizi sull’autore e da una cronologia succinta. Per tutti gli interessati. Giacometti, Antoine Dieu en question pref. di Stanislas Breton Grateloup, Léon-Louis Problématiques de la philosophie LGF, settembre 1996 90 Grosos, Philippe Système et subjectivité: études sur la signification et l’enjeu du concept de système, Fichte, Hegel, Schelling Vrin, novembre 1996 pp. 334, F 240 L’autore desidera dare senso al concetto di sistema, far vedere che, lungi dall’essere un equivalente neutro del termine “filosofia”, sintesi e soggettività si rivolgono ad una determinata concezione dell’essenza della manifestazione. Da Reinhold a Hegel, da Fichte a Schelling, l’analisi di questo concetto getta luce sulla filosofia tedesca del XVIII e XIX secolo e si interroga sul senso dell’ontologia. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Groys, B. (a cura di) Sören Kierkegaard E. Diedrichs, ottobre 1996 pp. 480, DM 48. Grundmann, Th. - Stüber, K. (a cura di) Philosophie der Skepsis UTB, ottobre 1996 pp. 323, DM 29,80. Guenancia, Pierre Descartes: bien conduire sa raison Gallimard, settembre 1996 s.pp., F 82 Con Cartesio, un’epoca si conclude e un’altra si apre. I nuovi problemi posti dalle scoperte riguardanti l’uomo e la natura necessitano dell’elaborazione in un sistema coerente. Cartesio sarà il primo a costruire questo sistema. Per tutti gli interessati. Gutmann, Mathias Die Evolutionstheoirie und ihr Gegenstand. Beitrag der methodischen Philosophie zu einer konstruktivistiven Theorie der Evolution Vlg. f. Wiss. u. Bildung, novembre 1996 pp. 332, DM 48 Questo lavoro ricostruisce sistematicamente la teoria della biologia dell’evoluzione, fornendo anche il suo contesto culturale. Haas, Frans A.J. de John Philoponus’ NewDefinition of Prime Matter. Aspects of Its Background in Neoplatonism and the Ancient Commentary Tradition Brill, novembre 1996 pp. 370, FOL 154. Habermas, Jürgen La paix perpétuelle: le bicentenaire d’une idée kantienne tr. dal tedesco di R. Rochlitz Cerf, novembre 1996 pp. 121, F 59 La pace perpetua è per Kant un ideale attraverso cui è possibile rendere l’idea di uno stato cosmo-politico che è sia attrattivo che concreto. Habermas riesamina la proposizione kantiana alla luce dei mutamenti storici e politici di questa fine di secolo. Per tutti gli interessati. Haeffner, Gerd In der Gegenwart leben. Auf der Spur eines Urphänomens Kohlhammer, ottobre 1996 pp. 171, DM 34,80 L’autore di questo libro si propone di riscoprire la ricchezza della contemporaneità. Bisogna quindi rendere contemporanei alcuni pensatori del passato lontano e più recente che furono tutti affascinati dal fenomeno “contemporaneità”: Pascal, Kierkegard, Bloch, Buber, Weil. Halbach, Volker NOVITÀ IN LIBRERIA Axiomatische Wahrheitstheorien Akademie Vlg., novembre 1996 pp. 249, DM 120 L’autore illustra qui i nuovi orizzonti che si presentano per questa disciplina e chiarifica quali vantaggi e quali possibilità di applicazione posseggano. Il fulcro del volume è rappresentato dalle teorie della verità assiomatiche di Cantini, Feferman, Friedman e altri. Haller, R. (a cura di) Meinong und die Gegenstandstheorie Meinong and the Theory of Objects Ed. Rodopi, settembre 1996 pp. 627, FOL 260. Hartmann, Frank Cyber Philosophy. Elemente einer Theorie der neuen Medien Passagen Vlg., settembre 1996 pp. 168, DM 36. Hartwig, Sabina Ambivalente Entwurfsstrukturen in der Moderne. Existential-ontologische Überlegungen zur Problematik der Subjektivitätskonstitution Dt. Studien Vlg., ottobre 1996 pp. 176, DM 36. Hayoun, Maurice-Ruben Les lumières de Cordoue à Berlin Lattès, ottobre 1996 pp. 450, F 164 Dal Talamud al XVIII secolo, il volume presenta una storia della filosofia ebrea articolata intorno alle grandi figure come Maimonide, Spinoza o Emden, ma anche intorno a temi come la cabala. Per tutti gli interessati. Hegel, Georg Wilhelm Friedrich Cours d’esthétique - vol. II tr. dal tedesco di J.-P. Lefebvre e V. von Schenck Aubier, ottobre 1996 pp. 448, F 150 Si tratta di un’opera nel senso classico del termine. Dopo la morte del filosofo, i suoi discepoli iniziarono la pubblicazione completa sia dei suoi scritti che degli appunti con i quali il filosofo aveva preparato le sue lezioni. Per tutti gli interessati. Hegel, Georg Wilhelm Préface de la ‘Phénomenologie de l’esprit’ a cura e tr. dal tedesco corretta da Jean-Pierre Lefebvre Flammarion, settembre 1996 pp. 256, F 45 Quest’edizione bilingue francese-tedesco annotata presenta il tema di questa prefazione: l’inizio del sapere filosofico. Vengono evocate le modalità della conoscenza, così come esse si sviluppano partendo dal celebre schema dialettico. Per tutti gli interessati. Heinze, M. (a cura di) Psyche im Streit der Theorien Königshausen & Neumann, novembre 1996 pp. 256, DM 58. Henckmann, W. et al. (a cura di) 2. Scheler-Kolloquium. Oktober 1995 in Köln. Vom Umsturz der Werte in der modernen Gesellschaft Bouvier, settembre 1996 pp. 400, DM 88 Il volume raccoglie 23 contributi di altrettanti studiosi tedeschi e stranieri sulle questioni sollevate dal cambiamento di valori, dalla caduta dei valori e dal decadimento dei valori, considerati da un punto di vista sia sociale che individuale e psicologico. Viene discussa la teoria di Scheller, confrontandola con le filosofie di Husserl, Natorp, Nietzsche e con le teorie di Carl Scmitt e Max Weber. Il volume è edito dalla MaxScheller-Gesellschaft. Hennig, Rolf Das organische Sein. Grundzüge des Weltbildes der Organik Braun und Behrmann, novembre 1996 pp. 104, DM 24. Hepp, H. - Knoepffler, N. Schwarke, Chr. (a cura di) Verantwortung und Menschenbild. Beiträge zur unterdisziplinären Ethik und Anthropologie Utz Wiss., novembre 1996 pp. 160, DM 28. per ritornare a ciò che muove la filosofia, cioè l’interrogazione. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Heyer, René (a cura di) L’ancien et le nouveau Presses univ. de Strasbourg, novembre 1996 pp. 256, F 140 “Nuovo” non è inteso nell’uso corrente, ma rispetto a ciò che sveglia l’attenzione nei confronti dell’imminenza di qualche avvenimento che sta per arrivare. Per tutti gli interessati. Horkheimer, Max Théorie traditionelle et théorie critique tr. dal tedesco di C. Maillard e S. Muller Gallimard, ottobre 1996 pp. 336, F 70 I quattro saggi qui riuniti espongono le tendenze essenziali della Scuola di Francoforte di cui M. Horkheimer fu, con Theodor Adorno, il fondatore. L’asse principale è l’idea di una “teoria critica” della conoscenza che non appariva più come un’attività autonoma, politicamente neutra e che sottostà alla storia, ma come una parte integrante di quest’ultima. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Hildago-Serna, E. - Marassi, M. (a cura di) Studi in memoria di Ernesto Grassi La città del sole, settembre 1996 pp. 867, £ 90.000 Tra gli scritti contenuti nel libro si rilevano; La teoria del bello nell’antichità secondo Ernesto Grassi di Emilio Mattioli, Il dramma della metafora. Grassi filologico del poeta di Marcello Simonetta, Il problema della metafora vuota in Ernesto Grassi. Un’osservazione sulla sua interpretazione di Jean Paul di Lothar Bornscheuer, Ernesto Grassi e la parola poetica du Paul Celan di Eugen Baer. Hubert, Bernard (a cura di) Jacques Maritain en Europe: la réception de sa pensée Beauchesne, ottobre 1996 pp. 336, F 180 Questo studio, pubblicato con la collaborazione della Association de la culture européenne e del Cercle d’Etudes Jacques Maritain, si occupa specificatamente dell’opera di Jacques Maritain nei diversi paesi europei. Per tutti gli interessati. Hobbes, Thomas ‘Leviathan’ a cura di H. Klenner Meiner, novembre 1996 pp. 674, DM 98. Hubig, Christoph Technologische Kultur Leipziger Univ.Vlg., settembre 1996 pp. 200, DM 40. Hobbes, Thomas Du citoyen, suivi du ‘Léviathan’, chap. XVI et XVII tr. dall’inglese di S. Sorbière e G. Mairet introd. di G. Mairet LGF, novembre 1996 pp. 350, F 42 In questo libro, pubblicato nel 1642, Thomas Hobbes elabora e affina il concetto di sovranità dello Stato. Egli respinge la tesi di Aristotele: l’uomo è un animale politico. Per Hobbes, l’uomo si raggruppa spontaneamente in società perché ne va della sua sopravvivenza e non perché possiede una disposizione naturale alla società politica. Per tutti gli interessati. Hübner, Benno Beliebigkeitsethos und Zwangsästhetik Passagen-Vlg., novembre 1996 pp. 136, DM 29,80. Hübner, Helmut Mnemosyne. Zeit und Erinnerung in Hölderlins Denken Metzler, novembre 1996 pp. 320, DM 128 L’autore ci fornisce una ricostruzione storica del pensiero di Hölderlin. Si tratta di una riflessione filosofica, che non separa il pensatore dal poeta. Imbach, Ruedi Dante, la philosophie et les laïcs Ed. univ. Fribourg-Cerf, novembre 1996 pp. 265, F 190 Il volume tenta un approccio alla filosofia tardo-medioevale, proponendo un’analisi delle categorie specifiche dei destinatari dei testi filosofici: i laici che la storiografia classica del pensiero medioevale ha trascurato. Dopo alcuni capitoli, consacrati alle traduzioni e alla filosofia della principali correnti, viene presentata la filosofia di Dante sotto diversi aspetti. Per gli specialisti e i professionisti. Hoerschelmann, Thomas Theologische Ethik. Zur Begründung christlicher Ethik im Kontext der diskursiven Moraltheorie Kohlhammer, novembre 1996 pp. 320, DM 79 Confrontandosi con l’etica del discorso filosofico di J. Habermas e K.-O. Apel, l’autore individua gli ambiti dell’etica teologica. Höffe, Otfried Praktische Philosophie. Das Modell des Aristoteles Akademie Vlg., settembre 1996 pp. 191, DM 39 La filosofia non ha certo potere sulle condizioni di vita pratiche; ma per potere realizzare l’intezione pratica, la filosofia ha bisogno di una forma di razionalità particolare, la scienza del “filo conduttore”. Il volume è alla sua seconda edizione. Immanuel Kant ‘Kritik der Urteilskraf’t’. Schriften zur Ästhetik und Naturphilosophie a cura di M. Frank e V. Zanetti Dt. Klassiker Vlg., ottobre 1996 pp. 1399, DM 178 Si tratta degli scritti di Kant sull’estetica e la filosofia della natura. Sono testi presentati nell’edizione critica e con i commenti più approfonditi. Höffe, Otfried Vernunft und Recht. Bausteine zu einem interkulturellen Rechtsdiskurses Suhrkamp, novembre 1996 pp. 300, DM 22,80. Institut Catholique de Paris Le statut contemporain de la philosophie première: centenaire de la Faculté de philosophie pref. di Philippe Capelle Beauchesne, ottobre 1996 pp. 400, F 198 Il volume si vede confrontato con il “decesso” intempestivo della metafisica, che si impone alla riflessione sui significati multipli del termine “filosofia primaria”. Per gli specialisti e i professionisti. Höfnes, Walter Jerg Ethik des Gleichgewichts. Ein Beitrag zur Begründung einer naturalistischen Ethik Focus-Vlg., novembre 1996 pp. 125, DM 25. Holz, Hans Heinz Philosophische Theorie der bildenden Künste - vol. II: Strukturen der Darstellung. Über Kostanten der ästhetischen Konfigurationen Aisthesis Vlg., settembre 1996 pp. 280, DM 98. Isnardi Parente, Margherita Il pensiero politico di Platone Laterza, ottobre 1996 pp. 160, £ 23.000 Il libro esamina la concezione politica platonica; la formazione del filosofo per il governo, il filosofo al governo della città ideale, il filosofo al governo della città reale e la rivincita in Atene. Hoogaert, Corinne (a cura di) Argumentation et questionnement PUF, ottobre 1996 pp. 160, F 98 Questo volume si propone di ripensare ad alcuni dei temi principali dell’argomentazione, presentandoli sotto una luce diversa: superare l’aspetto risolutivo della retorica Jacquette, Dale Meinongian Logic. The Semantics of Existence 91 and Nonexistence de Gryuter, novembre 1996 pp. 297, DM 198 Si tratta di uno studio sulla logica intensionale, basato sulla teoria di Meinong (18531920), un allievo di Brentano. Jakob, Eric Martin Heidegger und Hans Jonas. Die Metaphysik der Subjektivität und die Krise der technologischen Zivilisation Francke, settembre 1996 pp. 394, DM 96 Si tratta della tesi di laurea sostenuta da Jakob presso l’Università di Basilea nel 1995. Jamme, Chr. - Völkel, F. (a cura di) Kunst und Geschchte im Zeitalter Hegels Meiner, settembre 1996 pp. 311, DM 178. Jamme, Christoph Introduction à la philosophie du mythe vol. II: Epoque moderne et contemporaine Vrin, novembre 1996 pp. 177, F 150 Attraverso una panoramica del periodo che va dal Rinascimento al XX secolo, l’autore non intende tanto tracciare una storia della mitologia che ha sottolineato i momentichiave di una ricerca dove la razionalità incontra il suo “altro”, che deve sempre essere reinterpretato, egli intende piuttosto fornire uno strumento per la valutazione della filosofia del mito. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Janich, Peter Was ist Wahrheit? Eine psychologische Einführung C.H. Beck, novembre 1996 pp. 125, DM 14,80 Oggi non ci si trova confrontati solo con la domanda, se un rapporto di fatto viene descritto correttamente, ma anche la domanda su che cosa la verità comunichi al modo della vita. Secondo questo punto di vista, la verità diventa da meta per se stessa a mezzo. Johannessen, K.S. - Nordenstam, T. (a cura di) Wittgenstein and the Philosophy of Culture. Proceedings of the 18th International Wittgenstein Symposium, August 1995, Kirchberg am Wechsel Hölder-Pichler-Tempsky, ottobre 1996 pp. 371, DM 122. Jullien, François Procès ou création. Une introduction à la pensée chinoise: essai de problèmatique interculturelle LGF, novembre 1996 pp. 342, F 46 L’autore di questo libro parte dalla lettura di un autore particolare, Wang Fuzhi (16191692), che è da inscrivere nella corrente del pensiero neo-confuciano, di cui è un maestro. Per tutti gli interessati. Juranville, Alain Lacan et la philosophie PUF, settembre 1996 pp. 496, F 92 Ciò su cui ci fa riflettere la psicoanalisi, ciò che ci fa pensare di più, ciò a cui noi non penseremmo mai, è la presenza del nonpensiero nella parte più intima del pensiero. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Kalinowski, Georges La logique déductive PUF, ottobre 1996 pp. 176, F 98 La logica deduttiva, che è il modello della struttura di ogni scienza, permette lo studio del sistema delle norme giuridiche, dal momento in cui la specificità è rispettata. Seguendo il percorso dell Scuola di Varsavia, questo studio mostra come certe tesi del calcolo preposizionale e le tesi del calcolo dei predicati costituiscano i fondamenti logici delle norme. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Kamper, Dietmar Unmögliche Gegenwart. Zur Theorie der Phantasie W. Fink, settembre 1996 NOVITÀ IN LIBRERIA pp. 196, DM 38 Il libro cerca di capire qual è l’insegnamento che possiamo trarre dal recente dibattito sulla teoria; si articola in quattro capitoli, nei quali vengono affrontati i seguenti temi: la crisi del visibile; la velocità nei media; l’arte dell’impossibile; la percezione del mostruoso. Desjonquères, settembre 1996 pp. 208, F 120 I testi raccolti in questo volume illustrano l’ispirazione epicuriana di La Mettrie. Essi consentono anche di scoprire un umanista convinto che aspira a liberare l’individuo dagli impedimenti alla sua gioia personale. Per tutti gli interessati. Kant, Emmanuel La fin de toutes choses tr. dal tedesco di L. Bathélemy e G. Badoual Actes sud, novembre 1996 pp. 70, F 33 Si tratta di un breve testo filosofico che riflette sulle tre grandi questioni kantiane: che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? In che cosa mi è consentito sperare? Per tutti gli interessati. Lanz, Peter Das phänomenale Bewußtsein. Eine Verteidigung Kolstermann, novembre 1996 pp. 224, DM 68 Il tema di quest’investigazione filosofica è la coscienza fenomenologica e sensoriale. Vengono quindi categorizzate le sensazioni e l’esperienze legate all’udito, alla vista, all’olfatto, al tatto e al sentire in senso lato. Keil, Günther Das Johannesevangelium. Ein philosophischer und theologischer Kommentar Vandenhoecke & Ruprecht, settembre 1996 pp. 224, DM 68 Il vangelo di Giovanni ha una rilevanza filosofica. Ma dal punto di vista puramente filosofico non è quasi mai stato affrontato. Il libro fornisce il primo contributo filosofico al vangelo di Giovanni. Kemp, W. et al. (a cura di) Vorträge aus dem Wartburg-Haus vol. I Akademie Vlg., novembre 1996 pp. 150, DM 48 Il volume contiene saggi di Habermas su Cassirer; di Münkler sui miti in Europa nell’epoca moderna; di Settis sul pathos e l’ethos; di Stratfford sulla violenza e la natura. Kente, Maria G. Conditions of Freedom and Athenticity. Phenomenologicl and Existential Studies Königshausen & Neumann, novembre 1996 pp. 150, DM 36. Kierkegaard, Sören Les miettes philosophiques tr. dal danese di P. Petit Seuil, novembre 1996 pp.192, F 37 Si tratta di un’opera apparsa nel 1844, lo stesso anno in cui Marx redigeva i Manoscritti di Parigi. Kierkegaard resta il fondatore del pensiero “esistenzialista”, che sia cristiano, ateo o marxista. Per tutti gli interessati. Knoepffler, Nikolaus Der Begriff ‘transzendental’ bei Immanuel Kant Utz Wiss., ottobre 1996 pp. 72, DM 48. Kodalle, K.-M. (a cura di) Der Vernunftfrieden. Kants Entwurf im Widerstreit Königshausen & Neumann, ottobre 1996 pp. 154, DM 38. Kodalle, Klaus-Michael Schockierende Fremdheit. Eberhard Griesebach und die nachmetaphysische Ethik in der Weimarer Wendezeit Passgen-Vlg., ottobre 1996 pp. 192, DM 42. Kühnel, M. (a cura di) Joachim Lange (1670-1944), der ‘Hällische Feind’ oder ein anderes Gesicht der Aufklärung. Ausgewählte Texte und Dokumente zum Streit über Freiheit/Determinismus Hallescher Vlg., settembre 1996 pp. 156, DM 24,80. Kutzner, Heinrich Nietzsche. Diesseits der Kräfte, diesseits der Bilder. Zur Endgeschichte der euriopäischen Sinnlichkeit Königshausen & Neumann, ottobre 1996 pp. 164, DM 32. La Mettrie, Julien Offary de De la volupté a cura di Ann Thomson secolo, una corrente mistica che mette l’accento su un nuovo modo di eseguire l’unione con Dio. La sua influenza si ritroverà in Lutero e presso i mistici di Carmel. Per tutti gli interessati. Libera, Alain de Penser au Moyen Age Seuil, settembre 1996 pp. 416, F 56 Siamo confrontati con il posto occupato dal Medioevo all’interno dalla storia della filosofia e con un tentativo d’analisi di un fenomeno particolare: la comparsa di un universo “intellettuale” tra il XIII e il XIV secolo. Per tutti gli interessati. Lotter, Maria S. Die metaphysische Kritik des Subjekts. Eine Untersuchung von Whiteheads universalisierter Sozialontologie Weidmann, ottobre 1996 pp. 292, DM 58. Lapini, Walter Il Poxi. 664 di Eraclide Pontico e la cronologia dei Cipselidi Olschki, ottobre 1996 pp. 219, £ 49.000. Lück, Walter Nie wieder Auschwitz. Eine kritische Einführung in die Philosophie EOS-Vlg., novembre 1996 pp. 176, DM 24. Laurent, Bernard L’esprit des Lumières et leur destin Ellipses-Marketing, ottobre 1996 pp. 111, F 60 Di fronte alla rappresentazione dell’uomo e del mondo data dall’Illuminismo, assistiamo un po’ dappertutto ad una rivalutazione del sentimento identitario e ad un ritorno del pregiudizio. Si ha ragione di parlare di una sconfitta del pensiero e di un tradimento dei Lumi? Il volume presenta dei repertori e delle testimonianze dell’eredità dei Lumi, in un’epoca in cui rischiano di andare perduti. Per le scuole e le università. Lütkehaus, L. (a cura di) Das Buch als Wille und Vorstellung. Arthur Schopenhauers Briefwechsel mit Friedrich Arnold Brockhaus C.H. Beck, settembre 1996 pp. 150, DM 98. Lutz-Bachmann, M. - Bohman, J. (a cura di) Frieden durch Recht. Kants Friedensidee und das Problem einer neuen Weltordnung Suhrkamp, novembre 1996 pp. 320, DM 22,80. Le Blond, Jean-Marie Logique et méthode chez Aristote. Etude et méthode chez Aristote: étude sur la recherche des principes dans la physique aristotélicienne Vrin, novembre 1996 pp. 454, F 280 Il volume propone ciò che l’autore stesso chiama una “specie di analisi strutturalista”, facendo significativamente, ma in modo discreto, riferimento a C. Lévi-Strauss e a M. Foucault e approda ad un’alisi originale del pensiero aristotelico, legato agli schemi del linguaggio, della creazione, dell’esperienza della vita e del movimento. Il volume è giunto alla quarta edizione. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Macho, Th.H. (a cura di) Ludwig Wittgenstein E. Diedrichs, ottobre 1996 pp. 464, DM 48. Maesschalk, Mark Droit et création sociale chez Fichte: une philosophie moderne de l’action politique pref. di Jean Ladrière Peeters, settembre 1996 pp. 390, F 320 Si tratta di una lettura originale di Fichte, che si sforza di ricostruire il suo pensiero a partire da ciò che ne assicura la coerenza interna, spiegando i termini della problematica complessa che è soggiacente alle idee di Fichte e mettendone in luce il rigore metodologico con cui essa si articola, secondo le esigenze del pensiero del trascendentale, così come Fichte lo inserisce nella sua teorizzazione e lo esercita. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Legendre, Pierre ‘La fabrique de l’homme occidentale’; suivi de ‘L’homme en meutrieur’ Mille et une nuit-Arte Editions, novembre 1996 pp. 56, F 10 L’autore è filosofo, storico del diritto e delle istituzioni e specialista del fenomeno religioso. Egli ricostruisce la prospettiva antropologica delle istituzioni: istituire l’uomo perché egli assomigli all’uomo, al tempo della figura del religioso, ma anche a quello del managment. L’autore solleva domande come: perché proibire qualcosa? Che cos’è lo Stato? Per tutti gli interessati. Maine de Biran Correspondance philosophique, 1766-1804 a cura di François Azouvi Vrin, settembre 1996 pp. 419, F 375 Questi due tomi della corrispondenza scandiscono la letteratura epistolare di Maine de Biran in due periodi, la corrispondenza precedente l’incontro con Ampère e quella che segue questo incontro. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Leibniz, Gottfried Wilhelm Philosophische Werke in vier Bänden vol. IV: Versuche in der ‘Theodicée’ über die Güte Gottes, die Freiheit des Menschen und den Ursprung des Übels a cura di E. Cassirer tr. e note di A. Buchenau Meiner, novembre 1996 pp. 550, DM 78. Lescourret, Marie-Anne Emmanuel Levinas Flammarion, novembre 1996 pp. 448, F 57 L’autore ricostrisce il percorso del filosofo e la sua opera. Egli si situa all’incrocio di quattro culture - ebrea, russa, tedesca, francese - ma è rimasto in disparte rispetto ai sentieri battuti che passano per l’ENS e l’aggregazione. La sua opera si compone di una parte confessionale che è distinta da quella puramente filosofica. Per tutti gli interessati. Maine de Biran Correspondance philosophique, 1805-1824 a cura di François Azouvi Vrin, settembre 1996 pp. 402, F 400 Dal 1805 al 1824 la corrispondenza con Ampère si moltiplica. Ogni documento è accompagnato da note storiche che introducono a commenti. Questi documenti sono stati presentati come una biografia epistolare continua che riguarda gli episodi delle funzioni pubbliche svolte da Maine de Biran. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Libera, Alain de Eckhart, Suso, Taleur et la divination de l’homme Bayard Editions-Centurion, ottobre 1996 pp. 245, F 93 Johann Eckhart ha inaugurato, nel XVII Malabou, Catherine L’avenir de Hegel: plasticité, temporalité, dialectique Vrin, novembre 1996 pp. 272, F 195 Questo studio si schiera contro il parere che 92 si sia di fronte ad un’assenza di futuro per la filosofia hegeliana, analizzando il concetto di plasticità, mostrando come egli costruisca, con la sua struttura e il suo ritmo, il contenuto speculativo. Hegel mostra il concetto del suolo natale, dell’arte per portarli alla loro origine: lo sviluppo della soggettività. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Mall, Ram Adhar Philosophie im Vergleich der Kulturen. Interkulturelle Philosophie eine neue Orientierung Primus Vlg., ottobre 1996 pp. 194, DM 39,80. Marion, Jean-Luc Sur l’ego et sur Dieu PUF, novembre 1996 pp. 416, F 198 Il volume analizza i problemi posti dall’ego e da Dio, così come si presentano nel pensiero di Cartesio. Per gli specialisti, i professionisti e di livello universitario. Marrone, Pierpaolo Consenso tacito: modelli etici nel liberalismo filosofico americano presentazione di Stelio Zeppi La Rosa, ottobre 1996 pp. 239, £ 25.000 Questo libro, attraverso un’analisi dei pensatori che più hanno segnato la riflessione sull’idea di un consenso razionale (Rawls, Dworkin, Ackerman, Gauthier), cerca di dare una risposta alla possibilità di ottenere una fondazione razionale del consenso che non sia anche una fondazioone metafisica dell’individuo liberale. Martin, Jean-Clet L’image virtuelle: essai sur la construction du monde Kimé, ottobre 1996 pp. 128, F 105 L’immagine virtuale ripropone una vecchia interrogazione posta in essere da Platone e che riguarda l’inconsistenza del sensibile e la necessità di porre la realtà come riferimento stabile per lo spirito umano. Proponendoci altre scale percettive, la realtà a cui ci dà accesso l’immaginario virtuale è ancora sensibile. Per tutti gli interessati. Martinez, M. (a cura di) Formaler Mythos. Beiträge zu einer Theorie ästhetischer Formen Schöningh, novembre 1996 pp. 200, DM 58. Marx, Karl Manuscrits de 1844 a cura di Jean Salem tr. inedita dal tedesco di J.-P. Gougeon Flammarion, settembre 1996 pp. 256, F 45 In questi testi economico-filosofici vengono denunciati gli aspetti inumani del capitalismo e l’infamia dei suoi adulatori. Per tutti gli interessati. Masani, Alberto La cosmologia nella storia della scienza, religione e filosofia Editrice La Scuola, novembre 1996 pp. 410, £ 50.000 Questo libro intende mostrare come la scienza fisico-astronomica abbia oggi conseguito una visione cosmica complessa e generale formatasi quale risultato dell’elaborazione dell’edificio conoscitivo umano nei secoli. L’autore mette in luce come il sapere sia pervenuto nella storia intrecciando i guadagni della scienza, della filosofia e della fede, a intuire il senso cosmico dell’essere e della vita. Méheut, M. - Bourgeois, B. Crubellier, M. - Osmo P. et al. (a cura di) Penser le temps Ellipses-Marketing, ottobre 1996 pp. 127, F 75 Il volume è adatto alla preparazione di diversi esami. presenta una selezione di testi sul tempo in Aristotele, Montaigne, Kant, Hegel, Valéry e Giono. Di livello universitario. Meier, Heinrich Die Denkbewegung von Leo Strauss. Die Geschichte der Philosophie NOVITÀ IN LIBRERIA und die Intention des Philosophen J.B. Metzler, ottobre 1996 pp. 60, DM 16,80 Il saggio di Meier è la prima pubblicazione autonoma in lingua tedesca che si occupa della filosofia di Leo Strauss. L’indagine si occupa dell’intenzione che sottostà all’enorme opera di revisione storica di Leo Strauss. Melina, Livio Corso di bioetica:Il Vangelo della vita Piemme, ottobre 1996 pp. 299, £ 35.000. Ménissier, Thierry Eros philosophique. Une interprétation des Deux: essai sur la querelle des valeurs Grasset, novembre 1996 pp. 270, F 135 Nelle nostre società moderne, nessuna autorità superiore può dare dei giudizi che siano accettati da tutti. Come vivere quindi insieme e arbitrare i conflitti, nel momento in cui si affrontano delle soggettività irreducibili legate a valori diversi? Ci si trova confrontati con un problema filosofico e politico al quale si interessa questo libro, attraverso le opere di Max Weber, Aron, Sartre o Heidegger. Per tutti gli interessati alla materia. Menke, Christoph Tragödie im Sittlichen. Gerechtigkeit und Freiheit nach Hegel Suhrkamp, ottobre 1996 pp. 280, DM 48 L’esperienza tragica dell’epoca moderna è l’esperienza dell’inevitabilità e della necessità della collisione tra i punti di vista fondamentali e normativi e le azioni. Si tratta della tesi di abilitazione alla docenza tenuta da Menke presso la Freie Universität di Berlino. Merleau-Ponty, Maurice Notes de cours, 1959-1961 a cura di S. Ménasé pref. di C. Lefort Gallimard, ottobre 1996 pp. 416, F 175 Ognuno di questi corsi si interroga in modo diverso sull’esercizio filosofico. Com’è possibile la filosofia oggi, dopo la fenomenologia? Nel corso del 1959, Merleau-Ponty presenta una studio di Husserl e Heidegger. Inoltre, egli fa ricorso all’interpretazione della filosofia che elaborarono Cartesio, Hegel e Marx. Per gli specialisti e i professionisti. Meschini, Franco Aurelio Indice dei Principia philosophiae di René Descartes: indici lemmatizzati, frequenze,distribuzione dei lemmi Olschki, novembre 1996 pp. 471, £ 110.000. Meyer, U.I. (a cura di) Die Welt der Philosophie parte II: Renaissance und frühe Neuzeit Ein-Fach-Vlg., ottobre 1996 pp. 400, DM 49. Michalski, Mark Fremdwahrnehmung und Mitsein. Zur Grundlegung der Sozialphilosophie im Denken Max Schelers und Martin Heideggers Bouvier, settembre 1996 pp. 352, DM 72 Questa ricerca segue, per la prima volta, la traccia fornita da Heidegger stesso, che risale, partendo dall’analisi del Mitsein in Essere e tempo all’analisi di Scherer della Fremdwahrnehmung. Michaud, Stéphane (a cura di) Taine au carrefour des cultures du XIX siècle, colloque, 3 déc. 1993, organisé par la ‘Bibliothèque nationale de France’ et la ‘Société des études romantiques et dix-neuviémistes’ Bibliothèque nationale de France, settembre 1996 pp. 181, F 220 Questo convegno, organizzato in occasione della morte d’Ippolito Taine, è stato l’occasione per riconsiderare l’opera di questo pensatore. Documenti e carte personali di Taine, recentemente acquisiti dalla Bibliothèque nationale de France, vengono presentati alla fine dell’opera. Per gli specialisti e i professionisti. Misrahi, Robert La jouissance d’être: le sujet et son désir (essai d’anthropologie philosophique) Encre marine, novembre 1996 pp. 480, F 230 Il gioire e la gioia sono l’origine e il fine dell’esistenza che desidera e della riflessione costituente. Il malumore e la tragedia non sono che snaturamenti dell’esistenza umana. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Dio, il quale, grazie alla sua irrealtà permetterebbe di radiografare tutto il mondo. Si ha quindi lo spunto per discutere con Lacan, Derrida, Deleuze, Hegel o Sant’Anselmo. Per tutti gli interessati. Münz-Koenen, Inge Konstruktion des Nirgendwo. Zur Diskursivität des Utopischen bei Bloch, Adorno und Habermas Akademie Vlg., novembre 1996 pp. 200, DM 58 Misrahi, Robert Les figures du moi et la question du sujet depuis la Renaissance Armand Colin, novembre 1996 pp. 184, F 98 L’autore evidenzia la formazione progressiva dell’idea di soggetto per capire il significato di questo concetto oggi. L’originalità dell’opera risiede in primo luogo nella tesi che viene difesa: egli riabilita il soggetto contro le negazioni sostenute dalla filosofia contemporanea e mostra il carattere indissolubile del desiderio e della coscienza. Di livello universitario. Musambi, Malongi F.Y.M. Conception du temps et développement intégré L’Harmattan, ottobre 1996 pp. 240, F 130 Il volume analizza il rapporto tra rappresentazione del tempo e modo d’essere di una società, partendo da un’analisi delle principali concezioni del tempo. Nataf, André La libre pensée PUF, novembre 1996 pp. 128, F 40 Il libero pensiero è diventato solamente un oggetto di studio? Oppure continua a far muovere la storia, contro e malgrado la sua apparente inerzia e gli integralismi di ogni tipo? Questa questione riguarda le origini della civiltà moderna, poiché il pensiero libero ha dato nascita alla filosofia, alla scienza e alla politica. Per tutti gli interessati. Misrahi, Robert Lumière, commencement, liberté: fondements pour une philosophie du sujet et pour une étique de la joie Seuil, novembre 1996 pp. 335, F 53 Il libro si occupa del meccanismo intorno a cui ruota la filosofia concepita come riflessione esistenziale e come seconda nascita. Quest’opera annuncia e chiarisce il lavoro dell’autore, soprattutto la sua dottrina del soggetto, la sua etica della felicità e la sua teoria della democrazia. Per tutti gli interessati. Necchi, Piercarlo (a cura di) Il libro dei 24 filosofi Il melangolo, settembre 1996 pp. 57, £ 12.000 In questo libro si manifesta l’intenzione fondamentale di fondare una “teologia affermativa” o “catafanica” che ritenga possibile parlare di Dio e affermare ciò che è. Mohrmann, R.E. (a cura di) Argument Natur - Was ist natürlich? Lit Vlg., settembre 1996 pp. 176, DM 29,80. Moïse Maïmonide Traité de logique ed. e tr. dall’ebraico di Rémi Brague Desclée De Brouwer, settembre 1996 s.pp., F 120 Maïmonide, cresciuto in una famiglia di spagnoli, dotti conoscitori del Talmud, si stabilì alla corte del sultano Saladin, dove divenne medico. Questo suo breve trattato presenta la logica di Aristotele. Per tutti gli interessati. Netschke-Hentschke, Ada Le platonisme politique dans l’Antiquité a cura di Jacques Follon Peeters, settembre 1996 pp. 276, F 230 Questo studio propone una nuova lettura dell’opera di Platone. La prima parte disegna la formazione del pensiero platonico e porta alla definizione del platonismo politico. La seconda parte è consacrata allo studio della ricezione del platonismo politico nell’Antichità pagana. Di livello universitario. Mojsisch, B. - Pluta, O. - Rehn, R. (a cura di) Bochumer Philosophisches Jahrbuch für Antike und Mittelalter - vol. I B.R. Grüner, ottobre 1996 pp. 300, FOL 130 Questo volume verrà pubblicato in inglese, francese, tedesco e italiano; ogni autunno saranno presentati anche estratti in inglese. Newen, Albert Kontext, Referenz und Bedeutung. Eine Bedeutungstheorie singulärer Terme Schöningh, settembre 1996 pp. 256, DM 68. Nietzsche, Friedrich La généalogie de la morale a cura di Philippe Choulet tr. dal tedesco di E. Blondel, O. Hansen-Love, T. Leydenbach e P. Penisson Flammarion, settembre 1996 pp. 288, F 33 In questo volume, la filosofia si interroga sull’origine della morale e sulla provenienza dei nostri pregiudizi morali. Per tutti gli interessati. Montano, Aniello Storia e convenzione: Vico contra Hobbes La città del sole, settembre 1996 pp. 137, £ 22.000 In questo libro l’autore ha affrontato il rapporto Vico-Hobbes mostrando come da un lato Vico costituisca il punto di avvio di una concezione “storicistica” e “umanologica” dell’esperienza e come, dall’altro lato, Hobbes abbia fondato una visione dell’uomo basata su un’ipotesi “convenzionalistica” e “assiomatico-deduttiva” di ridefinizione dell’intero sistema del sapere. Ortega, Francisco Michel Faucault - die Rekonstruktion der Freundschaft. Von der Genealogie des modernen Subjekts zur Ästhetik neuer Formen von Sozietät W. Fink, ottobre 1996 pp. 250, DM 38. Mori, Gianluca Introduzione a Bayle Laterza, ottobre 1996 pp. 223, £ 18.000 Questo libro costituisce un’introduzione alla filosofia di Bayle. Gli aspetti considerati sono; le opere giovanili, i Pensieri sulla cometa, la critica della religione e tolleranza, il Dizionario storico-critico, l’ateismo stratonico, la storia della critica e la bibliografia. Orth, Ernst Wolfgang Von der Erkenntnistheorie zur Kulturphilosophie. Studien zu Ernst Cassirers Philosophie der symbolischen Formen Königshausen & Neumann, settembre 1996 pp. 327, DM 58. Mouton, Joseph Misère de Dieu Aubier, ottobre 1996 pp. 250, F 110 Ricercando la figura di un ateismo proporzionato al soggetto, quest’indagine getta luce in modo obliquo su di una serie di problemi semiologici, linguistici e artistici come la questione di Otto, Regine (a cura di) Nationen und Kulturen. Zum 250. Geburtstag Johann Gottfried Herders Königshausen & Neumann, ottobre 1996 pp. 500, DM 98. Ottonello, Pier Paolo (a cura di) Bibliografia degli scritti di e su Michele Sciacca dal 1931 al 1995 93 Olschki, novembre 1996 pp. 441, £ 78.000. Ottonello, Pier Paolo (a cura di) Michele Sciacca e la filosofia oggi: atti del Congresso internazionale: Roma, 5-8 aprile 1995 Olschki, ottobre 1996 pp. 620, £ 98.000 Questo libro raccoglie scritti di vari autori sulla filosofia di Michele Sciacca suddivisi in: introduzione, metafisica del finito, l’integralità della filosofia, prospettive storiche, Sciacca e la contemporaneità. Pajda, Zbigniew Hugo Sneyth et ses question de l’âme Vrin, settembre 1996 pp. 197, F 240 Le questioni sollevate da Sneyth, un domenicano del XIII secolo, riguardano i legami tra la tradizione agostiniana e le grandi autorità, ma rivelano anche la presenza dell’idee più personali della dottrina proposta da T. d’Aquino. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Pandolfi, Alessandro Généalogie et dialectique de la raison mercantiliste L’Harmattan, ottobre 1996 pp. 366, F 180 Questa ricerca contribuische a riesaminare le forme e le modalità d’esercizio dei rapporti di potere che hanno caratterizzato la nascita delle nuove pratiche economiche e di governo, secondo una doppia prospettiva genealogica e dialettica. Per tutti gli interessati. Pape Helmut Die Unsichtbarkeit der Welt. Eine visuelle Kritik neuzeitlicher Ontologie Suhrkamp, ottobre 1996 pp. 520, DM 78. Parinard, André Gaston Bachelard Flammarion, novembre 1996 pp. 547, F 140 La via e il percorso del filosofo nato nel 1884 e morto nel 1962 vengono qui descritti. Si tratta di un’analisi critica dell’opera di questo “filosofo dell’immaginazione” e dei saggi applicativi delle sue idee alla società moderna. Inoltre, l’autore presenta diversi documenti, lettere di amici, di allievi, poemi, eccetera, che dimostrano i diversi aspetti dello spirito di Bachelard. Per tutti gli interessati. Pasqualucci, Paolo Introduzione alla metafisica dell’Uno A. Pellicani, settembre 1996 pp. 151, £ 28.000 Questo libro si propone di costituire un’introduzione al problema metafisico fondamentale relativo al concetto dell’Uno inteso come concetto che si riferisce esclusivamente all’Essere prefettissimo di Dio. Patar, Benoït Ioannis Buridan Expositio et Quaestiones in Aristotelis ‘De caelo’: édition, étude critique et doctrinale Peeters, novembre 1996 pp. 602, F 949 L’autore studia i manoscritti di Aristotele utilizzati da Buridan, i problemi della datazione del Trattato del cielo e presenta alcune questioni fondamentali (quella di Dio e il problema dell’eternità del mondo). Il testo dell’edizione latina è stabilito sulla base del manoscritto 477 di Bruges. Per gli specialisti, i professionisti e di livello universitario. Patzig, Günther Gesammelte Schriften vol. IV: Theoretische Philosophie Wallstein, novembre 1996 pp. 212, DM 42. Pauer-Studer, Herlinde Das Andere der Gerechtigkeit. Moraltheorie im Kontext der Geschlechterdifferenz Akademie Vlg., settembre 1996 pp. 304, DM 98 Questo lavoro analizza come la filosofia morale presenti l’etica, nella prospettiva della differenza tra i sessi e come ne sviluppi i tratti principali, come essa la liberi, integrandone le componenti altruistiche, dal legame con le connotazioni di sesso classi- NOVITÀ IN LIBRERIA che. Pelz, Joachim Und übrig bleibt das Nichts. Ein kritisch-ironischer Streifzug durch Philosophie und Physik, von Parmenides über Kant und Heidegger zu Hawking Ergon-Vlg., novembre 1996 pp. 360, DM 24. Penati, Giancarlo Classicità, modernità,postmoderno: quale saggezza oggi per l’uomo? Morcelliana, ottobre 1996 pp. 196, £ 25.000 L’autore esamina come sia possibile orientarsi nella pluralità degli stili filosofici della nostra età postmoderna e non soggiacere alla malìa del sincretismo e/o del relativismo. Pera, Marcello Apologia del metodo Laterza, ottobre 1996 pp. 169, £ 23.000 In questo libro vengono analizzate le condizioni che rendono oggi possibili la razionalità e il progresso scientifici di fronte all’anarchismo metodologico e alle suggestioni irrazionaliste. Pernot, Camille La politesse et sa philosophie PUF, novembre 1996 pp.368, F 198 L’educazione non è che un insieme di usi contingenti o ha un significato proprio? In cosa si distingue dalle altre forme di socialità, ha un significato diretto? Questo studio, ripreso in una prospettiva filosofica, rivela la natura paradossale dell’educazione, che è sia linguaggio creatore dei sensi sia linguaggio formale. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Piattelli Palmarini, Massimo Petit traité sur Kant tr. dall’italiano di C. Marin O. Jacob, ottobre 1996 pp. 112, F 90 Si tratta di una presentazione delle grandi questioni che hanno occupato la vita di Kant, rivolgendo l’attenzione alle nozioni fondamentaali come lo spazio e il tempo, la legge morale o la regione. Questo saggio consente di capire meglio l’interrogazione e l’ispirazione dell’autore della Critica della ragion pura e ciò che è l’interrogazione filosofica. Di livello universitario. Platone Politeia a cura di O. Höffe Akademie Vlg., novembre 1996 pp. 340, DM 29,80 Famosi interpreti di Platone hanno contribuito alla stesura di questo volume, commentando i diversi temi della Politeia e i diversi problemi della ricerca su Platone. Plutarco Plutarque, du stoïcisme et de l’épicurisme pref. e note di Jean Salem Sand, settembre 1996 pp. 238, F 79 Attraverso scritti polemici, presentati da Jean Salem, viene fornita un’idea delle dottrine stoiche ed epicuree, così come erano allora vissute dai loro rappresentanti e come erano recepite. Una scoperta del platonico Plutarco, di fronte alle due filosofie che esercitarono un’influenza così profonda durante l’Antichità greco-romana. Per tutti gli interessati. Popper, Karl R. Alles Leben ist Problemlösen. Über Erkenntnis, Geschichte und Politik Piper, ottobre 1996 s.pp., DM 16,90 In questo libro, che Popper finì prima della sua morte, nel 1994, l’autore parla ancora una volta dei suoi temi centrali, nella forma concisa e precisa, viva e penetrante che lo contraddistingue. Potrc, M. (a cura di) Non-classical Logic, Ethics & Philosophy of Mind Röll, novembre 1996 pp. 233, DM 44. Pougoise, E. - Ridou, J.-M. (a cura di) Panorama de la philosophie Marabout, novembre 1996 s.pp., F 61 Il percorso si snoda dai Greci ai grandi pensatori contemporanei, ripercorrendo il percorso della filosofia, con i suoi principali concetti e teorie, attraverso delle schede biografiche e delle tavole cronologiche. Per tutti gli interessati. Ronchi, Marco Luogo comune: verso un’etica della scrittura EGEA, settembre 1996 pp. 143, £ 20.000 In questo libro l’autore si propone di enucleare il valore etico e fondante e non più semplicemente estetico e compensatorio della letteratura. Prélorentzos, Yannis Temps, durée et éternité: études sur les ‘Principes de la philosophie’ de Descartes, de Spinoza Presses de l’Université de Paris-Sorbonne, novembre 1996 pp. 264, F 95 La nozione di durata riguarda diverse interrogazioni, anche in modo decisivo, in Spinoza e permette all’autore di trovare una risposta alla sua domanda primitiva: c’è o no una differenza significativa tra la dottrina di Cartesio e ciò che espone Spinoza? Si tratta di uno studio che incrocia i pensieri di due dei maggiori filosofi della modernità. Per gli specialisti e i professionisti. Rosemann, Philipp W. Omne ens est aliquid: Introduction à la lecture du système philosophique de Saint Thomas d’Aquin Peeters-France, novembre 1996 pp. 223, F 115 Quest’introduzione alla lettura di san Tommaso espone la sua intuizione ontologica centrale, l’idea che egli si è creata dell’essere e degli esseri e da cui deriva il metodo adeguato per avvicinarglisi. Questo metodo mostra nel tomismo un pensiero mobile, attento alla complessità vivente del reale e sviluppa una dialettica della sostanza e del rapporto che trova il suo coronamento nella Trinità. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Recki, B. - Wiesling, L. (a cura di) Bild und Reflexion. Paradigmen und Perspektiven W. Fink, settembre 1996 pp. 384, DM 78 Il volume raccoglie contributi esemplari e che indicano in che direzione si muove la ricerca sui problemi attuali dell’estetica filosofica, della storia dell’arte, della scienza della musica e della teoria dei media. Roudinesco, Elisabeth Jacques Lacan. Bericht über ein Leben. Geschichte eines Denksystems Kiepenheuer & Witsch, ottobre 1996 pp. 800, DM 89. Rouvillois, Frédéric L’Invention du progrès: aux origines de la pensée totalitaire, 1680-1730 Kimé, novembre 1996 pp. 488, F 250 L’idea di progresso costituisce uno dei fulcri della modernità. Questo saggio si preoccupa di ritrovarla, di farla uscire dai campi magici del mito e dell’evidenza e di descriverne l’invenzione, all’alba dei Lumi (16801730). Per tutti gli interessati. Regenbogen, A. (a cura di) Antike Weisheit und moderne Vernunft. Herbert Boeder zugeeignet Univ.-Vlg. Rasch, novembre 1996 pp. 320, DM 72. Rella, Franco Confini: la visibilità del mondo e l’enigma dell’autorappresentazione Pendragon, ottobre 1996 pp. 159, £ 26.000 Il libro esamina la concezione estetica, la rivoluzione espressionista, i segni e le cose, il segno e lo sguardo, cartografia del moderno, alcune riflessioni sul tragico, nelle città, una mappa dai confini sfrangiati, il pensiero di faccia al mondo, dal confine. Rudolph, E. (a cura di) Polis und Kosmos. Naturphilosophie bei Platon Wiss. Buchges., ottobre 1996 pp. 152, DM 49,80 Se si dovesse dimostrare che la filosofia della natura di Platone, soprattutto il dialogo Timeo, deve essere intesa come cornice alla sua filosofia politica (politeia, nomoi), verrebbe messa in dubbio la tesi di una “gerarchia dei due mondi” dell’opera platonica, sostenuta dalla tradizione neoplatonica. Renard, Gilles L’épistémologie chez Georges Canguilhelm Nathan, novembre 1996 pp. 172, F 95 L’autore ripristina la prospettiva del razionalismo che si lega ai lavori di Canguilhelm e li confronta con altri contributi, in particolar modo con quelli americani. Di livello universitario. Rungaldier, Edmund Philosophie der Esoterik Kohlhammer, ottobre 1996 pp. 212, DM 39,80 Ci si interroga intorno alle premesse ontologiche e antropologiche che sono alla base dell’esoterismo contemporaneo. La domanda principale è: quali sono le leggi fondamentali e ultime? Rensi, Giuseppe - Grenier, Jean La philosophie de l’absurde pref. di Nicolas Emery tr. dall’italiano di P. Farzi e M. Valensi Allia, settembre 1996 Si tratta del testamento spirituale di Rensi, in cui si trovano tutti i temi fondamentali del suo pensiero, prima tra tutti la sua violenta polemica contro la lettura tranquillizzante e razionalista della storia. Per tutti gli interessati. Saint-Evremond, Charles de Ecrits philosophiques Alive, ottobre 1996 pp. 176, F 139 Il volume raccoglie la totalità dei testi autentici di Sant’Evremondo, che scaturiscono dalla filosofia. Essi si occupano anche della questione della ricerca della saggezza. Il testo è stato stabilito partendo dall’edizione delle opere postuma del 1707. Per tutti gli interessati. Ricci, Saverio Nicola Antonio Stigliola:enciclopedista e linceo. Con l’edizione del trattato Delle apparenze celesti a cura e con un saggio di Andrea Cuna Accademia nazionale dei Lincei, ottobre 1996 pp. 147, £ 20.000. Salaquarda, J. (a cura di) Nietzsche Wiss. Buchges., novembre 1996 pp. 380, DM 49,80 Si tratta della nuova edizione del libro apparso nel 1980. Vi si trova un panorama dei nuovi sviluppi della ricerca su Nietzsche. Ricoeur, Paul Soi-même comme un autre Seuil, settembre 1996 pp. 448, F 56 Si tratta di un percorso metodico tra filosofia analitica ed ermeneutica dell’Io e sul Sé, concepito come pronome coniugato. Per tutti gli interessati. Salaün, Franck L’ordre des moeurs: essai sur la place du matérialisme en France au XVIIIe siècle Kimé, settembre 1996 pp. 370, F 195 In questo saggio, la ricerca storica e l’interrogazione filosofica vengono riunite. In effetti, precisando e interpretando il ruolo del materialismo nella società francese, tra la pubblicazione delle Lettere filosofiche di Voltaire (1734) e la morte di Diderot (1784), Romano, F. - Cardullo, R. L. Dunamis nel neoplatonismo: atti del II Colloquio internazionale del Centro di ricerca sul neoplatonismo: Università degli Studi di Catania, 6-8 ottobre 1994 La Nuova Italia, novembre 1996 pp. 217, £ 50.000. 94 si viene logicamente condotti a riesaminare l’esistenza delle credenze e delle condotte. Per tutti gli interessati. Saltzer, W. et al. (a cura di) Die Erfindung des Universums. Neue Überlegungen zur philosophischen Kosmologie Insel Vlg., ottobre 1996 pp. 350, DM 22,80. Salucci, Marco Materialismo e funzionalismo nella filosofia della mente ETS, settembre 1996 pp. 170, £ 20.000. Sandvoss, Ernst R. Sternstunden des Prometheus. Vom Weltbild zum Weltmodell Insel Vlg., settembre 1996 pp. 380, DM 48 Il volume offre una presentazione dei modelli del mondo scientifici. Nella società feudale dominava la finalità, e quindi un’idea del mondo determinista, nella società borghese la causalità e in quella globale la relatività. Il dissolvimento dei sistemi chiusi in favore di quelli aperti è indissolubilmente legato allo sviluppo delle scienze naturali. Savignano, Armando Introduzione a Ortega y Gasset Laterza, settembre 1996 pp. 191, £ 18.000 Il libro presenta l’opera di Gasset attraverso un’esame dei suoi scritti giovanili, della sua vita e delle sue concezioni fondamentali. Schaefer, Alfred Spinoza Philosoph des europäischen Bürgertums Junghans, novembre 1996 pp. 192, DM 38. Schäfer, L. - Ströker, E. (a cura di) Naturauffassungen in Philosophie, Wissenschaft, Technik - vol. IV: Gegenwart Alber, settembre 1996 pp. 260, DM 84. Schantz, Richard Wahrheit, Referenz und Realismus. Eine sprachphilosophische und metaphysische Studie de Gruyter, settembre 1996 pp. 429, DM 230 Si tratta di una ricerca in difesa del realismo. È la tesi di abilitazione alla docenza tenuta presso la Freie Universität di Berlino, nel 1996. Scheibe, E. Die Reduktion physikalischer Theorien. Ein Beitrag zur Einheit der Physik Springer, ottobre 1996 pp. 200, DM 88 L’autore presenta qui una nuova teoria, che viene spiegata ricorrendo a diversi esempi tratti dalla fisica. La novità di questa teoria è rappresentata dal fatto che il suo fondamento non sta nel concetto di riduzione vincolante e generale, ma in una struttura ricorrente che si basa sul principio che le riduzioni si alternano e si innescano una sull’altra. Schelling, Friedrich Wilhelm Josef Introduction a la philosophie a cura, tr. dal tedesco e postf. di M.-C. Cailliol-Gillet Vrin, novembre 1996 pp. 184, F 150 Schelling si propose di spiegare il fatto o l’origine del mondo, analizzandoli nel corso di filosofia, tenuto nel 1830. Secondo Schelling, si giunge alla filosofia solo con una rielaborazione singolare della nozione stessa di esperienza. Questo testo costituisce un documento privilegiato dell’insistenza di Schelling nel ricercare un moto positivo che si fa desiderare e, nel labirinto della storia, il filo di Arianna. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Scherer, René Utopies nomades Séguier, settembre 1996 pp. 232, F 140 Si tratta di una serie di riflessioni, articoli e conferenze che tendono a ridefinire e illustrare ciò che può significare un pensiero utopico alla vigilia dell’anno 2000 e soprat- NOVITÀ IN LIBRERIA tutto dopo il fallimento delle utopie, da Charles Fourier a Karl Marx, alle quali aveva dato nascita lo sviluppo della società industriale nel XIX secolo. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Schiemann, G. (a cura di) Was ist Natur? Ein philosophisches Lesebuch dtv, settembre 1996 pp. 432, DM 19,90 Si tratta di una raccolta di testi sulla filosofia della natura, che forniscono un panorama della storia della filosofia della natura. Schirn, M. (a cura di) Frege - Importance and Legacy de Gruyter, novembre 1996 pp. 467, DM 270 Si tratta di una raccolta di interessanti saggi sula figura del logico e filosofo Gottlob Frege (1848-1925), un pioniere della moderna logica e semantica. Schlegel, F. - Schleiermacher, F. Ast, F. - Schlegel A.W. et al. Critique et herméneutique dans le priemier romantisme allemand tr. e note di D. Thouard Presses univ. du Septentrion, novembre 1996 s.pp., F 180 Questo testo ha l’ambizione di fornire una lettura dei testi fondamentali dell’ermeneutica moderna e di mostrarne l’interesse filosofico, presentando l’ermeneutica che si sviluppa all’interno della critica estetica dei primi Romantici, ricordando che l’ermeneutica è in primo luogo la riflessione di un filosofo pratico. Per gli specialisti e i professionisti. Di livello universitario. Schleiermacher, Friedrich Schriften a cura di A. Arndt Dt. Klassiker Vlg., settembre 1996 pp. 1400, DM 298 Si tratta della prima raccolta di brani scelti e commentati, che mette in risalto l’ampio spettro della filosofia di Schleiermacher. Schmidt, Josef ‘Geist’, ‘Religion’ und ‘absolutes Wissen’. Ein Kommentar zu den drei gliechnamigen Kapiteln aus Hegels ‘Phänomenologie des Geistes’ Kohlhammer, novembre 1996 pp. 480, DM 98 Dopo un riassunto della prima parte della Fenomenologia dello spirito (capp. I-V), vengono commentati i capitoli dal VI all’VIII e vengono presentati i concetti di “spirito”, “religione” e “coscienza assoluta”, attraverso un’analisi testuale. Schmuckli, Lisa Differenzen und Dissonanzen. Zugänge zu feministischen Erkenntnistheorien in der Postmoderne (Facette) Helmer, ottobre 1996 pp. 280, DM 39,80. Schneider, H.J. (a cura di) Metapher, Kognition und künstliche Intelligenz W. Fink, settembre 1996 pp. 244, DM 38 Nel caso in cui sia vero che le metafore costituiscono uno scoglio per i computer e per l’intelligenza simulata che può essere realizzata tramite questi strumenti, che cosa impariamo dalle difficoltà che scopriamo e dalle differenze sulle particolarità della possibilità di pensiero e di conoscenza umane? Schopenhauer, Arthur ‘Die Welt als Wille und Vorstellung’ a cura di W. Freiherr von Löhneysen Insel Vlg., novembre 1996 pp. 1590, DM 34,80. Schopenhauer, Arthur Correspondance complète a cura di A. Hübscher pref. di F. Pagès tr. dal tedesco di Chr. Haedick Alive, ottobre 1996 s.pp., F 289 Schopenhauer non si augurava che la sua corrispondenza fosse pubblicata. In seguito ad anni di ricerca, A. Hübscher ha riunito e pubblicato integralmente le lettere ritrovate, nel 1978. Questa è la traduzione della pubblicazione del ’78. Per tutti gli interessati. pp. 288, F 49 Che cosa cambia oggi nel mondo? Le scienze, il loro metodo e le loro invenzioni, il loro modo di vedere e di trasformare le cose: le tecniche, quindi il lavoro, la sua organizzazione e il legame sociale che presuppone. Come comportarsi quindi nel mondo nuovo che si prepara e sostituisce il vecchio? Per tutti gli interessati. Schopenhauer, Arthur Ethique et politique tr. dal tedesco di A. Dietrich intr., commento e note di A. Kremer-Marietti LGF, novembre 1996 pp. 185, F 30 Sotto questo titolo sono raggruppati estratti dei Parega e parapipomena, scritti su soggetti diversi, pubblicati nel 1851. Il filosofo ha qui sviluppato le concezioni morali che gli hanno assicurato la sua reputazione di maestro del pessimismo. L’idea che più l’uomo è cosciente della vita, più si rende conto che tutta la vita è sofferenza. Per tutti gli interessati. Siebel, Mark Der Begriff der Ableitbarkeit bei Bolzano Academia-Vlg., novembre 1996 pp. 282, DM 42. Simms, K. (a cura di) Ethics and the Subject Ed. Rodopi, novembre 1996 pp. 300, FOL 150 Questo volume contiene diciannove saggi, di cui diciotto sono inediti, che esplorano la questione della soggettività considerata da una prospettiva etica. Schramm, A. (a cura di) Philosophie in Österreich 1996. Vorträge des 4. Kongresses der Österreichischen Gesellschaft für Philosophie, Graz, 28. Februar 2. März 1996 Hölder-Pichler-Tempsky, novembre 1996 pp. 525, DM 68. Sorrentino, Sergio - Terence N.Tice (a cura di) La dialettica nella cultura romantica Nis, ottobre 1996 pp. 187, £ 27.000 Questo volume, che raccoglie gli atti di un convegno internazionale, intende riaprire il dibattito filosofico intorno al tema antico della dialettica. Nata per proteggere la ragione e la sua attività di fatto la dialettica si è convertita nel suo contrario: è diventata una risorsa per impiantare un dominio sulla natura e sulla storia, per dare sfogo ad una ragione autocratica e dispotica. Schröter, Joachim Zur Meta-Theorie der Physik de Gruyter, settembre 1996 pp. 710, DM 248 Questo libro si basa sui manoscritti dell’autore, preparati per le manifestazioni sulle questioni fondamentali della fisica, tenute presso l’Università di Paderborn. Il testo si rivolge sia ai teorici della scienza sia agli studiosi delle scienze naturali, che possono trovarlo interessante. Il tema viene presentato all’interno della cornice fornita dalle concezioni di G. Ludwig, che si rifanno alla metateoria della fisica. Spaemann, Robert Personen. Versuche über den Unterschied zwischen ‘etwas’ und ‘jemand’ Klett-Cotta, settembre 1996 pp. 260, DM 48 Da Cartesio, la filosofia si occupa soprattutto degli oggetti e dei soggetti. Le persone sono però tutti e due contemporaneamente. Come mai è così? Recentemente si è messo in discussione il fatto che tutti gli esseri umani siano persone e questo ha avuto notevoli conseguenze. Spaemann riporta i suoi interventi all’interno di questo dibattito e anche la sua teorizzazione, che si attendeva da tempo. Schulte, G. (a cura di) Johann Gottfried Fichte E. Diedrichs, ottobre 1996 pp. 480, DM 48 Si tratta di una raccolta di brani di J.G. Fichte, scelti e commentati da G. Schulte. Schulthess, P. - Imbach, R. Die Philosophie im lateinischen Mittelalter. Ein Handbuch Artemis & Winkler, settembre 1996 pp. 528, DM 128. Spanio, Enrico Tommaso Il tempo della scienza e il tempo della coscienza:Bergson e i modelli interpretativi dello spazio-tempo pref. di Emanuele Severino Il cardo, ottobre 1996 pp. 94, £ 32.000 L’autore attraverso un’analisi lucida ed efficace del pensiero di Bergson, vuole mostrare come il modello interpretativo del tempo resti estraneo al divenire e come sia invece il divenire a ricevere il proprio significato sul fondamento della struttura interpretativa del tempo. Schweppenhäuser, Gerhard Theodor W. Adorno zur Einführung Junius, ottobre 1996 pp. 165, DM 19,80. Sciacca, Fabrizio Imago libertatis; diritto e Stato nella filosofia dello spirito di Hegel Giappichelli, settembre 1996 pp. 132, £ 18.000 In questo libro si affronta la critica hegeliana del diritto naturale come critica della soggettività: tanto nel momento logico della riduzione razionale (Leibniz) o psicologico del problema dell’esperienza (Hume), quanto in quello della filosofia critica della conoscenza (Kant). Stamm, Marcelo Systemkrise. Die Elementarphilosophie in der Debatte (1789-1794) Klett-Cotta, ottobre 1996 pp. 255, DM 88 La filosofia elementare di K.L. Reinhlod acquista un nuovo significato per la ricerca sulla filosofia classica tedesca. Questo volume mostra come i motivi critici contro il programma della filosofia dei principi di Reinhold scaturiscano da un dibattito che dovrebbe anche essere formativo per le concezioni speculative. Seifert, Josef Gott als Gottesbeweis. Eine phänomenologische Neubegründung des ontologischen Argumentes Winter, settembre 1996 pp. 715, DM 188. Seiqueira, Ronald Die Philosophien Indiens Ein-Fach-Vlg., novembre 1996 pp. 300, DM 35. Stanchina, Gabriella La filosofia di Luce Irigaray: pensare e abitare un corpo di donna Mimesis, ottobre 1996 pp. 156, £ 25.000 Il libro enuclea gli snodi fondativi del pensiero di Luce Irigaray dal rapporto con la psicoanalisi lacaniana alla rilettura del mito platonico della caverna, dalla riflessione sui corpi e il limite in Aristotele e Levinas alla rivisitazione dell’Antigone hegeliana. Ne emerge il profilo di un pensiero che interroga la modernità attraverso la proposta di un nuovo modello etico in cui l’alterità femminile denegata possa giungere alla parola. Sena, Michelantonio Leopardi: De Sanctis e altri studi Edisud, settembre 1996 pp. 272, £ 50.000 Attraverso un’analisi delle principali opere del Leopardi l’autore ci coglie la radicale unità della filosofia e della poesia intesa come autentica espressione del mondo della vita: intuizione che si manifesta essenziale nella riflessione storico-filosofica ed estetico-letteraria dei lavori critico-esegetici degli ultimi anni. Serres, Michel Atlas Flammarion, novembre 1996 Staquet, Anne 95 La pensée faible de Vattimo et Rovatti: une pensée faible L’Harmattan, ottobre 1996 pp. 202, F 120 Si tratta di uno studio sul libro, apparso in Italia nel 1983, Il pensiero debole. Il “pensiero debole” nella ricerca viene analizzato in movimento, rintracciandone le origini che vanno fino a Nietzsche e Heidegger. Per tutti gli interessati. Steilberg, Hays Alan Die amerikanische Nietzsche-Rezeption von 1896 bis 1950 de Gruyter, settembre 1996 pp. 452, DM 230 Si tratta di una ricerca sugli inizi del discorso filosofico su Nietzsche in America, che è caratterizzato da una profonda spaccatura tra un’ostilità dalle serie motivazioni e una lode incondizionata e solenne del filosofo. Il volume contiene citazioni in inglese. Stemich Huber, Martina Heraklit. Der Werdegang des Weisen B.R. Grüner, novembre 1996 pp. 280, FOL 84 Nel volume viene fornita un’analisi di diversi frammenti, scelti dall’autrice, che porta alla dimostrazione che Eraclito traccia una chiara pedagogia, che, per alcuni versi, preannuncia aspetti filosofici posteriori. In quest’analisi, il logos nella propria psiche si incontra con il logos del mondo. Stender, Wolfram Kritik und Vernunft.Studien zu Horkheimer, Habermas und Freud zu Klampen, settembre 1996 pp. 403, s.pr. Strauss, Leo Critique de la religion chez Spinoza ou Les fondaments de la science spinoziste de la Bible: recherches pour une étude du ‘Traité théologico-politique’ pref. di G. Krüger postf. di J. Guttmann tr. dal tedesco G. Almaleh, A. Baraquin e M. Deadt-Ejchenbaum Cerf, ottobre 1996 pp. 400, F 198 Si ocupa della questione del lavoro esegetico nella filosofia di Spinoza. Per Leo Strauss l’apprezzamento della critica filologico-storica che Spinoza fa rispetto alla Bibbia è inseparabile dall’accettazione delle critiche di Hobbes nei confronti di Spinoza o della posizione di Calvino sui rapporti ragionerivelazione. Per gli specialisti e i professionisti. Strauss, Leo Gesammelte Schrifetn - vol. I: die Religionskritik Spinozas und zugehörige Schriften a cura di H. Meier J.B. Metzler, settembre 1996 pp. 430, DM 85. Tassi, Adriano G.W.F. Hegel e gli anni di Stuttgart e Tübingen: 1785-1793 Guerini e Associati, novembre 1996 pp. 244, £ 42.000 In questo libro viene esaminata la delicata fase della formazione ginnasiale di Hegel e la complessità dell’esperienza dello Stift, per molti versi decisiva per la personalità filosofica del giovane Hegel. L’indagine sul periodo di Stuttgart e di Tübingen è svolta attraversi i testi critici editi in Gesammelte Werke I e III secondo una cronologia finalmente definita. Teichmann, Frank Auferstehung im Denken. Der Christusimpuls in der ‘Philosophie der Freiheit’ und in der Bewußteseinsgeschichte Ed. Hardenberg, settembre 1996 pp. 166, DM 39. Themann, Thorsten Otto-Anthropologie der Tätigkeit. Die Dialektik von ‘Geltung’ und ‘Genesis’ im Werk von Georg Lukács Bouvier, settembre 1996 pp. 272, DM 76. Thiele, Ulrich Verwaltete Freiheit. Die normativen Prämissen NOVITÀ IN LIBRERIA in Horkheimers Kantkritik Campus, ottobre 1996 pp. 300, DM 58 Quest’analisi dell’interpretazione di Kant da parte di Horkheim getta una nuova luce sugli inizi filosofici della Scuola di Francoforte. L’autore applica il metodo ideologico di Horkheimer agli scritti classici di Horkheimer. Thiry, Philippe Notions de logique De Boeck-Wesmael, ottobre 1996 pp. 182, F 120 Il volume, che è alla sua seconda edizione, contiene i fondamenti di logica antica e della logica moderna delle proposizioni e dei predicati di prim’ordine. Di livello universitario. Thomas, Philipp Selbst - Natur - Sein. Leibphänomenologie als Naturphilosophie Akademie Vlg., settembre 1996 pp. 268, DM 79 Thomas, partendo dall’analisi del corpo in Husserl, Heidegger, Merleau-Ponty e Schmitz, ipotizza come dovrebbe presentarsi una fenomenologia del corpo che consideri il corpo come una fenomenologia della natura, che è poi a dire di noi stessi. Tomberg, Markus Der Begriff von Mythos und Wissenschaft bei Ernst Cassirer und Kurt Hübner Lit, ottobre 1996 pp. 288, DM 48,80. Totok, Wilhelm Handbuch der Geschichte der Philosophie vol. I: Altertum.Indische, chinesische, griechisch-römische Philosophie a cura di H.-D. Finke e H. Schröer Klostermann, settembre 1996 pp. 900, DM 298 Si tratta della seconda edizione, che tiene conto dei volumi di questa storia della filosofia pubblicati da Totok dopo questo primo. Trappe, Tobias Transzendentale Erfahrung. Vorstudien zu einer transzendentalen Methodenlehre Schwabe, novembre 1996 pp. 363, DM 78. Vaccarino, Giiuseppe La nascita della filosofia Società stampa sportiva, settembre 1996 pp. 315, £ 30.000 In questo libro l’autore analizza la filosofia dalla sua nascita presso i Greci sino alla fine della filosofia greca. Vaccaro, Giovambattista Dall’esistenza alla morale: studi sull’etica del Novecento Cadmo, ottobre 1996 pp. 253, £ 25.000 Attraverso l’analisi del pensiero di alcuni protagonisti della filosofia del Novecento come Löwith, E. Levinas, Adorno, Sartre, Luporini e Bloch, in un confronto serrato con Heidegger si tenta di dare una risposta al rinnovato interesse per l’ontologia. Van Camp, Hélène Chemin faisant avec Jacques Derrida L’Harmattan, ottobre 1996 pp. 129, F 85 Si tratta di una lettura originale degli scritti di Derrida, che riunisce i principali testi scritti in occasione delle tavole rotonde tenutesi in Belgio e nei Paesi Bassi tra il 1991 e il ’94, per iniziativa di Michel Lisse e di Winibert Segers. Per tutti gli interessati. Vannini, Marco Mistica e filosofia pref. di Massimo Cacciari Piemme, ottobre 1996 pp. 204, £ 28.000 Questo libro costituisce un itinerario delle figure essenziali della tradizione mistica e speculativa del cristianesimo. Alla fine si mostra la sua origine nel Vangelo di Giovanni che sintetizza mirabilmente sapienza greca e messaggio cristiano. Vecchiotti, Icilio Introduzione alla storia della filosofia indiana Quattro Venti, settembre 1996 pp. 213, £ 30.000 Questa introduzione alla filosofia indiana si distacca dai libri simili e dal volume della collana ubaldina. Rispetto agli altri manuali, infatti, attribuisce un notevole valore allo sviluppo logico e a quello propriamente storico. Rispetto al manuale ubaldino sono state introdotte novità di natura esplicativa e didattica, come alcuni disegni; si è aggiunta una tavola cronologica e una cartina geografica dell’India antica; infine una linea genealogica delle lingue indiane. co: si tratta di una lettura che ci viene proposta ma anche di un’elaborazione di una teoria del senso. Per tutti gli interessati. Weber, Stefan Die Dualisierung des Erkennens. Zu Konstruktivismus, Neurophilosophie und Medientheorie Passagen Vlg., settembre 1996 pp. 288, DM 62. Weil, Eric Logique de la philosophie Vrin, settembre 1996 pp. 442, F 198 L’autore intraprende l’impresa di riunire la diversità dei discorsi filosofici ad un numero finito di figure ideali e tipiche - le categorie filosofiche - e di articolarle secondo un ordine che ha l’aspetto di un percorso libero del filosofare. Per tutti gli interessati e di livello universitario. Virvidakis, Stélios La robustesse du bien: essai sur le réalisme moral J. Chambon, novembre 1996 pp. 311, F 170 Si tratta di un saggio sulle proprietà morali che attribuiamo a degli individui o a delle situazioni come “buone” o “cattive”. Esse sono “nelle” cose e possono rivelarle così come rileviamo le proprietà delle cose fisiche? O sono delle proiezioni dei nostri sentimenti e delle nostre attese? Per tutti gli interessati. Weinberger, Ota Alternative Handlungstheorie Böhlau, novembre 1996 pp. 312, DM 58 L’agire viene qui concepito come un comportamento guidato dalle informazioni, internazionalmente, che è caratterizzato dalla struttura dell’elaborazione delle informazioni. La teoria, presentata formalmente, è applicabile sia all’azione individuale che a quella istituzionale. Vitale, Ermanno Il soggetto e la comunità:fenomenologia e metafisica dell’identità in Charles Taylor Giappichelli, ottobre 1996 pp. 208, £ 28.000 Attraverso una critica testuale dell’opera di Taylor questo saggio si propone di dimostrare che il pensiero liberale ha i suoi quadri di riferimento in un’ontologia fondante e autosufficiente. Tornando a fare i conti anche con Hobbes e Kant il comunitarismo si rivela non più disponibile ad affrontare utilmente le sfide del terzo millennio. Weingartner, P. (a cura di) Gesetz und Vohersage Alber, novembre 1996 pp. 256, DM 64 Il volume presenta le nuove scoperte intorno al vecchio tema della “legge e della premonizione”, provenienti dalla matematica (metodi di calcolo per i fenomeni complessi) e dalla ricerca sul caos, che problematizza in modo nuovo i concetti centrali di “ordine” e “legge della natura”. Il libro offre un panorama dello stato del dibattito interdisciplinare riguardante questo tema, alla luce delle nuove scoperte e ricerche. Vosskühler, Friedrich Der Idealismus als Metaphysik der Moderne. Studien zur Selbstreflexion und Aufhebung der Metaphysik bei Hölderlin, Hegel, Schelling, Marx und Heidegger Königshausen & Neumann, novembre 1996 pp. 520, DM 148 Si tratta della tesi all’abilitazione alla docenza tenuta presso l’Università di Kassel nel ’92. Weingartner, Paul Logisch-philosophische Untersuchungen zu Werten und Normen. Werte und Normen in Wissenschaft und Forschung P. Lang, novembre 1996 pp. 217, DM 66 L’analisi dei valori e delle norme e del loro ruolo nelle scienze viene portata avanti con l’aiuto dell’instrumentario della logica moderna. Inizia con la definizione del giudizio dei valori e prosegue con l’analisi dell’argomento teologico e con la domanda sulla falsificazione delle affermazioni sui valori e le norme. Wahl, François Introduction au discours du tableau Seuil, settembre 1996 pp. 208, F 130 Viene consederato ciò che è “visibile”, sotto due specie: il paesaggio, il quadro. Si tratta di dimostrare che il visibile è un “discorso” e che è inarticolabile e intelleggibile se non si risale fino alla forma linguistica. Questo progetto si considera filosofi- Informazioni bibliografiche relative alle pubblicazioni italiane sono tratte dalla banca dati della Wetz, Franz Josef Friedrich W.J. Schlegel zur Einführung Jiunius, novembre 1996 pp. 250, DM 24,80 Il volume contiene anche una bibliografia e un elenco della letteratura settoriale. Wiesner, Jürgen Parmenides - der Beginn der ‘Aletheia’. Untersuchungen zu B 2 - B 3 - B 6 de Gruyter, settembre 1996 pp. 280, DM 176 Si tratta della tesi di abilitazione alla docenza tenuta presso la Freie Universität di Berlino, nel 1992-93. Wille, Bernd Onthologie und Ethik bei Hans Jonas Röll, ottobre 1996 pp. 272, DM 58 L’autore vuole incoraggiare a riconoscere l’approccio ontologico come fondato e con lo stesso diritto di stare di fanco agli altri, così come fa Jonas e nonostante i “tabù” dell’epoca moderna. Si tratta della tesi di laurea tenuta da Wille, presso l’Università di Würzburg, quest’anno. Wilson, John E. Schelling und Nietzsche. Zur Auslegung der frühen Werke Friedrich Nietzsches de Gruyter, settembre 1996 pp. 400, DM 238. Wimmer, Reiner Vier jüdische Philosophinnen. Rosa Luxemburg, Simone Weil, Edith Stein, Hanna Arendt Reclam, settembre 1996 pp. 379, DM 24. Wittgenstein, Ludwig Chaier bleu, cahier brun tr. dall’inglese di M. Goldberg e J. Sackuhr Gallimard, ottobre 1996 pp. 320, F 180 Questo volume raccoglie i due testi del 1935 e ’36, tra il Tractatus logico-philosophicus e le Investigazioni filosofiche che testimoniano un’evoluzione importante del pensiero di Wittgenstein. Per gli specialisti e i professionisti. Wittgenstein, Ludwig Familienbriefe Hölder-Pichler-Tempsky, novembre 1996 pp. 216, DM 67 Il volume contiene una grande parte delle lettere conservate, che documentano la corrispondenza tra Ludwig Wittgenstein e i suoi fratelli. Le fotografie tratte dagli album di famiglia fanno rivivere le persone e l’ambiente. Un saggio del biografo di Wittgenstein, Brian Mc-Guinness, raffigura lo sfondo di pensiero del filosofo. Zeidler-Janiszewska, A. (a cura di) Epistemology and History. Humanities and a Philosophical Problem and Jerzy Kmita’s Approach to It Ed. Rodopi, settembre 1996 pp. 630, FOL 320. Zingari, Guido Oscenità interiori: verità ambigue e retoriche perverse Costa & Nolan, ottobre 1996 pp. 76, £ 12.000 In questo libro Zingari offre una fenomenologia dell’osceno interiore e invisibile, tesa a smascherare l’equivoco e l’ambiguità di un linguaggio piegato sempre più spesso a confondere piuttosto che a svelare la verità. Zizek, Slavoj Der nie aufgehende Rest. Ein Versuch über Schelling und die damit zusammenhängende Gegenstände Passagen Vlg., settembre 1996 pp. 272, DM 58. via B. da Maiano, 3 50014 Fiesole (FI) telefono 055.599941 fax 055.598895 [email protected] 96 Zwierlein, Eduard Blaise Pascal zur Einführung Junius, ottobre 1996 pp. 192, DM 24,80. (Biblio. it. di M.Mi.; trad. it. di L.T.)