Luigi Sturzo nasce a Caltagirone il 26 novembre

Biografia Luigi Sturzo
A cura del prof. Flavio Felice
Docente di Dottrine economiche
e politiche Pontificia Università Lateranense
“Il divorzio della politica dalla morale è
stato fatale all’umanità. La democrazia
cristiana vuole porre la morale come base
della politica. La morale è unica e
indivisibile. Non vi sono due morali, una
per i rapporti privati e una per quelli
pubblici. Se una azione è immorale per
l’individuo, è anche immorale per il
sindaco della città, per il senatore dello
stato, per il presidente della nazione, per
tutti i cittadini uniti insieme”
(Luigi Sturzo)
Luigi Sturzo nasce a Caltagirone il 26 novembre 1871, a ragione dei suoi studi e
per motivi di salute frequenta diversi seminari: quelli di Acireale, di Noto e di
Caltagirone, dove nel 1988 si diploma. Nel 1894 è ordinato sacerdote. Si trasferisce a
Roma, dove nel 1898 consegue la laurea in filosofia presso l’Università Gregoriana.
Sarà proprio a Roma che matura la sua “vocazione politica”. È lo stesso Sturzo a
narrarci che il giorno del sabato santo del 1895, nel corso della benedizione delle case
nel ghetto, si rende conto della miseria in cui versano tante persone. In questa
circostanza decide di dedicarsi alla questione sociale: di studiarla e di viverla, con
carità cristiana e con competenza scientifica.
Rientrato a Caltagirone, accanto all’insegnamento della filosofia, prende forma il
suo impegno religioso e sociale. Fonda un comitato diocesano ed interparrocchiale,
apre una sezione operaia ed una degli agricoltori, dà vita una cassa rurale per
combattere l’usura ed un giornale per diffondere le idee presenti nella Rerum
novarum: “La Croce di Costantino”.
Nel 1902 guida i cattolici di Caltagirone alle elezioni amministrative, nel 1905
vince le elezioni di Caltagirone e diviene prosindaco, carica che ricoprirà fino al
1920. Nel 1905, alla vigilia di Natale, pronuncia il discorso di Caltagirone su I
problemi della vita nazionale dei cattolici, piattaforma politica ed organizzativa per
la costituzione di un partito di ispirazione cristiana che, superando il non expedit,
faccia rientrare i cattolici sulla scena della politica nazionale. Nel 1915 è eletto vice
presidente dell’Associazione Nazionale Comuni d’Italia.
Il 18 gennaio 1919 si compie ciò che a molti è apparso l’evento politico più
significativo dall’unità d’Italia. Dall’albergo Santa Chiara di Roma, don Sturzo lancia
“l’Appello ai Liberi e Forti”, carta istitutiva del Partito Popolare Italiano: “A tutti gli
uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai
fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché
uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”.
L'esperienza del popolarismo sturziano rappresentò il tentativo di concepire un
ordine sociale coerente con la prospettiva della Dottrina sociale della Chiesa. Un
ordine politico ed economico ispirato al personalismo cristiano che si distingue per le
risposte che è in grado di dare ai concreti problemi degli uomini. Il tratto
caratteristico dell’Appello di Sturzo è caratterizzato dalla convinzione che, al
processo dirigista, centralista, monopolista dello Stato, sia preferibile un corretto
sistema competitivo, che tenga conto della contingenza e della limitatezza che
contraddistinguono la costituzione fisica e morale della persona. Un nuovo ordine al
centro del quale, in sintonia con i principi di sussidiarietà e di solidarietà, si imponga
l’opera spontanea e creativa della società civile (persone, famiglie, associazioni,
imprese...), capace d’accrescere le possibilità di scelta da parte dei singoli e delle
associazioni, al fine di ottenere una più efficace risposta ai reali bisogni dei cittadini
ed un maggior rispetto della libertà, della dignità e della responsabilità della persona.
Ecco come il sacerdote di Caltagirone ricorda la fondazione del Partito Popolare:
“Era mezzanotte quando ci separammo e spontaneamente […] passando davanti la
Chiesa dei santi Apostoli picchiammo alla porta: c’era l’adorazione notturna. […]
Durante quest’ora di adorazione rievocai tutta la tragedia della mia vita. Non avevo
mai chiesto nulla, non cercavo nulla, ero rimasto semplice prete […]. Accettavo la
nuova carica di capo del partito popolare con la amarezza nel cuore, ma come un
apostolato, come un sacrificio”.
Nell’aprile del 1923, al Congresso Nazionale di Torino del Partito Popolare,
Sturzo denuncia Mussolini e il fascismo. Il duce da quel momento lo indicherà come
il “nemico principale del fascismo” ed interverrà sul Cardinale Gasparri per
costringere don Sturzo prima a dimettersi dal partito e poi ad abbandonare l’Italia.
L’esilio di Sturzo durerà 22 anni. Passando per Parigi, Sturzo vivrà a Londra fino al
settembre del 1940 e poi negli Stati Uniti d’America fino al 5 settembre 1946, quando
torna in Italia sbarcando a Napoli.
I suoi lavori più importanti di teoria politica e sociologica videro la luce durante
il periodo dell’esilio. A Londra anima diversi gruppi politici di italiani fuoriusciti e di
cattolici europei e nel 1936 fonda il People and Freedom Group. Scriveva Sturzo
nella lettera di presentazione: “Popolo e libertà è il motto di Savonarola; popolo
significa non solo la classe lavoratrice ma l’intera cittadinanza, perché tutti devono
godere della libertà e partecipare al governo. Popolo significa anche democrazia, ma
la democrazia senza libertà significherebbe tirannia, proprio come la libertà senza
democrazia diventerebbe libertà soltanto per alcune classi privilegiate, mai dell’intero
popolo”. Seguendo questa strategia, negli USA intreccia rapporti con Carlo Sforza,
Lionello Venturi, Mario Einaudi, Gaetano Salvemini, l’amico non credente che ebbe
a definire l’esule di Caltagirone “Imalaia di certezza e di volontà”.
Al suo rientro in Italia, dopo il referendum sulla Repubblica e le elezioni per
l’Assemblea Costituente, non si iscrive alla D.C., ma si dichiara “capo di un partito
disciolto”. Ciononostante, con i suoi discorsi, gli articoli sui giornali, le pubblicazioni
su riviste e i libri, Sturzo intraprende l’ultima sua battaglia, quella per una
Costituzione maggiormente ispirata alla libertà, laica ma rispettosa dell’ispirazione
cristiana nei suoi elementi fondamentali. Vale a dire, accogliendo dalla Dottrina
sociale della Chiesa il principio di sussidiarietà e rielaborandolo sulla base della sua
teoria sociologica: “la sociologia del concreto”, e dell’economia sociale di mercato
che lo avvicinava ai teorici e ai politici tedeschi del secondo dopoguerra quali, tra gli
altri, Röpke, Erhard ed Adenauer, contro ogni forma di olismo metodologico che
finisce per esaltare lo Stato come una “realtà a sé stante, un’ipostasi vivente”, Sturzo
difese e promosse un’articolazione socio-economica che riconosceva il primato della
persona ed il ruolo fondamentale della società civile: la famiglia, i liberi corpi
associativi, tra cui i partiti, i sindacati e la Chiesa. S’impegno nella promozione della
libertà d’insegnamento e della scelta educativa, per la difesa della proprietà privata,
del risparmio, della libera impresa, della partecipazione del lavoratore al capitale
d’impresa. Con riferimento alla libertà della scelta educativa scriveva: “Finché la
scuola in Italia non sarà libera, neppure gli italiani saranno liberi; essi saranno servi,
servi dello Stato, del partito, delle organizzazioni private o pubbliche di ogni genere
[...]. La scuola vera, libera, gioiosa, piena di entusiasmi giovanili, sviluppata in un
ambiente adatto, con insegnanti impegnati nella nobile funzione di educatori, non può
germogliare nell’atmosfera pesante creata dal monopolio burocratico statale”. Ciò lo
porterà a scrivere pagine di grande spessore teorico ed impatto politico contro le
cosiddette “tre male bestie”. Sturzo denuncia lo “statalismo”, come residuo
tradizionale di marca laicista-risorgimentale e fascista e, nella nuova versione,
nell’Italia del secondo dopoguerra, come via al socialismo di Stato; accusa la
“partitocrazia”, come illegittima occupazione delle istituzioni da parte dei sistemi
clientelari ed infine, a ‘mo di corollario, denuncia il ricorrente “abuso del denaro
pubblico”, come strumento di gestione illecita del potere pubblico.
Nel dicembre del 1952 viene nominato senatore a vita dal Presidente della
Repubblica Luigi Einaudi.
Con la sua opera: teorica e pratica, Sturzo è stato ed è tutt’oggi una solida guida
morale all’azione politica, una guida morale all’azione pubblica improntata alla carità
cristiana e all’amore per il prossimo al fine di “portare Dio nella politica”. Sturzo ha
consacrato se stesso alla missione di portare un soffio di santità e di trascendenza
nella vita politica ed il suo impegno non fu che il risultato di una serie di
provvidenziali eventi che lo sollecitarono decisamente all’azione sociale, intesa come
sviluppo coerente di quella pastorale.
Don Sturzo muore l’8 agosto del 1959 a Roma; è oggi sepolto nella Chiesa del
Santissimo Salvatore a Caltagirone e ci lascia una eredità ricchissima tanto per lo
sviluppo della teoria politica e della teologia pastorale, quanto per l’azione politica
vissuta come alta forma di carità cristiana: “La politica è un dovere civico, un atto di
carità verso il prossimo”.