EFFETTO FOTOELETTRICO PREMESSA Planck non riusciva a credere che un oscillatore potesse esistere solo in livelli discreti di energia, perché l’idea di continuità metteva in crisi la stessa concezione del campo elettromagnetico continuo: se l’energia si conserva durante il processo di emissione, una quantità fissa di energia hv deve improvvisamente essere trasferita al campo e questo comporta una qualche localizzazione nello spazio (Vedi pag.22 del Corpo Nero) che si accorda male con l’idea di un campo continuo presente ovunque. Perciò Planck considerava la sua stessa ipotesi della quantizzazione un argomento euristico cioè, basata su un’idea utile, ma probabilmente non vera che permetteva di conseguire un risultato da verificare poi in modo rigoroso. E in questo sbagliava( Esperimento di Franck e Hertz). La scoperta e il tentativo di spiegazione dell’effetto fotoelettrico aprì un altro momento di grave crisi per la teoria classica della radiazione elettromagnetica! I. EFFETTO FOTOELETTRICO L'effetto fotoelettrico fu scoperto da Hertz e Hallwachs nel 1887. L'effetto consiste nell'emissione di elettroni da parte di superfici metalliche irraggiate con radiazione elettromagnetica. Detta v la frequenza della radiazione ed I la sua intensità, le principali caratteristiche osservative di tale fenomeno sono: frequenza di soglia dipende dal materiale 1. Si verifica solo se v v0 2. L'energia cinetica massima degli elettroni, Ecin,MAX , che fuoriescono dal materiale è indipendente dall'intensità, I , della radiazione incidente. 3. Il numero, ne , degli elettroni emessi per unità di tempo è direttamente proporzionale a I . 4. L'energia cinetica massima degli elettroni, Ecin,MAX , dipende in modo lineare dalla frequenza v mediante la relazione: Ecin,MAX a We , con We una costante che dipende dal materiale colpito dalla radiazione, sperimentalmente risulta: a h . 5. Gli elettroni sono emessi istantaneamente. 1 L'amperometro A consente di misurare l'intensità di corrente massima nel circuito, cioè il numero, ne , degli elettroni emessi per unità di tempo dal metallo. Lo stesso apparato consente di misurare anche l'energia cinetica massima, Ecin,MAX , con cui ciascuno di essi è emesso. Cambiando, infatti, segno alla d.d.p. V , essa si oppone al moto degli elettroni emessi dal metallo: nessuno degli elettroni emessi potrà raggiungere gli altri elementi del circuito se eVArresto Ecin,MAX . L'elettromagnetismo classico, anche in questo caso, si rivela inadeguato nella predizione corretta dei risultati sperimentali, 1), 2), 4),5). Infatti, per la teoria di Maxwell, la luce non è altro che un’onda continua, fornita di proprietà omogeneamente distribuite nel volume che occupa. In particolare essa trasporta energia e quantità di moto distribuiti secondo la descrizione fornita dal vettore di Poynting, e quindi omogeneamente in tutto lo spazio. Aumentare l’intensità dell’onda significa aumentare il modulo dei vettori campo elettrico e campo magnetico, il che implica un aumento della densità energetica presente in ogni punto dell’onda. Pertanto quella parte dell’onda che investe un certo elettrone alla superficie del catodo gli dovrebbe cedere, a parità di tempo di esposizione, tanta più energia quanto maggiore è la sua intensità. Non si riesce a capire come l’energia cinetica del fotoelettrone possa essere indipendente dall’intensità della luce. 1 2 Trattando, infatti, il fascio di luce come un'onda piana con intensità I c 0 E02 esercita sull'elettrone, per mezzo del campo elettrico associato E0 , una forza F eE0 I e di conseguenza l'energia cinetica, ECin , acquistata dall'elettrone risulta ECin I secondo un coefficiente che non dipende dalla frequenza v della radiazione incidente. Non è quindi possibile spiegare come possa esistere una frequenza di soglia v0 . Inoltre, l'energia cinetica aumenta con I e non con la frequenza in contrasto con i dati sperimentali. Considerando poi il raggio re dell'elettrone, secondo la descrizione classica, nel tempo t viene conferita dalla radiazione un'energia pari a: ECin I t re2 . Per il potassio che richiede un lavoro di estrazione We 3.44 1019 J si ottiene, per un tempo t 107 s e un'intensità I 101W / m2 , un raggio dell'elettrone re 3.3 m !! Ovviamente assurdo! Dopo il 1902 cominciò a farsi strada che qualcosa di fondamentale dovesse essere cambiato nella descrizione della luce. Einstein nel 1905 risolse il problema assumendo che: “ La luce pur mantenendo le sue caratteristiche ondulatorie, avesse una distribuzione non uniforme dell’energia, essendo costituita da certe piccolissime regioni (QUANTI, o CORPUSCOLI della radiazione). La radiazione monocromatica di bassa densità si comporta in senso termodinamico, come se consistesse di QUANTI DI RADIAZIONE mutuamente indipendenti di grandezza h “ . O ancora: 2 “ Secondo l’ipotesi che voglio qui proporre, quando un raggio di luce si espande partendo da un punto, l’energia non si distribuisce su volumi sempre più grandi, bensì rimane costituita da un numero finito di quanti di energia localizzati nello spazio e che si muovono senza suddividersi, e che non possono essere assorbiti o emessi parzialmente”. Einstein non pensava alla descrizione puramente corpuscolare della luce, le equazioni di Maxwell non potevano essere cancellate con un colpo di spugna. Einstein, tuttavia credeva, nell’esistenza di un’onda che accompagnasse il corpuscolo energetico nella sua propagazione e che ne determinasse il comportamento. Questa era un’onda vuota di energia e quantità di moto, con caratteristiche completamente nuove rispetto a tutte le onde studiate dalla fisica classica. D’altra parte, i fenomeni d’interferenza e diffrazione non possono essere certo spiegati da una concezione puramente corpuscolare. Questo consentì ad Einstein di spiegare immediatamente l'effetto fotoelettrico: - un fotone cede per urto la sua energia h a un elettrone di conduzione del metallo, questo è emesso istantaneamente con energia cinetica ECinMax in ottemperanza alla conservazione dell'energia: h ECinMax We , con We h 0 lavoro di estrazione -. Tale formula fu verificata rigorosamente da Millikan una decina di anni più tardi (1916) che definirà l'ipotesi dei quanti di luce come << audace, per non dire incauta innanzitutto perché una perturbazione elettromagnetica che rimane localizzata nello spazio appare come una violazione del concetto stesso di perturbazione elettromagnetica, e secondariamente perché contrasta apertamente con i ben stabiliti fatti dell'interferenza. >> Questa nuova descrizione della luce (corpuscoli energetici, più onde vuote di energia) secondo Einstein non era in conflitto con tutte le osservazioni sperimentali che fino ad allora avevano indicato una natura ondulatoria della luce, perché (sempre parole di Einstein, 1905 ): << Bisogna tenere presente che le osservazioni ottiche si riferiscono a valori medi nel tempo e non a valori istantanei; sebbene abbiano trovato assoluta conferma la teoria della diffrazione, della riflessione, della rifrazione, della dispersione, ecc… , è pensabile che la teoria della luce fondata su funzioni spaziali continue possa entrare in conflitto con l’esperienza, qualora venga applicata ai fenomeni di emissione e trasformazione della luce.>> Einstein (1909) dimostrò che la formula di Planck si accordava bene con la sua concezione del campo elettromagnetico studiando le fluttuazioni energetiche della radiazione elettromagnetica di una cavità( dovute ad esempio alle fluttuazioni di temperatura, ecc.). Infatti, nella formula di Planck contribuiscono additivamente gli aspetti ondulatori e gli aspetti corpuscolari della radiazione elettromagnetica, come può notarsi calcolando lo scarto quadratico medio dell’energia dal suo valor medio: E 2 E E 2 c3 E 2 Ehv 8 v3dv V Infatti, Il primo termine è ciò che si otterrebbe se per v, T fosse valida l’approssimazione di Rayleigh ( v, T 3 8 k 2 v T ), per c3 hv valida nella concezione ondulatoria; il secondo termine è ciò che si otterrebbe se per v, T fosse valida l’approssimazione di Wien ( v, T 8 h 3 hv kT ve )per c3 hv valida nella concezione corpuscolare. Questa conclusione può sembrare sorprendente se si pensa che secondo Einstein l’energia della radiazione è tutta concentrata in corpuscoli. Diventa comprensibile però se si considera che l’onda elettromagnetica influisce sul comportamento delle particelle (gli oscillatori), costringendole a ridistribuirsi energeticamente a seconda delle sue variazioni. La formula di Planck può essere riscritta come 8 h nhv E En con En 3 v3 exp dvV mostrando che descrive la somma di tanti kT n 1 c diversi “ gas ” di quanti elettromagnetici, il primo con energia hv , il secondo con energia 2hv , …l’n – esimo con energia nhv , ecc. Questo risultato può essere così interpretato: l’entità fondamentale della radiazione di corpo nero è il pacchetto d’onde, cioè l’entità estesa emessa nelle singole transizioni atomiche , ed, il pacchetto può contenere, a seconda dei casi , un quanto energetico, o due quanti, o tre, ecc. I pacchetti si comportano indipendentemente l’uno dall’altro e indipendentemente dal numero di quanti energetici in essi contenuto. La presenza di più di un quanto di energia in un determinato pacchetto d’onde è dovuta all’azione dell’onda su un atomo eccitato e alla conseguente estrazione da quell’atomo di un quanto di energia, che da quel momento in poi si andrà ad aggiungere agli altri quanti di energia presenti nell’onda stimolatrice inserendosi così a pieno titolo in essa (emissione stimolata). Inoltre per la scarto quadratico medio 2 delle fluttuazioni di energia si scrive E hvE1 2hvE2 3hvE3 .... . Questo risultato ha la seguente interpretazione: Lo scarto quadratico medio è la somma di fluttuazioni corpuscolari di entità hv , più fluttuazioni 2hv , ecc. Paragonandolo al risultato precedente, si osserva che il termine corpuscolare è rimasto inalterato (vi è solo la sostituzione di E con E1 ), mentre il termine ondulatorio c3 E 2 si è 8 v3dv V scisso in un’infinità di contributi dovuti alle correlazioni fra due quanti d’energia, fra tre quanti energetici, ecc. E’ l’onda elettromagnetica che introduce correlazioni aggiuntive fra i corpuscoli. 4