La costruzione dello Stato unitario: dal centralismo alle autonomie Aula Magna Liceo Classico Statale “G. M. Dettori” Antonio Dimitri Preside del Liceo Classico Statale “G. M. Dettori” Un benvenuto ai nostri ospiti che sono al tavolo della presidenza e un grazie al Prefetto di Cagliari, il dott. Giovanni Balsamo, che ha trovato il tempo per stare insieme a noi e soprattutto insieme ai giovani. L’evento di oggi è una conferenza dibattito per la quale saranno relatori il prof. Manlio Brigaglia dell’Università di Sassari e il prof. Pietro Ciarlo dell’Università di Cagliari. Alla mia destra si trova l’on. Giorgio Carta, alla mia sinistra l’on. Mariarosa Cardia, e - lo dico ai nostri giovani, - una ex studentessa del nostro Liceo che avremo il privilegio di catturare e fare iscrivere alla nostra Associazione Innovando Tradere di ex alunni, ex docenti ed ex presidi. Sono, inoltre, presenti altre personalità come Michele Cossa, Vice Presidente del Consiglio regionale della Sardegna, l’on. Emidio Casula, il prof. Ortu, l’on. Eugenio Orrù, l’on. Maurandi, il prof. Paolo Fois, l’on. Angelo Becciu, e l’on. Vannina Mulas. La conferenza riguarda il tema della Costruzione dello Stato unitario: dal centralismo alle autonomie. Auguro un buon lavoro e spero che il dibattito sia molto vivo e interessante. Lascio la parola al Prefetto di Cagliari, Sua Eccellenza Giovanni Balsamo. Giovanni Balsamo Prefetto di Cagliari Voglio fare un saluto e manifestare il mio interesse quando il Presidente dell’Associazione degli ex Parlamentari è venuto a parlarmi di questa iniziativa. Noi adulti abbiamo una difficoltà a entrare in relazione con il mondo dei giovani. Chi ha figli, forse ha un tramite, ma è un tramite limitato perché collegato a poche persone. Per me, che ho figli già grandi, capire e conoscere il mondo dei giovani e degli studenti è una vera difficoltà. Ed è anche una difficoltà dal punto di vista professionale perché per il mestiere che faccio ho bisogno di capire bene il mondo dei giovani. Da qui il mio interesse a partecipare visto il tema importante che viene trattato ovvero quello che collega i 150 dell’Unità d’Italia all’istituzione parlamentare che è il cuore di questa vicenda nazionale. Sono temi - consentitemi di dirvelo - ai quali vi invito ad appassionarvi perché se approfondite questi temi vi rendete conto di come attraverso la ricerca si possono capire tante cose della realtà attuale. Quindi vi aiutano a vivere e a comprendere positivamente il presente. Giorgio Carta Coordinatore regionale Associazione ex Parlamentari Grazie signor Preside, grazie a tutti i presenti e un grazie al signor Prefetto che ha voluto essere qui dopo l’incontro che abbiamo avuto e, come lui stesso ha detto, interessato ad essere partecipe dove ci sono i giovani. L’Associazione degli ex Parlamentari della Repubblica ha deciso una serie di assemblee in tutta Italia (la chiamata delle mille assemblee) e cogliendo l’occasione del Centocinquantesimo per vedere di interloquire con tutte le parti della società e in questa coinvolgendo anche le Associazioni nazionali degli ex Consiglieri regionali. L’Associazione nazionale ha tra le sue finalità quella di difendere le istituzioni con particolare riferimento alle Assemblee parlamentari, sede della sovranità popolare. Tenuto conto che il Paese attraversa un momento di profonda crisi morale, sociale ed economica, con classi dirigenti che vengono percepite dai cittadini come lontane dai problemi reali della gente, e sempre più dedite a lotte intestine e a pratiche autoreferenziali. Il Direttivo nazionale ha inteso lanciare un programma di sensibilizzazione per ridare dignità alla politica e dare un contributo di esperienze maturato in anni di militanza nelle diverse istituzioni, lanciando questa campagna. Questo capillare programma, accanto alla rivisitazione storica degli eventi che hanno portato all’Unità, sottraendosi ad ogni forma di retorica, vuole rapportarsi anche all’attualità con lo sguardo volto alla valorizzazione e alla difesa dei principi costituzionali, predisponendo, se necessario, anche gli accertamenti della Costituzione in un’ottica che comprende e faccia i conti con la nuova realtà dell’Unione Europea e del mondo della globalizzazione. Il Coordinamento sardo degli ex Parlamentari della Repubblica ha ritenuto di intraprendere questo dialogo coinvolgendo il mondo della scuola che riteniamo fulcro essenziale per la creazione di una società responsabile e consapevole, a tutela di una democrazia messa sempre più in pericolo da egoismi economici, radicalismi di matrice politica o religiosa. Intendiamo così stimolare la forza creativa dei giovani per sottrarli alla rassegnazione, incoraggiandoli a non disperdere le loro intelligenze, ma orientandoli a rafforzare le conoscenze come presupposto indispensabile per il loro futuro. La collaborazione da noi richiesta ai dirigenti scolastici, agli storici e ai costituzionalisti ci faciliterà per far avvicinare le persone alle istituzioni, convinti che cittadini consapevoli si comincia a diventare sui banchi della scuola. Di questo siamo profondamente convinti poiché riteniamo che la classe dei giovani e la futura classe dirigente non possa limitarsi ad essere una comparsa della società. Ne abbiamo avute tante di iniziative e questa - tra breve sentirete la professoressa Cardia l’abbiamo organizzata con l’Associazione tra gli ex Consiglieri regionali della Sardegna, da tempo interessata al dialogo con la scuola sui temi della Costituzione e dello Statuto. Ringraziamo per la vostra presenza e ci auguriamo che facciate delle domande ai relatori che ringrazio per l’apporto dato in tutte le assemblee da noi fatte nel territorio della Sardegna. Mariarosa Cardia Presidente dell’Associazione tra gli ex Consiglieri regionali della Sardegna Grazie signor Preside. Porto il saluto dell’Associazione tra gli ex Consiglieri regionali della Sardegna a questa assemblea. Saluto innanzitutto le studentesse e gli studenti di questo Liceo, le autorità scolastiche, Sua Eccellenza il Prefetto di Cagliari. Come diceva il Preside, torno sempre molto volentieri in questa scuola dove per cinque anni ho studiato e dove mi sono diplomata; quindi, l’iniziativa di oggi per me rappresenta due volte un aspetto positivo: tornare nella mia vecchia scuola e soprattutto con un’iniziativa con la quale ci si ritrova con i giovani. Come diceva poc’anzi il collega Giorgio Carta, la nostra Associazione ha privilegiato da dieci anni a questa parte innanzitutto il rapporto con le istituzioni formative e quindi con le giovani generazioni sarde a cominciare dall’organizzazione di una iniziativa in occasione dei 50 anni dell’anniversario dello Statuto sardo che coinvolse in un concorso le scuole: dalla scuola materna fino alle scuole superiori. Dopo di ché - fino a due anni fa - abbiamo sempre organizzato con il Consiglio regionale della Sardegna (molto sensibile a questi temi) la “Giornata parlamentare”. Abbiamo portato una selezione di classi di tutta l’isola a simulare il lavoro parlamentare nel Parlamento sardo. Ecco perché l’iniziativa di oggi che si collega ad un anniversario importante è per noi un’occasione ulteriore per questo rapporto. Abbiamo anche scelto con i colleghi dell’Associazione degli ex Parlamentari un tema che ci è sembrato fondamentale. Quest’anno la tematica dei 150 anni è stata sviscerata in tutta Italia. Abbiamo ritenuto opportuno affrontare una questione cruciale della vita del nostro Stato e cioè la questione dell’ordinamento dello Stato, del passaggio dallo Stato centralista allo Stato delle autonomie e dello Stato federale. Quella dell’organizzazione dello Stato è stata una delle questioni irrisolte della formazione dello Stato unitario. Nel 1861 si scelse il centralismo. Credo che le classi abbiamo indagato nella fase preparatoria di quest’incontro sui motivi di quella scelta e di cui la storiografia ha discusso molto a lungo. E per cento anni quella scelta è stata ribadita in regime liberale, in regime fascista ed è stata superata soltanto con la nostra Costituzione e - nonostante la Carta costituzionale recasse un nuovo ordinamento - è rimasta congelata per altri vent’anni. Questo è un tema cruciale perché il centralismo dello Stato ha avuto ricadute profonde nell’economia dello stesso, nelle scelte economiche, nelle scelte e nel sistema politico e nella questione meridionale. Ecco perché abbiamo voluto porre al centro di questo incontro una questione di estrema attualità e di estrema importanza per noi e per i nostri cittadini. Vi ringrazio della partecipazione. Manlio Brigaglia Devo rendere anch’io omaggio a questo Liceo e ai suoi studenti anche se ho studiato al Liceo “Azuni” di Sassari che è un po’ il contr’altare e il generoso avversario del Liceo “Dettori”. Ma questo è il Liceo dove ha insegnato per tanti anni mio padre, dove hanno studiato mio fratello e mia sorella diventando da sassaresi in trasferta a cagliaritani in toto. Questo è un Liceo che non solo fa uomini ma fa uomini e donne cagliaritani; li accompagna alla cultura globale, alla cultura internazionale ma anche all’amore verso questa città. Lo stesso Preside ci raccontava come anche lui sia stato travolto dall’aura che c’è intorno a questo Liceo di grandi studenti e di grandi professori. Permettete che ricordi Antonio Romagnino che è stato uno degli uomini che ha dato più lustro al sistema degli studi in questa città e soprattutto in questo Liceo. Ieri, nella discussione sul programma del nuovo Governo, una parte politica si è lamentata che sia scomparso il Ministero per il Federalismo come se da un momento all’altro si fosse deciso di mettere da parte questo problema che è invece quello che ha agitato i cuori e le passioni politiche almeno degli ultimi quindici o vent’anni e creando anche una serie di problemi. E che invece e comparso un Ministero per la coesione territoriale che sembrerebbe volere tradurre in termini istituzionali quel problema della ri-unificazione dell’Italia o per lo meno di un ribaltamento da una deriva così federalista (da arrivare a progetti o utopie di secessione e indipendenza) a un sistema che rischierebbe di diventare troppo centralista. Questo succede perché il problema di che cosa vuol dire unità nell’Italia unita non è stato mai risolto. Fin dal primo momento in cui l’Italia si è trovata ad essere unita - sto parlando del marzo 1861 - quasi per miracolo, dicevano gli stessi uomini che l’avevano fatta, meravigliati come nel giro di pochi mesi questi sette o otto Stati che componevano l’Italia, così separati tra di loro da barriere doganali , strutturali, politiche e religiose si erano trovati uniti. C’è un momento della storia d’Italia che è quello della unificazione reale che si studia poco a scuola. Pensate, questi Stati avevano legislazioni diverse; c’erano Stati dove era presente la pena di morte, c’erano Stati con monete diverse. Il fatto di unificare questi Stati pose il problema di non eccedere in riconoscimenti delle entità, delle identità precedenti. Al momento in cui si fece l’Italia unita, c’è un Piano - Farini-Mimghetti - che tende a creare in Italia sei grandi Regioni, ognuna delle quali dotata di poteri magari anche limitati e lasciando allo Stato centrale i poteri che sono sempre stati riconosciuti nel sistema federale e cioè la legislazione, la finanza, in parte l’istruzione e quella che si chiamava l’alta sicurezza cioè il controllo dell’ordine pubblico a livelli più alti e delegando tutto il resto - lavori, opere pubbliche, assistenza - a queste sei Regioni che erano il Piemonte e la Liguria, l’Emilia e la Toscana, la Sardegna e la Sicilia. Regioni che nel passato erano state quasi tutte Stati. Regioni che erano stati degli Stati. La stessa Sardegna era stata uno Stato e aveva, con il Piemonte, creato un Regno che prese il nome di Regno Sardo-Piemontese. Questo Piano Farini-Mimghetti poi fallì perché c’era la preoccupazione che questa divisione dell’Italia in sei fette spingesse non a far alleare questi Stati federali tra di loro ma addirittura a farle separare ulteriormente. Da quel momento in poi sempre nel dibattito politico italiano è tornato il tema del federalismo: nell’800 con i nomi di Ferrari e Cattaneo e poi continua negli anni a venire man mano che nello Stato viene creandosi una deriva fortemente centralista che tocca il suo primo acme con il Governo di Crispi e i Governi conservatori che si susseguono nell’ultimo decennio dell’800 fino all’uccisione di Umberto I, raggiungendo la sua punta estrema e malata con la centralizzazione del ventennio fascista. Da quando Mussolini e il regime volevano che tutte le leve del potere e tutte le decisioni venissero prese sostanzialmente da Roma. Sapete che in Sardegna abbiamo avuto a partire dal 1919, subito dopo la Prima Guerra mondiale e come esito drammatico delle esperienze avute da centomila sardi in trincea, un grande movimento regionale o regionalista. Ed io ho visto nell’Archivio centrale dello Stato una lettera dove il generale Gandolfo - che fu il predecessore del nostro Prefetto e che venne qui per fascistizzare la Sardegna - diceva a Mussolini che una cosa che si poteva dare subito ai sardi era l’autonomia regionale. E Mussolini, con una matita blu uguale a quella con cui i vostri professori correggono i compiti di latino e greco, rispose che non voleva sentire parlare di autonomia. Da quel momento in poi cala questa cappa di centralismo su tutta l’Italia e anche sulla Sardegna che aveva invece manifestato un movimento di rivendicazione autonomistica che alle elezioni arrivava a prendere il 29% di voti. Pensate, oggi non c’è un Partito in Italia che da solo possa prendere una percentuale così alta di consensi elettorali. Chi portò alta la fiaccola del federalismo negli anni bui del fascismo fu Emilio Lussu che da capo sardista e da capo dell’antifascismo sardo dovette poi emigrare dall’Italia fuggendo dall’isola prigione dove il fascismo lo aveva confinato. Nel 1934 Lussu scrive un saggio intitolato Federalismo dove progetta questa ricostruzione dello Stato in chiave federalista. Però quando finisce il Fascismo e si può tornare a respirare e a parlare di autonomie e di federazione, il tema del federalismo scompare. Nel 1945 c’è una frase di Lussu alla Consulta nazionale che dice: “Qui i federalisti non ci sono più”. E quando andrà alla Costituente cioè alla Camera che dovrà poi scrivere la Carta costituzionale dirà: “Federalisti siamo rimasti io e l’on. Bolzon (deputato della Valle d’Aosta, Regione che aveva lasciato questa grande eredità di pensieri e di vocazioni ad una forma decentrata dello Stato)”. In Sardegna quello che sopravvive della lotta a questo centralismo è la battaglia per rivendicazione dell’autonomia regionale che arriva a compimento il 31 gennaio del 1948 quando alla Sardegna viene dato dalla Costituente lo Statuto di autonomia speciale. Statuto che toccherà alla Sardegna e ad altre quattro Regioni e che soltanto molto più tardi, nel 1970, verrà esteso non come Statuto speciale ma ordinario a tutte le altre Regioni d’Italia. È facile trovare una rivista del 1957 - otto anni dopo l’entrata in funzione della Regione che inizia ad operare nel giugno del 1949 un mese dopo l’elezione del primo Consiglio regionale - che chiede ad un onorato rappresentante della Democrazia Cristiana su cosa si dovesse fare subito in Sardegna. E lui risponde: “Procedere alla revisione dello Statuto”. Questa è una parola d’ordine che, dal momento stesso in cui viene approvato lo Statuto, corre sempre per tutto il movimento autonomista isolano. La consapevolezza dell’insufficienza dei poteri che lo Stato aveva riconosciuto alla Sardegna, con l’idea che occorresse fare un passo in avanti che poteva essere per alcuni la revisione dello Statuto per dare più poteri alla Regione oppure l’aggregarsi della Sardegna alla rivendicazione federalista che poi soprattutto la Lega Padana ha portato nel dibattito politico italiano e questo per dare più poteri alla Sardegna che, secondo la gran parte degli studiosi e degli uomini politici, sono troppo pochi per promuovere quello sviluppo di cui la Sardegna ha bisogno e che merita. Quello sviluppo che noi uomini del passato non siamo stati capaci di conquistare, ora toccherà a voi raggiungere attraverso dure fatiche e dure lotte politiche ma, senza una collocazione diversa della Sardegna nel quadro del sistema istituzionale italiano, passi avanti non se ne faranno molti. Ma siccome questo è un tempo in cui è finita la disperazione e sta iniziando la speranza, quello che dobbiamo dire è che speriamo molto in voi e nella Sardegna del domani. Pietro Ciarlo Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cagliari Costituzione della Repubblica italiana Articolo1 L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Non c’è Repubblica senza fondamento lavoristico. La dignità della persona umana è innanzitutto il lavoro non altre attività. È un momento difficile per il nostro Paese e per l’Occidente ma non dobbiamo perdere questa indicazione fondamentale. Il lavoro va cercato, inventato, costruito, rivendicato. È difficile immaginare che una persona possa condurre una esistenza libera e dignitosa, anche queste sono parole della Costituzione, se non ha un lavoro. Il lavoro deve essere rispettato: questa è una esigenza della democrazia. Della democrazia di un sistema che è fondato sulla valorizzazione della persona. Una testa, un volto, tutti eguali nell’arena politica. Tutti dobbiamo essere eguali nella possibilità di esprimere liberamente le nostre preferenze politiche, il nostro voto. Non a caso in questo articolo 1 della Costituzione dopo il riferimento al lavoro, c’è il riferimento alla sovranità che appartiene al popolo, ai cittadini considerati collettivamente ed individualmente. Il popolo esercita la sovranità ovvero il potere di governare, di fare le leggi, di dettare le regole ma anche il popolo che è il soggetto motore della democrazia esercita il suo potere politico, la sovranità, nelle forme e nei limiti della Costituzione. Non c’è possibilità in una democrazia di esercitare poteri legittimi al di fuori delle previsioni costituzionali. L’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, fondando la democrazia dei moderni questo diceva: “Non c’è democrazia dove non c’è separazione dei poteri e dove non c’è Costituzione”. Quasi tutte le democrazie del mondo hanno una forma di governo parlamentare cioè una forma di governo di ripartizione dei compiti e dei ruoli tra il Parlamento e il Governo per cui il Governo è responsabile dinnanzi al Parlamento. Mi rendo conto che, in questa fase della nostra vita politica e istituzionale, è difficile considerare i Parlamentari nostri rappresentanti, i Consiglieri regionali nostri rappresentanti ma è proprio così. Sono i nostri rappresentanti perché noi li eleggiamo, noi eleggiamo le Assemblee rappresentative e il Governo nazionale è legato da un rapporto di fiducia con l’Assemblea che noi eleggiamo. Non è vero quello che si vuol far credere e cioè che noi eleggiamo direttamente il Governo. Eleggiamo il Parlamento con un indicazione del Presidente del Consiglio, per il primo incarico, ma poi ci deve essere il rapporto di fiducia - questo lo dice la Costituzione - tra il Governo e il Parlamento. In questi giorni abbiamo assistito ad un cambiamento del Governo e alla presentazione di un nuovo Governo alle Camere; questo Governo ha ottenuto la fiducia delle Camere e la fiducia deve essere permanente. Nel momento in cui questo Governo, come tutti i Governi della Repubblica, perdesse la fiducia, sarebbe obbligato alle dimissioni. La fiducia non si da una volta e per tutte durante la legislatura ma il rapporto fiduciario deve essere permanente. La Fiducia può essere revocata dal Parlamento in qualsiasi momento. Abbiamo una articolazione dei poteri nella nostra Repubblica che è tipica di quasi tutte le Repubbliche contemporanee, delle democrazie contemporanee. Non solo abbiamo un’articolazione del rapporto tra Governo e Parlamento fondato sul rapporto fiduciario ma un’articolazione del sistema politico che fa leva sulle autonomie. E quando si parla di autonomie non si parla solo di autonomie territoriali, cioè delle autonomie dei Comuni e delle Regioni, ma si parla innanzitutto delle libertà personali, dell’autonomia e delle persone. Ciascuno di noi è tutelato nei suoi diritti dalla Costituzione e non esistono peraltro solo le autonomie personali come la libertà di manifestare il proprio pensiero, la libertà dagli arresti arbitrari, esistono anche altre autonomie che sono autonomie funzionali come quella dell’istruzione della scuola, dell’Università dove la libertà dei docenti e degli studenti di insegnare e di apprendere è particolarmente tutelata perché attraverso la funzione dell’insegnamento e dell’apprendimento, ciascuna persona è posta in forma critica dinanzi alla società. Critica vuol dire che ciascuno è posto dinanzi alla società che ci viene data con la possibilità di capire, comprendere e di articolare la propria critica. E, poi, le autonomie territoriali. Le autonomie territoriali, come ha detto poc’anzi prof. Brigaglia, dinanzi al centralismo e all’autoritarismo del passato regime - in particolare della Dittatura - la Costituzione afferma le autonomie territoriali, l’autonomia regionale. La nostra Costituzione è una Costituzione fondata sulla ripartizione del potere e sulle autonomie e sull’unità della Repubblica. Articolo 5 della Costituzione La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali. Adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento. Emilio Lussu e Renzo Laconi furono protagonisti nell’Assemblea Costituente dell’affermazione dell’Istituto regionale. Forse, senza di loro non ci sarebbe stato quest’ampio riconoscimento che c’è nella Costituzione delle autonomie regionali. Lussu e Laconi, due sardi nell’Assemblea Costituente. La Sardegna contò molto di più di quello che si possa immaginare, proprio perché a partire dalle esigenze e dal sentimento autonomistico dei sardi, Laconi - un esponente di punta del Partito Comunista - tiepido nei confronti dell’autonomismo regionale spostò l’asse politico dell’intera Assemblea Costituente, portando insieme a Lussu, tutta la Sinistra ad accettare e ad accogliere la relazione di Gaspare Ambrosini sulla autonomia regionale e la costruzione della parte finale della Costituzione che è tutta incentrata sulla tutela dell’Istituto regionale. Ma la Repubblica deve rimanere una e indivisibile. Cosa vuol dire che la Repubblica deve rimanere, secondo la Costituzione, una e indivisibile? Innanzitutto che devono essere assolti - come dice l’articolo 2 - gli inderogabili doveri di solidarietà sociale. Vedete, senza solidarietà sociale non c’è unità nazionale, senza solidarietà sociale non c’è coesione della nostra comunità nazionale, senza solidarietà sociale non ci sono politiche di riequilibrio. In che cosa si esprime la solidarietà sociale. Innanzitutto in una cultura della solidarietà, della inclusione, dell’accoglienza. Il tema degli immigrati. Il Prefetto ha dovuto affrontare l’anno scorso una emergenza importante. La Sardegna e lo Stato qui rappresentato dal Prefetto quale organo decentrato dello Stato. Serve o no un organo decentrato dello Stato? Ci deve stare lo Stato nelle Regioni? Credo proprio di sì. È impossibile immaginare una unità nazionale senza la cooperazione tra lo Stato e le Regioni. L’accoglienza, la solidarietà ma soprattutto nel dibattito degli ultimi venti anni, autonomia regionale e unità della Repubblica si coniugano sul terreno della solidarietà fiscale tra ceti sociali diversi e tra territori diversi. Le ipotesi secessioniste sulla base delle quali chi è più ricco si tiene solo per sé la ricchezza, non la ridistribuisce attraverso un sistema fiscale che sposti risorse dai territori più ricchi a quelli meno ricchi, chi sostiene questo è a suo modo coerente ed esprime una idea di secessione e di fine dell’unità nazionale. In nome di questo principio egoistico si ha un ritorno al passato, a 150 anni fa, al frazionamento politico ed istituzionale della Penisola, alla riduzione del nostro Stato-Nazione ad una serie di Staterelli privi di peso politico e di capacità di contare in Europa e nel contesto mondiale. Se l’ambizione di qualcuno è quella di essere come Malta o come l’Olanda, paese ricco ma piccolo e che poco può pesare nelle istituzioni europee e mondiali, se questo principio egoistico che viene sintetizzato sotto il nome di federalismo fiscale, se ognuno si tiene i suoi soldi e chi ne ha di meno non ne riceve in funzione di solidarietà e di riequilibrio fiscale, se questo deve essere l’esito del percorso del pensiero autonomistico credo che in questo modo fuoriusciamo non solo dalla unità nazionale ma dal quadro costituzionale e per certi versi dal quadro della democrazia. Perché la democrazia che si identifica con le Costituzioni è fatta di tutela di diritti, di diritti individuali, è fatta di tutela di diritti politici (la libertà, la segretezza, l’eguaglianza del voto), ma anche del pluralismo della stampa e della televisione. Ma la democrazia è fatta anche di grandi diritti sociali: il diritto a ricevere un trattamento previdenziale adeguato, il diritto alla sanità, il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro. Tutti questi diritti sociali a ricevere prestazioni dalle istituzioni pubbliche in modo che a ciascun cittadino venga garantito un adeguato grado di benessere, di speranza e di futuro, non possono essere garantiti se non in una logica di solidarietà nazionale e fiscale. Ha detto bene prof. Brigaglia. Da una stagione disperante forse stiamo passando ad una stagione nella quale ci riappropriamo del nostro avvenire perché da noi si allontana l’idea che un capo carismatico sia l’unico titolare del potere politico. Iniziamo di nuovo ad avvertire che il destino di ciascuno è nelle proprie mani, che il destino della nostra comunità nazionale, delle nostre comunità locali, comunali e regionali è nelle nostre mani in qualche misure. Iniziamo ad avvertire che possiamo essere di nuovo noi stessi. Se questo è un sentimento che può caratterizzare il nostro ma soprattutto il vostro di futuro allora bisogna tenere saldi alcuni principi costituzionali. E, rispetto alle cose che stiamo dicendo stamattina, i principi autonomistici da una parte e i principi della solidarietà fiscale e nazionale dall’altra. Solo in una Repubblica una e non divisa, i nostri diritti potranno ricevere attuazione e noi ci potremmo riappropriare del nostro futuro. Interventi Gianluca Ambu Classe III E Ho sentito parlare anche in classe dello Statuto regionale sardo. Volevo sapere se le prerogative che sono state affermate da questo Statuto sono state effettivamente messe in pratica successivamente. Inoltre, se fossimo in grado di gestire la nostra autonomia, quali sarebbero i vantaggi reali che avremmo? Emmanuele Lai Classe III A La domanda la indirizzo al prof. Ciarlo. Secondo lei quale aspetto della legislazione esclusiva dello Stato può o dovrebbe diventare concorrente o esclusiva della Regione Sardegna. Beatrice Lai Classe III H Visto che ci sono cinque Regioni autonome in Italia, volevo sapere quali sono le differenze tra i vari Statuti. Giovanni Balsamo Limiti dell’attuazione dello Statuto sardo. Bisogna ricordare che gli Statuti speciali hanno avuto una genesi un po’ problematica che forse ne ha tarpato le potenzialità. E questo nasce da due motivazioni storiche. La prima è che gli Statuti speciali furono adottati sotto la pressione di un evento generale di recente accadimento e che fu la fine della guerra che aveva scatenato in alcuni territori delle problematiche specifiche. I cinque Statuti speciali nascono da questo. Il Friuli Venezia Giulia aveva ancora il problema delle frontiere aperte; la Sicilia aveva avuto il movimento separatista; la Sardegna sicuramente aveva una storia tutta particolare legata alla sua geografia che richiedeva un riconoscimento specifico; Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige con realtà linguistiche, culturali e presenze di minoranze etniche come quelle slovene, tedesche, francesi. Questo è il primo limite: uno Statuto nato sotto la spinta di eventi storici di una contingenza e di una temperie storica particolare e - come voi sapete - le buone elaborazioni non sono mai frutto di eventi così temporizzati ma richiederebbero una riflessione e una meditazione più ampia. Il secondo limite degli Statuti speciali, almeno di alcuni, è che nacquero quando ancora il quadro costituzionale non era stato dispiegato; lo Statuto della Sardegna è del 1948, quello della Sicilia del 1946 precedendo addirittura la Costituzione e che fu costituzionalizzato in qualche modo dalla stessa Assemblea Costituente che lo recepì con una delibera finale. È chiaro che scrivere uno Statuto prima di avere un quadro generale della Costituzione dello Stato ha potuto creare dei problemi. Il terzo limite nasce dal fatto che gli Statuti speciali sono stati adottati con legge costituzionale dello Stato. Questo ha creato dei problemi perché li ha irrigiditi. Mentre nelle Regioni a Statuto ordinario, lo Statuto può essere modificato agevolmente seppure con un procedimento complesso dalla stessa Regione, lo Statuto speciale è rimasto legato alla potestà legislativa dello Stato. Il che ovviamente ha comportato un fatto abbastanza eclatante e appariscente e che è quello che gli Statuti sono stati sostanzialmente cristallizzati nella loro formulazione originale, con modifiche modeste e addirittura con un rapporto complicato e difficile rispetto a quello delle Regioni a Statuto ordinario. Se guardiamo gli Statuti delle Regioni a Statuto speciale sicuramente ci accorgiamo che ci sono alcuni contenuti che ormai sono superati anche dal punto di vista della formulazione lessicale. Questo è un problema e le Regioni a Statuto speciale sentono pesantemente l’esigenza di intervenire perché l’esigenza di innovare e rinnovare questo momento fondamentale della istituzione regionale è sentita e incontra questa difficoltà per essere attuata. Pietro Ciarlo Vedete ragazzi, credo che le cose debbano essere dette per quello che sono. Noi siamo come Paese in una grave difficoltà istituzionale perché soprattutto negli ultimissimi anni la funzione legislativa si è degradata. Forse non è mai stata molto brillante in Italia ma adesso è diventata veramente pessima. Leggi confuse, modifiche continue, modifiche in attesa, nel senso che ogni tanto arriva qualche legge che non si sa da dove viene. Intendo dire che, fino ad sette o otto anni fa, le strategie riformatrici, l’adozione delle leggi era preceduta da un dibattito in Parlamento ma ancor prima da un dibattito culturale tra giuristi, tra forze sociali. Noi che ci occupiamo per mestiere di queste cose, eravamo sempre informati di quello che si stava per approvare. Naturalmente c’era anche un affinamento dei testi normativi. Non che tutto andasse per il meglio ma le cose funzionavano più o meno così. Adesso ci sono accelerazioni avventurose. Sapete che la Corte Costituzionale può annullare le leggi in contrasto con la Costituzione. Adesso capita di frequente che vengano approvate leggi che hanno norme già dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale. Le Regioni risentono di tutto ciò e sono anche protagoniste di questo processo di decadimento. Se andate su Internet a vedere i siti delle singole Regioni e le leggi che adottano le Regioni vi renderete conto che sono pochissima cosa. Allora, rispetto alla domanda che è stata fatta sui tipi di potestà, che eventualmente possono spettare alla Sardegna modificando lo Statuto, come la potestà legislativa esclusiva, potestà legislativa concorrente e cioè potestà legislativa nella quale opera solo la Regione oppure una potestà nella quale si intrecciano normative statali e normative regionali, la risposta non è tanto nei singoli aspetti ma nella necessità di ricostruire procedimenti legislativi più coerenti. Se andate sul sito del Senato e vedete le leggi che vengono adottate sono tutti decreti legge e leggi di conversione dei decreti legge. Per capirci, atti legislativi, adottati dal Governo, entrano direttamente in vigore e poi devono essere modificati e convertiti in legge entro sessanta giorni dal Parlamento se no decadono. Non si fanno quasi più leggi ordinarie nel nostro Paese e questi decreti legge poi convertiti in legge sono delle grandi lenzuolate di normative diverse, mescolate, che riguardano oggetti diversi. È diventato difficile ricostruire le singole discipline per i singoli oggetti. La prima cosa che dobbiamo fare come cittadini è quella di chiedere alle nostre istituzioni che la funzione legislativa venga esercitata in maniera ordinaria, con leggi ordinarie di cui si venga a sapere, prima che vengano approvate, quali sono i contenuti per poter discutere nelle sedi più diverse, nelle sedi delle autonomie locali, nelle sedi delle autonomie regionali, tra le forze sociali, tra gli specialisti. Se no non si sa niente e vengono fuori cose strane e strampalate. Così non ci possono essere Regioni che funzionano bene se non c’è un buon esercizio della funzione legislativa nel suo complesso. Non ci può essere una buona amministrazione, una buona esecuzione delle leggi se non ci sono buone leggi. Come si fa a fare una buona amministrazione quando le leggi sono contraddittorie, quando per esempio vengono proposte, in nuove leggi, norme già annullate dalla Corte Costituzionale? Per esempio, questa storia delle zone a burocrazia zero. È stata messa una prima volta in una legge e la Corte Costituzionale l’ha annullata perché è una norma che non si capisce che cosa vuol dire. Con questa ultima legge approvata, è stata riproposta paro paro la norma annullata dalla Corte Costituzionale. Spero che in questa fase iniziamo a recuperare un po’ di ordine nella legislazione tutta: statale, regionale, nei rapporti tra Stato e Regione. Riusciamo a recuperare un po’ di ordine e di consequenzialità nell’esercizio delle funzioni amministrative. Questa è una precondizione necessaria per cercare di alzare anche la qualità dell’Istituto regionale di tutte le Regioni non solo della Sardegna. Perché sono tutte le Regioni che soffrono in maniera particolare di questa crisi istituzionale e politica. Speriamo di iniziare a ragionare anziché gridare soltanto. Mariarosa Cardia Non so quale fosse la ratio della prima domanda che chiedeva se le norme dello Statuto sardo poi sono state applicate. Ma questa domanda si collega anche a una realtà che per alcuni decenni si è verificata nella nostra Regione anche nel dibattito politico e giuridico, tra chi diceva che lo Statuto fosse inadeguato e chi diceva di applicarlo. Questo ragionamento possiamo farlo per tutte le Costituzioni. Credo che per quanto riguarda il nostro Statuto non debba essere antitetico tra l’inadeguatezza e l’applicazione. Per quanto sia la mia opinione, ritengo che lo Statuto non sia stato compiutamente applicato in questi sessant’anni. E ritengo anche che il nostro Statuto fosse inadeguato ma non mi invento niente di personale. Lo Statuto è nato inadeguato a detta dei suoi estensori. Si disse allora, usando delle belle frasi, che era uno Statuto che era stato annacquato, che era uno Statuto che nasceva con le ali mozzate, perché era nato - come ricordava il signor Prefetto - in una certa intemperie nella quale la classe dirigente sarda si mosse con grave ritardo. E, mentre i siciliani decisero il loro Statuto, che ha amplissimi poteri rispetto al nostro, nel maggio del 1946 i Costituenti ci misero il timbro, nel 1948, invece, lo Statuto sardo in ogni passaggio (è stato presentato in Assemblea costituente tardissimo ovvero nel maggio del 1947) è stato depotenziato. Quindi il nostro Statuto è nato già fragile, poi, le classi dirigenti che lo hanno applicato hanno avuto la responsabilità comunque di non sfruttarne a pieno tutte le potenzialità. Detto questo, come in Costituzione l’aspetto più rivoluzionario era quello di cambiare l’ordinamento dello Stato non più centralista, è rimasto congelato - come dicono i tecnici - per vent’anni perché il quadro politico a questo ha portato e si è scongelato solo quando è cambiato il quadro politico e nel 1970 è cominciato l’iter della nascita delle Regioni ordinarie, degli Statuti e così via. Credo che ormai sia evidente che non c’è più da ragionare in termini antitetici: lo applichiamo o lo modifichiamo. Finché è vigente lo applichiamo perché è dovere delle classi politiche e dirigenti applicarlo ma deve essere altrettanto chiaro che soprattutto in relazione al quadro nazionale che è profondamente cambiato - sino a modifiche costituzionali - noi dobbiamo rapidamente cambiarlo questo Statuto. E qui la nota dolente che ci riallaccia al passato è che siamo in ritardo, siamo in grave ritardo rispetto alle altre Regioni e rispetto agli adempimenti costituzionali per la modifica dello Statuto. Entrando in un campo che tutti conosciamo, credo che siano innanzitutto le istituzioni parlamentari che debbano cambiare Costituzioni e a cambiare gli Statuti. Mia opinione personale, ribadisco ancora una volta, credo sia importante che il nostro Parlamento metta rapidamente sul tavolo una proposta innovativa e adeguata. Benedetta Meloni Classe III G Avete parlato del ruolo fondamentale dei giovani. Mi chiedo se - con delle prospettive così nere nel quadro nazionale e in Sardegna in particolare - la nostra Regione possa fare qualcosa per assicurare un futuro a noi giovani. Eleonora Pompei Classe III G La domanda è per il prof. Ciarlo. Lei ha parlato del ruolo di primo piano della Sardegna nella creazione della Costituzione. Quale è il ruolo della Sardegna nella ricomposizione della crisi istituzionale. Davide Albino Classe III G Volevo avere dei chiarimenti riguardo il federalismo. Si parla sempre di svantaggi rivolti alle Regioni come la Sardegna ma ci possono essere anche dei vantaggi? Se così non fosse, volevo sapere se con una revisione degli Statuti speciali ci si possa avvantaggiare in maniera fiscale. Michele Cossa Vice Presidente del Consiglio regionale della Sardegna Volevo ringraziare - per parte mia - il Prefetto e i relatori di oggi perché hanno fatto di questa mattinata una cosa veramente importante. È naturale che la domanda posta dalla vostra collega è una domanda alla quale è difficilissimo dare una risposta perché si lega a dinamiche che non riguardano soltanto la Sardegna ma sono dinamiche che vanno al di là della Sardegna e al di là dell’Italia. Posso dirvi cosa, per me, bisogna fare dal punto di vista strutturale perché la crisi economica che stiamo affrontando è una crisi che richiede risposte che non possono incidere sul contingente, che non possono dare risposte temporanee. Anche quello perché è necessario consentire alle persone e alle famiglie di campare e ci sono tantissime persone che non possono permettersi di aspettare che si risolvano i problemi dell’economia mondiale, perché devono mandare i figli a scuola, perché devono dar loro da mangiare, devono vestirli. Detto questo, credo che questa crisi offra anche delle opportunità importanti. Da quando avevo la vostra età mi sentivo dipingere un futuro nero. Da quando avevo la vostra età sentivo parlare le persone di una crisi costante, di problemi occupazionali. Persone che mi avevano convinto che era inutile studiare, che era inutile andare all’Università, che bisognava assolutamente cercarsi un lavoro perché questo era quello che imponevano i tempi. Nel corso della mia vita ho scoperto che non era così, che studiare è stato importante, che è stato importante prendere una laurea e che poi la vita offre molte più prospettive di quelle che ci dicono i giornali. Per cui, chi ha capacità, chi ha voglia di studiare, chi ha la possibilità di eccellere deve cercare di farlo perché il contributo che si può dare alla società è molto più grande di quello che ci convincono di un futuro molto più nero di quello che è. Credo che dalla crisi si uscirà. E dalla crisi si deve uscire attraverso un ribaltamento culturale che deve passare attraverso l’apertura di possibilità concrete per i giovani e che non sono rappresentate dalla pubblica amministrazione e che non sono rappresentate da tutto quello che i mie genitori, la mia generazione e la generazione dopo di me pensava potesse essere la prospettiva: quella del posto fisso. Leggevo nei giorni scorsi una statistica pubblicata da un giornale economico “Italia Oggi” che diceva che la stragrande maggioranza dei tedeschi (7 tedeschi su 10) guarda con orrore la prospettiva del posto fisso. Il mutamento culturale verso il quale soprattutto la politica deve orientarsi è quello che non è più tollerabile un sistema in cui ci sono delle aree protette (in cui non si può entrare), parlo delle professioni, parlo della possibilità di fare impresa, parlo della possibilità di esprimere pienamente quello che si è in grado di fare. Per cui dare la possibilità ai giovani di accedere al mondo delle professioni e al mondo del lavoro passa principalmente attraverso un grande processo di sburocratizzazione, di alleggerimento fiscale di semplificazione per dare la possibilità ai giovani italiani di fare quello che fanno i giovani europei i quali a 25 anni non soltanto si sono laureati da tempo ma sono già entrati nel mondo del lavoro e probabilmente hanno cambiato lavoro gia due o tre volte. Non perché sono stati licenziati ma perché hanno avuto proposte economiche migliori. La prospettiva verso la quale la Sardegna, per la sua parte che può governare dal punto di vista normativo e amministrativo, e l’Italia per la sua parte, devono avventurarsi in quella direzione. Credo che sia l’unica soluzione non soltanto perché si superi questo momento economico ma perchè lo Stato possa esprimere tutte quelle enormi potenzialità che fino ad adesso sono rimaste soffocate. Prof. Manlio Brigaglia Se posso aggiungere qualcosa è una citazione del Presidente Kennedy che è stato un mito per diverse generazioni di uomini liberi. Kennedy diceva: “Non chiedetevi che cosa l’America può fare per voi. Fate voi qualcosa per l’America”. Quindi l’invito non è quello di chiedere cosa può fare la Regione per i giovani ma cosa possono fare i giovani per cambiare la Regione. Come si può cambiarla? Attraverso la partecipazione al dibattito politico, attraverso la politica che in questi ultimi tempi è stata così demonizzata ma che è il modo di essere principale di un uomo colto. Immaginare di uscire da un Liceo Classico e andare in una qualunque Facoltà universitaria completamente digiuni del mondo politico che si muove intorno a voi, della realtà che si muove intorno a voi, significa diventare schiavi di questa realtà, diventare servi del primo programma televisivo, diventare servitori del primo prestigiatore della parola. Per diventare uomini liberi bisogna studiare da una parte e poi partecipare alla vita politica portando il proprio pensiero, le proprie convinzioni, la propria personalità, la propria libertà che è il tesoro più grande. Dovete farlo voi questo mondo migliore. Una Regione più giovane o una Regione fatta da giovani sarà una Regione migliore rispetto a quella che abbiamo conosciuto finora. Giovanni Balsamo Prefetto Volevo dire qualcosa su due domande che hanno qualcosa in comune: i vantaggi dell’autonomia e i vantaggi del federalismo. Immaginate un sistema centralizzato che è un sistema irrigidito, un sistema che stabilisce regole generali e che devono valere uniformemente su tutto il territorio nazionale. Il che significa che queste regole in alcuni contesti territoriali saranno inadeguate, in altri lo saranno meno ma comunque non c’è mai una piena adeguatezza. L’autonomia, il federalismo, significa innanzitutto questo, cioè bisogna arrivare, diceva Thomas Jefferson - il terzo Presidente degli stati Uniti d’America che nei suoi scritti anticipò il principio di sussidiarietà che oggi abbiamo nella nostra Costituzione - a dare a ciascuno il governo che lui riesce a percepire. Se io posso stabilire le regole nel mio ambito, in un ambito che conosco e di cui conosco i segreti risvolti, posso stabilire delle regole di governo che siano le più adeguate a quel contesto. Quindi, la regola dell’autonomia e del federalismo è in sé la regola che porta al miglior risultato. Qual’è il problema. Il problema nasce dal fatto che questa regola bisogna inserirla in un contesto unitario perché garantire questo contesto unitario è un’esigenza altrettanto importante perché questo contesto unitario stabilisce le condizioni perché poi l’autonomia possa essere esercitata. Sono condizioni essenzialmente di libertà. Se non c’è questo contesto unitario crolla persino la possibilità di gestire autonomamente. Si aprono possibilità strane, interferenze esterne, delle cadute di governabilità e di stile, delle sinergie sui vari territori. Come si risolve questo potenziale conflitto. Si risolve con il principio della responsabilità. Questo lo impone l’autonomia. Ti do una maggiore fiducia, ti consento di governarti ma devi essere capace al tuo interno di darti regole che siano compatibili con il sistema complessivo. È qui che si gioca tutto. Chi riesce a combinare queste due realtà allora ha trovato la chiave di volta. Un altro elemento da tenere in conto. La differenziazione dei sistemi di governo, dei sistemi di regole in sé porta una maggiore responsabilità e quindi un aggravio di gestione amministrativa, politico, istituzionale. Aggravio che ha dei costi. Quindi, in sé l’autonomia importa dei costi maggiori della centralizzazione. Dal punto di vista della stretta economicità dell’esercizio della funzione pubblica, il centralismo è più economico ma avendo quegli svantaggi che abbiamo detto all’inizio, rispetto all’autonomia, il principio di responsabilità deve essere capace di compensare ed eliminare questi svantaggi. E tutto questo lo troviamo nella nostra Costituzione in un principio, che è stato introdotto nella modifica al Titolo V nel 2001, che si chiama “principio di leale collaborazione”. I vari livelli di governo che esistono nel sistema autonomistico debbono capire necessariamente di attuare la responsabilità delle loro gestioni attraverso la leale collaborazione. Non possono considerare l’esercizio delle funzioni che l’ordinamento affida loro in maniera del tutto separata dal contesto generale. Debbono farsi carico di vedere l’incidenza che la loro funzione - in termini autonomistici - ha sulle funzioni esercitate dagli altri livelli di governo. principio di leale collaborazione. Un quadro più complicato e difficile ma sicuramente che può dare migliori risultati. Pietro Ciarlo Tendo a dare una risposta di carattere molto generale ma che secondo me è utile. Siamo in una fase nella quale la demagogia cioè le false rappresentazioni sono molto forti. Da una parte, dobbiamo sapere che sempre la storia e la politica si sono fondate anche su miti, su false rappresentazioni. La parola demagogia non è affatto recente ma adesso ha assunto una struttura particolare perché la politica si è spettacolarizzata più che nel passato. Uno può chiedersi come fare ad esercitare il giudizio critico, a cercare di capire che cosa realmente succede se le questioni sono così complesse. Badate, ogni questione deve essere ridotta a formulazioni semplici che è possibile a formulazioni comprensibili e quindi paragonabili, verificabili. Per esempio, su queste storie del federalismo, di un’autonomia talmente spinta da diventare federalismo, sulle parole d’ordine del federalismo fiscale che a lungo sono state fatte proprie dal ceto politico meridionale. Ma viene o no il sospetto che queste parole d’ordine vengano da un Partito che della Secessione delle zone ricche fa il proprio baricentro dell’iniziativa politica e che dichiara apertamente che - secondo questo Partito - non ci devono essere flussi di finanza pubblica, di riequilibrio verso le Regioni che hanno un minore prodotto interno lordo, una minore raccolta fiscale, una minore capacità di spesa pubblica. Quando sentiamo discorsi non dimostrati né dimostrabili, deve scattare in tutti noi un campanello d’allarme. Cari giovani, non è un momento favorevole. Ma i giovani hanno una grande risorsa che è la forza, la forza fisica, la forza intellettuale, la ricerca del futuro. I giovani cercano il futuro ma per fare questo devono applicare le proprie energie in forma critica per conoscere, per sapere, per trovare soluzioni. Credo che in un’ottica nella quale nessuno dà risposte ma ognuno le deve trovare in sé, forse, la domanda delle domande che tutti ci dobbiamo porre è questa: “Ma noi come utilizziamo le nostre forze, cosa facciamo. Nella giornata, quanto tempo è dedicato a capire, a rapportarsi con il mondo che ci sta attorno. Quanto tempo dedichiamo ad aggredire la realtà?” Forse il vero problema dei giovani oggi è che alcuni poteri politici vogliono anestetizzare, annullare la forza dei giovani che è la forza di cercare il futuro, di cercare di capire. Il sistema italiano dell’istruzione ha forse un difetto di fondo e cioè che non riesce a spiegare ai ragazzi che capire è divertente; se uno non capisce non si diverte; se uno si sforza di capire forse alla fine di diverte, impara e aggredisce il futuro. Perché anche aggredire il futuro è divertente Beatrice Lai Avete esposto un futuro che sembra stia aspettando noi. In realtà, purtroppo, i fatti non stanno così perché stando alle classifiche il 30% di noi sarà disoccupato e non solo in Sardegna ma anche nel resto del Continente. La fuga di cervelli è un fenomeno reale dell’Italia, le risorse che l’Italia investe nell’istruzione sono sempre più scarse. Siamo 29° su 34 Paesi OCSE per fondi all’istruzione. Come dovremmo sfruttare le nostre capacità se in realtà non abbiamo nessuna autorità che ci aspetta e ci sostiene. Pietro Ciarlo Ragazzi, ma l’autorità siete voi. Questa non è una risposta demagogica ma è la verità. Ma perché, voi non avete forza? Primo, a diciotto anni iniziate a votare. Allora scegliete la gente e i Partiti da votare, sceglieteli criticamente e consapevolmente. Poi ci sono prospettive generali e prospettive personali. Prospettiva generale: la fuga dei cervelli è un male per questo Paese ma individualmente può essere anche una cosa estremamente stimolante andare a lavorare altrove, fare altre esperienze. La politica è potere cioè se non si chiedono politiche, interventi, se non si interagisce con il potere delle scelte politiche non si riesce ad orientare le cose. La spesa per l’istruzione è stata ridotta, le Università stanno chiudendo. Perché le Università stanno chiudendo? Perché non ci sono soldi e perché chi esce va in pensione e non viene sostituito dai giovani. Queste sono le politiche di bilancio. Se andate a guardare il bilancio della Difesa, per esempio, potreste notare una quantità enorme di sprechi che sono legati come sempre al “complesso militare industriale”. Questa espressione “complesso militare industriale” che è fortissima anche in Italia non è una espressione di qualche radicale ma è una espressione coniata da un Presidente repubblicano degli Stati Uniti che si chiamava Eisenhower, che era stato comandante in capo di tutti gli eserciti alleati della Seconda Guerra Mondiale. Cioè uno che di complesso militare industriale se ne intendeva. Vogliamo fare un altro esempio? La continuità territoriale nel trasporto aereo è una delle più grandi bufale che viene contrabbandata, compreso il sostegno a Meridiana che non è la Compagnia di bandiera della Sardegna. Ormai il mercato del trasporto aereo, come tutti sanno, è un’altra cosa. Si va a Roma con Ryaner con 50 euro, quindi, si paga meno di quanto paghiamo a tariffa di continuità territoriale per Fiumicino. Senza entrare nel merito di questioni complesse e complicate, iniziamo a chiedere perché con la continuità territoriale, cioè con sovvenzioni pubbliche, il biglietto dell’aereo costa di più rispetto a quello di un’offerta privata. Se non si liberalizza questo mercato, non si ottengono forse prezzi più bassi, risparmio su questo versante della spesa pubblica e orientamento dei fondi liberati verso altri investimenti come quello dell’istruzione. Partiamo da domande semplici: perché si paga di più in un modo e meno in un altro? Vedete che se si fa questo esercizio, alla fine qualche cosa viene fuori. Mariarosa Cardia Voi giustamente siete preoccupati perché vivete in una realtà difficile. Ma prima di noi, su questi banchi, è passato Antonio Gramsci e parlava di un mondo grande e terribile. Se vi sembrano difficili questi tempi pensate a quanto fossero difficili gli Anni Venti per un giovane povero, provinciale (diceva lui) che era andato a Torino a studiare, morire di freddo, rivoltando il cappotto. Ma Gramsci aveva una grande forza (tra l’altro io lo ritengo un eroe civile a livello incredibile nel nostro Paese. E un esempio morale che dovrebbe essere portato ai giovani tutti i giorni) che è quella della giovinezza e aveva la forza della cultura che non perse mai anche chiuso in carcere. Allora, voi non siete deboli, voi siete forti perché siete giovani e perché siete colti. E la vostra prima richiesta deve essere che voi e altri giovani dopo di voi abbiano, garantite dalle istituzioni democratiche del nostro Stato, istituzioni formative all’altezza del mondo civile. Perché questo vorrà dire che la vostra cassetta degli attrezzi, nel mondo grande e terribile, sarà una cassetta con attrezzatura adeguata. Poi naturalmente ognuno di voi ha la sua personalità, la sua capacità, la sua autonomia. però è l’attrezzatura che conta. Partite da questo. Io ho la mia esperienza personale. Sono uscita da questo Liceo, sono andata all’Università e c’è stato il Sessantotto e abbiamo contestato quel mondo in maniera pacifica. Abbiamo anche litigato tra di noi, tra chi diceva che doveva essere garantito il trenta a tutti e chi diceva: “No, la cultura va contestata per come è ora impostata ma quello che va salvaguardato è la serietà e la responsabilità individuale”. Partite da questo presupposto. I forti siete voi, usate la vostra forza anche per criticare il mondo esistente e le istituzioni esistenti perché è di questo che la democrazia ha bisogno per essere vitale. Giorgio Carta Devo trarre conclusioni da un dibattito che è stato interessante. L’unico rammarico è che il tempo non ha consentito, anche a me, di poter interloquire con voi nelle domande che avete fatto e che hanno caratura e caratteristiche importanti dal punto di vista culturale e politico. A chiusura di questo ciclo di interventi che abbiamo fatto con la scuola devo riconoscere, come dicevo ieri al Presidente dell’Associazione nazionale, Bianco - che era in Sardegna per presentare un suo libro - che questa è stata una delle iniziative più importanti che l’Associazione degli ex Parlamentari ha fatto. Perché cercare di interloquire con la scuola credo sia uno dei fatti necessari in questo momento, perché la scuola è uno dei momenti iniziali nel quale si inizia il dialogo e si cerca di far capire a tutti voi che la situazione nella quale viviamo non è perché ci sia solo una cattiva politica me è perché non c’è la politica. Da tempo la politica è morta. La politica deve ricominciare a prendere il suo significato reale che è quello di non pensare all’io ma al noi, di coniugare i problemi che ha una società portando come punto inalienabile i diritti dei cittadini e della collettività cercando di armonizzarli. Credo che voi dovete fare solo una cosa. Richiedere nello stesso momento di avere le stesse garanzie che hanno avuto i vostri padri e nello stesso tempo contestare le modalità con le quali si sono avute queste garanzie. Lo ricordava la professoressa Cardia in questo momento, con grande lotta e sacrificio, in momenti nei quali una generazione - subito dopo la guerra - ha dovuto combattere per avere le libertà e i diritti individuali. La mattinata di oggi è stata produttiva anche per noi che ascoltiamo. Dovete portare avanti una battaglia e richiedere dalla scuola e dalle istituzioni della politica di mettervi in condizioni di competere perché la società con la quale vi troverete ad avere a che fare è una società di grandi competizioni e poiché l’Italia non è Paese che produce perché ha petrolio o materie prime ma solo intelligenze, su quelle noi dobbiamo lavorare e su quelle è la società che si formerà. Colgo l’occasione per ringraziare il Prefetto in modo particolare perché l’ho invitato come istituzione ma ho avuto la gradita sorpresa di non avere una istituzione assente, secca e formale ma ha voluto interloquire ed è quello che noi chiediamo a queste istituzioni. Noi che abbiamo fatto parte di questo mondo, abbiamo le nostre responsabilità sia di quello che siamo riusciti a fare ma soprattutto di quello che non siamo riusciti a fare sia in ambito regionale che parlamentare. Crediamo che il nostro compito non sia finito quando siamo usciti dalla prima linea. Lo dico io che sono un ex parlamentare ma sono anche un ex consigliere regionale, lo dice la professoressa Cardia che è stata Vice Presidente del Consiglio regionale, lo dicono i colleghi presenti che hanno fatto parte di queste istituzioni. E poiché abbiamo una concezione diversa della politica rispetto a quella che c’è oggi, autoreferenziale e con interessi personali, riteniamo nostro compito cercare di dare un apporto. Noi come Associazione abbiamo cercato di farlo con la scuola, con voi. Ci saremo riusciti? Abbiamo dato un segnale di interesse? Questo segnale viene colto? Può essere coltivato? Noi ci auguriamo di sì perché in fondo voi siete quello che dovrebbe essere domani la classe dirigente del Paese e se non volete essere delle comparse dovete partecipare già da adesso. E l’unico modo di partecipare è quello di avere una robusta preparazione che vi dà la scuola, anche se ancora molto carente perché lo Stato non investe a sufficienza in quella che dovrebbe essere per l’Italia una delle istituzioni. Antonio Dimitri Credo che oggi abbiamo volato alto. Tutti. Non soltanto i relatori che sono le persone deputate ad hoc e quindi con una preparazione adeguata all’evento ma anche gli studenti che hanno partecipato con grande attenzione e con spirito costruttivo.