PERIODICO DI PERGINE SPETTACOLO APERTO IN-FORMAZIONE * APPROFONDIMENTI * RIFLESSIONI * A MARGINE DEL FESTIVAL ESTIVO ANNO 1 * NUMERO 0 * LUGLIO 2008 mostre teatro danza film poesia pittura musica incontri installazioni e altre cose… STRUMENTO PREZIOSO PER ESPLORARE LA MEMORIA, PER INCROCIARE NEL SUO VASTO TERRITORIO SENTIERI INDIVIDUALI E RIPERCORRERE TRACCE CHE PORTANO A SPAZI CONDIVISI. L’ARTE. SOPRATTUTTO QUANDO LA MEMORIA COLLETTIVA SVELA CONTENUTI INGOMBRANTI E DISAGEVOLI, QUATTRO GIORNATE FUORI E DENTRO LUOGHI REALI CHE SONO SIMBOLI VIVENTI DI SEGREGAZIONE, SOLITUDINE, NUDA UMANITÀ. L’ARTE INCONTRA LA FOLLIA, GLI SPAZI DELL’EX OSPEDALE PSICHIATRICO NIHIL ALIUD LE DÀ SPAZI DI RIVELAZIONE, LA SOTTRAE A UN DESTINO DI QUAM MASSA CARNIS ERAVAMO CERTAMENTE DEI COLPEVOLI. MA LA SOVRASTRUTTURA DEL ESCLUSIONE E MARGINALITÀ, ESALTA LA SUA DISTORTA, ABERRANTE MANICOMIO, QUELLE MANI CHE NON TI OBBEDIVANO, QUEL CORPO 15 17 18 19 LUGLIO PERGINE PADIGLIONE PERUSINI PUREZZA, LA PORTA A ESSERE SPECCHIO IN FRANTUMI DELLA CONDIZIONE UMANA; LA CHE NON TI SERVIVA, QUEL SESSO CHE NON AVEVA MIRAGGIO FOLLIA PERMEA L’ARTE, LE DONA IL PROPRIO DEFORMANTE LINGUAGGIO, LE OFFRE ALCUNO, TUTTO CIÒ FACEVA DELLA TUA COLPA UN SENTIMENTO INEDITE TRAME ESPRESSIVE. FUORI DAL MERCATO E DALLA CULTURA ROBOANTE E SEGRETO, TANTO CHE TU TI IMMERGEVI COME NELLA UFFICIALI C’È UN’ARTE IRREGOLARE, LIBERA E NECESSARIA, CHE DISINTEGRA LE BARRIERE CANONICHE TRA UN’ARTE DEI SANI E UN’ARTE DEI MALATI, ANNULLA LA DISTANZA TRA NORMALITÀ E FOLLIA, TRA REGOLA E DEVIANZA. E NELLA MAGIA DELLO SPAZIO SCENICO, NEL MOVIMENTO DI CORPI E VOCI, LA RAPPRESENTAZIONE DEL DISAGIO PSICHICO ACQUISTA I TRATTI DELLA RIVELAZIONE: ALLE DANIELA ROSI RENATA ANSELMI STEFANO FAVARO DIEGO SALEZZE TIZIANO SPINELLI VARINIA RETTONDINI DANIO MANFREDINI FRANCESCO VENTRIGLIA PIERA JANESELLI PALUDE O IN MEZZO ALLE SABBIE MOBILI. CREDO CHE SOLO LE ILLUSTRAZIONI DEL DORÉ DELLA DIVINA COMMEDIA DANTESCA POSSANO RENDERE BENE IL FASCINO E LA MOSTRUOSITÀ DEL MANICOMIO. ALDA MERINI SOGLIE E AL LIMITARE DELLA FOLLIA SI NASCONDONO BRANDELLI DI QUOTIDIANO, PALPABILI TESTIMONIANZE DI QUELLO CHE TUTTI NOI SIAMO. FINO A RECUPERARE UNA NUOVA DIMENSIONE DEL SACRO, IN CUI L’ARTISTA, IL FOLLE E LO SPETTATORE DIVENTANO MOSTRI. NEL SONNO DELLA RAGIONE C’È UN’INTERA CITTÀ CHE SOGNA. memoria arte follia Una piazza di carta per sognatori ■ DI CRISTINA PIETRANTONIO DIRETTORE ARTISTICO DI PERGINE SPETTACOLO APERTO Nel 2008 il Festival PSA rilegge Pergine come una città che sogna. Ci è sembrata l’occasione giusta per inventarsi, in questa città ideale, anche una piazza di carta. L’immagine della piazza richiama uno spazio aperto e così abbiamo pensato debba diventare “La Città dei Matti”: ci piacerebbe ospitasse i pensieri dei “sognatori” perginesi, che si dimostrasse accogliente per chi crede che cose come cantare e danzare siano priorità vitali. Quello che avete in mano è un numero zero, una prima bozza, la presentazione di uno strumento, che ci auguriamo possa diventare sempre più ricco di spunti inediti e diversi, e sempre più “sentito”. Una piazza di carta, appunto, creata allo scopo di lanciare idee, ipotizzare direzioni, cercare di capire se e come la cultura e lo spettacolo possano contribuire a cambiare il volto di una città che in cultura e spettacolo sta investendo moltissimo, prova ne è la costruzione di due nuovi teatri. “La Città dei Matti” debutta in occasione dell’omonima sezione del festival dedicata al complesso rapporto tra arte e follia. Forse parlare di follia a Pergine è ancora “scomodo”, può generare imbarazzo o aperto rifiuto. È per tale ragione che PSA sta lavorando con impegno su questo tema, nella duplice convinzione che le vicende dell’ex Ospedale psichiatrico costituiscano un’importante fetta di storia cittadina e che la dose di follia che le arti di palcoscenico portano con sé, sia una componente essenziale per sopravvivere in una società come quella attuale. “La Città dei Matti”, dal 15 al 19 luglio, mette in campo una variegata proposta di spettacoli, esposizioni, riflessioni dentro e fuori gli spazi dell’ex manicomio. Un grazie particolare va a coloro che hanno reso possibile tutto questo: l’Azienda sanitaria del distretto di Pergine, il Comune di Pergine, l’Università, la Fondazione Museo storico, la Provincia autonoma di Trento con il “ProImmagine da La dama bianca getto Memoria”, i collaboratori e i volontari di PSA e, sin d’ora, a Compagnia Roberto Corona tutti coloro che vorranno in futuro contribuire a questo progetto. Festival PSA, 5 luglio 2008 IN REDAZIONE Giuliano Geri HANNO COLLABORATO Maria Giovanna Franch Giorgia Restieri Sara Sciortino FOTOGRAFIE Marco Ambrosi Ferdinando Cioffi Pino Le Pera Gabriele Orlandi Archivio Associazione «Amici della Storia» - Pergine Fondazione Museo storico del Trentino REDAZIONE via Guglielmi, 19 38057 Pergine Valsugana (TN) GRAFICA E STAMPA Publistampa Arti grafiche via Dolomiti, 12 38057 Pergine Valsugana (TN) * La Città dei Matti. Con questo nome era conosciuta, fino a poco tempo fa, Pergine Valsugana. Una città il cui paesaggio, reale e simbolico, era dominato dal manicomio, un luogo senza nome, come tutti i manicomi, un luogo della vergogna, che per oltre un secolo ha ospitato gente di lingua e cultura diverse, italiani e tedeschi, ma anche ladini e mocheno-cimbri. Un luogo in cui ogni identità – culturale, linguistica, ma soprattutto umana – si perdeva in un’esistenza anonima, dove l’estraneità della parola era la muta traccia che conduceva dentro storie di dolore e segregazione, ma anche di speranza e riscatto. Dall’ospedale psichiatrico sono transitate migliaia di esistenze, che hanno intrecciato la loro vicenda personale con quella di un’intera città: tanti pazienti, altrettanti medici e paramedici, ma anche personale di servizio e di gestione, che aveva il compito di tenere in piedi l’istituzione totale. Un universo di microstorie, racconti e testimonianze di chi stava dentro, di chi stava fuori, di chi stava un po’ dentro e un po’ fuori. È forse il luogo più autentico della memoria collettiva, un patrimonio con cui un’intera comunità si specchia nel suo passato. Oggi la Città dei Matti è la “Città che Sogna”, così abbiamo voluto intitolare l’edizione 2008 di Pergine Spettacolo Aperto. Per molti che hanno fatto la storia di Pergine il sogno, per lungo tempo, è stato quello di una vita normale, di un’esistenza senza barriere, un sogno di libertà e di integrazione. A trent’anni dall’entrata in vigore della Legge 180 vogliamo dunque dedicare il numero zero a chi ha reso questo sogno realtà: Franco Basaglia. * FESTIVAL PERGINE SPETTACOLO APERTO Via Guglielmi, 19 38057 Pergine Valsugana (TN) tel. 0461 530179 fax 0461 533995 [email protected] www.perginepsa.it Per informazioni, richieste e contributi: [email protected] GIUGNO2008 2008 | 2 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO 0 * LUGLIO DISSONANZE Un’arte libera, totale e necessaria, che ci costringe ad aprire gli occhi. Un’arte che fa delle nostre vite un inno alla Vita e che ci rappresenta tutti. A Pergine approda l’Outsider Art. SOGNARE… AD OCCHI APERTI L’OUTSIDER ART A PERGINE ■ DI MARIA GIOVANNA FRANCH «“Noi abbiamo paura a passare di lì, c’è il Bigio”, dicevano le mie neurologica Franca Martini di Trento, in cui Daniela lavora in compagne quando, ancora alle elementari, si tornava da scuola. qualità di responsabile culturale. “Ma cosa vi fa il Bigio da aver paura?”, chiedevo io. Non sapevano «Esiste un notevole interesse per questa realtà espressiva in quasi cosa rispondere, ovviamente. Il Bigio era l’artista out del paese. tutta Europa – spiega Daniela – e in particolare negli Stati Uniti, L’ubriacone che imbrattava i muri delle case di Isola della Scala. dove tutti gli anni si tiene, a New York, una Fiera mondiale di L’anello debole della catena nella vita pigra e monotona di una Outsider Art. Verona per parte sua ha una lunga tradizione. Esipiccola comunità. Era l’individuo indecente e imbarazzante che in- steva nell’Ospedale psichiatrico a San Giacomo alla Tomba un terrogava i passanti. Bigio era l’altro, era Altro. Ma per me Bigio atelier organizzato da un noto scultore scozzese, Michael Nobel, era prima di tutto l’artista. Lui non farfugliava le frasi informi de- che ha lanciato un autore come Carlo Zinelli, collezionato da Dugli ubriachi, lui vaticinava; lui non imbrattava i muri, ma dise- buffet e ritenuto dallo stesso (ma anche da Breton) una delle gnava soggetti sacri; lui non era massime espressioni dell’Art l’anello che non tiene, ma un anel- 18-19 luglio 2008 dalle ore 15 Brut già negli anni cinquanta. lo in grado di riflettere il luccicare Anche la mostra Oltre la ragioPergine Padiglione Perusini, ex Ospedale Psichiatrico del sole; lui non era il provocatore, ne, tenutasi al Palazzo della ma la voce delle verità ultime. BiRagione di Bergamo nel 2006, AD OCCHI APERTI Percorsi di Outsider Art a cura di Daniela Rosi gio fu il mio incontro con l’artista; ha rilanciato l’interesse per Con la partecipazione attiva del “Progetto Outsider Art” Centro Franca Martini fu il mio imprinting outsider; fu e questo tipo di arte, mentre ad A.T.S.M. di Trento e Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona rimane per me il simbolo dell’arte ArtVerona spetta il primato di libera, totale, necessaria.» aver ospitato gli outsider insieOpere: Così Daniela Rosi, curatrice della me a tutti gli altri artisti, abMacchie d’autore * Diego Salezze (percorso libero) mostra di Outsider Art al Padigliobattendo finalmente la barriera Macchie d’autori * Diego Salezze e Marco Ambrosi ne Perusini dell’ex Ospedale psiche impediva agli autori marIl bestiario di Trane * Tiziano Spinelli (atelier Fatato Gengiscao Marzana-VR) chiatrico di Pergine, spiega il suo ginali di stare a fianco, o meSpaziale nella nave incontro, fatale, con l’arte e la folglio, dentro l’Arte ufficiale.» * Renata Anselmi (atelier Fatato Gengiscao Marzana-VR) lia, con l’arte dentro la follia. Dal 2007 anche il Festival Serial without killer * Varinia Rettondini (atelier AutArt Mantova) L’Outsider Art, detta anche “Arte dell’Economia di Trento riserva Stefano Favaro (atelier AutArt Mantova) Lineamenti per una * irregolare”, comprende la grande uno spazio all’outsider. E ora nuova teoria e variegata famiglia di artisti marPergine, in un luogo difficile dell’evoluzione ginali, folk, naïf, visionari, spesso come un padiglione abbandomalati mentali, dunque social- E ancora installazioni di vita manicomiale, canti orfici, ritratti d’autore, nato di quello che fu uno dei mente emarginati, sempre o quasi video e frammenti letterari. più importanti manicomi itasempre sprovvisti di formazione Per saperne di più: www.perginepsa.it L’arte di essere fuori - spazi aperti liani del secolo scorso. Qui la artistica. Si tratta di un’arte che si follia dialoga con i suoi fantamuove al di fuori del condizionamento di canoni, correnti e mercati, e che si rivela sui muri e le facciate delle case, negli angoli dove cercano riparo i barboni, nelle corsie di un ospedale e nelle stanze dei centri di salute mentale. E poi negli atelier, quelli privati di artisti affermati, quelli collettivi e quelli protetti. Anche negli atelier gestiti da Daniela e dai suoi allievi dell’Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona. Proprio in Accademia si è tenuto un corso di specializzazione postdiploma in Outsider Art, unico esempio in Italia, e un osserva▲ Renata Anselmi Angeli che fuggono via torio nazionale per il monitoraggio delle opere che escono dai (part.) luoghi di cura, in convenzione con il Centro di Riabilitazione Padiglione Perusini LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 3 | DANIELA ROSI nasce a Isola della Scala (Verona) smi, i muri sembrano parlare, sottovoce, ultimi nel 1959. Diploma accademico in Scenografia, è stata testimoni di lamenti, frasi insensate, parole di curatrice di oltre cinquanta di mostre di Arte irregolare, conforto, preghiere, sguardi, gesti umani, nascirealizzate in diverse città italiane, tra cui la sezione te e morti. «Un luogo sacro – continua Daniela – speciale dedicata all’Outsider Art alla fiera mercato a cui ci siamo avvicinati con reverenza. Per preArtVerona fin dalla prima edizione del 2005. parare la mostra siamo entrati e rientrati nelle È coordinatrice del progetto sull’Outsider Art stanze del Perusini, abbiamo osservato le vetraall’Accademia di Belle Arti di Verona e degli atelier te, i bagni vuoti, raccolto oggetti di cui non sadei reparti di psichiatria delle aziende ospedaliere pevamo spiegarci l’uso, ci siamo soffermati su di Verona e di Mantova. Autrice di diversi articoli resti di piccoli lavori creativi, bandierine, cape saggi sul tema dell’Outsider Art per riviste e pellini e coroncine per le feste comandate, abcataloghi d’arte nazionali e internazionali, dirige la biamo sciolto grovigli di cinghie di contenzione, collana “I Funamboli” per i tipi della Campanotto di rubato lacerti di memorie rimaste intonse, scoUdine, dedicata agli artisti marginali. È responsabile perto piccole installazioni artistiche involontaculturale del Centro di Riabilitazione neurologica rie come un Cristo reclino su uno specchio, un “Franca Martini” di Trento. semplice santino che si è piegato, nel tempo, sotto il peso della croce. In questo luogo abita per qualche giorno quanto c’è di più vivo e libero nella vita de- gine, hanno già esposto in fiere di arte contemporanea, mentre gli uomini: l’arte. Ed è per questo, ispirati anche dal tema scelto Stefano Favaro, anch’esso in mostra a Pergine, ha pubblicato per quest’anno per il festival PSA, che abbiamo deciso di chiamare l’editore Campanotto di Udine un volume dal titolo Lineamenti la mostra Ad occhi aperti. La città può svegliarsi dall’incubo del per una nuova teoria dell’evoluzione, una raccolta di immagini e suo manicomio e trasformare finalmente i suoi sogni collettivi pensieri che rovesciano il mondo. Tra gli artisti seguiti direttain realtà. Sognare ad occhi aperti, appunto, prima di addormen- mente da Daniela Rosi è presente Diego Salezze, che lavora statarsi, prima che sia troppo tardi.» bilmente a Ca’ Vignal, con le sue Macchie d’autore. Le opere esposte al Perusini provengono dagli atelier Fatato Gen- «Tutte queste espressioni artistiche – così Daniela – attingono la giscao del C.d. L’Arca, Marzana, Verona e AutArt del C.p.s. di loro linfa nel profondo di ognuno di noi, nell’inconscio collettivo Mantova (diretti rispettivamente da Cristina Joechler e Igor No- dell’umanità. È un’arte che fa delle nostre misere vite un inno velli), vere e proprie officine di creatività in cui le capacità degli alla Vita. Un’arte che ci rappresenta tutti, nessuno escluso.» utenti/artisti interagiscono con artisti usciti dal percorso formati- Un’arte che ci coglie nel sonno, indifesi, e ci obbliga ad aprire gli vo accademico. Tiziano Spinelli e Renata Anselmi, presenti a Per- occhi. * ▲ Ospedale psichiatrico di Pergine, ingresso (anno 1882) GIUGNO2008 2008 | 4 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO 0 * LUGLIO DISSONANZE / GLI ARTISTI DIEGO SALEZZE è nato a Verona, dove vive e lavora, nel 1973. Figlio d’arte (sia il nonno sia la madre pittori), dipinge da parecchi anni. Ha partecipato a laboratori espressivi diretti da Luigi Scapini ed è uno degli autori degli Psycotarocchi editi da Dal Negro. Lavora in modo molto materico, utilizzando il colore puro, e si esprime sia con un figurativo molto stilizzato sia con l’astratto. Le note “macchie” sono il suo vero tema caratterizzante. Possiede una particolarissima carica espressiva che raggiunge nella sintesi astratta la sua massima capacità di sorprendere. Macchie d’autore ▲ Macchie Macchie LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 5 | DISSONANZE / GLI ARTISTI Il bestiario di Trane - L’aquila della saguana ▼ Il bestiario di Trane - La pantera dell’Africa TIZIANO SPINELLI è nato a Grezzana (VR) e ha iniziato la sua attività pittorica nell’atelier di Arte irregolare del CSM L’Arca, sezione Lessinia, a Verona. I suoi soggetti ci appaiono come immagini provenienti dall’universo delle favole. Ha realizzato un vero e proprio bestiario che ci riporta al mondo dell’illustrazione e a quello più criptico e complesso del bestiario medioevale. Lavora sia su dimensioni di media misura sia su grandi superfici. La tecnica che predilige è l’acrilico su carta o su tavole di legno. GIUGNO2008 2008 | 6 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO 0 * LUGLIO RENATA ANSELMI è nata a Verona. Pur manifestando un’indole originale e creativa, si è accostata al disegno e alla pittura solo di recente, dimostrando subito grande originalità, forza espressiva e maturità artistica. Renata ama moltissimo i colori: colori forti, accesi, che non passano certo inosservati. Colori che accostati tra loro nei modi più inaspettati, hanno il potere di accendere le forme e di introdurci – noi, curiosi avventori catapultati inaspettatamente nel suo mondo – direttamente nei suoi percorsi interiori. Angeli che fuggono via ▼ Spaziale sulla nave I gatti sulla luna LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 7 | DISSONANZE / GLI ARTISTI VARINIA RETTONDINI, originaria di Bancole di Porto Mantovano, ha dimostrato sempre particolare propensione all’espressione figurativa. A scuola veniva spesso elogiata per la qualità dei suoi lavori. Dopo la formazione dell’obbligo abbandona ogni forma di espressione artistica per riprenderla poi frequentando AutArt, dove si distingue fin da subito per le sue particolari capacità. Oggi, dopo tre anni di frequentazione dell’atelier, Varinia realizza formati mega con il tema della reiterazione dei soggetti. Di particolare impatto figurativo i seriali giganti esposti in questa occasione. ▲ Moke GIUGNO2008 2008 | 8 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO 0 * LUGLIO Molto si è detto, ma forse non ancora abbastanza, delle felici alleanze che si possono instaurare tra l’arte e la psichiatria, a condizione che quest’ultima accolga con benevolenza e rispetto quella leggerezza non verbale di cui gli artisti sono portatori. Teresa Maranzano STEFANO FAVARO è nato a Mantova. Artista totale: inventore, ingegnere, pittore, opinionista di “Rete 180, la voce di chi sente le voci”, craniologo. Ha camminato tra il traffico mentre puliva le strade e le aggiustava, ha teso il suo cavo tra le spiagge di Ramsgate e i serbatoi di fenolo, ha attraversato il mare sottocoffa e ha passeggiato tra le mucche di Tripoli. La sua impresa artistica si rivela soprattutto in una grande presa della luce. Cauto nello spendere, lento perché così è nato, precisissimo. Ma come artista ha fatto alla svelta. ▲ Filtro per fumi industriali Tazza (generica) di plastica, antiurto, antigelo, antibru LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 9 | CONSONANZE / IL TEATRO Risveglia il terrore, suscita inquietudine, evoca remoti incanti, rivela quell’eterno e fragile equilibrio tra realtà e fantasia che è la condizione umana. È l’artista che incontra il folle, che diventa “mostro”. Danio Manfredini, uno degli interpreti più originali del teatro contemporaneo, presenta a Pergine il suo ultimo lavoro. I MOSTRI FRA NOI INTERVISTA A DANIO MANFREDINI ■ DI GIORGIA RESTIERI Perché hai intitolato il tuo Nel suo ultimo spettacolo che va in scena a Pergine, Danio contatto. C’è quindi un fattore ultimo spettacolo Il sacro Manfredini si misura con il disagio psichico, tema che ha avuto di continuità alla base di questa segno dei mostri ? modo di approfondire a lungo insegnando pittura in una casa di mia ricerca. Non avevo ancora Il titolo si rifà a una frase di Jean cura psichiatrica di Milano e condividendo con i pazienti messo mano a questo materiale Genet: «se li ho appesi al muro» – si parte del proprio disagio esistenziale. L’evocazione di documentario, perché da un lato riferiva ai carcerati – è perché avevasentimenti, emozioni, sogni e sofferenze di era un tema molto delicato e dall’alno agli angoli della bocca il sacro segno alcuni di loro sono la materia da cui tro perché la comunità in cui avevo lavodei mostri». Sin dall’inizio ho temuto che la ha tratto spunto. rato era stata creata in virtù dell’entrata in parola “mostro” potesse generare una definizione vigore della 180, quindi da nuove modalità di cunegativa. Sul vocabolario è indicata anche come “segno di ra e gestione del disagio psichico, dalla creazione di strutture Dio”, da monstruum, “rivelazione”, ciò che ha a che fare con il di- d’accoglienza differenti. Quei pazienti a cui un giorno era stato vino. Ed è in questa accezione più positiva che ho voluto intende- detto: «questa è casa vostra», all’improvviso si sono sentiti dire: re il titolo del mio spettacolo: da una parte perché all’interno del «questa non è più casa vostra», e sono stati destinati alcuni a contesto sociale il folle viene guardato come un individuo da te- ospizi, altri ad appartamenti in condivisione con altri pazienti, mere, da allontanare, da guardare con una certa soggezione; dal- altri a centri di accoglienza e di cura come quella. È là che ho l’altra perché l’artista che cuce l’opera è anch’esso considerato un fatto un’esperienza importante per la mia vita, non soltanto per mostro sacro. Ho capito insomma che c’era una consonanza tra la mia attività artistica. Un ambiente ricco di stimoli, dove valequesta parola e ciò che volevo mettere in scena, la stessa conso- vano princìpi di gestione un po’ anarchici, ma anche alcune regonanza che esiste tra il mondo della follia e il mondo dell’arte, an- le che cercavo di comprendere come funzionali, atte a uno scopo che se non bisogna dimenticare che per l’artista attingere alla preciso. Rimaneva l’intenzione di trattare queste persone come sfera dell’immaginazione è quasi sempre un’attività sotto control- esseri umani, di relazionarsi a loro partendo dalle loro stesse lo, mentre per il folle molto spesso non lo è affatto. condizioni. E soprattutto la consapevolezza che dietro le loro espressioni, banali o geniali, quotidiane o estemporanee, c’era un Da cosa è nato questo lavoro? particolare percepirsi nel mondo, uno strenuo tentativo di trovare Da tanti appunti presi durante i dodici anni di lavoro nella casa un posto nella realtà o almeno all’interno di una comunità. Sono di cura psichiatrica e da annotazioni raccolte anche nel periodo state queste le motivazioni che mi hanno spinto a riprendere in successivo, dato che con alcuni degli ex internati sono ancora in mano questa materia narrativa, in particolare a trarre spunto dagli GIUGNO2008 2008 | 10 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO 0 * LUGLIO Il percorso di formazione di autore-attore di DANIO MANFREDINI risale agli anni Settanta, presso il Laboratorio del centro sociale Isola di Milano e con il gruppo teatrale Tupac Amaru di Cesar Brie. Nei primi anni Ottanta studia con Ryszard Cieslak e Stanislaw Scierzki del celebre Grotowski’s Theatre Workshop, per poi insegnare scenografia alla Scuola d’Arte drammatica Paolo Grassi. Al di fuori di ogni traccia codificata e soltanto apparentemente anarchico, sin dall’inizio il suo percorso artistico è caratterizzato dal rigore nella ricerca teatrale, da una ferrea disciplina etica ed espressiva. Punto di riferimento importante per il teatro di Danio Manfredini è la pittura, intesa nel senso più intimo e profondo di visioni interne che caratterizzano fortemente l’incontro tra il pubblico e l’attore, così come la sensazione, che offre possibilità d’azione, di presenza nello spazio. Tra le sue opere teatrali si ricordano La crociata dei bambini dal poema di Bertolt Brecht (1984), Notturno (1985), Miracolo della rosa (1988), con il quale vince il Premio Ubu 1989, il recital per sax e voce Misty (1989), La vergogna (1990), Tre studi per una crocifissione (1992). Nel 1997 presenta al Festival di stati d’animo dei pazienti che più volte avevo avuto modo di registrare: un arcobaleno di emozioni, di umori, di atteggiamenti e inclinazioni in molti casi simili ai nostri, soltanto espressi in modalità differenti, più accentuate, o di cui forse avevo amplificato certe risonanze o sfumature. Da questo repertorio di storie e vicende quotidiane che mi ha offerto la comunità ho ricreato un contesto reale, che è la scena teatrale, dove la sfera emotiva potesse essere osservata con una lente d’ingrandimento. Dov’è la tua personale follia nel teatro che proponi? Non penso di potermi inserire a pieno titolo nella categoria dei folli. Credo però che ogni percezione profonda della realtà è in sé un rompere le frontiere, una sovrapposizione di piani, un attraversare i confini tra immaginazione, visione, realtà, sogno, fantasia. È questa indistinzione, questo particolare rapportarsi al mondo che circonda i nostri sensi la dimensione in cui interviene l’attività artistica, in particolare il lavoro teatrale: la rappresentazione, ciò che il pubblico vede, è una confusione di piani in cui fantasia, memoria, immaginazione compongono una dinamica. È proprio questo l’aspetto magico della messa-in-scena: la realtà che assomiglia a un sogno, che si nutre di immaginazione, che perde i suoi contorni immediatamente percepibili. La traduzione del “sacro segno” parte dalla ricreazione dei ricordi, anch’essi appartenenti alla sfera dell’immaginazione: giorni, situazioni, momenti che, proprio perché manipolati dall’immaginazione, tendono a conservare un’impronta di realtà, a ritornare percezione nel momento stesso in cui rivivono nello spazio “artificioso” Santarcangelo la prima parte del nuovo lavoro Al presente, che dal 1998 porterà in forma definitiva nei più importanti festival di tutta Italia. Nel 2000 riprende, rivisto e corretto, lo spettacolo La vergogna, di cui muta il titolo in Hic desinit cantus, opera ispirata a Pier Paolo Pasolini e Jean Genet. L’8 luglio 2003 debutta al Festival Santarcangelo dei Teatri con Cinema Cielo. Tra i tanti spettacoli a cui Danio Manfredini ha partecipato, ricordiamo Il muro (1991) e Il silenzio (2000) di Pippo Delbono, Parsifal (1999) di Cesare Ronconi con il teatro Valdoca. Danio Manfredini (foto di Pino Le Pera) e il suo autoritratto della messa-in-scena. Artificioso nel senso che ho lavorato con degli attori, ho affidato loro le parti, ho assegnato ruoli precisi, cosa che è di per sé una deformazione dell’esperienza originaria: non ci sono più quelle persone con cui ho interagito allora, che hanno dato sostanza al mio vissuto, adesso ho davanti a me altri corpi, diversi, che tuttavia restituiscono vita ai ricordi e ai loro veri protagonisti. Gli attori non solo hanno ripercorso le biografie di quelle persone, le loro vicende esistenziali, le tracce che hanno lasciato dentro di me e nella mia stessa immaginazione, ma provano a entrare in consonanza con quelle che erano le loro esperienze, le loro sensazioni, le loro espressioni e questa è un’ulteriore deformazione. Va in scena, insomma, il filtro di un attore che percepisce la possibilità di rispecchiarsi in una condizione: il teatro è prima di tutto deformazione, non dimentichiamocelo. Non ti è mai venuto in mente di fare teatro con i tuoi pazienti? Mi è venuto in mente, certo, soprattutto all’inizio. Glielo avevo anche proposto ma il messaggio che, a modo loro, mi hanno sempre trasmesso è che il teatro è una forma d’arte che solleva troppe emozioni, che mette a nudo, che coinvolge nel profondo. E in effetti li capivo e li capisco tuttora. Mi trovavo in un contesto di patologia, di disagio profondo, certe volte davanti a casi piuttosto gravi, in una situazione delicata proprio dal punto di vista emozionale. C’era in loro una specie di intasamento della mente, una difficoltà ad aprirsi totalmente all’ascolto, a liberarsi da certe ossessioni. La pittura, al contrario, generava stimoli diversi, richiedeva un approccio più lieve: più facilmente i pazienti assorbivano LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 11 | nella loro mente colori e immagini. Non abbiamo soltanto dipinto ma abbiamo visto molti quadri assieme. In quelle occasioni notavo come la visione del pittore penetrava in loro, cambiava il paesaggio interno della loro mente, apriva non solo squarci di oscurità e inquietudine, ma anche di bellezza. Gli attori hanno conosciuto i personaggi che mettono in scena? Qualcuno sì, di altri hanno soltanto visto delle foto, o letto i miei racconti oppure seguito le mie imitazioni. 15 luglio 2008 ore 21.30 Pergine Teatro Tenda IL SACRO SEGNO DEI MOSTRI Ideazione e regia Danio Manfredini con Simona Colombo, Cristian Conti, Afra Crudo, Vincenzo Del Prete, Danio Manfredini, Giuseppe Semeraro, Carolina Talon Sampietri Luci Maurizio Viani Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, CTB Teatro Stabile di Brescia Il sacro segno dei mostri indaga il mondo e l’atmosfera del disagio psichico, tema caro a Danio Manfredini che per anni ha insegnato pittura in una casa di cura di Milano per malati psichici. I sentimenti, le sensibilità di alcune di queste figure, sono il fulcro di questa creazione. «Fu intorno ai trent’anni che entrai a lavorare come conduttore dell’atelier di pittura presso una comunità psichiatrica nata a seguito della Legge 180 che prevedeva il superamento della vecchia istituzione manicomiale. Entrai in quel contesto con l’attenzione di chi entra nella foresta. Non si trattava di confrontarsi con belve feroci ma con esseri umani imprevedibili, fragili e vulnerabili. Provavo soggezione, timore e attrazione. Ogni paziente con cui venivo a contatto era un mondo unico, misterioso. Stavo in ascolto, parlavo poco, capivo che dovevo fare attenzione a come mi muovevo nello spazio, imparavo a essere presente senza invadere. Ho lavorato dodici anni con quelle persone; mi sono licenziato da otto. Lasciare la comunità fu difficile e in qualche modo lacerante. Nel corso di quegli anni avevo scritto diversi appunti, stralci di conversazioni con loro, accadimenti particolari. Ho rovistato nei quaderni in cerca di queste tracce. Questi frammenti sono stati il punto di partenza per il lavoro con gli attori, insieme a foto, qualche video, e soprattutto i miei racconti.» (Danio Manfredini) L’attore può essere considerato a suo modo un pazzo? Indubbiamente l’attore si getta a capofitto dentro alcune situazioni proprio per ricrearle in scena, vi si abbandona completamente, spesso finisce per perdere fatalmente ogni discrimine tra rappresentazione e realtà, e in questo senso sì, è un pazzo. Ma l’attore sveste i panni del personaggio nel momento in cui terminano le prove o lo spettacolo, dopodiché torna alla sua vita, al suo mondo, alle sue relazioni, ai suoi affetti. La follia è prima di tutto una dimensione di sofferenza da cui non puoi entrare e uscire a piacimento, in cui l’individuo è trascinato dentro come in un vortice e privato della libertà. Non dobbiamo mai dimenticarci che la follia è disagio, chiusura, paura, ansia, solitudine; non è affatto una condizione augurabile o un qualcosa a cui aspirare, soprattutto per il dolore che procura l’emarginazione dalla società. Puoi avere tutta la genialità, l’estro, la saggezza che vuoi, puoi percepire la realtà in modi diversi e interessanti, puoi dimostrare quella lucidità e sensibilità che tutti gli altri non hanno, ma finché sei costretto a essere un sog- GIUGNO2008 2008 | 12 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO 0 * LUGLIO getto marginale, a non essere ascoltato, a non avere piena dignità sociale, questa tua “diversità” può essere soltanto motivo di disperazione. In altri tempi il folle era quasi il portatore di un messaggio divino, apparteneva a un universo magico, sciamanico, ma nel mondo contemporaneo tutto questo è andato perduto. Il folle è soltanto un emarginato, niente di più. Che cosa ti aspetti da questo ultimo tuo spettacolo? Non ho voluto mettere in scena questa vicenda con il semplice intento di raccontare le biografie dei personaggi, ho cercato piuttosto di creare dei quadri scenici dentro i quali far agire queste figure e, attraverso l’azione degli attori, evocare una storia che sta alle spalle, una condizione umana. La difficoltà è stata soprattutto quella di comprendere e ordinare la struttura dei ricordi. Ne è venuta fuori così una messa-in-scena scandita per quadri che corrispondono ciascuno a un momento inserito in un arco di tempo piuttosto lungo: infatti ogni attore compare prima giovane e poi vecchio. Quello che volevo tracciare, in fondo, era il senso del tempo, di come il tempo cambia le persone nel suo essere il deposito di esperienze, stati d’animo, incontri, situazioni, gioie, drammi, tragedie, tutto ciò che insomma è vita. In questo contesto la dimensione della follia acquisisce davvero un valore e un significato del tutto particolari. Una follia ripercorsa da “fuori”, da quello che ho visto e sperimentato. Ciò che sta “dentro” è e rimarrà semImmagini da Il sacro segno dei mostri pre per me un mistero. * foto di Pino Le Pera CONSONANZE / LA DANZA Al limite della follia troviamo la normalità, come se ne fosse una componente inscindibile. Francesco Ventriglia, giovane coreografo e danzatore, realizza a Pergine una nuova produzione incentrata sul tema della follia. Rigore e fantasia coreografica, geometrie e vitalità, il suo modo di concepire la danza trasmette in pieno l’emozione della vita. NORMALE ANCHE LA FOLLIA MERITA I SUOI APPLAUSI ■ DI SARA SCIORTINO / FRANCESCO VENTRIGLIA Sono figlio del mio tempo e PSA una produzione inNon credo nelle etichette ma sono fermamente convinto che la danza delle sue contraddizioni, è duncentrata sul tema della folcontemporanea possa e debba avere una valenza civile. Attraque di questo che voglio parlare ed lia. La creatività di Francesco ha verso i miei lavori cerco di far riflettere. Il tema della è ciò che cerco di esprimere. La danza incontrato la follia, le ha dato spazi follia, così come è stato in passato quello della aiuta a riflettere, perché, riuscendo a sudi rivelazione, la ha donato un lindisabilità, mi interessano perché sono un perare il fattore puramente estetico, è una guaggio e forme espressive, le ha aperto uomo che vive osservando gli altri, delle forme d’arte che maggiormente trasmette nuove prospettive. In Normale sperimenta la ne vive i contrasti, le margil’emozione della vita. I miei lavori sono dunque normalità della follia, non attraverso le tematinalità, le energie più un’indagine della realtà, ma anche studi interiori; che e le categorie proprie della patologia psichiatriimprevedibili e ca, ma riflettendo sul concetto di normalità come producono riflessioni che poi trasferisco nella dimensione nascoste. insieme di regole al di fuori delle quali non è possibile vidello spettacolo, la forma di comunicazione umana che più vere senza essere emarginati socialmente e condannati a un sento mia. L’essenza di questa mia ultima creazione sta tutta destino di diversità. nel titolo: Normale. Rifuggendo dall’accettazione passiva del dato di fatto, la follia assume una sua realtà espressiva che induce a ca- Lo spettacolo si articola in due momenti distinti, all’interno e alpire le relazioni, a interagire con l’alieno disagio, entrando in co- l’esterno del Padiglione Perusini, unica testimonianza tangibile municazione con la dimensione subalterna della normalità. Anche di quelle che sono state per oltre un secolo le strutture manicola follia, come espressione quotidiana nascosta dietro l’apparente miali di Pergine, un luogo caduto in disuso da pochi anni. La priconvenzione “normale’’, merita i suoi applausi. La normalità che ma parte si svolge all’interno del Padiglione, al primo piano, ha preceduto la follia diventa dunque, per assurdo, la conseguenza dove viene realizzato un percorso dal sapore performativo, che permette allo spettatore di attraversare gli spazi e diventare testiche la follia finisce per generare. mone di un passato vissuto e nascosto, ridando vita, con la sua Francesco Ventriglia è stato invitato dalla direttrice artistica del stessa presenza, a quella città invisibile che era l’Ospedale psilaboratorio danza, Maria Pia Di Mauro, a realizzare per il festival chiatrico. All’esterno, in uno spazio scenico creato di fronte alla LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 13 | facciata e alle grate di sicurezza, verrà allestito il corpo vero e proprio dello spettacolo. Penso che possa essere interessante esplorare questo tema, perché lo sento molto vicino a me. Il mio primo approccio con la follia l’ho toccato direttamente dai racconti dei miei familiari. Avevo uno zio che era stato rinchiuso in un manicomio, purtroppo, come spesso accadeva, per una depressione trascurata. Ed è proprio questa situazione, che credo possa accomunare molti ex internati, che ho voluto raccontare con il mio lavoro, perché mi interessa narrare l’antefatto della follia codificata dal sistema, ciò che precedeva l’ingresso in questi luoghi di segregazione e disperazione, come erano insomma le persone prima di essere rinchiuse. Ho lavorato soprattutto sui racconti degli ex internati, per recuperare i loro ultimi ricordi, frammenti di vita vissuta e per molti versi negata. E partendo da queste tracce di memoria vorrei rappresentare la follia che si nasconde dietro la normalità e viceversa: spesso il manicomio, la detenzione, ce li costruiamo noi stessi perché abbiamo paura di uscire dalle rassicuranti regole di una normalità imposta dalle convenzioni sociali. Ventriglia ha iniziato ad approfondire il tema della follia seguendo diverse tracce narrative, ma soprattutto grazie agli scritti di Alda Merini. Ha così sviluppato una ricerca che si basa sulla riflessione della condizione umana e della creatività coreografica. Così come è stato per Il mare in catene (Biennale di Venezia 2007) la coreografia di Normale diventa un procedimento in cui GIUGNO2008 2008 | 14 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO 0 * LUGLIO il coreografo milanese offre una suggestione e i danzatori la arricchiscono di volta in volta con la loro sensibilità e partecipazione interiore, fino a generare un procedimento in crescendo di intensità, che porta i danzatori stessi a trovare un nuovo modo di danzare e un nuovo approccio al movimento. Non nutro particolari aspettative dal mio lavoro, non lo faccio mai, sarà il pubblico a decidere. Per il momento sono soddisfatto di ciò che sono riuscito a creare con tutti miei interpreti capaci, ciascuno a suo modo, di trasmettermi il loro universo umano, lasciandosi condurre, con fiducia, attraverso la difficile ricerca non di danzare ma di essere. Con loro ho sempre instaurato un rapporto di scambio e di stimoli reciproci, è così che mi piace lavorare. Immagini da Normale foto di Gabriele Orlandi Anche in questa occasione Ventriglia ha lavorato con la Compagnia Eliopoli e i neodiplomati della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano, con la partecipazione della sua “musa” Stefania Ballone, danzatrice del Corpo di Ballo del teatro milanese. Rinnovando, per le musiche, il sodalizio artistico con Emiliano Palmieri. * Formatosi presso la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano, dove si diploma nel 1997, FRANCESCO VENTRIGLIA entra subito a far parte del Corpo di Ballo del teatro stesso. Nel 1998 debutta come ballerino solista con In the Middle Somewhat Elevated di William Forsythe e l’anno successivo Natalia Makarova lo vuole interprete dell’Idolo d’oro nella sua Bayadère. Oltre al repertorio classico, le sue interpretazioni spaziano da George Balanchine ad Alvin Ailey, da John Neumaier a John Cranko, da Angiolin Preljocaj a Jacopo Godani, da Jiří Kilián a Maurice Bejart. Roland Petit gli affida il ruolo di Toreador nella sua Carmen e quello di Quasimodo nel suo Notre Dame de Paris. Al fianco di Sylvie Guillem è Hilarion in Giselle al Metropolitan di New York e al Covent Garden di Londra. All’attività di interprete Ventriglia affianca quella di coreografo coinvolgendo spesso danzatori del Teatro alla Scala. Tra i suoi allestimenti ricordiamo La solitudine del Gigante, D.N.A., Mandorle, Giallo ’700, quest’ultimo per la Scuola di ballo scaligera. Nel 2006 crea tre spettacoli per Roberto Bolle: La Lotta, che debutta a Roma presso la Curia del Senato romano nei Fori imperiali, il Concerto di Capodanno del Teatro la Fenice di Venezia trasmesso su Rai Uno e Il Mito della Fenice presso il Teatro Smeraldo a Milano. In seguito fonda la compagnia Eliopoli. Ed è con questa stessa compagine che Ventriglia presenta, per la prima volta alla Biennale di Venezia edizione 2007, Il mare in catene, seguendo una sua personale interpretazione del tema del festival, “Body & Eros”. La sua carriera di coreografo prosegue a Verona, dove realizza, nel dicembre 2007, per la Fondazione Arena di Verona, Sogno di una notte di mezza estate e Jago, l’onesta poesia di un inganno, con le étoile Eleonora Abbagnato e Alessandro Riga, e il Corpo di Ballo dell’Arena di Verona. Recentemente, su invito dell’étoile Svetlana Zakharova e del Teatro Bolshoi di Mosca, ha riproposto il passo a due Black, e ha presentato al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo Contraddizioni, nuova creazione per la prima ballerina Uljana Lopatkina. In questa stessa occasione è stato anche interprete di un suo lavoro dal titolo Stabat Mater, ispirato all’opera di G.B. Pergolesi. Nel 2007 coreografa a Parigi la cerimonia di presentazione per la candidatura di Milano a sede dell’Expo 2015. Ha ricevuto il Premio Tani come giovane coreografo emergente e il Premio Positano Léonide Massine come promessa della coreografia italiana. 18 e 19 luglio 2008 ore 21.00 Pergine Padiglione Perusini, ex Ospedale Psichiatrico NORMALE. Anche la follia merita i suoi applausi Regia e coreografia Francesco Ventriglia Assistente alla coreografia Maria Pia di Mauro Musiche originali di Emiliano Palmieri e Massimo Fiacchini Light designer Andrea Giretti Coordinamento Anna Meroni Maestro collaboratore Valeria Vitaterna Con i neodiplomati della Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala di Milano Rebecca Bianchi, Giuseppe D’Agostino, Antonio De Rosa, Beatrice Mazzola, Mattia Russo, Alessandra Vassallo Con la partecipazione di Stefania Ballone, danzatrice del Corpo di Ballo Teatro alla Scala di Milano Si ringrazia il maestro Frédéric Olivieri, direttore Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala di Milano Produzione laboratori danza Festival PSA e Compagnia Eliopoli «Uno spettacolo che raccoglie la memoria di un’umanità diversa, che per molto tempo ha abitato questi luoghi dove il confine era solo da una parte o dall’altra di un cancello, un’indagine sulle ancore che la follia cala quotidianamente nella normalità, sovvertendo il destino di uomini comuni alla ricerca continua di un equilibrio, in bilico tra l’esistere e il dover essere. Una galleria fotografica, scorci di vite passate, raccontati attraverso il presente di cuori disabitati, di corpi che si riorganizzano nel ricordo del tempo che ha preceduto la follia. Il tempo dell’infanzia, la scoperta dell’amore, della femminilità, della maternità. Emozioni sospese che si raccontano dentro e fuori da quel cancello, sospese tra la normalità fatta di regole comuni, sicure, e il disorientamento dato dal rifiuto delle regole imposte dagli altri e dalla costruzione di un universo altro dove il sé non incontra più il “tutti”. E poi l’attesa, la pazienza, un nuovo rapporto con il tempo, con un fuori, ormai solo immaginato, idealizzato.» (Francesco Ventriglia) Molta follia è divina saggezza per occhio che discerna. Molta saggezza – assoluta follia. Ma è la maggioranza che prevale, anche in questo. Approva – e sei savio. Dissenti – e sei d’immediato pericolo. Legato alla catena. Emily Dickinson LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 15 | TESTIMONIANZE Oltre la siepe ■ DI PIERA VOLPI JANESELLI L’Ospedale psichiatrico era per noi abitanti di Pergine sinonimo di dolore, di emarginazione, di situazioni umane verso le quali non si poteva intervenire se non solo ed esclusivamente attraverso la segregazione e la custodia, e, in un certo modo, gli ammalati ospiti dell’OP incutevano paura. Faceva una certa impressione quell’edificio enorme, suddiviso in “padiglioni” con le finestre sbarrate, oltre le quali era difficile intravedere quale poteva essere la vita di tutti i giorni. Durante i primi anni della mia residenza a Pergine (1952-53) chiedevo spesso, al personale che sapevo dipendente dall’istituzione manicomiale, chi accogliesse quel grande edificio, quali erano le terapie adottate per migliorare lo stato psichico dei degenti e perché, a volte, passando in prossimità dei padiglioni si sentivano persone che con la voce volevano far capire il loro disagio. La risposta era sempre molto incompleta e legata a una riservatezza che giustamente ritenevo protettiva di una condizione umana tanto problematica. A volte si veniva a sapere di qualche persona che era stata ricoverata nell’OP, e, per quella persona, il fatto di essere entrata in quella specifica struttura poteva condizionare ogni progetto futuro. Sembrava quasi che un episodio, quale poteva essere il ricovero in OP, forse unico, forse marginale, forse prodotto da cause dipendenti da situazioni e agenti esterni, riuscisse a trasformare in un sentimento di pietà quello che prima era amicizia, o sicurezza, fiducia verso una persona. E mi chiedevo se la malattia o l’istituzione manicomiale ne potevano essere la vera causa. Passando accanto alla fitta siepe che divideva l’area dei padiglioni da alcune vie di Pergine, si udivano voci concitate, a volte urlanti (ciò che in seguito gli psicofarmaci hanno eliminato), oppure si sentiva il rumore dei passi affrettati degli ammalati, che muovendo il ghiaino con un ritmo poco omogeneo, rispecchiavano l’instabilità di chi correva per guardare fra la siepe, nel tentativo di porgere una mano o inviare un saluto. Queste situazioni facevano pensare a qualcuno che volesse scappare, che volesse aggredire, mentre oggi, a distanza di tanti anni, posso veramente affermare che erano richieste di aiuto, tentativi di riagganciare quella realtà esterna che la malattia li aveva costretti ad abbandonare. Piera Volpi Janeselli ha lavorato per 27 anni presso l’Ospedale Psichiatrico di Pergine come assistente sociale. Il testo è tratto dalla tesi di laurea dal titolo Il servizio sociale nella psichiatria istituzionale. Memoria e rilettura di una esperienza nell’Ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana, Università degli Studi di Trento, a.a. 2004/2005. PSA ringrazia: la Regione Autonoma Trentino Alto Adige, la Provincia Autonoma di Trento, il Comune di Pergine Valsugana, il Centro Servizi Culturali S. Chiara, la Cassa Rurale di Pergine, la Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, l’Azienda per il Turismo Valsugana Lagorai - Terme - Laghi, l’Azienda provinciale per i Servizi sanitari - distretto di Pergine, la Fondazione Museo storico e l’Università di Trento, il Mediocredito Trentino Alto Adige, il Bim Brenta, Trenta SpA, Sant’Orsola Sca, Itas Assicurazioni, ProLoco Pergine, Publistampa Arti grafiche, Videoframe Multimedia, Palcos srl, Pulinet, Shop Center Valsugana, Bimotor, Invisible Site carta riciclata Cyclus offset: 100% macero da raccolta differenziata, sbiancata senza cloro; marchi di garanzia: Angelo Blu, Nordic Swan, European Eco-label Flower e Napm; inchiostri con solventi a base vegetale. Publistampa Arti grafiche è certificata FSC - Chain of Custody CQ - COC - 000016 GIUGNO2008 2008 | 16 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO 0 * LUGLIO CITTADINANZE Tutto è iniziato un anno fa. Quando il direttivo di PSA, insieme alla nuova presidenza e direzione artistica, decise di inaugurare il nuovo corso scommettendo su una proposta che ad alcuni parve un’ardita provocazione, ad altri un’offensiva riesumazione di un tabù collettivo, ad altri ancora un intelligente e stimolante rilancio per una delle rassegne festivaliere più longeve e seguite in Trentino. Il titolo che volemmo dare all’edizione 2007 era quanto mai emblematico e non lasciava adito a equivoci: “Apriamo alla follia”. Un’apertura non soltanto tematica, ma anche e soprattutto reale: dopo tanti anni gli edifici che per oltre un secolo hanno ospitato uno dei più importanti manicomi del Nord Italia sono stati riaperti e simbolicamente restituiti alla antica destinazione d’uso. Per un giorno – anch’esso dall’alto contenuto simbolico, il 14 luglio – sono diventati teatro di mostre fotografiche, documentari, performance, laboratori, incontri, discussioni pubbliche, ma soprattutto l’occasione per restituire a un’intera comunità un immenso patrimonio di storie, una memoria rimossa che, nel bene e nel male, ha segnato la vita di tutti i perginesi. L’inaspettata partecipazione di pubblico, il grande interesse manifestato per ogni singola iniziativa, le critiche – rivelatesi quasi sempre costruttive – mosse dai detrattori hanno avuto il potere di consolidare un audace esperimento in vero e proprio progetto, sul quale PSA ha intenzione di investire, in futuro, risorse materiali, energie creative e tanta passione. Quest’anno vogliamo proseguire nell’itinerario tracciato un anno fa, dedicando ben quattro giornate al tema della memoria ed eleggendo alcune aree dell’ex Ospedale psichiatrico a luoghi di rappresentazione artistica, di narrazione e di riflessione, spazi di incontro e di dialogo, di testimonianza e di emozione. L’intento è ancora quello di abbattere metaforicamente sbarre e recinti, di esplorare il misterioso e scabroso territorio della follia umana mediante il multiforme linguaggio dell’arte, senza con questo operare indebite sovrapposizioni con tutti quegli operatori che quotidianamente hanno a che fare con la follia intesa come malattia, sofferenza, esclusione, bisogno di cura, semplicemente offrirle margini di rappresentazione e dunque di possibile integrazione. La Città dei Matti è pronta ad accogliere il contributo di tutti i perginesi, e di tutti coloro i quali, senza alcuna distinzione di provenienza, vorranno partecipare attivamente al nostro progetto. È per questo che vogliamo fare della rivista omonima, che nasce in occasione del Festival 2008, non soltanto uno spazio di approfondimento culturale e un bollettino di informazione sugli eventi, le iniziative e i progetti delle amministrazioni locali e dei tanti enti e associazioni che promuovono sul territorio cultura e spettacolo, ma anche una sorta di “piazza di carta”, per raccogliere ricordi, documenti, immagini di chiunque abbia voglia di raccontare storie da un passato comune e mettere in condivisione frammenti di memoria individuale e familiare, e in certi casi sottrarli allo stigma della vergogna e della rimozione. La Redazione è dunque a disposizione di chiunque avesse voglia di inviare materiale documentario o semplicemente scrivere o narrare a voce le proprie testimonianze, per pubblicarle, anche in forma anonima, su queste pagine o semplicemente per conservarne traccia in un indice della memoria dell’ex Ospedale psichiatrico che vogliamo sin d’ora costruire. *