Intervista a Renè Girard
«Così sono rinato cristiano»
Avvenire
04/01/2009
Spesso è stato sostenuto che lei si è imbattuto nel Cristianesimo durante le sue ricerche, ma la verità è
un po’ diversa.
«Sì, è vero; la storia è diversa dal momento che io ero già cristiano da parte di madre, una donna molto
credente e abbastanza ' sofisticata' nel suo modo di esserlo, specialmente per il tempo in cui è vissuta. Mio
padre, invece, era moderatamente anticlericale. Questa situazione era abbastanza tipica nella classe media
francese. Mia madre, all’inizio, non mi ha influenzato granché. Dall’età di 12 anni fino ai 30, ogni volta che
potevo evitavo la Messa domenicale. Ma è falso pensare che mi sia imbattuto per caso nel cristianesimo.
Nella mia infanzia c’erano diversi elementi cristiani che erano – che sono – molto potenti e l’influenza di
mia madre è stata parecchio importante. Per questo le ricerche effettuate per Deceit, Desire and the Novel
sono state una rinascita del mio cristianesimo e si è trattato di qualcosa molto impegnativo. Le esperienze
dell’infanzia possono essere molto importanti. Più ci rifletto, meglio capisco che lei ha ragione nel suggerire
che la mia vicenda si è svolta così».
La Chiesa in America, e meno in un certo senso nell’Europa occidentale, sembra tristemente divisa tra
coloro che si autodefinisco tradizionalisti e chi si fa chiamare progressista. A parte ignorare queste
distinzioni superficiali, in che modo lei è stato capace di non allinearsi con uno 'gruppo' dentro la
Chiesa?
«È una domanda complicata. Penso che ci sia poca differenza tra Europa e America, o meno di quanto lei
insinua. La questione sulla divisione tra progressisti e tradizionalisti ha dominato il dibattito per molti anni.
Oggi io la sento come un po’ dépassé e non rilevante per come viene usata.
Sembra che il grande entusiasmo progressista del Concilio sia diminuito e sia diventato meno importante.
Secondo me la domanda vera è se uno resta un cristiano o no. Sono incline a non sentirmi un cristiano del
passato ma un cristiano ' permanente'. Per un certo periodo sono stato visto come un conservatore estremo
perché sentivo che il cristianesimo progressista di quel periodo stava imitando, se così si può dire, quei
dibattiti che non sono di per sé religiosi… dibattiti della vita politica e dell’azione sociale, che sono
interessanti, ma non fondamentali per il cristianesimo. A mio modo di vedere, l’interrogativo è se uno crede
o no nell’Incarnazione e nella divinità di Cristo. Lentamente stiamo tornado a questo punto».
Visto che lei è francese ma anche residente in America, trova che la Chiesa americana si stia
rinchiudendo tra le proprie mura?
«Storicamente, questo è stato vero per la Chiesa francese che si faceva chiamare ' Chiesa gallicana' per
enfatizzare la propria indipendenza dal papato. Da un punto di vista francese, la Chiesa americana è molto
più preoccupata della sua relazione con il papato e del suo desiderio di essere ' ortodossa', cioè nel non fare
affermazioni estranee ad una prospettiva cristiana. Dalla prospettiva di qualcuno che viene da fuori, la Chiesa
americana è estremamente generosa nelle sue donazioni. In questo c’è di certo qualcosa del processo del
capro espiatorio, ma ciò non mi colpisce come un fenomeno particolarmente americano. La tendenza a
criticare il papato era molto diffusa in Francia. Per esempio, durante la prima guerra mondiale, la gente non
era conscia di quello che succedeva con Benedetto XV ( e credo che Benedetto XVI abbia preso questo
nome proprio a causa di quest’ultimo).
Benedetto XV era molto popolare durante la guerra sebbene fosse impopolare in Francia per essere troppo
filo- tedesco e lo stesso in Germania perché esageratamente filofrancese. Fece sforzi notevolissimi per
mettere fine ai combattimenti. Intervenne e fece del suo meglio per promuovere i negoziati. Nessuno ha
apprezzato questo sforzo come si sarebbe dovuto fare. Fu veramente profetico nel capire che la guerra era un
disastro di proporzioni enormi per tutta l’Europa».
Cosa risponderebbe se il Papa le chiedesse cosa bisogna fare per meglio portare avanti l’opera di
catechesi nella Chiesa?
«La Chiesa è cosciente di questo e continuamente si interroga su cosa deve fare per migliorare. Certamente è
necessario raggiungere i giovani. Questo spiega perché Giovanni Paolo II era così importante. La simpatia
misteriosa che i giovani hanno avuto verso Giovanni Paolo II è stata notevolmente sottolineata nel momento
in cui si è riflettuto sul suo papato. Eventi come le Giornate mondiali della gioventù sono molto importanti.
Ovviamente non è facile avere lo stesso appeal di Wojtyla, ma il grande successo della visita di papa
Ratzinger negli Stati Uniti e il recente viaggio in Francia sono stati molto importanti. A Parigi c’erano 250
mila persone ad ascoltarlo alla Messa e 100 mila di queste hanno passato la notte lì. Un evento
impressionante. Per questo, la gente che pensa che il cristianesimo in Francia sia ormai finito sbaglia
completamente, a mio giudizio. Per esempio, quando il cardinale Lustiger era arcivescovo di Parigi celebrava
la messa alle 6.30 della sera ogni domenica, a Notre Dame. Se non si arrivava in tempo, era impossibile
trovare un posto per sedersi in chiesa. Tra la gente di Parigi la sua popolarità era incredibile. Questo
fenomeno non è stato fatto conoscere come si sarebbe dovuto fare, perché in esso c’era qualcosa di
abbastanza paradossale. Lustiger non era un parigino doc, ma un ebreo, e vescovo di Orleans prima di
arrivare a Parigi. La sua popolarità è stata qualcosa di veramente inedito».
Lei considera il suo lavoro un impegno apologetico?
«Penso che l’aspetto più influente del mio lavoro sia mostrare che l’ebraismo e il cristianesimo esistono in
continuità con le religioni arcaiche. Fondamentalmente, io sono un antropologo e un razionalista. Ciò che
sostengo è il fatto che le società umane sono molto diverse da quelle che gli specialisti definiscono come '
società animali', perché le prime hanno la religione. Nella società arcaica religione e cultura sono
assolutamente un tutt’uno, anche quando ciò non appare. La religione, perciò, è un modo con cui gli esseri
umani imparano, senza averne coscienza, il modo in cui comportarsi con la violenza all’interno del proprio
gruppo. In questo caso, il sacrificio arriva a rivestire il ruolo delle vittime sostitutive. Questo fenomeno
dovrebbe essere spiegato in termini puramente antropologici come qualcosa di scientifico. Non c’è bisogno
di una convinzione religiosa per capirlo. Questa comprensione della religione arcaica ( portata avanti anche
da chi ha una considerazione sfavorevole nei confronti della religione stessa) rappresenta una vera
rivoluzione; è molto importante mostrare che queste vittime sono assolutamente indispensabili alla
sopravvivenza
dell’uomo.
In un certo qual modo, il cristianesimo è la fine delle religioni arcaiche perché rivela che la vittima è
innocente. Quando si comprende il cristianesimo in maniera corretta nella sua vicinanza- distanza dalla
religione arcaica, si scopre che siamo di fronte alla stessa struttura, ovvero il fenomeno del capro espiatorio,
cioè Gesù come vittima. Già il testo biblico è concepito per distruggere lo schema del capro espiatorio invece
di usarlo per realizzare sacrifici. La relazione con tutte le religioni arcaiche nel passato è davvero centrale e
razionale al punto che si potrebbe andare indietro per decine di migliaia di anni. Questo è un dato molto
importante. La religione dell’Incarnazione dovrebbe essere un’antropologia così come una teologia.
L’Incarnazione significa uomo e Dio insieme. La teologia è il Dio puro ed è costruita su schemi che
trascurano completamente quello che nel cristianesimo chiamiamo Incarnazione».
A livello più personale, lei ha qualche suggerimento per rendere la fede attraente nei confronti dei non
credenti?
«Una cosa importante sarebbe mostrare che il cristianesimo ha qualcosa da dire rispetto alle scienze
dell’uomo. Questo è assolutamente indispensabile.
L’antropologia ha sempre visto la religione come un tipo di storia. Nel diciannovesimo secolo Auguste
Comte sentiva che la religione arcaica era il primo tentativo di capire i ' misteri dell’universo'. In altre parole,
intraprendeva lo stesso percorso della scienza. Ma secondo Comte si trattava di una scienza molto scadente e
non di alto livello. Per i positivisti dell’Ottocento, la filosofia si poneva a metà strada, era un po’ meglio
della teologia ma non ancora accettabile come la scienza. Questa visione era molto astratta e aveva poco a
che fare con il fatto che la religione è un fenomeno molto concreto che porta le persone ad evitare di
uccidersi del tutto le une le altre».
Quale ruolo pensa avranno le principali tesi del suo lavoro intellettuale nei decenni a venire?
«Ritengo che la questione e il paradosso del capro espiatorio ( perché esso c’è quando non lo si vede, ed è
assente quando si dice che è presente) verrà compreso meglio e rivestirà un ruolo che non ha mai assunto
nell’apologetica. La visione del cristianesimo non è abbastanza paradossale. Io penso che quando si legge
Kierkegaard con attenzione, si vede che egli non era molto lontano da molte delle affermazioni che la teoria
del capro espiatorio può formulare in maniera più razionale. Perciò tale visione può essere uno strumento di
apologetica che non è stato ancora scoperto».