Inpiù palcoscenico 06.05.2014

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DRAMMA
ITALIANO
Le prove della montura
la Voce
del popolo
la Voce
del popolo
palcoscenico
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Anno 10 • n. 84
martedì, 6 maggio 2014
UNAUTOREUNTITOLO
Una notte in Tunisia,
di Vitaliano Trevisan
LA RECENSIONE
ANNIVERSARI
A PROPOSITO DI...
Ballata di uomini e cani
Filumena Marturano
Amleto dal Globe al...
globo
Carlo Goldoni
Nel 450.esimo della nascita di
Shakespeare la pièce due anni
in giro per i teatri del mondo
Vita, aneddoti, curiosità
3 4|5
Una delle ultime notti di
Craxi, in esilio a Hammamet
6
CARNETPALCOSCENICO
Il cartellone del mese
7
8
Quattro città (Fiume, Pola,
Capodistria, Trieste), sei teatri
2
martedì, 6 maggio 2014
DRAMMA ITALIANO...
palcoscenico
la Voce
del popolo
di Gianfranco Miksa
«IBOTONIDELAMONTURA»
Erano altri tempi
STORIE DI BODOLI, DALMATI, ISTRIANI... DELL’EPOCA
FELIX, TRATTE DALLE «MALDOBRIE» DI LINO
CARPINTERI E MARIANO FARAGUNA. REGIA DI GIORGIO
AMODEO. FIRMA I COSTUMI MANUELA PALADIN
ŠABANOVIĆ (IN PRIMA LE BOZZE)
L’
epoca “felix”, ossia “felice”
dell’Austria-Ungheria, quando
su un grande territorio come
quello dell’Impero bicipite vivevano genti
differenti per etnia, credo religioso, lingua,
usi e costumi. Popoli che vivevano uniti e
relativamente in pace sotto la bandiera del
commercio, del progresso, del benessere
materiale. Ovviamente non si può affermare
che questi popoli si amassero alla follia,
ma perlomeno si comprendevano a
meraviglia in virtù degli affari che dovevano
concludere l’uno con l’altro e proprio per
questo parlavano un’idioma comune, la
lingua “franca” dei traffici, quello splendido
istro-veneto marinaro infarcito soprattutto
di termini slavi e tedeschi, ma anche
francesi, ebraici, greci e di etimologia
latina. Insomma, di tutto ciò è rimasta una
patina di romantica nostalgia, di eterno
rimpianto. Ora questa patina di altri tempi
viene evocata al Dramma Italiano del Teatro
nazionale croato “Ivan de Zajc” di Fiume
con la commedia “I botoni de la montura”,
appartenente al magico mondo delle
celeberrime “Maldobrìe” di Lino Carpinteri
e Mariano Faraguna. È una commedia in
dialetto istroveneto, adattata per l’occasione
da Giorgio Amodeo che ne cura pure
l’aspetto registico.
Attore e regista triestino, esperto di teatro
per l’infanzia, è conosciuto al pubblico
della Comunità nazionale italiana – e non
solo, ovviamente – per avere allestito in
precedenza le fiabe di “Mille e una notte”,
“Bonaventura veterinario per forza” e
“Mini & Maxi”; inoltre, lo ricordiamo
anche nelle vesti di protagonista delle
pièce “Somewhere City”, di Goran Lelas,
e dell’applauditissima “Camere da letto”,
commedia brillante di Alan Ayckbourn.
Questo suo nuovo spettacolo debutterà il 21
maggio allo “Zajc”, dopodiché è prevista a
giugno una tournée in Istria.
L’adattamento intitolato “I botoni de la
montura” vede impegnati in scena gli
attori della compagnia di prosa in lingua
italiana. Ovvero Bruno Nacinovich, Ivna
Bruck, Giuseppe Nicodemo, Elena Brumini,
Alida Delcaro, Leonora Surian, Neven
Stipanov, Toni Plešić, Rosanna Bubola,
Elvia Nacinovich e Lucio Slama. Tutti
loro rappresentano una serie di storielle
divertenti in cui si raccontano le vicende
di “bodoli”, dalmati, istriani vissuti al
tempo del vecchio Impero austro-ungarico,
quando tutto doveva andare secondo le
regole e un certo garbo comune, perché
l’Austria era una Paese ordinato. La
trama prevede come sempre numerosi
personaggi, ognuno indaffarato in propri
specifici problemi, dal vecchio Moise che
litiga coi parenti e vuole cambiare paese,
al prete che vuole elemosine più congrue
dai suoi parrocchiani, al podestà tribolato
dalla necessità di trovare in tempi brevi
una sistemazione più consona al suo
municipio, che è momentaneamente
ospitato in un’ala della locale scuola
elementare. Siamo vicini alla Prima
guerra mondiale e il dispotico patriarca
ha la felice intuizione di investire tutto il
patrimonio familiare nella realizzazione
della nave del futuro e battere la
concorrenza degli armatori concorrenti...
Ma i figli sono contrari.
palcoscenico
la Voce
del popolo
Un’idea
nata diverso
tempo fa
CON IL REGISTA
GIORGIO AMODEO
UNO SCRITTORE UN TITOLO...
martedì, 6 maggio 2014
Perché la scelta delle “Maldobrie”?
“Perché Carpinteri & Faraguna sono due
autori straordinari che rimandano al
periodo dell’Austria in cui s’immagina
che tutto fosse bello. Ovviamente la
realtà era ben diversa, con l’austriaco
considerato spesso come l’usurpatore,
però nel ricordo nostalgico tutto si colora
di rosa e tutto diventa piacevole. In questi
racconti parliamo specificamente del
nostro territorio con tutta la musicalità
dovuta all’istroveneto che era una lingua
di comunicazione veicolare”.
Quali “Maldobrìe” vedremo in scena?
“Sono quattro ‘Maldobrìe’ che abbiamo
inserito in modo tale da non far capire
dove inizia una storia e dove finisce
l’altra. Si tratta de ‘L’avanzamento’, ‘Il
testamento del vecio Moise’, ‘Il nuovo
testamento’ e ‘Il pezzo del scartazin pei
denti’. In realtà questo è un vecchio
adattamento degli anni Duemila, che
avevo realizzato con il Gruppo Teatrale
per il Dialetto. Compagnia con cui
difatti c’è la collaborazione anche
per quest’allestimento, in quanto è la
detentrice dei diritti del copione. Non
è uno spettacolo a quadri che spesso
caratterizzano le ‘Maldobrìe’, bensì un
lavoro unico. Una storia con un inizio e
una fine, e al cui interno ci sono tutte le
varie vicende”.
Qual è la storia?
“La vicenda si svolge nel piccolo centro
costiero di San Nicolò a Veglia, dove la
tranquilla monotonia del paesino isolano
viene turbata dall’arrivo inaspettato del
vecchio Moise, ricchissimo e collerico
proprietario terriero di Lussino, che ha
abbandonato improvvisamente, dopo
un litigio, i propri parenti per venire
a stabilirsi sull’isola. Tra un episodio
spassoso e l’altro ritroviamo coppie di
sposi e occasioni di matrimonio, ufficiali
che smaniano per ottenere dei nuovi
bottoni per la loro uniforme, in modo
da sostituire quelli vecchi. Un tempo
alcuni elementi della divisa dei soldati
di Marina, come i bottoni, avevano un
preciso significato gerarchico. Poter
cambiare i bottoni da neri, ad argentati,
a dorati, equivaleva a un passaggio di
grado, spesso fortemente desiderato, ed
era motivo di orgoglio poterli ostentare
nelle occasioni pubbliche, quali la
messa domenicale. In mezzo a queste
cose accadono tanti fatti buffi, che
divertiranno sicuramente il pubblico”.
di Rossana Poletti
VITALIANOTREVISAN,
«UNANOTTEINTUNISIA»
FORSE NON FU UNA
STAGIONE DI PULIZIA
MA SEMPLICEMENTE
UN PROGETTO DI MERA
SOSTITUZIONE
Q
uesta è la quarta regia di Giorgio
Amodeo per la compagnia di
prosa in lingua italiana. In realtà
– come ci ha spiegato lo stesso regista – il
progetto di portare in scena un testo di
Carpinteri & Faraguna per il Dramma
Italiano esisteva da diverso tempo. E
con lo slittamento della produzione di
‘Danubio’, ispirato all’omonimo libro di
Claudio Magris, si è creato il momento
adatto per l’allestimento. Attualmente
impegnato a Fiume per le prove, abbiamo
colto l’occasione di raggiungerlo per
porgli alcune domande legate alla nuova
produzione. Ecco cosa ci ha raccontato.
3
TRIESTE - POLITEAMA ROSSETTI
C
ome mai Vitaliano Trevisan
concepisce l’idea di mettere in
scena una delle ultime notti di
Craxi in esilio ad Hammamet? Prima
di capire perché lo scrittore lo faccia,
vale la pena sapere chi egli sia. Trevisan
è uno degli scrittori che si stanno
maggiormente affermando sulla scena
italiana e in campo teatrale è un grande
riferimento per il Teatro Stabile del
Veneto. In particolare per Alessandro
Gassmann, che ha appena allestito una
sua rivisitazione originale e straordinaria
del Riccardo III di Shakespeare.
Vicentino, raggiunge il successo nel
2002 con il romanzo I quindicimila passi,
apprezzato dalla critica, che racchiude i
pensieri di un uomo, Thomas, dalle mille
fobie e dai meccanici comportamenti
ossessivo-compulsivi. Il libro ha ricevuto
il Premio Lo Straniero e il premio
Campiello Francia 2008. Trevisan è
poi co-sceneggiatore del film Primo
amore di Matteo Garrone, scrive
inoltre per la televisione, continua
a pubblicare libri e testi teatrali,
sempre di successo. Tornando alla
domanda che ci siamo posti all’inizio
Trevisan afferma che “l’idea nasce
nel 2004, dalla lettura del libro di
Bobo Craxi e Gianni Pennacchi,
Route El Fawara, Hammamet: una
serie di ricordi di Bobo sul periodo
di Hammamet. Poi ho cominciato a
informarmi, soprattutto attraverso
gli ultimi discorsi di Craxi; ma non
ho indagato tantissimo. Ho visto in
Craxi un personaggio shakespeariano,
tragico per eccellenza: un uomo di
grandissimo potere nel momento in
cui ogni potere gli viene meno; un
uomo in decadenza e in malattia. Poi
ho letto Garibaldi, una fonte a cui
Craxi ha sempre attinto, e ho scoperto
che lo Stato paragonato da Craxi a
un corpo colpito dal tumore non è
diverso da quello unitario, allora in
formazione, che Garibaldi descrive.
La commistione dello stato italiano
con delle parti oscure precede la sua
formazione; il suo patto o i suoi patti
scellerati sono stati fatti a monte”.
Sono trascorsi più di vent’anni dalla
stagione di Mani Pulite, che travolse la
classe politica italiana, consegnando
il Paese a un manipolo di apprendisti
stregoni. Ci si è domandato spesso
in questi anni se i risvolti di quella
vicenda fossero stati compresi nelle
loro complessità dal popolo italiano,
non magari quello delle monetine
gettate davanti all’hotel Raphael,
ma almeno da quello pensante che
legge, si informa, va a teatro, cerca di
approfondire. Gli applausi che hanno
accolto la straordinaria interpretazione
di Alessandro Haber, nei panni appunto
del signor X, ci fanno pensare che si sia
largamente capito come tutta quella
stagione fosse drogata al fondo da
intrighi, trame per il potere, e non per
la prima volta nel paese, come stragi
e attentati precedenti dimostrano. Si
è intuito forse che la stagione di Mani
Pulite non fu avviata per un bisogno di
pulizia nel paese, ma che ci fu chi tirò i
fili di un “progetto” per mandare a casa
una parte dell’allora classe dirigente,
sostituirla tout court e continuare nelle
manovre di palazzo, come e anche
peggio di prima, come le cronache
quotidiane ci rimandano. “Sono
d’accordo con Craxi – dice Vitaliano
Trevisan - nel pensare che la metastasi
del sistema italiano riguardasse
l’intero arco costituzionale e che
si dovesse cercare di risolverla in
modo politico. La politica di per sé
ha sempre zone di penombra, che in
Italia sono zone di fitta ombra; ma
in questo si riflette, come sappiamo
da Machiavelli in poi, il carattere di
una nazione in cui anche i rapporti
sociali non sono limpidi ma oscuri e
clientelari: è normale che si traducano
in comportamenti politici di un certo
tipo. La via giudiziaria può risolvere
un problema particolare, non il
problema generale”. Ed è questo che
emerge nel pensiero del Signor X, non
un pensiero livido di rancore, ma la
lucida analisi di un paese che non vuole
sentire, non vuole capire, un paese
immerso nella più profonda ipocrisia.
Craxi andò in Parlamento e denunciò
il sistema, si oppose a molti dictat dei
potenti del mondo durante la sua era,
dimostrò spavaldamente che l’Italia
aveva una sua possibilità di pensare e di
agire. “Ma la politica costa” – dice Haber
in scena - e per sostenere quei costi Craxi
aumentò a dismisura il “finanziamento
non pubblico” dei partiti, trascinando
il sistema nel baratro, diciamo noi.
“L’Italia non è cambiata dai tempi della
commedia dell’arte, non ci sono più
gli uomini e nemmeno le donne, sono
rimaste solo le maschere” è sempre Craxi
che parla con la voce di Haber. Ed è
una dolente riflessione sul presente, che
sembra essere tale sempre.
Queste sono poche e troppo semplici
premesse che avrebbero bisogno di
ben più ampiezza di approfondimento
e analisi. Ma non possiamo non
concordare con quanto Trevisan
afferma su Tangentopoli quando
dice: “Craxi è per me un ricordo
abbastanza vivo come tutta la fase
di Tangentopoli, che secondo me
non ha risolto nulla. Il fatto è che,
adesso come allora, ci si concentra
sul criminale ma non si smantella
il sistema, anzi. Bisogna fare delle
leggi nuove, perché si è trovato
il modo di bypassare le altre.
Comunque restando a Craxi, che
è morto effettivamente di tumore,
mi sono accorto che il suo celebre
ultimo discorso alla Camera prima di
fuggire, di fatto, paragonava lo Stato
italiano a un malato in cancrena
dove era rischioso operare. Craxi
incarnava in sé quella crisi, anche
perché poi si è prestato a fare il
capro espiatorio andandosene, come
se avesse scritto lui la sua fine. Il che
dal punto di vista del personaggio lo
alza, perché lo toglie dalle indagini
normali e banali che si fanno a
teatro di solito. Una questione
credo di orgoglio, dunque umana e
interessante”.
Lo spettacolo teatrale, prodotto dal
Teatro Franco Parenti, racconta di una
Tunisia appartenente ad un vecchio
mondo, una tenda grezza, a ricordare
il deserto dei beduini, un mare sullo
sfondo che rimanda la vivezza dei ricordi
e lo sguardo su un futuro impossibile. Il
signor X è gravemente ammalato ed è
stato abbandonato da tutti. Sono con lui
la moglie, l’inseparabile Cecchin, autista,
segretario, cameriere e, ospite inatteso,
suo fratello arrivato dall’India, dove
lavora con Gino Strada. Un medico,
venuto a verificare le cartelle cliniche dei
medici tunisini, non lascia speranze sulla
prognosi di X. Il malato è insofferente
verso tutto e tutti. Scrive memorie e
nel farlo porta a galla i fatti della sua
recente storia. Potrebbe tornare in
Italia per curarsi, come vuole la moglie,
vestendo i panni del fratello. Ma…
Lo spettacolo sicuramente non trova
tutti concordi, chi vorrebbe ancora
assegnare all’operazione Mani Pulite un
valore assoluto, a molti della politica
che hanno vivacchiato nella Seconda
Repubblica e senza Tangentopoli non
sarebbero esistiti, a quanti credono Craxi
un eroe e non lo è di certo. A questo
proposito Vitaliano Trevisan ricorda che
“nell’ambiente dello spettacolo erano
tutti molto impauriti dalle reazioni
dell’”area socialista”: il testo non è
un’apologia; ma è critico perché il
personaggio è autocritico. Aspettative
sullo spettacolo non ne ho: è già
molto che arrivi in scena un testo
scritto da un drammaturgo vivente
che non appartiene alla drammaturgia
contemporanea”.
Andrée Ruth Shammah dirige lo
spettacolo contenendo e convogliando
l’esuberante energia di Alessandro Haber,
consentendogli una interpretazione
perfetta. Ben spalleggiato dalle presenze
di Maria Ariis, Pietro Micci e Roberto
Trifirò.
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del popolo
del popolo
martedì, 6 maggio 2014
LA RECENSIONE...
di Rossana Poletti
BALLATADIUOMINIECANI
TRIESTE - POLITEAMA ROSSETTI
“G
li uomini impazziscono in
gruppo e poi rinsaviscono
uno alla volta”: è questa
l’immagine sintetica di una vicenda, la
corsa all’oro nel Klondike e siamo nel
1896, che Marco Paolini trasmette nel suo
spettacolo “Ballata di uomini e cani”. In
quel tempo la miseria era talmente tanta
e il desiderio di far fortuna altrettanto
grande, che la sola speranza muoveva
migliaia di persone lungo rotte spaventose
come quelle che ruotavano attorno al
famoso fiume canadese ai confini con
l’Alaska: terre inospitali, invivibili, che
inghiottivano persone impreparate ed
incapaci di affrontare climi e situazioni
simili. E ancorché avessero trovato l’oro,
prima che questo potesse diventare un
capitale ce ne sarebbe voluto. Tutto
diventava indispensabile e costoso in
quei posti, tanto che vien da pensare che
probabilmente i pochi che si arricchirono
furono proprio coloro che gestivano
i servizi, se si esclude come al soliti i
detentori del potere, delle concessioni, dei
terreni. “Io sono il cane”, dirà Paolini in
chiusura di spettacolo, ma quale? Quello
della sua prima storia, quello furbo e
approfittatore o quello che, abusato dal
suo padrone, si vendicherà? Narra di
come i cani da tiro, quando vengono
attaccati ad una slitta vadano in orgasmo,
non vedano l’ora di scattare e affrontare
quelle
sterminate piane bianche di neve e
ghiaccio con l’uomo dietro ritto sulla
slitta che li guida. E intanto l’accompagna
una band straordinaria, capace di suoni
magici, evocativi: Lorenzo Monguzzi, voce
e chitarra, di lui sono anche le musiche,
Angelo Baselli al clarinetto e Gianluca
Casadei alla fisarmonica. Suoneranno
senza fermarsi mai durante tutto lo
spettacolo.
Nel primo racconto appare un tipetto
niente male, un cane che non voleva
saperne di lavorare, non voleva fare
assolutamente niente, la sua unica
occupazione era mangiare, mangiare
e ancora mangiare. I due uomini, soci
nell’impresa della corsa all’oro, che
l’avevano incautamente acquistato,
cercarono di disfarsene, ma lui
imperterrito tornava a casa con un
senso dell’orientamento spaventoso.
Quell’anno, era appunto il 1896, ne
venne fuori un business dalla vendita
dell’animale, perché in un solo inverno
fu ceduto qualche decina di volte. Non
se ne libereranno mai, neanche quando
dopo una lunga stagione in quell’inferno
di ghiaccio torneranno a casa con qualche
soldo, ma con quell’affamato e pigro cane
attaccato alle calcagna.
Paolini racconta di quelle sterminate
distese di niente, di Dawson City,
l’unica città in un raggio di centinaia
di chilometri, narra vicende che Jack
London affrontò nel suo Zanna bianca
e Il richiamo della foresta. E con queste
desolanti descrizioni arriva alla storia
di Bastardo, un cagnolino alquanto
brutto, il peggiore della cucciolata,
acquistato proprio perché orribile,
come se il suo aspetto fosse
un incitamento alla violenza.
Leclère è l’uomo che diventò suo
padrone. Un uomo malvagio,
indescrivibilmente cattivo.
Bastardo venne umiliato in
tutta la sua esistenza fino al
giorno in cui il cane aggredì
alla gola l’uomo approfittando
della sua disattenzione. Dalla
lotta uscirono entrambi gravemente
feriti, entrambi guarirono, in attesa dello
scontro definitivo, che non avvenne mai
perché l’uomo finì impiccato.
Ed è sempre il cane a sopravvivere
anche nella terza storia. Siamo lungo
il percorso del fiume, lungo il quale
scorrono i tronchi degli alberi che tagliati
più a monte arrivano a valle per essere
lavorati e spediti ad altre destinazioni.
Per trattare la vendita del legname un
tale è in città. Ha concluso i suoi affari e
vuole tornare alla segheria che sta trenta
chilometri più su. Gli sconsigliano di
farlo la temperatura è a meno sessanta,
basta un niente per lasciarci le penne. Ed
è proprio un niente che accade in quel
percorso. Un piede che tocca l’acqua e
si bagna, un fuoco acceso sotto i rami di
un albero che fa cadere la neve dal ramo
spegnendo il fuoco, il gelo che avanza e
con esso la morte dell’uomo. Nella testa
del cane si saranno sicuramente affollate
mille domande, perché quell’uomo abbia
fatto quei terribili imperdonabili errori,
perché abbiano affrontato quel viaggio
sconsiderato senza neanche
conoscere bene il percorso,
ma ormai è troppo
tardi, un’altra vita è
stata inghiottita
dalla neve e
al cane non
rimane che
andarsene
tutto
solo.
I
cani sono una metafora di questa
umanità, capace di gesti disumani e
sovrumani per una ricchezza effimera,
quella ricchezza che invece è in mano
di pochi che ordiscono i fili del potere
per arricchirsi ancor di più. E’ una storia
eterna, cambiano epoche, tipologie,
situazioni, ma la morale è sempre quella.
Anche oggi infatti pochi si arricchiscono
smisuratamente e la crisi miete sempre
maggior povertà in una larga fascia di
popolazione. Una lotta impari, come
quella degli uomini e dei loro cani alla
ricerca di un oro che arricchirà pochi,
lasciando morti o stremati troppi uomini,
vittime di un’ingiustizia di fondo che i
cani hanno capito da sempre. Che sia
questo il motivo per cui Paolini preferisce
essere il cane dei suoi racconti?
la Voce
palcoscenico
del popolo
martedì, 6 maggio 2014
5
FILUMENAMARTURANO
D
ifficile e scricchiolante la condizione
di Filumena Marturano: la signora
ormai in età, è da 25 anni la
mantenuta di Domenico Soriano, detto
Mimì, un ricco pasticcere e cliente di
vecchia data. Sì, Filumena è stata una
prostituta. Ma in casa Soriano ha vissuto
più o meno come se fosse la moglie
dell’irrequieto don Mimì. Vorrebbe
farsi sposare, vorrebbe cambiare Mimì,
ma le cose non vanno quasi mai come
si vorrebbe. Si finge malata al punto
da essere lì lì per rendere l’anima a
Dio. Sarà creduta dal medico, dal
sacerdote, e anche da Domenico,
che, convinto che per cambiare
la condizione anagrafica da
scapolo ad ammogliato a
vedovo non gli servirà fin
troppo tempo. Filumena
diventa quindi la signora
Soriano, ma, scoperto
l’inganno, Domenico
smuoverà mari e monti
per liberarsi di quel legame. E l’avvocato
spiega che il matrimonio valido comunque
non è, in quanto poggia sull’inganno.
Filumena butterà sul fuoco della gioia
di Mimì l’acqua della sua vita, la storia
dell’infanzia trascorsa nel Vicolo San
Liborio. E gli dirà soprattutto di avere tre
figli, fatti crescere con il denaro sottratto
a lui (piccole somme), figli che non sanno
chi lei sia. Ma non basta: uno di loro è
figlio
di Domenico Soriano
(“Mimì, uno è figlio a
tua”). L’esperienza della
falsa malattia insegna:
come si fa a credere
ora alla donna?
Ma Filumena gli
ricorda una
notte di vero
amore, che
l’uomo non ha
capito e che ha
pagato. La
prova:
Filumena ha una banconota di quella
notte lontana, sulla quale ha scritto la data
del concepimento; ne dà metà all’uomo,
ovviamente non quella datata, perché “…
i figli non si pagano“. Per la donna sembra
giunta l’ora di dire ai ragazzi chi lei sia.
Mimì ci sta, anche perché vuole trovare
“suo” figlio. Richiesta inutile: una madre
non sacrificherà nessun figlio, e certo Mimì
avrebbe occhi solo per il suo. Domenico
vuole essere padre? Lo sia di tutti. Saranno
nozze per davvero, tra Filumena e Mimì,
con tre ragazzi che lo chiamano “papà”.
Una famiglia, quindi, ma una famiglia
tardiva, alla quale è negato il sapore di
quello che una famiglia sa dare, anche le
preoccupazioni, se è per quello. “Figlie
so chille che se teneno mbraccia quando
so’ piccirille, ca te danno preoccupazione
quanno stanno malate e nun te sanno
dicere che se senteno... che te corrono
incontro cu’ e
braccelle
aperte
dicenno ‘Papà’ ... Chille ca’ è vvide venì
d’a scola cu’ ‘e manelle fredde e ‘o nasillo
russo e te cercano”
Perché ricordiamo Filumena Marturano?
L’ha messa in scena, al Teatro cittadino
polese, il Teatro nazionale croato di
Varaždin. Le parti affidate a Jagoda Kralj
Novak, Darko Plovanić, Anica Kovačević,
Slavica Jukić, Otokar Levaj; firma la regia
Samo M. Strelec.
”Filumena Marturano”, messa in scena
per la prima volta a Napoli nel 1946
è certamente una delle più conosciute
commedie di Eduardo de Filippo, scritta
originariamente per la sorella Titina. Ma
non è solo commedia; è una fusione di vari
generi, dramma e melodramma, attraverso
i quali De Filippo tratta il tema che gli
stava più a cuore, la famiglia e la sua
disgregazione, la crisi.
La prima versione cinematografica vede
appunto Eduardo e Titina nei panni di
Mimì e Filumena. Ma l’elenco di grandi
attrici che hanno dato anima e cuore
a Filumena è di tutto rispetto: Pupella
Maggio, Valeria Moriconi, Sofia Loren,
Mariangela Melato, Joan Plowright.
Importanti anche i registi, a cominciare,
ovviamente, dallo stesso De Filippo:
Vittorio de Sica, Franco Zeffirelli, Massimo
Ranieri, Laurence Olivier.
Nulla da eccepire alla messinscena del
teatro di Varaždin: e le interpretazioni
di Jagoda Kralj Novak e Stojan Matavulj
indubbiamente reggono. Gli applausi di
un teatro pieno non sono mancati.
Toccanti i monologhi, mordaci le
battute tra i due. Ma ad aver
visto Eduardo e Titina, o
la Loren e Mastroianni,
beh, non c’è paragone.
Cierre
6
palcoscenico
martedì, 6 maggio 2014
ANNIVERSARI...
la Voce
del popolo
di Cierre
AMLETO,DALGLOBEAL...GLOBO
I
l 23 aprile di 450 anni fa nasceva
William Shakespeare. Il “suo” teatro,
lo “Shakespeare’s Globe Theatre”
festeggerà l’accadimento con una
tournée lunga due anni. Mettendo in
scena “Amleto”. Due anni in giro per il
mondo per una tournée intitolata “Globe
to globe”, quindi dal Globe-teatro al
globo-mondo, toccando tutti i Paesi.
Un’avventura teatrale senza precedenti,
condotta dal direttore artistico del
Globe, Dominic Dromgoole.
La piccola compagnia – 12 attori di
Gran Bretagna, Nigeria, Hong Kong e
Nuova Zelanda – sarà nelle piazze e
nei maggiori teatri, raggiunti per terra,
per cielo e per mare. Perché un tour
mondiale?
“Nel 1608, appena otto anni dopo essere
stato scritto, l’Amleto venne messo in
scena su una battello, il “Red Dragon”, al
largo delle coste dello Yemen. Dieci anni
più tardi andò in tutto il Nord Europa.
Del resto lo spirito del movimento, del
raccontare storie a gente nuova, era
immanente dell’opera shakespeariana.
Non potremmo essere più felici di così
per la possibilità di far vivere questa
missione. In treno, autobus, aereo e
navi vogliamo portare questa bellissima
pièce, icona dei titoli teatrali, a quante
più orecchie sarà possibile.”, così ha
detto del progetto Dominic Dromgoole,
Ecco invece quello che ha detto Peter
Brook, direttore del teatro: “Le sei
parole più semplici della lingua inglese
sono ‘to be or not to be’ (essere o non
essere; n.d.a.). Difficilmente si potrebbe
trovare un angolo di mondo dove queste
parole non siano state tradotte. Anche
in Inghilterra, quanti non parlano
bene la lingua al sentirle rispondono
‘Shakespeare!’ Amleto è certamente
la pièce più vista e più... capita. Tutti,
vecchi e giovani, oggi si riconoscono
immediatamente con i personaggi, le
loro pene, i loro dubbi. Portare l’Amleto
nella lingua originale intorno al mondo
è un progetto importante e dinamico.
Sarà un viaggio di conoscenza e di
scoperta”.
Amleto, il principe di Danimarca, avrà
quindi il passaporto pieno di timbri. Per
gli attori la sfida è di quelle superlative,
faticose oltre il solito. Naeem Hayat,
che veste i sofferti panni di Amleto,
specifica: “Dovremo recitare ogni volta
di fronte a un pubblico diverso e in
diversi contesti, grandi teatri, piccoli
mercati, piazze, spiagge... Credo che la
vera sfida sia fare che ogni volta sia una
nuova scoperta, la scoperta di raccontare
la storia”.
“Il fascino perdurante di Shakespeare
- ha detto invece Tamsin Palmer,
produttore associato dello spettacolo
- si basa su due aspetti: da un lato è
davvero semplice e parla di personaggi
e situazioni che siamo in grado di
riconoscere. D’altra parte c’è sempre una
componente di mistero, che stimola le
persone a saperne di più su di lui e sulle
sue storie.”
La tournée è iniziata in Gran Bretagna; il
29 aprile Amleto ha lasciato l’Inghilterra
per mettere piede sul continente (il
primo passo ad Amsterdam). L’ultima
rappresentazione si avrà nel 2016, in
Danimarca (e dove se no?), nel castello
di Kronborg (Elsinore).
Essere o non essere
C’
è qualcosa di marcio in Danimarca.
Il padre di Amleto, Re di Danimarca, è morto
da due mesi; la madre - Regina Geltrude -, ha
spostato il cognato Claudio, che è quindi diventato Re.
Sulle mura del castello di Elsinore, di notte si aggira
un fantasma, che assomiglia al vecchio Re. È apparso
alle sentinelle a guardia del Castello in caso di attacco
da parte di Fortebraccio, Principe di Norvegia. Orazio,
amico di Amleto, dopo aver visto lo spettro, informa il
Principe e si accordano per incontrarsi di notte nella
speranza di vedere il Fantasma; così sarà. Il Fantasma
conferma ad Amleto di essere stato ucciso da Claudio,
che gli ha versato un veleno nelle orecchie mentre
egli dormiva nel frutteto e chiede al figlio di punire
l’assassino, ma lasciare al cielo la punizione della
madre.
Amleto si finge pazzo, così da portare avanti più
facilmente il suo piano.
Una compagnia di attori metterà in scena “La morte di
Gonzago”, con la trama simile alla storia raccontatagli
dal Fantasma. Dalla reazione del Re si capirà la sua
colpa. Infatti, Claudio, alla scena dell’assassinio esce
di sala. Amleto raggiunge le stanze della madre per
una chiarificazione e durante la discussione uccide
accidentalmente Polonio, consigliere del Re e padre
della sua fidanzata, Ofelia, nascosto dietro una tenda
ad ascoltare. Dopo questo gravissimo fatto, Claudio
decide di mandare Amleto in Inghilterra per liberarsi
di lui. Mettendo di mezzo prima la distanza, ma poi
provvede anche ad assoldare due sicari per ucciderlo:
il Principe riesce a scappare e a tornare a casa. Ofelia
nel frattempo, impazzita, si suicida.
Suo fratello Laerte, per vendicarla,
ha accettato il duello che Claudio ha
organizzato tra lui e Amleto.
Il Re prepara una coppa avvelenata
per Amleto, ma a bere è la Regina.
Laerte ferisce Amleto con la punta
avvelenata della sua spada, ma
le spade vengono scambiate
erroneamente e Laerte viene ferito
dalla sua stessa spada.
La Regina muore; Laerte smaschera i
piani del Re, accoltellato da Amleto,
e poi muore. Amleto chiede all’amico
Orazio di raccontare la verità sulla
tragica vicenda e raccomanda che
Fortebraccio sia proclamato Re, poi
muore.
Fortebraccio conquista il regno, e si
inchinerà, con tutti gli onori militari
alla salma di Amleto.
Ecco, proprio stringatamente, le
vicende. Un’analisi approfondita
direbbe della confusione del
Principe, scosso dalla morte
violenta del padre, dal tradimento della madre e
dello zio. Direbbe del suo difficile rapporto verso il
femminile, tanto da respingere la povera Ofelia. In
lui cresce il dubbio su quello che deve essere il suo
comportamento, ostaggio, in un certo qual senso,
tra il padre morto e la sua richiesta di vendetta...
“Essere o non
essere. questo è il dilemma: se sia più nobile
nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi
dell’oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un
mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine.” Se e
ce lo chiede Amleto.
palcoscenico
la Voce
del popolo
A PROPOSITO DI... martedì, 6 maggio 2014
7
di Emanuela Masseria
N
terabile, il crudele
La freddezza inal
tta finiscono per
piacere della vende
sdegno; tanto che
muovere il nostro
ito servo, l’insulso
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o
(J
Gl’innamorati non vivo
no del rapporto
dei due protagonisti co
n l’ambiente e
i personaggi che li circo
ndano, come
accade alle altre opere
goldoniane. Tutta
l’azione si svolge all’int
erno di loro
stessi, del loro modo di
amarsi e insieme
di ferirsi, di lasciarsi e
di perdersi. Mai
prima di questa commed
ia, neppure
in un capolavoro assolu
to come La
locandiera, Goldoni avev
a indagato
con tanta acutezza sulla
passione
amorosa, senza per ques
to rinunciare
minimamente agli aspe
tti comici o
umoristici che scaturisc
ono anche dagli
amori più travagliati e
più inquietanti.
(Giovanni Antonucc
i)
l libro, ma poco
“Il mondo è un be
sa leggere”.
serve a chi non lo
)
(da La Pamela
asce a Venezia, il 25 febbraio del
1907, una figura che fece del
dialetto veneto una delle colonne
portanti del suo teatro. Carlo Osvaldo
Goldoni fu uno dei padri della più grande
commedia moderna. Nello stesso tempo,
ebbe una vita movimentata e vivace e si
distinse anche come scrittore, librettista
e avvocato. Come spesso accade a tanti
uomini illustri, morì in miseria. La
sua opera è considerata riformatrice,
caratterizzata da una giocosa fantasia
e da un sicuro istinto teatrale. Ma nella
sua arte si riflettono anche gli echi della
profonda crisi che travagliava la società
settecentesca, con le consuetudini e i
contrasti tra le diverse classi sociali,
nonostante le burle e i divertimenti.
L’autore scrisse più di 200 tra commedie,
tragedie, tragicommedie, intermezzi,
melodrammi, musicati da Galuppi,
Piccinni, Paisiello, Mozart, Haydn,
Sacchini e altri. Importanti però sono
anche i suoi Mémoires, che cominciò a
scrivere nel 1784 e compì e pubblicò nel
1787, considerato uno dei più piacevoli
libri del secolo 18°.
Goldoni vide la luce nel palazzo dei
Centani a S. Tomà, da Giulio e da
Margherita Savioni. La sua infanzia si
divise tra la madre che dimora a Venezia
e il padre che a causa degli impegni di
lavoro è costretto a trascorrere molto
tempo lontano. Dal nonno (nella cui
casa molto spesso si rappresentavano
melodrammi e commedie o si esibivano
rinomati musicisti) e dal padre, Carlo
eredita la passione per il teatro, un
umore gaio e socievole e una certa
propensione a spendere. Il giovane
Goldoni è appassionato di teatro fin
da piccolo. Inizia con i burattini, in un
teatrino fatto costruire apposta dal padre
in una loggia della casa. Qui venivano
quindi improvvisate le prime commediole.
Nel 1712 muore il nonno, lasciando
molti debiti e una precaria situazione
economica. La presenza della madre
funge da elemento equilibratore nella vita
diventata difficile del piccolo Carlo, che
ad imitazione delle letture del Cicognini
a nove anni scrive una commedia per
intero. Nel 1719 segue il padre, medico, a
Genova, s’innamorò di Nicoletta Connio,
giovane figlia di un notaio, che sposa: fu
un matrimonio felice, anche se senza figli.
ere consiste in
“Tutto il mio piac
gheggiata,
vedermi servita, va
la mia
adorata. Questa è
ta è la debolezza
debolezza, e ques
nne.[…] Voglio
di quasi tutte le do
caricature di
burlarmi di tante
e voglio usar
amanti spasimati;
cere, abbattere
tutta l’arte per vin
ei cuori barbari
e conquassare qu
ici di noi, che
e duri che son nem
cosa che abbia
siamo la miglior
la bella madre
prodotto al mondo
natura”.
(Mirandolina,
ra, atto
da La locandie
primo)
non
izio che io
v
n
u
è
La gola i, ed è quel viz
a
più
finisce m sempre quanto
ce
che cres ecchia.
nv
bottega
l’uomo i
(da La caffè)
del
Al 1743 appartengono il dramma giocoso
La contessina, e La donna di garbo, la
prima commedia che scrisse interamente,
nella quale, sono ancora vivi gli artifici
della commedia dell’arte, con la figura
della protagonista caratterizzata da una
certa umana vitalità.
Tra il 1748 e il 1753 l’autore diede vita
ad alcune delle sue più note e felici
commedie (Il cavaliere e la dama, La
famiglia dell’antiquario, Le femmine
puntigliose, La bottega del caffè, Il
bugiardo, I pettegolezzi delle donne,
La moglie saggia, Le donne gelose, Le
donne curiose, La serva amorosa, La
locandiera). Al 1750 risale la ben nota
promessa, poi mantenuta, di scrivere in
un anno sedici commedie nuove. Ogni
carnevale Goldoni portava inoltre sul
palcoscenico una commedia veneziana. E
in quel mondo pittoresco dei gondolieri,
delle lavandaie, dei “paroni di tartana”,
delle “massère” (serve di casa), delle
rivendugliole, delle “rampignone”
(donne che risparmiano), dei merciai,
si dispiega sovrana la sua arte. Ormai
la gloria di Goldoni era assicurata:
le edizioni delle sue commedie si
esaurivano rapidamente; si cominciava
a tradurlo e recitarlo anche all’estero;
riconoscimenti gli venivano da principi
e letterati italiani. Ma non erano cessate
per lui anche le invidie, le lotte e le
amarezze. Decise di lasciare Venezia
nell’aprile del 1762 per Parigi, dove
era stato chiamato per sollevare con
nuove produzioni le sorti del teatro
della Comédie-Italienne, che andava
decadendo. Ma anche lì dovette lottare
con i comici che non volevano imparare
le commedie scritte e col pubblico
affezionato al gioco buffonesco delle
maschere. Liberatosi da questo impegno,
Goldoni ottenne l’incarico di insegnante
di lingua italiana della figlia di Luigi
XV, e poi delle sorelle di Luigi XVI. Ne
ricavò una modesta pensione. Nel 1771
fece recitare alla Comédie-Française Le
bourru bienfaisant, un notevolissimo
successo. Ma soffriva di vari acciacchi,
era quasi cieco, e la pensione appena gli
bastava. E anche questa gli fu tolta nel
1792. Ammalatosi, morì nella miseria.
Solo il giorno dopo la sua morte un
decreto gli restituiva, troppo tardi, la
pensione. Le sue ossa andarono disperse.
“Ella pure nel nostro Veneto
idioma; ma colla scelta delle
parole, e colla robustezza de
i
sentimenti, ha fatto conosce
re
che la lingua nostra è capace
di
tutta la forza e di tutte le gra
zie
dell’arte oratoria e poetica,
e
che usata anch’essa da mano
maestra, non ha che invidiar
e
alla più elegante Toscana. Ell
a
aveva ciò dimostrato altre vo
lte
in varie pubbliche azioni, ne
lle
quali vuole il sistema di quest
a
ben regolata Repubblica ven
eta
che del proprio nativo idiom
a
gli Oratori si valgano, e la di
Lei naturale facondia, unita
al chiarissimo suo talento,
ed allo studio incessante di
cui si compiace, rende l’E. V.
ammirabile nell’età verde in
cui si ritrova, e fa sperare in
Lei coll’andar degli anni un
benemerito cittadino di quest
a
Patria gloriosa.”
(Carlo Goldoni,
presentazione de Le
massere, 1755)
8
palcoscenico
martedì, 6 maggio 2014
CARNET PALCOSCENICO
la Voce
del popolo
di Carla Rotta e Daniela R. Stoiljković
CROAZIA
ITALIA
FIUME
TRIESTE
Teatro Nazionale Ivan de Zajc
Polietama Rossetti
• 8 maggio ore 12; 10 e 12 maggio ore 19.30
Eventi speciali
Ero, il fidanzato caduto dal cielo di Jakov Gotovac.
Regia Krešimir Dolenčić. Interpreti Ivica Čikeš, Siniša Štork,
Nelli Manuilenko, Anđelka Rušin, Valentina Fijačko, Vedrana
Altri percorsi
• 13, 14, 15 e 16 maggio ore 21
L’onda dell’incrociatore dal romanzo di Pier antonio
Quarantotti Gambini. Regia Maurizio Zacchigna. Interpreti Elke
Burul, Roberta Colacino, Adriano Giraldi, Maria Grazia Plos,
Paola Saitta, Maurizio Zacchigna, Lorenzo Zuffi
• 20 e 21 maggio ore 20.30
50 sfumature di Pintus Interprete Angelo Pintus
• 15 maggio ore 12;16 maggio ore 19.30
Il violinista sul tetto di J. Bock. Regia Ozren Prohić.
Interpreti Bojan Šober, Olivera Baljak, Andreja Blagojević,
Leonora Surian, Vivien Galletta, Elena Brumini, Miriam Monica,
Arija Rizvić, Lara Grdinić, Biljana Torić, Dario Bercich, Saša
Matovina, Voljen Grbac, Nenad Vukelić, Anton T. Plešić, Marijan
Padavić, Zdenko Botić, Mensur Puhovac, Anđelka Rušin,
Marijana Prohaska, Bruno Nacinovich, Sergej Kiselev, Dmitri
Andrejčuk, Krunoslav Marić
• 23 e 24 maggio ore 20.30
Oblivion show 2.5 di Davide Calabrese e Lorenzo Scuda.
Regia Gioele Dix. Interpreti gli Oblivion: Graziana Borciani,
Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio
Vagnarelli
Šimić, Ogna Šober, Miljenko Đuran, Damir Fatović, Janez Lotrič,
Mirko Čagljević, Robert Kolar, Marko Fortunato, Marijana Radić,
Antonio Haller, Leonid Antontsev, Oxana Brandiboura, Andrei
Köteles, Irina Köteles, Dmitri Andrejčuk, Anka Popa
• 13, 14 e 15 maggio ore 19.30
Musica § concerti
Shut up and Dance progetto, coreografia e regia Ronald
Savković. Interpreti Paula Rus, Marta Kanazir, Marta Voinea
Čavrak, Sabina Voinea Vukman, Jovana Mirosavljević, Anka
Zgurić, Tanja Tišma, Anna Ponomareva,Tena Ferić Dokmanović,
Shaun McLaughlin, Martin Grainger, Svebor Zgurić, Daniele
Romeo, Ricardo Freire, Leonid Antontsev, Vitalij Klok
Musical & grandi eventi
• 15, 16 e 17 maggio ore 20.30; 17 e 18 maggio ore 16
Thriller live concetto originale e direzione esecutiva di
Adrian Grant. Regia Gary Lloyd
• 21, 22 e 23 maggio ore 19.30; 22 maggio ore 12
I botoni dela montura di Lino Carpinteri e Mariano
Faraguna. Regia Giorgio Amodeo. Interpreti Bruno Nacinovich,
Ivna Bruck, Giuseppe Nicodemo, Elena Brumini, Alicia Delcaro,
Leonora Surian, Neven Stipanov, Toni Plešić, Rosanna Bubola,
Elvia Nacinovich, Lucio Slama
• 26, 27 e 28 maggio ore 19.30
Amerika di F. Kafka. Regia Janusz Kica. Interpreti Živko
Anočić, Nika Mišković, Jelena Lopatić, Hrvoje Klobučar, Davor
Jureško, Siniša Ružić, Dražen Mikulić, Jasmin Mekić, Igor Kovač,
Aleksandra Stojaković, Biljana Torić, Olivera Baljak
POLA
• 15, 16, 17 e 18 maggio ore 20
Thelma e Louise di e regia Dalibor Matanić. Interpreti
Helena Minić, Lana Gojak, Senka Bulić, Janko Volarić Popović,
Rade Radolović
Ljubomir Kerekeš, Dora Lipovčan, Goran Grgić, Zvonimir Zoričić,
Ivo Gregurević, Žarko Potočnjak
• 30 e 31 maggio ore 20
Kolarići collage scenico di e con Elis Lovrić
• 20 maggio ore 20
Tre sorelle di A. P. Čehov. Regia Slobodan Unkovski.
Interpreti Ozren Grabarić, Bojana Gregorić Vejzović, Dijana
Vidušin, Jelena Miholjević, Ivana Roščić, Sven Šestak, Ranko
Zidarić, Hrvoje Klobučar, Živko Anočić, Filip Šovagović, Biserka
Ipša, Ingeborg Appelt, Filip Vidović, Matija Čigir
Teatro lirico «Giuseppe Verdi»
• 23, 26 e 27 maggio 20.30 , 24 e 25 maggio ore 16
Attila di Giuseppe Verdi . Regia Enrico Stinchelli. Interpreti
Enrico Iori, Anna Markarova, Sergio Escobar, Devid Cecconi
• 25 maggio ore 20
Il giardino dei ciliegi di A. P. Čehov. Regia Vito Taufer.
Interpreti Alma Prica, Iva Mihalić, Ana Begić, Milan Pleština,
Dušan Bućan, Franjo Kuhar, Danko Ljuština, Lana Barić,
Teatro «Orazio Bobbio»
• 6 maggio ore 16.30; 7 maggio ore 20.30
Boeing Boeing di Marc Camelotti. Regia Mark Schneider
sulla regia originale di Matthew Warchus. Interpreti Gianluca
Guidi, Gianluca Ramazzotti, Ariella Reggio, Barbara Snellenburg
Marjo Berasategui
la Voce
del popolo
Anno 10 / n. 84 / martedì, 6 maggio 2014
IN PIÙ Supplementi è a cura di Errol Superina
[email protected]
Edizione
Progetto editoriale
Caporedattore responsabile
Errol Superina
PALCOSCENICO
Silvio Forza
Redattore esecutivo
Carla Rotta
Impaginazione
Željka Kovačić
Collaboratori
Rossana Poletti, Emanuela Masseria, Daniela Rotta Stoiljković,
Gianfranco Miksa
SLOVENIA
CAPODISTRIA
Teatro Cittadino
• 13 maggio ore 20
Letture con Patricija Peršolja
• 15, 16, 17 e 21 maggio ore 20
Chi ha paura di Virginia Woolf di Edward Albee.
Regia Vito Taufer.
• 28 maggio ore 20
Parole parole. Non era la quinta, era la nona
di Aldo Nicolaj. Regia Jaka Ivanc. Interpreti Igor Štamulak, Lara
Jankovič, Rok Matek, Davor Herceg, Joži Šalej
• 26 maggio ore 21
Dire Straits legend concetto. Interpreti John Illsley, Phil
Palmer, Mel Collings, Danny Cummings, Steve Ferrone, Marco
Caviglia, Primiano Di Biase
• 30 e 31 maggio ore 21
2cellos concetto. Interpreti Luka Šulić, Stjepan Hauser
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