DRAMMA ITALIANO Le prove della montura la Voce del popolo la Voce del popolo palcoscenico www.edit.hr/lavoce Anno 10 • n. 84 martedì, 6 maggio 2014 UNAUTOREUNTITOLO Una notte in Tunisia, di Vitaliano Trevisan LA RECENSIONE ANNIVERSARI A PROPOSITO DI... Ballata di uomini e cani Filumena Marturano Amleto dal Globe al... globo Carlo Goldoni Nel 450.esimo della nascita di Shakespeare la pièce due anni in giro per i teatri del mondo Vita, aneddoti, curiosità 3 4|5 Una delle ultime notti di Craxi, in esilio a Hammamet 6 CARNETPALCOSCENICO Il cartellone del mese 7 8 Quattro città (Fiume, Pola, Capodistria, Trieste), sei teatri 2 martedì, 6 maggio 2014 DRAMMA ITALIANO... palcoscenico la Voce del popolo di Gianfranco Miksa «IBOTONIDELAMONTURA» Erano altri tempi STORIE DI BODOLI, DALMATI, ISTRIANI... DELL’EPOCA FELIX, TRATTE DALLE «MALDOBRIE» DI LINO CARPINTERI E MARIANO FARAGUNA. REGIA DI GIORGIO AMODEO. FIRMA I COSTUMI MANUELA PALADIN ŠABANOVIĆ (IN PRIMA LE BOZZE) L’ epoca “felix”, ossia “felice” dell’Austria-Ungheria, quando su un grande territorio come quello dell’Impero bicipite vivevano genti differenti per etnia, credo religioso, lingua, usi e costumi. Popoli che vivevano uniti e relativamente in pace sotto la bandiera del commercio, del progresso, del benessere materiale. Ovviamente non si può affermare che questi popoli si amassero alla follia, ma perlomeno si comprendevano a meraviglia in virtù degli affari che dovevano concludere l’uno con l’altro e proprio per questo parlavano un’idioma comune, la lingua “franca” dei traffici, quello splendido istro-veneto marinaro infarcito soprattutto di termini slavi e tedeschi, ma anche francesi, ebraici, greci e di etimologia latina. Insomma, di tutto ciò è rimasta una patina di romantica nostalgia, di eterno rimpianto. Ora questa patina di altri tempi viene evocata al Dramma Italiano del Teatro nazionale croato “Ivan de Zajc” di Fiume con la commedia “I botoni de la montura”, appartenente al magico mondo delle celeberrime “Maldobrìe” di Lino Carpinteri e Mariano Faraguna. È una commedia in dialetto istroveneto, adattata per l’occasione da Giorgio Amodeo che ne cura pure l’aspetto registico. Attore e regista triestino, esperto di teatro per l’infanzia, è conosciuto al pubblico della Comunità nazionale italiana – e non solo, ovviamente – per avere allestito in precedenza le fiabe di “Mille e una notte”, “Bonaventura veterinario per forza” e “Mini & Maxi”; inoltre, lo ricordiamo anche nelle vesti di protagonista delle pièce “Somewhere City”, di Goran Lelas, e dell’applauditissima “Camere da letto”, commedia brillante di Alan Ayckbourn. Questo suo nuovo spettacolo debutterà il 21 maggio allo “Zajc”, dopodiché è prevista a giugno una tournée in Istria. L’adattamento intitolato “I botoni de la montura” vede impegnati in scena gli attori della compagnia di prosa in lingua italiana. Ovvero Bruno Nacinovich, Ivna Bruck, Giuseppe Nicodemo, Elena Brumini, Alida Delcaro, Leonora Surian, Neven Stipanov, Toni Plešić, Rosanna Bubola, Elvia Nacinovich e Lucio Slama. Tutti loro rappresentano una serie di storielle divertenti in cui si raccontano le vicende di “bodoli”, dalmati, istriani vissuti al tempo del vecchio Impero austro-ungarico, quando tutto doveva andare secondo le regole e un certo garbo comune, perché l’Austria era una Paese ordinato. La trama prevede come sempre numerosi personaggi, ognuno indaffarato in propri specifici problemi, dal vecchio Moise che litiga coi parenti e vuole cambiare paese, al prete che vuole elemosine più congrue dai suoi parrocchiani, al podestà tribolato dalla necessità di trovare in tempi brevi una sistemazione più consona al suo municipio, che è momentaneamente ospitato in un’ala della locale scuola elementare. Siamo vicini alla Prima guerra mondiale e il dispotico patriarca ha la felice intuizione di investire tutto il patrimonio familiare nella realizzazione della nave del futuro e battere la concorrenza degli armatori concorrenti... Ma i figli sono contrari. palcoscenico la Voce del popolo Un’idea nata diverso tempo fa CON IL REGISTA GIORGIO AMODEO UNO SCRITTORE UN TITOLO... martedì, 6 maggio 2014 Perché la scelta delle “Maldobrie”? “Perché Carpinteri & Faraguna sono due autori straordinari che rimandano al periodo dell’Austria in cui s’immagina che tutto fosse bello. Ovviamente la realtà era ben diversa, con l’austriaco considerato spesso come l’usurpatore, però nel ricordo nostalgico tutto si colora di rosa e tutto diventa piacevole. In questi racconti parliamo specificamente del nostro territorio con tutta la musicalità dovuta all’istroveneto che era una lingua di comunicazione veicolare”. Quali “Maldobrìe” vedremo in scena? “Sono quattro ‘Maldobrìe’ che abbiamo inserito in modo tale da non far capire dove inizia una storia e dove finisce l’altra. Si tratta de ‘L’avanzamento’, ‘Il testamento del vecio Moise’, ‘Il nuovo testamento’ e ‘Il pezzo del scartazin pei denti’. In realtà questo è un vecchio adattamento degli anni Duemila, che avevo realizzato con il Gruppo Teatrale per il Dialetto. Compagnia con cui difatti c’è la collaborazione anche per quest’allestimento, in quanto è la detentrice dei diritti del copione. Non è uno spettacolo a quadri che spesso caratterizzano le ‘Maldobrìe’, bensì un lavoro unico. Una storia con un inizio e una fine, e al cui interno ci sono tutte le varie vicende”. Qual è la storia? “La vicenda si svolge nel piccolo centro costiero di San Nicolò a Veglia, dove la tranquilla monotonia del paesino isolano viene turbata dall’arrivo inaspettato del vecchio Moise, ricchissimo e collerico proprietario terriero di Lussino, che ha abbandonato improvvisamente, dopo un litigio, i propri parenti per venire a stabilirsi sull’isola. Tra un episodio spassoso e l’altro ritroviamo coppie di sposi e occasioni di matrimonio, ufficiali che smaniano per ottenere dei nuovi bottoni per la loro uniforme, in modo da sostituire quelli vecchi. Un tempo alcuni elementi della divisa dei soldati di Marina, come i bottoni, avevano un preciso significato gerarchico. Poter cambiare i bottoni da neri, ad argentati, a dorati, equivaleva a un passaggio di grado, spesso fortemente desiderato, ed era motivo di orgoglio poterli ostentare nelle occasioni pubbliche, quali la messa domenicale. In mezzo a queste cose accadono tanti fatti buffi, che divertiranno sicuramente il pubblico”. di Rossana Poletti VITALIANOTREVISAN, «UNANOTTEINTUNISIA» FORSE NON FU UNA STAGIONE DI PULIZIA MA SEMPLICEMENTE UN PROGETTO DI MERA SOSTITUZIONE Q uesta è la quarta regia di Giorgio Amodeo per la compagnia di prosa in lingua italiana. In realtà – come ci ha spiegato lo stesso regista – il progetto di portare in scena un testo di Carpinteri & Faraguna per il Dramma Italiano esisteva da diverso tempo. E con lo slittamento della produzione di ‘Danubio’, ispirato all’omonimo libro di Claudio Magris, si è creato il momento adatto per l’allestimento. Attualmente impegnato a Fiume per le prove, abbiamo colto l’occasione di raggiungerlo per porgli alcune domande legate alla nuova produzione. Ecco cosa ci ha raccontato. 3 TRIESTE - POLITEAMA ROSSETTI C ome mai Vitaliano Trevisan concepisce l’idea di mettere in scena una delle ultime notti di Craxi in esilio ad Hammamet? Prima di capire perché lo scrittore lo faccia, vale la pena sapere chi egli sia. Trevisan è uno degli scrittori che si stanno maggiormente affermando sulla scena italiana e in campo teatrale è un grande riferimento per il Teatro Stabile del Veneto. In particolare per Alessandro Gassmann, che ha appena allestito una sua rivisitazione originale e straordinaria del Riccardo III di Shakespeare. Vicentino, raggiunge il successo nel 2002 con il romanzo I quindicimila passi, apprezzato dalla critica, che racchiude i pensieri di un uomo, Thomas, dalle mille fobie e dai meccanici comportamenti ossessivo-compulsivi. Il libro ha ricevuto il Premio Lo Straniero e il premio Campiello Francia 2008. Trevisan è poi co-sceneggiatore del film Primo amore di Matteo Garrone, scrive inoltre per la televisione, continua a pubblicare libri e testi teatrali, sempre di successo. Tornando alla domanda che ci siamo posti all’inizio Trevisan afferma che “l’idea nasce nel 2004, dalla lettura del libro di Bobo Craxi e Gianni Pennacchi, Route El Fawara, Hammamet: una serie di ricordi di Bobo sul periodo di Hammamet. Poi ho cominciato a informarmi, soprattutto attraverso gli ultimi discorsi di Craxi; ma non ho indagato tantissimo. Ho visto in Craxi un personaggio shakespeariano, tragico per eccellenza: un uomo di grandissimo potere nel momento in cui ogni potere gli viene meno; un uomo in decadenza e in malattia. Poi ho letto Garibaldi, una fonte a cui Craxi ha sempre attinto, e ho scoperto che lo Stato paragonato da Craxi a un corpo colpito dal tumore non è diverso da quello unitario, allora in formazione, che Garibaldi descrive. La commistione dello stato italiano con delle parti oscure precede la sua formazione; il suo patto o i suoi patti scellerati sono stati fatti a monte”. Sono trascorsi più di vent’anni dalla stagione di Mani Pulite, che travolse la classe politica italiana, consegnando il Paese a un manipolo di apprendisti stregoni. Ci si è domandato spesso in questi anni se i risvolti di quella vicenda fossero stati compresi nelle loro complessità dal popolo italiano, non magari quello delle monetine gettate davanti all’hotel Raphael, ma almeno da quello pensante che legge, si informa, va a teatro, cerca di approfondire. Gli applausi che hanno accolto la straordinaria interpretazione di Alessandro Haber, nei panni appunto del signor X, ci fanno pensare che si sia largamente capito come tutta quella stagione fosse drogata al fondo da intrighi, trame per il potere, e non per la prima volta nel paese, come stragi e attentati precedenti dimostrano. Si è intuito forse che la stagione di Mani Pulite non fu avviata per un bisogno di pulizia nel paese, ma che ci fu chi tirò i fili di un “progetto” per mandare a casa una parte dell’allora classe dirigente, sostituirla tout court e continuare nelle manovre di palazzo, come e anche peggio di prima, come le cronache quotidiane ci rimandano. “Sono d’accordo con Craxi – dice Vitaliano Trevisan - nel pensare che la metastasi del sistema italiano riguardasse l’intero arco costituzionale e che si dovesse cercare di risolverla in modo politico. La politica di per sé ha sempre zone di penombra, che in Italia sono zone di fitta ombra; ma in questo si riflette, come sappiamo da Machiavelli in poi, il carattere di una nazione in cui anche i rapporti sociali non sono limpidi ma oscuri e clientelari: è normale che si traducano in comportamenti politici di un certo tipo. La via giudiziaria può risolvere un problema particolare, non il problema generale”. Ed è questo che emerge nel pensiero del Signor X, non un pensiero livido di rancore, ma la lucida analisi di un paese che non vuole sentire, non vuole capire, un paese immerso nella più profonda ipocrisia. Craxi andò in Parlamento e denunciò il sistema, si oppose a molti dictat dei potenti del mondo durante la sua era, dimostrò spavaldamente che l’Italia aveva una sua possibilità di pensare e di agire. “Ma la politica costa” – dice Haber in scena - e per sostenere quei costi Craxi aumentò a dismisura il “finanziamento non pubblico” dei partiti, trascinando il sistema nel baratro, diciamo noi. “L’Italia non è cambiata dai tempi della commedia dell’arte, non ci sono più gli uomini e nemmeno le donne, sono rimaste solo le maschere” è sempre Craxi che parla con la voce di Haber. Ed è una dolente riflessione sul presente, che sembra essere tale sempre. Queste sono poche e troppo semplici premesse che avrebbero bisogno di ben più ampiezza di approfondimento e analisi. Ma non possiamo non concordare con quanto Trevisan afferma su Tangentopoli quando dice: “Craxi è per me un ricordo abbastanza vivo come tutta la fase di Tangentopoli, che secondo me non ha risolto nulla. Il fatto è che, adesso come allora, ci si concentra sul criminale ma non si smantella il sistema, anzi. Bisogna fare delle leggi nuove, perché si è trovato il modo di bypassare le altre. Comunque restando a Craxi, che è morto effettivamente di tumore, mi sono accorto che il suo celebre ultimo discorso alla Camera prima di fuggire, di fatto, paragonava lo Stato italiano a un malato in cancrena dove era rischioso operare. Craxi incarnava in sé quella crisi, anche perché poi si è prestato a fare il capro espiatorio andandosene, come se avesse scritto lui la sua fine. Il che dal punto di vista del personaggio lo alza, perché lo toglie dalle indagini normali e banali che si fanno a teatro di solito. Una questione credo di orgoglio, dunque umana e interessante”. Lo spettacolo teatrale, prodotto dal Teatro Franco Parenti, racconta di una Tunisia appartenente ad un vecchio mondo, una tenda grezza, a ricordare il deserto dei beduini, un mare sullo sfondo che rimanda la vivezza dei ricordi e lo sguardo su un futuro impossibile. Il signor X è gravemente ammalato ed è stato abbandonato da tutti. Sono con lui la moglie, l’inseparabile Cecchin, autista, segretario, cameriere e, ospite inatteso, suo fratello arrivato dall’India, dove lavora con Gino Strada. Un medico, venuto a verificare le cartelle cliniche dei medici tunisini, non lascia speranze sulla prognosi di X. Il malato è insofferente verso tutto e tutti. Scrive memorie e nel farlo porta a galla i fatti della sua recente storia. Potrebbe tornare in Italia per curarsi, come vuole la moglie, vestendo i panni del fratello. Ma… Lo spettacolo sicuramente non trova tutti concordi, chi vorrebbe ancora assegnare all’operazione Mani Pulite un valore assoluto, a molti della politica che hanno vivacchiato nella Seconda Repubblica e senza Tangentopoli non sarebbero esistiti, a quanti credono Craxi un eroe e non lo è di certo. A questo proposito Vitaliano Trevisan ricorda che “nell’ambiente dello spettacolo erano tutti molto impauriti dalle reazioni dell’”area socialista”: il testo non è un’apologia; ma è critico perché il personaggio è autocritico. Aspettative sullo spettacolo non ne ho: è già molto che arrivi in scena un testo scritto da un drammaturgo vivente che non appartiene alla drammaturgia contemporanea”. Andrée Ruth Shammah dirige lo spettacolo contenendo e convogliando l’esuberante energia di Alessandro Haber, consentendogli una interpretazione perfetta. Ben spalleggiato dalle presenze di Maria Ariis, Pietro Micci e Roberto Trifirò. 4 lalaVoce Voce del popolo del popolo martedì, 6 maggio 2014 LA RECENSIONE... di Rossana Poletti BALLATADIUOMINIECANI TRIESTE - POLITEAMA ROSSETTI “G li uomini impazziscono in gruppo e poi rinsaviscono uno alla volta”: è questa l’immagine sintetica di una vicenda, la corsa all’oro nel Klondike e siamo nel 1896, che Marco Paolini trasmette nel suo spettacolo “Ballata di uomini e cani”. In quel tempo la miseria era talmente tanta e il desiderio di far fortuna altrettanto grande, che la sola speranza muoveva migliaia di persone lungo rotte spaventose come quelle che ruotavano attorno al famoso fiume canadese ai confini con l’Alaska: terre inospitali, invivibili, che inghiottivano persone impreparate ed incapaci di affrontare climi e situazioni simili. E ancorché avessero trovato l’oro, prima che questo potesse diventare un capitale ce ne sarebbe voluto. Tutto diventava indispensabile e costoso in quei posti, tanto che vien da pensare che probabilmente i pochi che si arricchirono furono proprio coloro che gestivano i servizi, se si esclude come al soliti i detentori del potere, delle concessioni, dei terreni. “Io sono il cane”, dirà Paolini in chiusura di spettacolo, ma quale? Quello della sua prima storia, quello furbo e approfittatore o quello che, abusato dal suo padrone, si vendicherà? Narra di come i cani da tiro, quando vengono attaccati ad una slitta vadano in orgasmo, non vedano l’ora di scattare e affrontare quelle sterminate piane bianche di neve e ghiaccio con l’uomo dietro ritto sulla slitta che li guida. E intanto l’accompagna una band straordinaria, capace di suoni magici, evocativi: Lorenzo Monguzzi, voce e chitarra, di lui sono anche le musiche, Angelo Baselli al clarinetto e Gianluca Casadei alla fisarmonica. Suoneranno senza fermarsi mai durante tutto lo spettacolo. Nel primo racconto appare un tipetto niente male, un cane che non voleva saperne di lavorare, non voleva fare assolutamente niente, la sua unica occupazione era mangiare, mangiare e ancora mangiare. I due uomini, soci nell’impresa della corsa all’oro, che l’avevano incautamente acquistato, cercarono di disfarsene, ma lui imperterrito tornava a casa con un senso dell’orientamento spaventoso. Quell’anno, era appunto il 1896, ne venne fuori un business dalla vendita dell’animale, perché in un solo inverno fu ceduto qualche decina di volte. Non se ne libereranno mai, neanche quando dopo una lunga stagione in quell’inferno di ghiaccio torneranno a casa con qualche soldo, ma con quell’affamato e pigro cane attaccato alle calcagna. Paolini racconta di quelle sterminate distese di niente, di Dawson City, l’unica città in un raggio di centinaia di chilometri, narra vicende che Jack London affrontò nel suo Zanna bianca e Il richiamo della foresta. E con queste desolanti descrizioni arriva alla storia di Bastardo, un cagnolino alquanto brutto, il peggiore della cucciolata, acquistato proprio perché orribile, come se il suo aspetto fosse un incitamento alla violenza. Leclère è l’uomo che diventò suo padrone. Un uomo malvagio, indescrivibilmente cattivo. Bastardo venne umiliato in tutta la sua esistenza fino al giorno in cui il cane aggredì alla gola l’uomo approfittando della sua disattenzione. Dalla lotta uscirono entrambi gravemente feriti, entrambi guarirono, in attesa dello scontro definitivo, che non avvenne mai perché l’uomo finì impiccato. Ed è sempre il cane a sopravvivere anche nella terza storia. Siamo lungo il percorso del fiume, lungo il quale scorrono i tronchi degli alberi che tagliati più a monte arrivano a valle per essere lavorati e spediti ad altre destinazioni. Per trattare la vendita del legname un tale è in città. Ha concluso i suoi affari e vuole tornare alla segheria che sta trenta chilometri più su. Gli sconsigliano di farlo la temperatura è a meno sessanta, basta un niente per lasciarci le penne. Ed è proprio un niente che accade in quel percorso. Un piede che tocca l’acqua e si bagna, un fuoco acceso sotto i rami di un albero che fa cadere la neve dal ramo spegnendo il fuoco, il gelo che avanza e con esso la morte dell’uomo. Nella testa del cane si saranno sicuramente affollate mille domande, perché quell’uomo abbia fatto quei terribili imperdonabili errori, perché abbiano affrontato quel viaggio sconsiderato senza neanche conoscere bene il percorso, ma ormai è troppo tardi, un’altra vita è stata inghiottita dalla neve e al cane non rimane che andarsene tutto solo. I cani sono una metafora di questa umanità, capace di gesti disumani e sovrumani per una ricchezza effimera, quella ricchezza che invece è in mano di pochi che ordiscono i fili del potere per arricchirsi ancor di più. E’ una storia eterna, cambiano epoche, tipologie, situazioni, ma la morale è sempre quella. Anche oggi infatti pochi si arricchiscono smisuratamente e la crisi miete sempre maggior povertà in una larga fascia di popolazione. Una lotta impari, come quella degli uomini e dei loro cani alla ricerca di un oro che arricchirà pochi, lasciando morti o stremati troppi uomini, vittime di un’ingiustizia di fondo che i cani hanno capito da sempre. Che sia questo il motivo per cui Paolini preferisce essere il cane dei suoi racconti? la Voce palcoscenico del popolo martedì, 6 maggio 2014 5 FILUMENAMARTURANO D ifficile e scricchiolante la condizione di Filumena Marturano: la signora ormai in età, è da 25 anni la mantenuta di Domenico Soriano, detto Mimì, un ricco pasticcere e cliente di vecchia data. Sì, Filumena è stata una prostituta. Ma in casa Soriano ha vissuto più o meno come se fosse la moglie dell’irrequieto don Mimì. Vorrebbe farsi sposare, vorrebbe cambiare Mimì, ma le cose non vanno quasi mai come si vorrebbe. Si finge malata al punto da essere lì lì per rendere l’anima a Dio. Sarà creduta dal medico, dal sacerdote, e anche da Domenico, che, convinto che per cambiare la condizione anagrafica da scapolo ad ammogliato a vedovo non gli servirà fin troppo tempo. Filumena diventa quindi la signora Soriano, ma, scoperto l’inganno, Domenico smuoverà mari e monti per liberarsi di quel legame. E l’avvocato spiega che il matrimonio valido comunque non è, in quanto poggia sull’inganno. Filumena butterà sul fuoco della gioia di Mimì l’acqua della sua vita, la storia dell’infanzia trascorsa nel Vicolo San Liborio. E gli dirà soprattutto di avere tre figli, fatti crescere con il denaro sottratto a lui (piccole somme), figli che non sanno chi lei sia. Ma non basta: uno di loro è figlio di Domenico Soriano (“Mimì, uno è figlio a tua”). L’esperienza della falsa malattia insegna: come si fa a credere ora alla donna? Ma Filumena gli ricorda una notte di vero amore, che l’uomo non ha capito e che ha pagato. La prova: Filumena ha una banconota di quella notte lontana, sulla quale ha scritto la data del concepimento; ne dà metà all’uomo, ovviamente non quella datata, perché “… i figli non si pagano“. Per la donna sembra giunta l’ora di dire ai ragazzi chi lei sia. Mimì ci sta, anche perché vuole trovare “suo” figlio. Richiesta inutile: una madre non sacrificherà nessun figlio, e certo Mimì avrebbe occhi solo per il suo. Domenico vuole essere padre? Lo sia di tutti. Saranno nozze per davvero, tra Filumena e Mimì, con tre ragazzi che lo chiamano “papà”. Una famiglia, quindi, ma una famiglia tardiva, alla quale è negato il sapore di quello che una famiglia sa dare, anche le preoccupazioni, se è per quello. “Figlie so chille che se teneno mbraccia quando so’ piccirille, ca te danno preoccupazione quanno stanno malate e nun te sanno dicere che se senteno... che te corrono incontro cu’ e braccelle aperte dicenno ‘Papà’ ... Chille ca’ è vvide venì d’a scola cu’ ‘e manelle fredde e ‘o nasillo russo e te cercano” Perché ricordiamo Filumena Marturano? L’ha messa in scena, al Teatro cittadino polese, il Teatro nazionale croato di Varaždin. Le parti affidate a Jagoda Kralj Novak, Darko Plovanić, Anica Kovačević, Slavica Jukić, Otokar Levaj; firma la regia Samo M. Strelec. ”Filumena Marturano”, messa in scena per la prima volta a Napoli nel 1946 è certamente una delle più conosciute commedie di Eduardo de Filippo, scritta originariamente per la sorella Titina. Ma non è solo commedia; è una fusione di vari generi, dramma e melodramma, attraverso i quali De Filippo tratta il tema che gli stava più a cuore, la famiglia e la sua disgregazione, la crisi. La prima versione cinematografica vede appunto Eduardo e Titina nei panni di Mimì e Filumena. Ma l’elenco di grandi attrici che hanno dato anima e cuore a Filumena è di tutto rispetto: Pupella Maggio, Valeria Moriconi, Sofia Loren, Mariangela Melato, Joan Plowright. Importanti anche i registi, a cominciare, ovviamente, dallo stesso De Filippo: Vittorio de Sica, Franco Zeffirelli, Massimo Ranieri, Laurence Olivier. Nulla da eccepire alla messinscena del teatro di Varaždin: e le interpretazioni di Jagoda Kralj Novak e Stojan Matavulj indubbiamente reggono. Gli applausi di un teatro pieno non sono mancati. Toccanti i monologhi, mordaci le battute tra i due. Ma ad aver visto Eduardo e Titina, o la Loren e Mastroianni, beh, non c’è paragone. Cierre 6 palcoscenico martedì, 6 maggio 2014 ANNIVERSARI... la Voce del popolo di Cierre AMLETO,DALGLOBEAL...GLOBO I l 23 aprile di 450 anni fa nasceva William Shakespeare. Il “suo” teatro, lo “Shakespeare’s Globe Theatre” festeggerà l’accadimento con una tournée lunga due anni. Mettendo in scena “Amleto”. Due anni in giro per il mondo per una tournée intitolata “Globe to globe”, quindi dal Globe-teatro al globo-mondo, toccando tutti i Paesi. Un’avventura teatrale senza precedenti, condotta dal direttore artistico del Globe, Dominic Dromgoole. La piccola compagnia – 12 attori di Gran Bretagna, Nigeria, Hong Kong e Nuova Zelanda – sarà nelle piazze e nei maggiori teatri, raggiunti per terra, per cielo e per mare. Perché un tour mondiale? “Nel 1608, appena otto anni dopo essere stato scritto, l’Amleto venne messo in scena su una battello, il “Red Dragon”, al largo delle coste dello Yemen. Dieci anni più tardi andò in tutto il Nord Europa. Del resto lo spirito del movimento, del raccontare storie a gente nuova, era immanente dell’opera shakespeariana. Non potremmo essere più felici di così per la possibilità di far vivere questa missione. In treno, autobus, aereo e navi vogliamo portare questa bellissima pièce, icona dei titoli teatrali, a quante più orecchie sarà possibile.”, così ha detto del progetto Dominic Dromgoole, Ecco invece quello che ha detto Peter Brook, direttore del teatro: “Le sei parole più semplici della lingua inglese sono ‘to be or not to be’ (essere o non essere; n.d.a.). Difficilmente si potrebbe trovare un angolo di mondo dove queste parole non siano state tradotte. Anche in Inghilterra, quanti non parlano bene la lingua al sentirle rispondono ‘Shakespeare!’ Amleto è certamente la pièce più vista e più... capita. Tutti, vecchi e giovani, oggi si riconoscono immediatamente con i personaggi, le loro pene, i loro dubbi. Portare l’Amleto nella lingua originale intorno al mondo è un progetto importante e dinamico. Sarà un viaggio di conoscenza e di scoperta”. Amleto, il principe di Danimarca, avrà quindi il passaporto pieno di timbri. Per gli attori la sfida è di quelle superlative, faticose oltre il solito. Naeem Hayat, che veste i sofferti panni di Amleto, specifica: “Dovremo recitare ogni volta di fronte a un pubblico diverso e in diversi contesti, grandi teatri, piccoli mercati, piazze, spiagge... Credo che la vera sfida sia fare che ogni volta sia una nuova scoperta, la scoperta di raccontare la storia”. “Il fascino perdurante di Shakespeare - ha detto invece Tamsin Palmer, produttore associato dello spettacolo - si basa su due aspetti: da un lato è davvero semplice e parla di personaggi e situazioni che siamo in grado di riconoscere. D’altra parte c’è sempre una componente di mistero, che stimola le persone a saperne di più su di lui e sulle sue storie.” La tournée è iniziata in Gran Bretagna; il 29 aprile Amleto ha lasciato l’Inghilterra per mettere piede sul continente (il primo passo ad Amsterdam). L’ultima rappresentazione si avrà nel 2016, in Danimarca (e dove se no?), nel castello di Kronborg (Elsinore). Essere o non essere C’ è qualcosa di marcio in Danimarca. Il padre di Amleto, Re di Danimarca, è morto da due mesi; la madre - Regina Geltrude -, ha spostato il cognato Claudio, che è quindi diventato Re. Sulle mura del castello di Elsinore, di notte si aggira un fantasma, che assomiglia al vecchio Re. È apparso alle sentinelle a guardia del Castello in caso di attacco da parte di Fortebraccio, Principe di Norvegia. Orazio, amico di Amleto, dopo aver visto lo spettro, informa il Principe e si accordano per incontrarsi di notte nella speranza di vedere il Fantasma; così sarà. Il Fantasma conferma ad Amleto di essere stato ucciso da Claudio, che gli ha versato un veleno nelle orecchie mentre egli dormiva nel frutteto e chiede al figlio di punire l’assassino, ma lasciare al cielo la punizione della madre. Amleto si finge pazzo, così da portare avanti più facilmente il suo piano. Una compagnia di attori metterà in scena “La morte di Gonzago”, con la trama simile alla storia raccontatagli dal Fantasma. Dalla reazione del Re si capirà la sua colpa. Infatti, Claudio, alla scena dell’assassinio esce di sala. Amleto raggiunge le stanze della madre per una chiarificazione e durante la discussione uccide accidentalmente Polonio, consigliere del Re e padre della sua fidanzata, Ofelia, nascosto dietro una tenda ad ascoltare. Dopo questo gravissimo fatto, Claudio decide di mandare Amleto in Inghilterra per liberarsi di lui. Mettendo di mezzo prima la distanza, ma poi provvede anche ad assoldare due sicari per ucciderlo: il Principe riesce a scappare e a tornare a casa. Ofelia nel frattempo, impazzita, si suicida. Suo fratello Laerte, per vendicarla, ha accettato il duello che Claudio ha organizzato tra lui e Amleto. Il Re prepara una coppa avvelenata per Amleto, ma a bere è la Regina. Laerte ferisce Amleto con la punta avvelenata della sua spada, ma le spade vengono scambiate erroneamente e Laerte viene ferito dalla sua stessa spada. La Regina muore; Laerte smaschera i piani del Re, accoltellato da Amleto, e poi muore. Amleto chiede all’amico Orazio di raccontare la verità sulla tragica vicenda e raccomanda che Fortebraccio sia proclamato Re, poi muore. Fortebraccio conquista il regno, e si inchinerà, con tutti gli onori militari alla salma di Amleto. Ecco, proprio stringatamente, le vicende. Un’analisi approfondita direbbe della confusione del Principe, scosso dalla morte violenta del padre, dal tradimento della madre e dello zio. Direbbe del suo difficile rapporto verso il femminile, tanto da respingere la povera Ofelia. In lui cresce il dubbio su quello che deve essere il suo comportamento, ostaggio, in un certo qual senso, tra il padre morto e la sua richiesta di vendetta... “Essere o non essere. questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine.” Se e ce lo chiede Amleto. palcoscenico la Voce del popolo A PROPOSITO DI... martedì, 6 maggio 2014 7 di Emanuela Masseria N terabile, il crudele La freddezza inal tta finiscono per piacere della vende sdegno; tanto che muovere il nostro ito servo, l’insulso ar m n u e er av r pe to. ddisfa poco o pun e) scioglimento ci so ang von Goeth g lf o W n n a h o (J Gl’innamorati non vivo no del rapporto dei due protagonisti co n l’ambiente e i personaggi che li circo ndano, come accade alle altre opere goldoniane. Tutta l’azione si svolge all’int erno di loro stessi, del loro modo di amarsi e insieme di ferirsi, di lasciarsi e di perdersi. Mai prima di questa commed ia, neppure in un capolavoro assolu to come La locandiera, Goldoni avev a indagato con tanta acutezza sulla passione amorosa, senza per ques to rinunciare minimamente agli aspe tti comici o umoristici che scaturisc ono anche dagli amori più travagliati e più inquietanti. (Giovanni Antonucc i) l libro, ma poco “Il mondo è un be sa leggere”. serve a chi non lo ) (da La Pamela asce a Venezia, il 25 febbraio del 1907, una figura che fece del dialetto veneto una delle colonne portanti del suo teatro. Carlo Osvaldo Goldoni fu uno dei padri della più grande commedia moderna. Nello stesso tempo, ebbe una vita movimentata e vivace e si distinse anche come scrittore, librettista e avvocato. Come spesso accade a tanti uomini illustri, morì in miseria. La sua opera è considerata riformatrice, caratterizzata da una giocosa fantasia e da un sicuro istinto teatrale. Ma nella sua arte si riflettono anche gli echi della profonda crisi che travagliava la società settecentesca, con le consuetudini e i contrasti tra le diverse classi sociali, nonostante le burle e i divertimenti. L’autore scrisse più di 200 tra commedie, tragedie, tragicommedie, intermezzi, melodrammi, musicati da Galuppi, Piccinni, Paisiello, Mozart, Haydn, Sacchini e altri. Importanti però sono anche i suoi Mémoires, che cominciò a scrivere nel 1784 e compì e pubblicò nel 1787, considerato uno dei più piacevoli libri del secolo 18°. Goldoni vide la luce nel palazzo dei Centani a S. Tomà, da Giulio e da Margherita Savioni. La sua infanzia si divise tra la madre che dimora a Venezia e il padre che a causa degli impegni di lavoro è costretto a trascorrere molto tempo lontano. Dal nonno (nella cui casa molto spesso si rappresentavano melodrammi e commedie o si esibivano rinomati musicisti) e dal padre, Carlo eredita la passione per il teatro, un umore gaio e socievole e una certa propensione a spendere. Il giovane Goldoni è appassionato di teatro fin da piccolo. Inizia con i burattini, in un teatrino fatto costruire apposta dal padre in una loggia della casa. Qui venivano quindi improvvisate le prime commediole. Nel 1712 muore il nonno, lasciando molti debiti e una precaria situazione economica. La presenza della madre funge da elemento equilibratore nella vita diventata difficile del piccolo Carlo, che ad imitazione delle letture del Cicognini a nove anni scrive una commedia per intero. Nel 1719 segue il padre, medico, a Genova, s’innamorò di Nicoletta Connio, giovane figlia di un notaio, che sposa: fu un matrimonio felice, anche se senza figli. ere consiste in “Tutto il mio piac gheggiata, vedermi servita, va la mia adorata. Questa è ta è la debolezza debolezza, e ques nne.[…] Voglio di quasi tutte le do caricature di burlarmi di tante e voglio usar amanti spasimati; cere, abbattere tutta l’arte per vin ei cuori barbari e conquassare qu ici di noi, che e duri che son nem cosa che abbia siamo la miglior la bella madre prodotto al mondo natura”. (Mirandolina, ra, atto da La locandie primo) non izio che io v n u è La gola i, ed è quel viz a più finisce m sempre quanto ce che cres ecchia. nv bottega l’uomo i (da La caffè) del Al 1743 appartengono il dramma giocoso La contessina, e La donna di garbo, la prima commedia che scrisse interamente, nella quale, sono ancora vivi gli artifici della commedia dell’arte, con la figura della protagonista caratterizzata da una certa umana vitalità. Tra il 1748 e il 1753 l’autore diede vita ad alcune delle sue più note e felici commedie (Il cavaliere e la dama, La famiglia dell’antiquario, Le femmine puntigliose, La bottega del caffè, Il bugiardo, I pettegolezzi delle donne, La moglie saggia, Le donne gelose, Le donne curiose, La serva amorosa, La locandiera). Al 1750 risale la ben nota promessa, poi mantenuta, di scrivere in un anno sedici commedie nuove. Ogni carnevale Goldoni portava inoltre sul palcoscenico una commedia veneziana. E in quel mondo pittoresco dei gondolieri, delle lavandaie, dei “paroni di tartana”, delle “massère” (serve di casa), delle rivendugliole, delle “rampignone” (donne che risparmiano), dei merciai, si dispiega sovrana la sua arte. Ormai la gloria di Goldoni era assicurata: le edizioni delle sue commedie si esaurivano rapidamente; si cominciava a tradurlo e recitarlo anche all’estero; riconoscimenti gli venivano da principi e letterati italiani. Ma non erano cessate per lui anche le invidie, le lotte e le amarezze. Decise di lasciare Venezia nell’aprile del 1762 per Parigi, dove era stato chiamato per sollevare con nuove produzioni le sorti del teatro della Comédie-Italienne, che andava decadendo. Ma anche lì dovette lottare con i comici che non volevano imparare le commedie scritte e col pubblico affezionato al gioco buffonesco delle maschere. Liberatosi da questo impegno, Goldoni ottenne l’incarico di insegnante di lingua italiana della figlia di Luigi XV, e poi delle sorelle di Luigi XVI. Ne ricavò una modesta pensione. Nel 1771 fece recitare alla Comédie-Française Le bourru bienfaisant, un notevolissimo successo. Ma soffriva di vari acciacchi, era quasi cieco, e la pensione appena gli bastava. E anche questa gli fu tolta nel 1792. Ammalatosi, morì nella miseria. Solo il giorno dopo la sua morte un decreto gli restituiva, troppo tardi, la pensione. Le sue ossa andarono disperse. “Ella pure nel nostro Veneto idioma; ma colla scelta delle parole, e colla robustezza de i sentimenti, ha fatto conosce re che la lingua nostra è capace di tutta la forza e di tutte le gra zie dell’arte oratoria e poetica, e che usata anch’essa da mano maestra, non ha che invidiar e alla più elegante Toscana. Ell a aveva ciò dimostrato altre vo lte in varie pubbliche azioni, ne lle quali vuole il sistema di quest a ben regolata Repubblica ven eta che del proprio nativo idiom a gli Oratori si valgano, e la di Lei naturale facondia, unita al chiarissimo suo talento, ed allo studio incessante di cui si compiace, rende l’E. V. ammirabile nell’età verde in cui si ritrova, e fa sperare in Lei coll’andar degli anni un benemerito cittadino di quest a Patria gloriosa.” (Carlo Goldoni, presentazione de Le massere, 1755) 8 palcoscenico martedì, 6 maggio 2014 CARNET PALCOSCENICO la Voce del popolo di Carla Rotta e Daniela R. Stoiljković CROAZIA ITALIA FIUME TRIESTE Teatro Nazionale Ivan de Zajc Polietama Rossetti • 8 maggio ore 12; 10 e 12 maggio ore 19.30 Eventi speciali Ero, il fidanzato caduto dal cielo di Jakov Gotovac. Regia Krešimir Dolenčić. Interpreti Ivica Čikeš, Siniša Štork, Nelli Manuilenko, Anđelka Rušin, Valentina Fijačko, Vedrana Altri percorsi • 13, 14, 15 e 16 maggio ore 21 L’onda dell’incrociatore dal romanzo di Pier antonio Quarantotti Gambini. Regia Maurizio Zacchigna. Interpreti Elke Burul, Roberta Colacino, Adriano Giraldi, Maria Grazia Plos, Paola Saitta, Maurizio Zacchigna, Lorenzo Zuffi • 20 e 21 maggio ore 20.30 50 sfumature di Pintus Interprete Angelo Pintus • 15 maggio ore 12;16 maggio ore 19.30 Il violinista sul tetto di J. Bock. Regia Ozren Prohić. Interpreti Bojan Šober, Olivera Baljak, Andreja Blagojević, Leonora Surian, Vivien Galletta, Elena Brumini, Miriam Monica, Arija Rizvić, Lara Grdinić, Biljana Torić, Dario Bercich, Saša Matovina, Voljen Grbac, Nenad Vukelić, Anton T. Plešić, Marijan Padavić, Zdenko Botić, Mensur Puhovac, Anđelka Rušin, Marijana Prohaska, Bruno Nacinovich, Sergej Kiselev, Dmitri Andrejčuk, Krunoslav Marić • 23 e 24 maggio ore 20.30 Oblivion show 2.5 di Davide Calabrese e Lorenzo Scuda. Regia Gioele Dix. Interpreti gli Oblivion: Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio Vagnarelli Šimić, Ogna Šober, Miljenko Đuran, Damir Fatović, Janez Lotrič, Mirko Čagljević, Robert Kolar, Marko Fortunato, Marijana Radić, Antonio Haller, Leonid Antontsev, Oxana Brandiboura, Andrei Köteles, Irina Köteles, Dmitri Andrejčuk, Anka Popa • 13, 14 e 15 maggio ore 19.30 Musica § concerti Shut up and Dance progetto, coreografia e regia Ronald Savković. Interpreti Paula Rus, Marta Kanazir, Marta Voinea Čavrak, Sabina Voinea Vukman, Jovana Mirosavljević, Anka Zgurić, Tanja Tišma, Anna Ponomareva,Tena Ferić Dokmanović, Shaun McLaughlin, Martin Grainger, Svebor Zgurić, Daniele Romeo, Ricardo Freire, Leonid Antontsev, Vitalij Klok Musical & grandi eventi • 15, 16 e 17 maggio ore 20.30; 17 e 18 maggio ore 16 Thriller live concetto originale e direzione esecutiva di Adrian Grant. Regia Gary Lloyd • 21, 22 e 23 maggio ore 19.30; 22 maggio ore 12 I botoni dela montura di Lino Carpinteri e Mariano Faraguna. Regia Giorgio Amodeo. Interpreti Bruno Nacinovich, Ivna Bruck, Giuseppe Nicodemo, Elena Brumini, Alicia Delcaro, Leonora Surian, Neven Stipanov, Toni Plešić, Rosanna Bubola, Elvia Nacinovich, Lucio Slama • 26, 27 e 28 maggio ore 19.30 Amerika di F. Kafka. Regia Janusz Kica. Interpreti Živko Anočić, Nika Mišković, Jelena Lopatić, Hrvoje Klobučar, Davor Jureško, Siniša Ružić, Dražen Mikulić, Jasmin Mekić, Igor Kovač, Aleksandra Stojaković, Biljana Torić, Olivera Baljak POLA • 15, 16, 17 e 18 maggio ore 20 Thelma e Louise di e regia Dalibor Matanić. Interpreti Helena Minić, Lana Gojak, Senka Bulić, Janko Volarić Popović, Rade Radolović Ljubomir Kerekeš, Dora Lipovčan, Goran Grgić, Zvonimir Zoričić, Ivo Gregurević, Žarko Potočnjak • 30 e 31 maggio ore 20 Kolarići collage scenico di e con Elis Lovrić • 20 maggio ore 20 Tre sorelle di A. P. Čehov. Regia Slobodan Unkovski. Interpreti Ozren Grabarić, Bojana Gregorić Vejzović, Dijana Vidušin, Jelena Miholjević, Ivana Roščić, Sven Šestak, Ranko Zidarić, Hrvoje Klobučar, Živko Anočić, Filip Šovagović, Biserka Ipša, Ingeborg Appelt, Filip Vidović, Matija Čigir Teatro lirico «Giuseppe Verdi» • 23, 26 e 27 maggio 20.30 , 24 e 25 maggio ore 16 Attila di Giuseppe Verdi . Regia Enrico Stinchelli. Interpreti Enrico Iori, Anna Markarova, Sergio Escobar, Devid Cecconi • 25 maggio ore 20 Il giardino dei ciliegi di A. P. Čehov. Regia Vito Taufer. Interpreti Alma Prica, Iva Mihalić, Ana Begić, Milan Pleština, Dušan Bućan, Franjo Kuhar, Danko Ljuština, Lana Barić, Teatro «Orazio Bobbio» • 6 maggio ore 16.30; 7 maggio ore 20.30 Boeing Boeing di Marc Camelotti. Regia Mark Schneider sulla regia originale di Matthew Warchus. Interpreti Gianluca Guidi, Gianluca Ramazzotti, Ariella Reggio, Barbara Snellenburg Marjo Berasategui la Voce del popolo Anno 10 / n. 84 / martedì, 6 maggio 2014 IN PIÙ Supplementi è a cura di Errol Superina [email protected] Edizione Progetto editoriale Caporedattore responsabile Errol Superina PALCOSCENICO Silvio Forza Redattore esecutivo Carla Rotta Impaginazione Željka Kovačić Collaboratori Rossana Poletti, Emanuela Masseria, Daniela Rotta Stoiljković, Gianfranco Miksa SLOVENIA CAPODISTRIA Teatro Cittadino • 13 maggio ore 20 Letture con Patricija Peršolja • 15, 16, 17 e 21 maggio ore 20 Chi ha paura di Virginia Woolf di Edward Albee. Regia Vito Taufer. • 28 maggio ore 20 Parole parole. Non era la quinta, era la nona di Aldo Nicolaj. Regia Jaka Ivanc. Interpreti Igor Štamulak, Lara Jankovič, Rok Matek, Davor Herceg, Joži Šalej • 26 maggio ore 21 Dire Straits legend concetto. Interpreti John Illsley, Phil Palmer, Mel Collings, Danny Cummings, Steve Ferrone, Marco Caviglia, Primiano Di Biase • 30 e 31 maggio ore 21 2cellos concetto. Interpreti Luka Šulić, Stjepan Hauser