Daniele Gasparri Astronomia amatoriale 2.0

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Daniele Gasparri
Astronomia amatoriale 2.0
Idee originali per osservare e fotografare il cielo
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teorica (oltre 20) è raggiungibile qui
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Copyright © 2014 Daniele Gasparri
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sul diritto d’autore.
In copertina: un fotomontaggio composto da immagini reali che testimoniano parte del potenziale dell’astronomo dilettante odierno. A destra l’aurora polare, spettacolo facile da vedere grazie alla maggiore possibilità di viaggiare in modo
economico; a sinistra la costellazione di Orione che esplode di dettagli se ci troviamo sotto un cielo incontaminato, magari nell’emisfero sud. In basso una porzione della Luna che mostra i suoi veri colori grazie a una tecnica, chiamata mineral Moon, facile da applicare e garanzia di risultati spettacolari.
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Prefazione
I moderni telescopi sono molto più precisi, potenti ed economici rispetto a pochi anni fa. La rivoluzione digitale ha messo a disposizione a prezzi accessibili dispositivi estremamente efficienti e la
globalizzazione ci consente di viaggiare sin in capo al mondo con la stessa facilità con cui i nostri
nonni si spostavano nella città più vicina.
L’astronomia amatoriale del nuovo millennio ha conosciuto una rivoluzione di cui ancora in pochi
ne hanno compreso la portata. Ora, osservare e fotografare il cielo non solo è relativamente economico e semplice, ma ci può regalare emozioni di gran lunga maggiori rispetto a quelle provate da
qualsiasi altro appassionato del passato.
In questo libro sono raccolti e organizzati una serie di articoli di astronomia amatoriale pubblicati
nel corso degli anni su riviste di divulgazione astronomica e siti web.
Diviso in quattro categorie: osservazione visuale, fotografia planetaria, fotografia deep-sky e una
parte dedicata alla tecnica, il volume offre decine di spunti per appagare la nostra voglia di Universo.
Vedremo le potenzialità di un cielo davvero scuro, le emozioni di un’eclisse di Sole, assisteremo al
danzare dell’aurora nel cielo. Poi, con un telescopio scopriremo come osservare (e se) il colore delle
nebulose e alcuni dettagli, come i bracci di spirale delle galassie, che non dimenticheremo mai.
Gli amanti della fotografia, anche alle prime armi, potranno divertirsi nel riprendere il colore delle
stelle, nel fotografare il passaggio della stazione spaziale sul Sole o sulla Luna, o nell’evidenziare i
magnifici colori che il nostro satellite nasconde, attraverso la tecnica della mineral Moon.
Per chi è invece già esperto, vedremo come riprendere elusivi particolari solari e i dettagli dei pianeti remoti quali Urano e Nettuno. Andremo anche più in profondità, alla scoperta dei dettagli elusivi delle galassie e di come è possibile persino riprendere i segni di altri sistemi planetari esterni al
nostro.
Nella parte dedicata alle tecniche vedremo come iniziare a costruire i bellissimi filmati time-lapse
che mostrano il movimento dell’Universo, ma anche come calibrare alla perfezione le immagini digitali ed evitare una serie di subdoli difetti. Concluderemo parlando di mosaici lunari e di un software che promette miracoli attraverso una funzione dal nome strano: la derotazione.
Percorrendo in modo trasversale tutte le principale branche dell’astronomia amatoriale e affrontando temi che richiedono diverse esperienze e competenze, il libro si propone come un manuale
che accompagnerà l’astrofilo nella propria crescita personale, ricordandogli che il cammino è lungo,
impegnativo, ma soprattutto incredibilmente bello e affascinante.
Daniele Gasparri, giugno 2014
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Indice
Introduzione .........................................................................................................................................5
Osservazione visuale
Sotto un cielo perfetto ..........................................................................................................................7
Le emozioni di un’eclisse totale di Sole ............................................................................................16
L’incredibile bellezza delle aurore polari ..........................................................................................27
Osservazioni telescopiche particolari.................................................................................................41
Il telescopio amatoriale più grande del mondo ..................................................................................46
La magnitudine limite nelle osservazioni telescopiche......................................................................53
La magnitudine degli oggetti del profondo cielo ...............................................................................58
Osservare il colore delle nebulose .....................................................................................................64
Fotografia planetaria
I transiti della stazione spaziale sul Sole e sulla Luna .......................................................................73
Il super mosaico lunare degli astroimager inglesi..............................................................................81
La mineral Moon................................................................................................................................88
Il Sole in luce bianca come non l’avete mai visto..............................................................................96
Come ottenere spettacolari immagini solari in h-alpha: la parola ad Alan Friedman......................105
Riprendere dettagli atmosferici sui pianeti remoti...........................................................................110
Il progetto Plutone-Caronte..............................................................................................................118
Fotografia deep-sky
Riprendere il colore delle stelle .......................................................................................................129
La prima ripresa amatoriale di un altro sistema planetario..............................................................136
Nascosti nella luce dell’Universo ....................................................................................................143
I filtri nel deep-sky: l’Universo nell’Universo.................................................................................154
Imaging deep-sky ai limiti ...............................................................................................................160
Artefatti ed etica nella fotografia astronomica.................................................................................167
Tecniche
Astronomia di giorno .......................................................................................................................175
Un aiuto per la messa a fuoco: la maschera di Bahtinov .................................................................189
Qualche prezioso segreto sui filtri astronomici................................................................................194
Imaging HDR (High Dynamic Range): oltre i limiti .......................................................................202
I time-lapse in astronomia: l’Universo in movimento .....................................................................212
I principali difetti delle riprese digitali ............................................................................................219
La calibrazione delle immagini digitali del profondo cielo .............................................................233
Mosaici lunari con Autostitch ..........................................................................................................240
Mappe, animazioni e derotazione con Winjupos .............................................................................245
Bibliografia ......................................................................................................................................256
Biografia...........................................................................................................................................258
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Introduzione
Nella mia lunga esperienza nel mondo dell’astronomia amatoriale ho assistito, spesso inconsapevole, a una naturale evoluzione della mia passione, secondo un processo di crescita che accomuna
un po’ tutti gli esseri umani e fa parte del loro codice genetico.
Agli inizi mi accontentavo di riuscire a trovare i pianeti, impresa che si dimostrò molto più ardua
del previsto. Poi, quando ormai in cielo li riconoscevo in pochi secondi, speravo di riuscire a carpirne più dettagli possibili al telescopio. Tante notti ho passato all’oculare dei miei strumenti, sperando
di apprendere la difficile arte dell’osservazione e perdendomi nella bellezza incontaminata di quei
piccoli dischetti luminosi così affascinanti.
Condizionato da telescopi non all’altezza delle osservazioni del cielo profondo e dall’essermi trasferito in città, la normale evoluzione della mia passione per il cielo incontrò fatalmente la fotografia. In mancanza di denaro (ero un giovane adolescente) decisi di sostituire al portafoglio facile la
fantasia, così adattai con nastro adesivo e silicone una macchina fotografica compatta a pellicola di
mia madre per le prime, emozionanti foto del cielo. Con il tempo mi venne regalata una reflex, ma
gli obiettivi me li dovevo costruire io, magari utilizzando qualche vecchio cercatore o le lenti di un
binocolo tenute insieme da un rotolo finito di Scottex.
Riguardando al passato mi rendo conto di quanto mi sono divertito anche solo nel provare soluzioni spesso errate, nel buttare nottate cercando di fissare l’improvvisato teleobiettivo alla reflex con
un tubo dell’acqua tagliato malamente con una sega, o nel cercare di far stare la fotocamera sulla
montatura equatoriale del mio telescopio avvolgendola con nastro adesivo e filo di ferro. Mi sono
divertito nel cercare di raggiungere le stelle con le mie uniche forze, senza aiuti, soprattutto di natura economica.
Con il passare degli anni, l’aumentare della consapevolezza e una leggermente maggiore disponibilità di denaro, potei permettermi l’acquisto di accessori fondamentali, mai dimenticando però che
c’è molto più divertimento nell’usare la propria fantasia che estrarre il portafogli automaticamente
per risolvere ogni problema.
All’inizio del nuovo millennio ebbi poi la fortuna di assistere alla più grande rivoluzione
dell’astronomia amatoriale: il passaggio alla fotografia digitale e contemporaneamente
l’abbattimento dei costi dei telescopi grazie alla prepotente ascesa del mercato cinese. L’astronomia
amatoriale divenne accessibile a tutti, con una tecnologia e una facilità d’uso che avrebbe permesso
di fare un salto enorme rispetto a soli pochi anni prima.
La disponibilità di strumenti enormi, come un dobson da 40 centimetri, a un costo inferiore di due,
tre o persino quattro volte rispetto a uno stesso acquistato negli anni novanta, ha permesso a tantissimi astrofili, me compreso, di poter ammirare estasiati l’Universo per come è davvero. Non più
slavate macchiette di luce tutte uguali tra galassie, nebulose e ammassi, ma oggetti veri e propri,
con una consistenza, dei dettagli e dei contrasti che sembravano provenire da vere e proprie fotografie.
Nel campo dell’astrofotografia, l’introduzione delle webcam e la disponibilità di strumenti su
montature equatoriali relativamente economici, ha permesso a noi astrofili di spiccare letteralmente
il volo e ottenere immagini comparabili con quelle delle sonde interplanetarie degli anni ’70.
L’astrofilo, da mero contemplatore e sognatore del cielo si è trasformato in protagonista, potendo
godere di un’opportunità che nessun essere umano prima ha mai potuto neanche immaginare: esplorare l’Universo con la propria strumentazione; scoprire nuovi oggetti, studiare pianeti con risoluzioni di poche centinaia di chilometri, arrivare a riprendere oggetti ai confini dell’Universo, mostrare con estrema facilità i bellissimi bracci di spirale delle galassie.
I nostri occhi, nell’era digitale, sono abituati a ricevere miliardi di informazioni ogni secondo; in
questo l’astronomia è ancora diversa perché richiede pazienza, costanza, determinazione, allenamento, passione e un’idea di divertimento che vada oltre il mero impatto visivo di una fotografia. I
principi base dell’astronomia sono ancora gli stessi di una volta e si fondano sull’idea innata di ogni
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uomo di cercare, nel modo che più preferisce, una risposta, o almeno qualche indizio, sulla propria
origine e sull’ambiente che ha la fortuna di ammirare consapevole con i propri occhi. Perché se non
alzassimo mai gli occhi al cielo, nemmeno per un secondo in un’intera vita, per domandarci cosa
sono quei puntini luminosi lassù e cosa ci facciamo noi quaggiù, ci sarebbe qualcosa di profondamente errato e triste nel modo in cui avremmo impiegato il tempo che l’Universo ci ha concesso
con estrema gentilezza qui sulla Terra.
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Sotto un cielo perfetto
Dal 31 Ottobre al 20 Novembre 2012 ho realizzato un sogno che mi portavo dietro fin da bambino:
visitare l'Australia, viaggiare tra le grandi città e le sterminate radure, fino a incontrare il deserto e
osservare il Cielo, con la C maiuscola; quella meraviglia che qui in Italia solo i nostri nonni possono
ricordarsi, ormai cancellato dallo scempio dell'illuminazione pubblica selvaggia e fuori da ogni controllo.
Il Cielo, quell'ambiente che dalle nostre città appare spesso color arancio e privo di qualsiasi interesse perché popolato al massimo da una manciata di stelle, da un luogo buio, lontano migliaia di
chilometri dalle grandi città e centinaia dalle luci artificiali più vicine, si accende come il più grande
ed emozionante spettacolo che potremmo mai sperare di vedere.
Le stelle escono allo scoperto. All'inizio sono centinaia, poi diverse migliaia... Insieme riescono a
illuminare debolissimamente l'ambiente intorno a noi, che però risulta buio, così scuro che è quasi
impossibile vedere i propri piedi o la mano distesa di fronte a noi.
Brillante di una debole luminosità, questo cielo incontaminato ci svela a occhio nudo gemme e fenomeni che spesso abbiamo solamente letto, con una buona dose di scetticismo, sui libri di astronomia.
La luce zodiacale, quella debole luminosità visibile dopo il tramonto del Sole o prima dell'alba
prodotta dalla riflessione della luce solare da parte delle polveri presenti lungo il piano dell'eclittica
nel Sistema Solare, diventa quasi fastidiosa tanto è evidente.
Una lunga cappa di luce bianca si innalza fino allo zenit, a volte lungo tutta l'eclittica, da orizzonte
a orizzonte.
"Cavolo, quelle sono le luci di una grande città!" è l'espressione che ognuno di noi, me compreso,
esclamerebbe con una certa delusione la prima volta che la osserva.
Poi subentra la razionalità: "No, non è possibile, sono a 200 km di distanza dal paese più vicino, a
3000 km dalla metropoli, quella non può essere luce artificiale!"
Inizia così una notte perfetta, stupendosi della luce del cielo che noi abbiamo cancellato.
Se poi il chiarore della luce zodiacale si sovrappone al centro della Via Lattea, alto circa 15° sull'orizzonte, lo spettacolo diventa da brividi, qualcosa che nessun libro è in grado di descrivere e nessuno può immaginare fino a quando non lo vede e lo sente con i propri occhi.
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Inquinamento luminoso? Forse no…
Comincia sempre in questo modo una delle 5 notti trascorse nell'outback australiano, in compagnia
di canguri curiosi che saltellano e si avvicinano guardinghi a quegli strani animali bipedi che fanno
stupidi versi di meraviglia osservando quello che per loro è ciò che di più comune esiste.
Inizia sempre così ogni notte, sia dal punto di vista dello spettacolo del cielo che delle emozioni,
troppo grandi e per troppo tempo nascoste per potersi calmare in una manciata di ore, rispetto agli
anni trascorsi sotto una stupida cappa di luce artificiale.
Dopo lo stupore iniziale si ritorna abbastanza lucidi per iniziare a dare un'occhiata al cielo, e subito
si scopre che le costellazioni visibili anche dai nostri cieli qui sono....capovolte!
Normale: siamo letteralmente a testa in giù rispetto alle nostre latitudini, ci suggerisce la nostra
parte razionale. Eppure è una sensazione troppo strana, direi buffa, se non fosse per il fastidio che si
prova cercando di riconoscere, spesso invano, figure sottosopra!
Non c'è tempo per infastidirsi, anzi, si sorride perché si sa perfettamente che questo è solo un intermezzo tra due grandi emozioni: la prima, passata, è proprio la luce zodiacale, mentre la seconda
deve venire ed è rappresentata dai tesori visibili solo dall'emisfero australe, quelle gemme brillanti e
sorprendenti che il nostro orizzonte ci nasconderà per sempre.
Lo sguardo corre allora verso sud, perché lì si trova il cielo invisibile.
Una rapida occhiata e subito un disappunto: "Ci sono due nuvole in mezzo, guarda quanto sono
brillanti e fastidiose, che sfortuna!".
La prima sera si aspetta qualche minuto sperando che se ne vadano, ma non è così: "Siete coriacee,
non vi siete spostate di un millimetro!".
Si andrebbe avanti in un'attesa eterna, se non fosse per un dettaglio estremamente importante: in
prossimità dell'orizzonte le stelle stanno scomparendo e un'inquietante sagoma scura sta mangiando
la debole luminosità del cielo.
A questo punto un dubbio comincia a serpeggiare nell'inconscio ma fa fatica ad affiorare perché la
parte conscia cerca di negarlo.
Vengono alla mente le parole lette su un vecchio libro di astronomia: "Da un cielo incontaminato
le nubi risultano più scure, a volte come dei veri e propri buchi oscuri".
"Assurdo!" esclamo da solo nel silenzio della notte..."Non ci posso credere, quelle nere come la
pece sono davvero nuvole! mai viste così!".
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"Ma allora cosa sono quelle due nubi brillanti sopra, così simili alle illuminate nuvole dei nostri
cieli?" Se quegli occhi scintillanti e un po' inquietanti che mi osservavano in mezzo a un prato avessero avuto coscienza, probabilmente si sarebbero divertiti a esclamare: "Povero ingenuo, ma dove
vivi? Quelle sono sì nuvole, ma dell'Universo, si chiamano nubi di Magellano!"
Da quel momento in poi, i miei occhi già provati da tante emozioni tutte insieme, si apriranno per
raccogliere più luce possibile e non si staccheranno più, per tutta la notte, tutte le notti, da quell'incredibile opera d'arte sopra le nostre teste chiamata Universo...
Nuvole nell'Universo: le nubi di Magellano.
Eppure non c’è bisogno di ammirare una porzione di cielo che da qui non vedremo mai per stupirci
dell’Universo.
Proviamo a capire cosa si vedrebbe nel nostro cielo se un giorno dovessimo andarcene nel mezzo
della Spagna o della Corsica o se, per un’altra fortunata serie di coincidenze dovessimo assistere a
un totale blackout elettrico come quello verificatosi la notte del 28 settembre 2003, il giorno in cui
l’Italia ha visto per l’ultima volta un cielo perfettamente scuro.
Riportato di seguito il diario di una serata trascorsa con qualche amico in una deserta località
dell’Australia, lontano da qualsiasi fonte di illuminazione artificiale. Tutti gli oggetti sono perfettamente visibili anche dai nostri cieli, soprattutto se la luce si spegnesse di nuovo.
…La cena mia e di Marco viene interrotta dopo il primo quarto di pollo da un ospite tanto atteso,
al quale non mi abituerò mai: la luce zodiacale.
La vedo perfettamente dal cofano della macchina, nonostante le lampade da testa accese sulla sua
fronte e quella di Francesco.
Cerco di pulirmi le mani con un tovagliolo, poi rapisco Marco: “Guarda, si vede perfettamente la
luce zodiacale, io vado a fotografarla, vieni anche tu?”
Tutti meravigliati si girano verso l’orizzonte sud e convinti di osservare il normale chiarore di una
grande città mi chiedono, attraverso Francesco:
“Ma fammi capire, io vedo solo un forte chiarore, dov’è la luce zodiacale?”.
Come cambia in fretta la prospettiva. Qualche giorno fa questa era la frase che dentro di me mi attanagliava, spaesato e sconcertato da quanto fosse evidente quella colonna di luce. Ora sono diventato io la guida.
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Come sempre ho dovuto apprendere quel poco che so da solo, tra mille fatiche ma anche enormi
soddisfazioni. E ora sono io a dispensare consigli sul cielo australe, che mi rende orgoglioso come
un figlio per il padre:
“È proprio quel chiarore lì la luce zodiacale! Non è il tramonto perché è bianca; non è neanche
l’inquinamento luminoso prodotto da qualche città, perché non ne esistono nelle vicinanze. Questo
è inquinamento luminoso naturale!”
“Fantastico, impensabile!”; “Roba da non credere!”; “sembra davvero la luce di una metropoli, da
lasciar a bocca aperta!”; esclamano Marco, Francesco e Malù quasi contemporaneamente.
Non sono capace di sentire altro, perché Marco mi trascina letteralmente sulla collinetta: “Andiamo a far foto Daniele! Che aspettiamo?”
Abbandoniamo il “tavolo” di corsa e ci lasciamo guidare dalla luce del cielo fin verso le nostre
montature, le cui sagome si stagliano nerissime di fronte all’immensa piramide cosmica.
Raggiunta la piccola altura, la visuale toglie il respiro.
La maggiore elevazione rispetto all’ambiente circostante ci fa percepire questo immenso chiarore
più che mai evidente, fin sotto l’orizzonte geometrico.
Ci sentiamo immersi, addirittura persi in un cielo per noi alieno e che ora mostra tutta la sua prorompente potenza.
Ho già visto altre volte la luce zodiacale sovrapposta al centro galattico nei giorni scorsi, ma mai
da un punto d’osservazione così panoramico. Devo essere sincero, per la prima volta mi sento anche
intimorito dall’impressionante dimostrazione di forza del Cosmo e sicuramente sia io che Marco ora
ci vediamo più piccoli che mai.
Il timore, però, non si trasforma in angoscia. È impossibile: tutte le nostre molecole sono parte di
questo Universo, figlie di antiche stelle proprio come quelle che stiamo osservando. Sono qui sulla
Terra da miliardi di anni e hanno conosciuto questo cielo ben prima di incontrarsi per formare corpi
e menti.
È l’istinto a comandare e a guidare i nostri sguardi, verso un ignoto che però non può far paura e
sotto sotto non sembra neanche così sconosciuto. Non lo è; non può esserlo, perché in realtà stiamo
ammirando, senza averne memoria, questo spettacolo da 4,5 miliardi di anni.
Sentiamo forte un rispetto profondissimo che si trasforma in ammirazione e ha sfumature di sudditanza, consci che per quanto possiamo impegnarci, una visione così non la costruiremo mai nella
nostra storia di esseri umani.
Non subiamo però passivamente come dei sudditi senza coraggio che si inchinano ai capricci del
proprio re. Ci sentiamo piuttosto parte integrante di questo spettacolo, perché noi, benché piccoli e
insignificanti, siamo una delle miliardi, e forse ancora miliardi, di coscienze con cui l’Universo si è
voluto circondare, per ammirare la sua perfetta e incontaminata bellezza.
È con questo spirito che, quasi incuranti delle nostre macchine fotografiche, cerchiamo di scattare
delle foto per il semplice scopo di appenderle in camera o tenerle sul desktop del computer, con la
sicura prospettiva di trascorrere i futuri tristi giorni sotto le nostre campane luminose e mantenere
viva la speranza, un giorno, di poterci ricongiungere di nuovo alle nostre antichissime origini.
Ci dimentichiamo di terminare la posa, della cena lasciata a metà, dei nostri amici pochi metri più
in giù che magari potrebbero aver bisogno di una mano. Siamo noi e il cielo; noi e la pura estasi almeno per una decina, forse 15, minuti. Ora la serata astronomica è ufficialmente iniziata.
Orione è discretamente alto sull’orizzonte.
Rigel, dall’evidente tonalità azzurrina, è più o meno alla stessa altezza delle Pleiadi, che rovesciate
sembrano voler guadagnare velocemente le quinte di questo teatro che non le vede come protagoniste.
Mi soffermo per un momento in questa zona di cielo, perché mi sembra di vedere un’insolita concentrazione di luminosità appena percepibile in visione diretta, più evidente in distolta.
Sicuramente è inquinamento luminoso: vorrebbe dire essere immersi in una città con i lampioni
puntati verso l’alto. Non mi sembra sia questo il caso!
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Il rigonfiamento di luce sembra somigliare a uno di quei laghi perfetti, formati da un immissario,
che in questo caso viene da ovest, e un emissario, molto più debole ma percepibile, che dalla parte
opposta sfuma lentamente nel fondo cielo.
L’immissario, a ben osservare, sembra congiungersi chiaramente con la luce zodiacale, che ancora
domina l’orizzonte ovest, più evidente che mai.
Proprio ora che credo di aver visto tutti gli straordinari fenomeni di un cielo scuro, devo ricredermi, di nuovo.
Anche questo è uno di quei fenomeni che si legge con estremo scetticismo solo sui libri di astronomia.
Il termine è brutto da scrivere e da pronunciare: gegenschein.
Che cos’è? Nella lingua tedesca significa letteralmente “bagliore riflesso”, ma questo non aiuta più
di tanto.
Non so se sono nelle migliori condizioni per spiegarlo, ma il gegenschein è un rinforzo di forma
ovale della luce zodiacale, nel punto esattamente opposto al Sole.
I responsabili sono di nuovo le polveri lungo il piano del Sistema Solare.
Nei pressi del Sole generano la luce zodiacale. Mano a mano che guardiamo a maggiore distanza
angolare, diminuisce la percentuale di luce che giunge alle minuscole particelle di polvere, quindi
anche la sua visibilità.
Nel punto opposto al Sole, però, si ha un rinforzo causato dal fatto che noi osserviamo le particelle
illuminate di fronte, quindi con una fase sempre piena. Ne consegue una maggiore quantità di luce
riflessa, responsabile di questo debole alone in mezzo al cielo.
Non ho mai visto, o forse non ci ho fatto caso, il gegenschein nelle serate precedenti, nemmeno
sotto il perfetto cielo di Chillagoe. Questa sera, pur vedendosi meno stelle, il fenomeno è evidente,
come la luce zodiacale che attraversa tutta l’eclittica, si rinforza proprio qui nella zona delle Pleiadi
e prosegue ancora fino ad abbracciare il cielo da orizzonte a orizzonte.
Impressionante davvero, mai vista una cosa del genere!
Comincia ora la caccia vera e propria agli oggetti che non ho ancora osservato.
Il primo obiettivo, suggerito da Malù che intanto l’ha puntato velocemente con il binocolo, è la
nebulosa del Granchio.
È un batuffoletto piccolissimo ma perfettamente visibile sia nel binocolo che nel telescopio: è evidente la forma allungata. Se non fosse per il modesto ingrandimento, la luminosità è paragonabile a
quella di un telescopio da 20 centimetri sotto uno scuro cielo di pianura.
Il nostro prossimo obiettivo, suggerito da Marco, è M78, nebulosa a riflessione in Orione.
Ricordo cosa dice la pagina italiana di Wikipedia a riguardo:
“L'oggetto è anche alla portata di un binocolo 10x50, sebbene occorra un cielo molto nitido per la
sua osservazione, come pure osservandolo con un telescopio da 60-80mm di apertura”
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Proprio per questo motivo sono un po’ scettico.
In effetti Marco prova a puntarla e non la trova.
“Prova tu Daniele, io sono convinto si possa vedere”
Mi passa il monocolo e in pochi secondi la trovo, piccola, luminosa, perfettamente contrastata
rispetto al fondo cielo, con una forma che ricorda
quella di un plettro di chitarra cosmica:
“No, ma guarda com’è evidente, sembra quasi
come in fotografia!” esclamo passando il testimone prima a Malù, poi a Marco e indicando la posizione con il laser (ecco, altra foto rovinata!).
Tutti concordano; anche Francesco che la osserva con il binocolo, attraverso il quale, grazie alla
visione a due occhi, è ancora più contrastata.
Marco ha fiutato le potenzialità del cielo e alza
la posta:
M78 non sono mai riuscito a vederla dalla città, eppu“Daniele, dammi il monocolo; provo a vedere la re qui, con un 80 mm, è fin troppo evidente.
nebulosa Fiamma!”
Non dico niente perché ormai so che tutto è possibile. Infatti:
“Nooo, ragazzi non ci credo! Si vede la Fiamma, è evidentissima! Riesco a notare chiaramente la
forma!”
“Marco, ma non dire stronzate!” Interviene a gamba tesa Malù.
“Guarda tu Daniele, poi dimmi se è vero quello che ti dico!” fa eco Marco.
Prendo il monocolo e inquadro la zona di Alnitak.
Non posso credere ai miei occhi.
Di fronte mi sembra di avere, di nuovo, una fotografia.
La nebulosa non solo è visibile, seppur semi trasparente, ma ha anche la tipica forma della fiamma
visibile in ogni scatto, con palesi tenui screziature più scure.
Riguardo meglio per essere sicuro, ed è ancora lì: non è frutto della mia immaginazione!
Non dico nulla.
Passo il monocolo a Malù, che esclama:
“Cavolo ma c’è davvero! Spettacolo!”
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La nebulosa Fiamma sembra un’immagine in bianco e nero. Evidente, screziata, e addirittura di generose dimensioni
sia con il telescopio che con il binocolo da 70 mm!
Io riguardo di nuovo attraverso il mio telescopietto, ma dopo pochi secondi sento Marco, che impossessatosi del binocolo esclama:
“La Rosetta, la Rosetta! È lì, scolpitissima come in una foto!”
Una risata clamorosa, poi continua:
“Non ci credo, ma in che posto siamo finiti! Puntala Daniele, è spettacolare!”
Ebbene, dopo avermi puntato la zona con il laser, riesco ad osservare con il mio misero rifrattore
da 80 mm quello che in anni non sono mai riuscito a fare neanche con un telescopio di 25 centimetri.
La nebulosa Rosetta, con i suoi delicatissimi petali ben evidenti, avvolge come soffice seta il brillante ammasso aperto nel suo cuore.
Ora la visione raggiunge momenti di assoluta commozione.
La contemplo, ancora più evidente al binocolo, e finalmente riesco, forse per la prima vera volta,
ad apprezzare le osservazioni del cielo profondo.
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La rosa cosmica della nebulosa Rosetta, dettagliata e scolpita, è identica alle fotografie.
Non si ha bisogno di una macchina fotografica se un piccolo telescopio permette già di vedere gli
stessi dettagli attraverso lo strumento migliore di tutti: l’occhio. La macchina fotografica non riesce
a catturare le emozioni, tutte quelle sfumature, un campo molto più ampio. L’occhio in 1/20 di secondo vede più di una foto di qualche minuto, senza regalare raggi cosmici, rumore a pioggia, pixel
bruciati e interminabili ore di fronte al computer. Qui l’Universo si tocca con mano e si vede in diretta.
Mi viene in mente cosa dicono esperti osservatori in merito a questo oggetto, qualcosa che suona
di questo tipo:
“La Rosette Nebula é un oggetto abbastanza difficile per i piccoli telescopi. Nei migliori binocoli é
identificabile come un'aura informe di debole luce che circonda l'ammasso aperto.”
Nulla di più sbagliato se si dispone di un Cielo come si deve; questa rosa cosmica è perfettamente
sbocciata nei nostri piccoli strumenti.
Più in basso la galassia M33, facilissima da puntare, rivela un nucleo sorprendentemente brillante
e qualche accenno di irregolarità. Andromeda, soprattutto con il binocolo, si estende per diversi
gradi.
Ma questi sono soggetti facili.
Marco vuole puntare ancora più in alto: la nebulosa Nord America, che brilla molto bassa
sull’orizzonte nord ovest.
Lui con il binocolo, io con il telescopio, iniziamo una facilissima ricerca.
Neanche il tempo di dubitare, infatti, ed eccola evidentissima.
Non è il classico alone luminoso e informe che ho osservato dal buio (credevo) cielo di Forca Canapine la scorsa estate; qui è esattamente della forma che l’ha resa celebre.
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Mentre la parte settentrionale del “continente
americano” è difficile da delineare, il “golfo del
Messico” è fin troppo evidente, al punto che ci
chiediamo se non sia la nostra immaginazione a
lavorare al posto dell’occhio.
Ma non è così.
Gli esperti osservatori dicono in merito qualcosa di questo tipo:
“La Nebulosa Nord America si estende su un'area apparente pari a circa 10 volte la grandezza
della Luna piena, ma la sua luminosità è debole
e non può essere vista a occhio nudo; si individua circa 3° a ESE della brillante stella Deneb
(α Cygni), in direzione di un tratto molto ricco e
luminoso della Via Lattea boreale. Con un binocolo ad ampio campo visivo (di circa 3°) appare
come una macchia nebbiosa di luce dalla forma
La nebulosa Nord America, con il Golfo del Messico
arcuata, appena percepibile e solo con la condi- perfettamente scolpito e contrastato sul cielo, nonostante
un’altezza di poche decine di gradi sull’orizzonte. E chi
zione di avere un cielo sufficientemente scuro”
Tutto vero, da un cielo mediamente scuro. In- ha bisogno di fotografare da un cielo come questo?
vece la sagoma è perfettamente individuabile a
occhio nudo, mentre il binocolo e il mio piccolo telescopio sembrano diventare giganteschi strumenti professionali che mostrano qualcosa di apparentemente impossibile.
Eppure è qui; il golfo del Messico è una lingua arcuata perfettamente staccata dal fondo cielo. È
tutto così incredibile che non lo dimenticherò mai…
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Le emozioni di un’eclisse totale di Sole
Quello che sto per presentare è un breve resoconto della mia prima eclisse totale di Sole, osservata
nell’outback australiano la mattina del 14 Novembre 2012. Un racconto più emozionale che tecnico
per far capire quali sono le sensazioni, uniche, di un evento così raro e straordinario. Ero insieme a
degli amici e a tante altre persone di ogni parte del mondo, ritrovatesi casualmente in mezzo
all’arida steppa australiana, a diretto contatto con la natura più selvaggia e incontaminata.
Siamo ormai più di venti persone su questo campo abbandonato che non ha mai visto tanta presenza umana, eppure nessuno grida, nessuno parla, nessuno sembra respirare.
Tutti aspettano che il Sole faccia capolino tra i sottili veli, che rappresentano quel 3% di nuvole alte, previste già da due giorni. Se fosse così, non ci daranno fastidio, ne siamo convinti tutti.
Vogliamo solamente che il Sole esca, che l’alba eterna possa interrompersi per dare inizio alla sottile danza dei due corpi celesti più importanti del nostro cielo.
Lentamente, troppo lentamente, diventa sempre più chiaro.
Venere ormai è immersa nella luce, ma con questa limpidezza credo non sparirà completamente e
di certo esploderà quando tutto ridiventerà oscuro all’improvviso, per 2 brevissimi minuti.
Venere inondato di luce sta per salutarci, ma tornerà prepotentemente durante quei due minuti che valgono una vita.
I veli di fronte alle colline, proprio dove dovrebbe sorgere il Sole, cominciano a riflettere la sua luce, illuminandosi fino ad accecarci e creando l’illusione di un’apparizione ancora prematura.
L’eclisse è iniziata anche per noi. Quello spicchio di Sole che prontamente poneva fine a ogni mia
notte sotto le stelle, regalandomi quell’indimenticabile amaro in bocca, ora l’ho desiderato ardentemente con tutte le mie forze, e alla fine è arrivato.
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Ci siamo; l’eclisse è iniziata anche per il nostro orizzonte: ora nuvole e pioggia si stanno allontanando velocemente
dalle nostre paure.
Scattiamo a raffica fotografie impulsive e inutili, che rallentano esponenzialmente nel giro di un
minuto.
Preferiamo goderci questa fase con gli appositi occhialini e traguardando ogni tanto nel mirino della fotocamera.
Marco s’inventa un gioco molto interessante, che sarebbe stato perfetto con le chiome degli alberi,
che qui però sono distanti e troppo rade.
Su un foglio di carta bianco fa praticare a Malù dei sottili forellini dai quali far passare la luce del
Sole. Proiettate sul cofano della macchina, compaiono tante piccole mezzelune che attirano
l’attenzione di quasi tutti gli altri osservatori.
Dopo pochi minuti, la nostra idea è stata fatta propria da un ragazzo cinese, migliorata grazie a un
cartone di grandi dimensioni e alla complicità della portiera della sua auto.
Quel beffardo tempo che fino a poco fa sembrava essersi fermato, o addirittura andare a ritroso,
ora ha improvvisamente accelerato… Ma perché?
Tra l’inizio dell’eclisse e della totalità dovrebbe trascorrere quasi un’ora, ma è tutto così tremendamente velocizzato, che a mala pena riusciamo a star dietro alla Luna che di fretta si sta ingoiando
il Sole con una voracità mai vista.
La luce della mattina, che fino a qualche minuto fa stava lentamente crescendo a causa della maggiore altezza del Sole, ora si sta attenuando. Sembra quasi che a distanza di poche decine di minuti
il paesaggio voglia ripiombare nel buio di un’ora fa.
Anche la temperatura non è salita, nonostante i dieci gradi abbondanti percorsi dal Sole. Tutto è
immobile; la Natura intorno a noi sembra ancora addormentata.
I colori cominciano a farsi difficili da notare; sbiaditi, spenti, privi di sfumature. Il rosso diventa
arancio, il giallo grigio pallido, l’azzurro verdino, il verde stinge.
È una luce davvero particolare perché dalla tonalità già bianco-gialla ma più debole di quando il
Sole rosso rasenta l’orizzonte.
Le nostre ombre, fa notare Marco, sono profondamente diverse. Non più nette e contrastate, piuttosto sempre più indistinguibili e con i bordi sorprendentemente sfumati.
“Guardate, guardate le ombre!” con il vocione deciso Marco, attirando l’attenzione di quasi tutti.
E come se le diverse lingue rappresentassero un ostacolo insormontabile, tutti, per qualche decina
di secondi, si voltano a fissare le ombre, lontane parenti delle sagome che ne sono la causa.
È uno di quei rarissimi momenti in cui il tempo, il nostro tempo, si ferma per qualche secondo.
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Nessuna foto scattata può riprodurre fedelmente quanto vedono i nostri occhi, e attraverso di essi
sente tutto il nostro corpo.
Capiamo che il Sole sta per scomparire.
Il Sole è già quasi completamente eclissato in un battito di ciglia. Siamo al punto di non ritorno: io non ho mai visto
un’eclisse oltre questa soglia.
La luce fioca non scalda più l’ambiente circostante.
Il cielo è scuro sopra e di fronte a noi, ancora di più dietro, da dove arriverà l’ombra, che alla velocità di circa 2000 km/h ci inghiottirà in un buio inquietante e straordinariamente suggestivo.
Siamo tesi, con il cuore in gola aspettando l’attimo in cui tutto cambierà improvvisamente, coscienti che per quanto possiamo immaginare, anche loro che ne hanno già viste altre, non saremo
mai abbastanza preparati a quello che succederà in quei minuti.
La saliva si fa rara in bocca.
La gola si chiude e deglutire diventa un’operazione difficile quanto risolvere un integrale addormentati.
Sospiri…
Sospiri profondi cercano di incamerare abbastanza aria, ora resa frizzantina dalla quasi totale assenza di luce, nel tentativo di utilizzarla tra poco per non svenire a causa della mancanza di ossigeno.
Marco ormai è l’unico a dire cose sensate e ci guida verso la fase clou di questo nostro irripetibile
momento:
“Ragazzi, ci siamo quasi, tra poco vi dirò di togliere il filtro solare e gli occhialini per osservare
l’anello di diamanti! Intanto vado a vedere se il mio telefono è in funzione”
Come ormai tradizione, Marco documenta ogni eclisse riprendendo un video con il proprio telefono e facendo una specie di telecronaca dei concitati momenti in cui la mente e il corpo si abbandonano a un’emozione che non conosce confini.
Anche io, in extremis, decido di riprendere un video simile e con un po’ di nastro adesivo fisso
malamente il telefono alla base della montatura equatoriale, destando la curiosità, e un po’ lo sdegno, del giovane ragazzo giapponese di fianco a me.
L’orologio ricomincia a correre maledettamente veloce, ma mi ha almeno lasciato il tempo di scattare nella mente un’eterna fotografia che porterò sempre con me.
I pochi minuti diventano secondi.
La falcetta di Sole nel mirino della reflex, che ogni tanto si ricorda di scattare, si assottiglia sempre
di più a vista d’occhio. L’ammiro con stupore e meraviglia, realizzando di non essere mai arrivato a
questo punto.
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Mi vengono in mente i viaggi a Strasburgo per assistere a quella colossale delusione, e a Valencia,
nel 2005, per l’eclisse anulare, decisamente meno spettacolare.
Mi rendo conto, per qualche istante, dei perfetti meccanismi della Natura, che vanno ben oltre
quello che l’occhio riesce a vedere. Solo con l’aiuto della nostra potentissima mente, è possibile
rendersi conto che quella falcetta, ormai ridotta ai minimi termini, rappresenta la luce di una stella
distante 150 milioni di chilometri, la nostra unica fonte di vita, che viene coperta, per un perfetto
gioco geometrico, definito da altrettanto perfette leggi naturali, per un paio di minuti. Quel corpo
celeste luminosissimo, chiamato dagli abitanti di questo pianeta Sole, è migliaia di volte più massiccio e caldo della nostra piccola palla azzurra e risplende ormai da oltre 4,5 miliardi di anni, nel
vuoto e nell’assordante silenzio del Cosmo.
Mi perdo in pensieri che riescono a battere, in velocità, lo scorrere del tempo e l’instancabile tragitto di quei raggi di luce ormai quasi nascosti dal frastagliato e oscuro bordo lunare.
Mi perdo in sensazioni che non potranno mai essere sostituite, e neanche avvicinate, da niente di
quello che noi esseri umani, con la sindrome di onnipotenza, pensiamo di creare e invece, spesso,
distruggiamo.
E così, come velocemente mi sono perso diventando un tutt’uno con un Universo che ora sta dando un piccolissimo assaggio di se, allontanandomi per miliardi di anni nello spazio e nel tempo, altrettanto rapidamente vengo riportato a questa incredibile realtà dalla voce di Marco, che imponente
ed emozionata sancisce l’inizio del momento più importante delle nostre vite:
“Sta calando, ragazzi…”
Nessuno riesce a parlare, ma tutti s’inchinano in assoluta contemplazione…
Dieci secondi e Marco ci fa notare qualcosa che non avremmo visto, almeno non coscientemente:
“Guardate il cono d’ombra!”
“Si, eccolo!” gli rispondo senza naturalmente aver neanche capito cosa abbia detto.
“Guardate il cono d’ombra dietro!” ripete senza che nessuno gli risponda.
Forse l’ho visto, forse no; magari me ne ricorderò quando sarà finita l’esperienza e rivivrò ogni
momento. È tutto così veloce, che faccio fatica persino a sentire.
“Guarda, guarda, sta per cominciare il tramonto e là si interrompe, perché è da là che attacca
l’ombra!” continua sempre più emozionato e con il tono mano a mano più intenso, come un telecronista che sta osservando una fantastica azione che presto porterà a uno straordinario goal.
“Eccola, eccola…” parlo con un sussurro di voce scandito dai battiti del cuore che ora, credo, si
riescano pure a sentire.
“Ci siamo ragazzi!” ci avvisa Marco.
“Eccola!” ripeto di nuovo, quasi in lacrime, traguardando attraverso il mirino della macchina fotografica.
“Attenzione…” si sovrappone Marco, imponendo il silenzio di nuovo.
L’attesa è ora un momento di straordinaria perfezione: sappiamo cosa sta per succedere e abbiamo
la certezza che niente e nessuno ce lo potrà più strappar via.
Cinque secondi, non più, poi Marco ci introduce lo spettacolo con un crescendo rossiniano assolutamente toccante:
“Via gli occhialini, VIA GLI OCCHIALINI! SI CHIUDE!”
Scene di giubilo tra noi, ma l’emozione non ci consente altro, se non emettere strani gemiti e pochissime e ripetitive parole.
Io sono un disco ormai: “Eccola, eccola……”, mentre Malù si lascia andare a un: “che bello….”
interrotto dalle lacrime.
Non so cosa dicano gli altri, riesco solo a udire indistinti versi di meraviglia.
In un secondo gli occhialini vengono lanciati non so dove; il filtro solare strappato dal telescopio.
Il Sole, o meglio, quello che ne resta, è ancora troppo luminoso per l’occhio, che nota solamente
un’informe macchia brillante… che però pulsa! Sono le irregolarità della Luna che stanno per oscurare anche l’ultimo coriaceo spicchio.
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Atri cinque secondi e Marco, ormai fuori controllo, comincia a urlare all’Universo tutto quello che
succede:
”SI SGRANA, SI SGRANAA!!”
Io non parlo; Malù, di fronte a cotanto spettacolo, lancia un sommesso grido: “Aiuto, aiuto…!”
La luce sta scomparendo.
In due, tre, cinque secondi si verifica una trasformazione così rapida e imponente che non riesco a
registrarne alla perfezione tutti i cambiamenti.
Il cielo diventa buio, mentre quella luce accecante ed estesa, sempre più piccola e concentrata.
Per un attimo sembra di osservare un immenso e purissimo diamante cosmico, bellissimo quanto
surreale, brillare e scintillare come fosse illuminato da una grandissima fonte di luce.
Marco esplode utilizzando tutta l’aria dei suoi polmoni:
“ECCOLO!! ECCOLOOO!!! L’ANELLO DI DIAMANTEEE!!
GUARDALOOO!!! ... INCREDIBILEEEEEE!!”
Difficile, anzi, impossibile, riprodurre a parole il tono e tutto quello che nasconde con il suo irrompere prorompente nella calma surreale di questo posto affollato.
Pacate scene trionfali da parte di tutti.
Io non riesco più a pronunciare nulla se non un “maaaaaaa” lungo quanto la comparsa di questo
fenomeno, così poco conosciuto quanto invece emozionante.
Con le mani tremolanti e sudate, i piedi congelati inchiodati al suolo, cerco di scattare a ripetizione
mentre mi gusto il paesaggio cambiare ancora.
Un diamante cosmico nel cielo proprio di fronte a noi. L’ultimo spicchio di Sole sta per scomparire, il buio cala e noi
restiamo sbalorditi.
Si, perché ormai l’ombra della Luna, come una gigantesca coperta stesa a velocità incredibili, si
deposita su di noi.
Dalla parte opposta all’ultimo spicchio di luce, che se ne andrà tra pochi secondi, comincia ad apparire finalmente la sagoma nera del nostro satellite e un pizzico di corona solare.
Stupefacente… Indescrivibile.
Non riesco più a sentire e a rendermi conto del mondo circostante, rapito totalmente anima e corpo
da quello che succede di fronte a me.
“ohhhhhhhh” e “aiuto, aiutoo!!” sono tutto quello che io e Malù riusciamo a dire, mentre il diamante scompare in favore dell’oscurità.
La scena di fronte a noi cambia ancora repentinamente.
Come se fosse un’esplosione, nell’esatto momento in cui anche l’ultimo spicchio di luce se ne va,
si accende la corona solare che illumina come un anello quasi perfettamente circolare la sagoma nera della Luna.
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Totalità! Un sottile disco rosso ci rivela la cromosfera, mentre intorno la corona s’accende timida. È scesa la notte intorno a noi.
Non è reale, penso tra me e me.
Non è possibile che una scena del genere non sia stata partorita da qualche mago degli effetti speciali. È così assurda, e allo stesso tempo imprevista e spettacolare, che non si riesce a concepire.
Trascorrono dieci secondi e il mio occhio, ormai non più accecato dall’anello di diamante, riesce
ad assistere alla seconda esplosione solare: la corona improvvisamente schizza via per alcuni gradi
nel cielo, scuro ma non troppo.
Impossibile elencare tutte le sfumature che si vedono, i colori, i dettagli, le differenze di luminosità; Venere che ora brilla alto in cielo insieme ad altre stelle che non riesco a identificare.
Da questo momento in poi, anche Marco resta in silenzio.
Le lacrime di Malù vengono nascoste dall’oscurità ai miei occhi, ma non alle mie orecchie.
Io resto senza parole, scattando una foto ogni tanto, ma godendomi appieno il momento a occhio
nudo, di gran lunga lo strumento migliore per assistere a questo… non saprei come definirlo.
Guardo il delicatissimo fiore cosmico con il centro nero quanto il cielo circostante, e i petali, perfettamente stagliati, che si intrecciano gli uni negli altri in modo simmetrico. Non c’è delicatezza
migliore di quella che sto osservando, eppure, pensandoci bene, non c’è neanche maggior dimostrazione di potenza e perfezione.
Non si tratta di essere amanti del Cosmo e dell’astronomia, ma di ricordarsi semplicemente di avere una Vita al di fuori della vita, troppo spesso un insignificante ammasso di limitata routine, per
apprezzare l’assoluta perfezione di due forze opposte che in questi due minuti trovano il loro perfetto punto d’incontro qui, a pochi gradi di altezza sopra queste colline.
Quest’immenso fiore cosmico, reso ancora più grande dalla vicinanza all’orizzonte, quindi
dall’aiuto prezioso del nostro cervello, è sicuramente ciò che di più bello, toccante e profondo abbia
mai visto.
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Le foto non riescono a rendere giustizia alla scena e alla grande dinamica regalata dall’occhio, ma questa immagine in
HDR raffigura molto da vicino la visibilità della delicata corona solare a occhio nudo.
L’apparente immobilità della scena è in realtà solamente un’illusione, perché l’orizzonte intorno a
noi continua a cambiare repentinamente.
L’ombra della Luna, che si proietta sull’atmosfera rendendosi ben visibile, si muove con una velocità almeno doppia del più veloce aereo di linea.
Riesco a osservare di nuovo la scena nel complesso, solo per rendermi conto di quanto sia completamente fuori da ogni nostra esperienza.
Di fronte, il buio simile a una tipica serata venti minuti dopo il tramonto, ma tutto intorno, radente
all’orizzonte, un brillante anello allungato ci ricorda che questo evento indescrivibile è merce molto, molto rara. Poche decine di chilometri da questo luogo e il paesaggio a mala pena si rende conto
che qualcosa di straordinario sta accadendo nel cielo.
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L’ombra della Luna corre velocissima in cielo, spostando colori e sfumature in pochi secondi.
È una specie di alba al contrario, che spiazza perché cancella tutte le esperienze e i punti di riferimento che la nostra mente si è fatta durante tutti gli anni trascorsi su questo pianeta.
Ci si sente un po’ persi, strani, spaesati, e soprattutto dei minuscoli e insignificanti puntini, di fronte alla più prorompente manifestazione della natura che potremmo mai osservare durante il giorno,
anche dalle luminose città che hanno in tutti i modi cercato di cancellare il cielo notturno.
Possiamo fare del nostro meglio, anzi, del nostro peggio, per dimenticarci delle origini e vivere
una vita con la testa sotto la sabbia, senza affrontare il peso insostenibile della nostra mente che cerca risposte impossibili a domande difficili.
Ma se la Natura vuole ricordarci quale sia davvero il nostro posto in tutto questo meccanismo e la
nostra reale, infima, importanza, non c’è costruzione, luce, lampione, inquinamento, stupidità, che
tenga. Si può scegliere di accettarla con il rispetto che merita, oppure continuare a tutti i costi questa
finta miopia e sprecare l’unica opportunità concessa dall’Universo per poter ammirare la sua indescrivibile perfezione.
Quanti pensieri si affollano nella mia mente e sembrano congestionarsi tutti insieme in quello
stretto vicolo che unisce conscio e inconscio.
Scatto, scatto e scatto ancora senza sosta, non con la macchina fotografica, immagini che non cancellerò più per il resto della mia vita e che so fin da ora, per certo, cambieranno inevitabilmente il
corso dei miei eventi futuri.
Scatto e vorrei che non finisse mai, perché di questo spettacolo non se ne ha mai abbastanza.
Ma mentre penso questo, Marco riprende a parlare e
pronuncia parole che non avrei mai voluto sentire:
“Ragazzi si apre, si apre! Ecco l’anello di diamante di
nuovo!”
Il tempo sembra riaccelerare incredibilmente.
L’anello dura forse una frazione di secondo. Io cerco
di restare disperatamente attaccato all’ultimo pezzo di
corona solare che continua a vedersi esattamente dalla
parte opposta.
Mi ci attacco con tutte le mie forze e con la fotocamera, che scatta con tempi lunghi nonostante ormai la luce
solare stia per oscurare di nuovo quei delicati petali di
Due minuti, né un secondo di più, né uno di
seta bianchissimi, appena contemplati per la prima volta
meno,
e tutto sta già per terminare.
dopo un’attesa durata anni.
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Resto aggrappato all’ultimo spicchio di corona come un ubriaco al proprio lampione; ma la Natura non si può fermare,
solo ammirare. L’eclisse totale è terminata dopo appena 120 secondi.
M’aggrappo a tutto, ma inutilmente.
La Natura è così. Di certo non ascolta le grida sconclusionate e incomprensibili di qualche piccolo
essere umano, che arriverebbe persino a fermare l’Universo intero per soddisfare il proprio gusto
personale.
Ed è proprio da questa constatazione che nessuno di noi, benché irrazionalmente lo desideri, si azzarda ad alzar la voce in segno di disappunto o, peggio, a inveire contro qualcuno o qualcosa che di
certo non potrebbe mai sentirci.
Tutto il contrario, invece.
Con il primo spicchio di luce stabile che compare e segna il definitivo addio della corona solare,
tutto il campo, rimasto in silenzio, si lascia andare a un lungo e scrosciante applauso in segno di meraviglia, rispetto e pura emozione verso l’evento più toccante e grandioso mai visto.
Questo sapore agrodolce, che tutti sentiamo in bocca non appena il giorno ricomincia il suo normale cammino, è probabilmente quella sensazione che accompagnerà e condizionerà le mie scelte
future. Perché se questa è un’esperienza che va almeno vissuta una volta nella vita, è altrettanto certo che non vi si potrà mai più rinunciare dopo avervi assistito.
Io, almeno, so già che non lo vorrò più fare.
Lo so perfettamente.
Andrò alla caccia di molti altri due minuti in giro per il mondo; non importa dove, come e quando.
Tutto ora sembra finito.
È passato un minuto dalla nuova alba e la grande danza cosmica ormai si proietta verso un finale
che non interessa più a nessuno. Io non scatto neanche più, anzi, spengo la fotocamera. Lo stesso
fanno Marco e Francesco.
Di quanto successo pochi secondi fa, in cielo e in terra, non c’è già più traccia. Anche questo, nel
suo velo di tristezza, fa parte dello spettacolo e bisogna accettarlo.
Marco addirittura decide di voltarsi e dirigersi probabilmente verso il telefono. In cerca di una guida che possa aiutarmi in questo momento di assoluta confusione, anche io, istintivamente, mi volto
e seguo i suoi movimenti.
Sono totalmente indifeso in questo momento, frastornato dagli eventi e incapace di qualsiasi gesto
volontario.
Improvvisamente sopraggiunge un grido che scuote tutta la provata calma del campo:
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“Guardate sul cofano della macchina! Le ombre volanti, LE OMBRE VOLANTIIII!!!! Non ci
posso credere! Sono qui sul cofano, guardate!!”
Pochi tra di noi hanno capito il significato di queste parole gridate, figuriamoci gli altri appassionati. Tuttavia, da ogni parte di questo campo accorrono per capire cosa sta facendo un tizio con una
bandana in testa e maglia arancio che fissa come un maniaco il cofano bianco di un’utilitaria, agitandosi come un indemoniato.
Mi avvicino rapidamente con l’altra fotocamera in mano e non riesco a credere ai miei occhi: sul
cofano dell’auto si susseguono velocissime delicate ombre, come se qualcuno stesse aprendo le decorate tende di un ampio finestrone e osservasse i giochi di luce scorrere via sulla parete.
Sono le famose, e per certi versi leggendarie, ombre volanti, degli effetti che si verificano appena
dopo il termine della fase totale di un’eclisse (e poco prima dell’inizio della totalità) dovuti presumibilmente alla diffrazione della poca luce solare attraverso le strette vette lunari che scorrono via a
grande velocità, come se la Luna fosse l’immensa tenda che si apre su questo spazio privilegiato in
mezzo al deserto.
Sono a bocca aperta per quest’ultimo colpo di coda di un’eclisse che sembra davvero non voler finire, e assicurarsi la certezza di essere ammirata di nuovo la prossima volta, in qualsiasi parte del
mondo si verifichi. Non c’è pericolo…
Anche Marco è incredulo: lui, veterano, non ha mai assistito a questo fenomeno che ora si mostra
persino evidente, quasi fastidioso, di fronte ai nostri occhi.
È probabilmente lo stesso che poco prima dell’inizio della totalità ho ammirato direttamente sulla
luce pulsante del Sole.
A stento il tempo per fare un video che probabilmente non sarà affatto chiaro, e anche quest’ultimo
regalo svanisce nel nulla, come se non fosse mai accaduto.
Ora l’eclisse è davvero terminata.
Lentamente, dopo lo sconvolgimento totale del paesaggio durato appena 120 secondi, tutto torna velocemente alla
normalità. Dell’evento straordinario accaduto pochi minuti prima non c’è già più traccia.
Osservare le ultime fasi parziali fino allo scomparire della Luna, sarebbe solamente un accumulo
di ricordi inutile, che avrebbe l’unico scopo di aumentare la nostalgia per quanto successo.
Decidiamo allora di festeggiare la riuscita di quest’avventura, iniziata una ventina di ore fa, con
una bella e improvvisata colazione collettiva.
Come in una grande famiglia, tutti i provvisori abitanti di questo campo si scambiano pareri, sorrisi, emozioni e cibo.
Noi stendiamo un paio di teli in terra e, in perfetto stile italiano apparecchiamo la tavola di provviste che non pensavamo nemmeno di avere.
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Io decido di terminare l’ultimo quarto di pollo arrosto rimasto dalla cena precedente… si, per colazione… è così che scelgo di festeggiare!
Noccioline, dolcetti, patatine e panini corrono su questo telo color rosa acceso, che ieri sera ha fatto da tovaglia alla nostra cena sotto le stelle.
Una foto di gruppo con l’autoscatto della fotocamera di Marco, ha già il sapore di un ritratto
d’epoca che, stampato e ingiallito su carta fotografica di dubbia qualità, rappresenterà motivo di
vanto e di nostalgia tra qualche anno con coloro che saranno i miei discendenti, magari riuniti ad
ascoltare i racconti di un signore, ormai vecchio, che ricorda con una lacrima sull’occhio destro la
sua prima eclisse di Sole e, soprattutto, la prima vera volta in cui ha condiviso con altri il suo più
grande amore.
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L’incredibile bellezza delle aurore polari
Nella mia giovane vita ho avuto la fortuna di assistere quasi a tutti i fenomeni celesti. Alcuni, come il cielo australe e l’eclisse totale di Sole, li ho inseguiti fino all’altra parte del mondo, non arrendendomi mai neanche di fronte a subdoli scherzi del destino.
Dopo l’indimenticabile esperienza australiana mi rimaneva solo un altro fenomeno da osservare, a
dire il vero non molto conosciuto e apprezzato tra gli appassionati italiani, eppure quasi idolatrato
tra gli amatori di oltre oceano, al punto da dedicargli decine di guide e siti web: le aurore polari, che
gli anglosassoni usano chiamare anche luci del nord (o del sud).
La loro descrizione fisica di per sé non comunica molto a livello di emozioni e alla fine, forse, non
è neanche necessaria conoscerla, perché le aurore sono probabilmente l’unico fenomeno celeste che
si dovrebbe ammirare in uno stato puramente contemplativo, con gli occhi, la mente, il cuore e persino l’anima, rivolti verso uno degli spettacoli più grandi della natura.
Cosa sono
In qualità di astronomo e indossando ora anche le vesti di narratore, non posso sorvolare sulla
spiegazione astronomica. Chi è interessato all’argomento spero se la leggerà con gusto e passione;
chi è invece impaziente di capire come si manifestano effettivamente nel cielo, troverà in queste righe di attesa un ottimo intermezzo per far crescere esponenzialmente la propria curiosità.
Le aurore polari sono fenomeni che si manifestano, come suggerisce il nome, tipicamente in regioni adiacenti i poli terrestri, sia nord che sud. Orientativamente possiamo circoscrivere un’area attorno alla quale la frequenza delle aurore è molto elevata che corrisponde all’incirca a due ovali sovrapposti ai circoli polari nord e sud, quindi a latitudini medie di ±66°.
In realtà le cose sono un po’ più complicate da una geometria particolare che nel corso di queste
righe cercheremo di comprendere meglio, ma per ora diciamo che le aurore polari sono visibili con
una certa frequenza attorno al circolo polare artico per le regioni europee, fino a 50° di latitudine
nel continente nord americano e, sebbene un po’ più raramente, si estendono dal polo sud fino a 45°
di latitudine sud, incontrando le coste della Nuova Zelanda.
Salta quindi subito all’occhio che una spedizione all’inseguimento di questi meravigliosi fiumi di
luce colorati debba prevedere delle spedizioni, almeno per noi europei, verso il grande nord, tipicamente in Islanda, Norvegia o Lapponia, una regione che abbraccia le regioni settentrionali di Svezia
e Finlandia.
Perché le aurore si vedono solamente in queste aree? Cos’hanno di speciale?
Senza prolungare ulteriormente la feroce attesa, diciamo subito chi sono i protagonisti di questo
spettacolo: il campo magnetico della Terra e il Sole.
La nostra stella è la causa scatenante. Per creare le aurore, infatti, l’ingrediente principale è un
flusso denso (astronomicamente parlando) e veloce di particelle cariche, tipicamente elettroni, protoni e nuclei di elio. Queste sono prodotte dal famoso vento solare, un flusso proveniente dalla superficie del Sole e collegato con l’attività, a volte esplosiva, della fotosfera e della corona.
Il vento solare è sempre presente, ma in media la densità delle particelle è molto bassa, spesso inferiore a una ogni centimetro cubo, non sufficiente per generare belle aurore.
Durante i periodi di massima attività solare, tuttavia, che si susseguono ogni 11 anni, sulla superficie della nostra stella aumenta in modo esponenziale il numero di macchie solari, delle vere e proprie bombe pronte a scagliare nello spazio, attraverso esplosioni immani dette brillamenti, enormi
quantità di particelle cariche.
Un altro evento che invia nello spazio enormi quantità di particelle cariche proviene dalla corona
solare ed è denominato CME (Espulsione di Massa Coronale), generalmente più potente dei brillamenti associati alle macchie solari e potenzialmente persino pericoloso per apparecchiature radio e
satelliti in orbita attorno alla Terra.
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Qualunque sia l’origine, quando questi enormi flussi di particelle, che viaggiano fino a 1000 km/s,
giungono sulla Terra, vengono deviati dal nostro campo magnetico che gli impedisce di raggiungere
direttamente l’atmosfera e produrre seri danni sia chimici che fisici. A causa della particolare forma
delle linee del campo magnetico, tuttavia, una piccola parte di queste particelle viene incanalata in
strette regioni centrate proprio attorno alle zone polari e riesce a raggiungere l’alta atmosfera.
A circa 100 chilometri di altezza le particelle cariche si scontrano con un vero e proprio muro
d’aria composto da azoto e ossigeno. Gli urti tra particelle e molecole sono così violenti che queste
vengono scisse in gran numero. Pochi istanti dopo (miliardesimi di secondo), tuttavia, atomi e molecole d’aria si ricombinano tra di loro e in questo processo emettono energia luminosa, la luce che
fa accendere in cielo l’aurora polare.
La spiegazione è stata volutamente semplificata ma a noi, per ora, basta capire che l’impatto di
particelle cariche con l’aria è la causa dell’emissione della tipica luce delle aurore. In che modo e
quanta dipende da quante sono, quanto sono veloci e quali direzioni hanno le particelle cariche, ed è
qui che l’aurora diventa imprevedibile e, spesso, spettacolare.
L’aurora si forma quando alcune particelle di vento solare vengono incanalate dal campo magnetico terrestre verso le
regioni polari. Le particelle cariche urtano atomi e molecole dell’alta atmosfera scindendoli. Quando i gas di ricombinano emettono luce che diventa visibile come una splendida aurora.
Aspettano il fiume di luce
Internet e i siti web specializzati pullulano di immagini e filmati time-lapse che ritraggono le aurore, ma nessuno di questi può neanche lontanamente avvicinarsi alle emozioni che si provano e a ciò
che l’occhio riesce a vedere quando sotto l’aurora ci siamo davvero.
Tutto inizia da una notte gelida di fine inverno 200 km all’interno del circolo polare artico.
Inizia con tanta speranza e una grandissima incertezza, perché nessuno potrà mai prevedere se e
cosa si vedrà. Ogni serata, infatti, è diversa e non c’è modo di fare previsioni accurate su quello che
accadrà. L’adrenalina, quindi, si mantiene alta sin dal tramonto di un Sole che sembra davvero strano.
Alle nostre latitudini, a fine febbraio, la nostra stella compie già un bell’arco in cielo, ma nel grande nord le cose sono molto diverse; sembra quasi che le geometrie celesti che si conoscono sin
quando si è bambini qui non valgano più.
Abisko è un paesino di meno di 100 abitanti incastonato in una delle zone più remote e incontaminate dell’Europa, nella Lapponia svedese, a una latitudine di +68°.
Arrivarci dopo quasi due ore di macchina dall’aeroporto più vicino, situato nella cittadina di Kiruna, non è stato semplice, ma l’entusiasmo di una nuova avventura e la bellezza di un paesaggio degno del più bel film fantasy, cancellano tutti gli effetti collaterali che abbiamo dovuto subire per
spingerci fino al regno di ghiaccio. Sì, un vero e proprio regno dove il ghiaccio è un elemento natu28
rale e comune come per noi lo è la terra. Non più una disgrazia in grado di bloccare strade, città e
un’intera società per pochi fiocchi e pure bagnati. Qui il ghiaccio è il manto con cui si pavimentano
le strade e che misto a sottile ghiaia, finissimi solchi e aggredito dalle ruote chiodate delle auto offre
un’aderenza migliore delle più pulite strade sterrate nostrane.
Strade lastricate di ghiaccio per noi sarebbero una trappola infernale. Qui invece, nel grande nord, il ghiaccio è un perfetto manto stradale, se lo si affronta con una macchina dotata di pneumatici chiodati.
Qui il ghiaccio è un elemento paesaggistico che rende tutto incantato; è materiale da costruzione
per case e addirittura letti e interi alberghi; è persino fonte di acqua, più pura, dolce e incontaminata
di quella delle nostre sorgenti, a tal punto che alla reception dell’hotel non capiscono perché tu stia
chiedendo una bottiglia d’acqua naturale quando quella che scorre nei rubinetti è più pulita che mai
(tanto che non hanno bottiglie d’acqua naturale). E’ il materiale perfetto con cui costruire sentieri
che si arrampicano tra le dolci montagne affettate dallo scorrere dei ghiacciai; un perfetto effetto
scenico quando si ha di fronte un’enorme cascata di venti e più metri completamente congelata. Il
ghiaccio qui rappresenta anche una perfetta scorciatoia per attraversare un lago lungo decine di chilometri: perché costruire un ponte quando una slitta da neve può semplicemente camminarci sopra
in tutta sicurezza?
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Tutto è ghiacciato, persino il lago, che diventa una perfetta ed economica autostrada. Benvenuti in Lapponia.
Ma il ghiaccio, difficile a crederlo, è anche un perfetto isolante dal freddo pungente della notte artica. La sua presenza non è aleatoria ed effimera come qui da noi. Lassù, nel grande nord, il ghiaccio resta per mesi e assume la consistenza di un’immensa distesa di fine polvere bianchissima che si
alza imponente al passaggio dei nostri pesanti stivali, e che non ne vuole sapere di amalgamarsi.
Nel grande nord è impossibile fare a pallate di neve, semplicemente perché questa polvere d’acqua
ghiacciata non contiene umidità ed è così fredda che i cristalli volano liberi nell’aria già con un minimo alito di vento.
Ci si sdraia su questo tappeto di zucchero, con i vestiti imbottiti che ci fanno sembrare degli astronauti, e si sta morbidi e al caldo per ore. Quando ci si alza per sgranchire le gambe tutto è perfettamente asciutto e l’unica cosa che si vorrebbe fare è nuotare e rotolare di nuovo in questa piscina di
minuscoli pallini di polistirolo, come se si fosse degli eterni bambini.
E finché il Sole non cala e l’aurora non si accende, questa è la mia attività preferita, come un bambino che per la prima volta gioca con un materiale fino a quel momento temuto e in gran parte sconosciuto.
Già, il Sole, torniamo a quello che ora è il nostro nemico, l’ostacolo tra noi e l’aurora. Sorge sornione verso le 7 della mattina. A mezzogiorno è alto una decina di gradi; le ombre sono allungate e
sembra che non ne voglia sapere di star per molto sopra l’orizzonte. E noi, impazienti come non
mai, ci sfreghiamo le fresche mani pregustando già la vicina notte stellata. In realtà la sua marcia
verso l’altro estremo dell’orizzonte è di una lentezza esasperante. Lo si spinge con la mente, con il
cuore, persino con assurdi riti e improbabili filastrocche, e quando alle 17 sembra finalmente aver
sentito tutte le nostre imprecazioni e si getta sotto l’orizzonte, regala un crepuscolo interminabile di
tre e più ore.
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28 Febbraio 2014, il Sole a mezzogiorno è alto appena un pugno di gradi. Eppure per tramontare ci mette un’infinità di
tempo.
Il momento è arrivato
Sono le 20 e il cielo è ancora chiaro; ci si chiede come sia possibile e se mai avrà inizio la notte.
Io e il Marco più anziano, irrazionali e impazienti, ci siamo già ritrovati casualmente fuori per un
paio di sopralluoghi. Il cielo sembra velato, ma qualche stella si vede e Giove è un faro. Non ci resta
che sperare e avere la forza di aspettare che il chiarore del tramonto se ne vada presto.
Impazienti e nervosi decidiamo di andare a cena abbandonando gli ingombranti abiti termici al posto di qualcosa di più comodo e meno caldo, sperando che l’imminente pasto riesca a far passare il
tempo e che questa sera, dopo la cocente delusione avuta ieri sotto chilometri di nuvole e nebbia da
pianura padana, l’aurora si mostrerà a noi.
Nell’aria c’è speranza, tensione e tanta paura in ogni gesto, mano a mano che il crepuscolo si affievolisce. Un sentimento irrazionale che sta per sfociare nella fobia di non veder nulla, alimentata
più della benzina sul fuoco dal fatto che una delle tre notti è già trascorsa e ci ha regalato solamente
delusione. Una disperata delusione tappata da neve e nuvole che hanno nascosto a noi e a pochi altri
uno degli spettacoli più grandi degli ultimi dieci anni, una fiammata dell’aurora che si è spinta addirittura fino all’Inghilterra e alla Danimarca.
Si ha la sensazione di non poter far nulla, di aver perso la grande occasione; la beffa di un destino
che a volte sembra fin troppo crudele. E oggi, dopo che il Sole ci ha quasi abbronzato, il cielo si è
improvvisamente velato proprio al tramonto. Sarà il presagio di un’altra serata nuvolosa?
Il cuore è in gola; le mani tremano in questa calda stanza d’hotel più di quando oggi a -10°C scalavano senza guanti la cima di una montagna.
Con molta calma percorro il corridoio lungo che separa la mia camera da quella dei due Marco e
dalla hall e mano a mano che mi avvicino sento l’inconfondibile caciara che solo un gruppo di ita31
liani può fare. E chi altri possono essere se non i miei compagni di avventura, visto che di altri connazionali in questo albergo non ve ne è traccia?
Incuriosito mi avvicino alla loro porta aperta e improvvisamente vengo proiettato in un altro mondo come un potentissimo razzo.
Il Marco più esperto, l’organizzatore del viaggio, mi guarda con occhi lucidi e sprizzanti una felicità senza pari e poi esclama, incurante del casino che sta facendo:
“C’è!!! C’è l’aurora fuori! Vieni a vedere, andiamo a vedere, s’è accesa!!!”.
Mentirei se dicessi che mi ricordo le azioni e il tragitto fatto dopo questa sua frase; so solo che in
un lampo ci siamo proiettati fuori in felpa, jeans e scarpe da ginnastica, fregandocene dei -10°C e
con lo sguardo rivolto in alto.
E appena usciti il battesimo dell’aurora è stato ufficiale. Nel cielo ancora un po’ chiaro, sotto i
lampioni dell’hotel, in mezzo a gente che in mezze maniche si gode la fresca serata e se ne frega di
quello che accade in cielo, io non vedo altro che pura meraviglia. Da orizzonte a orizzonte, proprio
sopra di noi, due lunghissimi fiumi verdognoli, in apparenza fermi, sembrano trasportare milioni di
litri d’acqua celeste. L’aurora, Signori; questa è l’aurora. Non posso crederci, non riesco a capire,
non posso pensare. Vedo molto bene delle tenui striature e percepisco anche il loro lento movimento; ammiro l’acqua cosmica muoversi, la corrente trasportare via me e tutte le paure.
Questo è uno di quei eventi che non dimenticherò mai, scolpito nella mia memoria fino alla fine
dei giorni, lo so già. E poco importa se l’altro Marco, l’astrofilo navigato, quasi mezzo schifato esclama:
“Sì, va beh ragazzi, ma che è sta schifezza. Aspettate di vedere l’aurora vera, questa non è niente a
confronto”. Probabilmente ci crede a quello che dice, anzi, ne sono sicuro, ma il suo comportamento tradisce un sentimento che la razionalità del suo pensiero non riesce a tenere a bada per molto
tempo. E infatti in questo piazzale composto e pieno di persone che si godono la propria vita in pace, noi 5 italiani bambini urliamo come se in cielo avessimo visto la mistica apparizione di qualcosa
di sovrannaturale. E probabilmente, almeno per noi, drogati di astronomia e ubriachi di vita, è proprio così. Tra gesti di giubilo, scatti improbabili delle nostre macchine fotografiche e un freddo che
non è mai stato così caldo, ci godiamo questo momento con la speranza, fortissima, che sia solamente l’inizio di una serata memorabile.
Io vago nel piazzale bianco cercando un pizzico di solitudine e un riparo dai lampioni. Scatto immagini mentali di tutto quello che sto vedendo; con gli occhi, con il respiro di quest’aria pura e profumata, con la pelle che non trema al freddo di quest’assaggio di notte polare.
Non so chi lo abbia fatto notare, ma sono già passate le 20 e noi abbiamo un appuntamento al ristorante sottostante di cui ora faremo volentieri a meno. La cena, da piacevole passatempo per scaricare la tensione in vista della nottata decisiva, si è appena trasformata in un enorme impedimento
tra noi e il cielo, tra noi e il puro godimento.
La voglia di saltarla è enorme, ma Marco, più esperto e razionale, ci convince che in realtà questo
spettacolo è solo un antipasto e che dopo la cena potremo assistere a qualcosa di grandioso, quindi
tanto vale mangiare velocemente e poi andarcene in un luogo più scuro per godere del nostro attimo
di eterno stupore. E allora, tra una foto e l’altra, tra un “dammi un minuto” e l’altro, con estrema fatica ci convinciamo a rientrare dentro, anche perché l’aurora sembra darci una piccola tregua.
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La prima aurora, con il cielo ancora chiaro, appena fuori dall’hotel, resa ancora più suggestiva dall’inaspettato flash di
un satellite iridium. Una visione spettacolare.
Entriamo nel ristorante esaltati e irrequieti, sperando di finire presto quest’imprevista carcerazione.
Ci sediamo e la prima cosa che facciamo è accedere alla pagina web che propone le immagini in di33
retta dell’aurora, proprio da una stazione a pochi chilometri da qui. Se il cielo si accenderà come
hanno raccontato i due Marco qui di fronte a me, scapperemo fuori di corsa portandoci dietro
chiunque si intrometterà sulla nostra strada!
Dopo l’ora più lunga della mia vita, arriva finalmente il grande momento. L’aurora sembra averci
aspettato e noi, di fretta, ci vestiamo come astronauti e ci incamminiamo, speranzosi e con gli occhi
più scintillanti di queste stelle sopra di noi, verso una lunga salita innevata che ci porterà in cima alla collina, là dove ci aspetta un grande piazzale privo di luce e, per gli amanti del caldo, la baita riscaldata.
La salita, nonostante sia ripida, non la sente nessuno: corriamo come degli adolescenti e scoppiamo di caldo come fossimo in pieno agosto.
L’unico momento per riposare è quando ogni poche decine di secondi rallento perché cerco lo
sguardo al cielo per vedere cosa mi riserva. Intravedo qualcosa. In una situazione normale avrei detto nuvole, ma so che è l’aurora perché qui non ci sono così tante luci nel raggio di 300 km da illuminare talmente bene il cielo.
Lungo è il tragitto e la tentazione di fermarsi per fotografare ma sento, sentiamo, che non c’è tempo, che dobbiamo arrivare prima possibile nella nostra postazione.
E così, dopo una sfiancante corsa, giungiamo nel piazzale gremito di altri osservatori. E non c’è
tempo neanche per cercare la posizione migliore che il cielo s’accende davvero.
Di fronte a noi, senza il minimo sentore, precipita giù a grande velocità un’immensa cascata color
verde acceso. Si sgrana, si muove come un serpente irrequieto; sembra quasi di vedere le scaglie
che fanno presa sul terreno. Le differenze linguistiche di tutti questi curiosi che condividono il piazzale, provenienti da ogni parte d’Europa, si abbattono all’istante di fronte allo spettacolo
dell’Universo, davanti allo stupore più puro che tutti gli uomini esprimono allo stesso modo, con la
stessa parola trascinata all’infinito: Wooow.
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Il cielo esplode di colori difficili da immaginare e riportare su una fotografia.
L’aurora ci strega tutti e ci coinvolge attivamente nello spettacolo dell’Universo.
L’aurora nel cielo danza senza fine e tutti noi siamo a corto di fiato. Il serpente si ingrandisce, si
circonda di amici, si colora a tal punto da illuminare di verde il paesaggio intorno. E’ una sensazione di rara bellezza perché mai nessuno ha visto l’Universo muoversi persino più veloce di quanto il
nostro cervello riesca a elaborare. Di fronte a noi, poi dietro, poi ancora sopra, proiettando sulle le
nostre teste un’inquietante ma affascinante effetto pioggia, una pioggia velocissima e colorata che
sembra investirci. Ma tutti sappiamo che non c’è alcun pericolo; lo sappiamo non con la ragione ma
con il cuore. Sappiamo che questa meraviglia è troppo bella per ferirci e allora, invece di aprire
immaginari ombrelli per ripararci, allarghiamo le braccia sperando di raccogliere questa pioggia lucente che tinge il cielo e tutto il nostro mondo.
Ci si sente allo stesso tempo piccoli e grandi, insignificanti e potenti perché noi fragili esseri, minuscoli per un Universo ben più esteso della nostra immaginazione, abbiamo l’enorme dono di poter assaporare con coscienza questo spettacolo. Ci si rende conto di avere la responsabilità, bellissima, di sentirsi ambasciatori dell’Universo stesso, che attraverso di noi acquista coscienza della sua
grandiosità, compiacendosi del perfetto lavoro che ogni volta riesce a svolgere.
Passano i minuti, ma l’irrequieto turbinio del cielo non si vuol placare e noi non possiamo che ringraziare e sentirci, una volta tanto, davvero fortunati.
Lentamente riacquistiamo abbastanza lucidità per iniziare a fare qualche improvvisata fotografia,
ma l’aurora è così intensa che già con qualche secondo di esposizione, con le stelle che si vedono a
malapena sul fotogramma, la luce verde diventa bianca da quanto è luminosa.
Ognuno di noi, ora, è solo; solo con il suo mondo, solo nel suo personale rapporto con il cielo. E
questa solitudine condivisa fa parte del gioco e rende tutto semplicemente unico.
Provo ancora a fare qualche scatto con quello che ho. L’aurora è così estesa che ci vorrebbe un
grandangolare ma io non ce l’ho. Riprendo a 800 ISO, con il diaframma tutto aperto per una decina
di secondi al massimo, sperando di fermare il movimento del serpente, ma invano. Benché i colori
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siano più evidenti in fotografia, l’occhio ha una visuale, una dinamica e soprattutto un tempo di esposizione così breve che è l’unico strumento capace di congelare i movimenti di questi fiumi di luce color smeraldo. Nessuna foto può rendere l’idea di movimento e rappresentare degnamente le
sottili e lunghissime linee seguite dalle particelle luminose.
Proprio per questo decido di impostare automaticamente la fotocamera, puntata in una zona a caso
del cielo, e sedermi in terra, meglio, sulla polvere di ghiaccio, per ammirare in silenzio questo spettacolo unico fino a quando non si stancherà di mostrarsi a noi.
Il grande Carro, altissimo sull’orizzonte, è ricoperto di tenui veli verdi e rosati. Altro che nuvole e inquinamento luminoso: questa è la Natura!
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Le Pleiadi a queste latitudini sono circumpolari e viaggiano quasi parallele all’orizzonte, incrociando più volte i magici fiumi colorati dell’aurora.
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E improvvisamente, quando meno ce lo aspettiamo, un tornado di luce rischiara il cielo e tutto l’ambiente intorno a
noi.
Qualche consiglio utile
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Al di là dell’indescrivibile portata emotiva ci sono dei consigli, oltre a quelli già visti nel racconto
di parte della serata, che possono fare la differenza tra vedere uno spettacolo e ricevere una grande
delusione.
Ecco i principali:

Dove andare? Come detto, le aurore si vedono molto spesso, per noi osservatori europei, nelle zone del circolo polare artico, quindi i luoghi sono l’Islanda, la Lapponia e la
Norvegia del nord. Le località migliori sono Tromsoo, nel nord della Norvegia, e il parco
nazionale di Abisko, statisticamente i luoghi con maggiore probabilità di trovare bel tempo,
perché la grande incognita è proprio rappresentata dalle condizioni climatiche. L’Islanda
sotto questo punto di vista appare leggermente sfavorita, anche in conseguenza del costo
maggiore del biglietto aereo.

Quando andare? Le aurore sono direttamente legate all’attività solare. Sebbene nelle regioni del circolo polare una minima attività ci sia quasi tutte le notti, il periodo migliore
è sicuramente quello a cavallo dei massimi di attività del Sole, che si verificano ogni 11 anni. Il massimo attuale, già estremamente debole rispetto ai passati, dovrebbe aver raggiunto
il picco nel 2013 o 2014, quindi ci si aspetta una diminuzione dell’attività nei prossimi anni.
Se quindi vogliamo avere maggiore possibilità di vedere le grandi aurore, meglio sbrigarsi o
rimandare tutto tra una decina di anni. Belli spettacoli si possono vedere anche durante il
minimo dell’attività solare, ma sono molto più rari. Poiché è impossibile prevedere l’arrivo
delle aurore se non entro poche ore, se abbiamo a disposizione solo poche notti è meglio
scegliere un periodo in cui statisticamente sono più presenti, altrimenti si corre il serio rischio di non vedere lo spettacolo che ci si aspettava.
Durante l’anno i periodi migliori sono l’autunno (Ottobre-Novembre) e fine inverno (Febbraio-Marzo), quando l’attività è generalmente maggiore. Scordiamoci di andare tra Aprile e
Agosto perché nel grande nord non troveremo mai la notte.

Come osservare al meglio le aurore? Se siamo già nella latitudine corretta, allora
poche ore prima della notte possiamo controllare alcuni siti web, tra cui
www.spaceweather.com , che pubblicano le previsioni dell’attività aurorale per le successive 24 ore. Queste sono però da prendere con le molle, perché non possono essere complete.
Anche in una serata apparentemente tranquilla possono capitare 10 minuti di fuoco in cui
l’attività si accende improvvisamente. Il modo migliore, quindi, se tanto abbiamo già fatto il
viaggio, è scegliersi un luogo buio, ripararsi bene dal freddo e osservare per tutta la durata
della notte, o almeno finché non ci stanchiamo. Sulla direzione in cui guardare, generalmente l’attività comincia sempre da nord, ma non è raro un interessamento di tutto il cielo. Non
preoccupiamoci comunque troppo della direzione: quando l’aurora comparirà ce ne accorgeremo senz’altro!

Come fotografarle? Basta una reflex digitale su un normale treppiede, munita di un
obiettivo grandangolare o dalla corta focale (massimo 18 mm). Non serve una montatura
equatoriale perché le esposizioni per le aurore vanno da 5 a massimo 30 secondi, un tempo
sufficiente per non mostrare la rotazione delle stelle. Meglio avere il diaframma tutto aperto
e sensibilità tra gli 800 e i 1600 ISO. Il tempo di esposizione dipende dalla luminosità
dell’aurora e dal suo movimento. Se questa è veloce, come spesso accade, un tempo breve,
attorno ai 10-15 secondi, ne congelerà lo spostamento e mostrerà facilmente le tenui striature. Un tempo più lungo impasterà i dettagli, facendola sembrare un lungo e morbido fiume.
Il paragone con uno specchio d’acqua calza a pennello: pose brevi congelano le onde, pose
lunghe danno un affascinante effetto sfumato.

Come proteggersi dal clima? Il freddo a queste latitudini non perdona. Di notte la
temperatura può scendere anche a -30°C. Benché sia molto secco, quindi non il classico
freddo nostrano che entra nelle ossa, è assolutamente indispensabile proteggersi molto bene.
Le strutture ricettive spesso offrono la possibilità di noleggiare speciali indumenti termici
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(tuta, guanti, cuffia, stivali), che indossati sopra un abbigliamento pesante svolgono un lavoro eccezionale e ci terranno al caldo per tutta la notte.
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