Memoria, tessuto connettivo dell`esperienza umana

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Memoria, tessuto connettivo
dell’esperienza umana
“Come nani sulle spalle dei giganti”
Giovanni Paolucci
Classe VF
Anno scolastico 2005 - 2006
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dell'esperienza umana
"Come nani sulle
spalle dei giganti"
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2005 - 2006
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Come nani sulle spalle dei giganti 1
Ciò che mi ha mosso a scrivere sul tema della memoria è la scoperta di essa nella vita di un
uomo che ha incontrato il Cristianesimo come un fatto autentico, presente e reale. Per i cristiani
la memoria è l’origine della vera moralità e del desiderio. Essa rende infatti presente l’Avvenimento, che, sebbene appartenga al passato, può cambiare oggi la vita, perchè vivo nel presente.
È un pò come il vento: ne odi la voce, ma non sai da dove viene. Allo stesso modo, della
memoria ne vediamo gli effetti, ma non conosciamo il modo in cui essa opera in noi.
La memoria è allora un avvenimento del passato che ha il potere di cambiare il presente.
Moralità è amore al vero che supera l’idea che di esso ci siamo fatti. Quest’ultima va infatti
verificata, potrebbe non essere veritiera, potrebbe non corrispondere al reale. La verifica è nell’esperienza: la memoria ci fa fare esperienza dell’avvenimento. In questo senso la moralità nasce
dalla memoria.
La crisi del mondo contemporaneo, e quindi anche di certo cristianesimo, sta nell’aver ridotto
la memoria a ricordo. Il ricordo è rinchiuso nella dimensione passata, è passato che muore nel
passato.
Il Novecento è il secolo della tristezza, dell’assenza, poichè è il secolo del ricordo. Da tutta
la poesia e dall’arte del Novecento scaturisce la nostalgia di un bene assente. Il divertissement
moderno non è che la riduzione dello scopo della vita alla semplice ricerca di piacere, di una distrazione capace di distoglierci da questo dramma esistenziale. Tuttavia questo “volgere la testa”
è destinato a lasciare l’amaro in bocca, perchè il piacere è incapace di durare, muore in se stesso.
La riscoperta della propria identità, del proprio spessore umano attraverso la memoria è
rappresentata magistralmente da Vincent Van Gogh nei Primi passi: il bambino riesce a camminare, a essere davvero se stesso, solo prendendo tutto dal padre, affidandosi a lui fino in fondo,
fino a scoprirsi uomo.
1
Bernardo di Chartres, XII secolo
1
1. Sant’Agostino: memoria, tempo e distensio animae
Agostino lascerà in eredità al cristianesimo medievale un approfondimento e un adattamento
cristiani della teoria della retorica antica sulla memoria. Nelle Confessiones egli muove dalla concezione antica dei loci e delle imagines di memoria, ma dà ad essi una straordinaria profondità
e fluidità psicologiche, parlando dell’“immensa aula della memoria” (in aula ingenti memoriae),
della sua “camera vasta ed infinita” (penetrale amplum et infinitum).
“[. . . ]et venio in campos et lata praetoria memoriae, ubi sunt thesauri innumerabilium imaginum de cuiuscemodi rebus sensis invectarum. Ibi reconditum est, quidquid etiam cogitamus, vel
augendo vel minuendo vel utcumque variando ea quae sensum attigerit, et si quid aliud commendatum et repositum est, quod nondum absorbuit et sepelivit oblivio. Ibi quando sum, posco, ut
proferatur quidquid volo, et quaedam statim prodeunt, quaedam requiruntur diutius et tamquam
de abstrusioribus quibusdam receptaculis eruuntur, quaedam catervatim se proruunt et, dum aliud
petitur et quaeritur, prosiliunt in medium quasi dicentia: “Ne forte nos sumus?” et abigo ea
manu cordis a facie recordationis meae, donec enubiletur quod volo atque in conspectum prodeat
ex abditis. Alia faciliter atque inperturbata serie sicut poscuntur suggeruntur, et cedunt praecedentia consequentibus, et cedendo conduntur, iterum cum voluero processura. Quod totum fit,
cum aliquid narro memoriter ”.
“[. . . ]Giungo allora ai campi e ai vasti quartieri della memoria, dove riposano i tesori delle
innumerevoli immagini di ogni sorta di cose introdotte dalle percezioni; dove sono pure depositati
tutti i prodotti del nostro pensiero, ottenuti amplificando o riducendo o comunque alterando le
percezioni dei sensi, e tutto ciò che vi fu messo al riparo e in disparte o che l’oblio non ha ancora
inghiottito e sepolto. Quando sono là dentro, evoco tutte le immagini che voglio. Alcune si presentano all’istante, altre si fanno desiderare piú a lungo, quasi vengano estratte da ripostigli piú
segreti. Alcune si precipitano a ondate e, mentre ne cerco e desidero altre, ballano in mezzo, con
l’aria di dire: “Non siamo noi per caso?”, e io le scaccio con la mano dello spirito dal volto del
ricordo, finché quella che cerco si snebbia e avanza dalle segrete al mio sguardo; altre sopravvengono docili, in gruppi ordinati, via via che le cerco, le prime che si ritirano davanti alle seconde
e ritirandosi vanno a riporsi ove staranno, pronte ad uscire di nuovo, quando vorrò. Tutto ciò
avviene quando faccio un racconto a memoria”.
Yates ha scritto che queste immagini cristiane della memoria si sono armonizzate con le grandi
chiese gotiche, in cui bisogna forse vedere un legame simbolico di memoria.
Agostino, procedendo “nei campi e negli antri, nelle caverne incalcolabili della mia memoria”, cerca Dio nel fondo della memoria, ma non lo trova in nessuna immagine e in nessun luogo.
Con Agostino la memoria s’immerge profonda nell’uomo interiore, nel cuore di quella dialettica
cristiana dell’interiore e dell’esteriore dalla quale usciranno l’esame di coscienza, l’introspezione
e fors’anche la psicanalisi. Ma Agostino lascia in eredità al cristianesimo medievale altresı̀ una
versione cristiana della trilogia antica delle tre facoltà dell’anima: memoria, intelligentia, providentia. Nel suo trattato De Trinitate, la triade diventa memoria, intellectus, voluntas, che sono,
nell’uomo, le immagini della Trinità.
L’incredibile modernità di Agostino si esplica tutta nel legame da lui individuato tra le facoltà
dell’anima e le dimensioni temporali passato, presente e futuro. Quindici secoli separano le
scoperte del santo dagli studi dello spiritualismo e di Bergson, sedici dalla relatività ristretta di
Einstein, per cui il tempo, pur non essendo colto nella sua dimensione puramente psicologica, è
meramente soggettivo ed individuale.
L’esordio del capitolo ventesimo dell’undicesimo libro delle Confessiones suona cosı̀:
2
“[. . . ]Quod autem nunc liquet et claret, nec futura sunt nec praeterita, nec proprie dicitur:
tempora sunt tria, praeteritum, praesens et futurum, sed fortasse proprie diceretur: tempora sunt
tria, praesens de praeteritis, praesens de praesentibus, praesens de futuris. Sunt enim haec in
anima tria quaedam et alibi ea non video, praesens de praeteritis memoria, praesens de praesentibus contuitus, praesens de futuris expectatio”.
“[. . . ]Risulta dunque chiaro che futuro e passato non esistono, e che impropriamente si dice:
tre sono i tempi: il passato, il presente e il futuro. Più esatto, sarebbe dire: tre sono i tempi:
il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro. Queste ultime tre forme
esistono nell’anima, né vedo possibilità altrove: il presente del passato è la memoria, il presente
del presente è l’intuizione diretta, il presente del futuro è l’attesa”.
L’individuazione della realtà temporale è in una distensio animae, nel distendersi della vita interiore dell’uomo attraverso la percezione attuale (contuitus), la memoria e l’attesa, nella
continuità intima della coscienza, che conserva dentro di sé il passato e si protende verso il futuro.
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2. Henri Bergson: memoria e libertà
L’opera Materia e memoria del 1896 è forse la più difficile di Bergson, la più complessa,
quella che situa il suo sistema in una visione filosofica più completa della realtà. Nella visione
bergsoniana, c’è una memoria pura, che rimane in noi anche se sepolta nell’inconscio, e c’è una
memoria meccanica, che è invece come un meccanismo montato nel nostro organismo, per cui
meccanicamente noi compiamo per abitudine certe operazioni senza ricordarci affatto di averle imparate. Contrariamente a quella meccanica, la memoria rievocativa è quella che ha luogo
quando, per esempio, ricordiamo un episodio in genere lontano nel tempo, che viene rivissuto
improvvisamente, come negli stati di dormiveglia, oppure in certi stati di rilassatezza, quando
cioè viene meno quella che Bergson chiama l’attenzione alla vita. Quando si è tutti presi dalle
cose che si devono fare, non si ha memoria rievocativa, ci si affida piuttosto alla meccanicità;
anche quando parliamo ci affidiamo alla meccanica della parola imparata da bambini, ma senza
ricordare di averla imparata. Tuttavia non appena l’attenzione alla vita si rilassa, allora possono
riemergere in noi questi ricordi, che del resto, se riemergessero sempre, ci bloccherebbero, ci impedirebbero di fare ciò che dobbiamo fare perché saremmo completamente distratti. La nostra
vita cosciente è una interazione continua tra questi due aspetti della memoria: quella rievocativa,
che in qualche modo è soffocata e che però condiziona il nostro modo di sentire e di pensare, e la
memoria meccanica, che ci permette di operare concretamente nel mondo.
Il punto più interessante della metafisica bergsoniana è proprio qui, nella distinzione tra una
memoria viva, profonda, e una memoria meccanica. Bergson propone una visione della realtà a
diversi livelli, distinguendovi un livello profondo e un livello superficiale. La realtà non si trova
tutta allo stesso livello, e questo emergeva già nel primo Bergson, nel Saggio sui dati immediati
della coscienza, in cui il filosofo nota che certi atti, chiamati atti liberi, emergono in noi da uno
strato profondo della nostra personalità, mentre gli atti consueti della vita sono appunto meccanici e occupano uno strato più superficiale. Non a caso, questa prima opera originariamente
portava il titolo Tempo e libertà, che conserva ancora nella traduzione inglese e francese. Di
qui, da questa problematica della libertà che si ha quando l’agire emerge dagli strati profondi
della persona, si passa in Materia e memoria ad una descrizione più precisa di livelli di coscienza
diversi, in cui la durata è più o meno concentrata negli strati profondi; è come se il tempo fosse
tutto correlato al tempo passato e presente ma anche, in qualche modo, a quello futuro. È come
se fosse tutto racchiuso in un punto, quasi si trattasse di una eternità. Quando l’atto - in una
condizione che si potrebbe impropriamente definire ideale - emerge da questa profondità non è più
condizionato dai suoi antecedenti, dalle sue cause precedenti, perché il precedente e il susseguente
sono come uniti insieme: l’atto nasce dalla nostra personalità complessiva ed è un atto libero,
sebbene secondo Bergson questa sia una condizione fortunata e rara, che si attua solo in atti in
qualche modo creativi.
L’esame dei fatti psicologici profondi fa dunque emergere la considerazione del tempo come
molteplicità qualitativa e la memoria come fattore distintivo proprio della coscienza, in antitesi
alla realtà fisica, caratterizzata dallo sola simultaneità. Ma da queste premesse Bergson intende
ricavare una conclusione che avvalora la prospettiva filosofica dello spiritualismo. L’uomo è libero.
Non è possibile, infatti, applicare alla coscienza il determinismo causale valido nel mondo fisico.
Le leggi causali sostengono che, tutte le volte che si verifica un certo fenomeno, un altro fenomeno
necessariamente segue come suo effetto. Ma non possono valere leggi causali nell’ambito della
coscienza, giacché in essa non c’è momento che sia uguale a un altro momento precedente e rispetto
a cui sia possibile applicare una legge causale. La libertà è un fatto di cui la coscienza umana
è immediatamente consapevole. L’esistenza di questo fatto può apparire oscura solo quando si
pretende di rappresentare la durata concreta attraverso la forma spaziale.
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3. Eugenio Montale: la poetica della memoria nelle Occasioni
Il tema della memoria in Montale è centrale soprattutto nella raccolta Le occasioni. Le cose
non svelano il segreto della loro presenza, rinviano piuttosto a un’incessante vicenda di vita e di
morte, di gioia e di dolore, che costantemente ritorna e si chiude su se stessa, lasciando come unico
conforto l’immagine viva ma fragile di una speranza di felicità. Neppure la memoria, oscurata e
cancellata dall’inesorabile scorrere del tempo, riesce a recare conforto.
La memoria ruota attorno all’impossibile recupero di eventi cui è attribuito un particolare
rilievo, in quanto potrebbero mutare il corso uniforme e monotono dell’esistenza; ma il miracolo
non può compiersi per il poeta, al quale non resta che affidare ad altri, ad enigmatiche figure
femminili, la sua esile speranza. C’è allora, nelle Occasioni, una continua tensione al rapporto,
il tentativo di mantenere vivo il legame con una persona desiderata, sebbene drammaticamente
assente. Vi è la registrazione di spiragli che, nel quotidiano, aprono orizzonti inattesi: non si è
più, però, in presenza di semplici oggetti-simbolo, come negli Ossi di seppia, ma di “barbagli”
della persona amata, di ritagli della realtà che rimandano inequivocabilmente a lei.
Sesto mottetto
La speranza di pure rivederti
m’abbandonava;
e mi chiesi se questo che mi chiude
ogni senso di te, schermo d’immagini,
ha i segni della morte o del passato
è in esso, ma distorto e fatto labile,
un tuo barbaglio:
(A Modena, tra i portici,
un servo gallonato trascinava
due sciacalli al guinzaglio).
La poesia di Montale legata al ricordo e al suo impossibile recupero ingloba dunque presenze
ed incontri e non si limita al puro tema della natura. Ma l’attesa di un’apertura, di un varco, di
un recupero del passato, reso possibile dall’attivazione del ricordo, risulta deludente. Infatti, nel
complicarsi delle relazioni umane, anche gli elementari simboli di una vita gioiosa (un luogo, un
incontro, un “occasione”...), prima nettamente percepibili, vedono offuscare la loro luce, appannata dallo scorrere inesorabile del tempo. Si approfondisce invece il solco che la memoria scava
fra i momenti di un passato felice e un presente sempre più vuoto e smarrito.
Pareva facile giuoco
mutare in nulla lo spazio
che m’era aperto, in un tedio
malcerto il certo tuo fuoco.
Ora a quel vuoto ho congiunto
ogni mio tardo motivo,
sull’arduo nulla si spunta
l’ansia di attenderti vivo.
da Il balcone
Quella montaliana è una memoria difficile, fatta di ricordi fulminei destinati subito a svanire,
ad allontanarsi, a diventare di un altro; è una memoria che cigola per un ingranaggio, per un
meccanismo non funzionante e non controllabile. Nonostante questo, il ricordo è spesso un talismano che, per pochi istanti, può introdurre l’uomo nel miracolo della salvezza; un miracolo,
5
questo, avvertito, creduto, ma non reale e presto dimenticato. Tale oscillazione tra memoria ed
oblio venne confessata dal poeta stesso in seguito alla scoperta di Proust che lo portava alla sensibilizzazione e all’approfondimento di questo aspetto di carattere meramente esistenzialistico.
“Io mi considero un uomo che vive dentro un mistero ineffabile che continuamente lo tenta e
non si lascia penetrare. E la mia poesia è un diario intimo di questo uomo la cui esistenza oscilla
tra memoria ed oblio”.
Ogni possibilità di salvezza, di miracolo, di prodigio, è affidata ad una memoria fragile, desultoria ed involontaria, che difficilmente riuscirà ad assolvere la propria funzione, ad una memoria
inadeguata ed arbitraria: è lei che decide chi deve apparire in ricordo e chi no, è lei che “delinea
l’immagine ridente nel puro cerchio”, è lei che poi deforma il passato, lo fa vecchio, lo dona ad un
altro e ne ridona al fondo la visione, rendendola distante. Il meccanismo negativo dell’esistenza
continua il suo corso senza che nessuno, o quasi, se ne accorga.
[. . . ] non c’è scampo: si muore
sapendo o si sceglie la vita
che muta ed ignora: altra morte.
[. . . ]
E il gesto rimane: misura
il vuoto, ne sonda il confine.
da Tempi di Bellosguardo
In questa impossibilità di soluzione positiva a Montale non resta che una stoica resistenza:
ciò che conta è tentare di essere veramente vivi, il “gesto” in sé e per sé attuato e vissuto in una
quotidianità che non ha nulla di eroico, ma che Montale si auspica di vivere con dignità.
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4. Rivoluzioni, totalitarismi e usi impropri della memoria
Il mondo è stato teatro, in particolar modo dal 1789, di rivoluzioni e dittature, di sconvolgimenti radicali da un lato e di svolte totalitarie dall’altro. La cartina mostra i principali eventi
che hanno messo in subbuglio le nazioni, proprio a partire dal 1789.
Rivoluzione
Francese (1789)
Adolf Hitler
Germania
(1933 - 1945)
Francisco Franco
Spagna
(1939 - 1975)
Benito Mussolini
Italia
(1922 - 1945)
Rivoluzione Messicana
(1910 - 1911)
Rivoluzione Cubana
(1959)
Rivoluzione Bolscevica
Russa (1917 - 1921)
Rivoluzione Cinese
(1925 - 1927 / 1948 - 1949)
Rivoluzione culturale cinese
(1966)
Juan Domingo Peron
Argentina
(1945 - 1955 / 1973 - 1974)
Il disordine causato da tutte queste “macchie” nella storia dell’uomo nasce da una matrice
comune, per quanto si sia esplicato in due modi diversi: rivoluzioni e dittature nascono da un uso
artefatto della memoria.
Nel caso di fascismi e nazismi, si parla generalmente di ipermemoria. Si incarna nella figura
del duce o del fürher la nietzscheana volontà di potenza del popolo; il mito della nazione dà luogo
a uno smodato culto della tradizione e della cultura, che porta all’odio per il nemico, ovvero
chiunque sia in grado di ostacolare la grandezza della patria. La propaganda interventista che ha
preceduto le due guerre negli imperi centrali europei è un chiaro esempio di abuso della memoria,
sfociato nei due disastri del Novecento. Celebri le invocazioni all’unione tra il classicismo italiano
e il romanticismo tedesco all’alba della seconda guerra mondiale.
Quanto al nazismo, il papa Giovanni Paolo II precisa, in Memoria e identità, che “all’epoca
la reale dimensione del male che imperversava in Europa non fu percepita da tutti, nemmeno da
quelli come noi che vivevano al centro di quel vortice. [. . . ] per lungo tempo l’occidente non volle
credere allo sterminio degli ebrei. Neppure in Polonia si sapeva tutto su ciò che i nazisti avevano
fatto e facevano ai polacchi”.
Ciò che invece caratterizza ogni rivoluzione è una totale e volontaria perdita della memoria.
François Furet, nel suo saggio Le due rivoluzioni, fa discendere la rivoluzione bolscevica del ’17
da quella francese del 1789. È nota a tutti la cancellazione della tradizione attuata dai giacobini, i
quali, nella Francia rivoluzionaria, fecero di tutto per occultare la cristianità del popolo francese.
La decisione di sostituire il calendario tradizionale con quello rivoluzionario è un esempio lampante
di questa volontà di rottura con il passato.
Allo stesso modo, l’avvento del comunismo in Russia era come “disturbato” dalla religiosità
originaria del popolo, perchè nel sistema filosofico e nella struttura psicologica di Marx e di Lenin,
l’odio contro Dio è il movente e l’impulso principale, prima di ogni aspirazione politica ed economica. Per gli scopi della politica comunista occorre un dominio totale su popolazioni senza
religioni e senza nazionalità, e quindi è necessario distruggere ovunque la fede e il concetto di
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nazione. Aleksandr Isaevich Solzhenitsyn, premio Nobel per la letteratura del 1970, è coscienza critica dell’anima e della cultura russa. A proposito dell’Unione Sovietica scrive:
“Gli anni Venti del nostro secolo nell’URSS sono segnati da una lunga fila di martiri. I
sacerdoti ortodossi erano tutti condannati al martirio. Ci furono due metropoliti fucilati, tra
cui il metropolita di Pietroburgo Veniamin, eletto da tutto il popolo di Dio; il patriarca Tichon
venne arrestato dalla polizia politica e poi morı̀ in circostanze misteriose. Decine di arcivescovi e
vescovi furono giustiziati, decine di migliaia di sacerdoti, monaci e suore furono torturati perchè
rinunciassero alla loro fede e alla parola di Dio, e poi fucilati nelle cantine, inviati a morire nei
deserti dell’estremo Nord. Vecchi sacerdoti furono lasciati senza cibo, a morire di fame per le
strade”.
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5. James Joyce: the memory of The Dead in Dubliners
In The Dead Gabriel Conroy’s restrained behavior and his reputation with his aunts as the
nephew who takes care of everything mark him as a man of authority and caution, but some
encounters at the party challenge his confidence, especially the ones with Lily, the housemaid,
and Miss Ivors.
Gabriel’s unease culminates in his tense night with Gretta, and his final encounter with her
ultimately forces him to confront his stony view of the world. When he sees Gretta transfixed
by the music at the end of the party, Gabriel yearns intensely to have control of her strange
feelings. Though Gabriel remembers their romantic courtship and is overcome with attraction
for Gretta, this attraction is rooted not in love but in his desire to control her. At the hotel,
when Gretta confesses to Gabriel that she was thinking of her first love, he becomes furious at
her and himself, realizing that he has no claim on her and will never be “master”. After Gretta
falls asleep, Gabriel softens. Now that he knows that another man preceded him in Gretta’s life,
he feels not jealousy, but sadness that Michael Furey once felt an aching love that he himself has
never known. Reflecting on his own controlled, passionless life, he realizes that life is short, and
those who leave the world like Michael Furey, with great passion, in fact live more fully than
people like himself.
Gabriel experiences an inward change that makes him examine his own life and human life in
general. While many characters in Dubliners suddenly stop pursuing what they desire without
explanation, this story offers more specific articulation for Gabriel’s actions. Gabriel sees himself
as a shadow of a person, flickering in a world in which the living and the dead meet. Though in
his speech at the dinner he insisted on the division between the past of the dead and the present of
the living, Gabriel now recognizes, after hearing that Michael Furey’s memory lives on, that such
division is false. As he looks out of his hotel window, he sees the falling snow, and he imagines
it covering Michael Furey’s grave just as it covers those people still living, as well as the entire
country of Ireland.
The story leaves open the possibility that Gabriel might change his attitude and embrace
life, even though his somber dwelling on the darkness of Ireland closes Dubliners with morose
acceptance. He will eventually join the dead and will not be remembered. The Morkans’ party
consists of the kind of deadening routines that make existence so lifeless in Dubliners. The events
of the party repeat each year: Gabriel gives a speech, Freddy Malins arrives drunk, everyone
dances the same memorized steps, everyone eats. Like the horse that circles around and around
the mill in Gabriel’s anecdote, these Dubliners settle into an expected routine at this party. Such
tedium fixes the characters in a state of paralysis. They are unable to break from the activities
that they know, so they live life without new experiences, numb to the world. Even the food on
the table evokes death. The life-giving substance appears at “rival ends” of the table that is lined
with parallel rows of various dishes, divided in the middle by “sentries” of fruit and watched from
afar by “three squads of bottles”. The military language transforms a table set for a communal
feast into a battlefield, reeking with danger and death.
The Dead encapsulates the themes developed in the entire collection and serves as a balance
to the first story, The Sisters. Both stories piercingly explore the intersection of life and death
and cast a shadow over the other stories. More than any other story, however, The Dead squarely
addresses the state of Ireland in this respect. In his speech, Gabriel claims to lament the present
age in which hospitality like that of the Morkan family is undervalued, but at the same time he
insists that people must not linger on the past, but embrace the present. Gabriel’s words betray
him, and he ultimately encourages a tribute to the past, the past of hospitality, that lives on in
the present party.
“Yes, the newspapers were right: snow was general all over Ireland. It was falling on every
part of the dark central plain, on the treeless hills, falling softly upon the Bog of Allen and, farther
westward, softly falling into the dark mutinous Shannon waves. It was falling, too, upon every
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part of the lonely churchyard on the hill where Michael Furey lay buried”.
In this image, Gabriel also contemplates his mortality, and how his living experience intersects
with death and the dead. Snow falls everywhere in Ireland, including on the grave of Michael
Furey, who has so recently entered his life. In his speech at his aunts’ party, Gabriel had called
for the need to live one’s life without brooding over the memories of the dead, but here he realizes
the futility of such divisions and the lack of feeling they expose in his character. Gretta cannot
forget the pain of the dead in her life, and her acute suffering illustrates for Gabriel that the dead
are very much a part of the lives around him, including his own. That Gabriel’s reflections occur
in the nighttime adds to the significance of this quote. As he now broods over the dead, he hovers
in that flickering state that separates the vibrancy of one daytime from the next. The darkness
above the ground mirrors the darkness beneath the ground, where coffins of the dead rest.
10
6. Salvador Dalı̀: La persistenza della memoria e la soggettività del tempo
In uno dei suoi scritti autobiografici, The Secret life of Salvador Dalı̀, pubblicato a New York
nel 1942, l’artista descrive la genesi di questo dipinto, inizialmente intitolato Orologi molli, che
rappresenta, in un certo senso, la storia della sua personalità. La vita del pittore fu sempre
in eterno contrasto tra la dura scorza esterna del proprio ruolo pubblico e sociale e la sensibile
“mollezza” della propria fragile interiorità.
Su uno dei tanti paesaggi di Port Lligat, tra gli scogli aguzzi della Costa Brava e un ulivo
secco e malinconico in primo piano, Dalı̀ immaginò tre orologi come oggetti inattesi, sottratti
alla realtà quotidiana e deformati dallo sguardo delirante di un sogno, sintetizzato nell’occhio
dalle lunghe ciglia che giace addormentato. Un quarto orologio, ancora chiuso nel suo coperchio
dorato, è assaltato da un cumulo di formiche brulicanti.
“[. . . ]E il giorno in cui decisi di dipingere gli orologi, li dipinsi molli. Accadde una sera che mi
sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa. A completamento della cena avevamo mangiato
un camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi ancora a lungo seduto
a tavola, a meditare sul problema filosofico della “ipermollezza” posto da quel formaggio. . .
Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei miei
più famosi, era terminato. [. . . ] I famosi orologi molli non sono altro che il molle, pazzo, solitario, paranoico-critico camembert del tempo e dello spazio”.
La deformazione delle immagini è uno strumento per mettere in dubbio le facoltà razionali,
che vedono gli oggetti sempre con una forma definita. L’orologio è lo strumento razionale per
eccellenza, che permette di misurare il tempo e di dividerlo, in modo da piegarlo alle esigenze
pratiche e quotidiane. Deformando l’orologio, trasformandolo in una figura liquida, che sembra
sciogliersi e adattarsi alle superfici su cui viene posta, Dalı̀ invita l’osservatore a riconsiderare la
dimensione del tempo, che, filtrata attraverso la memoria, non è più sottoposta a regole logiche.
In questa nuova temporalità il prima e il dopo si mescolano e lo scorrere delle ore e dei giorni
accelera e rallenta a seconda della percezione soggettiva.
Una interpretazione del tempo, questa, preconizzata da Agostino e da Bergson, e che ben si
associa con le proprietà dello spazio-tempo di Einstein.
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7. La Gola del Bottaccione: la “memoria delle rocce”
La Gola del Bottaccione decorre con andamento NNE-SSW immediatamente a Nord di Gubbio, tra i Monti Ingino e Foce. Essa deve la sua origine all’azione erosiva esercitata negli ultimi
2-3 milioni di anni dal torrente omonimo, che scorre ancora oggi nel suo fondovalle.
Nell’ultimo quindicennio la Gola del Bottaccione ha assunto un ruolo di grande importanza
dal punto di vista geologico per le numerose e rilevanti ricerche che vi sono state condotte.
Le rocce che affiorano lungo la Gola sono di origine sedimentaria e vennero deposte sul fondo
dell’antico Mare della Tetide da 140 a 30 milioni di anni fa, quando la configurazione delle terre
emerse era profondamente diversa da quella attuale.
Il sollevamento dell’Appennino ha portato a giorno quasi tutta la serie di sedimenti formati
sul fondo della Tetide, che nel frattempo si erano trasformati in rocce compatte sotto l’azione
della pressione e di altri fenomeni connessi alla profondità. Durante questa fase di sollevamento
gli strati di roccia vennero fratturati e dislocati e, in seguito alla successiva erosione, operata
principalmente dalle acque superficiali, modellati in forme che corrispondono alle attuali gole e
montagne. Le rocce che affiorano nella Gola del Bottaccione sono comuni a gran parte dell’Italia
centrale, ma hanno la particolarità di non essere troppo disturbate da grosse fratture o dislocazioni. La sequenza stratigrafica è inclinata, ma completa come sul fondo dell’antico oceano,
uno strato sopra l’altro dal più antico al più recente. La diversità di queste rocce dipende soprattutto dalla loro composizione ed anche dalla profondità di formazione. Sono tutte costituite
da carbonato di calcio più o meno puro, al quale è frammista della silice e dell’argilla; alcune
contengono una grossa percentuale di resti di conchiglie microscopiche e di organismi (plancton,
nannoplancton) che vivevano nell’oceano. Le rocce più ricche di queste conchiglie sono quelle
della formazione detta della Scaglia, divisa in Scaglia Bianca, Rossa e Cinerea in base al suo
colore.
12
7.1 Memoria micropaleontologica
Le varie forme di organismi che ritroviamo nelle rocce della gola ci permettono di valutare
le condizioni ambientali in cui, milioni di anni fa, le rocce stesse si sono formate. A questo fine
è stata effettuata lungo la Gola del Bottaccione una divisione stratigrafica basata sul succedersi
nel tempo delle varie forme di organismi microscopici presenti. All’interno del periodo di tempo
esaminato, cade pure il limite tra era Secondaria ed era Terziaria, datato 65 milioni di anni. Il
limite è stato istituito convenzionalmente dai geologi perché a cavallo di questo accaddero eventi
del tutto particolari, degni di essere considerati addirittura discriminanti per la storia della vita sulla Terra. Osservando infatti al microscopio delle sottili sezioni di roccia provenienti dalla
parte più bassa della Scaglia Rossa, si vedono quasi esclusivamente gusci di globotruncane (forme
alquanto angolose). Queste, dopo aver raggiunto un avanzato stadio evolutivo, improvvisamente
scompaiono per lasciare il posto alle nuove forme di globorotalie e globigerine (per lo più tondeggianti) presenti solo nella parte alta. In base a tutto ciò si può affermare che 65 milioni di anni
fa vi fu un evento (probabilmente catastrofico) il quale portò alla scomparsa di questi organismi.
In altre parti della superficie terrestre si ha la comparsa coeva di numerosi altri animali marini
(Ammoniti, Belmniti e Rudiste); sulla terraferma scompaiono i grandi rettili: i dinosauri.
7.2 Memoria magnetica
I sedimenti, specie nella formazione della Scaglia Rossa, inglobano piccole percentuali di minerali di ferro. Questi sono costituiti da aghetti di magnetite (ossido di ferro) che quando si
sedimentarono sul fondo del mare si disposero statisticamente secondo la posizione del campo
magnetico terrestre, il quale è soggetto a continue inversioni. Se noi osserviamo un aghetto di
magnetite presente in rocce formatesi ad esempio 80 milioni di anni fa, esso ci dà informazioni
su posizione ed intensità del campo magnetico terrestre presente in quel periodo: una specie di
bussola fossile! Dall’analisi dei campioni di rocce provenienti dal Bottaccione è stata realizzata una stratigrafia paleomagnetica. Per mezzo di essa è possibile osservare che nell’intervallo di
tempo che va dai 100 ai 23 milioni di anni fa si sono verificate numerose inversioni del campo
magnetico terrestre: zone con anomalie positive, cioè periodi dove il polo magnetico corrispondeva circa all’attuale, si alternano a zone con anomalie negative, dove il polo magnetico era opposto
al’attuale.
Il confronto tra i dati di Gubbio e quelli provenienti dagli oceani Indiano, Atlantico e Pacifico
ha confermato l’attendibilità della sezione paleomagnetica della Gola del Bottaccione, tanto che
attualmente essa viene utilizzata in tutto il mondo come sezione di taratura. I vari periodi di
inversione paleomagnetica sono stati segnati sul terreno con delle targhette di alluminio, nelle
quali sono indicati l’inizio e la fine della zona magnetica. Ma queste ricerche hanno portato a
risultati ancor più interessanti. Confrontando i dati di Gubbio con quelli di altri continenti si è
visto che la penisola italiana, facente allora parte del continente africano, ha subito negli ultimi
80 milioni di anni una rotazione antioraria di 50 ◦ - 70◦ relativamente all’Europa continentale,
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fino a raggiungere l’attuale posizione. Proprio questo movimento ha provocato la formazione
dell’attuale catena appenninica.
7.3 Memoria biologica: la scomparsa dei dinosauri
Recentemente la gola è passata di nuovo alla ribalta per una importante scoperta effettuata
dal geologo americano W.Alvarez e collaboratori nella zona di passaggio tra Era Secondaria ed
Era Terziaria (limite chiamato dai geologi Cretaceo/Terziario o KAT), che cade all’interno della
formazione della Scaglia Rossa. Come si è già visto, il passaggio tra queste due ere è documentato
nelle rocce dalla scomparsa completa di alcuni microfossili e la comparsa di nuovi. Sempre 65
milioni di anni fa, anche altri animali e piante furono soggetti a questa massiccia estinzione, tanto
da indurre i geologi a stabilire un limite tra due ere. A livello faunistico l’estinzione più massiccia
è rappresentata dalla scomparsa completa dei dinosauri.
Per la sua teoria su tale estinzione, Alvarez considerò che gli elementi del gruppo viii b,
specialmente l’iridio, tranne pochi casi facilmente riconoscibili, sono molto rari sulla superficie
terrestre, e la loro presenza è dovuta quasi esclusivamente al continuo bombardamento di meteoriti. Misurando la concentrazione dell’iridio nella Scaglia di Gubbio, Alvarez ne ha rilevato un
notevole incremento al limite Cretaceo/Terziario. Questo risultato è stato in seguito confermato
in altre zone dell’Appennino e poi addirittura su scala globale.
La probabile origine di questa grossa anomalia nella concentrazione dell’iridio va ricercata,
secondo Alvarez, in un grande apporto di materiale extraterrestre proveniente dal sistema solare.
Lo studioso ha quindi ipotizzato che alla fine del Cretaceo sia avvenuto l’impatto di un grosso
meteorite sulla superficie terrestre il quale, oltre a provocare un esteso cratere, avrebbe immesso
nell’atmosfera grandi quantità di polvere; questa si sarebbe mantenuta in sospensione per alcuni
anni, assorbendo in maniera rilevante le radiazioni solari a discapito dei cicli vitali. L’effetto di
questo impatto sulla superficie terrestre fu catastrofico, mettendo in crisi la fotosintesi clorofilliana
e molte catene alimentari. Una di queste catene è ad esempio basata sulle piante terrestri. Queste
per mancanza di luce morirono o fermarono la loro crescita e quando la polvere meteoritica decantò
ripresero la vita solo le piante che potevano riprodursi per semi o attraverso radici. In ogni caso gli
animali erbivori e carnivori che erano direttamente legati a tale vegetazione si estinsero. Gli unici
vertebrati terrestri, tra cui i mammiferi ancestrali, che riuscirono a sopravvivere si cibarono di
insetti e piante in putrefazione. Per vie statistiche è stato calcolato che il diametro del meteorite
doveva essere compreso fra 6 e 14 Km e che il cratere provocato deve aver raggiunto 200 Km di
diametro. Tale cratere è stato recentemente individuato dopo la scoperta di un’enorme struttura
circolare sotterranea nella penisola dello Yucatan, vicino alla città di Puerto Chicxulub.
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8. La memoria nell’informatica: il transistor
La diffusione di Internet su larga scala, e parallelamente la possibilità per un numero sempre
maggiore di persone di produrre e riprodurre contenuti multimediali in formato digitale (basti
pensare a fotocamere, videocamere e supporti ottici) hanno dimostrato che avere a disposizione
una grande quantità di “memoria” informatica è fondamentale. Questo vale sia per le memorie di massa (Hard Disk, Floppy Disk, supporti ottici, ecc.) sia per la memoria RAM, ovvero la
memoria volatile a disposizione del computer, in cui vengono “caricati” i dati e le applicazioni per
essere utilizzati. Il componente fondamentale della memoria RAM è il chip, il quale a sua volta è
costituito da circuiti integrati contenenti milioni di transistor. Il primo transistor fu costruito nel
1947 dagli americani J.Bardeen e W.H.Brattain, che nel 1956 ricevettero il premio Nobel.
Il transistor è un dispositivo con tre (o anche più) elettrodi, che opera in questo modo: la
corrente, che si stabilisce tra due degli elettrodi, viene regolata dalla corrente o tensione applicata
al terzo.
Una varietà comune di transistor è il transistor a giunzione, che consiste di tre strati di
semiconduttore drogato, come n-p-n o p-n-p. La figura mostra una tipica configurazione di
transistor n-p-n. Le tre sezioni prendono il nome di emettitore, base e collettore.
emettitore
collettore
n
p
n
base
Collegando il transistor a una batteria, in modo che il collettore sia mantenuto a un potenziale
maggiore dell’emettitore, gli elettroni, che sono i portatori di carica maggioritari nell’emettitore
(cristallo di tipo n) oltrepassano facilmente la giunzione emettitore-base, che è polarizzata direttamente, ma si ricombinano con le lacune della base prima di poter superare la barriera di
potenziale della giunzione p-n fra base e collettore (polarizzata in maniera inversa).
Attraverso la giunzione fra base e collettore circola soltanto la piccola corrente inversa e,
quindi, la corrente totale nel circuito tra emettitore e collettore è molto debole: il transistor non
conduce. Le cose cambiano mantenendo la base del transistor a un potenziale elettrico intermedio
fra quelli dell’emettitore e del collettore, ma più elevato che nello schema precedente: ciò può
essere ottenuto utilizzando due generatori di tensione, come è schematizzato nella figura.
base
n
p
n
collettore
emettitore
ie
ic
ib
-
+
-
+
In questa situazione, la corrente fra emettitore e base è più intensa e porta un maggior numero
di elettroni nella regione p. Poiché la base è costituita da una regione molto sottile (spessa da
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qualche decimo di millimetro a un µmetro), una parte consistente di questi elettroni riesce a
diffondere oltre la barriera della giunzione base-collettore prima di ricombinarsi con le lacune
presenti nella base.
Una volta passati nel collettore, gli elettroni risentono soltanto della forza elettrica dovuta
alla differenza di potenziale applicata fra base e collettore e, quindi, fluiscono senza problemi nel
circuito esterno. In questo modo si creano le correnti di emettitore e di collettore, i e e ic , oltre
alla piccola corrente di base ib .
Se il potenziale di base viene abbassato, la corrente base-emettitore diviene più piccola e
quindi anche la corrente ic risulta meno intensa. Variando, dunque, la tensione V be applicata
tra base ed emettitore, è possibile controllare la corrente i c entro limiti piuttosto ampi, dato che
quest’ultima dipende assai poco dalla tensione V bc tra base e collettore.
Il comportamento di un transistor è descritto nelle cosiddette curve caratteristiche.
100
0,7
0,6
corrente di collettore
(mA)
0,5
0,4
80
0,35
0,3
0,25
60
0,2
0,15
40
0,1
20
ib =0,05
0
2
1
Vce
(Volt)
Ogni curva corrisponde a un diverso valore della corrente di base i b ed esprime come varia la
corrente di collettore ic al variare della differenza di potenziale tra collettore ed emettitore, V ce .
Come si può notare, una piccola variazione della corrente di base i b si ripercuote in un’ampia
variazione della corrente di collettore i c . In questa configurazione il transistor si comporta come
un amplificatore di corrente, e il guadagno di corrente i c /ib può assumere valori tipici di 100 e
oltre.
Infine, se anche la giunzione emettitore-base è polarizzata inversamente, il transistor non
conduce affatto (si trova in regime di “interdizione”). Da questo punto di vista, il transistor
è considerato come un interruttore, che lascia passare oppure blocca la corrente, a seconda del
valore della tensione applicata fra base e collettore.
Questo comportamento non lineare dei transistor è sfruttato nei computer per realizzare
circuiti di tipo binario o, come si dice, digitali; ciò significa che i segnali di differenza di potenziale
che essi elaborano sono interpretati come rappresentanti di due soli valori: 0 e 1.
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9. Conclusione
Oggi il contemporaneismo rappresenta lo sforzo disperato di ritrovare un motivo di attenzione
dopo che la grande tradizione passata appariva alle nuove generazioni come mera archeologia
incapace di generare interesse alcuno. Quello che è stato il punto critico è l’89; con il crollo
dell’impero sovietico e la fine del marxismo è finita apparentemente la storia. Dopo sono seguiti
gli anni della smemoratezza e dell’oblio, gli anni del grande divertissement, come lo chiamerebbe
Pascal. Questo perché la memoria è legata ad avvenimenti, a eventi che segnano tempo e spazio.
La memoria è ridestata quando ci sono avvenimenti reali che la colpiscono. In un contesto in
cui tutto è indifferente, tutto è uguale, tutto è interscambiabile, la memoria viene come attutita,
dissolta. Gli anni ’90 negli Stati Uniti e in Europa sono stati anni di euforia e di dimenticanza totale, un’“estasi” della ragione destata bruscamente dalla tragedia dell’11 settembre 2001. Mentre
l’Occidente sprofondava nell’oblio, nel fiume Lete, altri elaboravano la memoria come vendetta,
come risentimento e quindi in qualche modo come odio. Alcuni sprofondavano nella dimenticanza, altri cercavano di alimentare una memoria carica di odio. Penso all’integralismo arabo e al
già citato 11 settembre, ma anche alle guerre che hanno insanguinato la ex Jugoslavia, già nel
decennio precedente. In quelle occasioni abbiamo conosciuto una elaborazione sistematica della
memoria in maniera del tutto artificiosa. Fino agli anni Settanta nessuno nella ex Jugoslavia, né
serbi, né croati, né bosniaci, aveva elaborato un conflitto di quella portata. Sono stati gli storici
di professione e i mass media che hanno prodotto una radicalizzazione della differenza, tentando
di fondarla storicamente. Il culto della memoria è stato finalizzato alla creazione della divisione.
Si è voluto fondare un’identità negativa, conflittuale, nel momento stesso in cui, nell’89, le contrapposizioni ideologiche divenivano logore.
Il problema della memoria sembra, cosı̀, non uscire dall’alternativa tra oblio e risentimento,
sembra che siamo condannati a muoverci in questa dialettica: o la dimenticanza oppure una
memoria carica di odio, il culto della memoria in funzione della lotta.
Già il grande Agostino si era accorto di questa dicotomia paralizzante. Tuttavia il suo genio è
stato capace di trovare una via d’uscita, in una vera e propria educazione alla memoria. Quest’ultima non sta tanto nell’intensio (per usare un linguaggio agostiniano), ma nella distensio, in un
ritrovamento della temporalità che spalanca l’io nelle dimensioni del passato, presente e futuro.
Ciò è possibile solo se la memoria introduce alla speranza. La memoria aperta al presente e al
futuro è quella che contiene un germe di speranza. La speranza in questo senso è condizione
trascendentale del tempo, cioè è una condizione di possibilità del tempo. Ciò è espresso in modo
magnifico da Montale, nelle Occasioni:
Tu non ricordi: altro tempo frastorna
la tua memoria: un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui?
da La casa dei doganieri
Senza una intuizione di speranza, senza la ricerca del “varco” montaliano non c’è il tempo, non
c’è il futuro. La speranza significa tempo, esattamente come quando uno dice: “c’è ancora tempo”. È terribile quando qualcuno desidera cambiare la propria vita e invece arriva la morte: tutte
le scelte, tutte le volontà di cambiamento decadono. Non parlo qui del tempo per la vendetta, ma
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del tempo per la redenzione. Allora si devono trovare luoghi di redenzione, non di utopia, luoghi
in cui il futuro sia già nel passato, luoghi del presente gravidi di passato, in cui baleni il futuro. In
questo senso siamo introdotti alla memoria ma al tempo stesso ci liberiamo dalla memoria tiranna.
Solo una memoria aperta al futuro è criterio e custode di esperienza. Viceversa la “prigione”
della memoria chiude all’esperienza: se non c’è nulla di nuovo sotto il sole, il mio rapporto con
l’esperienza è bloccato, subentra un atteggiamento di rassegnazione. Sta qui quel cono rovesciato
di Bergson per cui la vita è ciò che avremmo potuto essere e non siamo diventati, cioè la delusione
delle possibilità evase e non realizzate.
La memoria esce dall’elaborazione del dolore, dal risentimento, solo se è il ricordo della felicità
passata, ridestato dall’incontro con un evento presente che suscita la speranza di un rinnovarsi
di quella felicità.
Ciò che è stato può essere ancora possibile. Nel brano di Joyce già citato in queste pagine è
splendido il passaggio in cui Gabriel, il marito, guarda Gretta con occhi nuovi:
“un’ondata di più tenera gioia gli salı̀ dal cuore e gli si propagò calda nelle vene, come tremulo
bagliore di stelle; momenti della loro vita in comune, momenti che nessuno conosceva né avrebbe
mai conosciuto, si schiusero nel suo ricordo illuminandolo. Desiderava solo ricordare anche a
lei quei momenti, farle dimenticare gli anni monotoni della loro vita in comune, farle ricordare
soltanto i momenti di estasi. Sentiva infatti che gli anni non avevano inaridito la sua anima, né
quella di lei e i figli, il suo lavoro di scrittore, le cure della casa non avevano inaridito la tenera
fiamma delle loro anime”.
Nel rapporto con un evento l’anima si scopre non inaridita e nel passato, che era diventato
monotono, brillano ora momenti in cui invece c’è stata vita, cioè una promessa reale di felicità.
Gabriel ora ricorda la moglie come all’inizio, quel passato è ridiventato presente, vincendo se stesso
come passato. Il tempo non è più morte, ma ripetizione dell’inizio. La memoria rende qui possibile
l’esperienza come corrispondenza tra il passato e il presente, tra l’io e la “cosa” o la persona
incontrata. L’esperienza, sotto questo punto di vista, è ri-conoscimento della corrispondenza, a
me, dell’evento di ieri con quello di oggi. Vi è analogia tra ciò che ho provato ieri e ciò che
provo oggi, tra la felicità passata e quella presente. Ciò che mi apriva ieri, che mi metteva in
corrispondenza, è analogo a ciò che mi apre oggi. Quindi l’evento apre il passato al presente e
al futuro, l’evento fonda il tempo, oltre la dimensione del mito che astrae il tempo. L’evento
conferma che le tracce di felicità sedimentate nella memoria non erano illusione, ma promessa
di redenzione. Quindi tra oblio e risentimento la memoria si pone come desiderio di liberazione,
come pietas per i destini spezzati, troppo brevi, per le parole non dette, per ciò che appare
incompiuto. E la vita degli uomini è per lo più incompiuta. La memoria coincide cosı̀ con una
spinta dell’io, con una sollecitazione al suo presente/futuro a partire da ciò che è stato, dal suo
passato e dal passato del mondo, dal passato incompiuto come desiderio di essere, desiderio di
essere compiuto.
18
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Castello (PG), 2002.
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Ricostruire l’uomo. Scritti e interviste su Polonia Russia e Occidente, Cooperativa
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Yates, F.A.
The Art of Memory, Routledge and Kegan Paul, London, 1966.
Questo saggio è stato redatto nel linguaggio LATEX, strumento insostituibile per una scrittura
elegante e professionale. Per l’uso di LATEX, consiglio il manuale Impara LATEX! (...e mettilo da
parte) di Marc Baudoin, reperibile on line nel sito
http://www.dimi.uniud.it/gorni/TeX/itTeXdoc/impara latex.pdf
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Indice
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
Sant’Agostino: memoria, tempo e distensio animae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
Henri Bergson: memoria e libertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
Eugenio Montale: la poetica della memoria nelle Occasioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Rivoluzioni, totalitarismi e usi impropri della memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
James Joyce: the memory of The Dead in Dubliners . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Salvador Dalı̀: La persistenza della memoria e la soggettività del tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11
La Gola del Bottaccione: la “memoria delle rocce” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
La memoria nell’informatica: il transistor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
21
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