47 A EDIZIONE OMAGGIO ALL’ARMENIA 27 AGOSTO / 6 SETTEMBRE 2014 CITTÀ DI CASTELLO C A T A L O G O 1 2 3 4 5 6 7 STAFF Presidente Giuliano Giubilei Il Festival delle Nazioni ringrazia Direttore artistico Aldo Sisillo Anna Maria Bordoni Per la consulenza amministrativa Direttore organizzativo Roberto De Lellis Raffinerie Per il progetto grafico Segreteria artistica Laura Rebiscini Exprimo Design Per il sito internet Amministrazione Francesca Martinelli Erica Andreini Annalisa Savoca Per le fotografie Ufficio stampa ed edizioni Maria Rosaria Corchia Promozione Elena Bruschi Pubbliche relazioni e sponsor Anna Martinelli Web marketing e social network Tiziana Cusmà Per la gentile concessione della Chiesa di San Domenico a Città di Castello Soci fondatori e ordinari del Festival delle Nazioni Scuola comunale di musica “G. Puccini” Coordinamento corsi di perfezionamento Chiara Pasqui F.A.T. Fattoria Autonoma Tabacchi Biglietteria Linda Giaccaglia e inoltre Marianna Bicchi Ario Carletti Astrid Cau Luca Manescalchi Martina Manescalchi Giulia Renzini Roberto Silvestrini Martina Zoi Macchinista Luca Berettoni Luci Giancarlo Ferranti Alessio Dorelli Stampa Cartoedit srl Città di Castello (PG) Scarica l'applicazione UmbriaApp Festival delle Nazioni da iTunes 8 Unione Europea Repubblica Italiana Direzione generale spettacolo dal vivo Provincia di Perugia Comune di Città di Castello AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA D’ARMENIA IN ITALIA COMUNE DI ANGHIARI / COMUNE DI CITERNA / COMUNE DI MONTE SANTA MARIA TIBERINA COMUNE DI SAN GIUSTINO / COMUNE DI SANSEPOLCRO / COMUNE DI UMBERTIDE CON IL SOSTEGNO DI FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO CITTÀ DI CASTELLO ASSOCIAZIONE PALAZZO VITELLI A SANT’EGIDIO 9 PROGRAMMA Mercoledì 27 agosto ore 21 Città di Castello Chiesa di San Domenico 14 Armenian Philharmonic Orchestra Anush Nikoghosyan violino Eduard Topchjan direttore Venerdì 29 agosto ore 21 Città di Castello Chiesa di San Domenico 26 NOA in NOA-DOR-FOUR Noa voce e percussioni Gil Dor chitarre Adam Ben-Ezra contrabbasso Gadi Seri percussioni musiche di Modest Musorgskij, Aram Khačaturjan, Nikolaj Rimskij-Korsakov musiche dall’album Love Medicine Giovedì 28 agosto ore 21 Città di Castello Chiesa di San Domenico 18 SPIRITO D’ARMENIA Hespèrion XXI Viva Biancaluna Biffi viola d’arco David Mayoral percussioni Jordi Savall ribeca, viella, viola d’arco e direzione Aram Movsisyan canto Georgi Minassyan e Haïg Sarikouyoumdjian duduk Gaguik Mouradian kamancha Sabato 30 agosto ore 21 Citerna Chiesa di San Michele Ensemble barocco della Nuova Orchestra Scarlatti Cristina Grifone soprano Tommaso Rossi flauto dolce e traversiere musiche del fondo musicale del convento di San Gregorio Armeno di Napoli Domenica 31 agosto ore 21 Sansepolcro Auditorium Santa Chiara musiche tradizionali medioevali, musiche di autori armeni dal Settecento al Novecento 30 36 POESIA IN SCENA Ensemble strumentale dell’Orchestra da camera di Perugia Pamela Villoresi voce recitante musiche di Vache Sharafyan e Filippo Fanò commissionate dal Festival delle Nazioni in prima esecuzione assoluta Venerdì 29 agosto ore 18.30 Monte Santa Maria Tiberina Piazza Castello Bourbon del Monte Danilo Rossi viola Giulia Baracani flauto Vincitrice Premio “Alberto Burri” 2013 Stefano Bezziccheri pianoforte musiche di Vache Sharafyan in prima esecuzione assoluta, Dmitrij Šostakovič, Franz Anton Hoffmeister 10 22 Lunedì 1 settembre ore 21 Città di Castello Chiesa di San Domenico 40 I Virtuosi Italiani Alberto Martini primo violino Federico Mondelci direttore e sassofono musiche di Vardapet Komitas, Makar Ekmalyan, Aleksandr Glazunov, Dmitrij Šostakovič, Aram Khačaturjan Martedì 2 settembre ore 18.30 e 21 Città di Castello Chiesa di San Domenico 44 Giovedì 4 settembre ore 21 Città di Castello Chiesa di San Domenico MARCO POLO VOCI DAL SILENZIO Flavio Albanese narrazione Ara Malikian violino Luis Gallo chitarra Mario Brunello violoncello Gabriella Caramore voce narrante musiche di Vache Sharafyan in prima esecuzione assoluta, Max Reger, Tigran Mansurian musiche di Niccolò Paganini, Ara Malikian, Luis Gallo, Antonio Vivaldi, Antonín Dvořák, Aram Khačaturjan Mercoledì 3 settembre ore 18.30 Morra Oratorio di San Crescentino 48 Chorale Akn Centre d'études du chant liturgique arménien, Paris Aram Kerovpyan direttore canti liturgici armeni Mercoledì 3 settembre ore 21 Anghiari Teatro dei Ricomposti 52 I vincitori del Concorso europeo per giovani cantanti lirici del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A. Belli” Venerdì 5 settembre ore 21 Celalba di San Giustino, Villa Magherini Graziani 64 Yves Savary violoncello Pierpaolo Maurizzi pianoforte musiche di Witold Lutosławski, Claude Debussy, Karen Khačaturjan, Dmitrij Šostakovič Sabato 6 settembre ore 21 Città di Castello Chiesa di San Domenico 68 Orchestra della Toscana Benedetto Lupo pianoforte Eduard Topchjan direttore musiche di Giacomo Puccini, Camille Saint-Saëns, Francesco Cilea, Sergej Prokof ’ev, Giuseppe Verdi, Ottorino Respighi Giovedì 4 settembre ore 18.30 Umbertide Chiesa di San Francesco 60 musiche di Sergej Rachmaninov, Aram Khačaturjan 56 MEDICO DEL DOLORE È PER GLI UOMINI IL CANTO Umbra Lucis Virginia Pattie Kerovpyan canto armeno musica curativa dal Trecento al Seicento 11 OMAGGIO ALL'ARMENIA A cento anni dallo scoppio della prima guerra mondiale, il Festival delle Nazioni di Città di Castello dedicherà il suo progetto culturale a uno dei popoli che ne fu tragico protagonista: il popolo armeno. L’Armenia è luogo mitico del Cristianesimo: è dentro i suoi confini che la tradizione biblica colloca il Giardino dell’Eden, ed è da qui che i cristiani guardano con devozione la cima del padre-Ararat, il monte, oggi al confine tra Turchia e Iran, sul quale, secondo la narrazione della Genesi si arenò l’Arca di Noè. Primo popolo convertito al Cristianesimo, gli Armeni hanno difeso la loro identità culturale con fierezza, resistendo, nel corso dei secoli, alle cicliche invasioni che hanno frantumato il loro territorio in diversi domini. Questa terra è stata per secoli strada di collegamento tra Oriente e Occidente; e la musica armena ne è la prova, contenendo stilemi che afferiscono alla cultura occidentale così come a quella del medio Oriente. Grande importanza ebbe la creazione dell’alfabeto nel 404 d.C. anche sull’evoluzione della musica con lo sviluppo del genere epico recitato e cantato, dei vipasanner e gusanner. Una tradizione orale profondamente radicata ancora viva e popolare. Ma la storia dell’Armenia è segnata in modo indelebile dal genocidio, avvenuto durante la dominazione ottomana, che ebbe il culmine nelle deportazioni del 1915. Più di un milione di persone persero la vita e in seguito a questi episodi tantissimi armeni lasciarono la loro terra per far fiorire comunità in tutti i paesi del mondo, accentuando un fenomeno migratorio che già aveva segnato la loro storia nel corso dei secoli: se tre milioni è il numero degli abitanti della regione asiatica confinante con Georgia, Azerbaigian, Iran e Turchia, oggi sono circa sette milioni gli armeni che abitano fuori dai confini nazionali. Disgregazione e diaspora non hanno fatto che rafforzare l’identità armena, un’identità che si è espressa e si esprime ancora oggi con vigore soprattutto attraverso le arti, la poesia e la musica, e anche con un dialogo aperto e continuo con la cultura occidentale. L’omaggio del Festival all’Armenia, la “terra delle pietre urlanti” – come è stata definita dal poeta russo Osip Mandel’štam – è l’occasione per esplorare le tantissime sfaccettature artistiche di questa affascinante cultura, dal linguaggio musicale “colto” alla tradizione popolare con i suoi bardi e i suonatori di duduk. Il duduk e gli altri strumenti tradizionali saranno protagonisti in Spirito d’Armenia, il progetto musicale al confine tra la musica colta e popolare, che Jordi Savall porterà a Città di Castello con il suo ensemble Hespèrion XXI e con i musicisti armeni Georgi Minassyan e Haïg Sarikouyoumdjian (duduk) e Gaguik Mouradian (virtuoso di kamancha). Spazierà da musiche popolari tradizionali risalenti fino al Medioevo, a musicisti del Settecento come Sayat Nova, da autori dell’Ottocento come Gabriel 12 Yeranian o Tigran Tchukhadjian fino a musicisti del Novecento come Gusan Ashot. Di Aram Khačaturjan, il più conosciuto compositore armeno, sarà eseguito il famoso Concerto per violino e orchestra, in occasione della serata inaugurale che vedrà ospite l’Armenian Philharmonic Orchestra guidata dal suo direttore musicale Eduard Topchjan con Anush Nikoghosyan al violino. Questa orchestra fu fondata nel 1932 ed è oggi impegnata nel promuovere il grande repertorio sinfonico esibendosi regolarmente nella capitale Yerevan e in tutto il mondo. Il programma del concerto si completerà con due capisaldi della musica russa: Una notte sul Monte Calvo di Musorgskij e Shéhérazade di RimskijKorsakov a sottolineare il rapporto stretto che lungo l’Otto e il Novecento la cultura musicale armena tenne con il mondo russo (dopo la prima guerra mondiale divenne una delle Repubbliche dell’Unione Sovietica, e la maggior parte dei musicisti armeni trovò nel Conservatorio di Mosca una delle mete privilegiate per la sua formazione). Khačaturjan sarà protagonista anche del Concerto di chiusura del Festival nel quale l’Orchestra della Toscana eseguirà la Suite Spartacus e il celeberrimo Concerto n. 2 di Rachmaninov interpretato da Benedetto Lupo. Il duo violoncello e pianoforte formato da Yves Savary e Pierpaolo Maurizzi presenterà accanto alla sonata di Karen Khačaturjan (nipote di Aram) l’op. 40 di Šostakovič, che fu anche insegnante di Karen, comparandola con la quasi contemporanea Sonata di Debussy. Mario Brunello tornerà al Festival con un programma di musiche di Max Reger e Tigran Mansurian e autori anonimi armeni in un racconto musicale sulle origini del Cristianesimo, condotto assieme a Gabriella Caramore. Faranno parte di questo programma, pensato appositamente da Mario Brunello per la 47ma edizione del Festival, due nuove composizioni in prima assoluta di Vache Sharafyan. Proprio a Sharafyan, uno tra i più interessanti compositori contemporanei armeni, il Festival dedicherà un omaggio, presentando altre due sue composizioni in prima assoluta. In occasione dei duecento anni della nascita di Adolphe Sax, l’inventore dell’omonimo strumento, i Virtuosi Italiani diretti da Federico Mondelci eseguiranno il Concerto di Glazunov per sassofono e archi, l’Ottetto nella versione per orchestra e archi di Šostakovič, nonchè le Sei melodie di Padre Komitas. Soghomon Gevorki Soghomonyan (questo il nome di Komitas) è considerato uno dei padri della cultura armena; monaco musicista, ricercatore e studioso della tradizione musicale armena, sfuggì alla morte durante la grande deportazione ma morì a Parigi in preda alla pazzia provocata dalla traumatica esperienza e dalla distruzione di quasi tutta la sua musica. Il sacro monte Ararat (che dal Trattato di Kars non si trova più in territorio armeno) sarà protagonista dello spettacolo di musica e immagini animate – disegnate dal gio- © ROLANDO PAOLO GUERZONI vane e straordinario artista russo Gosha – che il virtuoso ed eclettico violinista armeno-spagnolo Ara Malikian creerà per raccontare il viaggio di Marco Polo. Il grande viaggiatore veneziano salpò per la Cina proprio dal porto di Laiazzo (Cilicia armena) nel 1271. La voce narrante sarà quella del regista e attore Flavio Albanese. Ospiteremo poi Noa, la nota cantante israeliana di origini yemenite, nominata nel 2001 “artista per la pace”, che in più occasioni è stata coinvolta dalle tematiche del genocidio e della diaspora armena. L’Ensemble strumentale dell’Orchestra da camera di Perugia presenterà due lavori in prima assoluta commissionati dal Festival sulla poesia italiana e armena. Il primo, con la musica di Filippo Fanò e il secondo commissionato ancora una volta al compositore armeno Vache Sharafyan. Lo spettacolo con i testi di Alda Merini, Giuliano Grittini, Movses Khorenatsi e Yeghishe Charents vedrà protagonista l’attrice Pamela Villoresi con la regia di Cosimo Damiano Damato. Esploreremo poi il mondo musicale del convento di San Gregorio Armeno di Napoli; la prima comunità monastica fu creata da un gruppo di suore basiliane armene in fuga dalle persecuzioni di Costantino Copronico l’Iconoclasta. Le suore portarono con sé una reliquia preziosissima, il cranio di San Gregorio l’Illuminatore, Vescovo della Chiesa armena, che indusse il re Tridate III alla conversione al Cristianesimo di tutta la nazione nel 301 d.C. Il Convento, dopo il passaggio alla regola benedettina, divenne poi uno dei più ricchi e importanti di Napoli. Vi si svolgeva una intensa attività musicale, sia legata alla liturgia sia legata a concerti di musica profana, che vedeva ingaggiati importanti musicisti e gruppi orchestrali. L'ampio fondo non ancora catalogato che vi si trova è formato da composizioni dedicate a suore particolarmente versate nel canto o in altri strumenti, composizioni trascritte da opere famose, con testo trasformato da profano a sacro, oppure ancora da composizioni di cui furono autrici le monache stesse. Vi si trovano manoscritti e copie di autori come Pergolesi, Gluck, Cimarosa. Un concerto dell’Ensemble barocco della Nuova Orchestra Scarlatti di Napoli darà alcuni esempi della vita culturale che si svolgeva all’interno del convento. Nell’isola di San Lazzaro a Venezia, sorge il monastero dei Padri armeni, sede della comunità mechitarista. Fu creata nel 1717 dal nobile monaco armeno Manug di Pietro, detto Mechitar (il Consolatore), fuggito da Modone invasa dai Turchi. Da quell’epoca la comunità si è dedicata alla conservazione e diffusione della cultura armena, in particolare conserva un importante archivio di musica liturgica tradizionale curato assieme al Centro Studi e documentazione della cultura armena. La musica liturgica è considerata la parte più importante della musica armena, ma è comunque legata alla musica profana: il sistema modale che ne costituisce le basi era comune alle canzoni popolari e ai gusan. La Chorale Akn, l’istituzione con sede a Parigi guidata da Aram Kerovpyan, è una delle formazioni più note nella esecuzione e diffusione di questo repertorio. Inoltre, sempre in collaborazione con il Centro Studi di Venezia, sarà organizzato un concerto di Umbra Lucis, che incentrerà il suo programma su autori italiani e armeni attorno alla funzione taumaturgica della musica. Come ogni anno il Festival dedicherà significative risorse al perfezionamento dei giovani musicisti; cinque i corsi di valenza internazionale, che termineranno con esecuzioni pubbliche dei migliori allievi. Ogni anno un premio intitolato ad Alberto Burri viene dedicato a una classe di perfezionamento e assegnato con concorso a uno degli allievi; la vincitrice del Premio “Alberto Burri” della scorsa edizione, la flautista Giulia Baracani, è inserita nella programmazione della 47ma edizione in assolo e in duo con il violista Danilo Rossi in un concerto che vedrà la partecipazione anche di Stefano Bezziccheri al pianoforte. L’attenzione ai giovani interpreti sarà testimoniata inoltre da un concerto affidato ai vincitori del concorso per cantanti lirici “A. Belli” di Spoleto. Ma non parleremo solo di musica: iniziative concordate e realizzate in collaborazione con l’Ambasciata di Armenia in Italia, e incursioni nel mondo del cinema e della letteratura ci consentiranno di avere un quadro non esaustivo certamente, ma il più possibile stimolante per conoscere questa cultura che conserva caratteri antichissimi nella sua musica tradizionale e che ha nei secoli alimentato tutte le espressioni artistiche del mondo occidentale. Aldo Sisillo 13 14 MERCOLEDÌ 27 AGOSTO CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 21 Armenian Philharmonic Orchestra Anush Nikoghosyan violino Eduard Topchjan direttore Modest Musorgskij Una notte sul Monte Calvo quadro sinfonico Aram Khačaturjan Concerto in re minore per violino e orchestra Nikolaj Rimskij-Korsakov Shéhérazade suite sinfonica op. 35 Con il patrocinio dell'Assemblea legislativa della Regione Umbria e in collaborazione con il Circolo culturale “Luigi Angelini” di Città di Castello DALL'ALTO IN SENSO ORARIO ARMENIAN PHILHARMONIC ORCHESTRA / ANUSH NIKOGHOSYAN / EDUARD TOPCHJAN © FOTO MARIANNE UZANKICHYAN 15 MUSICA ARMENA, MUSICA RUSSA di Mauro Mariani no degli eventi che cambiarono il corso della musica nel diciannovesimo secolo fu l’irruzione della Russia sulla scena musicale: se all’inizio di quel secolo praticamente non esistevano compositori russi, all’inizio del successivo gli ormai scomparsi Musorgskij e Ciaikovskij, l’anziano RimskijKorsakov, il giovane Skrjabin e il giovanissimo Stravinskij catalizzavano l’attenzione sia del pubblico che della critica, in Europa e in America. Lo sviluppo della musica russa viene normalmente ricondotto nell’ambito delle scuole nazionali sorte nell’Ottocento, ma in realtà se ne distingue per alcune particolarità, poiché da una parte non fu legato alle aspirazioni d’indipendenza nazionale proprie delle altre principali scuole musicali nazionali – ceca, norvegese, finlandese, polacca – e quindi non diede particolare rilievo agli ideali nazionalistici nell’accezione politica del termine, mentre dall’altra parte puntò più decisamente sulla valorizzazione degli aspetti peculiari della musica tradizionale russa, ricollegandosi sia ai canti e alle danze popolari sia al canto sacro ortodosso. Il più geniale compositore russo fu indubbiamente Modest Musorgskij, che rifiutò sempre di darsi una compiuta formazione tecnica, perché ciò avrebbe inevitabilmente significato studiare sui trattati tedeschi e francesi, o anche italiani, e rinunciare quindi alla propria specificità di musicista russo. Libero dalle regole accademiche, fu costretto a non ricorrere alle formule strandardizzate e a essere originale, cercando sul pianoforte le sue armonie “audaci, nuove, grezze ma curiosamente giuste”. Questo fu imputato a una mancanza di scienza musicale, tanto che il suo sodale Rimskij-Korsakov pensò di “regolizzare” la sua musica, preservandone la struttura tematica, ma aggiungendo o togliendo battute, addolcendo le asprezze armoniche, spianando le irregolarità ritmiche, dando maggior brillantezza al timbro, ma rendendo in questo modo convenzionale, anche se indubbiamente seducente, la scrittura “primitiva” di Musorgskij. Una notte sul Monte Calvo – un poema sinfonico che descrive con toni accesamente fantastici un sabba di streghe nella notte di San Giovanni – ebbe la prima esecuzione proprio nella versione di Rimskij, nel 1886 a San Pietroburgo. Ora si è tornati a eseguire di preferenza la versione originale, che è stata ritrovata solo nel 1968. Musorgskij vi aveva lavorato per molti anni e ne aveva fatte tre versioni. Per la prima, del 1867, Musorgskij aveva annotato questo brevissimo programma: Assemblea delle streghe, loro discorsi e chiacchiericci; Corteo di Satana; Messa nera; Sabba. Rimskij-Korsakov redasse un suo programma, diverso ma sostanzialmente fedele a Musorgskij, che de- U 16 scrive più dettagliatamente il contenuto del poema sinfonico: Suoni sotterranei di voci ultraterrene; Apparizione degli spiriti delle tenebre, seguiti da quello di Čërnobog; Glorificazione di Čërnobog e celebrazione della messa nera; Sabba delle streghe; Al culmine dell’orgia la campana di una piccola chiesa di paese si ode in lontananza; Gli spiriti delle tenebre si disperdono: alba. Qualche decennio dopo l’entrata della Russia sulla scena musicale, la caduta dell’impero zarista e la nascita dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche segnò un’ulteriore apertura di nuovi immensi territori alla musica di derivazione europea, perché furono fondati istituti di educazione musicale, teatri d’opera e orchestre sinfoniche anche nelle più remote Repubbliche dell’Unione. I compositori di quelle regioni, per avvicinare il nuovo pubblico alla musica “colta”, fusero l’eredità classica e le tradizioni musicali locali. Molti di quei compositori sono oggi quasi degli eroi nazionali nei loro paesi, ma degli sconosciuti in Occidente, mentre meriterebbero di essere considerati con maggiore attenzione, se non fossimo così eurocentrici. Comunque almeno uno di loro ha raggiunto una solida fama a livello mondiale: è l’armeno Aram Khačaturjan. Spinto dal desiderio di comunicare con i vasti strati di pubblico che si avvicinavano per la prima volta alla musica sinfonica, Khačaturjan si esprime attraverso una sintassi spontanea e immediata, sovente arricchita da stilemi tratti dalla musica popolare armena e del vicino Oriente in genere, inseriti in un tessuto tardo ottocentesco, impreziosito però dalle moderne conquiste in campo orchestrale, che derivano alla lontana dall’insegnamento di Rimskij-Korsakov. Il suo Concerto in re minore per violino e orchestra fu completato nel 1940 e dedicato al grande violinista russo David Ojstrach, che diede al compositore preziosi consigli per la parte solistica. L’Allegro con fermezza è nella tradizonale forma-sonata, trattata però con libertà. Dopo una breve introduzione orchestrale è il violino a introdurre entrambi i temi principali, quindi una breve cadenza solistica segna il passaggio alla fase di sviluppo dei temi. Un’altra cadenza, più lunga, che inizia come un duetto tra violino e clarinetto, porta alla ripresa dei temi principali e il movimento si conclude con una coda basata sul tema iniziale. Nell’Andante sostenuto fagotto e clarinetto precedono l’entrata del violino col tema principale del movimento, che passa nel suo sviluppo attraverso sfumature e atmosfere diverse, alternando momenti delicati, dalla scrittura quasi cameristica, ad altri più drammatici. È affidato al violino, dopo una vivace fanfara introduttiva, anche il tema principale del Finale, che prosegue inanel- MERCOLEDÌ 27 AGOSTO CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 21 lando una serie di colorati episodi, in cui è ben riconoscibile l’influsso dei canti e delle danze popolari armene. I musicisti della scuola nazionale russa dell’Ottocento fecero ampio uso dell’orientalismo, per rimarcare la specificità della storia, della cultura e della musica russe rispetto all’Europa occidentale. Proprio nell’Oriente pittoresco e meraviglioso Nikolaj Rimskij-Korsakov trovò il terreno ideale per le magie della sua armonia raffinatamente speziata e della sua orchestrazione dai colori preziosi e cangianti come una seta orientale. Lo scrigno più ricco di tali meraviglie sonore è Shéhérazade op. 35, del 1888, trasposizione musicale delle Mille e una notte. Ma, più che raccontare precisamente alcuni episodi di tale raccolta di fiabe arabe, questa musica vuole renderne l’atmosfera complessiva, multicolore e fantastica. Il primo movimento è intitolato Il mare e la nave di Sinbad. Le battute iniziali presentano la cupa e severa figura del sultano Schahriar (Largo e maestoso), cui segue il sinuoso motivo orientaleggiante del violino solo, che personifica Shéhérazade (Lento). La scena si apre ora sulla sterminata e maestosa distesa del mare (Allegro non troppo): Sinbad naviga arditamente sulle onde ora placide ora agitate, mentre risuonano ancora i temi del sultano e di Shéhérazade. La seconda parte (Lento, Andantino) rievoca La storia del principe Kalender (il kalender è un prete maomettano mendicante e nomade). Il motivo di Shéhérazade, suonato dal violino solo sull’accompagnamento dall’arpa, introduce il tema principale del movimento: è il fagotto che presta la sua voce al kalender. La scena brilla di colori orientali, ora delicati e raffinati, ora violenti e barbarici, tra preziosi ceselli dei legni, avvolgenti frasi degli archi, squilli minacciosi degli ottoni. Nella terza parte (Andantino quasi allegretto, Pochissimo più mosso) Shéhérazade narra la fiaba de Il giovane principe e la giovane principessa. La suadente e vibrante melodia dei violini dà voce al principe, alternandosi al delicato e sensuale motivo del clarinetto, che raffigura la principessa. La voce imperiosa del sultano ci ricorda la sua decisione di uccidere la moglie, ma Shéhérazade riprende la sua narrazione e col suo tema introduce il quarto movimento, il più variegato della Suite. Inizia con l’animata e colorata Festa a Bagdad, ma improvvisamente si volta pagina e ricompare Il mare, su cui la nave di Sinbad è in balia di onde spaventose e di venti implacabili. In lontananza appare un altissimo scoglio: la nave è sospinta sempre più velocemente contro la roccia e vi s’infrange col cupo fragore d’un colpo di tam-tam (Il naufragio). Il violino e l’arpa fanno riascoltare il tema di Shéhérazade, cui la voce del sultano s’unisce con accenti finalmente dolci e amorevoli. ARMENIAN PHILHARMONIC ORCHESTRA L’Armenian Philharmonic Orchestra è stata fondata nel 1925 come orchestra sinfonica del Conservatorio di Yerevan. L’orchestra è stata diretta, tra gli altri, da Kurt Masur, Tibor Varga, Varujan Kojian, Christopher Warren-Green e Valery Gergiev, che ne è stato per cinque anni direttore artistico e direttore principale. Ruolo che dal 2000 ricopre Eduard Topchjan. Molti artisti di fama mondiale come Sviatoslav Richter, Mstislav Rostropovič, Renato Bruson, Mischa Maisky, Boris Berezovski, Natalia Gutman, Isabelle Faust, Pinchas Zukerman, Gidon Kremer, Yuri Bashmet, Montserrat Caballe e Placido Domingo, come anche musicisti armeni già affermati o emergenti, si sono esibiti con l’orchestra. L’APO ha in repertorio opere di compositori armeni e internazionali, ed è impegnata a sostenere l’esecuzione di nuove opere per orchestra in programmi che siano interessanti sia per i visitatori regolari e gli intenditori, che per i turisti e i giovani. Un numero eccezionale di compositori – fra tutti Aram Khačaturjan, Dmitrij Kabalevskij, Krzysztof Penderecki – hanno diretto le loro opere con l’Armenian Philharmonic Orchestra. L’APO funge da ambasciatore della musica armena in tutto il mondo e organizza regolarmente tournée all’estero. L’orchestra ha registrato più di quaranta cd: il più recente, Rapsodia armena, è stato pubblicato nel 2011 dalla svedese Bis Records. ANUSH NIKOGHOSYAN Nata a Yerevan, Anush Nikoghosyan ha studiato in Armenia con Petros Haykazian, e alla Hochschule für Musik und Theater di Monaco nella classe di Christoph Poppen. Contemporaneamente si è perfezionata nella capitale armena con Eduard Topchjan. Dal 2013 studia con Julia Fischer. Come solista si è esibita con la Deutsche Radio Philharmonie, l’Armenian Philharmonic Orchestra e la National Chamber Orchestra of Armenia, la Kärntner Sinfonieorchester, la Moravian Philharmonic Orchestra, la Kaunas Chamber Orchestra, la Ural Philharmonic Orchestra, la Deutsche kammerakademie Neuss e altre compagini sotto la guida di Eduard Topchjan, Leos Svarovsky, Christopher WarrenGreen, Pavel Berman, Alexander Treger, Emmanuel Siffert e Markus Bosch. Ha vinto numerosi premi in diverse competizioni violinistiche internazionali, tra i quali il primo premio nel 2010 all’austriaco “International Kaerntner Sparkasse Woerthersee”. Suona un violino di Giovanni Battista Guadagnini del 1753. EDUARD TOPCHJAN Eduard Topchjan ha studiato violino al Conservatorio di Yerevan e direzione d’orchestra con Ohan Durian. Allo studio sono seguite preziose consultazioni con Sir George Solti, Claudio Abbado e Nello Santi. Topchjan ha debuttato con l’APO nel 2000. Nello stesso anno è stato nominato direttore artistico e direttore principale dell’orchestra e ha dato il via a una serie di concerti di successo a Yerevan e all’estero. In qualità di direttore ospite, Topchjan ha diretto importanti orchestre quali la Royal Philharmonic Orchestra, la Filarmonica di Cologne, la Frankfurt Opera, l’Orchestra Filarmonica Nazionale della Russia, la Romanian TV and Radio Orchestra, l’Orchesta Sinfonica Ungherese al Musikverein di Vienna, l’Israel National Radio Symphony Orchestra, la Gulbenkian Symphony Orchestra, la Prague Radio Symphony Orchestra e la Seoul Philharmonic Orchestra. Nel 2007 ha fondato lo Yerevan International Music Festival, di cui ancora oggi è direttore artistico. Nello stesso anno il Ministro della cultura dell’Armenia gli ha conferito il titolo di “Meritorious Worker of Art”. Nel 2011 ha ottenuto la “State Gold Medal”. Nel 2012 è stato nominato direttore ospite principale della spagnola Orchestra Sinfonica Premium di Toledo. 17 18 GIOVEDÌ 28 AGOSTO CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 21 Spirito d’Armenia Hespèrion XXI Viva Biancaluna Biffi viola d'arco David Mayoral percussioni Jordi Savall ribeca, viella, viola d’arco e direzione Aram Movsisyan canto Georgi Minassyan e Haïg Sarikouyoumdjian duduk Gaguik Mouradian kamancha Anonimo Azat astvatsn & Ter kedzo (Ode alla libertà e supplica per gli armeni) Canto e danza tradizionali Sayat Nova Dun en glkhen (Supplica al re prima dell’esilio) Hov arēk’ Canto rurale tradizionale (Lamento), raccolto da Vardapet Komitas Improvvisazione al duduk Sayat Nova Kani vur djan im (Canto d’amore) Tigran Tchukhadjian O’h intsh anush (Canto d’esilio) Barde Djivan Ov siroun, siroun (Canto a duplice lettura, in cui l’amata e la patria si confondono) Improvvisazione al duduk Al aylukhs (Girotondo: dialogo amoroso) canto tradizionale, raccolto da Komitas Canti di nozze tradizionali, raccolti da Vardapet Komitas Vorp Ani karaki vera (Lamento sulla città di Ani) canto tradizionale Taksim e danza tradizionali Alagyeaz & Khnki tsar canti rurali tradizionali, raccolti da Vardapet Komitas Gusan Ashot En sarer (Lamento) Gabriel Yeranian Hayastan yerkir (Ode alla patria) Garun a Canto rurale tradizionale, raccolto da Vardapet Komitas Tigran Tchukhadjian Menk kadj tohmi (Canto di lotta) JORDI SAVALL © FOTO DAVID IGNASZEWSKI 19 SENZA MEMORIA NON C'È FUTURO di Giovanni D’Alò enza emozione non c’è Memoria, senza memoria non c’è Giustizia, senza giustizia non c’è Civiltà e senza civiltà l’essere umano non ha futuro”. È una massima di Jordi Savall che forse più di ogni discorso critico spiega il senso di una lunga carriera trascorsa a ricercare, studiare e riportare in vita i repertori del passato. Una catena logica che collega la Memoria (con la “m” maiuscola come scrive Savall), come dovere morale di conoscenza della storia e della sua salvaguardia, con la prospettiva del futuro che attende l’Uomo (qui la maiuscola la mettiamo noi). Savall lo fa da almeno quattro decenni, anzi quest’anno ricorre proprio il quarantennale dell’ensemble Hespèrion XXI, il gruppo da lui fondato nel 1974 (allora il nome era Hespèrion XX con riferimento al ventesimo secolo, poi mutato in quello attuale) e con il quale ha iniziato la sua attività internazionale diventando uno dei punti di riferimento nel campo dell’esecuzione della musica antica con osservanza delle prassi esecutive d’epoca con strumenti originali. Un campo di ricerca che si sviluppava negli anni in cui il musicista catalano cominciava la sua attività e che ha letteralmente cambiato la nostra percezione della musica del Seicento e del Settecento, inclusi i capolavori di maestri come Bach, Händel e Vivaldi che credevamo intoccabili. In particolare, Savall ha dato il suo importante contributo alla riscoperta del repertorio legato al suo strumento, la viola da gamba, e a quello della tradizione del suo paese d’origine. Come nessun altro, però, Savall ha ampliato i confini geografici delle sue ricerche, coltivando un’instancabile curiosità verso le altre culture, inseguendo le tracce musicali di complessi capitoli della storia, dalla tradizione cristiana a quella musulmana, dalla diaspora degli ebrei sefarditi alla scoperta delle Americhe e ai viaggi in estremo Oriente, disegnando una mappa in cui popoli spesso divisi da guerre e differenze religiose risultano invece uniti da influenze reciproche proprio sul piano dell’espressione musicale. Rientra in questa visione l’accostamento a una terra culturalmente feconda come l’Armenia, “una delle più antiche civiltà cristiane dell’Oriente, sopravvissuta miracolosamente a una storia convulsa e particolarmente tragica”, come lo stesso Savall riconosce. E aggiunge: “Ciò nonostante, essa ha saputo conservare attraverso i secoli l’essenza delle sue particolarità nazionali, come prova soprattutto l’adozione di un proprio alfabeto e come mostra anche il suo ricco patrimonio architettonico, oggi sparso anche al di fuori dei suoi territori attuali. Sebbene questo patrimonio tangibile sia una delle testimonianze più sorprendenti, essa ha custodito anche un ricco patrimo- “S 20 nio intangibile, in campo musicale: un repertorio molto ampio e vario, ma purtroppo poco conosciuto”. All’origine del progetto Spirito d’Armenia c’è anche il desiderio personale di Savall di rendere omaggio a sua moglie, il soprano Montserrat Figueras, al suo fianco fin dagli esordi e prematuramente scomparsa nel 2011. “Montserrat Figueras aveva una profonda simpatia e sentiva una grande attrazione per gli strumenti armeni, specialmente per il duduk e il kamancha – scrive il musicista –. Dopo la sua morte, io stesso ho trovato consolazione nell’ascolto di meravigliosi lamenti suonati da questi strumenti. È stato dopo questi momenti di così grande emozione che ho avuto l’idea di dedicare questo progetto alla memoria di Montserrat Figueras, allo stesso tempo rendendo un omaggio personale a un popolo che durante la storia ha tanto sofferto (con una sofferenza che non è ancora pienamente riconosciuta) e che, malgrado tanto dolore, aveva ispirato musiche così piene d’amore, portatrici di pace e d’armonia”. Parole che ci riportano ancora una volta alla centralità di uno strumento come il duduk, un tipo di flauto le cui prime testimonianze risalgono al IV secolo d.C., e il solo riconducibile a una tradizione autenticamente armena al punto da diventare il simbolo di questo popolo. Savall ne sottolinea le potenzialità espressive assimilabili quelle della voce umana: “Si può affermare che i duduk caratterizzano la musica armena in modo quasi assoluto. Fin dall’ascolto dei primi suoni di questi strumenti, che abitualmente si suonano in coppia, il timbro quasi vocale e la dolcezza delle loro vibrazioni ci trasportano in un universo straordinario, elegiaco e poetico, e ci immergono in una dimensione intima e profonda”. Altrettanto delicato è il timbro del kamancha, antichissimo strumento ad arco di origine persiana adottato dalla tradizione armena, la cui estensione è in gran parte comune a quella del violino. “Per nostra immensa fortuna, il grande maestro di kamancha Gaguik Mouradian mi aveva offerto, fin dal 2004, diverse raccolte di musiche armene, tra le quali il favoloso Thesaurus, il libro d’oro delle canzoni armene pubblicato nel 1982 a Yerevan dal musicologo Nigoghos Tahmizian” – prosegue Savall –. Qui ho potuto trovare gli esempi più belli di questo repertorio, completati dai pezzi per kamancha e da quelli per due duduk che ci hanno proposto i nostri amici musicisti d’Armenia. Con la collaborazione di un altro musicista straordinario, che è anche un carissimo amico, il suonatore di duduk Haïg Sarikouyoumdjian, ho trascorso parecchi mesi di studio e di lavoro quotidiano, decifrando i segreti di queste antiche e bellissime melodie, ascoltando delle vecchie registrazioni e ricercando GIOVEDÌ 28 AGOSTO CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 21 le chiavi “segrete” d’accesso allo stile e al carattere di ciascuna di queste musiche”. Nello specifico, Spirito d’Armenia accosta brani tradizionali e altri riconducibili ad autori ben definiti, che danno conto di una scuola compositiva nazionale storicamente connotata. Tra questi, il più importante è forse Sayat Nova (1712-1795), la cui biografia ci racconta che dopo la morte della moglie divenne monaco e che fu ucciso dai Persiani durante una funzione religiosa. Di lui rimangono circa duecento composizioni, molte delle quali furono pubblicate per la prima volta nel 1852 a Mosca. Alla sua storia nel 1968 il regista Sergej Paražhanov ha dedicato il film Il colore del melograno, che si avvale peraltro di una colonna sonora firmata da Tigran Mansurian (compositore armeno contemporaneo presente in altri appuntamenti di questo Festival delle Nazioni). Altre personalità originali si affermano nell’Ottocento, come Gabriel Yeranian (1827-1862) e soprattutto Tigran Tchukhadjian (1837-1898) che, nato a Costantinopoli, ebbe anche contatti con l’Italia, dove studiò a Milano, forse con Giuseppe Verdi. Figura geniale fu infine il turco Vardapet Komitas (18691935), pioniere di studi etnomusicologici in territorio armeno e ricercatore di canti popolari, da lui raccolti con sistematicità, rielaborati e fatti conoscere a un pubblico sempre più vasto, nello stesso periodo in cui Béla Bartók compiva studi analoghi nei Balcani. A lui si deve principalmente la riscoperta e la conservazione fino a noi di un ricchissimo repertorio che affonda le radici in epoca pre-cristiana e che annovera i tradizionali horovel (canti di lavoro legati alla vita dei campi), ninne-nanne, canti di nozze e rituali, canti patriottici, canti accompagnatori di danze maschili e femminili, e canti d’amore, tra cui uno divenuto celebre, dedicato alla gru, uccello che nell’immaginario armeno simboleggia la diaspora. HESPÈRION XXI Nel 1974, a Basilea, Jordi Savall e Montserrat Figueras, con Lorenzo Alpert e Hopkinson Smith, fondarono Hespèrion XX, un gruppo di musica antica che intendeva recuperare e diffondere il ricco repertorio musicale anteriore all’Ottocento a partire da nuove premesse: i criteri storici e gli strumenti originali. Il suo nome, Hespèrion, significa “originario di Esperia”, che nell’Antica Grecia era la denominazione delle penisole più occidentali d’Europa: quella iberica e quella italiana. Era anche il nome che riceveva il pianeta Venere quando compariva a Occidente. Hespèrion XX, a partire dal 2000, ha cambiato il proprio nome in Hespèrion XXI. Il repertorio di Hespèrion XXI include, tra le varie cose, opere di repertorio sefardita, romanze castigliane, pezzi del secolo d’oro spagnolo e l’Europa delle Nazioni. Grazie al notevolissimo lavoro dei numerosi musicisti che hanno collaborato con il gruppo in tutti questi anni, Hespèrion XXI svolge ancora un ruolo chiave nel recupero e nella rivalutazione del patrimonio musicale con una grande ripercussione a livello mondiale. Ha pubblicato più di sessanta cd, tiene concerti in tutto il mondo e partecipa abitualmente ai grandi festival internazionali di musica antica. JORDI SAVALL Jordi Savall è una delle personalità musicali più polivalenti della sua generazione. Da più di quarant’anni, fa conoscere al mondo musiche antiche, che studia e interpreta con la sua viola da gamba o come direttore. Le sue attività di concertista, insegnante, ricercatore e creatore di nuovi progetti, sia musicali che culturali, lo collocano tra i principali artefici del fenomeno di rinascita della musica storica. Ha fondato, insieme a Montserrat Figueras, i complessi musicali Hespèrion XXI (1974), La Capella Reial de Catalunya (1987) e Le Concert des Nations (1989). Con la sua partecipazione al film di Alain Corneau Tous les Matins du Monde (Premio César per la migliore colonna sonora), la sua intensa attività concertistica e discografica, e con la creazione della propria casa discografica Alia vox, fondata unitamente a Montserrat Figueras nel 1998, Jordi Savall ha dimostrato che la musica antica non deve necessariamente essere elitaria. Completati gli studi di violoncello al Conservatorio di Barcellona, nel 1965 ha iniziato da autodidatta lo studio della viola da gamba e della musica antica nel gruppo Ars Musicae, e ha perfezionato la sua formazione musicale dal 1968 alla Schola Cantorum Basilensis in Svizzera, dove fino al 1993 ha collaborato con masterclass, come fa attualmente, come professore invitato, alla Juilliard School di New York. Nel corso della sua carriera ha pubblicato più di duecento dischi di musica medievale, rinascimentale, barocca e del classicismo, con una speciale attenzione al patrimonio musicale mediterraneo. Tanti i riconoscimenti, tra cui Midem Classical Awards, Icma e Grammy, e il prestigioso Premio “Léonie Sönning” 2012, considerato il premio Nobel per la musica. ARAM MOVSISYAN Nato nel 1984 a Yerevan, ha studiato canto tradizionale al Conservatorio della sua città natale. Nel 2004 è entrato a far parte dell’ensemble vocale e strumentale di musica popolare di Tatoul Altounian, prendendo parte a diversi concerti e tour. Ha collaborato con il Centro Studi etnomusicologici “Progetto Van” di Norayr Kartashyan, i cui studi si concentrano sull’eredità musicale dell’Armenia occidentale storica, interpretando il repertorio come solista durante concerti o conferenze a Van e Diyarbakir (Turchia) nell’agosto 2012. Dal 2013, è solista dell’Ensemble nazionale di musica vocale tradizionale dell’Armenia. 21 22 VENERDÌ 29 AGOSTO MONTE SANTA MARIA TIBERINA PIAZZA CASTELLO BOURBON DEL MONTE ORE 18.30 Danilo Rossi viola Giulia Baracani flauto Vincitrice del Premio “Alberto Burri” per giovani interpreti 2013 Stefano Bezziccheri pianoforte Dmitrij Šostakovič Sonata per viola e pianoforte op. 147 Franz Anton Hoffmeister Duetto per viola e flauto op. 13 n. 4 Vache Sharafyan Drawing in air by solo flute PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA GIULIA BARACANI © FOTO LAURA REBISCINI / DANILO ROSSI E STEFANO BEZZICCHERI © FOTO ANDREINI SAVOCA 23 DISEGNANDO NELL'ARIA di Carlo Vitali urante le sue conferenze-concerto negli anni Quaranta, il grande violista William Primrose (1903-1982) così spiegava ai suoi ascoltatori del West americano la differenza tra violino e viola: “La viola è un violino che ha fatto l’università”. E un altro celebre solista, Hatto Beyerle, era solito ricordare ai suoi allievi “il colore così triste, a volte perfino tragico, della sua corda grave”. Eppure c’è ancora chi si attarda nel deplorare la scarsità del repertorio violistico: Stamitz, Hoffmeister, Berlioz, Dvořák e poi? A sentir loro, il deserto. Sarà forse un’illusione ottica dovuta alla pigrizia di certi programmisti che amano celebrare soltanto il già celebrato giocando sulla passività di un pubblico male informato. Al contrario, come ci ricorda il professore austriaco Franz Zeyringer (Literatur für Viola, Hartberg, Schönwetter, 19852), dalle origini barocche dello strumento sono circa 750 i brani composti per viola non accompagnata, 1.300 quelli per viola e orchestra, 3.000 quelli per viola e strumento a tastiera. Un repertorio cui il Novecento ha dato un contributo imponente: Bela Bartók, Paul Hindemith, William Walton, Walter Piston, Ernest Bloch, John Harbison sono i primi nomi che vengono alla mente. Naturalmente senza dimenticare Dmitrij Šostakovič, che al contralto del quartetto d’archi scelse di dedicare il suo ultimo canto, la Sonata per viola e pianoforte op. 147. Le drammatiche circostanze che ne accompagnarono la nascita furono narrate in dettaglio dallo stesso dedicatario del lavoro, il violista Fëdor Družinin, in un articolo apparso sulla “Literaturnaja Gazeta” nel settembre 1975. Nel giugno di quell’anno le condizioni di Šostakovič declinarono rapidamente. Gli era stato diagnosticato un cancro al polmone che esigeva terapie defatiganti. Ai vecchi disturbi circolatori si aggiunse un ictus che gli causò la paralisi di un braccio e serie difficoltà di coordinazione motoria. Fra un ricovero e l’altro gli era riuscito di assistere alla prima, realizzata il 10 maggio dal basso Evgenij Nesterenko, dei suoi Quattro versi del capitano Lebjadkin (da Dostoevskij). Sarebbe stata la sua ultima apparizione pubblica. In viaggio verso la sua dača di Žukovka per un periodo di riposo, sostò a Repino, sulla costa baltica a nord di Leningrado, per farsi visitare da una guaritrice da lui chiamata “la strega”. Alla fine di giugno telefonò a Družinin, il violista di quel Quartetto Beethoven che aveva realizzato molte sue prime cameristiche, per domandargli se col suo strumento si potessero eseguire le quarte parallele. Gli rivelò che la Sonata in cantiere sarebbe stata in tre movimenti: “Il primo è una novella, il secondo uno scherzo, e il finale è un ada- D 24 gio in memoria di Beethoven”. Il 5 luglio, alla vigilia di un nuovo ricovero, la partitura era finita. Fra alti e bassi nelle sue condizioni cliniche, il Maestro fece in tempo a correggerne le bozze di stampa; Družinin e il pianista Michail Muntjan ne realizzarono la prima esecuzione privata nell’appartamento moscovita di Šostakovič. Era il 26 settembre, il suo sessantanovesimo compleanno, ma il festeggiato non era là: un nuovo infarto lo aveva stroncato alle 18.30 del 9 agosto. Il primo ottobre seguiva il debutto pubblico alla Sala Glinka di Leningrado. Scarna ai limiti dell’ascetismo, la Sonata si svolge nei tre movimenti progettati, che terminano tutti con l’indicazione “morendo”. Il primo (Moderato - Aria) si apre coi pizzicati della viola; seguono esposizione, sviluppo e ripresa suddivisi fra i due strumenti con varietà di effetti (glissandi, tremoli sul ponticello e nuovi pizzicati alla viola; legato sul pianoforte). Nonostante l’impianto bitematico, l’ambiguità tonale rende vago il ricordo della classica forma-sonata. Sardonico, grottesco e virtuosistico lo Scherzo (Allegretto), dominato da spunti popolareschi di marcia e di danza che Šostakovič aveva in origine destinato a un’opera teatrale rimasta incompiuta: I giocatori, da un racconto di Gogol’. L’Adagio finale, sottotitolato “In memoria del grande Beethoven”, è un cantabile della viola accompagnato da arpeggi e rintocchi del pianoforte. Le citazioni dalla Sonata al chiaro di luna potrebbero significare molte cose, ma la lettura più ovvia è una resa di fronte all’ultima e inevitabile esperienza della vita. Come editore musicale, Franz Anton Hoffmeister (17541812) lasciò un segno durevole sul panorama di un ramo d’industria assai fiorente nei paesi di lingua tedesca: l’attuale Edition Peters discende dal “Bureau de musique” da lui fondato a Lipsia nell’anno 1800. Nella sua attività primaria, condotta fra Lipsia e Vienna, Hoffmeister si rivelò un ottimo talent-scout assicurandosi le prime edizioni di capolavori molto in anticipo sui gusti del tempo; basti citare la Sonata Patetica op. 13 di Beethoven e il Quartetto KV478 di Mozart, che a sua volta gli dedicò il Quartetto KV499 (Hoffmeister Quartett). Nella composizione, che esercitò con impegno più che dilettantesco, la sua produzione era invece orientata a soddisfare i gusti di un pubblico medio, magari desideroso di condire con piccanti spezie timbriche le familiari sedute di Hausmusik; di qui la scelta di strumenti solisti meno frequentati quali il contrabbasso e la viola, oppure già fuori moda come la viola d’amore, il flauto d’amore e la Schalmey, forma arcaica di clarinetto. Non alle proprie stampe, bensì alla ditta londinese Forster, Hoffmeister affidò la pubblicazione della sua op. 13: Six Duetts for a VENERDÌ 29 AGOSTO MONTE SANTA MARIA TIBERINA PIAZZA CASTELLO BOURBON DEL MONTE ORE 18.30 Violin&Tenor, databile intorno al 1800. Nella terminologia inglese, che ancora risentiva di abitudini secentesche, Tenor stava appunto per viola, mentre l’equipollenza tra violino e flauto era anch’essa garantita da un uso secolare. Sono pagine di non eccelso impegno tecnico, improntate a uno stile di conversazione dove prevale la continua alternanza fra i ruoli di canto e accompagnamento, mentre le modulazioni si aggirano in un prevedibile cerchio di tonalità relative e di tonica/dominante. Il numero 4 della collezione, in si bemolle maggiore, consiste in un Allegro seguito da un Minuetto nella classica forma esposizionetrio ritornellato-ripresa da capo. Vache Sharafyan, classe 1966, è un compositore postmoderno fecondo quanto un Kapellmeister barocco, e come quei suoi predecessori affonda i modi del proprio operare in un clima che è insieme artigianale, profondamente spirituale e fondato sulla consapevolezza delle radici. Che nel suo caso sono quelle dell’Armenia, figlia primogenita di un Cristianesimo capace di elaborare in sedici secoli un patrimonio letterario, architettonico, liturgico e musicale di estrema raffinatezza, gettando ponti fra l’Occidente e il vicino Oriente nei suoi tre grandi filoni: bizantino, arabopersiano e turco. Perfino in un frammento di sette minuti come la composizione qui offerta in prima mondiale, il pensoso approccio di Sharafyan si svela fin dal titolo, che nell’originale inglese recita: Drawing in air by [e non “for”] solo flute. Deliziosa anfibolia che si potrebbe tradurre con “disegnare nell’aria” oppure “inspirare aria” “per mezzo del flauto”, dove una moderna sinergia espressiva, già praticata dal nostro musicista in duo con l’artista grafico Kevork Mourad, si sovrappone alla prima fase di un processo essenziale alla vita. Il discorso musicale si articola anch’esso su due piani, navigando fra notevoli difficoltà tecniche quanto a fraseggio, metrica, diteggiatura di note doppie e triple. Alla base sta un recitativo ornato, o meglio un flusso a saliscendi che – a quanto assicura l’autore – è governato dalle cadenze della sua lingua nativa. Quell’idioma che il poeta russo Osip Mandel’štam definiva “resistente come stivali di pietra”, e che veicola una musicalità virile fatta di sibilanti, gutturali, vocali coperte, semivocali aspirate. Nella sezione centrale fiorisce la reminiscenza di un umile spunto melodico che uno Sharafyan ancora adolescente usava canticchiare fra sé e sé. DANILO ROSSI A soli vent’anni, Danilo Rossi è stato scelto da Riccardo Muti per ricoprire il ruolo di prima viola solista della Filarmonica della Scala, divenendo la più giovane prima viola nella storia del prestigioso teatro milanese. È regolarmente invitato nei maggiori festival con Sergio Azzolini, Yuri Baschmet, Mario Brunello, Bruno Canino, Giuliano Carmignola, Enrico Dindo, Andrea Lucchesini, il Quartetto Arditti. È stato inoltre per diversi anni membro del Trio d’archi della Scala e del Quartetto della Scala con cui si è esibito nelle più prestigiose sale internazionali. Da vent’anni è presente nelle più importanti società concertistiche in duo con il pianista Stefano Bezziccheri, con il quale ha interpretato tutto il repertorio per viola e pianoforte. Artista di vasta e varia esperienza musicale, ha collaborato con jazzisti quali Jim Hall, Wayne Marshall, Steve LaSpina e Terri Clarke. Ha fondato il Music Train Quintet insieme ai fratelli Nanni, Luciano Zadro e Massimo Moriconi. Per lui hanno scritto Alessandro Ferrari, Daniele Callegari, Enrico Pesce, Sante Palumbo e Jim Hall, Carlo Boccadoro, Stefano Nanni, Roberto Molinelli. Numerose le incisioni discografiche solistiche e da camera per Sony, Fonit-Cetra, Arcadia. Tiene corsi di perfezionamento in numerose città, ed è docente di viola al Conservatorio della Svizzera italiana di Lugano. GIULIA BARACANI Diplomata al Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze, si è perfezionata all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e all’Istituto superiore di studi musicali VecchiTonelli di Modena. Ha frequentato le masterclass di Barthold Kujiken, Nicola Mazzanti e Paolo Taballione. Ha preso parte alla Trillo Flute Orchestra di Michele Marasco, suonando all’interno della stagione cameristica dell’ORT. Ha partecipato al World Bach Fest 2012 con Flame Ensemble, per la prima esecuzione assoluta di una composizione di Andrea Cavallari. Dal 2011 è primo flauto della 15Orchestra. Ha fatto parte dell’Ensemble cameristico del Teatro Comunale Pavarotti di Modena e collabora stabilmente con gli Amici della musica di Modena. Ha collaborato anche con l’Ensemble900 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Ha partecipato al Ravenna Festival 2013 in qualità di ottavinista e flautista del Nextime Ensemble diretto da Danilo Grassi. Ha eseguito concerti da solista con l’Orchestra giovanile di Salisburgo. Ha effettuato registrazioni per Rtv38, Studio Emme Recording e Sky. È stata premiata alle Borse di studio Gazzelloni 2012, ed è vincitrice del Premio “Alberto Burri” per giovani interpreti 2013. STEFANO BEZZICCHERI Vincitore in diversi concorsi nazionali e internazionali, Stefano Bezziccheri ha iniziato precocemente una intensa attività concertistica come solista e in duo pianistico. Nel 1988 ha iniziato una proficua collaborazione con Danilo Rossi, prima viola solista dell’Orchestra del Teatro alla Scala, col quale si è creata una intesa musicale straordinaria. A tutt’oggi sono diverse centinaia i recital effettuati in Italia e all’estero, nei quali viene percorso l’intero repertorio per viola e pianoforte. Numerose sono le registrazioni, in audio e in video, per Rai1, Rai3 e network privati. Come solista e in duo pianistico con Pierluigi Di Tella ha realizzato diverse incisioni discografiche; come camerista collabora abitualmente in varie formazioni, suonando con Francesco Manara, Sonig Khatcherian, Dora Schwarzberg, Mario Brunello, Enrico Dindo, Alexander Gebert, Alfredo Persichilli, Enrico Bronzi, Luca Simoncini, Fabrizio Meloni, Corrado Giuffredi, Giuseppe Ettorre, Sergio Azzolini. Per l’Editore Limen Music si sta concludendo la realizzazione di un progetto audiovideo di sei cd/dvd in duo con Danilo Rossi, che comprende tutto il grande repertorio per viola e pianoforte. Il primo di questi, contenente le due Sonate di Brahms, è stato presentato al Teatro alla Scala di Milano nel 2010. Bezziccheri attualmente insegna al Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna. 25 26 S P O N S O R D E L L A S E R ATA VENERDÌ 29 AGOSTO CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 21 NOA IN NOA-DOR-FOUR Noa voce e percussioni Gil Dor chitarre Adam Ben-Ezra contrabbasso Gadi Seri percussioni musiche dall’album Love Medicine NOA QUARTET 27 MUSICA PER LA PACE di Luca Della Libera l potere terapeutico della musica e la sua capacità di modificare e guarire i nostri stati d’animo appartengono alla cultura occidentale da almeno duemila anni. Furono i Greci a individuare per primi il carattere dei vari modi (o scale) e la loro relazione con differenti stati d’animo e funzioni sociali. Se nel corso dei secoli tale rapporto è stato oggetto di riflessione da parte di musicisti, compositori, teorici e filosofi, negli ultimi decenni esso è stato anche al centro di riflessioni più propriamente scientifiche. Mi riferisco, ad esempio, alla musicoterapia, una disciplina sempre più presente in varie realtà istituzionali, per la quale esiste ormai una ricca bibliografia riguardante la possibilità d’intervenire attraverso la musica nei confronti di varie forme di disagio psicologico. Se poi pensiamo alla cultura di tradizione orale, basterebbe citare il caso del tarantismo, un complesso rito coreutico musicale in voga nel Sud dell’Italia fino a pochi decenni fa, realizzato per guarire persone sofferenti, nella convinzione che il male derivasse dal morso velenoso della taranta, animale simbolico e non zoologicamente identificabile con alcuna specie esistente. Al di là di questi pochi esempi, il carattere terapeutico della musica è qualcosa che appartiene anche all’esperienza quotidiana di molti consumatori di musica, che orientano le proprie scelte verso quei repertori che a loro dire rilassano e comunque evocano situazioni e stati d’animo piacevoli e rilassanti. I Tutto questo sembra essere il filo rosso dell’ultima fatica discografica di Noa, che ritorna, a distanza di quattro anni dall’ultimo disco, con il nuovo progetto discografico e live, Love Medicine, il cui titolo è arrivato in seguito, da alcune riflessioni a proposito dei poteri curativi della musica e della sua capacità di evocare meditazione, compassione, accettazione ed emozioni infinite. Il cd è il frutto della collaborazione di Noa con Gil Dor, da sempre al suo fianco come direttore musicale e chitarrista, e ben quattro anni di lavorazione. La lunga tournée estiva di Noa ha toccato i palchi più importanti del nostro Paese e d’Europa: nei concerti la cantante è accompagnata da Gil Dor alla chitarra, Adam Ben-Ezra al basso e Gadi Seri alla batteria, insieme a un quartetto d’archi e a una special guest d’eccezione: Joaquín Sabina. Il disco di Noa è stato pubblicato nei giorni più difficili della crisi tra israeliani e palestinesi, quindi il suo titolo è diventato enormemente attuale. In una recente intervista Noa ha dichiarato che “la musica ha la forza di trasformare la nostra vita e le nostre prospettive. È una piccola ma fondamentale luce. Quando finirà questo brutale spargi28 mento di sangue? Quando smetteremo di ascoltare scuse patetiche, affogate da accuse e codardia dai nostri decadenti leader di una e dell’altra parte, che non hanno ancora capito che non hanno alcun diritto di occupare il “trono” che noi abbiamo costruito per loro se non sono capaci di salvare le vite dei nostri figli, se non combattono l’odio e la violenza con le loro mani nude, se non sacrificano le loro comodità per la sicurezza e il futuro dei popoli che rappresentano, se non ci portano finalmente alla pace. Il mondo ha un disperato bisogno di una medicina d’amore”. Con un concerto pressoché tutto in acustico, Noa volge il suo sguardo in particolare ai sentieri jazzistici, rimanendo sempre ancorata alla sua dimensione di cantante totale, in grado di rappresentare se stessa sul palco sia quando si cimenta con le tradizioni musicali yemenite ed ebraiche sia quando ritorna alle sue origini di cantautrice dalle influenze world. Durante questi anni Noa e il suo collaboratore di lunga data Gil Dor hanno continuato ad esibirsi in modo regolare, incontrando molte persone interessanti e partecipando ai più svariati progetti. In Love Medicine si trovano brani ispirati a una grande varietà di persone e situazioni affascinanti che Noa e Gil hanno incontrato e vissuto durante questi quattro anni. C’è una canzone scritta da Noa per Joaquín Sabina e a lui ispirata, nella quale Noa e Sabina eseguono un duetto nelle loro due lingue. Ci sono brani dedicati al Brasile che si ispirano e rendono omaggio a grandi artisti come João Bosco, Milton Nascimento e Gilberto Gil, del quale Noa ha tradotto in ebraico il celebre brano A paz. Troviamo anche una canzone composta da Pat Metheny per Noa, e della quale la stessa Noa ha scritto il testo, prima collaborazione artistica fra i due grandi musicisti dopo ventiquattro anni di reciproca ammirazione e amicizia. Metheny ha infatti prodotto il primo album internazionale di Noa nel 1994. Il nuovo cd prevede anche brani scritti da Noa e Gil Dor per un musical sulla vita di Papa Giovanni Paolo II, oltre all’energica Love Your Brother e l’incalzante Little Star. E ci sono due cover: una del poco noto brano di Bobby McFerrin intitolato Mere Words che nasce da una collaborazione fra Noa e McFerrin a Tel Aviv, e l’altra è una versione sincera di Eternal Flame, dedicata al suo caro amico Billy Steinberg, scrittore del testo di questo classico del pop. Durante questa drammatica estate Noa ha fatto sentire la sua voce in favore della pace. La cantante ha recentemente ribadito l'appello alla pace lanciato con una lettera aperta pubblicata dal “Corriere della Sera” nella quale ha esortato i moderati a prendere le distanze dagli VENERDÌ 29 AGOSTO CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 21 estremisti delle due fazioni per cambiare le regole del gioco. “Solo il dialogo – ha dichiarato l’artista in una recente intervista - può porre fine a questo conflitto: noi, israeliani e palestinesi, dobbiamo cooperare, superando le nostre paure e i nostri sospetti”. Le dichiarazioni critiche di Noa nei confronti del governo isreaeliano hanno subito avuto conseguenze concrete. Il concerto previsto per il 27 ottobre prossimo a Milano è stato annullato da parte dell'associazione Adei-Wizo-Donne Ebree d’Italia. L’agente dell’artista ha denunciato il boicottaggio a Noa, dovuto alle sue posizioni espresse anche in un’intervista video a un’agenzia di stampa in cui l’artista israeliana dichiarava: "Ho incontrato Abu Mazen a Ramallah. Credo che il leader palestinese voglia veramente la pace con Israele, ma purtroppo non posso dire lo stesso del mio premier”. Noa crede nell’amore: impararlo, riceverlo, darlo e farlo sentire, e crede nella strada del dialogo, e nella costituzione di due Stati separati, la Palestina e Israele. NOA Noa è una cantante, compositrice e percussionista di origine yemenita, israeliana e americana che ha ricevuto il dono di una voce angelica e di una presenza sul palco magnetica. Insieme a Gil Dor, direttore musicale e chitarrista di lunga data, Noa ha emozionato, affascinato e incantato il pubblico di tutto il mondo. Il suo infaticabile e coraggioso lavoro per la pace nel suo paese e i suoi numerosi impegni di volontariato in tutto il mondo sono valsi una lunga lista di titoli e riconoscimenti tra cui quello di “Ambasciatrice di buona volontà della Fao”, “Cavaliere della Repubblica Italiana”, oltre al “Chrystal Award” ricevuto dal World Economic Forum a Davos, e il “Dove of Peace” ricevuto da Shimon Peres. Impegnata e dal raro talento, Noa è stata paragonata a Barbara Streisand, Joan Baez, Nana Mouskouri, Joni Mitchell e Elis Regina. Il suo talento e la sua integrità artistica hanno catturato l’attenzione e i cuori di alcuni delle più grandi leggende della musica dei nostri tempi, tra cui Quincy Jones, Sting e Pat Metheny, che ha prodotto nel 1994 Noa, il suo primo album internazionale, pubblicato dalla Geffen Records. Noa ha eseguito la versione originale dell’Ave Maria per Papa Giovanni Paolo II in Vaticano, è stata l’unica grande artista israeliana che ha accettato di esibirsi alla storica manifestazione per la pace che seguì l’assassinio di Yitchak Rabin, ha partecipato alla scrittura e ha registrato una canzone per il film di Roberto Benigni La vita è bella, vincitore dell’Oscar, ha collaborato con una lunga lista di rinomati artisti di tutto il mondo e ha scritto centinaia di canzoni in inglese e in ebraico. Ha un seguito fedele in Europa e in Israele, dove è nata e dove vive oggi, e un crescente pubblico negli Stati Uniti, dove è cresciuta. GIL DOR Nato in Israele nel 1952, ha studiato chitarra classica con Menashe Bakish, uno dei principali virtuosi israeliani della chitarra. Dal 1971 al 1974 è stato arruolato nell’esercito lavorando come musicista nell’unità dedicata all’intrattenimento. Ha poi proseguito gli studi negli Stati Uniti, concentrandosi sul jazz al Berklee College di Boston e sulla teoria classica e composizione al Queens College di NY. Rientrato in Israele nel 1981, Gil si è affermato come chitarrista, arrangiatore e compositore esibendosi dal vivo con un repertorio jazz e rock, registrando con i più importanti artisti israeliani e insegnando improvvisazione e chitarra alla Jerusalem Academy of Music. Nel 1985 ha cofondato la Rimon School of Jazz and Contemporary Music a Ramat HaSharon, in Israele. Durante la sua carica di direttore accademico del Rimon, durata cinque anni, Gil ha scritto diversi corsi avanzati, creato il programma “computer aided music” e sviluppato un’applicazione speciale per la notazione musicale utilizzando uno dei primi software disponibili. A partire dal 1990 ha iniziato a collaborare con Achinoam Nini, talentuosa studentessa del Rimon oggi nota a livello internazionale con Noa, e insieme si sono esibiti nel palchi di tutto il mondo. Gil è per Noa direttore musicale e artistico, coautore, arrangiatore, produttore e chitarrista. ADAM BEN-EZRA Adam Ben-Ezra ha iniziato a suonare il violino a cinque anni e la chitarra a nove e ha recentemente aggiunto clarinetto, oud e cajon al suo arsenale, principalmente imparando da autodidatta. A sedici ha incontrato il contrabbasso, e si è innamorato del suono intenso di questo strumento. Traendo inspirazione da musicisti diversi come Bach, Sting e Chick Corea, Adam ha deciso di rendere le sue composizioni attuali e di aggiungere nuovi colori alla sua tavolozza musicale, incorporando elementi del jazz, della musica latina e mediterranea al suo suono. Adam viene invitato a esibirsi in tutto il mondo, in particolare al fianco di Mike Stern e Victor Wooten. GADI SERI Gadi Seri è nato nel 1965 a Gerusalemme, e ha iniziato a suonare la batteria e le percussioni nella prima infanzia. A quindici anni suonava già a livello professionale con il grande cantante e compositore israeliano Matti Caspi, con il quale ha continuato a esibirsi per molti anni e per varie produzioni. Gadi ha poi studiato alla Rubin Academy of Music, approfondendo materie come composizione, armonia e storia della musica oltre che concentrandosi sullo sviluppo delle sue capacità come strumentista. Dal 1984 al 1987 è stato arruolato nell’esercito come batterista della banda militare. Ha partecipato a centinaia di concerti, spettacoli televisivi, produzioni teatrali e musical in Israele e a livello internazionale si è esibito con cantanti come Shlomo Gronich, Shem Tov Levi, David D'Or, Ofra Haza, Amir Ben-Ayun, Shlomo Artsi, Mayumana e come leader del suo gruppo. Oggi Gadi si esibisce con Noa e con David Broza. In studio, ha messo il suo suono inimitabile al servizio di quasi tutti i più importanti artisti di Israele, registrando più di trecento album. 29 30 SABATO 30 AGOSTO CITERNA CHIESA DI SAN MICHELE ORE 21 Ensemble barocco della Nuova Orchestra Scarlatti Raffaele Tiseo, Giuseppe Carotenuto violini Gianfranco Borrelli viola Manuela Albano violoncello Pierfrancesco Borrelli organo Cristina Grifone soprano Tommaso Rossi flauto dolce e traversiere musiche del fondo musicale del convento di San Gregorio Armeno di Napoli programma e revisione a cura di Tommaso Rossi Anonimo Inno per San Gregorio Armeno Giovan Battista Pergolesi Laetatus sum in his, Gloria Patri, Sicut erat in principio da Laetatus sum per soprano, archi e basso continuo Francesco Mancini Concerto in sol minore per flauto dolce, violini, viola e basso continuo Cristoph Willibald Gluck “Che farò mesta e dolente” da Orfeo Pasquale Anfossi “Frena quel pianto amaro” da Nitteti Aniello Sant’Angelo Concerto in sol maggiore per flauto traverso, archi e basso continuo Leonardo Vinci “Vò solcando un mar crudele” da Artaserse Si ringraziano il Convento di San Gregorio Armeno di Napoli e la Soprintendenza archivistica per la Campania DALL'ALTO IN SENSO ORARIO ENSEMBLE BAROCCO DELLA NUOVA ORCHESTRA SCARLATTI / CRISTINA GRIFONE / TOMMASO ROSSI 31 MUSICHE INEDITE DA SAN GREGORIO ARMENO di Annamaria Bonsante on questo concerto, fortunati navigatori della musica tra mari distanti, approdiamo (sfiorando un santo armeno) nel meraviglioso Settecento napoletano, ancora ignoto ai più nel suo appassionato, esorbitante e drammatico vocabolario sonoro di stili e generi. Bene ci guidano alla meta, e a sorpresa, non i protagonisti maschili della capitale europea della musica di quel periodo, bensì l’intuito di “eccellentissime Signore”, nobildonne “tolte al secolo” eppure al passo con gusti e saperi moderni: le “Dame benedettine” del monastero femminile di clausura di San Gregorio Armeno, istituzione grandiosa e millenaria, in età preunitaria sede d’eccellenza per le figlie della più alta nobiltà partenopea1. Tra provincia e capitale, il Mezzogiorno d’Italia mostra in antico regime una capillare presenza di vite consacrate e di ricche istituzioni regolari: tale presenza urbana, che solo di recente è stata studiata sotto l’aspetto del protagonismo artistico e culturale, attiva una vita musicale che trabocca dai consumi strettamente liturgici e/o devozionali2. La raccolta manoscritta di San Gregorio Armeno, mai catalogata, è un notevole assortimento di composizioni d’epoca, preziosa anche per la sua connotazione claustrale: al contrario delle collezioni d’arte o delle biblioteche appartenute a istituzioni monastiche e sopravvissute, sono rarissimi gli archivi musicali collegati a comunità regolari che hanno resistito compatti a dispersioni e soppressioni. Nell’archivio confluiscono partiture familiari, private, comunitarie, nonché testimoni preziosi provenienti da altri monasteri della capitale (SS. Severino e Sossio, SS. Marcellino e Festo, S. Potito, per esempio). L’esclusiva musica d’arte che, con l’allentarsi della clausura, emerge dall’archivio di partiture, comprende originali o copie di composizioni religiose, strumentali, didattiche, operistiche del Settecento napoletano, molte delle quali finora ignote. La silloge, più che una soluzione alle doverose esigenze liturgiche di una comunità regolare, è un’antologia dei gusti musicali di coloro che animano il chiostro, nella quale spesso si incoraggia una propensione ludica, del puro piacere di fare musica, in chiesa o nella clausura. Il rigido paradigma nel quale, spesso senza volerlo, le nostre gentildonne sono collocate, è, per mezzo delle arti figurative, addolcito, ma un varco ancor più ampio è possibile: la musica. Fruizione ed esercizio personale di musica e canto sono contrassegni di ricchezza e cultura, ma anche di purissimo divertissement dal sapore di libertà, e questo bene lo sanno le famiglie delle Benedettine. Religiose, parenti e maestri selezionano, ripensano, studiano, promuovono, travestono il repertorio corrente, passando per tutte le forme sacre e profane, anche grazie alla presenza di singole badesse, reli- C 32 giose, educande di particolare talento e competenza. Presso questa comunità scontata è l’assunzione stabile od occasionale di musicisti, complessi e maestri esterni, fenomeno, questo, che rientra nel mecenatismo di un’istituzione così ricca e nella vivacità artistica della capitale. Ma più che sulle spese musicali (eminenti ma tipiche), per le scritture di maestri, cantanti, cori, orchestre, organisti – ben fotografate nella contabilità ufficiale che il Tridentino ha reso necessaria – val la pena di soffermarsi sulla vita musicale privata o più riservata di queste nobildonne, che ricevono, selezionano, studiano, eseguono direttamente pagine irte di difficoltà, per sé, con le consorelle, per i parenti, anche nel parlatorio o in chiesa, purché «da dentro». La dimensione del fenomeno, femminile e pertanto più occulto, si coglie unicamente nell’approccio diretto ai manoscritti del fondo, in assenza di cronache o note d’archivio che raccontino di queste pratiche musicali e in presenza di divieti precisi verso il canto figurato (elusi tout court o aggirati). Le composizioni giungono da varie strade e trovano un nuovo senso nelle mani delle religiose, che, tra devozione e teatro, ri-creano e si ricreano. Possedere tante partiture è già di per sé segno di distinzione, dunque non mancano manoscritti che potrebbero essere stati studiati, o solo ammirati e custoditi, senza essere eseguiti dalle monache. Viceversa, censure e adattamenti provano l’esecuzione di un dato spartito, che, inteso come mero oggetto prezioso non sarebbe mai stato modificato, bensì solo conservato. Incontriamo due modalità di travestimento del testo, sia la classica metamorfosi dal profano al sacro, sia, partendo dal profano e qui restando, la più sottile sostituzione di alcuni versi. Nella seconda tipologia riscontriamo ingegnose trasformazioni di musica vocale più teatrale che cameristica, interventi sollecitati dal proposito delle virtuose di cantare a ogni costo pezzi celebri e moderni. Ad esempio, e li ascoltiamo in questo concerto, i celebri versi di Ranieri de’ Calzabigi “Che farò senza Euridice?” che il “Signor Don Cristofaro Gluck” intona per Orfeo (irricevibili per un chiostro) diventano “Che farò mesta e dolente?” a uso e consumo del soprano “Eccellentissima Signorina Donna Maria Anna Filangieri” (l’aria è altresì trasportata una terza sopra). Il più delle volte le virtuose monache non mutano una nota (e questo mostra tutto il loro professionismo) né una lettera di difficili pagine dell’opera seria o degli oratori appena andati in scena sui palcoscenici della città: tutto è ammesso nel loro salotto musicale. L’insana passione per il palcoscenico accomuna tutti i monasteri del Mezzogiorno più versati nella musica, tra provincia e capitale. Per rimanere a Napoli, guardiamo alle “Dame Monache” di Santa Chiara, sede di molti e celebri “sconcerti” e a Li SABATO 30 AGOSTO CITERNA CHIESA DI SAN MICHELE ORE 21 furbi, intermezzo comico in lingua napoletana composto per loro da Giacomo Tritto, o a molti altri casi di promozione di spettacoli nei chiostri femminili, testimoniati in fonti solo librettistiche essendosi smarrita la partitura. La vocalità virtuosistica appannaggio dei castrati nell’opera seria attira pericolosamente le nostre claustrali, le quali possiedono due celebri arie metastasiane che ascoltiamo: “Vo solcando un mar crudele”, aria di Arbace dall’Artaserse di Leonardo Vinci e “Frena quel pianto amaro” dalla Nitteti di Pasquale Anfossi. Del leggendario Giovanni Battista Pergolesi esistono presso il venerabile monastero preziosi testimoni (di poco successivi agli originali e collegati a “Sua Eccellenza Caterina Pignatelli”) di pagine tutte oggi accettate come autentiche del Maestro tranne il mottetto Laetatus sum che qui ascoltiamo in parte. Si sa della circolazione incontrollata di numerosissimi “falsi” attribuiti al compositore, e dei cospicui tagli che ha subito l’elenco delle sue creazioni, eppure questa pagina potrebbe essere autentica e ricollocarsi nel suo catalogo. Ciò non solo in virtù di analisi formali e diplomatiche, ma confortati dal fatto che essa sarebbe l’unica opera apocrifa all’interno del corpus pergolesiano omogeneo attestato in San Gregorio, raccolta che tramanda testimoni di composizioni la cui paternità non è dubbia. L’inno a San Gregorio Armeno è un’interessante pagina sacra formalmente distante dalla monodia liturgica cristiana per la scelta dell’organico (voce e continuo), ma dal suono antico, ispirato e spiritualmente raccolto. Con i concerti scritti a Napoli da Francesco Mancini e Aniello Sant’Angelo il programma tocca anche il flauto dolce (diritto), strumento assai apprezzato dalle élites nel secolo dei Lumi, dunque in linea con i gusti delle religiose gentildonne. Le fonti sono oggi a Napoli, a Stoccolma: perché la musica viaggia, spesso si perde, spesso resta sepolta, ma talvolta, per fortuna, ci torna a trovare. 1 Per approfondire la bellezza (materiale e immateriale) di questo straordinario sito napoletano, rimando alla pubblicazione della Fondazione Valerio per la storia delle donne: San Gregorio Armeno. Storia, architettura, arte e tradizioni, a cura di Nicola Spinosa, Aldo Pinto, Adriana Valerio, fotografie di Luciano Pedicini, Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli 2013. Lo stesso volume accoglie anche un mio articolo intitolato Settecento napoletano a San Gregorio Armeno: ricreazioni musicali, unico contributo specialistico finora apparso riguardante il fondo musicale del monastero. 2 Dinko Fabris offre, oltre a centinaia di studi specifici, un’illuminante sintesi storica e storiografica sulla musica d’arte napoletana tra Sette e Ottocento. Cfr. Dinko Fabris, The collection and dissemination of Neapolitan music, c.1600-c.1790 in New Approaches to Naples. The power of place, a cura di Melissa Calaresu e Helen Hills, Ashgate, Farnham 2014. NUOVA ORCHESTRA SCARLATTI La Nuova Orchestra Scarlatti è nata a seguito dello scioglimento dell’Orchestra Scarlatti Rai, debuttando nel 1993 all’Auditorium Rai di Napoli con un concerto diretto da John Neschling, trasmesso sia da Radio3 che in tv da Rai3. A partire dal 1994 la NOS è stata presente in Campania con eventi e rassegne periodiche, tenendo parallelamente numerosi concerti in Italia e all’estero. Tra i più rilevanti impegni internazionali ricordiamo i due Concerti per la pace a Gerusalemme e a Ramallah nel 2005, e i concerti a Tianjin e Pechino per l’inaugurazione dell’anno Italia-Cina nel 2006, trasmessi dalla Cctv cinese. Ha intessuto collaborazioni con Roberto De Simone e con altri musicisti come Krzysztof Penderecki, Aldo Ciccolini, Lü Jia, Leopold Hager, Yoram David, Yves Abel, Laura De Fusco, Roberto Cominati, José Carreras. Ha eseguito prime assolute di Ivan Vandor, Giacomo Manzoni, Ennio Morricone. Ha inciso per la Nhk giapponese, la Nuova Era, la Stradivarius, e registrato numerosi concerti per la Rai. La Nuova Orchestra Scarlatti ha sempre annoverato fra i suoi obiettivi la valorizzazione del patrimonio musicale partenopeo, con particolare riferimento al Settecento; ricordiamo l’incisione nel 1994 della prima esecuzione moderna di Amor vuol sofferenza di Leonardo Leo e l’allestimento dell’opera Nina ossia la pazza per amore di Paisiello al Leuciana Festival 1999. Ha realizzato, in collaborazione con Roberto De Simone, la prima esecuzione moderna nel 1999 della cantata di Cimarosa Il trionfo della fede e il Concerto per Caterina II di Russia, tenutosi nel 2003 al Teatro di Corte dell’Ermitage a San Pietroburgo e a Mosca nel 2005. Ha inoltre curato a Napoli tra il 1995 e il 2009, in varie formazioni cameristiche, dodici edizioni del Festival barocco e… Dal 2011, in più occasioni, la Nuova Scarlatti si presenta con un proprio Ensemble barocco. CRISTINA GRIFONE Si è diplomata nel 2008 al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, ma già dal 2006 ha iniziato a collaborare con numerosi cori e orchestre, a Napoli, in Francia e in Finlandia. Con la Nuova Orchestra Scarlatti si è esibita da solista in numerosi concerti al Parco della musica di Roma, all’Auditorium Rai di Napoli e al Prinzregententheater di Monaco. Specializzata in musica antica, ha preso parte a stagioni come Pavia Barocca, “Actus Humanus” Danzica e, per l’associazione “Alessandro Scarlatti”, a concerti nell’ambito del progetto ScarlattiLab, per il quale ha ottenuto il Premio nazionale delle arti 2011. Nel 2012 ha vinto il Concorso internazionale di musica sacra “Beata Paola Montaldi” e nel 2013 è stata finalista al Concorso lirico internazionale “Città di Bologna”. Attualmente collabora con I Turchini di Antonio Florio, esibendosi in numerosi festival internazionali e incidendo nel 2013, per la casa discografica Glossa, il disco La Santissima Trinità, oratorio di Gaetano Veneziano. TOMMASO ROSSI Diplomato in flauto traverso al Conservatorio di Napoli, si è perfezionato con Mario Ancillotti alla Scuola di musica di Fiesole e con Paolo Capirci al Conservatorio di Latina. Partecipa stabilmente all’attività concertistica e discografica de I Turchini di Antonio Florio con cui ha inciso per Opus 111, Naïve, Eloquentia, Dynamic, Glossa e ha suonato in qualità di solista in numerosi festival internazionali. Nel 2010 ha fondato l’Ensemble barocco di Napoli con cui ha registrato un cd di sonate e cantate di Alessandro Scarlatti per voce di soprano e flauto per l’etichetta Stradivarius e ha realizzato concerti per l’associazione "Alessandro Scarlatti" di Napoli, il festival Cusiano di musica antica, l’Opera Giocosa di Savona, il Festival barocco Leonardo Leo. Ha registrato con l’Ensemble Dolce e Tempesta i concerti di Nicola Fiorenza per flauto dolce e recentemente ha pubblicato per l’etichetta Stradivarius le dodici Fantasie a flauto solo di Georg Philipp Telemann. Si dedica come interprete e organizzatore da anni anche al repertorio contemporaneo. È uno dei soci fondatori e presidente dell’associazione Dissonanzen di Napoli. Con L’Ensemble Dissonanzen ha suonato presso importanti istituzioni musicali italiane e internazionali quali Ravello Festival, Festival Time Zones, Traiettorie di Parma, Ravenna Festival, Amici della musica di Modena, Giovine orchestra genovese, Guggenheim Museum di New York, Festival del Cinema italiano di Annecy, Festival di Salisburgo. Con l’Ensemble Dissonanzen ha inciso per Niccolò e con la Mode Records di New York. È docente di flauto dolce al Conservatorio di Cosenza dove è curatore scientifico del progetto internazionale di formazione “La Follia”. Laureato in storia della musica all’Università Federico II di Napoli, suoi contributi sono apparsi sulle riviste “SuonoSud”, “Meridione” e "Acropoli”. 33 34 DOMENICA 31 AGOSTO E LUNEDÌ 1 SETTEMBRE CITTÀ DI CASTELLO CHIOSTRO DELLA CHIESA DI SAN DOMENICO Premio “Alberto Burri” per giovani interpreti dedicato al corso di sassofono di Federico Mondelci Domenica 31 agosto ore 11 Selezione dei candidati ore 12.30 Riunione della giuria e proclamazione del vincitore Lunedì 1 settembre ore 21 Cerimonia di premiazione in apertura del concerto dei Virtuosi Italiani la selezione dei candidati e la riunione della giuria non sono aperte al pubblico I corsi di formazione e perfezionamento musicali “Luigi Angelini” sono nati nel 1972 come strumento di promozione professionale e culturale a favore dei giovani musicisti. Il Festival delle Nazioni di Città di Castello ha dedicato sin dall'inizio una grande attenzione a questa iniziativa pensando a una integrazione programmatica tra gli eventi musicali principali promossi dalla programmazione annuale e i giovani artisti presenti ai corsi. In questo lungo periodo hanno partecipato all'iniziativa straordinari talenti come, tra gli altri, Danilo Rossi, Alexander Lonquich e il Quartetto Fonè. Dal 1993, attraverso una profonda revisione statutaria, i corsi di formazione e perfezionamento musicali hanno vissuto un'ulteriore fase di radicamento, sostenuti dal Ministro per i Beni artistici e culturali e dalla Regione Umbria. Altri soggetti pubblici e privati intervengono per sostenere i corsi provvedendo a erogare borse di studio a favore dei più meritevoli. Negli ultimi venti anni i corsi si sono aperti sempre di più alla partecipazione di giovani musicisti provenienti dall'intera Europa, contribuendo a facilitare l'integrazione culturale tra i diversi paesi componenti l'UE, a cominciare da quelli dell'Est che avviavano allora una fase fondamentale della loro storia. I docenti responsabili dei corsi di formazione e perfezionamento musicali “Luigi Angelini” sono Danilo Rossi (viola), Michele Marasco (flauto), Federico Mondelci (sassofono), Riccardo Risaliti (pianoforte), Yves Savary e Pierpaolo Maurizzi (musica da camera). Gli allievi si sottopongono alla valutazione del pubblico che frequenta il Festival con appositi concerti-saggio che concludono l'attività formativa. È stato offerto sin dall'inizio ai giovani di partecipare liberamente agli eventi musicali del Festival, attraverso incontri organizzati con grandi solisti, compositori affermati, direttori d'orchestra e importanti gruppi di musica d'insieme. Dal 2012, raccogliendo l'eredità del Premio Calpurnia, il Festival delle Nazioni ha istituto il Premio “Alberto Burri” per giovani interpreti, un riconoscimento destinato al miglior allievo selezionato tra i partecipanti ai corsi di formazione e perfezionamento musicali. Al vincitore sarà garantita una borsa di studio per la prosecuzione della propria formazione, nonché la possibilità di essere inserito nella programmazione dell'anno successivo grazie alla partecipazione a un concerto. Lo strumento musicale scelto per il Premio “Alberto Burri” 2014 è il sassofono In collaborazione con Lions Club di Città di Castello ALBERTO BURRI, ROMA (VIA NERA), 1957 ARCHIVIO FOTOGRAFICO FONDAZIONE PALAZZO ALBIZZINI COLLEZIONE BURRI 35 36 DOMENICA 31 AGOSTO SANSEPOLCRO AUDITORIUM SANTA CHIARA ORE 21 Poesia in scena Ensemble strumentale dell’Orchestra da camera di Perugia Luca Arcese violino Andrea Biagini flauto Simone Frondini oboe Fabio Battistelli clarinetto Simone Nocchi pianoforte Pamela Villoresi voce recitante a cura di Cosimo Damiano Damato e Giuliano Grittini testi di Alda Merini, Cosimo Damiano Damato, Giuliano Grittini, Movses Khorenatsi e Yeghishe Charents traduzioni di Vache Sharafyan e Benedek Zsigmond regia di Cosimo Damiano Damato Filippo Fanò Suite per Alda Merini commissione del Festival delle Nazioni PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA Vache Sharafyan Two Translations commissione del Festival delle Nazioni PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA DALL'ALTO IN SENSO ORARIO ENSEMBLE STRUMENTALE DELL'ORCHESTRA DA CAMERA DI PERUGIA / VACHE SHARAFYAN © FOTO MAXIM NOVIKOV FILIPPO FANÒ © FOTO JOAN GALO 37 DUE TRADUZIONI di Vache Sharafyan uesto lavoro si basa sulla poesia armena di Yeghishe Charents, autore del Novecento, e di Movses Khorenatsi lo storico armeno del V secolo, tradotta in linguaggio musicale. Esso presuppone la lettura dei versi di questi autori prima di ogni movimento e non solo nella versione originale in armeno, ma anche nelle traduzioni in inglese e italiano. La musica qui eredita la forma della poesia di ciascun verso così come il modo e l’intonazione del linguaggio, l’espressività. L’aspetto più importante è la “traduzione” stessa. La possibilità di tradurre la stessa “idea” in linguaggi e forme differenti sembra affascinante e molto reale. È possibile tradurre la Poesia in Architettura o la Musica in un’altra forma, come ad esempio la Pittura? Come suonerebbero questi versi se trasmessi attraverso costruzioni architettoniche? In quale forma di rappresentazione l’“idea” sarebbe più forte? E se la forma poetica fosse la prima origine di questi versi o se fossero stati tradotti a partire da qualcos’altro? Q Subito viene alla mente uno dei racconti di Borges: Il sogno di Coleridge, nel quale lo scrittore racconta di un tempio visto in un sogno e costruito da Kublai Khan nell’antichità e la descrizione dello stesso tempio in un sogno in forma poetica e scritta dal poeta inglese Coleridge molti secoli dopo… Quando mi è stata commissionata questa composizione per la prima esecuzione assoluta a Sansepolcro nell’ambito del Festival delle Nazioni, per prima cosa mi sono ricordato della mia prima visita qui, che risale a qualche anno fa, e dell’emblematico dipinto della Madonna del parto di Piero della Francesca. Ho scelto versi che hanno una leggera relazione e una ovvia relazione con la gravidanza della Santa Vergine. In particolare il verso di Yeghishe Charents “Girl like a lampshade – with the Virgin Mary’s eyes...”, e il verso di Movses Khorenatsi “Light, the Lights mother and the home of the life-giving Word”. Quest’ultimo sembra quasi la traduzione dell’immagine di Piero della Francesca, sebbene sia stato scritto qualche secolo prima. UNA SUITE PER ALDA MERINI di Mariana Rullo me piacciono gli anfratti bui delle osterie dormienti, dove la gente culmina nell’eccesso del canto, a me piacciono le cose bestemmiate e leggere”. Come dare voce in musica a una tale osmosi di sacralità, spiritualità, umanità profonda e “semplicità che si accompagna con l’umiltà” così tenace e radicata nella poetessa dei navigli? Filippo Fanò, musicista che ha da sempre coltivato curiosità e interesse per i linguaggi musicali popolari, l’improvvisazione e il jazz, attraverso una intensa ricerca nella “terra di confine” tra musica colta e popolare, camerismo classico e stili improvvisati, compone, qui, una suite. Il maestro crea, per la poetessa che chiede alla musica di accarezzarla e di scorrere sulla sua bianca pietà come acqua di argilla, una suite reinventata con stili popolari e contemporanei, solitamente insoliti per una ordre, scandita da sei movimenti. “A 38 Una suite che ci viene offerta come un viaggio nella cultura e nella musica popolare attraversata da stili e approcci più contemporanei: dal canto religioso rappresentativo della cultura musicale afroamericana, lo spiritual, alla “popolarità” della piccola canzonetta portoghese Modinha, particolarmente in uso fra i contadini e la gente comune e cantata di notte nelle contrade delle grandi città. Dalla musica etnica e colta, con il suo ripetersi incessante dell’ostinato, al tradizionale ballo di corteggiamento argentino, di campagna, della chacarera, con le sue donne sventolanti la propria gonna improvvisata come un ventaglio al contrario. E infine dalla danza popolare spagnola, il bolero, approdando con una milonga, nuovamente in Argentina. Sei danze, che tentano di riecheggiare l’odore acre di sigaretta avidamente aspirata da Alda Merini, di quella vestaglia che ti diventa insostituibile, di quella solitudine da malati, da colpevoli, di quell’amore così teneramente implorato, di quelle “notti che non accadono mai”. DOMENICA 31 AGOSTO SANSEPOLCRO AUDITORIUM SANTA CHIARA ORE 21 VACHE SHARAFYAN Vache Sharafyan è nato nel 1966 a Yerevan. La sua musica è stata commissionata ed eseguita dai più prestigiosi artisti del panorama internazionale quali Yo-Yo Ma, Yuri Bashmet, Hilliard Ensemble, Anne Akiko Meyers, Boston Modern Orchestra Project, per citarne alcuni. Compositore ufficiale per Silk Road Project Ins. dal 2001, Sharafyan ha composto l’opera King Abgar, il balletto The Another Moon, diverse sinfonie, musica da camera, musica corale, musica vocale, lavori eseguiti nelle sale più importanti, come la Carnegie Hall di New York, la Chicago Symphony Hall, l’Amsterdam Concertgebouw, le sale da concerto delle Filarmoniche di Bruxelles, Colonia e Berlino, alla Vienna Konzerthaus, al Metropolitan Museum of Arts, alla Grand hall del Conservatorio di Mosca, al Theatre du Chatelet di Parigi, e ancora in Armenia, Italia, Canada, Ucraina, Georgia, Thailandia, Libano, Ungheria, Svizzera, Spagna, Taiwan, Giappone, Scozia, Irlada, Gran Bretagna, Islanda, Grecia, Cipro, Svezia. È compositore ospite al Cello Plus Festival 2014 in Michigan. FILIPPO FANÒ Filippo Fanò, parallelamente allo studio della musica scritta, ha da sempre coltivato curiosità e interesse verso i linguaggi musicali popolari, l’improvvisazione e il jazz, approfondendone conoscenza e pratica anche grazie all’incontro con artisti d’eccellenza come Enrico Pieranunzi e Stefano Bollani, per citarne alcuni. Il suo ultimo disco, Pagine (Radar Music), testimonia la sua intensa ricerca nella terra di confine tra musica colta e popolare, camerismo classico e stili improvvisativi. L’esordio come compositore e arrangiatore avviene nel più divertente dei modi, grazie alla collaborazione con Egea Small: la prima etichetta discografica italiana dedicata all’infanzia prodotta e distribuita da Egea Distribution. Da allora (dieci anni, cinque dischi e due ristampe) ha diretto e scritto per praticamente tutti i tipi di formazione, soprattutto in ambito teatrale, partecipando come interprete o curando le musiche di scena di oltre trenta produzioni. Particolarmente rappresentativi i due lavori più recenti: L’infinita speranza di un ritorno con Elisabetta Vergani per la regia di Maurizio Schmidt, per due stagioni consecutive in cartellone al Teatro Franco Parenti di Milano e Mack Is Coming Back, prodotto da Théâtre du Galpon / Studio d’Action Théâtrale di Ginevra per la regia di Gabriel Alvarez con le musiche di Bruno De Franceschi, distribuito in Italia dal Teatro Stabile di Torino e Teatro Due di Parma. Vive da qualche anno a Barcellona dove collabora con alcuni tra i più apprezzati musicisti della scena, come Trio Chorando e Carles López, ma soprattutto curando la direzione musicale di varie produzioni di teatro musicale. L’ultima, La Festa Selvatge, è stata nominata come come miglior spettacolo di teatro musicale al Premis Butaca de Catalunya e come miglior direzione musicale negli Spanish Broadway Awards. Assieme alle tante musiche di scena ha anche composto colonne sonore per cortometraggi, documentari e prodotti multimediali, incidendo per varie etichette di genere. ORCHESTRA DA CAMERA DI PERUGIA La nuova Orchestra da camera di Perugia nasce dalla pluriennale esperienza di giovani musicisti umbri nella diffusione della cultura musicale, soprattutto in relazione alle produzioni musicali rivolte ai giovani delle scuole. La collaborazione fra strumentisti attivata all’interno del progetto Musica per crescere della Fondazione Perugia Musica Classica ha portato alla volontà di creare un complesso di archi e fiati in grado di estendere l’impegno nella diffusione musicale in sede concertistica e di mettere al servizio degli enti di produzione musicale umbri e italiani una nuova formazione che può contare su professionalità consolidate dalla collaborazione con alcune delle migliori orchestre nazionali e da una attività solistica di alto profilo. Il debutto della formazione è avvenuto nel 2013 con il Progetto “Penderecki 80”, presentato alla Sagra Musicale Umbra, al Ravello Festival e all’Emilia Romagna Festival, per celebrare l’ottantesimo anno del compositore polacco Krzysztof Penderecki, che per l’occasione ha diretto musiche da lui composte. L’Orchestra mira a una ampia elasticità di organico di archi, fiati e percussioni, tale da coprire un repertorio che va dal Settecento alla musica contemporanea, con particolare vocazione per il Novecento. Un costante controllo della qualità, legato alla selezione degli strumentisti e alla loro disciplina di gruppo è l’obiettivo ambizioso di questa nuova Orchestra, che intende essere punto di riferimento per tutti i giovani professionisti della Regione e per gli enti di produzione e diffusione musicale. PAMELA VILLORESI L’attrice Pamela Villoresi è nata a Prato nel 1957 da padre toscano e madre tedesca. Recita in cinque lingue: italiano, inglese, tedesco, francese e spagnolo. Ha debuttato a quattordici debutta come protagonista nel Re Nudo di Schwarz diretta da Paolo Magelli, a quindici ha iniziato la sua carriera. Ha recitato in più di sessanta spettacoli di cui cinque con Strehler, e poi con Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Mario Missiroli, Giancarlo Cobelli e Maurizio Panici, al fianco dei più grandi attori italiani. Si è specializzata nell’interpretazione della poesia (ha in repertorio ventitre recital di poesie) ed è stata voce recitante in cinque melologhi. Ha commissionato molti nuovi testi drammaturgici, tutti messi poi in scena e alcuni pubblicati in italiano e inglese. Ha diretto lei stessa ventotto spettacoli. Ha lavorato in numerosi film, con grandi maestri come Bellocchio, Fratelli Taviani, Ferrara, Placido e Sorrentino ne La Grande Bellezza, Premio Oscar 2014. È stata docente di recitazione e poesia a Prato, Reggio Calabria, Lugano, Guastalla e Orbetello. È stata nel consiglio d’Amministrazione dell’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico, del Met Teatro Stabile della Toscana e del Teatro Argentina Stabile di Roma. Ha ideato e realizzato, a Prato per l’Ateneo di Firenze, il primo corso universitario Progeas per i mestieri organizzativi e promozionali dello spettacolo. Ha vinto numerosi premi tra cui due Maschere d’oro, due Grolle d’oro, due premi Ubu, uno alla carriera e uno per la pace insieme a Rugova e al Patriarca di Gerusalemme, e la Medaglia d’oro del Vaticano tra i cento artisti del mondo che favoriscono il dialogo con la spiritualità. COSIMO DAMIANO DAMATO Pugliese classe ‘73, Cosimo Damiano Damato è regista, sceneggiatore e drammaturgo. Ha collaborato, fra gli altri, con Giancarlo Giannini, Arnoldo Foà, Catherine Deneuve, Michele Placido, Riccardo Scamarcio, Lucio Dalla, Renzo Arbore, Moni Ovadia e Carlo delle Piane. Nel 2008 ha diretto il film d’animazione La luna nel deserto, con la sceneggiatura di Raffaele Nigro. Il film è stato presentato alla 65a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e al Festival di Giffoni. Nel 2009 ha firmato il film documentario Una donna sul palcoscenico con Alda Merini e la partecipazione di Mariangela Melato, che viene selezionato come “evento speciale” alle “Giornate degli autori” nell’ambito della 66ª Mostra del cinema di Venezia. Successivamente ha diretto, sempre dedicato alla Merini, il monologo teatrale “L’amore è un delirio” con Carlo delle Piane e Marco Poeta. Nel 2013 ha presentato al Festival del cinema europeo il documentario Oscia. La bellezza di Tonino Guerra con Tonino Guerra e con Abbas Kiarostami. Lo scorso 24 febbraio ha debuttato nella Sala Umberto di Roma lo spettacolo Freedom. Imparare la libertà con Gherardo Colombo e Tommaso Piotta. 39 40 LUNEDÌ 1 SETTEMBRE CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 21 I Virtuosi Italiani Alberto Martini primo violino Antonio Aiello, Carlo Menozzi, Ilaria Miori, Johanna Ainomae violini primi Luca Falasca, Vincenzo Quaranta, Vinicio Capriotti, Anne Sophie Freund violini secondi Flavio Ghilardi, Alessandro Pandolfi, Ciro Chiapponi viole Zoltan Szabo, Michele Ballarini, Giordano Pegoraro violoncelli Sante Braia contrabbasso Federico Mondelci direttore e sassofono Vardapet Komitas Sei melodie per orchestra d’archi Makar Ekmalyan Hayr Sourb per sassofono soprano e archi Aleksandr Glazunov Concerto per sassofono contralto e orchestra d’archi in mi bemolle maggiore op. 109 Dmitrij Šostakovič Due pezzi (Preludio e Scherzo) per orchestra d’archi op. 11 Aram Khačaturjan Suite per orchestra d’archi (arrangiamento di Ruben Altunian) In collaborazione con Lions Club di Città di Castello I VIRTUOSI ITALIANI © FOTO MAKI GALIMBERTI / FEDERICO MONDELCI 41 BUON COMPLEANNO SAX! di Virgilio Celletti l concerto dei Virtuosi Italiani è una singolare sintesi delle due attività che il Festival delle Nazioni svolge da quasi mezzo secolo a Città di Castello: quella un po’ riservata ma di alta didattica che promuove il perfezionamento di giovani concertisti (a essa si collega un più conosciuto concorso di interpretazione riguardante ogni anno uno strumento diverso) e quella concertistica, che è poi il festival vero e proprio. Federico Mondelci, un sassofonista di fama internazionale ma anche leader di complessi da camera e direttore d’orchestra, assume in questa occasione il ruolo di protagonista del concerto in cui si esibirà sia come solista che come direttore, riproponendo un’attività che tutti apprezzano da più di vent’anni. Mondelci è infatti anche il fondatore dell’Italian Saxophone Quartet e dell’Italian Saxophone Orchestra, con cui ha tenuto concerti in tutto il mondo. Ma al tempo stesso gli verrà riconosciuto il merito di essere stato, nel periodo immediatamente precedente, il maestro di suoi giovani “colleghi” sassofonisti che cercano di carpirgli il segreto di affascinare il pubblico. Il più talentuoso di loro avrà nel frattempo vinto, nel concorso collegato al corso, il Premio “Alberto Burri” che gli verrà assegnato durante una esibizione-premiazione. E questo concerto assume tra l’altro un significato celebrativo in quanto proprio quest’anno ricorrono i duecento anni dalla nascita di Adolphe Sax, il musicista belga che (spinto semplicemente, a quanto si legge nella sua biografia, dall’esigenza di ampliare le cadenze e le sonorità delle bande militari) ha inventato lo strumento al quale ha dato la forma, un suono suggestivo e inconfondibile e persino il nome. E Mondelci valorizza proprio le caratteristiche più originali del sassofono, quanto meno quelle che per prime si sono manifestate. Appartiene infatti alla categoria di interpreti che prescindono da quella che è diventata un bel giorno, forse la principale ragione di vita del loro strumento: vale a dire la musica jazz, che (è bene ricordarlo) ha iniziato il suo percorso più o meno cento anni dopo la nascita di Adolphe Sax. Insomma il sassofono ha avuto tutto il tempo di conquistarsi l’interesse di numerosi compositori colti di un intero secolo. Questo concerto ne è una interessante dimostrazione, anche se verrà aperto da un brano che non riguarda lo strumento a fiato, ma rientra nello scopo per cui questa rassegna è stata fondata e cioè la conoscenza e l’approfondimento della produzione musicale dei paesi europei. La nazione ospite del Festival 2014 è l’Armenia, che da un punto di vista musicale è degnamente rappresentata innanzitutto da Vardapet Komitas, interprete e soprattutto ricercatore e studioso della tradizione mu- I 42 sicale di questo paese vissuto a cavallo di Ottocento e Novecento. Egli ebbe un’esistenza tormentata: riuscì a sfuggire alla grande deportazione del 1915, ma venne arrestato e poi ricoverato in un ospedale di Istanbul in preda alla pazzia causata sia dallo stress dovuto al genocidio a cui aveva assistito che dalla distruzione quasi totale della sua musica. Quattro anni dopo fu trasferito a Parigi dove nel 1935 morì in una clinica psichiatrica. Fra le sue pagine che è stato possibile mettere in salvo e che oggi si possono ascoltare in pur rari concerti, le Sei melodie per orchestra d’archi. Fortemente espressive, queste pagine si rivelano addirittura preziose per un approfondimento dello stile e della poetica di Komitas che effettivamente merita una conoscenza maggiore di quella accreditatagli. E grazie a esse è anche possibile stabilire un utile confronto con gli altri autori in programma, i russi Aleksandr Glazunov e Dmitrij Šostakovič, ma soprattutto Aram Khačaturjan che fra i compositori di origine armena è, nel Novecento, certamente il più importante. Proprio come l’Armenia è stata per secoli quasi un collegamento tra Oriente e Occidente, così la musica armena esprime questa parentela contenendo elementi che appartengono sia alla cultura occidentale che a quella del medio Oriente. La stessa atmosfera si respira nel secondo brano in programma, che è Hayr Sourb di Makar Ekmalyan, un canto a cappella con l’evidente destino di subire mutamenti. Era all’inizio una melodia antica di origine gregoriana divenuta poi un brano per strumenti popolari armeni. La versione che ascolteremo è stata realizzata da Mondelci per sassofono soprano e archi. Sempre il sassofono, ma il fratello maggiore, cioè il contralto, è invece il protagonista del Concerto in la minore op. 109 di Aleksandr Glazunov. Un brano che tradisce origini inequivocabilmente mitteleuropee, ma che, scritto nei primi anni Trenta del secolo scorso non nasconde qualche simpatia per le sonorità (si potrebbe quasi dire per la “voce”, considerate le vibrazioni e le intonazioni quasi umane di questo strumento) che gli interpreti di oltreoceano, i jazzmen appunto, ricavano dal sax. Glazunov aveva coltivato il proprio interesse alla musica europea attraverso relazioni con i compositori tedeschi e francesi e lo stesso percorso aveva compiuto per venire a conoscenza delle più moderne tecniche compositive e dei nuovi strumenti musicali a fiato che nei primi decenni del Novecento stavano subendo evoluzioni notevoli. Tutto questo aveva alla fine prodotto un risultato come il Concerto per sassofono. Un brano, fra l’altro, la cui natura virtuosistica è dimostrata anche dalla circostanza che LUNEDÌ 1 SETTEMBRE CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 21 l’autore lo dedicò a un interprete assai dotato come il sassofonista americano di origine tedesca Sigurd Raschèr. Pensando alla sua bravura trascendentale, anzi probabilmente rispondendo a una sua richiesta, Glazunov inserì nel brano rapidi e talora repentini cambi di tonalità e varie altre difficoltà fra cui una serie proibitiva di salti di ottava con i quali anche Mondelci si dovrà misurare. È quindi la volta di Preludio e Scherzo per archi, op. 111 di Dmitrij Šostakovič, che in origine era un Ottetto per archi poi trasformato da Rudolf Barshai, il fondatore dell’orchestra da camera di Mosca divenuto celebre proprio come collaboratore e trascrittore di Šostakovič, nel dittico che ascolteremo. In esso il Preludio perde l’originaria espressività e diventa un singolare connubio tra le sonorità del primo Schönberg e i fraseggi del concertismo bachiano, mentre lo Scherzo ci avvicina al dinamismo di Prokof’ev e di Bartók. Questo omaggio all’Armenia si conclude con una Suite per orchestra d’archi di Aram Khačaturjan. Compositore assai noto ed eseguito, egli era armeno d’origine e di spirito anche se nato a Tblisi che è la capitale della Georgia, in Russia. Questa sua pagina che ascolteremo nell’arrangiamento di un altro armeno, Ruben Altunian, unisce agli stilemi folcloristici conquiste più attuali in campo timbrico e orchestrale. FEDERICO MONDELCI Docente, camerista, solista, Federico Mondelci è da oltre venti anni uno dei maggiori e più apprezzati interpreti del panorama musicale internazionale. Si è esibito a fianco di orchestre quali la Filarmonica della Scala con Seiji Ozawa, I Solisti di Mosca con Yuri Bashmet, la Filarmonica di San Pietroburgo e la BBC Philharmonic sui palcoscenici più famosi del mondo. A quella di solista affianca una sempre più rilevante carriera nella direzione d’orchestra, dirigendo orchestre e solisti quali Ilya Grubert, Michael Nyman, Kathryn Stott, Pavel Vernikov, Nelson Goerner, Francesco Manara, Natalia Gutman e Luisa Castellani. In qualità di solista e direttore si è esibito a fianco dell’Orchestra del Teatro alla Scala, New Zealand Symphony Orchestra, BBC Philharmonic, Filarmonica di San Pietroburgo, Orchestra da Camera di Mosca, Orchestra Sinfonica di Bangkok. Nel 2014, in occasione del bicentenario della nascita di Adolphe Sax, inventore del sassofono, ha ricevuto l’invito dalla Filarmonica di San Pietroburgo a esibirsi come direttore e solista in un concerto di gala, che ha avuto luogo il 26 giugno 2014, nell’ambito della prestigiosa stagione diretta da Yuri Termirkanov. I VIRTUOSI ITALIANI Nata del 1989, I Virtuosi Italiani si esibiscono regolarmente per i più importanti teatri ed enti musicali italiani. Tra gli impegni recenti si segnalano il concerto per il Senato della Repubblica teletrasmesso in diretta da Rai1, il Concerto per la vita e per la pace eseguito a Roma, Betlemme e Gerusalemme e trasmesso in mondovisione, il concerto alla Sala Nervi in Vaticano alla presenza del Papa, la tournée in Russia, Turchia e Sud America, e il debutto alla Royal Albert Hall di Londra. Per l’interpretazione, in prima assoluta, dell’integrale di Francesco Antonio Bonporti, I Virtuosi Italiani hanno conseguito il prestigioso premio “Choc de la musique”, il Cinque stelle “Premio Goldberg”, il “Diapason d’or” e il Cinque stelle della rivista italiana “Musica”. L’attenzione dei Virtuosi alla ricerca filologica li ha condotti a esibirsi nel repertorio barocco anche su strumenti originali. Proprio in quest’ambito, nel 2013, sono usciti due dvd per Unitel Classica con opere di Pergolesi. Nel segno della versatilità, la compagine vanta collaborazioni con artisti quali Franco Battiato, Goran Bregovic, Uri Caine, Chick Corea, Paolo Fresu, Ludovico Einaudi, Richard Galliano, Michael Nyman, Antonella Ruggiero e altri. I Virtuosi sono ideatori e interpreti a Verona, città di residenza, di una stagione concertistica e di una stagione di musica sacra. Dal 2011 l’orchestra è residente con una stagione concertistica anche nella Chiesa dell’Ospedale della Pietà a Venezia. L’impostazione artistica vede come figura cardine quella del Konzertmeister-primo violino Alberto Martini. Direttore principale è Corrado Rovaris. Dal 2011 il violinista Pavel Berman ricopre il ruolo di solista principale ospite. 43 44 S P O N S O R D E L L A S E R ATA MARTEDÌ 2 SETTEMBRE CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 18.30 E 21 Marco Polo Flavio Albanese narrazione Ara Malikian violino Luis Gallo chitarra viaggio musicale di Flavio Albanese, Ara Malikian, Sirvart Churkhmé testo di Flavio Albanese disegni animati di Gosha Ljahoveckij Niccolò Paganini Il Carnevale di Venezia op. 10 Ara Malikian Zouv Antonio Vivaldi “L’estate” da Le quattro stagioni Ara Malikian e Luis Gallo Arev Ciocarlia musica popolare rumena Antonín Dvořák “Quando mia madre mi insegnava a cantare” da Melodie gitane Aram Khačaturjan “Danza delle spade” da Gajaneh Ara Malikian Pisando Flores Video sequenza e animazione Studio “M.I.R.” Mosca Irina Margolina, Dmitry Naumov, Alexandr Guriev, Kirill Lunkin Elaborazioni video e luci Cristina Spelti – Promusic Produzione ARA MALIKIAN e ATER in coproduzione con la Fondazione Teatro Comunale di Modena Lo spettacolo delle ore 18.30 avrà luogo in forma itinerante con partenza dalla Chiesa di San Domenico, e vedrà la partecipazione degli allievi della Scuola comunale di musica “G. Puccini” di Città di Castello. DALL'ALTO IN SENSO ORARIO FOTO DI SCENA © FOTO DI ROLANDO PAOLO GUERZONI / FLAVIO ALBANESE ILLUSTRATO DA GOSHA LUIS GALLO ILLUSTRATO DA GOSHA / ARA MALIKIAN ILLUSTRATO DA GOSHA 45 IN VIAGGIO CON MARCO POLO di Alessandro Taverna ublai Khan domanda a Marco Polo perché non gli abbia mai parlato di Venezia. Al sovrano orientale il giovane viaggiatore di stupefacenti città ne ha descritte tante: il lago sotterraneo su cui sorge la città di Isaura o le sfere di vetro di cui è adornato il centro di Fedora o l’immagine capovolta di Valdrada. Eppure nessuna parola della meravigliosa città costruita sull’acqua da cui ha preso origine il suo viaggio. Il Khan lo rimprovera di non aver mai descritto Venezia. Polo ha pronta la replica: - Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia. - Quando ti chiedo d’altre città, voglio sentirti parlare di quelle. E di Venezia quando ti chiedo di Venezia. - Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia. - Dovresti allora cominciare ogni racconto dei tuoi viaggi dalla partenza, descrivendo Venezia così com’è, tutta quanta senza omettere nulla di ciò che ricordi di lei. Conversazione colta nel mezzo del reticolo di descrizioni di cui Italo Calvino si servì per comporre, nel 1972, Le città invisibili. E tanto vale riaprire ancora una volta il libro per sentire la voce di Marco Polo: “Le immagini della memoria una volta fissate le parole, si cancellano. Forse Venezia, ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse parlando d’altre città, l’ho già perduta poco a poco”. Difficile da afferrarle Le città invisibili, per la forma che lo scrittore volle far assumere al libro. Cosa è mai? Forse un atlante di parole con cui fissare una sequenza di luoghi immaginari che suonano come il rovescio del Milione di Marco Polo. E cosa mai sarà il Milione di Marco Polo? Fosse solo perché non ne esiste un’unica versione, ma tante varianti, la materia narrata assurge a mito. Un atlante semmai, perché i racconti del viaggiatore veneziano fanno prendere forma e sostanza a nuovi mappamondi e carte geografiche dove collocare i luoghi toccati e descritti dal viaggiatore veneziano. “Impossibile distinguere fra realtà e fantasia nei racconti di Marco Polo, ma forse anche inutile, Marco esiste e ci affascina come un mito, avvicinarsi a lui è come avvicinarsi alla parte più profonda di noi stessi” avverte Flavio Albanese che i testi di Marco Polo li ha ricuciti per un viaggio nello spazio e nel tempo. “Partendo da Venezia, saliremo sul Monte Ararat nell’antica Armenia dove secondo la leggenda è giunto Noè alla fine del diluvio universale, attraverseremo villaggi e deserti dell’Asia, ricche città come Samarcanda, prima di arrivare a Cambaluc nell’attuale Cina, dove si trova il nipote del terribile Gengis Khan, il grande Kublai Khan. Molte sono le avventure K 46 che affronteremo ancora fra realtà e immaginazione prima di tornare a Venezia”. Viaggio lunghissimo. Eppure bastano sessanta minuti per ripercorrere illusoriamente il viaggio che impegnò per anni e anni il viaggiatore veneziano. E se le immagini hanno esercitato da sempre, per il Milione, fortuna eguale delle parole, per il viaggio consumato in teatro, le tappe sono segnate da immagini proiettate su un telo, come accadeva, secoli addietro, con le fantasie ottiche del Mondo Nuovo. E le immagini sono i disegni animati – coloratissimi – di Gosha Ljahoveckij. La musica, infine. A segnare il tempo saranno Niccolò Paganini, Antonio Vivaldi, Antonín Dvořák, Aram Khačaturjan e Ara Malikian – che le musiche le suonerà al violino tutte assieme al chitarrista Luis Gallo. Fa parte a sé Malikian: senza rinnegare le Partite di Bach, il violinista si è abituato ben presto a considerare la musica non tanto come una materia storica – dove conta quel che è venuto prima o dopo – ma come un concetto spaziale, da distendere in un immaginario atlante – dove importante è sapere da dove si originano le note, se a Nord o a Sud. Con Marco Polo il viaggio musicale tocca anche la patria d’origine di Malikian e del compositore Aram Khačaturjan – la terra delle pietre urlanti, come definì l’Armenia il poeta Osip Mandel’štam: “Ho avuto la fortuna di vedere le nuvole che celebravano sacre funzioni al dio Ararat. Era il movimento discendente e ascendente della panna quando è versata in un bicchiere di rubicondo tè e si disperde in mille tuberi ricciuti”. Marco Polo ebbe un’altra fortuna accostando il Monte Ararat, fortuna da visionario: vi riconobbe sulla cima l’Arca di Noé, rimasta incagliata dopo il Diluvio Universale. Una nave su una montagna. Miraggio incongruo come potrebbero essere a chi li vede per la prima volta i grattacieli di New York. Quanto capitò a Antonín Dvořák – che presta una melodia gitana per indicare un tratto della via sull’atlante musicale di questo spettacolo. Invitato a occupare per due anni il posto di direttore del Conservatorio di New York, il compositore boemo scoprì una città degna di figurare fra le città meravigliose descritte dall’autore del Milione: gli ascensori scalavano già dieci piani e Manhattan era il terreno su cui sorgevano sofisticati parchi di divertimento. Dvořák si allontanerà volentieri dai mille rumori di New York, per contemplare le cascate d’acqua del Niagara. L’acqua, appunto. Da essa muove e finisce il viaggio. A Venezia – dove è trattenuto da secoli uno spicchio di Armenia – l’ acqua è il riflesso della musica. Il suono è condotto attraverso i canali. La città è un auditorium affondato. Giungono in superficie le bolle d’aria emesse da strumenti MARTEDÌ 2 SETTEMBRE CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 18.30 E 21 sprofondati negli abissi. Come un guscio, la città trattiene la musica e la sua eco. Non sorprende allora che a Venezia il suono resti sospeso oltre il sordo limitare dell’acqua immota della laguna, nell’aria. Neppure c’è da stupirsi che Venezia sia sempre stata allagata di musica. Da qui – dove comincia e dove finisce il viaggio di Marco Polo – il suono galleggia sull’acqua. Ed è un fenomeno naturale che nella città lagunare si sia investiti dalla musica, tanta musica. Alla corrente si può aggiungere la furia compositiva di Antonio Vivaldi. Nome tanto a lungo dimenticato fin dai tempi delle contese settecentesche fra musicisti italiani e stranieri, assente fino a Novecento inoltrato dalle innumerevoli evocazioni del paesaggio sonoro veneziano. Al Prete Rosso non pensò neppure Niccolò Paganini evocando il Carnevale di Venezia con il suo archetto. Ma come dimenticarsene oggi, facendo soltanto il nome della città da cui Marco Polo cominciò il suo lungo viaggio? FLAVIO ALBANESE Attore e regista al Piccolo Teatro di Milano, Flavio Albanese ha studiato alla scuola di teatro diretta da Giorgio Strehler, e si è perfezionato con Ferruccio Soleri, Jurij Alschitz, Tierry Salmon, Jerzy Grotowski, Thomas Richards, Stéphane Braunschweig. Attualmente dirige con Marinella Anaclerio la Compagnia del Sole. Dal 1986 a oggi ha realizzato, come attore, regista, curatore di traduzioni e adattamenti, spettacoli da autori quali Omero, Moliere, Goldoni, Platone, Shakespeare, Goethe, George Orwell, Gianni Rodari, Federico Garcia Lorca, Carlo Collodi, Dostoevskij, Checov. Dal 1994 insegna recitazione e commedia dell’arte presso accademie nazionali come la Mimar Sinan Güzel Sanatlar Üniversitesi (in Turchia), Isadac (in Marocco). Dirige e organizza progetti di formazione del pubblico, e ha realizzato scambi culturali, spettacoli e progetti teatrali anche in Iran, Marocco, Turchia, Nicaragua, Pakistan, Etiopia, Eritrea, Kenya. Nel 1999 ha partecipato al Festival internazionale di teatro a Teheran: prima compagnia occidentale invitata al festival di Fadije in Iran dal 1979. Per il cinema e la televisione ha partecipato a diversi film, fra i quali La squadra su Rai3, nel ruolo dell’ispettore Edoardo Valle. ARA MALIKIAN Ara Malikian è nato in Libano nel 1968 da famiglia armena, e ha iniziato a studiare violino molto presto assieme al padre. Ha dato il suo primo concerto all’età di dodici anni e a quattordici ha ottenuto una borsa di studio dal Ministero della cultura tedesco per studiare presso l’Hochschule für Musik und Theater di Hannover. In seguito ha continuato la sua formazione presso la Guildhall School of Music and Drama di Londra. La sua ricerca musicale lo ha condotto ad approfondire la relazione con le sue radici armene e ad assimilare musiche provenienti da altre culture: dal Medio Oriente (araba e ebrea), dall’Europa centrale (gitana e klezmer), dall’Argentina (tango) e dalla Spagna (flamenco). Nell’originale rilettura di Ara Malikian, la forza ritmica di questi diversi stili musicali va mano nella mano con il virtuosismo e l’espressività della grande tradizione classica europea. Il suo vasto repertorio include gran parte delle maggiori composizioni per violino. Le sue doti artistiche sono state riconosciute in prestigiosi concorsi internazionali: ha ottenuto, tra gli altri, i primi premi al “Felix Mendelssohn” (1987, Berlino) e al “Pablo Sarasate” (1995, Pamplona). Ha inoltre collaborato con diversi autori di musica per il cinema, per i film Parla con lei di Pedro Almodovar, I lunedì al sole di Fernando León de Aranoa e El otro barrio di Salvador García Ruiz. LUÍS GALLO Luís Gallo ha iniziato a studiare chitarra all’età di sette anni. La sua formazione spazia dall’ingegneria alla produzione e armonia musicale, fino alla chitarra flamenca, alla quale il musicista si è dedicato al Conservatorio Flamenco Casa Patas di Madrid, con maestri quali Jose Manuel Montoya e José Jiménez “el Viejín”. Ha ottenuto una borsa di studio da parte della Sociedad de Intérpretes o Ejecutantes (AIE) che gli ha permesso di frequentare la Scuola di musica creativa di Madrid. Ha preso parte ad alcune trasmissioni radio-televisive, tra le quali la versione spagnola di XFactor. Si è dedicato anche ad alcune produzioni artistiche rivolte alle famiglie e ha partecipato a progetti musicali che spaziano dal flamenco al jazz fino alla musica classica, grazie ai quali si è esibito in tournée in America e in Europa. GOSHA Gosha, nome d’arte di Georgij Ljahoveckij, è nato a Kiev nel 1977. Nel 1986 si è trasferito a Mosca con i suoi genitori. Il 1999 è l’anno della sua prima mostra personale, che ha avuto luogo alla Karina Shanshieva Gallery, la Casa degli artisti moscoviti. Da allora le sue opere sono state esposte in vari centri in tutto il mondo, tra i quali la Solyanka State Gallery di Mosca, il Festival del film d’animazione di Zagabria nel 2004, il Russian Book Store 21 Art Gallery di New York (2004), la National Arts Club (2007) e la galleria White Box di Soho (2010). Nel 2006 la Solyanka State Gallery di Mosca ha ospitato la sua seconda mostra, con i nuovi cento lavori “Gosha Ljahoveckij Tales”. L’esposizione “Gosha’s Ark” è stata allestita allo Yaroslavl State Museum nel 2010 e “In love” all’interno del Museo di arte contemporanea Erarta di San Pietroburgo nel 2013. Quattro film d’animazione sono stati creati sulla base delle immagini di Gosha: Cat walk, Gosha’s tales, George Gershwin. The story of the Gershwin family as told by Izzy Shmulevich, The journey of Marco Polo or, how America was discovered. Le sue immagini sono anche state utilizzate per il film Four ages of love. I film basati sui dipinti di Gosha hanno ricevuto numerosi premi e riconoscimenti. 47 48 MERCOLEDÌ 3 SETTEMBRE MORRA ORATORIO DI SAN CRESCENTINO ORE 18.30 Chorale Akn Centre d’études du chant liturgique arménien, Paris Aram Kerovpyan direttore Sharagan Patrum dal Canone di Resurrezione, nel II modo plagale Suite di Miserere per la Resurrezione, nel II modo autentico Ode alla Resurrezione di San Nersès Shnorhali Suite di Sharagan per la Resurrezione, nel IV modo plagale Suite di Sharagan De Caelis, nel I modo plagale Suite di Sharagan De Caelis, nel III modo plagale In collaborazione con Centro Studi e documentazione della cultura armena CHORALE AKN © FOTO RAPHAËL VAN SITTEREN 49 IL CANTO LITURGICO ARMENO di Aram Kerovpyan e Minas Lourian* ell’ambito di un festival dedicato all’Armenia e alla sua cultura musicale, non poteva mancare una serata interamente dedicata alla tradizione del canto liturgico, nella sua forma originaria monofonica che ricopre un lunghissimo arco della propria storia musicale fino alla seconda metà dell’Ottocento. Periodo in cui nascono varie scuole di musica nazionale, si introducono elementi di insegnamento occidentale e prende forma la polifonia armena. La tradizione del canto liturgico armeno è antica quanto la Chiesa armena, fondata all’inizio del Trecento. Com’è il caso di tutte le Chiese, anche per quella armena il salterio è stato l’elemento principale degli uffici. La salmodia e i cantici, probabilmente adattati dalle melodie locali, furono i veicoli essenziali della liturgia lungo i primi secoli del Cristianesimo in Armenia. Si attribuisce generalmente alla creazione dell’alfabeto armeno, avvenuto per opera di S. Mesrop Mashtots all’inizio del Quattrocento, lo sviluppo distinto della liturgia armena dalle tradizioni bizantine e assire. La traduzione della Bibbia e della letteratura patristica segue questo evento. Da allora, l’armeno classico, il grabar, è la lingua rituale della Chiesa armena. Il canto liturgico armeno è stato da subito considerato materia d’insegnamento in ambito ecclesiastico; così è stato anche per secoli in numerose chiese parrocchiali, grazie ai cantori ordinati, organizzati in seno alle scholae. I legami musicali tra i monasteri armeni creavano una rete tessuta dalla circolazione del clero armeno, e dalla produzione dei manoscritti che riflettevano gli sviluppi musicali di ciascuna epoca, e che erano regolarmente copiati in diverse regioni. L’insegnamento, benché basato spesso su una notazione neumatica sviluppata, era praticato attraverso la trasmissione orale. Secondo il sistema tradizionale, l’apprendimento comincia già all’età di cinque anni. Vestiti col camice del cantore, i bambini più idonei venivano ordinati cantori laici verso la fine dell’adolescenza. Il canto liturgico armeno ha intrattenuto strette relazioni con altre tradizioni, soprattutto con il canto liturgico bizantino e, più tardi, con la musica che si sviluppò sotto l’egida della corte ottomana. Malgrado tutte queste relazioni, il canto liturgico armeno mantiene tuttora numerose particolarità, sia attraverso le sue melodie-tipo sia per gli aspetti rilevanti della modalità. Tuttavia, dal punto di vista della teoria modale, il canto liturgico armeno fa parte della grande famiglia delle musiche del vicino Oriente. Dimostra somiglianze con esse, soprattutto per la morfologia del suo sistema modale, ma se ne differenzia per l’uso. Questa pratica caratterizza l’ethos dei suoi modi musicali che sono raggruppati in un sistema di ochtoechos (Ut tzayn - otto voci - otto modi). Tale sistema si N 50 definisce nella pratica attraverso i suoi due rami distinti: liturgico e musicale. L’ochtoechos liturgico si applica al calendario attraverso la nozione di modo del giorno. Si tratta di adottare per ogni giorno dell’anno uno degli otto modi dell’ochtoechos. L’ochtoechos musicale racchiude il sistema modale applicato a un’importante parte del repertorio dei canti liturgici armeni, i sharagan. I sharagan costituiscono la sostanza del sistema musicale del canto liturgico armeno. Circa 1380 canti di diverse lunghezze sono raccolte nel Libro dei sharagan, così come si presenta oggi. I sharagan si distinguono tra tutti i canti della musica liturgica armena: formano l’unico repertorio in cui appaiono non solo il sistema dell’ochtoechos musicale, ma anche le melodie-tipo tradizionali e il loro sistema di variazione. La maggior parte dei sharagan è in prosa, in armeno classico e in un linguaggio codificato, che diminuisce considerevolmente la possibilità di determinare l’epoca di creazione di ogni canto. In generale, e l’organizzazione del Libro delle ore lo dimostra, i sharagan erano, nei primi tempi, cantati in alternanza con i salmi e i cantici, e in seguito, li hanno sostituiti. Le versioni melodiche attualmente conosciute dei sharagan sono trascritte a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Ci sono più versioni melodiche dei sharagan provenienti da diverse scuole musicali; sono trascritte con la notazione musicale armena moderna tra la metà dell’Ottocento e gli anni Ottanta. Tra le collezioni complete, solo le versioni Mechitarista e Tchilingirian sono trascritte in notazione occidentale. Le melodie-tipo dei sharagan sono delle formule melodiche più o meno lunghe che raggruppano diversi canti in ciascun modo, distribuiti in diversi canoni, creando così dei gruppi melodici o addirittura delle famiglie modali. Il legame è così stretto tra la melodia-tipo e il modo, che la lingua armena le definisce con un unico termine: yeghanak. I modi dell’ochtoechos armeno si caratterizzano per l’uso di diverse forme e specie di intervalli dei generi diatonici e cromatici, fondate sul principio del tetracordo naturale. Ogni modo si distingue anche per la gerarchia dei suoi gradi, di cui i più essenziali sono il grado di appello, quello della finale intermedia e della finale. L’uso del bordone è molto diffuso nell’interpretazione tradizionale; è tenuto cantando la vocale «u» sul grado fondamentale che si definisce a seconda dell’intervallo di base e non necessariamente a seconda degli altri gradi forti. I lavori del Centro studi del canto liturgico armeno Akn fondato nel 1998, sono basati su questi stessi princìpi che emanano dalla tradizione, e sulle ricerche svolte al suo interno. Il Centro Akn dispone di un insegnamento regolare e promuove dei seminari di canto modale armeno. La MERCOLEDÌ 3 SETTEMBRE MORRA ORATORIO DI SAN CRESCENTINO ORE 18.30 ricerca e la raccolta di documentazione costituiscono le attività principali del Centro; per realizzare tale programma, il Centro cerca di stabilire contatti con cantori armeni eredi di maestri-cantori del vicino Oriente, cercando anche di raccogliere i documenti sul canto liturgico armeno ancora preservati da individui, trascrizioni manoscritte di canti liturgici armeni in notazione musicale armena moderna (detta di Hampartzoum). Mosso dallo stesso spirito e quasi contemporaneamente, dall’inizio del 1998 la sezione Musica del Centro Studi e documentazione della cultura armena di Venezia ha intrapreso un lungo lavoro di documentazione audio dell’intero repertorio liturgico medievale della Chiesa armena, conservato fin dai primi anni del Settecento presso la Congregazione dei monaci armeni mechitaristi di San Lazzaro, una delle più suggestive isole della laguna veneziana e culla di una rinascita culturale armena per tutto il percorso del Sette e Ottocento. L’iniziativa aveva l’obiettivo di salvaguardare un patrimonio musicale inestimabile, conservato nei secoli grazie alle varie scritture musicali (da quella neumatica armena a quella della notazione armena moderna, per arrivare alla completa trascrizione in notazione occidentale a opera anche del monaco Ghevont Dayan), ma soprattutto attraverso la trasmissione orale da maestro cantore (tbrabed) ai cantori (tbir) del noviziato. San Lazzaro è stato anche il luogo dove tale patrimonio ha subíto meno contaminazioni rispetto agli altri centri monastici armeni. Negli ultimi dieci-quindici anni, come in molte realtà monastiche, anche a San Lazzaro non veniva più garantita con i vari uffici la pratica quotidiana del canto liturgico. Il Rev. P. Vertanes Oulouhodjian (1939-2010), maestro cantore della Congregazione, era l’ultima fonte preziosa e uno dei rarissimi esperti di tale patrimonio a livello mondiale, nonché un eccezionale interprete mistico. Il lavoro di documentazione durato tredici anni – dopo il completamento del Sharaknots (Innario), buona parte del Zhamakirq (Breviario) e gli altri libri liturgici costituisce l’intero corpus di più di 1500 sharagan e canti liturgici – è prezioso materiale d’archivio e di studio per le future generazioni e per i musicologi. Il lungo lavoro di archivio sonoro, che ebbe il patrocinio Unesco-Roste, si è svolto nel quadro del progetto Fonti del canto liturgico armeno, elaborato in collaborazione con il Centro Akn di Parigi. Akn è l’unica compagine armena, completamente autogestita e interamente dedita allo studio del canto modale e dell’interpretazione del canto liturgico armeno. Il suo intento è volto soprattutto alla fedeltà interpretativa ed espressiva del canto sacro piuttosto che alla ricerca artistico-vocale. CHORALE AKN La vocazione della Chorale Akn è quella di ravvivare e sviluppare l’interpretazione del canto liturgico armeno tradizionale. Le esecuzioni pubbliche del coro rispecchiano la ricerca diretta dal 1990 da Aram Kerovpyan, che ha portato alla creazione del Centro di studi del canto liturgico armeno fondato a Parigi nel gennaio del 1998. La Chorale Akn interpreta i canti della liturgia armena: gli sharagan (inni, tropi), che formano il corpus più vasto del repertorio tradizionale, la salmodia recitativa e melismatica, i canti del Libro delle Ore e i canti melismatici facoltativi eseguiti in gruppo o da un solista. Akn interpreta questo repertorio monofonico e modale nella sua forma originale e il bordone ne è parte integrante. Akn è una corale mista, formata da un numero di partecipanti che varia da otto a dodici. L’interpretazione del coro si sviluppa sulla base della pratica tradizionale dei gruppi di cantori ordinati dalla Chiesa armena. Il repertorio eseguito nell'Oratorio San Crescentino di Morra, nell'ambito del Festival delle Nazioni, fa parte dell’ultima fatica discografica della Chorale AKN (Francia, 2013). La Chorale AKN è composta da Aret Derderyan, Raffi Derderyan, Jiraϊr Jolakian, Aram Kerovpyan, Maral Kerovpyan, Shushan Kerovpyan, Vahan Kerovpyan, Virginia Kerovpyan, Minas Lourian, Michel Soudée e Rupen Tachan. CENTRO STUDI E DOCUMENTAZIONE DELLA CULTURA ARMENA Il Centro Studi e documentazione della cultura armena, fondato verso la metà degli anni Sessanta a Milano e trasferitosi a Venezia nel 1991, è un centro di ricerca specializzato nello studio, nel recupero e nella conservazione del patrimonio architettonico e musicale armeno. Il Centro promuove iniziative culturali di grande portata attraverso studi comparativi, convegni, pubblicazioni ed eventi musicali (sezione Oemme Edizioni - Musicam) così come mostre artistiche, in collaborazione con enti culturali o accademici italiani e internazionali. Il suo impegno verte anche a coltivare un dialogo costruttivo e creativo con varie istituzioni internazionali e con varie comunità etniche o religiose veneziane e non. Il direttore del Cento Studi e documentazione della cultura armena è Minas Lourian. *Note tratte dal progetto archivistico e discografico Fonti del canto liturgico armeno. 51 52 MERCOLEDÌ 3 SETTEMBRE ANGHIARI TEATRO DEI RICOMPOSTI ORE 21 I vincitori del Concorso europeo per giovani cantanti lirici del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A. Belli” Chiara Isotton soprano (vincitrice 2013) Chiara Tirotta mezzosoprano (vincitrice 2014) Marco Rencinai tenore (vincitore 2012) Alec Roupen Avedissian baritono (vincitore 2013) Biagio Pizzuti bass-baritone (vincitore 2014) Francesco Massimi e Yuna Saito pianoforte Giacomo Puccini “Minnie, dalla mia casa son partito” da La fanciulla del west (Biagio Pizzuti) Camille Saint-Saëns “Printemps qui commence” da Samson et Dalila (Chiara Tirotta) Francesco Cilea “Lamento di Federico” da L’Arlesiana (Marco Rencinai) Francesco Cilea “Io son l’umile ancella” da Adriana Lecouvreur (Chiara Isotton) Sergej Prokof’ev Aria di Andrej da Guerra e Pace (Alec Roupen Avedissian) Giuseppe Verdi “Morrò, ma prima in grazia” da Un ballo in maschera (Chiara Isotton) Ottorino Respighi "La mamma è come il pane caldo" e "Io sono la Madre" da Quattro liriche su parole di poeti armeni (Chiara Tirotta) Hov arēk’, Garun a arrangiamento di Vardapet Komitas (Alec Roupen Avedissian) Giacomo Puccini “Firenze è come un albero fiorito” da Gianni Schicchi (Marco Rencinai) Giuseppe Verdi “Per me giunto” da Don Carlo (Biagio Pizzuti) Giacomo Puccini “Sola, perduta, abbandonata” da Manon Lescaut (Chiara Isotton) Giacomo Puccini “O soave fanciulla” da La bohème (Chiara Isotton, Marco Rencinai) I VINCITORI DEL CONCORSO 2014 © FOTO RICCARDO SPINELLA 53 SARANNO FAMOSI di Ivana Musiani i vollero le devastanti incursioni del 1943 (in quell’anno fu anche distrutta la Scala), per far desistere la sede radiofonica di Torino, città tra le più bombardate, dal mandare in onda i famosi concerti vocali sponsorizzati dall’azienda Martini&Rossi, con vastissimo seguito di affezionati ascoltatori. Tant’è che furono immediatamente ripresi a liberazione avvenuta, ma di nuovo cancellati dai palinsesti negli anni Sessanta. Vi partecipavano i più famosi cantanti, con le arie più popolari del repertorio belcantistico. Può darne un’idea, nel suo complesso, il presente programma, che vede protagonisti i vincitori del Concorso europeo del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, e che avrebbe potuto benissimo figurare in uno dei vecchi concerti Martini&Rossi. E alla possibile obiezione che là si trattava di nomi famosi e qui di esordienti, si potrebbe obiettare, parafrasando il noto film, che famosi lo saranno molto presto. Infatti, com’è noto, l’obiettivo dello Sperimentale “Adriano Belli” è quello di favorire l’esordio di giovani cantanti: due anni durano i corsi di preparazione per quelli che hanno superato l’esame di ammissione, dopo di che, sulla scorta delle loro caratteristiche vocali, viene allestita un’opera ad hoc, frequentatissima da critici musicali e addetti ai lavori: è ancora vivo il ricordo di una Sonnambula con una giovanissima Lucia Aliberti, di cui si appropriò Gian Carlo Menotti per trasferirla di peso come apertura del Festival dei due mondi del 1969. E, a scorrere il lungo elenco dei diplomati del Lirico, infiniti sono i nomi affermatisi in tutti i teatri del mondo. Forse è ancora presto parlare di un revival dei popolarissimi concerti vocali d’un tempo, però questi giovani hanno già alle loro spalle un riuscito exploit tenuto di recente a Montecitorio. Nella pucciniana opera-western La fanciulla del West, il personaggio di Rance appare un po’ come la controfigura di Scarpia: questi capo della polizia, l’altro sceriffo, entrambi spietati nel perseguire la conquista della donna amata, anzi, della “preda bramata” (parole di Scarpia in Tosca). La sua unica e celebre aria “Minnie, dalla mia casa son partito” è un vero e proprio autoritratto che non potrebbe dipingere meglio il carattere brutale di Rance: non solo a parole, ma ancor più con la musica. “Printemps qui commence/Portant l’esperance/Aux coeurs amoureux” è l’aria di seduzione di Dalila, sacerdotessa filistea, nei confronti dell’eroe ebreo Sansone: troppo carezzevole, troppo insinuante, troppo sensuale da non nascondere la falsità. Infatti l’intenzione di Dalila è quella di trovare il punto debole nel vincitore del suo popolo; come si sa, ci riuscirà in pieno. A modo suo, una patriota, ma sia il libretto che la musica la addita- C 54 no come una perfida traditrice, e come tale dal pubblico viene giudicata. “Il lamento di Federico” e “Io son l’umile ancella” non sono soltanto le due più celebri arie di Francesco Cilea, ma anche quelle tra le più eseguite di tutto il repertorio, costanti presenze nei già citati concerti Martini&Rossi. La prima è compresa nel dramma lirico che consacrò il musicista alla fama: L’Arlesiana, di ambiente agreste, ma agli antipodi dai furori rusticani della Cavalleria di Mascagni. Federico sta per sposare la ragazza del titolo (che nell’opera non comparirà mai), ma il matrimonio va a monte per le rivelazioni sulla sua onestà. Il mesto lamento di Federico del secondo atto, “È la solita storia del pastore”, invocazione a un sonno che allontani per qualche poco le pene dell’amore perduto, non è che il preludio al suicidio finale. Nell’Adriana Lecouvreur Cilea ricostruisce con estrema grazia l’epoca in cui si muove l’eroina del titolo, che fu un’attrice famosa e colta, amica di Voltaire. Il libretto non si discosta molto da un episodio della sua sfortunata esistenza. L’aria d’entrata, “Io son l’umile ancella”, è il biglietto da visita che l’accompagnerà per tutta l’opera, biografia in musica di una donna intelligente e appassionata, devotamente al servizio degli autori che rappresenta sulla scena. Oggi la si direbbe un’antidiva. In Guerra e pace di Tolstoj, il maresciallo Kutuzov abbandona Mosca nelle mani dei francesi dopo averla incendiata. Per la sua fedeltà all’autore e alla storia, Prokof'ev – che aveva tratto dal romanzo un grandioso affresco, conservandone il titolo – fu duramente criticato dalle autorità sovietiche: il soldato russo non volta le spalle al nemico! Ma le contestazioni non finirono lì: troppi recitativi, poca melodia. Fu così che il musicista, per amore di pace, vi aggiunse l’aria d’amore del principe Andrej per la giovane Nataša. Quello che colpisce in questo brano dal Ballo in maschera, ancor prima della musica di Verdi, è il fatto che colei alla quale è affidata, ritenuta ingiustamente colpevole di adulterio, si prepari, senza protestare, a morire per mano del marito offeso nell’onore. E questa dolente rassegnazione traspare anche dal canto, e la grazia che chiede (“Morrò, ma prima in grazia”), non è d’aver salva la vita, ma di abbracciare per l’ultima volta il figlioletto. Le liriche per canto e pianoforte furono compagne di tutto il percorso compositivo di Respighi. Quasi tutte dedicate alla voce della moglie Elsa, quasi tutte su testi di poeti italiani, anche occasionali. Tra le poche eccezioni, le Quattro liriche del 1921, su antiche poesie armene raccolte da Constant Zarian. Tra queste, "La mamma è come il pane caldo", dolcissimo inno alla famiglia, con affettuose similitudini per tutti i suoi componenti. Colei che invece afferma "Io sono la Madre" è Maria, che piange con raccolto dolore il Figlio crocifisso che non rivedrà mai più. MERCOLEDÌ 3 SETTEMBRE ANGHIARI TEATRO DEI RICOMPOSTI ORE 21 Hov arēk’ è una delicata melodia antica armena, dove un giovane contadino chiede alle montagne di mandargli un po’ di frescura per alleviare la pesantezza del suo lavoro: il titolo significa appunto “fresca brezza”, ed è compreso nella raccolta di canti popolari curata da Padre Komitas, il religioso considerato il padre della moderna musicologia armena (1869-1935). Scampato al genocidio del suo popolo, ne fu tuttavia vittima: la sua ragione non resse all’orrore e divenne pazzo. Garun a è una delle più popolari melodie armene: se ne conoscono versioni per voce, quartetto, strumenti, e benché il suo significato sia primavera, è profondamente intrisa di malinconia, caratteristica di tutta la musica armena. Dante colloca Gianni Schicchi all’Inferno. Al contrario, Puccini lo ha in gran simpatia e proprio per la burla per cui meritò la severa condanna. Però Dante aveva altre ragioni per avercela col personaggio: ai suoi occhi faceva parte di quella schiera di nuovi ricchi, arrivati dal contado, che minacciavano le antiche tradizioni fiorentine. Ma anche qui Puccini non ci sta col Sommo Vate: “Firenze è come un albero fiorito”, l’aria di Ranuccio, futuro genero di Gianni Schicchi, è tutta un peana alla “gente nova” venuta da fuori, che l’arricchisce con l’arte (“E venga Giotto dal Mugel selvoso”) o con nuove torri e palazzi eretti da quell’Arnolfo della Val d’Elsa, e poi il Medici “mercante coraggioso”. Un’aria che inneggia alla giovinezza, composta “alla maniera di uno stornello toscano”, come ebbe ad annotare Puccini. “Io morrò ma lieto in core” è uno degli inni più alti all’amicizia virile, alla generosità, all’amore di patria, allo sdegno contro l’oppressione dei popoli: e, per tutto questo, il marchese di Posa, unico sincero amico del figlio di Filippo II, il Don Carlo verdiano, è nel mirino dell’Inquisizione che in Spagna tutto governa. Ferito a morte, il suo congedo dall’amico è quanto di più nobile e commovente sia mai stato messo in musica. “Sola, perduta, abbandonata”: dalle “trine morbide” del secondo atto, Manon sta morendo di sete nel deserto americano dov’è in fuga con l’innamorato che ha voluto condividere con lei l’esilio. Lui è andato a cercare soccorsi, lei nel delirio si crede abbandonata in quel luogo senza scampo, rievoca il passato maledicendo quella sua bellezza causa prima di tante disgrazie, atterrita dall’idea della morte vicina. È senz’altro l’aria più tragica di tutto il repertorio pucciniano. Prima l’incontro al buio dei due vicini di soffitta, poi, rotto il ghiaccio, le due arie – tra le più amate dai melomani – in cui Mimì e Rodolfo si raccontano e infine, soddisfatti di quel che han saputo l’uno dell’altra, si lanciano in un duetto d’amore, con lui che attacca “O soave fanciulla”, e lei che gli fa subito eco, con altissimo acuto all’unisono come esaltata e gioiosa conclusione. TEATRO LIRICO SPERIMENTALE DI SPOLETO “A. BELLI” Il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto nasce nel 1947 per iniziativa dell’avvocato e musicologo Adriano Belli, con il fine di avviare alla professione dell’arte lirica quei giovani dotati di particolari qualità artistiche che, compiuti gli studi di canto, non avevano ancora debuttato. Accogliendo i vincitori del Concorso di canto dello Sperimentale a Spoleto, e avviandoli a un corso di due anni, l’istituzione umbra offre loro non solo la possibilità di prepararsi a interpretare vocalmente la musica lirica, ma anche lo studio del gesto, sotto la guida di prestigiosi registi e direttori che mettono in scena opere e melologhi nella stagione lirica. Questa costituisce il coronamento della preparazione dei giovani interpreti e si svolge di solito a settembre-ottobre. Tra i vincitori del concorso, in oltre sessanta edizioni, si annoverano grandi nomi della lirica internazionale, tra i quali Franco Corelli, Leo Nucci, Ruggero Raimondi, Renato Bruson, Mariella Devia e, più recentemente, Roberto De Candia, Sonia Ganassi, Nicola Ulivieri, Maria Agresta. Lo Sperimentale ha ricevuto nel 1994 il Premio “Abbiati” della Critica musicale italiana. Il Teatro Lirico Sperimentale collabora inoltre con alcuni tra i maggiori teatri lirici italiani, tra le quali il Teatro Comunale di Bologna, lo Stadttheater di Klagenfurt, il Teatro dell’Opera di Roma, l’Arena Sferisterio di Macerata, il Teatro Nazionale di Roma. Negli ultimi anni lo Sperimentale ha allargato il proprio campo d’azione nell’ambito della didattica e della formazione musicale organizzando corsi per maestri collaboratori, per tecnici e accordatori di pianoforti. Lo Sperimentale organizza inoltre dal 1993 il Concorso internazionale per nuove opere di teatro musicale da camera “Orpheus”, dedicato a Luciano Berio, presidente della giuria internazionale sin dalla prima edizione. L’opera vincitrice viene rappresentata in prima mondiale a Spoleto nella stagione lirica. 55 56 GIOVEDÌ 4 SETTEMBRE UMBERTIDE CHIESA DI SAN FRANCESCO ORE 18.30 Medico del dolore è per gli uomini il canto Umbra Lucis Arianna Lanci soprano Ugo Giani e Marco Ferrari flauti dolci, zurna e duduk Fabrizio Lepri viola da gamba e violoncello Elisabetta Benfenati chitarra barocca Luca D’Amore chitarrone, colascione e thar Stefano Lorenzetti cembalo Massimiliano Dragoni percussioni e dehol Virginia Pattie Kerovpyan canto armeno Anonimo Inno armeno del XV secolo Girolamo Kapsberger Amorino morto dal VI libro di villanelle de Li fiori Andrea Falconieri Follia dal I libro di Canzone, Fantasie, Capricci… Henry Purcell The Plaint da Fairy Queen Anonimo Inno armeno del XIV secolo Anonimo Vasn mero perkutian Atanasius Kircher Antidotum tarantulae da Musurgia universalis Johann Jakob Froberger Plainte faite à Londres pour passer la Melancholie la quelle se joue lentement avec discrétion dal IV libro di Toccate, ricercari, capricci… Anonimo Fuggi, fuggi da Laudi spirituali all’uso dell’Oratorio di Chiavenna Anonimo Paradiso/Inferno da Laudi spirituali all’uso dell’Oratorio di Chiavenna Anonimo Passacagli della vita da Laudi spirituali all’uso dell’Oratorio di Chiavenna Andrea Falconieri Soave melodia e Sua Corrente dal I libro di Canzone, Fantasie, Capricci… Girolamo Kapsberger Tranquillità d'animo dal VI libro di villanelle de Li fiori Anonimo Due tarantelle In collaborazione con Centro Studi e documentazione della cultura armena UMBRA LUCIS 57 LA FUNZIONE MAGICO-TERAPEUTICA DELLA MUSICA di Stefano Lorenzetti a musica, da sempre, è stata considerata un rimedio contro le asprezze dell’esistenza. Il suo effetto benefico si è irradiato sull’umano, come sul naturale, senza differenze di status, età, genere. Depositaria di un potere terapeutico pervasivo, non vi è essere animato, né inanimato che non ne subisca l’agire armonizzatrice: guerrieri, intellettuali, fanciulli, animali, financo pietre non possono sottrarsi al suo influsso che tutto e tutti accomuna in un’ontologia pre-culturale che è dono archetipico concesso alla terra immobile e per ciò stesso, nella cosmologia aristotelica, inesorabilmente muta. Se la musica degli uomini è capace di riscattare dal silenzio il proprio mondo, l’atto di produrre suono, nella cultura occidentale, è intrinsecamente metaforico, come testimoniano le figure mitiche che l’hanno esercitato: Apollo, padre di Esculapio, il dio della medicina, che allontana il male dagli esseri umani; Orfeo che suonando la sua taumaturgica lira ammansisce le fiere, placa i bellicosi e sovverte, addirittura, l’ordine delle cose nell’utopia delusa di riportare in vita la sua amata; David, che col suono della sua arpa salva dai tormenti della melanconia re Saul, erigendosi ad archetipo del potere salvifico della musica nel mondo cristianizzato, un potere che i manuali degli esorcisti ci rivelano essere così pervasivo da riuscire a scacciare persino il demonio. Armonia, proporzione e concordia sono le parole chiave che certificano il tentativo di tradurre l’esperienza del suono in linguaggio, causa efficiente e motore generativo insieme da cui scaturisce l’effetto sensibile della sonorità, la sua dolcezza e soavità infinita, che rende l’animo fragile e indifeso e allo stesso tempo duttile e disposto ad accogliere l’esperienza del divino. Suono divino, suono naturale, suono umano non sono qualitativamente diversi, bensì solo rifrazioni quantitativamente differenziate di una medesima armonia che può conseguire, sul teatro del mondo, minore o maggiore trasparenza, maggiore o minore opacità. Ed è al di là di ogni possibile narrazione che scaturiscono la suavitas e la dulcedo che dal suono si sprigionano, costruendo la sonorità come categoria totalizzante che esprime necessità esistenziale e anelito vitale, in cui ogni dimensione concettuale, sebbene ardentemente evocata e pervicacemente perseguita, pare annullarsi nella profondità delle dolcezze anelate dal soggetto, sintagma di una concezione pre-visiva e pre-semantica della coscienza, che solo il suono può far emergere sulla superficie sensoriale. Se la musica è stata concepita, ab origine, come analogia dell’armonia del mondo che quell’armonia aiuta a com- L 58 prendere e ad approfondire, forse il maggior contributo conoscitivo fornito, in tal senso, dalla nostra disciplina è consistito nel cercare di testimoniare la dialettica tra interno ed esterno, tra ordo razionale e sua manifestazione sensibile, tra bellezza sensoriale e bellezza interiore: non solo cercando di rendere il trapasso filosoficamente più trasparente, ma soprattutto cercando di provarne psicologicamente la verità nell’efficacia dell’atto percettivo. Il discorso mitico, alimentato dagli stupefacenti effetti ascritti alla disciplina musicale, si configura come un potente mezzo per descrivere soggiacenti meccanismi psicologici di risposta emozionale alla musica all’interno del paradigma concettuale della filosofia greca, paradigma per secoli continuamente riscritto, senza mai venir meno. Il programma qui proposto traduce in suono, in suono reale e vitale, proprio tale discorso mirabilmente sintetizzato da una similitudine antichissima e iterata per secoli: come uno strumento scordato non è capace di produrre buona musica, altrettanto, un animo "scordato" non è capace di vivere. La similitudine strumento musicale/animo umano ci guida, dunque, attraverso un’antropologia degli affetti e degli effetti della musica. Li Fiori di Girolamo Kapsberger, sesto libro di villanelle pubblicato a Roma nel 1632, descrivono un viaggio immaginario all’interno di un giardino all’italiana, ove, a ogni angolo, incontriamo uno stato d’animo differente: Tranquillità d’animo, Refrigerio, Dolore occulto. Le laudi spirituali all’uso dell’Oratorio di Chiavenna, pubblicate a Milano nel 1657, sono testimonianza della divulgazione delle tematiche della riforma cattolica attraverso il medium potente di una semplice musica devozionale, in cui si nascondono, nell’anonimato, composizioni rimaneggiate di grandi compositori del Seicento come Tarquinio Merula e Stefano Landi. Il tema prediletto della fragilità dell’esistenza, della vanitas vanitatum che erode ogni fasto terreno, esemplarmente rappresentato dai Passacagli della vita, predilige l’impiego di bassi ostinati, quasi che la ripetitività ossessiva di formule ritmiche e cadenzali costituisse un potente mezzo per la trasmissione del contenuto moraleggiante dei testi (si veda in particolare la bidimensionalità Paradiso / Inferno di una delle laudi che verranno eseguite). L’Antidotum Tarantulae, brano contenuto nella Musurgia Universalis (1650) di Atanasius Kircher, testimonia, più di ogni altro, l’integrazione tra pensiero scientifico e musicale. Un’integrazione, in questo caso, nutrita dall’utopia di sanare la patologia del tarantismo: particolare forma d’isteria che si credeva potesse essere sconfitta dall’iterazione incantatoria dell’affascinante melodia consegnataci dal gesuita tedesco. Brani dalla natura e funzione consi- GIOVEDÌ 4 SETTEMBRE UMBERTIDE CHIESA DI SAN FRANCESCO ORE 18.30 mili sono rappresentati dal gruppo di due tarantelle di autore anonimo, databili intorno al Settecento. Seppur in un contesto non esplicitamente terapeutico, la funzione taumaturgica dell’iterazione di una medesima formula armonica si coglie appieno nella straniante Follia di Andrea Falconieri e nello struggente Pianto di Henry Purcell, tratto dal Fairy Queen, sorta di lamento, su testo tratto dal Sogno di una notte di mezza estate di Willian Shakespeare per esorcizzare, in un canto straziante ma risanatore, l’abbandono dell’amato. L’efficace funzione della musica come antidoto della malinconia, sorta di angoscia universale senza oggetto, la cogliamo appieno in questi due splendidi brani accomunati, pur nelle loro diversità, dall’esplorazione della potenza della musica nell’oggettivazione del dolore, al fine di renderlo comprensibile e accettabile agli uomini: La Plainte faite à Londres pour passer la Melancholie di Johann Jakob Froberger, in cui movenze erratiche e stranianti restituiscono l’alternarsi di gioia e dolore, luce e ombra che costellano la vita, e la serena e insieme struggente Soave Melodia di Andrea Falconieri. Infine, i tre brani di musica armena del Trecento a carattere curativo, testimoniano della profonda integrazione della musica di quella cultura con la quotidianità della vita sociale, con le consuetudini della vita religiosa e con l’efficacia risanatrice di una dimensione rituale che si è tramandata oralmente per secoli. Ideale contrappunto alla musica colta occidentale, costituiscono un ribaltamento di prospettiva, una metanoia inattesa che entra all’interno della tradizione europea, per mostrarne l’antichissimo radicamento antropologico, e, al tempo stesso, l’universalità della funzione magico-terapeutica della musica, del suo costituirsi, nel tempo e nello spazio, a organo privilegiato del governo dell’anima. UMBRA LUCIS Dopo molti anni di militanza, i promotori di questa avventura sentono l’urgenza di tornare allo spirito delle origini del movimento di ricerca sulla musica antica, rimettendo al centro dell’esperienza performativa le suggestioni del suono, la sua fecondità sensoriale. La centralità del suono, infatti, è paradigma ideale e reale di una riscoperta degli strumenti e delle tecniche storiche, come dei luoghi storici: spazi che nutrono i sensi nobili della vista e dell’udito in un’esperienza percettiva di totalizzante bellezza. Coerentemente con l’identità di coloro che hanno fondato il gruppo (Ugo Giani, Fabrizio Lepri, Stefano Lorenzetti), la progettualità generale dell’ensemble si costruisce sul costante colloquio tra le più avanzate acquisizioni della musicologia storica e le sperimentazioni della prassi esecutiva senza alcun interesse antiquario, bensì con la missione di rendere la musica sempre più viva e “parlante” all’orizzonte dell’oggi. Per questo, la commistione di generi e repertori diversi dal mondo, dalla musica etnica alla musica contemporanea, è perseguito non nella prospettiva di una inerte giustapposizione, ma di una rivelatrice intersezione di saperi e di mondi percettivi: è il passato che parla al presente e il presente che guarda al passato. Il gruppo è attualmente impegnato nella realizzazione di un progetto, multimediale e interdisciplinare, sulle musiche di battaglia, antiche e contemporanee, in collaborazione con la rete due della Radio della Svizzera italiana, che prevede la realizzazione di un cd e di un documentario; nell’incisione discografica dell’integrale de Li Fiori di Girolamo Kapsberger; nell’integrale delle sonate in trio di J. S. Bach; infine, per il quinto centenario della nascita di Cipriano De Rore, nella realizzazione di uno spettacolo fra antico e contemporaneo al Teatro Olimpico di Vicenza. VIRGINIA PATTIE KEROVPYAN Virginia Pattie Kerovpyan è nata a Washington, dove ha studiato e si è esibita con ensemble di musica antica e corali, sia in qualità di corista che di solista. Una volta trasferita in Francia, ha continuato la sua formazione all’École normale supérieure de musique di Parigi e al Conservatorio della città. Ha partecipato a concerti e incisioni con diversi gruppi di musica rinascimentale e barocca. Solista degli ensemble Akn e Kotchnak, Virginia Kerovpyan lavora sul sistema modale e sulla tecnica vocale del canto armeno dal 1981. La sua ricerca l’ha condotta, nel corso degli anni, alla scoperta di una emissione vocale e un fraseggio capaci di esprimere la musicalità intrinseca alla musica armena, sia quella della canzone armena classica utilizzata nei canti liturgici, sia quella dei canti popolari e dei trovatori. La sua interpretazione mette in luce tutte le caratteristiche del canto armeno e permette di scoprire l’essenza di questa musica. 59 60 S P O N S O R D E L L A S E R ATA GIOVEDÌ 4 SETTEMBRE CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 21 Voci dal silenzio Mario Brunello violoncello Gabriella Caramore voce recitante Max Reger Suite n. 2 in re minore op. 131c per violoncello Tigran Mansurian Capriccio per violoncello Vache Sharafyan Cello breath per violoncello PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA Vache Sharafyan Cello dance per viloncello PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA Anonimo Canti armeni per violoncello (trascrizione di Mario Brunello) PROGETTO PER IL FESTIVAL DELLE NAZIONI In collaborazione con Rotary Club Città di Castello MARIO BRUNELLO 61 IL RESPIRO DEL VIOLONCELLO di Luca Del Fra omposta in tempo di guerra, tra il 1914 e il 1915, l’opus 131 di Max Reger è un polittico di quattro diverse opere, che esplorano le possibilità degli strumenti ad arco assolo – violino (op. 131a), viola (b) e violoncello (c) –, e in un caso a due violini (d). Nella vicenda artistica di questo compositore, direttore d’orchestra, pianista e organista, nato nel 1873 e scomparso all’età di 43 anni, la musica da camera rappresenta un capitolo importante e particolare: allievo di Hugo Riemann, Reger aderiva convintamente a una tradizione musicale che da Bach passava per Beethoven e arrivava a Brahms. Le sue composizioni mostrano le strutture dei classici arricchite però da una armonia cromatica vicina a quella di Liszt e di Wagner, a cui va aggiunta una spessa tessitura polifonica di ascendenza bachiana. Una accumulazione di elementi vissuta da Reger non in senso corrosivo o dialettico, ma in chiave ecumenica, di conciliazione degli opposti che, in una linea comune con Mahler, Strauss, Pfitzner, sembrava dover condurre all’opus magnum, la grandiosa sinfonia che tuttavia Reger non ha mai scritto, lasciando le sue opere più famose nel campo liturgico e in particolare nel corale protestante, lui che era cattolico. Per un musicista che vantava queste ascendenze, il suo maggior contributo alla musica assoluta arriva dunque dalle opere da camera, e il fatto che Reger mostrasse lo stesso interesse per la musica assolo per archi di Bach non può essere una sorpresa. Così l’op. 131c di Reger è senz’altro un pezzo originale, ma chiunque sia familiare con le sei Suite per violoncello solo di Bach, non potrà che sentirsi a casa. La seconda Suite, in la minore, è divisa in quattro parti, articolata sulla logica del contrasto tra tempi lenti più introspettivi e veloci più gioiosi. Il Präludium, in tempo Largo, si snoda su una linea eloquente e declamatoria per fiorire in uno stile più ricco a due voci. La Gavotta successiva è probabilmente il brano più incantevole e ammaliziato della Suite nel suo echeggiare l’eleganza della danza antica, ma il cuore pulsante della composizione è nel successivo Largo. Si tratta di una lunga e sontuosa meditazione, con un afflato melodico notturno e affascinante, che insiste sulla nota mi, mentre la conclusiva Giga viaggia su un ritmo leggero e staccato intercalato da brevi sezioni di bicordi. Tigran Mansurian, nato in Libano classe 1939, è considerato uno dei maggiori compositori armeni della generazione successiva a Khačaturjan e Terterian. Analogamente a questi due, anche Mansurian non è nato nella sua terra ma ci è arrivato da bambino, un segno di quella che è stata la diaspora armena nel secolo scorso. Peculiare è il suo spassionato interesse e la conoscenza dei linguaggi delle avanguardie del Novecento, che giunge C 62 a Pierre Boulez e alla musica seriale e post-seriale. Altrettanto particolare è il rapporto con il folclore armeno, scoperto e studiato tardi ma divenuto fonte di ispirazione a partire dalla fine degli anni Settanta. Tuttavia nella sua musica è difficile trovare un uso di elementi popolari sfrontato come nel caso di Khačaturjan, l’elemento folclorico piuttosto si annida in profondità, nei legami interiori dell’universo sonoro di Mansurian. Cosa rara nel mondo musicale, è anche la sincera ammirazione di questo compositore erudito e curioso per altri musicisti, tanto da spingerlo a dedicare le sue partiture a Šostakovič, Schnittke, Stravinskij, Penderecki. Il Capriccio per violoncello solo è stato scritto per la violoncellista Karine Georgian, cui oltre a Mansurian hanno dedicato partiture Schnittke, Pärt e così via. Composto nel 1981, questo pezzo combina con rara maestria e sapienza una lucida oggettività formale, il cromatismo bachiano che rimanda alle Suite per violoncello e la vigorosa espressività melodica dove naturalmente si nasconde la cifra più personale di Mansurian. Forse è emblematico che il compositore armeno Vache Sharafyan sia apparso in Italia per la prima volta grazie a un violoncellista, Yo-Yo Ma e al suo “Silk Road Project”, a dimostrazione di una attenzione per uno strumento come il violoncello cui ha dedicato numerose partiture. Il “Silk Road Project” radunava assieme musicisti di tradizioni diverse e lontane, raccolti lungo quella che era la antica via della seta. Negli anni Novanta quel progetto era stato considerato uno dei più riusciti del cosiddetto crossover, genere allora molto in voga. Quasi vent’anni dopo quando il crossover sembra tramontato, la musica di Sharafyan continua la sua strada, anche perché questo compositore ha mostrato una tecnica raffinata, alle prese con generi assai lontani tra loro che dalla musica sinfonica e corale arrivano a squisite partiture da camera. È intrigante come Sharafyan, nato nel 1966, sappia ibridare la modalità con i modi maggiore e minore, come faccia sorgere una armonia tonale da nebulosi cluster sonori, e come agglutini melodie e temi attraverso una peculiare tecnica compositiva. Dedicata al violoncellista armeno Suren Bagratuni, Cello breath è un esempio della cifra di Sharafyan, pur con i limiti imposti dallo strumento solo. Il pezzo si apre su quello che ha tutta la parvenza di un'esposizione, dove è presentato un tema. In realtà ascoltiamo il formarsi del tema, il suo autogenerarsi intorno a pochi intervalli: in questo modo l’ascoltatore percepisce non solo il materiale della composizione, i suoi nuclei tematici, ma anche il modo con cui questo materiale sarà trattato. A questa prima parte, conclusa da un breve arpeggio e una nota lunga, segue infatti un'elaborazione di quanto proposto all’inizio. Tuttavia il termine “sviluppo” tanto caro alla tradizione occidentale, qui appare non del GIOVEDÌ 4 SETTEMBRE CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 21 tutto calzante. Più che a processi di sviluppo e variazione, assistiamo infatti a un progressivo accrescimento che richiama il moltiplicarsi dei cristalli. Spesso i nuclei tematici di base vengono articolati attraverso abbellimenti non privi di un gusto orientale nei mordenti e nelle acciaccature. Il tutto potrebbe rivelarsi dispersivo e divagatorio, un effetto evitato grazie all’economia dei mezzi usati: è come se la materia musicale volesse bruciare l’energia che ha in se stessa, allo stesso modo di come il respiro (breath) brucia l’ossigeno, per giungere al finale in diminuendo, aperto anche questo da una serie di arpeggi. Il recentissimo Cello dance dedicato a Mario Brunello mostra invece altre caratteristiche dell’estro compositivo di Sharafyan, e in particolare una architettura musicale circolare a più livelli. Con il suo iniziale incedere danzante il brano richiama le Suite del barocco, un momento della storia della musica verso cui Sharafyan ha mostrato un interesse non episodico: basti considerare i titoli di altre sue partiture come Burlesca, Concerto Grosso, Cantata, solo per citarne alcuni. Proprio al barocco sembra ispirata la peculiare architettura del brano, che si apre con l’esposizione di un tema, che chiameremo A, semplice e giocato sugli intervalli di un accordo, ma presentato in tempo di sette ottavi. In realtà gli ottavi sono inizialmente scanditi quattro più tre: dopo due volte tuttavia il tempo viene girato (tre più quattro) e con esso anche il tema compie una giravolta. L’intera esposizione, ritornellata, dà subito la sensazione di un andamento circolare: segue un secondo episodio, B, basato su veloci arpeggi, punteggiato al suo centro da un diversivo, d1. Torna il tema A, abbellito e leggermente variato, cui fa seguito un terzo episodio, C, ancora una volta basato su rapidi arpeggi ma giocato sulla dinamica che dal pianissimo va in crescendo, e anche questo punteggiato da un diversivo accordale, d2, di grande fascino. Conclude la composizione il tema A: quindi schematizzata la partitura si presenta come A, B+d1, A’, C+ d2, A’’. Uno schema evidentemente circolare, dove ancora una volta l’episodio iniziale, A, sembra contenere il germoglio dell’intero brano che tuttavia stavolta viene articolato con un sincero gusto per il divertissement musicale. Nella parte finale del programma Mario Brunello farà un omaggio musicale all’Armenia, coinvolgendo nell’esecuzione anche il pubblico, con una serie di musiche popolari trascritte da lui stesso per violoncello. Si tratta di Hovern enkan, una canzone di ringraziamento per la cessazione delle tempeste di vento, di Tchatchané, il cui titolo è una onomatopea che richiama il ritmo di questa danza popolare, di Kali yerg, schietta canzone contadina, e infine di Havun-havun, il nome di un mitico uccello che compare sulla terra per radunare i suoi simili e portarli in paradiso, come sogna di fare ogni musicista attraverso l’arte dei suoni. MARIO BRUNELLO Nel 1986 è stato il primo artista italiano a vincere il Concorso Ciaikovskij di Mosca che lo ha proiettato sulla scena internazionale. È invitato dalle più prestigiose orchestre, tra le quali London Philharmonic, Munich Philharmonic, Philadelphia Orchestra, Mahler Chamber Orchestra, Orchestre Philharmonique de Radio-France, Kioi Sinfonietta, NHK Symphony di Tokyo, Filarmonica della Scala, Accademia di Santa Cecilia; lavora con direttori quali Valery Gergiev, Sir Antonio Pappano, Yuri Temirkanov, Manfred Honeck, Riccardo Chailly, Vladimir Jurowskij, Ton Koopman, John Axelrod, Riccardo Muti, Daniele Gatti, Myung-Whun Chung, Seiji Ozawa. Brunello si presenta sempre più di frequente nella doppia veste di direttore e solista dal 1994, quando fondò l’Orchestra d’archi Italiana, con la quale ha una intensa attività sia in Italia che all’estero. Riserva ampio spazio a progetti che coinvolgono forme d’arte e saperi diversi, integrandoli con il repertorio tradizionale. Ha interagito con Uri Caine, Paolo Fresu, Marco Paolini, Gianmaria Testa, Margherita Hack, Moni Ovadia e Vinicio Capossela. L’ampia discografia include opere di Vivaldi, Bach, Beethoven, Brahms, Schubert, Franck, Haydn, Chopin, Janáček e Sollima. Deutsche Grammophon ha pubblicato il Triplo Concerto di Beethoven diretto da Claudio Abbado e Egea Records ha dedicato all’artista la collana “Brunello Series” composta da cinque cd, tra i quali le Suite di Bach, che hanno vinto il Premio della Critica 2010. Tra i principali impegni della stagione 2013-14 spiccano i concerti con l’Orchestra di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano e successivamente da Manfred Honeck, una tournée con la Kremerata Baltica come direttore e solista, un tour negli Stati Uniti con la Venice Baroque Orchestra, il ritorno a Mosca con i Virtuosi di Mosca e a San Pietroburgo con Valery Gergiev e l’Orchestra del Mariinsky, concerti a Vienna e Bolzano con l’Hugo Wolf Quartet, concerti con le orchestre di Verona, Cagliari e Genova nel doppio ruolo di solista e direttore. Per l’anniversario verdiano ha ideato con Marco Paolini lo spettacolo Verdi, narrar cantando, presentato in molte città italiane dopo il debutto al Teatro Regio di Torino. Suona il prezioso violoncello Maggini dei primi del Seicento appartenuto a Franco Rossi. GABRIELLA CARAMORE Nata a Venezia, Gabriella Caramore è saggista, autrice di radio-documentari e di testi radiofonici. Cura e conduce il programma di cultura religiosa “Uomini e profeti” su Radio3. Ha insegnato Religioni e comunicazione all’Università La Sapienza di Roma. Dirige una collana di testi di spiritualità per la casa editrice Morcelliana. Tra le sue pubblicazioni: La fatica della luce, confini del religioso (Morcelliana, 2008); Nessuno ha mai visto Dio (Morcelliana, 2012); Come un bambino. Saggio sulla vita piccola (Morcelliana, 2013); Le domande dell’uomo con Maurizio Ciampa (La Scuola, 2013) e Pazienza. Parole controtempo (Il Mulino, 2014). 63 64 VENERDÌ 5 SETTEMBRE CELALBA DI SAN GIUSTINO VILLA MAGHERINI GRAZIANI ORE 21 Yves Savary violoncello Pierpaolo Maurizzi pianoforte Witold Lutosławski Grave. Metamorphoses per violoncello e pianoforte Claude Debussy Sonata n. 1 in re minore per violoncello e pianoforte L144 Karen Khačaturjan Sonata per violoncello e pianoforte Dmitrij Šostakovič Sonata in re minore per violoncello e pianoforte op. 40 PIERPAOLO MAURIZZI E YVES SAVARY 65 INTRECCI MUSICALI di Enrico Girardi rave. Metamorphoses è un breve pezzo che Witold Lutosławski (Varsavia, 1913 – ivi, 1994) compose nel 1981 in memoria del celebre musicologo polacco Stefan Jarocinski. Fu eseguito a Varsavia nell’aprile di quell’anno dal violoncellista Roman Jablonski e dalla pianista Krystyna Borucinska: prima esecuzione pubblica di una lunga serie di cui questa composizione ha goduto e continua a godere, tanto da potersi ormai considerare un “classico” della letteratura cameristica moderna, come un classico della letteratura sinfonica moderna è il sontuoso Concerto per violoncello e orchestra che il compositore polacco aveva composto nel 1970. L’idea compositiva che sorregge il brano è tanto semplice quanto efficace. Privo di melodia, esso muove da un breve motivo di tre note esposte nel registro grave che, nel continuo scambio concertante tra i due strumenti, prende a svilupparsi salendo di registro e densità contrappuntistica fino all’approdo nelle zone più acute della tessitura. Nella sua semplicità, anche armonica (viene adombrata ma mai dichiarata una base tonale), il brano assume un’intensità espressiva man mano più partecipata e appassionata. G È un Debussy provato quello che nel 1915 dà vita alla Sonata in re minore per violoncello e pianoforte: nella salute per l’insorgere del tumore che l’avrebbe condotto alla morte tre anni dopo; nel morale, per la piega che andavano prendendo le vicende belliche, con tanti francesi – lamenta – "che si fanno eroicamente massacrare". Reagisce però alla depressione che lo aveva tormentato per circa un anno, ritirandosi a Pourville, un paesino in riva al mare dove trascorre le vacanze estive trovando un profondo conforto spirituale e una rinnovata energia creativa. Decide perciò di progettare un ciclo di sei Sonate per strumenti diversi (sei come il numero di composizioni che in epoca barocca e preclassica venivano pubblicate in un’unica raccolta) che, in polemica con la cultura tardoromantica, fossero prive di motivazioni extramusicali e che – l’influenza di un certo nazionalismo è innegabile a tal proposito – recuperassero la purezza della tradizione francese di Rameau e Couperin. Di queste sei Sonate ne verranno alla luce la metà. Nel 1915 Debussy compone a spron battuto la Sonata per violoncello e pianoforte e la Sonata per flauto, viola e arpa; a causa dell’aggravarsi della malattia, la Sonata per violino e pianoforte verrà completata soltanto nel 1917, mentre le altre tre rimarranno soltanto nella sua mente. Nessuno di tali tormenti, tuttavia, le Sonate in questione sembrano rivelare. Se un dolore le attraversa, è un dolore di 66 tipo metafisico, un dolore come sublimato da una profonda sincerità e dall’affermazione di un’incrollabile fede nell’arte e nella bellezza. Piuttosto, assai nascosto, emerge nella Sonata per violoncello e pianoforte un velo sottile d’ironia. Lo si ravvisa ad esempio nell’accordo di “terza piccarda” (improvvisa conclusione in modo maggiore di un brano in minore, tipico della tradizione barocca) che chiude l’iniziale Prologue, che aveva preso la mosse da un’introduzione in stile bachiano, dall’esposizione di un languido tema di violoncello sopra semplici accordi del pianoforte e da una serie di episodi secondari tra l’ornamentale e il virtuosistico. Seguono poi una sorprendente Sérénade, tutta strappi e improvvise interruzioni, con un tema vagamente spagnoleggiante che fatica a farsi largo tra il pizzicato del violoncello e lo staccato del pianoforte. Una melodia di stampo modale annuncia poi il terzo e ultimo tempo. Un ritmo apparente di habanera, l’uso chitarristico dello strumento ad arco, la sensualità e la malinconia del tono: tali ingredienti fanno di tal Finale una sorta di ulteriore serenata notturna, non priva d’accenti tra l’umoristico e il grottesco. Nipote del più noto compositore Aram e figlio di Suren, un direttore di teatro, Karen Surenovič Khačaturian (Mosca, 1920 – ivi, 2011) è un compositore formatosi al Conservatorio della sua città sotto la guida di due alfieri della musica sovietica come Šostakovič e Mjaskovskij: una guida solida ma anche estremamente rigida, se è vero che il Conservatorio moscovita era divenuto il principale centro di irradiazione di quella cultura popolare, autocelebrativa e formalistica che sta alla base dei principi estetici del Realismo socialista. Privo della debordante personalità che occorreva per fare i conti con tali dettami senza rinunciare alla propria originalità, Khačaturian junior si trovò dunque ad allinearsi allo spirito del tempo (e del luogo). E il suo catalogo, fatto di generi classici (Opere, Balletti, Oratori, Sinfonie, Concerti, Quartetti, Trii, Sonate ecc.) riflette in pieno tale sua “disciplina”. Ciò non significa tuttavia che la sua musica sia necessariamente epigonale. In particolare, godono di vita autonoma e discreta circolazioni le sue opere da camera, come in particolare la giovanile Sonata per violino (1947), che ebbe in David Ojstrach e Jascha Heifetz due celeberrimi alfieri, e la Sonata per violoncello eseguita nella presente occasione che, composta nel 1966, fu tenuta a battesimo da Mstislav Rostropovič il 10 gennaio 1967. Trattasi di una composizione che si esegue senza soluzione di continuità ma che è chiaramente suddivisa al suo interno nei canonici quattro tempi. Il primo, in tempo Adagio, è un recitativo affidato al canto del violoncello. Il successivo Allegretto è nella forma barocca dell’inven- VENERDÌ 5 SETTEMBRE CELALBA DI SAN GIUSTINO VILLA MAGHERINI GRAZIANI ORE 21 zione: un inseguimento tra il violoncello e il pianoforte incentrato su un soggetto assai caratterizzato sul piano ritmico. Il secondo blocco della composizione è costituito da un’aria in tempo Andante, dove emergono le doti di cantabilità dello strumento ad arco, e da una funambolica toccata (ancora una forma barocca) in tempo Allegro con fuoco, dove i due strumenti ricamano una serie di rapide figure ornamentali sopra un’incessante linea di basso. Positivo, affermativo nel carattere, dal punto di vista armonico il brano poggia su alcune “polarità”, che lo fanno sembrare più tonale di quanto in realtà non sia. La Sonata per violoncello e pianoforte in re minore op. 40 di Dmitrij Šostakovič la compose tra il marzo e il settembre del 1934 per l’amico violoncellista Viktor Kubazki, che ne fu il primo esecutore, insieme con l’autore, la sera di Natale di quello stesso anno a Leningrado. Salutata da un lusinghiero successo in patria, l’opera fu presto avversata in Occidente dalle voci più significative della critica, che ravvisarono in essa, e in particolare nella sua linearità armonica e formale, un grado eccessivo di compiacenza ai dettami estetici del regime sovietico, quel regime che proprio in quegli anni prese ad avversare il musicista autore dell’opera “scabrosa” Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk. Šostakovič non gradì tali critiche e anzi tenne sempre in alta considerazione tale propria creatura, tanto che, molti anni dopo, nel 1975, anno della sua scomparsa, la scelse come pezzo d’apertura nel programma di un concerto celebrativo che si sarebbe tenuto nella stagione della Filarmonica di Leningrado. L’impianto formale della Sonata è classico. Il pezzo è cioè strutturato in quattro movimenti: un Allegro non troppo bitematico in apertura, uno Scherzo in tempo Allegro, un Largo in forma di tema con cinque variazioni e un Allegro conclusivo in forma di rondò a sette periodi ABACADA, con un ritornello che si alterna a episodi contrastanti. All’interno di tale scheletro, in tutto e per tutto somigliante a quello di una Sonata di Beethoven, si trovano però, solo in forma più semplificata, vocaboli sonori così propri dello stile šostakoviano: l’altezza deformata rispetto al quadro tonale, il ribattuto, la figura ritmica sghemba, il tema cantabile nel quale riecheggiano punte di un pathos persino doloroso, l’“economia” di mezzi nel profilare i percorsi armonici, una quale certa generosità tematica, l’attitudine allo sviluppo dei motivi. Un altro aspetto che risulta ben chiaro in questa Sonata è infine l’unità, se è vero che il materiale del terzo tempo viene direttamente dal primo, mentre quello del Finale viene dal secondo, secondo un gioco di intrecci rivelatore dell’attitudine anche speculativa del compositore sovietico. YVES SAVARY Yves Savary da quasi trent’anni ricopre il ruolo di primo violoncello solista alla Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera. Come solista vanta la collaborazione di direttori come Wolfgang Sawallisch, Zubin Mehta, Kent Nagano e oggi Kirill Petrenko. Come docente ha tenuto masterclass in Germania, Italia, Giappone e Corea. Come solista e camerista è regolarmente ospite al Musikverein di Vienna, alla Gewandhaus di Lipsia, alla Philharmonie di Berlino, alla Tonhalle di Zurigo, a Londra, Madrid, San Pietroburgo, nel Nord e Sud America, in Brasile, in Corea e Giappone. Viene invitato nei maggiori festival quali il Casals Festival di Puerto Rico, la Schubertiade di New York, il Menuhin Festival di Gstaad, il Festival di Salisburgo, il Festival di Bad Kissingen. La sua attività discografica lo vede protagonista per la Claves, la Koch, l’Orfeo, la Farao. Ha inciso con Ingolf Turban, L’Ensemble Wien, i violoncellisti della Filarmonica di Colonia, il Beethoven Trio di Vienna. Una significativa collaborazione con Witold Lutosławski ha segnato l’inizio del suo interesse per la musica contemporanea. Yves Savary ha tenuto in prima esecuzione assoluta opere di Mauricio Sotelo, Arnaldo De Felice, Isabel Mundry e Jörg Widmann. PIERPAOLO MAURIZZI Fondatore del Trio Brahms e dello Überbrettl Ensemble, deve la sua formazione musicale a Lydia Projetti, Piero Guarino e Dario De Rosa. Fertili sono stati poi gli incontri con Pierre Fournier, Franco Gulli e Detlef Kraus. Dall’affermazione al Consorso “Johannes Brahms” di Amburgo nel 1983 ha dedicato la sua vita musicale alla musica da camera. Si è esibito in Europa, Stati Uniti, Canada, Messico e America del Sud, invitato nei festival più importanti. Come solista ha suonato sotto la direzione di Umberto Benedetti Michelangeli, Mika Eichenholz, Piero Guarino, Peter Hirsch, Giorgio Magnanensi, Karl Martin, Fabiano Monica ed Emilio Pomarico. Ha inciso per le case discografiche Bongiovanni di Bologna e Sonoton di Monaco. Ha tenuto in prima esecuzione composizioni di Alberto Caprioli, Arnaldo De Felice, Adriano Guarnieri, Giorgio Magnanensi, Andrea Molino, Luca Mosca, Claudio Scannavini e Hadrian Tabechki. Dal 1986 è docente di musica da camera al Conservatorio Arrigo Boito di Parma. Nell’ambito della sua attività didattica ha fondato e dirige l’Ensemble di musica da camera del Conservatorio. Alle esecuzioni di questo gruppo hanno partecipato più di centocinquanta giovani musicisti. 67 68 S P O N S O R D E L L A S E R ATA SABATO 6 SETTEMBRE CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 21 Orchestra della Toscana Benedetto Lupo pianoforte Eduard Topchjan direttore Sergej Rachmaninov Concerto n. 2 in do minore per pianoforte e orchestra op. 18 Aram Khačaturjan Estratti da Spartacus: Entrata dei mercanti, Danza di una cortigiana romana (Suite n. 2) Variazioni di Aegina e Bacchanalia (Suite n. 1) Adagio di Spartacus e Phrygia (Suite n. 2) Danza delle schiave greche (Suite n. 3) Morte del gladiatore (Suite n. 4) Danza di Gaditanae, Vittoria di Spartacus (Suite n. 1) DALL'ALTO IN SENSO ORARIO BENEDETTO LUPO / ORCHESTRA DELLA TOSCANA © FOTO MARCO BORRELLI 69 IPNOSI E LIBERTÀ di Piero Rattalino e vicende biografiche che precedono la composizione del Concerto n. 2 in do minore op. 18 di Rachmaninov sono abbastanza note ma si intrecciano così strettamente con la composizione che sarà bene richiamarle qui. Rachmaninov, diplomatosi in modo brillantissimo in pianoforte e in composizione nel conservatorio di Mosca, non ebbe difficoltà nell’intraprendere la carriera e ottenne in particolare un caldo apprezzamento di Ciaikovskij per il poema sinfonico Le Rocher op. 7. Era fin troppo ovvio che un compositore giovane e molto ambizioso si sentisse a quel punto spinto a misurarsi con il genere di più prestigiose tradizioni, la sinfonia. La composizione della Sinfonia n. 1 op. 13, iniziata nel gennaio del 1895, tenne occupato Rachmaninov per circa due anni. La prima esecuzione fu fissata a San Pietroburgo ed ebbe luogo il 15 marzo 1897 sotto la direzione di Alexandr Glazunov, che dopo la morte di Ciaikovskij ne aveva preso la successione come sinfonista e che era addirittura detto “il Brahms russo”. Glazunov, sembra, provò fiaccamente e diresse svogliatamente la Sinfonia di Rachmaninov e le reazioni della critica furono non solo negative ma distruttrici. Rachmaninov cadde in uno stato di depressione e di sconforto così profondo da diventare incapace di comporre. E... cercò conforto nella vodka. Passarono più di due anni prima che egli si rivolgesse a uno psichiatra, il dottor Nicolai Dahl, che con l’ipnosi curava gli alcoolizzati. Da gennaio ad aprile del 1900 il dottor Dahl ipnotizzò ogni giorno il suo paziente, e durante l’ipnosi gli ripeté fra l’altro che avrebbe ripreso a comporre, a comporre un concerto, e che la vena creativa sarebbe rifluita con facilità. E Rachmaninov guarì. E riprese a comporre. A Varazze, dove andò con il suo amico, il basso Fiodor Scialiapin che preparava l’esordio alla Scala con un istruttore italiano, compose il secondo e il terzo movimento del Concerto n. 2, che eseguì a Mosca il 2 dicembre. Il primo movimento fu composto a Mosca, dove la prima esecuzione ebbe luogo il 27 ottobre 1901. Eseguito da Rachmaninov, da Alexander Siloti e da Vassily Sapelnikov in vari paesi d’Europa, il Concerto divenne popolare in brevissimo tempo, fu ripreso da pianisti non russi come il giovane Wilhelm Backhaus e, sebbene non stimato dalla maggioranza della critica per un tempo molto lungo, ottenne costantemente l’apprezzamento del pubblico, tanto da essere sfruttato come colonna sonora in alcuni film, fra cui Breve incontro (1945, rifatto nel 1974 con Sophia Loren e Richard Burton) e Quando la moglie è in vacanza (1955, di Billy Wilder, con Marylin Monroe). Il fatto che il secondo e il terzo movimento nascessero per primi non è senza significato. A questo proposito c’è L 70 un piccolo mistero che non è però possibile chiarire. All’inizio del terzo movimento riappare, in un clima baldanzoso ed eroico, l’inizio del primo movimento, che era di carattere del tutto opposto. Si ignora se quel tema, o motto, fosse già presente nella stesura del 1900 o se sia stato inserito nel 1901, dopo la composizione del primo movimento. A parte ciò, come dicevo, il fatto che Rachmaninov non abbia cominciato a lavorare il Concerto dal primo movimento ha un significato. Il secondo movimento, nella lontana tonalità di mi maggiore, è un grande notturno, è come un sublime sogno (in stato di ipnosi?) di pace interiore, che termina con la visione beatificante del cielo stellato. Il finale simboleggia invece il momento della lotta che si conclude con l’apoteosi del secondo tema, il tema “femminile” per definizione. Questo è in verità un topos del concerto romantico e postromantico e io non voglio spingere troppo oltre il rapporto fra arte e vita. Ma non posso fare a meno di osservare che, dopo aver smesso di bere e dopo aver riconquistato con il Concerto la fiducia in se stesso, Rachmaninov mise anche la testa a partito sposando nel 1902 la cugina Nathalie Satin. Se leghiamo il secondo e il terzo movimento alla cura del dottor Dahl e alla vittoria di Rachmaninov su se stesso è evidente che il primo movimento rappresenta il periodo di incertezze e di tormenti che precedette la cura e la guarigione. Il primo movimento inizia con una brevissima introduzione, la celebre serie di accordi cupi che richiamano irresistibilmente alla memoria le campane di morte. E il primo tema appassionato e tragico, esposto dagli archi, deve emergere su un vorticoso disegno del pianoforte che evoca i marosi: un naufrago tra i flutti che lo sommergono. L’elemento che simboleggia l’acqua compare anche nel secondo tema. Ma l’acqua è un simbolo polivalente, di morte e di vita. E il secondo tema, cantabile, è la vita o la speranza di vita. Fra questi due opposti si dipana il primo movimento, in forma tipica ma con episodi che suggeriscono uno sviluppo drammaturgico preciso. Rachmaninov che racconta se stesso? Come punto di partenza sicuramente sì. Come punto d’arrivo – e perciò, credo, il Concerto si mantiene in ottima salute più di cent’anni dopo essere nato –, come punto d’arrivo, dicevo, c’è secondo me un mito profondo dell’umanità, il mito del ritorno di Ulisse, dal naufragio della zattera dopo la partenza dall’isola di Calipso all’approdo nell’isola dei Feaci, al ritorno a Itaca e alla strage dei Proci. Nato nel 1903 in Georgia da genitori armeni, Aram Khačaturjan cominciò a comporre quand’era sui vent’anni ma solo a ventisei si mise a studiare seriamente composizione e si diplomò nel 1934, a trentuno anni. Egli si formò dunque quando la nuova cultura sovietica, ormai consolidata e indirizzata ideologicamente, aveva posto SABATO 6 SETTEMBRE CITTÀ DI CASTELLO CHIESA DI SAN DOMENICO ORE 21 severamente il “freno” agli sperimentalismi che avevano caratterizzato il periodo immediatamente susseguente la Rivoluzione d’Ottobre. Khačaturjan non dovette virare dall’avanguardismo al tradizionalismo, al contrario di Šostakovič, di lui più giovane ma enfant prodige della composizione. E l’attacco che Šostakovič subì nel 1936 a causa dell’opera Una lady Machbeth del distretto di Mcensk e del balletto Il chiaro fiume consigliò a Khačaturjan di non scostarsi dallo stile della Sinfonia n. 1 con la quale aveva ottenuto il diploma. Bene inserito nella organizzazione della vita musicale sovietica, il Nostro ottenne nel 1941 un grande successo con il balletto Gajaneh, che contiene la Danza delle spade. Khačaturjan fu accusato nel 1948 di formalismo da una Risoluzione del Partito che insieme con lui condannò Prokof’ev, Šostakovič e altri, ma fu ben presto riabilitato e nel 1951 fece parte della delegazione sovietica che venne in Italia (c’erano anche Ojstrach e Gilels, che per la prima volta suonavano al di là della Cortina di Ferro). In Italia Khačaturjan ebbe l’idea di comporre un balletto ispirato alla storia romanzata del gladiatore frigio Spartaco e del perfido generale Licinio Crasso (impersonati rispettivamente da Kirk Douglas e da Laurence Olivier in un celeberrimo film di Kubrick). Composto fra il 1953 e il 1956, Spartak (o Spartacus, come è d’uso dire in Occidente) andò in scena nel Teatro Kirov di Leningrado, con la coreografia di Leonid Jakobson, il 27 dicembre 1956. Nel 1959 ottenne il massimo riconoscimento sovietico, il Premio Lenin. Il balletto ebbe la sua prima esecuzione a Mosca, nel Teatro Bolshoi, nel 1958, con una nuova coreografia di Igor Moiseev. Ma la sua fama e il suo inserimento nei repertori delle maggiori compagnie di danza furono dovuti alla esecuzione al Bolshoi del 1968, con la coreografia di Yuri Grigorovic. Il balletto è articolato in ben quattro atti e nove quadri. La storia è funzionale a una ideologia libertaria, la musica è funzionale alla danza. Ma la particolarità che ha reso famosissimo questo balletto è l’esigenza di richiedere un corpo di ballo maschile di straordinarie doti atletiche. Dalla musica del balletto Khačaturjan trasse ben quattro suite sinfoniche e tre quadri sinfonici. Nessuno di questi brani è diventato popolare, con la parziale eccezione dell’Adagio, passo a due di Spartaco e della moglie Frigia. I temi mischiano elementi popolari o colti-popolareschi, strutture discorsive della musica occidentale, brillantissima orchestrazione nella tradizione di Rimskij-Korsakov e di Ciaikovskij. Si tratta, se vogliamo, di un prodotto di altissimo artigianato artistico, più che di arte. Ma anche questa distinzione, cara agli esteti del Novecento, sembra oggi obsoleta di fronte alla vitalità della musica di Khačaturjan che sessant’anni dopo essere stata composta continua a soddisfare una larga massa di ascoltatori. ORCHESTRA DELLA TOSCANA Fondata nel 1980, l’ORT ha sede al Teatro Verdi di Firenze e oggi è considerata una tra le migliori orchestre in Italia. E formata da quarantacinque musicisti, tutti professionisti eccellenti che sono stati applauditi nei più importanti teatri italiani come il Teatro alla Scala, l’Auditorium del Lingotto di Torino, l’Accademia di Santa Cecilia di Roma, e nelle più importanti sale europee e d’oltreoceano, dall’Auditorio Nacional de Musica di Madrid alla Carnegie Hall di New York. La sua storia artistica è segnata dalla presenza di musicisti illustri, primo fra tutti Luciano Berio. Collabora con personalità come Salvatore Accardo, Martha Argerich, Rudolf Barshai, Yuri Bashmet, Frans Brüggen, Myung-Whun Chung, Gianluigi Gelmetti, Daniel Harding, Eliahu Inbal, Yo-Yo Ma e Uto Ughi. Interprete duttile di un ampio repertorio, che dalla musica barocca arriva fino ai compositori contemporanei, l’Orchestra ha da sempre riservato ampio spazio alla ricerca musicale al di là delle barriere fra i diversi generi, sperimentando possibilità inedite di fare musica e verificando le relazioni fra scrittura e improvvisazione. Accanto ai grandi capolavori sinfonico-corali, interpretati con egregi musicisti di fama internazionale, si aggiungono i Lieder di Mahler, le pagine corali di Brahms, parte del sinfonismo dell’Ottocento, con una posizione di privilegio per Rossini, e l’incontro con la musica di Franco Battiato, Stefano Bollani, Richard Galliano, Heiner Goebbels, Butch Morris, Enrico Rava, Ryuichi Sakamoto. Una precisa vocazione per il Novecento storico, insieme a una singolare sensibilità per la musica d’oggi, caratterizzano la formazione toscana nel panorama musicale italiano. Il festival “Play It! La musica fORTe dell’Italia” è il manifesto più eloquente dell’impegno dell’orchestra verso la contemporaneità. Incide per Emi, Ricordi, Agora e Vdm Records. Presidente dell’ORT è Claudio Martini, direttore Artistico Giorgio Battistelli, direttore principale Daniel Kawka, e direttore ospite principale Daniele Rustioni. BENEDETTO LUPO Benedetto Lupo ha debuttato a tredici anni con il primo Concerto di Beethoven, imponendosi subito dopo in numerosi concorsi internazionali. Ha suonato più volte al Lincoln Center di New York, alla Salle Pleyel a Parigi, alla Philharmonie a Berlino, al Palais des Beaux Arts di Bruxelles. Tra le orchestre con le quali si è esibito, ricordiamo almeno la Chicago Symphony, la Gewandhaus di Lipsia, gli Stuttgarter Philharmoniker, l’Orchestre du Capitole de Toulouse, la Bruckner Orchester Linz. Tra i direttori con cui ha collaborato più spesso vi sono Yves Abel, John Axelrod, Piero Bellugi, Umberto Benedetti Michelangeli, Vladimir Jurowski, Kent Nagano, Daniel Oren, George Pehlivanian, Zoltán Peskó, Michel Plasson, Antoni Wit. Pianista dal vasto repertorio, Benedetto Lupo ha al suo attivo anche un’importante attività cameristica e didattica. Ha inciso per Teldec, Bmg, Vai, Nuova era e Arts. Nel 2005, l’incisione del Concerto Soirée di Nino Rota per Harmonia Mundi ha ottenuto cinque premi internazionali, tra i quali il “Diapason d’or”. EDUARD TOPCHJAN Eduard Topchjan ha studiato violino al Conservatorio di Yerevan e direzione d’orchestra con Ohan Durian. Allo studio sono seguite preziose consultazioni con Sir George Solti, Claudio Abbado e Nello Santi. Topchjan ha debuttato con l’APO nel 2000. Nello stesso anno è stato nominato direttore artistico e direttore principale dell’orchestra e ha dato il via a una serie di concerti di successo a Yerevan e all’estero. In qualità di direttore ospite, Topchjan ha diretto importanti orchestre quali la Royal Philharmonic Orchestra, la Filarmonica di Cologne, la Frankfurt Opera, l’Orchestra Filarmonica Nazionale della Russia, la Romanian TV and Radio Orchestra, l’Orchesta Sinfonica Ungherese al Musikverein di Vienna, l’Israel National Radio Symphony Orchestra, la Gulbenkian Symphony Orchestra, la Prague Radio Symphony Orchestra e la Seoul Philharmonic Orchestra. Nel 2007 ha fondato lo Yerevan International Music Festival, di cui ancora oggi è direttore artistico. Nello stesso anno il Ministro della cultura dell’Armenia gli ha conferito il titolo di “Meritorious Worker of Art”. Nel 2011 ha ottenuto la “State Gold Medal”. Nel 2012 è stato nominato direttore ospite principale della spagnola Orchestra Sinfonica Premium di Toledo. 71 FESTIVAL@CHIOSTRO Dal 28 agosto al 6 settembre al Chiostro di San Domenico è attivo un lounge bar a cura di Agorà Café. Il Chiostro ospita incontri culturali, iniziative musicali e mostre per vivere il Festival oltre i concerti. Dalle sei di sera all’una di notte. All’interno del Chiostro, nella sala dedicata ai convegni e ai concerti -saggio, sarà possibile visitare la mostra Il fiume che canta, un omaggio all’Armenia realizzato da sei pittori di Città di Castello: Elio Mariucci, Fabio Mariacci, Andrea Lensi, Gino Meoni, Giampaolo Tomassetti, Luca Baldelli. GIOVEDÌ 28 AGOSTO VENERDÌ 5 SETTEMBRE 18.30 18.30 Concerto degli allievi della classe di viola di Danilo Rossi 22.30 Il volo della colomba immagini, film, racconti e suggestioni per un’idea di Armenia, a cura di Ivan Teobaldelli e Alberto Fabi I lavori di restauro delle lunette del Chiostro di San Domenico conferenza con l’On. Anna Ascani, Fabio De Chirico, Francesco Scoppola, Michele Bettarelli e Francesca Mavilla, in collaborazione con il Comune di Città di Castello 22.30 SABATO 30 AGOSTO Festa finale 18.30 Concerto degli allievi della classe di flauto di Michele Marasco SABATO 6 SETTEMBRE Dj set Agorà 18.30 21 DOMENICA 31 AGOSTO Concerto degli allievi della classe di pianoforte di Riccardo Risaliti 18.30 Concerto degli allievi della classe di sax di Federico Mondelci 21 Dj set Agorà LUNEDÌ 1 SETTEMBRE ALTRI EVENTI 17.30 Casearmoniche viaggio a piedi oltre i portoni del centro storico di Città di Castello a cura di Libera Associazione Architetti nell’Alto Tevere, con degustazioni enogastronomiche e sorprese musicali, in collaborazione con l’Associazione Palazzo Vitelli a Sant’Egidio MARTEDÌ 26 AGOSTO MARTEDÌ 2 SETTEMBRE DAL 23 AGOSTO AL 16 NOVEMBRE 21 Ingresso ridotto - esibendo la Festivalcard o il biglietto del Festival - alla mostra Segno, forma, gesto opere della collezione della Galleria Civica di Modena, presso la Pinacoteca Comunale di Città di Castello a cura di Atlante servizi culturali Ripresa e trasmissione in streaming di Marco Polo 22.30 In viaggio con Marco Polo a cura dei Tifernauti MERCOLEDÌ 3 SETTEMBRE 18.30 Per un pianoforte povero percorso sonoro dalla Hilaritas alla contemplazione con Stefano Ragni relatore al pianoforte 21 L’Umbria dei formaggi degustazione guidata su prenotazione, a cura della Camera di Commercio di Perugia 21 Backstage Festival una mostra e una serata dedicate all’immagine, a cura del Centro Fotografico Tifernate, in collaborazione con il Comune di Città di Castello e il Consorzio Pro-Centro 22.30 In viaggio verso l’Armenia concerto della Filarmonica “G. Puccini” di Città di Castello GIOVEDÌ 4 SETTEMBRE 18.30 Concerto degli allievi della classe di musica da camera di Pierpaolo Maurizzi e Yves Savary 23 Stefano Giogli presenta uno slide show con i progetti fotografici di Silvia Camporesi (Journey to Armenia) e Antonella Monzoni (Ferita Armena) 72 21 Piazza Classica anteprima del Festival in piazza Matteotti, piazza Fanti e piazza Gabriotti, in collaborazione con il Comune di Città di Castello ed Estate in Città DAL 23 AGOSTO AL 7 SETTEMBRE Pensieri comuni esposizione di Laura Tofani e Francesco Fantini negli spazi espositivi de La Rotonda, in via della Rotonda a Città di Castello. Aperta tutti i giorni, ingresso libero Si ringraziano Associazione culturale Studio Danza Giubilei, Associazione Danza Classica Moderna Diamante Renzini, Associazione culturale Academy Ballet di Sara Papa e Fabio Coltrioli per Piazza Classica, Filarmonica “G. Puccini”, Centro Formazione e Spettacolo Tedamis A.S.D., Ardouin Du Rac e Silvia Bastianelli della Scuola di danza e musica Novamusica per lo spot tv, Lorenzo Lombardi di Whiterose Pictures per la consulenza alla regia dello spot tv, Centro Fotografico Tifernate, Stefano Giogli, Silvia Camporesi e Antonella Monzoni, Libera Associazione Architetti nell’Alto Tevere CHIOSTRO DI SAN DOMENICO © PASQUALE SGARAVIZZI CORSI DI FORMAZIONE E PERFEZIONAMENTO MUSICALI “LUIGI ANGELINI” 42a edizione, Città di Castello, dal 24 agosto al 7 settembre 2014 Città di Castello, Chiostro della Chiesa di San Domenico ore 18.30 Giovedì 28 agosto Concerto degli allievi del corso di viola di Danilo Rossi Sabato 30 agosto Concerto degli allievi del corso di flauto di Michele Marasco Domenica 31 agosto Concerto degli allievi del corso di sassofono di Federico Mondelci Giovedì 4 settembre Concerto degli allievi del corso di musica da camera di Pierpaolo Maurizzi e Yves Savary Sabato 6 settembre Concerto degli allievi del corso di pianoforte di Riccardo Risaliti Si ringraziano per il significativo contributo al sostegno dei corsi di perfezionamento musicale Regione Umbria – Formazione e Lavoro Comune di Città di Castello Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri Lions Club di Città di Castello Rotary Club di Città di Castello Circolo culturale “Luigi Angelini” di Città di Castello SoGePu Claudio Tomassucci Anna Casilli Azienda agricola "Il palazzone" Centro di formazione professionale Scuola operaia “G.O. Bufalini” Scuola comunale di musica “G. Puccini” I° Circolo didattico “San Filippo” 74 ASSOCIAZIONE Soci Fondatori Comune di Città di Castello Regione dell'Umbria Provincia di Perugia Comune di Sansepolcro Comunità Montana Alta Umbria Soci Ordinari Pubblici Comune di San Giustino Soci Ordinari Godioli&Bellanti S.p.A. Sitrex S.r.l. Associazione Amici del Festival delle Nazioni Lions Club di Città di Castello Circolo culturale “Luigi Angelini” Ines Agostinucci Jutta Assmann Anna Casilli Stefano Maria Castellani Francesca Cini Anna Comello Biesta Paolo Dondina Fabrizio Fabbri Paolo Fiori Pietro Garinei Otto Grolig Berit Jensen Pier Giorgio Lignani Giovanni Andrea Lignani Marchesani Giorgio Moscatelli Emilia Nardi Lorenzo Onofri Massimo Ortalli Giuseppina Paganucci Riccardo Pettinelli Mario Renzacci Laura Scopigni Eugenio Sticht Maria Grazia Vaccherecci Lelli Paola Zampini Gianni Zotta Baylo Consiglio di Amministrazione Presidente Giuliano Giubilei Vicepresidente Massimo Ortalli Consiglieri Patrizia Cesaroni Fabrizio Fabbri Otto Grolig Maria Grazia Mignini Venanzio Nocchi Sindaci Revisori Marco Magnanelli Nora Giorni Daniela Moni Il Festival delle Nazioni ringrazia per la collaborazione i rappresentanti dei Soci Fondatori Giuliano Giubilei Francesca Carlini Anna Maria Pacciarini Venanzio Nocchi Patrizia Cesaroni Marcello Marini Maurizio Perugini Giorgio Porcellini Paola Baschetti Andrea Marzà Maria Grazia Mignini 75 77 78 CITTA’ DI CASTELLO (PG) Via P. della Francesca Tel. 075.8555229 Email: [email protected] MAIN SPONSOR SPONSOR SPONSOR TECNICI PIANOFORTI DAL SUONO INIMITABILE Marco Polo www.fabbrini.it 83 84 85 86 87 CORSO CAVOUR CITTÀ DI CASTELLO (PG) TEL. +39 075 8522823/ [email protected] WWW.FESTIVALNAZIONI.COM