Quando religioni e visioni del mondo s’incontrano L’impegno della Svizzera nella politica di pace «The challenge of our time is learning how to manage, negotiate or navigate through multiple worlds.» (J.S. Docherty) Contesto Viviamo in un’epoca in cui una moltitudine di religioni e visioni del mondo si incontrano. È ampiamente riconosciuto che nell’era di crescente globalizzazione l’importanza di questa diversità in ambito individuale, sociale e soprattutto politico non può più essere ignorata. Per capire la sua importanza e concettualizzare religioni e visioni del mondo in ambito politico, queste dovrebbero essere definite non tanto come sinonimo di istituzioni, ma come fonte di costruzione della realtà sociale, ossia quali «occhiali» sul mondo. Religioni e visioni del mondo svolgono un ruolo fondamentale soprattutto nei conflitti. Il loro incontro può avvenire in modo pacifico, tuttavia, conflitti come quelli che si stanno svolgendo in Afghanistan, nello Sri Lanka, nel Vicino Oriente o nel Kashmir mostrano chiaramente che questa dimensione deve essere considerata nell’ambito di un impegno per la pace. Per riuscire, attraverso un tale impegno, a risolvere conflitti e a promuovere la ­convivenza pacifica tra gruppi e società con diverse visioni del mondo, è necessario confrontarsi con sfide specifiche e utilizzare determinati metodi, al centro questi della conferenza di quest’anno della Divisione politica IV (Sicurezza umana) del Dipartimento federale degli affari esteri DFAE. Sfida Per riuscire a trasformare o a risolvere con successo conflitti caratterizzati da un intreccio di fattori religiosi e politici, è indispensabile coinvolgere gli attori religiosi interessati. Essi sono infatti spesso esclusi dal dibattito politico e dal processo di risoluzione dei conflitti, poiché vengono percepiti come «estranei» a causa della loro visione del mondo e quindi ritenuti «attori difficili». L’esperienza mostra chiaramente che un tale approccio è controproducente e che l’impostazione di un processo di pace non può avere successo se manca un reale confronto con questi attori. La sfida consiste quindi nell’integrare anche questi attori con una responsabilità politica de jure o de facto e nel portarli al tavolo delle trattative. Principi fondamentali Un impegno per la pace incentrato su conflitti politico-religiosi deve rispettare il quadro giuridico internazionale nonché prestare attenzione e applicare altri principi fondamentali. Occorre concentrarsi su soluzioni e attività concrete e non sulle apparenti motivazioni e intenzioni degli attori. Concretamente, queste soluzioni dovrebbero essere elaborate sulla base di esperienze e misure pratiche, ossia nell’ambito di un cosiddetto «dialogo della prassi». L’esperienza mostra infatti che la ricerca comune di misure e soluzioni pratiche crea fiducia e sintonie, mentre i dialoghi sui meri valori spesso dividono gli attori di conflitti con visioni del mondo divergenti. È inoltre indispensabile che la ricerca di soluzioni che coinvolgono attori politici e religiosi avvenga in un contesto politico neutrale privo di ingerenze religiose. Si rivela inoltre necessario perseguire soluzioni compatibili con le visioni del mondo della società del luogo in cui si sviluppa il conflitto e accettabili da tutte le parti, tenendo conto del principio fondamentale che nessuna visione del mondo può essere preposta a priori ad un’altra. Infine, nel tentativo di risolvere tensioni o conflitti politico-religiosi, si dovrebbero utilizzare metodi neutrali dal punto di vista cognitivo e rinunciare a imporre agli attori un’interpretazione ritenuta di validità generale. L’impegno della Svizzera Dal 2004 la Svizzera, più concretamente l’ambito di attività «Religione/Politica/Conflitto» della Divisione politica IV, si adopera nell’ambito del suo impegno mondiale per la pace anche per la promozione della convivenza pacifica di persone con visioni del mondo diverse e per la soluzione di conflitti politico-religiosi. Nell’ambito di questo impegno ha potuto appropriarsi, in collaborazione con l’Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo (IHEID) di Ginevra e altri partner, di un’esperienza consolidata riconosciuta come ampia e innovativa a livello multilaterale e bilaterale. Oltre alla Svizzera si attengono a questo approccio anche altri Paesi e organizzazioni, quali ad esempio la Francia, il Canada, la Norvegia e gli Stati Uniti nonché l’Alleanza delle civiltà delle Nazioni Unite e la cellula di programmazione politica e tempestivo allarme del Consiglio dell’Unione europea. Forme di attività Nel processo di trasformazione e risoluzione dei conflitti la Svizzera coinvolge attivamente tutti gli attori aperti al dialogo con un ruolo politico de facto o de jure. In Sri Lanka, ad esempio, porta avanti un dialogo con monaci buddisti impegnati per un futuro pacifico del loro paese, allo scopo di promuovere una convivenza pacifica tra tutti i gruppi etnici. Inoltre, in Libano segue da vicino gli sforzi dei Salafiti tesi a promuovere l’elaborazione di una posizione teologica e politica in armonia con il sistema politico libanese. La Svizzera ha inoltre sostenuto la realizzazione di un ciclo di negoziati tra i Salafiti e i rappresentanti religiosi ufficiali con lo scopo di integrarli nelle istituzioni religiose. La Svizzera avvia e persegue progetti di dialogo pragmatico per affrontare le sfide della convivenza pacifica di gruppi e società con visioni del mondo ­diverse e per verificarne la fattibilità. In tale contesto ha reso possibile in Tagikistan, dal 2002 al 2009, un dialogo tra rappresentanti laici e le élite che fanno riferimento a fonti islamiche. Nell’ambito di questo processo comune, creativo e orientato alla prassi si sono potute risolvere in modo pragmatico molte questioni riguardanti il rapporto tra il governo laico e la sfera religiosa della società rimaste irrisolte durante i colloqui di pace seguiti alla guerra civile, e quindi trasformare i colloqui di pace in attività comuni durature. Sulla base di una riflessione teorica costante che accompagna i progetti e l’auspicata risoluzione dei conflitti, si sviluppano soluzioni e importanti linee direttive politiche da attuare in altri casi d’intreccio conflittuale tra religioni e visioni del mondo. Esempi di attività Impegno nell’ambito dell’Alleanza delle civiltà dell’ONU L’Alleanza delle civiltà è stata creata nel 2005 nell’ambito delle Nazioni Unite su iniziativa comune dei Governi di Spagna e Turchia. La sua missione consiste nel sondare le cause dell’odierna polarizzazione e delle tensioni esistenti tra le società e di attenuarle con azioni e soluzioni concrete in collaborazione con vari Stati, organizzazioni regionali e internazionali nonché con attori della società civile. Piattaforme tematiche: sin dall’inizio molto attiva nell’Alleanza delle civiltà, la ­Svizzera, su richiesta del Alto Rappresentante dell’Alleanza Jorge Sampaio, ha proposto diverse misure per promuovere la cooperazione. Una di esse si concentra sulla creazione di piattaforme tematiche all’interno del Gruppo degli amici dell’Alleanza, sulla cui base si sviluppano e vengono lanciate raccomandazioni e progetti. Una di queste piattaforme intende promuovere, nell’ambito dello sviluppo umanitario e politico, la cooperazione tra Paesi e organizzazioni le cui attività poggiano su rapporti culturali e religiosi. Infatti, in varie zone di crisi (Afghanistan, Somalia, Sudan), la cooperazione tra organizzazioni musulmane e non musulmane è quasi del tutto assente. Diversi Paesi europei e del ­V icino Oriente partecipano attivamente a questa piattaforma. Anche in questo ambito l’approccio svizzero consiste nel promuovere un dialogo pragmatico su progetti concreti e quindi nel creare una sensibilità comune e la base per un dialogo ulteriore e una futura cooperazione. Il processo di Nyon: si tratta di un processo di dialogo scaturito dall’Alleanza delle civiltà e sostenuto da Svizzera, Portogallo, Spagna e Turchia, inteso a mobilitare gli attori chiave alla convergenza di religione, politica e attivismo sociale. Fanno parte di questi attori chiave consulenti di politica estera di governi laici e attivisti politico-religiosi provenienti dall’Europa, dagli Stati Uniti (ad esempio evangelici) e dai paesi islamici. Anche se le differenze religiose possono essere causa di conflitti, la discussione tra attivisti socio-politici di ispirazione islamica e movimenti occidentali politico-religiosi mostra chiaramente che, malgrado le differenze esistenti, il rapporto comune con la religione offre la base per una maggiore comprensione e una migliore collaborazione. L’approccio si giustifica inoltre con il fatto che la soluzione di alcuni conflitti politici da parte di organi decisionali politici laici sarebbe impossibile senza il coinvolgimento di movimenti religiosi socio-politici. Anche se tali movimenti sono spesso oggetto di dibattiti politici, i loro rappresentanti vi partecipano raramente in modo attivo. Non da ultimo il processo di Nyon intende animare la discussione sui motivi di questa esclusione e sulle relative conseguenze riguardo al consolidamento di relazioni migliori e alla soluzione dei conflitti. Esso offre inoltre a consulenti politici, organi decisionali e attivisti europei e statunitensi la possibilità di conoscere attivisti socio-politici islamici in modo discreto e diretto e di rendersi conto del potenziale di una collaborazione reciproca, in particolare nel settore umanitario e della politica di sviluppo, volta a frenare il conflitto. Programma dei corsi per scuole religiose in Tagikistan Dal 1993 al 1997 il Tagikistan è stato dilaniato da una guerra. La frattura principale intercorreva tra il governo laico sorto dal sistema sovietico e le élite democratiche e religiose (musulmane). Anche se il processo di pace ha avuto successo permettendo l’attuale stabilità, la diffidenza tra gli ex nemici è rimasta radicata e molte questioni riguardanti i rapporti tra il governo laico e la sfera religiosa della società sono ancora irrisolte. ­A lcune di esse hanno potuto essere trattate nel quadro di un dialogo tra rappresentanti del governo ed élite laiche e religiose, reso possibile dalla Svizzera. Ne è risultato un documento su misure volte a ristabilire la fiducia, che stabilisce principi di convivenza e meccanismi di trasformazione di conflitti per gli approcci a questioni religiose, giuridiche e politiche. Su questa base gruppi di lavoro hanno concepito progetti per mettere in pratica questi principi. Uno di essi prevede l’elaborazione di un programma didattico unitario per le scuole religiose private (madrasas) indipendenti dal sistema d’istruzione pubblica. Introducendo elementi dell’istruzione laica e civile nel programma didattico delle scuole religiose, è stato possibile gettare un ponte tra i due sistemi d’istruzione. In seguito, è stato avviato un progetto costruttivo che prevede la valutazione di questo programma didattico in una madrasa e il suo adeguamento, la sua promozione e la sua diffusione in altre scuole religiose. In questo modo si fornisce un contributo volto a ­d iminuire le tensioni e a disciplinare i rapporti tra Stato e sfera religiosa. Dialogo tra organizzazioni non governative egiziane e svizzere Da tempo la Svizzera s’impegna in progetti di dialogo volti a ristabilire la fiducia, che mirano a sondare le possibilità di cooperazione tra organizzazioni governative e non ­governative «occidentali» (e non musulmane) e organizzazioni non governative islamiche (ONG) nel Medio e Vicino Oriente. Il dialogo avviato nel 2006 tra una ONG egiziana di stampo islamico gestita da donne e una ONG svizzera a sfondo cristiano (HEKS) è un progetto pilota nell’ambito di questi sforzi. Concentrandosi su aspetti pratici del loro ­lavoro umanitario, i rappresentanti delle due ONG cercano di identificare visioni comuni e sviluppare varie attività. Contemporaneamente, attraverso il dialogo si intende creare una fiducia reciproca e sviluppare metodi adeguati volti ad assicurare una ­cooperazione efficace basata sul rispetto. Sulla base della riflessione e della valutazione di questa cooperazione, le conclusioni tratte dal progetto e le esperienze fatte devono essere trasmesse ad altri organi decisionali politici e alle ONG. Allo stesso modo devono essere sviluppati anche modelli di convivenza e cooperazione tra organizzazioni europee e musulmane (di stampo religioso e laico). Promozione della collaborazione con organizzazioni caritative islamiche Dagli attentati terroristici negli Stati Uniti le organizzazioni caritative islamiche di pub­ blica utilità sono sempre più sospettate di venire utilizzate per sostenere e finanziare attività terroristiche. Questi sospetti in gran parte ingiustificati e gli impedimenti che ne risultano ostacolano queste organizzazioni. Le loro prestazioni – come generalmente quelle delle organizzazioni caritatevoli basate sulla fede – costituiscono un enorme potenziale e un elevato valore umanitario, poiché sono fondate sui principi dell’imparzialità, dell’efficacia e della trasparenza finanziaria. La promozione della collaborazione con organizzazioni caritative islamiche ha lo scopo di eliminare i sospetti e gli ostacoli ingiustificati nonché di creare trasparenza e un clima di fiducia. Concretamente, nel 2005, un gruppo di esperti ha elaborato a Montreux raccomandazioni indirizzate ai governi e un codice deontologico per organizzazioni di utilità pubblica, confluiti nell’ «iniziativa di Montreux», che è stata accolta positivamente da tutte le parti. Inoltre, in vari paesi si sostiene la ricerca su organizzazioni basate sulla fede per generare conoscenze fondamentali e raccomandazioni su come le loro prestazioni possano essere fornite in modo più trasparente ed efficace. Media e religione Eventi e fatti che riguardano le religioni sono sempre più oggetto del dibattito pub­ blico e sempre più presenti nei media. Visto che in questo ambito vi è una carenza d’informazione e i media esercitano un’influenza importante sull’opinione pubblica, questo nuovo ­progetto mira a sviluppare e promuovere le competenze giornalistiche transnazionali e a migliorare le informazioni dei media riguardanti le religioni e il loro ruolo nel mondo odierno. Questo avviene mediante seminari, in cui gli operatori dei media di società europee e musulmane curano attivamente gli scambi reciproci, a ­ llacciano contatti e creano in questo modo ponti tra le frontiere nazionali e culturali nel mondo dei media. Il programma fornisce quindi un contributo a un dialogo basato sul rispetto e sulla conoscenza reciproca tra le civiltà e alla prevenzione di tensioni dovute a fattori religiosi. Progetto di dialogo in Sri Lanka Anche se il conflitto in Sri Lanka è ritenuto generalmente di ispirazione etnica, esso va interpretato come il risultato di un intreccio complesso di diversi fattori non in ultimo di stampo politico-religioso. Il clero buddista ritiene che una parte cruciale del suo ruolo consiste nel promuovere la cultura singalese e il buddismo. In virtù di questo conflitto e del relativo processo di pace ne risulta per esempio che alcuni rappresentanti del clero buddista considerano le idee di decentramento del potere come una minaccia per la sovranità religiosa del buddismo in Sri Lanka. Di conseguenza, il processo – così come i suoi elementi quali ad esempio la decentralizzazione – è seguito in modo critico proprio da monaci buddisti influenti che, vista la loro autorità religiosa, disporrebbero del potenziale per diminuire le tensioni. In questo contesto il progetto mira a sondare questi dubbi, a chiarire con i monaci la loro responsabilità nella risoluzione del conflitto e a promuovere la fiducia reciproca tra i rappresentanti buddisti, tamil (cristiani e indù) e della comunità musulmana attraverso un dialogo pragmatico. Rafforzando la fiducia, diminuendo i pregiudizi, studiando i rapporti tra religione e politica e le loro conseguenze per una soluzione politica del conflitto, questo progetto offre una base che dovrebbe portare a modificare la posizione nei confronti delle regolamentazioni politiche e infine una conclusione del processo di pace coronata dal successo. Risultati dell’impegno svizzero Gli sforzi e le attività nell’ambito dei progetti avviati e/o sostenuti dalla Svizzera hanno condotto in alcuni casi alla trasformazione di tensioni e conflitti politico-religiosi, fornendo così un contributo duraturo alla promozione della convivenza pacifica di società e gruppi con religioni e visioni del mondo diverse. In altri luoghi o in altri progetti sono state avviate attività pilota che hanno generato approcci risolutivi innovativi, i quali hanno risvegliato l’interesse non solo delle parti coinvolte, ma anche degli attori internazionali impegnati nella promozione della pace. Tutto ciò è stato possibile non da ultimo grazie alla riflessione teorica che accompagna questi progetti e al sostegno della ricerca, che hanno portato a una migliore conoscenza generale delle relazioni tra politica e religione nel campo della trasformazione e della risoluzione dei conflitti. Nell’ambito dell’impegno svizzero è stato quindi possibile sviluppare un savoir-faire considerevole su come comportarsi in modo adeguato in caso di conflitti politico-religiosi e di sfide alla convivenza pacifica. Da un lato è importante menzionare gli strumenti metodologici utilizzati dalla Svizzera (ad esempio il dialogo della prassi) che sono stati ripresi anche dall’Alleanza delle civiltà dell’ONU. Dall’altro si deve sottolineare la conoscenza consolidata delle modalità di collaborazione con diversi attori religiosi e politici – considerati anche difficili – e organizzazioni di fede della società civile nell’ambito di un processo di risoluzione dei conflitti. Questo sapere della Svizzera, apprezzato da più parti, offre la base per trarre raccomandazioni importanti a livello di politica della pace e linee direttive fondamentali a livello politico, nonché per sviluppare nuove soluzioni pragmatiche per eventuali futuri scontri conflittuali tra religioni e visioni del mondo. Infine, dall’impegno svizzero per la pace focalizzato sui conflitti contrassegnati dall’intreccio tra religione e politica, è nata una rete considerevole di contatti, di cui sono testimoni gli eminenti relatori e relatrici della Conferenza annuale 2010 della Divisione politica IV «Quando religioni e visioni del mondo s’incontrano». Ulteriori informazioni http://www.eda.admin.ch/eda/de/home/topics/peasec/peac/confre/conrel.html