Foro Romano - Istituto Comprensivo Statale 1

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IL COLOSSEO
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Foro Romano
Il cuore pulsante di Roma antica
Nella civiltà romana, il foro era il punto d'incontro ufficiale dei cittadini di tutti i
territori della Repubblica e poi dell'Impero: lì essi si recavano per partecipare ‒ o
semplicemente per assistere ‒ agli affari politici, amministrativi ed economici che
riguardavano la comunità di cui facevano parte. Il più monumentale e importante
era ovviamente quello di Roma, che costituiva il centro del mondo allora
conosciuto. In più di mille anni di esercizio ininterrotto, il Foro romano è stato
testimone di eventi storici irripetibili ed è stato ornato di monumenti di eccezionale
bellezza, che ancora oggi possiamo ammirare
Cosa si intende per Foro romano
In origine, con la parola forum si indicava nella cultura di Roma antica lo spazio
esistente intorno a una casa o a una tomba; successivamente, la parola andò a
individuare un'area che costituiva il cuore della vita pubblica di un centro abitato,
perché in essa vi si svolgeva la maggior parte delle attività politiche,
amministrative ed economiche. Tutti gli insediamenti romani di una certa
importanza ne possedevano uno, ma è certo che il più famoso ‒ tanto che infatti
è conosciuto come il 'Foro Romano' per eccellenza ‒ è quello che si trova a
Roma, nello spazio compreso tra piazza Venezia e il Colosseo e attraversato dalla
via dei Fori imperiali, opera urbanistica che risale al 1931-33. Poiché quest'area
archeologica, già di per sé enorme, prosegue senza soluzione di continuità sul
Palatino, sul Campidoglio ed è unita anche all'area del Colosseo e dell'Arco di
Costantino, il complesso archeologico costituito dal Foro Romano e dal Palatino è
certamente il più grande e più importante al mondo.
Non tutta questa vasta area, tuttavia, costituisce il Foro Romano vero e proprio.
Con tale denominazione ci si riferisce in realtà soltanto alla parte centrale della
vallata compresa tra il Campidoglio, il Palatino e il Quirinale, nei cui pressi ‒ non
lontano dal porto fluviale sul Tevere ‒ fin da età antichissima (7° secolo a.C.)
insistevano le attività commerciali del Foro Boario (cioè del mercato del bestiame
bovino) e del Foro Olitorio (il mercato delle erbe). In un secondo momento, a
opera di imperatori quali Augusto o Traiano, vennero costruiti anche altri fori, fino a
ricoprire tutta l'area che oggi possiamo vedere, in particolare le zone a sinistra
della via dei Fori imperiali, per chi la percorre da piazza Venezia in direzione del
Colosseo. La parte più antica del Foro, di età regia e repubblicana, era solamente
quella ai piedi del Campidoglio, a destra della via.
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Dalla palude alle basiliche
La storia del Foro Romano inizia con la bonifica dell'area, in origine parzialmente
occupata da paludi, che venne effettuata tramite la costruzione di una delle
prime opere urbanistiche della Roma più antica: la Cloaca maxima, un grande
sistema di drenaggio delle acque. L'operazione ebbe pieno successo: in seguito
non resterà altro che il ricordo di un laghetto, il lacus Curtius, che dovrà poi essere
segnalato da un piccolo monumento, perché ormai completamente scomparso.
Nell'area del Foro si addensavano praticamente tutti i grandi edifici pubblici e
sacri di Roma in età repubblicana. Era percorso, in direzione del Campidoglio,
dalla Via Sacra ed era costellato da alcuni dei più antichi templi romani, come i
santuari di Saturno o dei Dioscuri. Progressivamente il Foro si trasformò da luogo di
mercato a luogo dove avvenivano le più importanti riunioni politiche: le botteghe
artigiane vennero spostate in zone più marginali, e al loro posto sorsero diverse
basiliche, cioè grandi luoghi di riunione al coperto, porticati, di pianta rettangolare
(da non confondere, però, con le più tarde basiliche cristiane!).
Nelle basiliche, oltre a generiche riunioni, si tenevano anche processi e altre
attività, come la redazione di atti giudiziari, ma l'utilizzo di questi edifici era quanto
mai promiscuo: su alcuni scalini del porticato della Basilica Giulia è possibile
vedere incise le tabulae lusoriae, vere e proprie tavole da gioco per dadi, biglie e
altro, attorno alle quali passava lunghe ore lo sfaccendato popolino romano. La
basilica più antica è l'Emilia, fondata all'inizio del 2° secolo a. C. e più volte
abbellita e ricostruita. I resti che si possono ammirare oggi (sono le rovine subito a
destra di chi entra dall'ingresso su via dei Fori imperiali), sono relativi al restauro di
età augustea.
La zona della Curia
Risalendo la Via Sacra verso il Campidoglio, sempre sulla destra, si incontra un
altro edificio di grande importanza, cioè la Curia, che era il luogo di riunione del
Senato, il centro del potere di Roma repubblicana. La tradizione afferma che la
Curia venne fondata dal re Tullo Ostilio. Venne quindi ricostruita da Silla durante la
sua dittatura (attorno all'80 a.C.). Fu Giulio Cesare che infine la ricostruì lì dove ora
sorge, anche se la bellissima facciata in laterizi che possiamo ammirare è di età
tardoantica, opera dell'imperatore Diocleziano, che la ricostruì dopo un incendio.
Proprio davanti a questo edificio vi è il Comizio, cioè il piazzale dove di tenevano
le assemblee che prima, fino all'età di Cesare, si svolgevano in Campo Marzio.
Sotto il lastricato del piazzale vi sono i monumenti più antichi di Roma, tra i quali il
santuario di Vulcano (Volcanal), a lungo scambiato per la tomba di Romolo.
Ancora oggi è possibile scendere una scaletta e ammirarvi la più antica iscrizione
latina conosciuta, incisa su un cippo nel 6° secolo a.C. (Lapis niger, in latino "pietra
nera").
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Archi per i trionfi di un esercito invincibile
Il piazzale del Comizio è delimitato, nella direzione del Campidoglio, dall'arco di
trionfo di Settimio Severo.
L'arco di trionfo (attigui al Foro romano si sono conservati anche quelli
dell'imperatore Tito e di Costantino) è una struttura monumentale caratteristica
del mondo romano e legata ad antichissime credenze religiose. I Romani, infatti,
credevano che l'esercito che si era macchiato del sangue dei nemici dovesse,
assieme al generale che lo aveva guidato nell'impresa, purificarsi rientrando nel
sacro suolo di Roma. Il passaggio rituale sotto l'arco di trionfo serviva proprio a
questo fine di purificazione.
Da questi antichissimi rituali, poi, il trionfo è diventato un elemento portante
dell'ideologia imperiale: a partire da Augusto solo gli imperatori potranno
celebrare il trionfo, nonostante il fatto che molto raramente siano stati loro a
condurre materialmente le campagne militari. Il contenuto ideologico e
propagandistico è fortemente presente anche nel meraviglioso Arco di Settimio
Severo, costruito nei primissimi anni del 3° secolo d.C. per raffigurare le importanti
vittorie ottenute da quell'imperatore contro i Parti, che abitavano l'antica Persia.
L'arco, a tre fornici, è riccamente decorato con scene di battaglia e di parate
trionfali, nonché di iscrizioni celebrative.
Il lato verso il Campidoglio e la piazza del Foro
Al di là dell'Arco di Settimio Severo, praticamente appoggiati alle pendici del
Campidoglio, vi sono i resti di altri importanti edifici, come il Tempio della
Concordia, costruito da Furio Camillo nel 367 a.C. per celebrare l'accordo tra
patrizi e plebei, e quindi ricostruito in età tiberiana, il Tempio di Vespasiano e il
Tempio di Saturno, uno dei più antichi e venerati templi di Roma, sede, inoltre,
della cassa dello Ærarium Saturni, vale a dire del tesoro dello Stato.
La piazza del Foro è un ampio spiazzo occupato solamente da pochi resti, fra cui
spicca la Colonna di Foca, l'ultimo monumento che venne eretto nell'area, in
onore dell'imperatore bizantino Foca, nel 608 d.C. Il lato corto dalla parte del
Campidoglio è occupato dalla tribuna dei Rostri, da dove gli oratori parlavano
alla folla riunita nel Comizio. La sistemazione attuale dei Rostri fu dovuta a Giulio
Cesare, che risistemò anche il Comizio. La tribuna deve il suo nome al fatto che
essa venne decorata nel 338 a.C. con i rostri, cioè gli speroni, posti sulle prore delle
navi che i Romani catturarono ad Anzio.
La tribuna dei Rostri è uno dei luoghi più significativi della vita politica di Roma
repubblicana: da lì parlarono grandi oratori come i fratelli Gracchi, ma lì, nei giorni
bui delle proscrizioni conseguenti il secondo triumvirato, venivano esposte al
popolo le teste dei cittadini che erano finiti nelle liste dei condannati a morte per
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motivi politici. Alla fine dell'anno 43 a.C. anche la testa di Cicerone sarebbe
diventata orribile ornamento di quella tribuna!
La zona presso le pendici del Palatino
Sull'altro lato corto il piazzale del Foro è chiuso dal basamento del tempio
dedicato a Cesare e dai resti del basamento di uno degli archi di trionfo dedicati
ad Augusto. Sul lato lungo dalla parte del Palatino, invece, si trovano i resti della
Basilica Giulia. Subito dietro l'Arco di Augusto sorgeva il Tempio di Vesta e, alle sue
spalle, la Casa delle Vestali, cioè delle sacerdotesse di quel tempio, dove ardeva
una fiamma perenne, che non si doveva mai spegnere. Opposto a esso si trova il
Tempio di Antonino e Faustina, davanti al quale sorgeva la Regia. Secondo la
tradizione la Regia sarebbe stata l'abitazione dell'antichissimo re Numa Pompilio,
colui che avrebbe riordinato i culti della Roma primitiva. Questo piccolo edificio è
uno dei più antichi di tutto il Foro Romano. Proseguendo spalle al Campidoglio si
incontra sulla sinistra quello che viene comunemente chiamato Tempio del Divo
Romolo ‒ edificio in realtà di problematica identificazione ‒ e, quindi, le splendide
rovine della Basilica di Massenzio, costruzione eretta all'inizio del 4° secolo d.C.
L'area del Foro è conclusa, sul lato verso il Colosseo, dall'Arco di Tito, costruito al
tempo di Domiziano per commemorare le vittorie di Vespasiano e Tito sui Giudei.
Particolarmente famosa è la rappresentazione del trionfo di Tito, con i legionari
che portano sulle spalle la menorah, il candelabro a sette braccia che
simboleggiava i tesori contenuti nel Tempio di Gerusalemme, che, distrutto nel 70
d.C., non sarà più ricostruito.
Un evento memorabile: la morte di Giulio Cesare
"Amici, Romani, concittadini, prestatemi orecchio; io vengo a seppellire Cesare,
non a lodarlo". Questo è l'inizio del famosissimo discorso che Marco Antonio - nella
tragedia Giulio Cesare di Shakespeare - pronuncia in memoria del defunto
dittatore, assassinato il 15 marzo del 44 a.C. Tutti sanno che Cesare fu ucciso
durante una riunione del Senato nella Curia, ma forse qualcuno ignora che la
Curia in questione non era l'edificio 'ufficiale' che ancora oggi possiamo ammirare
nel Foro (pur nel suo restauro dell'epoca di Diocleziano), bensì quella annessa al
Teatro di Pompeo, che era piuttosto distante. In quel periodo, infatti, la Curia nel
Foro era in restauro, e le sedute del Senato venivano svolte appunto in altra sede.
Nel Foro invece fu costruito il tempio in onore di Cesare: di esso rimane ancora
una nicchia semicircolare che in antico alloggiava il grande altare su cui
venivano svolti i sacrifici in onore del dittatore. È suggestivo sapere che in quella
nicchia, a più di duemila anni dalla morte di Cesare, mani ignote depongono
molto spesso mazzi di fiori in sua memoria.
Decadenza e rinascita del Foro Romano
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In seguito alle invasioni barbariche e al crollo dell'Impero Romano d'Occidente il
Foro Romano conobbe un lento abbandono e - di conseguenza - un progressivo
deterioramento degli edifici, che divenne particolarmente sensibile nel 9° secolo. Il
colpo di grazia giunse nel 1084, quando gran parte dei monumenti venne distrutta
nel corso di un furioso incendio. L'area del Foro si coprì quindi di rovine e di terreno
di riporto, e i pochi edifici abitabili furono trasformati in fortezze - specialmente a
opera della nobile famiglia dei Frangipane - e chiese. A peggiorare la situazione,
nel Rinascimento buona parte dei resti monumentali in marmo e pietra vennero
presi e riutilizzati altrove o impiegati per fare la calce.
Alla fine del 16° secolo l'area era ridotta a un terreno incolto dove veniva portato il
bestiame a pascolare e che per questo veniva chiamato Campo vaccino:
dell'antica grandezza rimanevano solo pochi monumenti - quali l'Arco di Settimio
Severo e la Colonna di Foca - che spuntavano mestamente dal terreno. Ma
all'inizio dell'Ottocento il vento cambiò: fu dato infatti corso alle prime campagne
di scavo, e da allora non si è più smesso di scavare. Anche oggi che sembra sia
tornato alla luce tutto quello che rimaneva del Foro Romano, gli archeologi
continuano a indagare scrupolosi, restituendoci ogni volta un quadro sempre più
preciso di quello che fu il cuore di Roma antica.
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Via del Plebiscito
Via del Plebiscito (nella foto sopra) collega piazza Venezia a piazza del Gesù ed
un tempo era detta "via Papalis" in quanto costituiva
parte della via che i cortei pontifici percorrevano in
occasione della "presa di possesso" che il novello
papa effettuava, in qualità di Vescovo di Roma, per
recarsi dal complesso Vaticano a quello Laterano.
Alla fine dell'Ottocento il nome della via fu mutato in
ricordo del plebiscito svoltosi il 2 ottobre 1870 per
l'annessione di Roma all'Italia: i risultati videro
ufficialmente la schiacciante vittoria dei "si", 40.785, a
fronte dei "no" che furono solo 46; il risultato
complessivo nella provincia di Roma fu di 77.520 "sì"
contro 857 "no", mentre in tutto il territorio annesso i
risultati furono 133.681 "sì" contro 1.507 "no". Iniziamo la
visita della via partendo da piazza Venezia e considerando
il lato destro: la prima parte è dominata dalla facciata di palazzo Doria
Pamphilj (nella foto sopra in primo piano), che la nobile famiglia, nel XVIII secolo,
inglobò al palazzo già esistente acquistando altre case. L'edificio, opera di Paolo
Ameli del 1743, si presenta a quattro piani sopra il pianterreno, riuniti in tre parti
con le laterali a bugne e la centrale liscia; al pianterreno 14 porte di rimessa ad
arco ribassato, tutte trasformate in negozi, e due grandi portali sormontati da
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balconi. Tra i civici 109 e 110 è collocata una grande edicola settecentesca (nella
foto 1) costituita da una tela ovale dipinta ad olio, circondata da una
composizione in stucco con angeli e putti. L'immagine della Madonna è a mezzo
busto, con le mani giunte e gliocchi rivolti verso il basso. L'edicola fu
commissionata dagli inquilini del palazzo che il 12 luglio 1796 richiesero
l'autorizzazione al principe Andrea IV Doria Pamphilj di apporla sulla facciata,
assumendosene le spese per la sua realizzazione in stucco. Notare che il periodo
corrisponde al miracolo delle Sacre Immagini che mossero gli occhi e piansero per
l'invasione francese dello Stato Pontificio: la Madonna del Rosario, la Madonna
dell'Arco dei Pantani, laMadonna dell'Archetto, la Madonna della Provvidenza,
la Madonna Addolorata e quella posta nella chiesa di S.Niccolò de' Prefetti. La
tela fu acquistata nel mercato antiquario dal sellaro che era pure inquilino della
bottega sottostante; anche il principe partecipò poi alle spese pagando le opere
murarie. L'edicola fu restaurata nel 1975 dal Comune di Roma, mentre la tela fu
restaurata dai Doria nel 1986 e sostituita con una copia. L'edificio che segue è
palazzo Grazioli (nella foto 2), la struttura originaria del quale risale ad un edificio
costruito nel Cinquecento da Giacomo Della Porta per i Gottifredi, una famiglia
originaria di Volterra e presente a Roma fin dal XIII secolo. Presente come
palazzetto ad altane già nella pianta del Tempesta del 1593, nel 1648 fu rinnovato
da Camillo Arcucci, che
diede all'edificio l'impronta del
barocco romano ed i cui discendenti ne furono proprietari fino a tutto il
Settecento. Nel 1806 il palazzo ospitò il conte di Kevenhüller, ambasciatore
d'Austria a Roma, quando, a causa del trattato di Presburgo, fu costretto a
cedere palazzo Venezia, sua precedente sede, al cardinale Fesch, zio e ministro di
Napoleone I, imperatore dei Francesi e re d'Italia; in quegli stessi anni vi abitò
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anche la duchessa di Lucca, Maria Luisa di Borbone Parma, priva del suo ducato,
che vi morì nel 1824. Poi il palazzo fu acquistato dai Grazioli, attuali proprietari, che
provvidero ad un radicale restauro dell'edificio dandone incarico nel 1840 ad
Antonio Sarti: i lavori si protrassero a lungo e terminarono soltanto nel 1874. I
Grazioli arrivarono a Roma verso la fine del Settecento, provenienti dalla Valtellina,
impiegando le loro prime risorse nell'affitto e poi nell'acquisto di molini sul Tevere.
L'ascesa nella scala sociale fu rapida: dapprima fornai, ben presto divennero
proprietari terrieri, con l'acquisto, tra l'altro, della Tenuta di Castel Porziano
(attualmente proprietà del Presidente della Repubblica), finché nel 1843
entrarono a far parte della nobiltà romana, risultando addirittura terzi nella
graduatoria di rendita annua. Nel 1877, nella parte retrostante l'edificio, fu creata
una
piazza,
inizialmente
denominata
"piazza
della
Gatta"
(dal
simulacro
tuttora situato sul cornicione di palazzo Grazioli
su via della Gatta) ma in seguito sostituita dall'attuale denominazione di piazza
Grazioli: ciò permise la riedificazione della facciata posteriore e sulle vie laterali, la
creazione di un cortile completamente nuovo e di un nuovo braccio di scala, che
fece ricavare una serie di saloni e gallerie intorno al cortile, e quindi di una sala da
ballo, riunendo due sale dell'antico edificio, con una decorazione esaltante i fasti
familiari, eseguita da Prospero Piatti. La facciata su via del Plebiscito (nella foto 2)
apre al pianterreno sul bugnato con un imponente portale tra due colonne,
sormontato da un balcone balaustrato del primo piano, a timpano centinato con
lo stemma dei Grazioli in mosaico, tra otto finestre architravate sopra altrettante
inferriate, opera del Sarti, che ne inserì sei a proseguimento delle due esistenti, al
posto delle porte ad arco ribassato sormontate da finestrelle. La facciata è
scandita da paraste con capitelli ornati da teste leonine, un motivo araldico tratto
dallo stemma della famiglia Gottifredi; anche i timpani triangolari che ornano le
finestre del secondo piano presentano teste di leone. All'angolo con via della
Gatta è situata un'edicola sacra ottocentesca in sostituzione di una più antica con
baldacchino. Attualmente palazzo Grazioli è la sede romana dell'on. Silvio
Berlusconi. La via prosegue con un restringimento causato, sempre sul
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lato
destro, dalla presenza dipalazzo Altieri, una
sorta di "manica" dell'edificio con 15 finestre e due grandi balconi ad angolo con
via degli Astalli: sotto il balcone più basso si trova un'edicola sacra (nella foto 3)
raffigurante una "Madonna con Bambino" entro una conchiglia. Di fronte al
palazzo, sul lato sinistro della via, è situato il complesso laterale della Chiesa del
Gesù, mentre il restante tratto fino a piazza Venezia è caratterizzato dalla
presenza imponente della facciata laterale dipalazzo Venezia. Il modello di
questa facciata riprende esattamente quello presente supiazza Venezia e
ripropone la sequenza di finestre aperte sui vari livelli scanditi da cornici
marcapiano e beccatelli con mensole marmoree sovrastati dai merli guelfi. Il
portale d'ingresso separa le due diverse fasi costruttive: le 8 finestre a sinistra,
corrispondenti ai Saloni monumentali, ripetono il disegno delle finestre a croce già
utilizzato nella facciata principale, ma a sovrastare le aperture in questo caso è
esclusivamente lo stemma cardinalizio di Marco Barbo (con la croce del
Patriarcato di Aquileia), mentre le eleganti iscrizioni in caratteri antichi citano sia il
nome del cardinale che quello del papa defunto. Le restanti 8 finestre, compresa
quella
sovrastante il portale, invece, dove si snoda
l'Appartamento Cybo, sono più piccole, prive di iscrizioni e la mostra marmorea
non presenta il disegno a croce. L'Appartamento Cybo, dal nome di Lorenzo,
nipote di Innocenzo VIII, che per primo lo abitò, fu aggiunto all'Appartamento
Barbo, di pertinenza pontificia, alla fine del '400. Elemento di grande rilevanza è il
portale (nella foto 4) eseguito per volere di Marco Barbo intorno al 1470,
probabilmente opera dello stesso artista che realizzò quello dell'ingresso sulla
facciata principale, ma con forme più rigorose: privo della finestrella sovrastante e
delle volute di raccordo è costituito da colonne corinzie scanalate con stilobati
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recanti lo stemma del cardinale Marco Barbo e che sorreggono un architrave
sopra il quale è situato un timpano entro il quale due angeli reggono lo stemma di
papa Paolo II. Oltrepassato il portale si accede all'androne coperto con una
grande volta a lunette, in fondo al quale un cortile con portico, opera incompiuta
di Giuliano da Maiano, presenta nel mezzo una fontana di Carlo Monaldi risalente
al 1730 e raffiguarnte "Venezia che sposa il Mare" (nella foto 5). La fontana venne
commissionata dall'ambasciatore veneto Barbon Morosini, che così risolse i
problemi di approvvigionamento idrico per gli abitanti del palazzo, fino ad allora
costretti a ricorrere alla fontana pubblica
sulla piazza. Il
gruppo scultoreo, posto su una grande conchiglia sorretta da tre tritoni,
rappresenta l'allegoria di "Venezia che sposa il Mare" e celebra la Repubblica
attraverso la personificazione della Serenissima con ai piedi il leone di San Marco
ed un putto, il cappello dogale in testa ed un anello nella mano destra a
simboleggiare il connubio con il mare. Sul perimetro della vasca vi sono altri putti
recanti scudi che riportano i nomi delle maggiori conquiste veneziane (Cipro,
Morea, Dalmazia, Candia). Dallo stesso androne di accesso inizia, sulla destra, la
"Scala Nova" (nella foto 6), uno scalone monumentale costruito da Luigi
Marangoni tra il 1924 ed il 1930 in sostituzione della scala eretta da Camillo
Pistrucci nel 1911, che a sua volta aveva sostituito l'antica scala in laterizio, la
"cordonata" quattrocentesca, di cui restano alcuni frammenti nei sotterranei e
che venne costruita durante i lavori di ampliamento risalenti al pontificato di Paolo
II. La "Scala Nova" è realizzata in travertino di Tivoli ed è sostenuta da pilastri
compositi arricchiti da capitelli. Inoltre, è costituita da 6 rampe per un totale di 127
scalini e nel vano centrale, alla sommità, si legge l'iscrizione "AEDIBUS VENETIARUM
VETUSTAE ITALIAE VICTRICIS MONUMENTUM ANN DOM MCMXXX AET LICT VIII",
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ovvero "Nella casa di Venezia il monumento all'antica Italia vittoriosa", seguita
dall'anno 1930 corrispondente alla fine dei lavori. L'intera decorazione rimanda
alla Terza Guerra d'Indipendenza del 1866 e alla Prima Guerra Mondiale. La scala
conduce ai locali che ospitano il Museo Nazionale del Palazzo di Venezia
(vedi pianta), la nascita del quale risale al 1916, quando lo Stato Italiano recuperò
l'edificio dall'Austria e lo destinò a sede di un grande museo di arte medievale e
rinascimentale: primo direttore dell'istituzione fu Federico Hermanin. Nel Museo
confluirono gli oggetti provenienti dal disperso Museo Kircheriano, dalla Galleria
Nazionale d'Arte Antica e soprattutto le collezioni raccolte aCastel S.Angelo per
l'Esposizione Internazionale d'Arte del 1911. Negli anni successivi, si aggiunsero altre
prestigiose raccolte d'arte: le armi del conte Carlo Calori (1917); i dipinti medievali
e rinascimentali del lascito di Enrichetta Hertz (dal 1978 passata nella Galleria
Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini); le porcellane ed i dipinti del principe
Fabrizio Ruffo di Motta Bagnara; le medaglie di Paolo II dell'antiquario Scipione
Bonfili. Al primo allestimento del 1921 ne seguì un altro nel 1929, che ebbe breve
durata, poiché l'ingresso del regime fascista ne causò lo spostamento
nell'Appartamento Cybo e nel Palazzetto. Nel 1933 confluì nel museo la collezione
più
cospicua del proprio patrimonio, quella donata dai
coniugi Henriette Tower e George Wurts, costituita da dipinti, pastelli su carta,
sculture lignee, ceramiche, arazzi, ventagli, stoffe, mobili, argenti. Nel secondo
dopoguerra, sotto la direzione di Antonino Santangelo, il Museo raggiunse
l'estensione più ampia in seguito all'arrivo delle importanti collezioni di sculture in
bronzo e terracotta Gorga, Pollak e Auriti, oltre a vari doni e lasciti. Nel 1957 il
museo venne arricchito dai preziosi frammenti marmorei duecenteschi, dalle stoffe
copte, dalle maioliche, dalle statue lignee, dalle serrature e dagli elementi di
arredo pervenuti dal disciolto Museo Artistico Industriale. Nel 1959 lo Stato Italiano
acquisì circa 1200 pezzi della collezione di armi bianche e da fuoco del principe
Ladislao Odescalchi, che, allestita dieci anni dopo nei Saloni monumentali, venne
rimossa negli anni Ottanta per destinare l'Appartamento Barbo a sede di
esposizioni temporanee. Dal 1983 le collezioni sono allestite lungo le sale
dell'Appartamento Cybo e della Sala Altoviti, con raccolte divise per tipologia:
dipinti, sculture lignee e pastelli, cui seguono, nel Corridoio dei Cardinali, le
porcellane, bronzetti, mobili, maioliche, terrecotte ed armi. Molti sono i pezzi
significativi ed importanti del museo: tra questi citiamo il "Busto di Paolo II" (nella
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foto 7), opera in marmo della
Bottega di Paolo
Romano citata nelle "Vite" di Vasari, il "Doppio Ritratto" (nella foto 8) del Giorgione
ed il "S.Pietro Piangente" (nella foto 9) del Guercino. Il museo, inoltre, conserva ed
espone una piccola sezione di opere medievali con avori, argenti e smalti. Per
finire, vogliamo segnalare, all'angolo con piazza Venezia, al di sopra delle finestre
centinate, un rilievo con il leone di S.Marco Evangelista (nella foto 10).
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MERCATO CAMPO DE’ FIORI
PIAZZA CAMPO DE' FIORI
APRE ALLE 6.00 DEL MATTINO E CHIUDE ALLE 14.00, TUTTI I GIORNI (TRANNE
LA DOMENICA).
PIAZZA CAMPO DEI FIORI GIORDANO BRUNO
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Situato nel cuore della città vecchia, il più pittoresco mercato di Roma è anche
uno dei più ricchi di storia.
Il nome Campo de’ Fiori potrebbe far pensare a un mercato di fiori, deriva invece
dal latino Campous Florae, Campo di Flora,
donna amata dal grande generale romano Pompeo. Nella piazza il mercato si
tiene ormai da diversi secoli. Ogni mattina, escluso la domenica, la piazza si
riempie di variopinte bancarelle che vendono frutta e verdura, carne, pollame e
pesce.
Una o due bancarelle offrono legumi secchi, riso, frutta secca e noci, mentre
vicino alla fontana della piazza ci sono le bancarelle dei fiori. Le principali
attrazioni, tuttavia, sono le enormi ceste di broccoli e spinaci, oppure di verdure
già tagliate e pronte per il minestrone, e di freschissime insalate miste. Oltre che
una festa per il palato, sono anche un piacere per la vista. Gli ottimi negozi di
gastronomia e i panettieri intorno alla piazza completano la gamma di prodotti
offerti e questo mercato diventa così il posto giusto dove far tutte le provviste
necessarie per un picnic, improvvisato: d’estate, se il tempo è bello, potrete
rinfrescarvi consumando il vostro spuntino sui prati di uno dei numerosi parchi della
città.
In questa piccola e controversa piazza e nelle sue stradine limitrofe si respira un
atmosfera insolita, mista tra storia e romanità. La piazza di Campo dei Fioria Roma
deve la sua fama all'episodio che vide il filosofo Giordano Bruno arso vivo sul rogo
per ordine del Tribunale dell'Inquisizione della Chiesa cattolica, con l'accusa di
eresia il 17 febbraio del 1600 d.C. L'esecuzione è oggi ricordata da una statua
eretta nel 1889 d.C. e posta nel centro del Campo dei Fiori su iniziativa del poeta
Pietro Cossa ed opera dello scultore Ettore Ferrari. La toponomastica del luogo,
che alcuni propongono di far risalire al fatto che una delle amanti dell'Imperatore
Pompeo, Flora, avrebbe vissuto in quest'area, è più probabilmente da attribuirsi
all'aspetto di totale abbandono che la piazza, invasa da piante e fiori, mostrava
nel XV secolo.
Oggi Campo dei Fiori è il centro popolare della città, lontano dai più consueti
itinerari turistici, rappresentando uno dei luoghi dove Roma manifesta con
maggior trasparenza il suo carattere più autentico dalla prima mattina con il
mercato all'aperto, fino a notte inoltrata con l'intrattenimento offerto da bar,
ristoranti e trattorie della zona.
La vita e la condanna
di Giordano Bruno
Giordano Bruno - il suo vero nome era Filippo Bruno, ma, entrando nell'ordine
domenicano, assunse quello di Giordano -, ebbe una vita piuttosto movimentata.
Nato nel 1548 a Nola, presso Napoli, dove studiò e ricevette una prima formazione
di stampo aristotelico, prese i voti, ma ben presto i suoi dubbi sulla dottrina trinitaria
e su quella dell'incarnazione lo misero in contrasto con gli ambienti ecclesiastici.
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Allontanatosi da Napoli nel 1576, iniziò a peregrinare per l' Europa: prima a
Ginevra, poi a Tolosa e a Parigi (ove godé il favore di Enrico III), dove ebbe inizio la
sua produzione filosofica; quindi in Inghilterra (ove fu anche accolto dalla regina
Elisabetta), dove insegnò ad Oxford e in questo periodo effettuò la stesura dei
dialoghi italiani e di alcune opere latine. Ritornato a Parigi, nuovi contrasti con gli
ambienti universitari legati alla tradizione aristotelica lo costrinsero a trasferirsi in
Germania, dove insegnò a Marburgo, Wittemberg e Francoforte e completò le
opere latine. Accettata infine l'ospitalità del nobile veneziano Giovanni Mocenigo,
nel 1592 fu da questi denunciato all'Inquisizione e fatto arrestare per i suoi dubbi
sulla funzione della religione e i sospetti di eterodossia gravanti sulle sue dottrine. In
un primo tempo riuscì ad evitare la condanna con una parziale ritrattazione, ma
nel 1593 fu trasferito all'Inquisizione di Roma e, dopo sette anni di carcerazione, fu
condannato a bruciare sul rogo a Campo dei Fiori (Roma) il 17 febbraio del 1600:
l'imputazione mossagli fu di dubitare della trinità, della divinità di Cristo e della
transustanziazione, di voler sostituire alle religioni particolari la religione della
ragione come religione unica e universale e di affermare che il mondo é eterno e
che vi sono infiniti mondi.
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PIAZZA NAVONA
I grandi monumenti barocchi di
piazza Navona, dalla chiesa di
Sant’Agnese in Agone {1} alla
Fontana del Nettuno {2}, alla
Fontana dei Fiumi {3} a quella del
Moro {4}, furono costruiti sui resti
dello Stadio di Domiziano (86 d.C.)
che, come si vede dalla foto
aerea, ha dato forma all’odierna
piazza.
Qui si tenevano sfide di tutti i generi: dal pugilato alle naumachie, dalla poesia
all’atletica. Come quasi tutti i luoghi destinati al divertimento e allo svago degli
antichi romani, era circondato da osterie e bordelli. Le prostitute di lusso irretivano i
clienti esponendo dipinti sui quali spiegavano le loro specialità. Le schiave, invece,
venivano esposte nude alla gogna dei possibili clienti. Questa umiliazione toccò
anche a Sant’Agnese, vergine cristiana, che venne protetta dagli sguardi vogliosi
grazie alla miracolosa crescita delle sue chiome. A lei è dedicata appunto la
chiesa progettata dal Borromini. Nelle giornate d’estate, al tramonto, l’obelisco
bagnato all’ombra della Fontana dei Fiumi segna, come il compasso di una
meridiana immaginaria, lo scandire del tempo. E’ l’ora più bella di piazza
Navona. I contorni si sfaldano in un rosseggiare arcaico. Le rasoiate di luce
illuminano questo inimitabile palcoscenico di trucchi e passioni incastonato nel
cuore di Roma. La storia si pastella, piega la sua imponenza, contrassegnata da
una quinta teatrale di pietra, al pacioso romanesco incedere di famiglie, alle
mamme che spingono le carrozzine, al tonfo del pallone che rimbalza contro
facciate preziose, al vocio di bambini che scorazzano. E’ la Roma più sincera, la
città segreta che convive da sempre con il peso della gloria passata. Ci saranno
anche le truppe di giapponesi con la cinepresa e gli immancabili coatti di turno,
ma questa resta pur sempre “un teatro, una fiera, un’allegria”. Come la descrisse
Gioacchino Belli. Sopra la cornice dall’inconfondibile disegno, il cielo cobalto dà
un’occhiata distratta al fulgore delle grandi invenzioni barocche, accarezzando i
guizzi stilistici del genio seicentesco. Ecco, il simbolo dell’indolenza, del gusto
schietto della vita che nessuna cosa al mondo può disturbare. Fedeli al sonetto
del Belli, il più grande poeta romano, i cittadini romani se ne infischiano del viavai
dei turisti in quella che considerano la loro piazza. Non è una questione di storia,
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ma di echi. Ciò che i romani amano di questo luogo incantato è l’accordo
perfetto dei timbri musicali della Capitale. Grida popolari che si incrociano con gli
echi di antichi rintocchi. Con le sue arcane facciate, le chiese e le fontane
provate dal genio, dal sole e dal tempo, piazza Navona è una curva sonora e
corale, un immenso serbatoio strumentale senza pari. Come un teatro di pietra, lo
spettacolo è il suo destino. Una cassa armonica immutata nel tempo, scrigno del
barocco più splendente Chi arriva da via dei Coronari, la strada degli antiquari, si
trova improvvisamente e inaspettatamente sbalzato in questa scenografia a cielo
aperto. E il sogno teatrale si materializza in un attimo. E’ l’armonia di un miracolo
architettonico senza squilibri, un bazar di capolavori circondati da storie e
leggende. Qui, nei secoli passati, si esibivano i saltimbanchi e i girovaghi. E ancora
oggi, fra stornellate e pittori a caccia di ritratti, non è raro imbattersi in mimi e attori
di strada con il piattino ai piedi. Ma, a differenza di altri luoghi, il business
“accalappiaturisti” ha mantenuto una spontaneità disorganizzata e popolare in
linea con la tradizione che assegna a piazza Navona il ruolo di spazio per le feste
e i giochi. Non a caso qui, dall’inizio di Dicembre fino all’Epifania, impazza la fiera
dedicata al Natale. E’ una storia antica, che ha origine nel Medioevo quando,
sulle gradinate dell’antico stadio di Domiziano, venne eretto il nuovo quartiere.
All’inizio furono casupole, poi sostituite da palazzi nobiliari che crearono, intorno
all’antica pista per le gare, l’odierna forma della piazza. Così riesce facile capire
l’origine del nome, derivato da agone (gara), poi trasformatosi in nagone
(navone) in ricordo delle naumachie, giochi navali nella piazza riempita d’acqua,
abolite a metà ‘800. Se occorre risalire all’antichissimo stadio, di cui restano
ancora tracce nei sotterranei della chiesa di Sant’Agnese in Agone, per spiegare
l’origine della piazza, è nel seicento che si forma la fisionomia odierna. Tra il
quattrocento e il cinquecento, infatti, il vasto spazio centrale era occupato da
giostre e mercati, prima di ospitare i segni del potere di papa Innocenzo X
Pamphilj. Tra questi, il più conosciuto è la stupefacente Fontana dei Fiumi,
sormontata dal granitico obelisco proveniente dal circo di Massenzio. Intorno
all’obelisco, adocchiato da papa Innocenzo X, si sviluppò la leggendaria rivalità
tra Bernini e Borromini, secondo cui il primo riuscì a ottenere l’incarico, già affidato
a Borromini, grazie a un furbesco stratagemma, ovvero donando all’ingorda
Donna Olimpia (il suo busto, scolpito dall’Algardi, è conservato nella Galleria Doria
Pamphilj), cognata del papa, una copia del progetto della fontana in puro
argento. Comunque siano andate le cose, un fatto è certo: quando Innocenzo X
vide l’opera realizzata non poté esimersi dall’esclamare: “Bernino, con darci
questa improvvisa allegrezza ci avete accresciuto dieci anni di vita”. Capolavoro
del Barocco, la fontana è costituita da una scogliera su cui siedono le
personificazioni del Nilo, del Gange, del Danubio e del Rio de la Plata, simboli
delle quattro parti del mondo note all’epoca. Secondo la leggenda, invece, i
gesti delle statue sarebbero una sorta di sberleffo di Bernini nei confronti del rivale
Borromini, autore dell’antistante chiesa di Sant’Agnese in Agone: il Rio de la Plata
alza la mano per proteggersi dal crollo della facciata, mentre il Nilo si copre il
volto per non vedere gli orrori della costruzione.
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IL CAMPIDOGLIO
Percorso che da Piazza Venezia porta al Campidoglio
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Piccolo approfondimento
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MUSEI
CAPITOLINI
I Musei Capitolini sono il principale museo civico comunale di Roma e fanno parte
del "Sistema dei Musei in comune". Si parla di "musei", al plurale, in quanto alla
originaria raccolta di sculture antiche fu aggiunta da Benedetto XIV, nel XVIII
secolo, la Pinacoteca, di soggetti prevalentemente romani.
Aperto al pubblico nell'anno 1734, sotto Clemente XII, è considerato il primo
museo al mondo. Luogo dove l'arte fosse fruibile da tutti e non solo dai proprietari.
Storia
La sede storica dei Capitolini è costituita dal Palazzo dei Conservatori e dal
Palazzo Nuovo, edifici che affacciano sulla michelangiolesca Piazza del
Campidoglio.
La creazione del museo può essere fatta risalire al 1471, quando Papa Sisto IV
donò alla città una collezione di importanti bronzi provenienti dal Laterano (tra i
quali la Lupa capitolina), che fece collocare nel cortile del Palazzo dei
Conservatori e sulla piazza del Campidoglio: ciò lo rende il più antico museo
pubblico al mondo.
La raccolta antiquaria si arricchì nel tempo con donazioni di vari papi (Paolo III, Pio
V che voleva espellere dal Vaticano le sculture pagane), e fu meglio allocata con
la costruzione del Palazzo Nuovo nel 1654.
Il museo fu aperto a visite pubbliche per volere di Papa Clemente XII quasi un
secolo più tardi, nel 1734. Il suo successore, Benedetto XIV, inaugurò la Pinacoteca
capitolina, acquisendo le collezioni private della famiglia Sacchetti e della
famiglia Pio.
Dagli scavi condotti dopo l'Unità d'Italia per i lavori di Roma capitale emersero
grandi quantità di nuovi materiali, che, raccolti nel Magazzino Archeologico
Comunale, in seguito denominato Antiquarium, furono nel tempo parzialmente
esposti ai Capitolini.
Nel 1997 è stata aperta una sede distaccata nell'ex Centrale Termoelettrica
Giovanni Montemartini nel quartiere Ostiense, creando una soluzione originale di
fusione tra archeologia industriale e classica.
Oggi i Musei Capitolini fanno parte del Sistema dei Musei in comune.
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Le collezioni storiche dei Musei Capitolini sono:
Pinacoteca, proveniente inizialmente dalla collezione della famiglia dei
marchesi Sacchetti e dei principi Pio di Savoia.
Protomoteca, collezione di busti ed erme di uomini illustri trasferiti al
Campidoglio dal Pantheon per volontà di Pio VII nel 1820.
Collezione Castellani, donata da Augusto Castellani nella seconda metà
dell'800, costituita da materiali ceramici arcaici (dall'VIII al IV secolo a.C.), di area
prevalentemente etrusca, ma anche di produzione greca e italica.
Medagliere capitolino: la collezione di monete, medaglie e gioielli del
Comune, costituita nel 1872 e aperta al pubblico nel 2003.
L’opera forse più famosa che vi è conservata è la statua equestre di Marco
Aurelio; quella al centro della piazza è una copia, mentre l'originale, dopo essere
stato sottoposto a lavori di restauro, è ora collocato nella nuova aula vetrata,
l'Esedra di Marco Aurelio, nel Giardino Romano, dietro Palazzo dei Conservatori.
Nel Palazzo Nuovo, oltre alla statua dell’imperatore che risale al II secolo d.C., si
possono ammirare il Discobolo, originale greco di cui rimaneva solo il tronco del
corpo trasformato dallo scultore francese Monnot in un guerriero ferito, la statua
del Galata Morente, opera romana del III secolo d.C. copia dell’originale greco, il
Fauno Rosso ritrovato a Tivoli nella villa di Adriano, ed un bellissimo mosaico
ritrovato sempre nella stessa villa e conosciuto come il Mosaico delle Colombe.
La visita nell’altro edificio dei musei, il Palazzo dei Conservatori, è compresa nello
stesso biglietto di entrata; vi si può accedere sempre dalla piazza o da una
galleria sotterranea scavata (Galleria di congiunzione) negli anni trenta e
attualmente allestita come Galleria Lapidaria (cioè preposta all'esposizione delle
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epigrafi), che dà accesso anche al Tabularium e unisce i due edifici. Qui si trova la
pinacoteca dei musei nel cui catalogo c’è il famoso dipinto del San Giovanni
Battista, opera del Caravaggio.
Ma vi si trova anche il simbolo della città, il bronzo della Lupa Capitolina, a lungo
tempo ritenuta un'opera etrusca del V secolo a.C. e solo recentemente ritenuta
da alcuni restauratori come risalente al XII secolo; con molta probabilità la statua
originaria non comprendeva i gemelli della leggenda Romolo e Remo, che
sembra furono aggiunti nel Rinascimento. La colossale testa di Costantino I risale al
IV secolo d.C.
Capolavoro della scultura medievale è il Ritratto di Carlo I d'Angiò di Arnolfo di
Cambio (1277), il primo ritratto verosimile di un personaggio vivente scolpito in
Europa che ci sia pervenuto dall'epoca post-classica.
"Grande Campidoglio"
Nel dicembre del 2005 è stata inaugurata una nuova ala che con un'aula vetrata,
la già citata Esedra di Marco Aurelio, allarga lo spazio espositivo dei Musei. Con la
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copertura del Giardino Romano, è stato ricavato questo nuovo spazio che ospita
ora la statua di Marco Aurelio, i frammenti del colosso bronzeo di Costantino e la
statua di Ercole. Il progetto è di Carlo Aymonino e prevede anche la nuova
sistemazione delle fondazioni del tempio di Giove Capitolino.
Nelle sale adiacenti sono sistemate le vetrine della Collezione Castellani, donata
al Comune di Roma da Augusto Castellani.
L'apertura di questa nuova ala fa parte di un più vasto progetto ("Grande
Campidoglio") di risistemazione ed ampliamento dei musei, che ha visto
l'allestimento della Galleria Lapidaria (chiusa diversi anni prima per lavori di
ristrutturazione), l'acquisizione di Palazzo Clementino, ora sede del Medagliere
Capitolino (collezione di numismatica), e la risistemazione del Palazzo Caffarell-
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IL VITTORIANO
Complesso del Vittoriano
Il Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II era stato pensato e costruito al fine
di fornire un tributo alla memoria del primo re d'Italia e, per questo motivo, venne
chiamato comunemente Vittoriano, ossia dedicato a Vittorio Emanuele. Il
complesso monumentale fu inaugurato da Vittorio Emanuele III il 4 giugno 1911, in
occasione dell'Esposizione Internazionale per i 50 anni dell'Unità d'Italia e solo 10
anni più tardi, il 4 novembre 1921 al centro del monumento, sotto la statua della
Dea Roma, venne tumulato il Milite Ignoto. Da quell'istante il Vittoriano assunse
anche la denominazione di Altare della Patria.Il programma decorativo
complessivo dell'edificio è ricco e particolareggiato. Elementi fondamentali, oltre
alla statua equestre di Vittorio Emanuele II che campeggia al centro del
monumento, sono: il portico neoclassico caratterizzato da colonne in stile corinzio;
i bassorilievi dell'Amor Patrio, che combatte e vince, e del Lavoro che edifica e
feconda, i quali, insieme alla statua della Dea Roma, costituiscono il trittico
dell'Altare della Patria, in cima alla grande scalinata; i propilei sui quali sono
presenti le due iscrizioni, tema centrale dell'intero monumento, Patriae Unitati e
Civium Libertati (in lingua latina All'Unità della Patria e Alla libertà dei cittadini),
ciascuna posta quasi a commento delle due quadrighe bronzee raffiguranti
l'Unità e la Libertà; nel coronamento del sommoportico, in corrispondenza delle
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colonne, si situano le statue raffiguranti le Regioni d'Italia, 16 statue – tante erano
le regioni italiane al tempo della costruzione - alte più di 5 metri e dovute a scultori
diversi, ognuna identificata mediante un suo attributo simbolico tradizionale; le
quattro vittorie alate sulle colonne, ed i complessi bronzei del Pensiero e
dell'Azione, in origine dorati. Dopo alcuni anni di lavori di restauro e
riqualificazione, in particolare interventi di adeguamento tecnologico degli spazi,
oggi il Vittoriano ospita mostre temporanee e convegni. Nell'ala Brasini vengono
allestite mostre monografiche su singoli artisti o movimenti d'arte del '900 offrendo
ai visitatori progetti scientificamente elevati in rapporto diretto con il sistema
museale internazionale.
Questo monumento è oggi poco gradito dei Romani tenuto conto della sua
massa imponente che rompe con l'armonia d'altri edifici. I Romani la chiamano la
"scrivania" o la "macchina da scrivere".
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PIAZZA VENEZIA
Questa famosa piazza sorge alla base del Campidoglio ed ospita il monumentale
"Altare Della Patria".
Il gigantesco edificio che la domina è costruito interamente in marmo, nel quale
spiccano diverse statue in bronzo e numerosi bassorilievi. Al centro dell'imponente
complesso si trova l'Altare della Patria, sormontato dalla statua di Roma, ai piedi di
questa fu sistemata nel 1921 la tomba del Milite Ignoto, in ricordo degli italiani
caduti nella prima guerra mondiale.
La realizzazione del grande monumento ha scatenato in questo secolo molteplici
polemiche e non è raro che venga citato come esempio di scempio
architettonico. Il motivo di questo atteggiamento ostile è nel fatto che in fase di
realizzazione non si è tenuto conto del contesto in cui il monumento doveva
essere eretto, ovvero vicinissimo a Campidoglio, Foro Romano, non lontano il
Colosseo, in pratica nel cuore di Roma. Questa sistemazione avrebbe dovuto
essere onorata con scelte architettoniche rispettose del contesto, ciò non fu, sia
stilisticamente, che soprattutto a livello di dimensioni. Fa impressione passare dalla
proporzione della Piazza del Campidoglio, fatta a misura d'uomo, al Monumento
a Vittorio Emanuele, che lascia sempre l'idea che le misure umane siano troppo
piccole.
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Storia
Il tracciato rettilineo della strada ricalca quello dell'antico tratto urbano della Via
Flaminia, chiamato nell'antichità e nel Medioevo via Lata.
Nel Medioevo il rettilineo originario, soggetto alle esondazioni del Tevere a causa
del basso livello altimetrico, sarebbe stato abbandonato a favore di una strada
sita ad una quota più elevata: secondo un recente studio[1] si tratterebbe
dell'antica via Biberatica, che, a partire dal Foro di Traiano, seguiva le attuali vie
delle Tre Cannelle e di Sant'Eufemia, piazza dei Santi Apostoli, via di San Marcello,
piazza dell'Oratorio, via di Santa Maria in Via (tratto oggi interrotto dalla Galleria
Sciarra), piazza San Claudio, piazza San Silvestro, via del Gambero, e si
riconduceva quindi sull'antica via Flaminia all'altezza della chiesa di San Lorenzo in
Lucina.
Papa Paolo II nel 1467 provvide a rettificare il tracciato della strada
riconducendolo sostanzialmente a quello antico; qui trasferì le corse del
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Carnevale, molto seguite dai romani, che si erano fin allora svolte al Monte
Testaccio; involontari protagonisti delle corse erano in primo luogo gli ebrei,
costretti a correre tra le ingiurie, ma molto attesa era anche la corsa dei cavalli,
detti bàrberi (Berbero) poiché provenienti dalla Barberia (Africa settentrionale). La
corsa, che si è svolta fino al 1883 quando un incidente mortale portò alla sua
abolizione, si disputava lungo il tratto compreso tra lo scomparso Arco di
Portogallo (all'altezza di via della Vite) fino a piazza Venezia, e ha portato
all'affermazione del nome di via del "Corso".
Il nome della via cambiò in Corso Umberto I dopo l'assassinio del sovrano nel 1900;
nel 1944, divenne Corso del Popolo; e due anni dopo venne reintrodotto quello
che è il toponimo attuale.
Monumenti
Su via del Corso si trovano un gran numero di palazzi gentilizi e chiese. Partendo
da Piazza Venezia incontriamo il seicentesco Palazzo Bonaparte, o Misciattelli, poi
il barocco Palazzo Salviati, e Palazzo Odescalchi del XIX secolo. Quindi si incontra il
Palazzo Doria con la Galleria Doria Pamphilij e Palazzo Marignoli, fatto costruire dal
marchese Filippo Marignoli, Senatore del Regno, dopo il 1878. Più avanti troviamo
la chiesa di San Marcello e il Palazzo Sciarra Colonna.
Lungo la strada si trova Piazza Colonna, con la Galleria Alberto Sordi (ex Galleria
Colonna), edificata in luogo del demolito Palazzo Piombino agli inizi del
Novecento, il cinquecentesco Palazzo Chigi, Palazzo Ferraioli e Palazzo Wedekind.
Subito dopo, all'altezza di Via del Tritone è la chiesa di Santa Maria in Via.
Altro edificio di interesse è Palazzo Ruspoli, sede del Museo della Fondazione
Memmo; poco più avanti è Largo Goldoni, dove Carlo Goldoni visse, incrocio con
il lungo rettilineo Via dei Condotti-Via della Fontanella Borghese: la prima celebre
strada conduce, tra boutique d'alta moda, a Piazza di Spagna, la seconda
termina in Piazza Borghese dov'è l'omonimo Palazzo.
La chiesa di San Carlo al Corso, più oltre, ha una grande cupola realizzata da
Pietro da Cortona. Di seguito troviamo altre due chiese, quella di Gesù e Maria e
quella di San Giacomo in Augusta (XVI secolo), con l'annesso ospedale del XIV
secolo.
Al termine di via del Corso si trovano le due chiese di Santa Maria in Montesanto e
Santa Maria dei Miracoli, che affacciano su Piazza del Popolo (Roma), ove al
centro è collocato obelisco Flaminio. La Porta del Popolo costituisce storicamente
l'accesso settentrionale alla città: da essa inizia la via Flaminia.
Al civico 18 vi è la casa di Goethe.
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PASSEGGIANDO LUNGO LE STRADE DEL CENTRO STORICO...
VIA DEL BABUINO
La via, già esistente nel XIV secolo, aveva in realtà due nomi: via dell’Orto di
Napoli e via del Cavalletto. Nel 1525, grazie ai lavori fatti eseguire da papa
Clemente VII, la via assunse un nuovo volto ed un nome nuovo: via Clementina, in
onore del suo artefice. Divenne poi via Paolina, perché vi mise mano Paolo
III nel 1540. Su interessamento di Pio V nel 1571 fu installata una nuova fontana ad
uso dei cittadini, e per la sua realizzazione fu collocata la statua del Sileno, divinità
classica legata alle sorgenti ed alle fontane. Ben presto, la statua divenne famosa
agli abitanti del rione per la sua bruttezza, a tal punto da paragonarne la figura
ad una scimmia: nacque così er babuino, che divenne col tempo il nome stesso
della strada.
Una targa ricorda il gemellaggio sancito il 16 ottobre 2002 tra Via del Babuino e
Madison Avenue a New York.
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CHIESA DI SAN LUIGI DEI FRANCESI
Voluta dal Re di Francia fu iniziata nel 1518 e completata nel 1589 da Domenico
Fontana su disegno di Giacomo della Porta. La facciata in travertino, a due ordini,
è divisa da paraste tuscaniche e corinzie in cinque campi, sia in alto che in basso.
L'interno, a tre navate, con cinque cappelle per lato scandite da pilastri, è sul
progetto di Antoine Dérizet, [1756-64]. Sulla volta della navata centrale si trovano
le opere “Morte e apoteosi di S.Luigi” di Charles Natoire, [1756]. Lungo la navata
destra nella prima cappella “S.Dionigi” di Renard Levieux; nella seconda cappella
“Ss.Cecilia, Paolo, Giovanni Evangelista, Agostino e la Maddalena” di Guido Reni
su originale di Raffaello; poi “Storie di S.Cecilia” del Domenichino. Nella terza
cappella “S.Giovanna di Valois portata in cielo dagli angeli” di Etienne Parrocel,
[1743]; nella quarta “Giuramento di Clodoveo” di Jacopino del Conte. Nella volta
episodi della vita di Clodoveo, di Pellegrino Tibaldi; sulla parete destra “Clodoveo
si prepara ad attaccare nella battaglia di Tobliae del 496”, dello stesso autore. A
sinistra “S.Remigio riceve la sacra ampolla per ungere Clodoveo” del Sermoneta.
All'altare maggiore “Assunzione' di Francesco Bassano e 'Ss.Trinità” di Jean
Jacques Caffieri. Sulla navata sinistra nella quinta cappella [Contarelli] all'altare
“S.Matteo e l'Angelo”, a destra “Martirio di S.Matteo”, mentre a sinistra “Vocazione
di S.Matteo” di Caravaggio, [1599-1602]. Sulla volta affreschi del Cavalier d'Arpino.
Nella quarta cappella “Natività”, “Annunciazione” di Charles Mellin, poi
“Adorazione dei Magi” di Giovanni Baglione; nella terza “S.Luigi IX” di Plautilla
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Bricci, mentre alle pareti “storie del santo” di Ludovico Gimignani e di Nicolas
Pinson. Nella seconda “S.Nicola da Bari” di Girolamo Muziano, ai lati “Santi
Girolamo e Caterina” di Girolamo Massei ed episodi della vita del santo di
Baldassare Croce; nella prima “San Sebastiano” di Girolamo Massei.
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APPROFONDIMENTO
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