Appunti per un`introduzione alle problematiche educative e didattiche

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SISSIS - Problematiche pedagogiche tra comportamentismo e cognitivismo - Prof. Salvatore R. Pignato
Appunti per un’introduzione alle problematiche educative e didattiche
1. Il contesto storico
1.1 Agli inizi del XX secolo si sviluppano in Europa e negli Stati Uniti d’America
diverse teorie psicologiche che indagano le modalità dell’apprendimento. In Europa,
Decroly, Claparède, Montessori, Binet sono alcuni studiosi che all’interno
dell’attivismo delineano una teoria pedagogica che coinvolge la psicologia scientifica
nella definizione delle basi teoriche dell’apprendimento. Accanto alla grande stagione
dell’attivismo pedagogico, avanzano le tesi sullo sviluppo come processo psicosociale
di E. Erikson, quelle sulla necessità della conoscenza dei bisogni psichici del bambino
da parte di B. Bettelheim e sull’apprendimento e la collocazione dell’intervento
educativo nell’area di sviluppo prossimale indagate da L. Vygotskij. Elemento di svolta
saranno, soprattutto, gli studi di J. Piaget (1896-1980), a cui Claparède affiderà la
direzione del prestigioso Istituto J.J.Rousseau di Ginevra, da cui verranno le indicazioni
più durature intorno allo sviluppo evolutivo del pensiero e del linguaggio del bambino.
La ricerca, gli studi, le analisi sviluppate in quel periodo definiranno una nuova figura
di educatore e dimostreranno che l’insegnamento/apprendimento non può prescindere
dalla preparazione psicopedagogica del docente. Nello stesso periodo in cui si
affermano i grandi protagonisti della psicopedagogia europea, negli Stati Uniti si
afferma il comportamentismo. Per J. Watson (1878-1958) i processi educativi si
apprendono per condizionamento e nel 1956 B. Bloom fisserà nella tassonomia degli
obiettivi e nel mastery learning le basi concrete dell’apprendimento. Bloom individua
due «aree» (cognitiva e affettiva) cui collega una serie di obiettivi intermedi e
particolari, la cui successione corrisponde alla progressione di complessità delle
competenze, tenendo conto del fatto che senza l'acquisizione delle competenze di ordine
inferiore non è possibile procedere a quelle di ordine superiore. Quindi, dati certi
obiettivi, l'insegnante si deve prefiggere preliminarmente lo scopo di individuare a
quale punto della scala si trovano le competenze del singolo alunno, per poi impostare
per lui un percorso adeguato, che lo conduca gradualmente fino all'obiettivo desiderato.
Bloom suddivide così gli obiettivi principali:
1. Area cognitiva: conoscenza, comprensione, applicazione analisi, sintesi, valutazione.
2. Area affettiva: ricezione, risposta, valorizzazione, organizzazione, caratterizzazione
del valore.
I principi-guida della tassonomia di Bloom e di altre simili classificazioni tassonomiche
sono sostanzialmente questi:
1) le principali distinzioni tra aree della tassonomia devono riflettere, in larga misura, le
distinzioni che gli insegnanti fanno tra i comportamenti degli studenti, quando
stabiliscono gli obiettivi educativi, determinano i materiali, i metodi, ecc.;
1
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2) la tassonomia deve essere svolta in modo logico e internamente coerente, così da
permettere un uso chiaro e univoco dei termini e la scomposizione di ogni categoria in
suddivisioni logiche chiaramente definite, fino a comportamenti misurabili;
3) la tassonomia deve essere coerente col livello attuale di comprensione dei fenomeni
psicologici, anche se non per questo deve comprenderli tutti;
4) la tassonomia deve essere uno schema puramente descrittivo e neutrale, in modo da
evitare parzialità e da essere utilizzabile per qualunque concezione dell'educazione. In
altre parole, qualsiasi obiettivo che descriva un possibile comportamento atteso
dovrebbe essere classificabile in questo sistema. Il successo della tassonomia di Bloom
è stato grande, e lo testimonia anche la molteplicità di iniziative in cui il suo ideatore è
stato coinvolto. Bisogna però osservare che l’impostazione comportamentista e
associazionista del modello bloomiano ha determinato, da una parte, applicazioni rigide
e poco attente ala sua complessità, dall’altra, la critica di coloro che ritenevano una
simile impostazione opinabile, deterministica e riduttiva per quanto concerne la
molteplicità di acquisizioni e di percorsi dell’apprendimento.1
I fattori ambientali determinano l’apprendimento e l’educazione deve fondarsi, allora,
sulla predisposizione perfetta delle circostanze che connotano i processi educativi,
adeguandoli al comportamento del soggetto. La fuga dal nazismo e la seconda guerra
mondiale costringeranno moltissimi filosofi, psicologi, uomini di scienze (basti pensare
alla Scuola di Francoforte) a riparare negli Stati Uniti. Ciò contribuirà all’incontro ed
alla contaminazione delle idee che determineranno la nascita di nuovi indirizzi di studio.
L’interazione tra teoria psicologica e applicazione nella prassi educativa a scuola
produrrà una vera e propria rivoluzione dell’insegnamento che si collocherà oltre
Dewey e l’attivismo e sarà foriera di nuove concezioni e nuove scuole, che
determineranno la nuova fisionomia delle scienze pedagogiche legate al curricolo e che
faranno della psicologia dell’educazione il nuovo terreno di incontro delle scienze
umane.
Il concetto ed il termine di apprendimento
La psicologia dell’educazione si occupa degli aspetti psicologici dei processi e dei
fenomeni educativi e pone al centro della ricerca i temi legati all’apprendimento,
definito come un processo psichico responsabile di modificazioni significative nel
comportamento, nelle competenze, nelle conoscenze dell’individuo, in forma duratura e
stabile. L’individuo apprende in modo molteplice, a secondo del livello evolutivo delle
specie a cui appartiene e della conformazione cerebrale. L’apprendimento può essere
fisiologico, informale e formale. Si apprende per prove ed errori, per intuizione, in
maniera immediata, a seguito di ragionamento e di confronto. L’essere umano apprende
se resta traccia di quanto appreso nella memoria, se è capace di svolgere attività in
1
Avalle, U.,- Marranzana, M., (2005), Pensare ed educare, Paravia, Torino
2
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modo automatico: leggere, scrivere, camminare, cantare, ecc.; se è nelle condizioni di
interiorizzare procedure, comportamenti, schemi di condotta.
“Dopo il declino del comportamentismo, un nuovo concetto di apprendimento si è
venuto delineando, basato sui risultati della ricerca sui processi cognitivi implicati
nell’istruzione condotta in questi due ultimi decenni. In tale processo di rinnovamento o rifondazione - sono stati ampiamente utilizzati alcuni costrutti-chiave dell’approccio
cognitivista: processazione dell’informazione, schema, metacognizione, piano, e altri.
Negli anni quell’approccio si è progressivamente ampliato, fino ad abbracciare
tematiche anche lontane dall’iniziale focalizzazione del cognitivismo sull’information
processing. La concettualizzazione dell’apprendimento scolasticoha coltodi questa
evoluzione gli aspetti più rilevanti per l’istruzione e ha fatto proprie alcune istanze
emergenti con sempre maggiore forza nella psicologia cognitiva: in particolare,
l’attenzione all’affettività e il carattere contestualizzato della cognizione”2.
1.2. Alle origini della psicologia dell’educazione
La psicologia dell’educazione, detta anche psicopedagogia secondo la tradizione
europea, soprattutto francese, si occupa degli aspetti psicologici che sottendono alle
attività educative, costituendo un settore autonomo di ricerca al pari della psicologia
cognitiva, di quella dello sviluppo e della psicologia sociale o della psicologia della
comunicazione. Negli anni ‘60 e ’70 del secolo scorso, la psicologia dell’educazione
attraversa una profonda crisi di prospettiva. Ausubel mette in dubbio l’efficacia
applicativa del filone della learning theory3 nelle pratiche educative; Lumbelli pone in
discussione se essa rappresenti un quadro di specializzazione della psicologia o della
pedagogia, e se per svolgere l’attività di psicologo dell’educazione bisogna avere una
preparazione di base di psicologia o di pedagogia. Oggi la psicologia dell’educazione ha
superato i problemi che erano stati posti da Ausubel e Lumbelli, considerando il fatto
che in generale la psicologia dispone di un quadro organico di riferimento, di metodi di
ricerca al di fuori del laboratorio, di una netta propensione teoretica e di una
predisposizione ad incontrare altre scienze quali la storia, l’antropologia culturale, la
sociologia, le neuroscienze e le altre scienze umane.
Uno dei primi studiosi che si addentrò negli studi sulla formazione dei concetti nel
bambino e sul rapporto tra il pensiero ed il linguaggio, fu un esponente della scuola di
Würzburg, K. Bühler4, il quale, di fatto, pose le basi per l’indagine psicologica
rapportata all’insegnamento. Tuttavia la psicopedagogia compare agli inizi del secolo
scorso per merito di due studiosi, uno europeo, E. Claparède (1873-1940), e uno
statunitense, E.J. Thorndike (1874-1949). Claparède diffonde in Europa gli studi sul
funzionalismo che nasceva dal pragmatismo filosofico di J. Dewey e
2
Boscolo, P., (2001) Psicologia dell’apprendimento scolastico, Utet, Torino, p. 12.
3
Teoria dell’apprendimento. Con questo termine si designano gli studi psicopedagogici risalenti a Thorndike. L’esponente di
maggiore prestigio e di fama mondiale è stato B.F. Skinner.
4
Bühler, K., Lo sviluppo mentale del bambino, trad. it. Armando, Roma. 1994.
3
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dall’interazionismo simbolico derivante dalla psicologia di W. James. Secondo il
funzionalismo, la mente assolve il compito di mediare tra l’ambiente e l’individuo, è un
mezzo che consente all’uomo di adattarsi al mondo e di vivere in simbiosi con la natura
in perfetto equilibrio psicofisico. Le difficoltà che provengono dall’esterno
scompongono l’equilibrio, fanno sorgere nuovi bisogni e spingono la mente a ricercare
soluzioni inedite, a trovare risposte e ricostituire congrue condizioni di esistenza. Il
funzionalismo si rivolge agli studi ed alle ricerche svolte sul terreno biologico e
considera il carattere unitario e dinamico dell’attività psichica. Una prima implicazione
della psicologia funzionalista consiste nel ritenere le finalità dell’educazione non una
semplice fase di trasmissione di modelli culturali, sociali che definiscono precisi schemi
comportamentali, bensì la capacità dell’allievo di utilizzare le funzioni della mente per
adattarsi meglio all’ambiente e vivere con equilibrio psicofisico. L’uomo si deve
distinguere non tanto per le cose che sa o sa fare, ma per il modo di pensare.
L’educazione, allora, è la capacità dell’uomo di sviluppare lo strumento “mente” che la
natura gli ha fornito. La scuola deve offrire allo studente la capacità di imparare a
pensare5, deve predisporre strumenti e contesti stimolanti, che risveglino interessi,
favorendo le capacità di ciascuno. “La scuola, per adempiere alla sua funzione nella
maniera più adeguata, deve ispirarsi ad una concezione funzionale dell’educazione e
dell’insegnamento. Questa concezione consiste nel prendere il fanciullo come centro
dei programmi e dei metodi scolastici e nel considerare la stessa educazione come
progressivo adattamento dei processi mentali a certe determinate azioni con
determinati desideri. […] Il fondamento dell’educazione deve essere non il timore del
castigo, né il desiderio di una ricompensa, ma l’interesse, l’interesse profondo per la
cosa che si tratta di assimilare o di eseguire. Il fanciullo non deve lavorare,
comportarsi bene per obbedire ad altri, ma perché questo modo di comportarsi è
sentito da lui come desiderabile. Insomma, la disciplina interiore deve sostituire la
disciplina esteriore. […] L’educazione deve tendere a sviluppare le funzioni
intellettuali e morali, più che ad empire il cranio di una massa di cognizioni che
(quando non sono subito dimenticate) rimangono molto spesso delle cognizioni morte,
trattenute nella memoria come dei corpi estranei senza riferimento alla vita”.6
La psicopedagogia statunitense ha in Edward Lee Thorndike il primo rappresentante.
Egli compie giovanissimo studi di psicologia animale7 sull’apprendimento e sul
condizionamento operante ed è considerato il fondatore della psicologia
dell’educazione, in quanto si deve a lui la stessa definizione di educational psycology e
5
Claparède, E., (1952), La scuola su misura, La Nuova Italia, Firenze.
Claparède, E., (1967), L’educazione funzionale, Bemporad-Marzocco, Firenze, p.156
7
Thorndike costruisce i puzzle-box, gabbie dotate di sofisticati congegni per attivare le vie di fuga. Nelle gabbie
vengono rinchiusi gli animali affamati (gatti, cani, pulcini, topi). All’esterno lo sperimentatore colloca il cibo e gli
animali sono motivati dalla fame a trovare il modo per raggiungere il mangiare. Thorndike si accorge che gli animali
fanno diversi tentativi, ma alla fine riescono a fuggire dalla gabbia. Rimessi nella stessa gabbia, impiegano sempre
meno tempo per evadere. Che cosa si deduce dal comportamento degli animali? L’apprendimento è il risultato del
condizionamento operante. Si apprende per tentativi ed errori e non per comprensione del problema. Le risposte agli
stimoli si rafforzano con la pratica (legge dell’esercizio) e si ripetono soltanto le azioni che hanno una probabilità alta
di riuscita (legge dell’effetto).
6
4
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l’accreditamento della stessa negli studi accademici. Egli estese i principi scoperti nella
sperimentazione animale ai comportamenti dei bambini e degli adolescenti, fornendo
agli insegnanti consigli per meglio gestire l’insegnamento/apprendimento. La legge
dell’effetto applicata a scuola significa che gli alunni sono portati a ripetere
comportamenti ed azioni che li spingono a raggiungere il successo e ad ottenere premi
(rinforzi positivi), in modo automatico, senza riflettere. L’insegnante deve proporre agli
allievi istruzioni precise, deve spiegare quali comportamenti sono valutati errori e quali
le risposte ritenute esatte e adeguate, senza incorrere in errori di giudizio8.
Claparède e Thorndike rappresentano, in conclusione, le due anime da cui nasce la
psicologia dell’educazione. La prima vede nell’uomo un soggetto che esprime bisogni,
idee, interessi per vivere bene con se stesso e nella società in cui opera e favorisce i
successivi sviluppi della psicologia umanistica di Roger e di Maslow; la seconda
considera l’uomo un oggetto che si può educare controllandolo, plasmandolo,
manipolandolo per educarlo alle esigenze della società, della cultura dominante, della
tradizione aprendo alle successive intuizioni di Ausubel e J. Bruner fondatore
dell’educazione come processo culturale per la formazione delle competenze.
2. Il comportamentismo
2.1. - Dagli anni ‘20 e fino agli anni ‘60 le idee che vanno sotto il nome di
comportamentismo hanno avuto una grande influenza sul dibattito e sulle pratiche
pedagogiche e didattiche. Il comportamento delle persone divenne oggetto privilegiato
di studio da parte di chi cercava riscontri tangibili, azioni direttamente osservabili su cui
applicare metodologie sperimentali. Contemporaneamente, altri studiosi si dedicavano
alle indagini introspettive sul funzionamento della mente e della psiche, attraverso
strumenti meno codificati e lontani dalle misurazioni di laboratorio. L’idea centrale
vede la persona agire a seguito di stimoli provenienti dall’ambiente e, nell’interazione
tra il soggetto e l’ambiente, l’apprendimento avviene per associazioni sequenziali. I
fondamenti di questa teoria si trovano negli studi di Ivan Pavlov9 che, nel primo
decennio del novecento, studiò i comportamenti di animali come possibili modelli del
comportamento umano. Gli organismi viventi imparano a trasferire la propria capacità
di risposta da uno stimolo dell’ambiente ad un altro, imparano a generalizzare
(rispondono a stimoli analoghi), a discriminare (rispondono solo a certe stimolazioni,
distinguendole da altre analoghe), ad inibire le risposte. Il ruolo della persona che
apprende è sostanzialmente passivo, guidato da meccanismi non controllabili dalla sua
volontà o dalla sua motivazione.
8
L’insegnante è soggetto a distorsioni (biases) nella valutazione, perché partendo da un giudizio positivo/negativo su
una performance dell’alunno, la generalizza su tutte le altre, cadendo nell’errore che Thorndike, per primo, definisce
“effetto alone”.
9
Nel 1903, durante il Congresso mondiale della sanità a Madrid, Pavlov lesse una relazione sui risultati dei suoi
esperimenti con i cani. In quella relazione egli definì i riflessi condizionati e mostrò che tali riflessi potevano essere
considerati come fenomeni psicologici e allo steso tempo come fenomeni fisiologici. Pavlov (1927)
5
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Nel 1913, lo statunitense Watson aveva iniziato a studiare il comportamento dei
bambini e formulò la versione più nota del comportamentismo. In un noto scritto, egli
afferma: “Datemi una dozzina di bambini sani e normali e consentitemi di organizzare
a modo mio l’ambiente in cui educarli. Vi garantisco che poteri trasformare ognuno di
loro in un qualsiasi tipo di specialista – dottore, avvocato, artista, commerciante, e,
perché no?, anche mendicante e ladro, indipendentemente dal loro talento, dalle loro
inclinazioni, dalle loro tendenze, abilità e orientamenti e dalla razza dei genitori.
Confesso che nel rilasciare tale affermazione vado al di là dei fatti empiricamente
accertati, ma nello stesso modo si sono comportati i sostenitori della tesi contraria che
è stata portata avanti per millenni di anni. Vi prego di tenere presente che, nel caso in
cui si voglia condurre questo esperimento, mi si dovrà lasciare ampia libertà di
programmare come io desidero il modo in cui educare i bambini ed il tipo di ambiente
nel quale dovranno vivere”.10 Altri studi evidenziarono il ruolo della ripetizione delle
stesse azioni per consolidare i comportamenti appresi. Si studiò il comportamento di
ricerca di soluzioni attraverso la ripetizione di sequenze di tentativi ed errori, trovando
la sua efficacia per selezionare le risposte più soddisfacenti. Skinner (1938) chiarì il
ruolo dei premi, che il soggetto può ricevere dall’ambiente, come fattori importanti per
supportare la selezione delle risposte e la successiva ripetizione dei comportamenti
migliori. Per il comportamentismo, l’apprendimento
• è generato dalla catena di associazioni stimolo-risposta
• è un processo di conoscenza che modifica i comportamenti
• è condizionato dall’insegnamento, come attività organizzata di contenuti/stimoli da
trasmettere e di obiettivi misurabili da conseguire.
I riflessi di questa concezione sulle idee che le persone hanno del processo di
insegnamento e apprendimento sono molto profondi: si impara quello che ci viene
comunicato e si dimostra di avere imparato rispondendo agli stimoli in maniera univoca
e ampiamente prevedibile. La relazione educativa si fonda su un modello pedagogico e
didattico puramente trasmissivo, lineare e rigido.
“L’evoluzione del condizionamento operante sembra sia stata accompagnata
dall’evoluzione di suscettibilità di rinforzo. Un anatroccolo, per esempio, non solo
mostra un’innata tendenza a seguire un grande oggetto che si muove (il più comune
sarà sua madre), ma è anche suscettibile di rinforzo se si riduce la distanza tra esso e
un tale oggetto […]. Anche se l’evoluzione del comportamento resta ampiamente
oggetto di studio per deduzioni, il condizionamento operante viene studiato
sperimentalmente, e repertori complessi di comportamento vengono formati e
mantenuti nella loro efficacia attraverso appropriate contingenze di rinforzo. Una volta
individuato il processo di formazione, il comportamento che in passato si attribuiva a
sensazioni e stati mentali può essere ricondotto a fonti più semplici e più facilmente
identificate […]. Il comportamento dovuto principalmente al condizionamento operante
può essere fatto risalire ai geni solo attraverso un processo che opera durante il corso
10
Mecacci, L., (a cura di), (1977), Watson, Il Mulino, Bologna, p. 111
6
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della vita dell’individuo. Lo stato del cervello dovuto al rinforzo può rassomigliare allo
stato dovuto alla selezione naturale (i comportamenti osservati possono essere non
distinguibili), ma uno è dovuto a un gene, nel senso che viene spiegato dalla selezione
naturale, mentre l’altro è dovuto al rinforzo durante il corso della vita dell’individuo, e
quindi deve essere anche dovuto, in parte, ai geni responsabili del condizionamento
operante. Debbono identificarsi anche i geni responsabili del comportamento
indipendente dal quale derivano gli operanti e delle suscettibilità di rinforzo che
rendono le conseguenze rinforzanti […]. Un organismo non può acquisire un ampio
repertorio di comportamenti attraverso il condizionamento operante da solo, in un
ambiente non sociale. Sono importanti altri organismi. Una tendenza ad imitare si è
evoluta, presumibilmente, perché il fare ciò che faceva un altro organismo spesso
contribuiva in modo simile alla sopravvivenza […]. Il comportamento operante viene
imitato perchè è probabile che si verifichino le stesse conseguenze rinforzanti.
L’imitazione è importante perché prepara il comportamento, nel senso che lo rivela per
la prima volta. possono quindi subentrare conseguenze rinforzanti. L’imitazione è
particolarmente importante quando le contingenze sono rare […]. Il comportamento
operante può essere chiamato modellante solo quando il comportamento dell’imitatore
ha conseguenze rinforzanti per il modellatore. Per esempio, i genitori modellano il
comportamento perchè i figli che li imitano hanno bisogno, così, di meno attenzioni o
addirittura possono essere di aiuto. Questa, comunque, è una conseguenza differita che
richiede un processo aggiuntivo, che ebbe origine quando un cambiamento evolutivo
portò la muscolatura vocale della specie umana sotto il controllo operante” (Skinner)11
Col behaviorismo si superano, almeno in via transitoria, tutte le difficoltà e le
contraddizioni sollevate dal dualismo spirito-materia, poiché l’unica cosa di cui ci si
deve occupare è la risposta, esplicita o implicita che sia, dell’organismo. E la
spiegazione è valida per ogni livello di vita mentale. Questo principio è addirittura
scontato per i riflessi che rientrano nel novero delle funzioni congenite (il riflesso delle
palprebe, il riflesso plantare, ecc.). In questi casi si tratta di una reazione puramente
fisiologica dipendente da conformazione stessa del sistema nervoso. L’apprendimento,
da parte sua, provoca la nascita di nuovi riflessi: crea nuove associazioni secondo i
processi del riflesso condizionato e coì, poco per volta, la vita mentale si struttura in un
insieme di reazioni rispondenti a stimoli sempre più numerosi e “indiretti” (ci
allontaniamo dalla fiamma prima che ci bruci) (A. Clausse)12
2.2. - A partire dalla seconda metà degli anni Settanta13, a seguito delle richieste di
rinnovamento della scuola, volte a favorire lo sviluppo della scolarizzazione di massa,
gli studi elaborati dai comportamentisti consentirono l’estensione di nuove indicazioni
didattiche e la loro reale applicazione per favorire la motivazione e l’apprendimento di
11
Skinner, B.,F., (1992), Difesa del comportamentismo, trad. it. Armando, Roma.
Clausse, A., (1975), Introduzione storica ai problemi dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze, pp. 188-189.
13
I decreti delegati aprirono la scuola italiana all’attività di programmazione e di sperimentazione educativa e
didattica.
12
7
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giovani con abilità e con attese molto differenti rispetto a quanti avevano proseguito gli
studi fino a quel momento. La pratica della programmazione didattica, basata su una
tassonomia degli obiettivi formativi, sul controllo dei pre requisiti, sulla verifica del
raggiungimento degli standard prefissati, sulla valutazione formativa, sulle pratiche di
sostegno e consolidamento delle prestazioni, entrarono nei percorsi formativi della
scuola e divennero uno strumento primario di lavoro. La costruzione di sequenze di
apprendimento (Unità didattiche), organizzate dal semplice al complesso in una crescita
lineare, prevedibili e programmabili nel dettaglio, richiedeva agli insegnanti un lavoro
di tipo nuovo, e molti di loro dovettero appropriarsi di modelli e strumenti che prima
non conoscevano.
Il Mastery Learning è una metodologia che usa la tassonomia14 degli obiettivi didattici
di Bloom (1979) e postula che tutti possono raggiungere un’adeguata padronanza di una
disciplina, se hanno a disposizione il tempo necessario, a seconda del ritmo di
apprendimento e dei livelli metacognitivi15 e cognitivi personali. L’insegnante procede
all’analisi e alla scomposizione dei contenuti da trasmettere alla classe, o al piccolo
gruppo degli studenti più lenti. La comunicazione ottimale è costituita da un flusso di
informazioni ordinato di piccole dosi di conoscenza. Lo studente esposto a questo
trattamento, acquisisce, elabora ed espone nelle forme codificate. La pratica ripetuta dei
comportamenti, richiesti per la restituzione di quanto appreso, metterà lo studente in
grado di comprendere, di trasferire gli apprendimenti da un contesto ad un altro.
L’esercizio individuale può prevedere la ripetizione di prestazioni scritte o orali e
costituisce una pratica indispensabile per il successo scolastico e, per estensione, extra
scolastico.
Gli studi e le proposte di Gagné (1965), basate su una teoria dell’apprendimento
cumulativo e gerarchico, influenzarono la pratica didattica attraverso un modello di
lezione formalmente innovativo, ma basato sulla trasmissione di conoscenze, seppure
organizzate e semplificate, da un soggetto esperto ad un soggetto passivo16. Gagné,
infatti, partendo dallo stesso punto di vista di Bloom stabilisce, a sua volta, una
tassonomia dei tipi di apprendimento:
1) apprendimento di segnali (come nel caso delle risposte condizionate del cane di
Pavlov);
2) apprendimento stimolo-risposta;
3) apprendimento di una concatenazione del tipo stimolo-risposta;
4) apprendimento di associazioni verbali;
5) apprendimento di discriminazioni simili;
14
Con questo termine, derivato dalle scienze naturali, si indica il sistema di classificazione gerarchica, sistematica e
formale degli obiettivi educativi e didattici che caratterizzano una disciplina.
15
I principali studiosi della metacognizione sono: Flavell, J.H. (1978); Brown, A.L. (1978); Cornoldi, C. (1995);
Albanese, O., Doudin, P. A. e Martin, D., (1999).
16
Negli anni successivi alla tassonomia di Benjamin Bloom, al modello gerarchico dei tipi di apprendimento di
Robert Gagné, al modello di funzionamento dell’intelligenza di Joy Guilford, la psicopedagogia è fortemente critica
verso la proposta dei modelli lineari di apprendimento, perché sottovaluta il ruolo dei processi discontinui e delle
competenze metacognitive nel procedere concreto dell’apprendimento.
8
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6) apprendimento di concetti (si danno risposte analoghe a stimoli diversi, ma classificati mentalmente sotto un denominatore comune);
7) apprendimento di regole (concatenazioni di concetti);
8) problem-solving, o soluzione di problemi (esercizio di quegli eventi interni che sono
di solito chiamati pensiero, ovvero della capacità di combinare le regole apprese per
produrre capacità nuove).
Oltre che dalla dimensione cognitiva, l’apprendimento17 è condizionato da quella
affettiva ed emozionale e, quindi, l’insegnante, prima di introdurre nuove conoscenze,
deve orientare e motivare l’allievo, suscitare la sua naturale curiosità, nonché
controllare e supportare i pre-requisiti che gli sono necessari per affrontare il successivo
stadio di apprendimento. L’insegnamento è una vera e propria azione di modellaggio:
una richiesta di risposte preordinate a stimoli preconfezionati. Il comportamento di chi
apprende è determinato dalla motivazione estrinseca, piuttosto che quella intrinseca. Le
condizioni che favoriscono l’apprendimento sono diverse. Tra queste sono da segnalare
il monitoraggio continuo da parte dell’insegnante, l’aumento progressivo
dell’autonomia dello studente nella gestione dei comportamenti necessari per il
successo (autoshaping), l’esercizio di imitazione del modello proposto, i cambiamenti
conseguenti ai risultati negativi delle verifiche e la gratificazione dei premi ricevuti per
le prestazioni positive.
3. Il cognitivismo
3.1. A partire dagli anni quaranta, negli Stati Uniti, nuovi elementi di conoscenza sul
funzionamento del cervello e la formulazione della teoria matematica di diffusione
dell’informazione18 favoriscono una ripresa degli studi sui processi mentali (attenzione,
percezione, elaborazione, problem solving, memoria). La svolta era stata annunciata,
molti anni prima, dalla polemica tra W. Wundt e O. Külpe, originatasi dagli studi sul
metodo dell’introspezione o dell’autosservazione condotti da Wundt nel laboratorio di
Lipsia e da quelli successivi di Külpe condotti a Würzburg. Mentre Wundt aveva
bandito dalla sua analisi sulle attività psichiche i flussi interiori di elaborazione,
limitandosi a indagare il campo delle sensazioni e delle percezioni che avrebbero
comunque consentito all’individuo di raggiungere quadri sempre più complessi di
conoscenza, Külpe si serviva dell’introspezione, per comprendere quali sequenze
mentali l’individuo adopera per giungere ad associare parole o esprimere giudizi, a
compiere operazioni mentali semplici oppure molto complessi, come per esempio,
17
De La Garanderie, A. è lo studioso che più di altri ha approfondito una metodologia calibrata sulle abilità degli
studenti, favorendo la costruzione di un percorso di apprendimento individualizzato.
18
Shannon, C. E. (1948) formula la teoria matematica dell’informazione. Wiener, N, nello stesso periodo definisce
cibernetica l’intero campo della teoria della comunicazione. Si sviluppano studi che descrivono il funzionamento
della mente come un calcolatore elettronico: il pensiero procede in modo sequenziale, programmabile e operante
attraverso simboli. I dati che l’uomo riesce a codificare sono facilmente elaborabili e trasmettibili, secondo un
modello derivante da quello delle trasmissioni ingegneristiche.
9
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comprendere un testo, esprimere una precisa considerazione su un fatto accaduto,
interpretare una regola generale, ecc. La controversia che contrappose le due scuole,
consentì di riflettere sul fatto che non sempre i pensieri sono collegati a uno stimolo
concreto, ad un reale oggetto di percezione. La loro origine è più profonda. Il diffuso
clima antimentalistico che il comportamentismo di Watson aveva alimentato posiziona
la ricerca psicologica al solo studio degli eventi oggettivi, considerando sic et
simpliciter gli stimoli e le risposte, senza soffermarsi su cosa accade dentro il soggetto.
La mente non esiste, non si può studiare con i consueti parametri della scienza, la testa
dell’individuo è una black box e i comportamenti si possono spiegare senza ricorrere ad
essa. Alla fine degli anni ’50, si verifica la svolta cognitiva. Gli psicologi ripresero lo
studio delle teorie della mente. Gli psicologi della Gestalt si occuparono di percezione,
di pensiero produttivo (M.Wertheimer), altri svilupparono teorie per misurare
l’intelligenza (A. Binet e T. Simon). J. Piaget e L. Vygotskij studiarono la psicologia
dello sviluppo. Per lo psicologo ginevrino, l’adattamento all’ambiente costituisce un
processo di conoscenza controllato da organizzazioni mentali (schemi) che gli individui
usano per rappresentare il mondo e programmare le loro azioni. L’adattamento, guidato
da percorsi biologici, consiste nel percorso necessario per raggiungere un equilibrio tra
gli schemi mentali e l’ambiente esterno. I bambini nascono dotati di strutture cognitive,
che con lo sviluppo si modificano. L’assimilazione implica l’interpretazione degli
eventi in termini di strutture cognitive esistenti, l’accomodamento invece si riferisce a
cambiamenti della struttura cognitiva per dare senso all’ambiente. I due processi sono
attivi per tutta la vita e sono usati dagli individui per aderire alle richieste
dell’ambiente. Per Vygotskij, l’apprendimento deve essere congruente tra due livelli di
sviluppo del bambino: quello effettivo e quello potenziale. “Quando si stabilisce l’età
mentale di un bambino con l’aiuto di test, ci si riferisce quasi sempre al livello di
sviluppo effettivo. Un semplice controllo dimostra però che questo livello di sviluppo
effettivo non indica affatto in modo completo lo stato presente di sviluppo del bambino.
Supponiamo di avere sottoposto a test due bambini, e di avere stabilito che entrambi
hanno un’età mentale di sette anni. Quando però sottoponiamo i bambini ad ulteriori
prove, vengono alla luce differenze sostanziali fra loro. Con l’aiuto di domande-guida,
esempi e dimostrazioni, un bambino risolve facilmente i test, superando di due anni il
suo livello di sviluppo effettivo, mentre l’altro bambino risolve test che superano solo di
mezzo anno il suo livello di sviluppo effettivo. […] Lo sviluppo mentale di questi due
bambini è equivalente? La loro attività indipendente è equivalente, ma dal punto di
vista della potenzialità futura di sviluppo i due bambini sono radicalmente diversi. Ciò
che il bambino è in grado di fare con l’aiuto degli adulti lo chiamiamo zona del suo
sviluppo potenziale. […] Ciò che il bambino può fare oggi con l’aiuto degli adulti lo
potrà fare da solo domani. L’area di sviluppo potenziale ci permette quindi di
determinare i futuri passi del bambino e la dinamica del suo sviluppo”.19 Vygotskij
suggerì l’idea che le interazioni sociali portano ad un cambiamento continuo passo dopo
19
Avalle, U., Marranzana, M., (2005), Pensare ed educare, Paravia, Torino, p. 235.
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passo del pensiero degli individui e dei loro comportamenti, che, pertanto, possono
variare enormemente in relazione al contesto culturale entro cui l’individuo vive. Lo
sviluppo cognitivo dipende dalle interazioni tra le persone e dagli strumenti che la
cultura produce per dare forma alla concezione del mondo delle persone stesse. Le
modalità attraverso cui gli strumenti culturali vengono trasmessi tra gli individui sono:
l’apprendimento imitativo, le istruzioni di un insegnante messe in pratica a scuola, la
collaborazione all’interno di un gruppo di pari. Sostanzialmente Vygotskij ritiene che
gli individui costruiscono le loro conoscenze e queste nel loro farsi non possono essere
separate dal contesto sociale. L’intervento pedagogico facilita l’apprendimento
indipendentemente dal livello di partenza del soggetto, in quanto interviene l’aiuto del
maestro che s’inserisce nella zona di sviluppo prossimale, ovvero tra ciò che l’individuo
può fare con le sue forze e quello che potrà fare con l’aiuto esperto. L’esistenza di
un’area di sviluppo prossimale non trova d’accordo Piaget che ritiene, invece, possibile
soltanto il fatt che il bambino affronti solo compiti adeguati allo stadio di sviluppo
cognitivo raggiunto. Inoltre, Piaget sottovaluta l’influenza dell’agire sociale sullo
sviluppo cognitivo dei singoli e quindi non considera il condizionamento che, fin da
piccoli, gli individui subiscono dal tipo di relazioni umane che esistono nel contesto in
cui vivono.
In particolare, è da sottolineare che la ripresa degli studi sulla mente, sulle
capacità cognitive dell’individuo, furono originati dalle ricerche di altre discipline quali
la matematica, le telecomunicazioni, gli studi sull’intelligenza artificiale, la linguistica,
gli studi sullo sviluppo psicomotorio, ecc.. Si diffuse la convinzione, ad esempio, che il
fatto di sapere programmare un calcolatore potesse aiutare a capire qualcosa di più su
come si insegna alle persone in modo efficace. Si sosteneva che tutti i sistemi che
elaborano informazioni, compresa la mente umana, dovevano essere governati da regole
o procedure specificabili, che stabiliscono come trattare gli input ricevuti.20
L’apprendimento è un processo di elaborazione delle informazioni e le procedure
necessarie per la loro elaborazione sono descrivibili, per questo l’insegnamento delle
procedure diventa prioritario. Il soggetto, infatti, diventa esperto attraverso un’attività
riflessiva, che precede la cognizione, attraverso cui diventa consapevole delle proprie
conoscenze e delle modalità di acquisizione della realtà. L’insegnante può facilitare il
percorso metacognitivo attraverso il dialogo educativo, l’esplicitazione e la
condivisione consapevole delle strategie di apprendimento. A preparare la svolta
cognitiva contribuirono in particolare gli studi sulla psicolinguistica relativi alla
costruzione dei processi di produzione e di comprensione del linguaggio. La disputa tra
la tesi comportamentista e quella innatista sullo sviluppo del linguaggio è incentrata sul
fatto che per Skinner l’apprendimento della lingua avviene con le modalità del
modellamento, mentre per Chomsky essendo la lingua un struttura complessa di cui
l’individuo si appropria, per riprodurla creando una propria rappresentazione interiore, a
livello cognitivo.”Chomsky ha costruito un modello teorico da lui definito grammatica
20
Gardner, H., (1999) sostiene che l’apprendimento riesce più in fretta e meglio se il soggetto dispone di una
molteplicità di procedure, a seconda del tipo di intelligenza impegnata nel compito.
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generativo-trasformazionale della competenza che governa la produzione linguistica.
Esso presuppone l’esistenza di strutture mentali innate, costituite da regole universali
di tipo sintattico e da “regole di trasformazione” capaci di portare le frasi dalla
lorosemplice “struttura profonda” di tipo logico alla diversità delle strutture
superficiali che concretamente assumono nella produzione parlata. Le implicazioni
didattiche di questa concezione sono andate dal riconoscimento dell’importanza della
capacità creativa implicata nell’uso di una lingua e dell’aspetto cognitivo
dell’educazione linguistica all’analisi del ruolo delle componenti innate
nell’apprendimento del linguaggio”.21
4. Apprendimento tra individualizzazione e personalizzazione.
4.1. - La connotazione dell’azione formativa della scuola del XXI secolo è la
personalizzazione dell’intervento educativo e didattico, capace di programmare percorsi
di apprendimento rispettosi delle differenze individuali in rapporto agli interessi, alle
capacità, al ritmo di apprendimento, agli stili cognitivi, alle attitudini, alle inclinazioni,
alle esperienze di vita, al contesto in cui matura la personalità di ciascuno. Alla base del
principio della personalizzazione, riproposta sulla scena delle scienze dell’educazione
intorno agli anni ’80, per merito degli studi dello spagnolo Victor Garcia Hoz, vi è la
convinzione che la creazione di itinerari differenziati, personalizzati, possa favorire da
un lato la riduzione degli insuccessi scolastici e dall’altro la promozione delle
eccellenze che rappresenta l’altro estremo (forse meno corposo) della popolazione
studentesca, al centro della quale si colloca il gran numero degli studenti la cui vicenda
scolastica si svolge senza grosse difficoltà, ma ai quali bisogna rivolgere forti
sollecitazioni per spingerli a potenziare la qualità dei loro percorsi formativi. E’
interessante, a questo proposito, fare riferimento alla nozione di educazione elaborata
proprio dal pedagogista spagnolo nell’opera ”L’educazione personalizzata”, secondo cui
essa può essere concepita come un processo di assimilazione culturale e morale e, nello
stesso tempo, come un processo di separazione individuale. Infatti, il processo
educativo, in senso lato, tra il maestro e l’allievo consente all’educando di crescere, di
acquisire il linguaggio, i concetti scientifici, le norme di comportamento che lo
assimilano all’adulto e lo introducono nella società, ma nello stesso momento
l’educazione, sviluppando la personalità del soggetto, la sua libertà e la sua coscienza,
lo separa e lo rende autonomo ed indipendente. L’educazione personalizzata non
consiste – come afferma Garcia Hoz – in un modo nuovo di insegnare o in un metodo
più efficace di apprendere, ma nel convertire il lavoro di apprendimento in scelte di
responsabilità da parte dello stesso alunno22. Ciò non soltanto arricchisce l’allievo in
termini di autonomia e di creatività, ma lo orienta, lo rende equilibrato e autosufficiente
nella comunità in cui vive. La prospettiva dell’educazione personalizzata non
rappresenta una novità assoluta, ma si ricollega, in un certo qual senso, alla cultura
21
22
Avalle, U., Maranzana, M., (2000), Cultura pedagogica, Paravia, Torino, p. 102
Garcia Hoz, V., (2001), L’educazione personalizzata, La Scuola, Brescia.
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pedagogica del Novecento e, in particolare, al principio dell’individualizzazione
dell’insegnamento. In Europa l’individualizzazione ha una doppia origine: da un lato
l’influenza del personalismo filosofico e dall’altro le psicologie funzionaliste, secondo
cui l’intelligenza ha il compito di risolvere i problemi che l’organismo intercetta nel suo
incessante adattamento all’ambienta, ma non ha valore in sé. La scuola su misura dello
studente, secondo una felice espressione di E. Claparède, fondata sul “sistema delle
opzioni” per rispettare e per valorizzare la diversità di ciascuno, le ricerche di
O.Decroly sulla creazione dei “centri d’interesse” e la sua teoria dell’interesse-bisogno
all’apprendimento scolastico, per evitare la frammentazione delle nozioni e tenere unite
le facoltà dell’allievo, la pedagogia popolare di C. Freinet, per consentire l’elaborazione
di tecniche di individualizzazione della prassi didattica in un ambiente cooperativistico,
senza annullare le peculiarità intellettive e la fisionomia culturale del singolo,
“l’educazione a misura di bambino” attraverso i materiali della Montessori, la
considerazione dell’irripetibilità e dell’unicità della persona teorizzata da Rosa Agazzi,
per citare soltanto alcuni tra i maggiori esponenti dell’attivismo scientifico europeo,
propongono interventi didattici e metodologici che, ancora oggi, rivestono motivo di
grande interesse: le classi parallele, le classi mobili, le classi aperte, i gruppi di livello,
l’auto-istruzione graduata secondo protocolli individualizzati, il contratto formativo. Da
questo punto di vista, è importante sottolineare anche il contributo di Aldo Agazzi e del
personalismo “storico” nel dibattito pedagogico della seconda metà del secolo scorso.
Egli respinge il duplice principio educativo ispirato sia alla concezione cristiana, sia alla
dimensione sociale marxista, collocando la persona nel suo ambiente storico e
l’educazione come relazione tra persone che riveste “valore ontologico”. La persona –
afferma Agazzi - è spiritualità, libertà, sostanza irripetibile, valore assoluto, portatrice di
diritti inscindibili. L’educazione deve favorire la partecipazione della persona alla
cultura, ma soprattutto deve consentire lo sviluppo della personalità che è unica e che le
consente di star bene con se stesso e nella comunità. Altri precedenti storici
dell’educazione personalizzata possono essere ritrovati nel Dalton Plan di H.Parkhurst,
allieva di Dewey, che più di ogni altro portò alle estreme conseguenze il concetto
dell’individualizzazione del lavoro attraverso i “contratti” ed i “piani di lavoro” mensili
e settimanali e nell’esperienza della Scuola di Winnetka diretta da Washburne,
incentrata sul “programma minimo” e sul “programma di sviluppo”.
Negli anni sessanta del secolo scorso, la psicologia comportamentista concentra la sua
attenzione sull’aspetto cognitivo della persona, sviluppando nuovi percorsi in grado di
superare alcuni convincimenti legati ai “bisogni” ed agli interessi degli alunni attraverso
l’istruzione programmata. I tempi ed i ritmi di apprendimento sono scanditi da contesti
ambientali, dalle pratiche didattiche, dalle dinamiche emotive ed affettive. Negli anni
’70, si imposero le teorie della programmazione curricolare e le pratiche delle strategie
del rinforzo, non soltanto in Italia, ma in Europa. Dietro alle pratiche curriculari vi è la
tesi secondo cui più la scuola razionalizza il processo di insegnamento-apprendimento,
maggiore sarà la qualità della prestazione degli alunni, arginando così il fenomeno della
dispersione scolastica e la stessa marginalizzazione della scuola nel comune sentire
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delle nuove generazioni e della società diffusa. Questa linea di tendenza è stata
supportata dalla strategia del rinforzo, che si è tradotta nella moltiplicazione delle
occasioni di apprendimento, nella dilatazione del tempo scuola, nell’accumulo di
nozioni, nel potenziamento delle esercitazioni. Gli orientamenti della scuola nell’ultimo
quarto di secolo hanno, comunque, garantito orientamenti in senso personalizzante,
modificando una prassi scolastica che offriva a tutti lo stesso ti tipo di insegnamento e
promuovendo una scuola capace di dare impulso alla socializzazione.
I limiti dell’insegnamento individualizzato possono essere ricercati, in modo molto
sintetico, nei seguenti aspetti:
a) una concezione dell’apprendimento limitativa. Apprendere non vuol dire soltanto
risolvere problemi di adattamento, la conoscenza ha anche una dimensione
contemplativa.
b) Una sostanziale disattenzione per la dimensione valoriale dell’apprendimento. Le
conoscenze e le abilità dell’alunno, invece, hanno una dimensione morale e sociale
inscindibile dal processo di apprendimento e connotano – come sostiene Martinelli - la
persona, suscitando dinamiche affettive che coinvolgono il soggetto nella sua
integralità.
c) I ritmi di apprendimento non dipendono soltanto dalle leggi dello sviluppo
dell’intelligenza, ma – come teorizzato da Bruner – dai contesti ambientali, dalle
pratiche didattiche, dalla gestione delle dinamiche affettive.
L’educazione personalizzata è un sistema che sollecita e favorisce l’attuazione delle
potenzialità della persona, per consentirle di sviluppare le sue peculiarità in direzione
del progetto di vita costruito con coscienza e dignità. Nel nostro Paese, la
personalizzazione ha avuto importanti ed originali sviluppi per merito degli studi sulla
metacognizione a partire dai lavori di Flavell. Un riferimento su tutti è il contributo di
Cornoldi e di Pellerey sulla necessità di differenziare le strategie di apprendimento nel
rispetto degli stili cognitivi, delle diverse intelligenze e delle competenze metacognitive
degli alunni. In conclusione, penso che anche la prassi pedagogica dell’integrazione
degli alunni diversabili, che dalla legge 517/77 in avanti caratterizza la civiltà del nostro
Paese, sia una forma di personalizzazione dell’attività educativa, che - come sostiene
Dario Janes23, occorrerebbe estendere a coloro i quali, pur non essendo soggetti
certificabili, vivono situazioni di esclusione sociale che richiedono un insegnamento
sensibile alle differenze e centrato sulla persona.
23
Ianes, D., (2005) Didattica speciale per l’integrazione, Erickson, Trento.
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