UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA INTERFACOLTA' DI MEDICINA E CHIRURGIA, PSICOLOGIA E SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN EDUCAZIONE PROFESSIONALE nei servizi sanitari Relazione finale: Il disturbo negato. L'Educatore Professionale nel trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare. Relatore Prof. Paolo Santonastaso Laureanda Patrizia Reato matricola 558051 Correlatrice Dott.ssa Tatiana Zanetti Anno Accademico 2008/2009 1 Ai miei tre genitori speciali Indice generale Premessa..............................................................................................................................................4 I Disturbi del Comportamento Alimentare..........................................................................................6 1.1 Introduzione............................................................................................................6 1.2 Anoressia Nervosa..................................................................................................9 1.3 Bulimia Nervosa...................................................................................................10 1.4 Disturbi dell'Alimentazione Non Altrimenti Specificati......................................11 1.5 I DCA come crisi evolutiva? Il modello di Erin H. Erikson.................................13 1.6 La famiglia............................................................................................................15 Èquipe e tipologie di strutture per il trattamento dei DCA...............................................................18 2.1 Tappe fondamentali nel trattamento dei DCA secondo l'APA.............................18 2.2 L'équipe e il trattamento multidisciplinare...........................................................18 2.3 Strutture a componente prevalentemente sanitaria...............................................20 2.4 Strutture a carattere prevalentemente socio-riabilitativo......................................24 Ruolo dell'Educatore Professionale nel percorso di cura di soggetti con DCA................................28 3.1 Le direttive legislative sulla figura dell'Educatore Professionale.........................28 3.2 I fondamenti teorici dell'agire educativo..............................................................29 3.3 Funzioni dell'Educatore nei Servizi per Disturbi del Comportamento Alimentare33 3.4 L'esperienza della Comunità Terapeutica Residenziale Silesia di Vicenza..........35 3.5 Il possibile ruolo dell'Educatore Professionale nel Centro Provinciale/Regionale e nei Servizi ambulatoriali per i DCA .............................................................................................36 3.6 Metodologie dell'Educatore Professionale nei DCA ...........................................38 3.7 Gli strumenti dell'Educatore professionale nei DCA............................................45 Progettazione di un Centro Diurno ...................................................................................................50 4.1 La struttura del Centro Diurno .............................................................................50 4.2 Il progetto..............................................................................................................50 4.3 Ideazione e attivazione..........................................................................................50 4.4 Progettazione.........................................................................................................53 4.5 Valutazione del progetto.......................................................................................61 Conclusioni........................................................................................................................................64 Bibliografia .......................................................................................................................................66 Sitografia ..........................................................................................................................................70 Ringraziamenti..................................................................................................................................72 Premessa Il tema di questa tesi, relativo al ruolo dell’Educatore Professionale all'interno del trattamento dei DCA, nasce dall'esperienza di studio e tirocinio presso due servizi per il trattamento dei DCA: il Centro Regionale per i Disturbi del Comportamento Alimentare di Padova e la Comunità Terapeutica Residenziale Silesia a Vicenza. Il contatto con pazienti e associazioni è il nucleo di partenza di questo lavoro. Verrà infatti evidenziata l'importanza della persona nella sua interezza, oltre la patologia alimentare. Le riflessioni che tratteremo in questa tesi partono da una esperienza sul campo, incontri con persone che si occupano di DCA, pazienti e associazioni. Tali incontri mi hanno permesso di ascoltare le difficoltà e le necessità di chi si scontra quotidianamente con questi disturbi. Gli incontri sono stati fondamentali per collocare la mia proposta di intervento con coerenza rispetto al problema e alla rete territoriale di servizi già attivi. Nel primo capitolo illustreremo i criteri diagnostici dei DCA, la loro diffusione e la manifestazione sintomatologica. Il primo capitolo si pone come base dell'intervento educativo, l'educatore deve infatti prendere coscienza delle caratteristiche della patologia per potersi muovere consapevolmente verso obiettivi possibili e raggiungibili nel percorso di cura. Il secondo capitolo sarà dedicato ad una breve panoramica sulle tipologie di strutture sancite dalla legge italiana per realizzare percorsi di cura per soggetti affetti da DCA. Il terzo capitolo si propone di ipotizzare il ruolo dell'Educatore Professionale nelle diverse strutture trattate nel capitolo precedente. Nel quarto ed ultimo capitolo verrà illustrato un possibile progetto di Centro Diurno per pazienti affette da DCA. Capitolo 1 I Disturbi del Comportamento Alimentare 1.1 Introduzione I Disturbi del Comportamento Alimentare (di seguito DCA) sono disturbi psichiatrici complessi, in cui il soggetto vive un rapporto alterato con il proprio corpo e con il cibo. 1 Vengono distinti e definiti dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali2 (DSM) i seguenti disturbi alimentari: Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa, Disturbi Alimentari Non Altrimenti Specificati (NAS). Questi disturbi sono diffusi soprattutto nel sesso femminile, tra le adolescenti e le giovani donne 3. L'età di insorgenza dei disturbi alimentari è generalmente quella adolescenziale e negli ultimi anni è stata evidenziata una tendenza ad abbassarsi fino a preadolescenza.4 Si presentano inoltre casi di insorgenza nella fascia adulta5. Solo una minoranza dei casi clinici si rivolge ad una struttura terapeutica, dove vengono diagnosticati e trattati i disturbi alimentari. Molti casi non contattano le strutture e non rientrano nel campione clinico utilizzato per le ricerche6. Alcune categorie di soggetti sono ritenute a più alto rischio di sviluppare un DCA, si evidenzia infatti come i disturbi dell'alimentazione siano diffusi maggiormente nei Paesi industrializzati, soprattutto nelle aree urbane7. Vengono ritenute particolarmente a rischio le atlete, le studentesse e le danzatrici.8 La diagnosi lifetime di disturbi alimentari, nella fascia femminile tra 18-25 anni, è del 2% per l'Anoressia Nervosa, del 4,4% per la Bulimia Nervosa, del 4,7% per i disturbi NAS e dello 0,6% per il Binge Eating Disorder.9 La fascia d’età più a rischio per l’insorgenza di DCA rientra tra i 15 e i 25 anni.10 Nel 90-95% dei casi il disturbo alimentare inizia con una restrizione calorica11. L'età di insorgenza dell'AN, generalmente, si colloca nella preadolescenza e nell'adolescenza12. 1 Santonastaso P., Capitolo 14. Disturbi dell'alimentazione, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, pp.319-335 2 Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders IV (DSM IV): Manuale utilizzato nel contesto internazionale per la diagnosi categoriale di disturbi mentali. 3 Santonastaso P.; Favaro A., Disturbi dell’alimentazione, p.5 4 Favaro A.; Caregaro L.; Tenconi E.; Bosello R.; Santonastaso P, Time trends in age of onset of anorexia nervosa and bulimia nervosa,Journal of Clinical Psychiatry, pp.1715-1721 5 Luxardi G.L.; Tisiot C. (a cura di), Anoressia, Bulimia e Co. Fuori dal tunnel, p.9 6 Santonastaso P.; Favaro A., Disturbi dell’alimentazione, p.21 7 Favaro A.; Ferrara S.; Santonastaso P., The Spectrum of Eating Disorders in Young Women: A Prevalence Study in a General Population Sample, 2002 8 Santonastaso P., Capitolo 14. Disturbi dell'alimentazione, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, p. 320 9 Favaro A.; Ferrara S.; Santonastaso P., The Spectrum of Eating Disorders in Young Women: A Prevalence Study in a General Population Sample, 2002 10 Favaro A.; Santonastaso P., Anoressia & Bulimia. Guida pratica per genitori, insegnanti e amici, pp.36 11 Ivi, p.56 12 Favaro A.; Caregaro L.; Tenconi E.; Bosello R.; Santonastaso P, Time trends in age of onset of anorexia nervosa and bulimia nervosa,Journal of Clinical Psychiatry, pp.1715-1721 Hilde Bruch riporta casi clinici di pazienti nei quali il calo ponderale è iniziato all'età di undiciquattordici anni.13 Riguardo il decorso dell'AN la maggior parte degli studi rileva che una percentuale superiore al 50% dei casi presenta una remissione di sintomi mentre il 10-20% dei soggetti è intrattabile e diventa cronico. Non è infrequente il passaggio dall’AN alla BN. La mortalità, conseguente alle complicanze della denutrizione o al suicidio, risulta del 5,6% per decade.14 L'insorgenza di Bulimia Nervosa e BED avviene, solitamente, in un periodo più tardivo: nella tarda adolescenza o all'inizio della terza decade. I dati relativi all'età di insorgenza del BED sono molto variabili per la possibilità di riscontrare le crisi bulimiche nell'infanzia, nell'adolescenza e nella tarda età adulta15. Il 25% dei casi di BN inizialmente esordisce come AN16. Le caratteristiche psicologiche che si possono riscontrare tra i soggetti con DCA sono: il perfezionismo, la mancanza di autostima, la depressione, le difficoltà interpersonali, la paura di crescere, l'atteggiamento di protesta e sfida, la presenza di situazioni sociali e familiari negative.17 Il modello eziopatogenetico dei DCA più accreditato è quello multifattoriale secondo il quale non esiste un'unica causa, ma vi sono più fattori che concorrono all’insorgenza di questi disturbi.18 I fattori coinvolti possono essere suddivisi in predisponenti, precipitanti e di mantenimento. I primi sono fattori di rischio: possono infatti favorire lo sviluppo di un DCA, costituendo una sorta di "terreno fertile". I secondi, in persone già predisposte, possono “scatenare” e far esordire il disturbo. I terzi tendono a mantenere il disturbo.19 Tra i fattori di rischio possiamo annoverare fattori genetici, biologici, ambientali, culturali e psicologici. L'importanza dei fattori genetici è emersa da alcuni studi sui gemelli e parenti di primo grado di pazienti. Sono state inoltre formulate alcune ipotesi sull'influenza, nel disturbo anoressico, delle complicanze mediche nello sviluppo perinatale.20 Tra i fattori psicologici che predispongono i DCA rientrano il perfezionismo, la bassa autostima e l’insoddisfazione corporea. Tra i fattori socioculturali l'influenza della moda, la pressione alla magrezza e la competitività 13 Bruch H., La gabbia d'oro. L'enigma dell'anoressia mentale 14 Dalle Grave R., Terapia della famiglia. Modulo aggiuntivo della terapia cognitivo comportamentale dei disturbi alimentari, p.19 15 Santonastaso P.; Favaro A., Disturbi dell'Alimentazione, p.19 16 Dalle Grave R., op.cit, p.19 17 Favaro A.; Santonastaso P., Anoressia & Bulimia. Guida pratica per genitori, insegnanti e amici, pp.77-87 18 Santonastaso P., Capitolo 14. Disturbi dell'alimentazione, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, pp. 320-322 19 Favaro A.; Santonastaso P., Anoressia & Bulimia. Guida pratica per genitori, insegnanti e amici, p.38 20 Favaro A.; Tenconi E.; Santonastaso P., Perinatal factors and the risk of developing anorexia and bulimia nervosa. Archives of General Psychiatry, 63, 2006, pp.82-88 sembrano avere ruolo importante.21 Anche la depressione può essere un fattore predisponente.22 I fattori precipitanti possono comprendere eventi traumatici per il soggetto, come esperienze di perdita (es: lutti), abusi fisici, separazione dai genitori, cambiamento di casa o scuola, conflitti familiari e l’insorgenza di malattie con calo ponderale. La restrizione dietetica rappresenta uno dei fattori scatenanti principali. Una volta insorto il disturbo, i sintomi stessi tendono ad automantenersi come per esempio, nel ciclo vizioso “crisi bulimica-vomito-digiuno”. L'insoddisfazione corporea e la conseguente restrizione per ottenere un miglioramento dell'autostima (attraverso il dimagrimento), le reazioni di familiari e dell’ambiente all'insorgenza del DCA sono fattori che possono favorire il mantenimento del disturbo alimentare stesso.23 I soggetti con DCA hanno difficoltà a riconoscere di avere un disturbo e quindi a richiedere el cure adeguate. Da uno studio sulle pazienti afferenti al Servizio per i Disturbi Alimentari dell'Azienda Ospedaliera di Padova (senza precedenti trattamenti), è risultato che la durata del DCA prima che un soggettop arrivi a chiedere aiuto è in media di 23,9 mesi per l'anoressia restrittiva, 42,6 mesi per l'anoressia con condotte di eliminazioni/crisi bulimiche, 40,5 mesi per la bulimia con condotte di eliminazione e di 35,9 mesi nel caso di bulimia senza condotte di eliminazione.24 Nei DCA la comorbilità con altri disturbi psichiatrici è molto elevata. Uno studio condotto su pazienti ospedalizzate ha rilevato che solo il 23% delle pazienti anoressiche ospedalizzate non aveva una diagnosi lifetime di comorbilità sull'asse I o I25. In pazienti anoressiche la comorbilità si presenta più frequentemente nel sottogruppo con condotte di eliminazione. I disturbi associati all'AN sono depressione maggiore, dipendenza da alcool o sostanze psicotrope, disturbo ossessivo compulsivo, fobia sociale, disturbo di panico e disturbi di personalità. Nella maggioranza dei casi la comorbilità diminuisce con il recupero del peso26. Tra le caratteristiche cliniche delle pazienti anoressiche si riscontrano spesso depressione, irritabilità, comportamenti impulsivi e di ansia, ossessioni per il cibo e per i momenti del pasto, ma anche per corpo e bilancia.27 Nelle pazienti bulimiche può esserci comorbilità con disturbi depressivi, disturbi dell'umore, 21 Santonastaso P., Capitolo 14. Disturbi dell'alimentazione, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, pp. 321 22 Favaro A.; Santonastaso P., Anoressia & Bulimia. Guida pratica per genitori, insegnanti e amici, p.44 23 Ivi, pp.38-39 24 Santonastaso P.; Favaro A., Disturbi dell’alimentazione p.21 25 Ivi, p.13 26 Santonastaso P., Capitolo 14. Disturbi dell'alimentazione, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, pp.322-330 27 Favaro A.; Santonastaso P., Anoressia & Bulimia. Guida pratica per genitori, insegnanti e amici, pp.21-27 disturbi d'ansia, fobia sociale, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo di panico, disturbi di personalità. Circa un terzo delle pazienti ha avuto una storia di abuso o dipendenza da sostanze 28. Il disturbo dell'umore è presente in più del 50% delle pazienti29. Anche nei soggetti bulimici si riscontrano depressione, comportamenti impulsivi, ansia, insoddisfazione per il peso e la forma del corpo e sensazioni di vergogna per le crisi bulimiche. Comportamenti spesso presenti i soggetti con bulimia multimpulsiva sono la cleptomania, la promiscuità sessuale, l'espressione del disprezzo per il proprio corpo, gli agiti autoaggressivi30. I tentativi di suicidio e gli agiti autoaggressivi sono più frequenti nel sottogruppo con comportamenti di eliminazione31. Vengono illustrati di seguito i criteri diagnostici dei Disturbi del Comportamento Alimentare secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) IV, manuale redatto dall'American Psychiatric Association (APA) e utilizzato per la diagnosi di tali disturbi. 1.2 Anoressia Nervosa Criteri diagnostici per l'Anoressia Nervosa (AN): 1. rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo normale per età e statura (ad esempio un perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell'85 % di quello previsto; oppure, durante il periodo della crescita, incapacità di realizzare un aumento di peso, con la conseguenza che il peso corporeo resta al di sotto dell'85% di quello previsto). 2. Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi anche quando si è sottopeso. 3. Disturbo del modo in cui il soggetto ha esperienza del proprio peso e delle forma del proprio corpo sulla valutazione di sé stessi (autostima) o negazione della gravità del proprio sottopeso. 4. Nelle donne dopo il menarca, amenorrea, cioè un'assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi. Vengono distinte due forme di anoressia: anoressia restrittiva (restincting type) e anoressia con crisi bulimiche e/o comportamenti di eliminazione (binge eating/purging type). La prima forma è caratterizzata dal dimagrimento dovuto a digiuno e rifiuto del cibo e, talvolta, ad eccessivo esercizio fisico. Nella seconda forma si possono presentare perdite di controllo oggettive e soggettive sul 28 Santonastaso P.; Favaro A., Disturbi dell’alimentazione, p. 17 29 Santonastaso P., Capitolo 14. Disturbi dell'alimentazione, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, pp.331-332 30 Santonastaso P.; Favaro A., Disturbi dell’alimentazione, p.16 31 Santonastaso P., Capitolo 14. Disturbi dell'alimentazione, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, p.332 cibo, seguite da comportamenti compensatori quali vomito, uso inappropriato di lassativi o diuretici.32 Nella pratica clinica, per valutare la paziente in relazione al criterio del peso, viene calcolato l'indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI, che corrisponde al peso, espresso in chilogrammi suddiviso per il quadrato dell’altezza espressa in metri). Il criterio diagnostico sopramenzionato viene soddisfatto per valori di BMI uguali o inferiori a 17.533. E' necessario sottolineare la differenza tra Anoressia Nervosa e altre patologie che presentano caratteristiche comuni ma non soddisfano i criteri per la diagnosi di tale disturbo. La diagnosi differenziale si riferisce a patologie gastroenteriche, carcinomi occulti, AIDS, depressione maggiore, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Fobia Sociale, Disturbo da Dismorfismo Corporeo. Nelle situazioni elencate il soggetto presenta solo alcune caratteristiche tipiche dell'AN, come il calo di peso, i rituali e le ossessioni relative al cibo e al cibarsi o la preoccupazione per il proprio corpo34. Le complicanze mediche che possono insorgere nella storia di AN colpiscono più apparati e funzioni. Possono essere presenti complicanze ematologiche, metaboliche, cardiovascolari, renali, endocrine, neurologiche, muscoloscheletriche, gastrointestinali35. 1.3 Bulimia Nervosa Criteri diagnostici per la Bulimia nervosa (BN): 1. Ricorrenti crisi bulimiche (o abbuffate). Una crisi bulimica è definita dalle seguenti caratteristiche: • introduzione in un definito periodo di tempo (per esempio di due ore), di una quantità di cibo che è decisamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbero nello stesso periodo di tempo e nelle stesse circostanze. • Sensazione di perdita di controllo su quello che si mangia durante l'episodio (per esempio la sensazione di non poter smettere di mangiare e di non poter controllare cosa e quanto si mangia). 2. Ricorrenti comportamenti compensatori inappropriati allo scopo di prevenire l'aumento del peso, come il vomito autoindotto, l'uso improprio di lassativi, diuretici, clisteri o altri farmaci, il digiuno, l'eccessivo esercizio fisico. 32 Favaro A.; Santonastaso P., Anoressia & Bulimia. Guida pratica per genitori, insegnanti e amici 33 Santonastaso P.; Favaro A., Disturbi dell’alimentazione, p. 11 34 Martin A.; Santonastaso P., Educazione professionale in medicina e psichiatria, pp-185-186 35 Santonastaso P., Capitolo 14. Disturbi dell'alimentazione, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, p.324 3. Le crisi bulimiche e i comportamenti compensatori inappropriati avvengono entrambi, in media, almeno due volte alla settimana per tre mesi. 4. La stima di sé è eccessivamente influenzata dal peso e dalla forma del corpo. 5. Il disturbo non si presenta esclusivamente durante episodi di Anoressia Nervosa. I due diversi sottotipi della bulimia nervosa sono: bulimia nervosa con condotte di eliminazione (purging type) e senza condotte di eliminazione (non purging type). Durante l'episodio attuale di BN, a seguito delle crisi bulimiche, nel primo sottotipo il soggetto presenta regolarmente vomito autoindotto, abuso di diuretici, lassativi e clisteri. Nel secondo sottotipo, invece, il soggetto presenta altri comportamenti compensatori inappropriati, come il digiuno o l'eccessivo esercizio fisico, ma non presenta regolarmente vomito autoindotto, abuso di diuretici, lassativi o clisteri36. Il vomito è il metodo più diffuso, nelle pazienti affette da BN purging type, per controllare il peso37. Nel caso di BN la diagnosi differenziale si pone rispetto ad AN con condotte di eliminazione, depressione atipica con iperfagia, Sindrome di Prader Willi, Disturbo Bordeline di Personalità38. Le complicanze mediche si collegano ai comportamenti di eliminazione e vomito. In relazione al vomito possono presentarsi disidratazione, ipocloremia e squilibri elettrolitici con livelli di potassio molto bassi, tali da provocare alterazioni del ritmo cardiaco. Il vomito può portare ad alcalosi metabolica, mentre i lassativi possono provocare acidosi metabolica, ipotensione e tachicardia. Possono presentarsi rigonfiamento delle parotidi, reflusso gastroesofageo, erosione dello smalto dentario e carie. Raramente compaiono dilatazione acuta dello stomaco e lacerazioni esofagee.39 Il disturbo è autoperpetuante e le pazienti arrivano alla prima consultazione molto tardi, mediamente dopo cinque anni dall'esordio. Dopo 5-10 anni dalla consultazione il 30-50% dei soggetti ha ancora il disturbo.40 1.4 Disturbi dell'Alimentazione Non Altrimenti Specificati I Disturbi dell'Alimentazione Non Altrimenti Specificati (DCA NAS) sono DCA in cui non sono soddisfatti tutti i criteri diagnostici dell’AN e della BN o disturbi sottosoglia.41 36 Ivi, p.333 37 Santonastaso P.; Favaro A., Disturbi dell’alimentazione, p. 15 38 Martin A.; Santonastaso P., op.cit., p.194 39 Santonastaso P.; Favaro A., Disturbi dell’alimentazione, p.17 40 Dalle Grave R., op.cit., p.19 41 Martin A.; Santonastaso P., op.cit., p.185 Tra i Disturbi Alimentari Non Altrimenti Specificati è inserito il Disturbo da Alimentazione Incontrollata o Binge Eating Disorder (BED)42 descritto dai seguenti criteri diagnostici: 1. Episodi ricorrenti di alimentazione incontrollata. Un episodio di alimentazione incontrollata si caratterizza per la presenza di entrambi i seguenti elementi: • mangiare, in un periodo definito di tempo (per esempio di due ore) un quantitativo di cibo che è decisamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo e nelle stesse circostanze. • Sensazione di perdita di controllo su quello che si mangia durante l'episodio (per esempio la sensazione di non poter smettere di mangiare o di non poter controllare cosa e quanto si mangia). 2. Gli episodi di alimentazione incontrollata sono associati a tre (o più) dei seguenti sintomi: • mangiare molto più rapidamente del normale • mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni • mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati • mangiare da soli a causa dell'imbarazzo per quanto si sta mangiando • sentirsi disgustati verso sè stessi, depressi, o molto in colpa dopo le crisi bulimiche. 3. È presente marcato disagio riguardo il mangiare incontrollato 4. Il comportamento alimentare incontrollato si manifesta, mediamente, almeno per due giorni alla settimana in un periodo di 6 mesi. 5. L'alimentazione incontrollata non risulta associata all'utilizzazione sistematica di comportamenti compensatori inappropriati (uso di lassativi, vomito autoindotto, digiuno e iperattività fisica), e non si verifica esclusivamente in corso di Anoressia Nervosa e di Bulimia Nervosa. L'abbuffata può presentarsi come grignotage, termine francese che indica un'assunzione di alimentazione continua durante l'intero arco della giornata43. L'obesità non è una caratteristica necessaria per la diagnosi di BED, tuttavia essa è spesso presente in tale situazione poiché gli episodi di crisi bulimiche non sono seguiti da metodi di compenso. Nel 2-3% dei soggetti obesi viene riscontrato un Disturbo da Alimentazione Incontrollata e la probabilità che questo sia presente aumenta al crescere del valore del BMI44. 42 Ivi, p.183 43 Luxardi G.L.; Tisiot C. (a cura di), Anoressia, Bulimia e Co. Fuori dal tunnel, p.17 44 Ibidem Le possibili conseguenze a livello metabolico, osteo-articolare e relative alla guarigione di ferite in soggetto con BED sono collegate alla presenza di obesità45. 1.5 I DCA come crisi evolutiva? Il modello di Erin H. Erikson Poiché l'età di esordio dei DCA è iscrivibile in una precisa fascia d'età della vita, è interessante considerare quali crisi e compiti evolutivi il soggetto deve affrontare. Erik H. Erikson nella teoria dello sviluppo psicosociale (1964) attribuisce ad ogni fascia d'età uno stadio caratterizzato dalla ricerca dell'equilibrio tra due tensioni opposte, definito “equilibrio dei contrari”46. Lo sviluppo del soggetto, dalla nascita alla morte, è un percorso che attraversa diversi stadi mediante i quali viene acquisita l'identità personale e originale. Il vissuto di malattia, la percezione e l'interpretazione della propria situazione sono legate all'età del soggetto. Le crisi evolutive rappresentano la ricerca di mediazione, tra due opposti, nel confronto con la realtà. La risoluzione del conflitto permette di acquisire le virtù, forze umane o qualità dell'io, che saranno utili nell'affrontare le crisi successive. "Superando, esperienza dopo esperienza, le crisi evolutive ineludibili, ogni essere umano è in grado di raggiungere quelle qualità che determinano la sua possibilità di agire autonomamente e responsabilmente nel mondo"47. Ogni crescita evolutiva permette l'acquisizione di nuove qualità che ristrutturano gli stadi precedentemente già sviluppati e quelli futuri da sviluppare. Consideriamo qui solo su due fasce d'età (adolescenza e giovinezza) che sono significative rispetto ai disturbi trattati, perché rappresentano le età in cui questi sono maggiormente frequenti. Le antitesi che il soggetto sperimenta nei due stadi nominati sono riassunte nella tabella 1. Tabella 1: Gli stadi dell'Adolescenza e della Giovinezza nel modello Eriksoniano Età Stadio 12-18 anni Adolescenza Antitesi evolutive Virtù da acquisire Interlocutore privilegiato Identità/ Confusione di ruoli Fedeltà Gruppi di coetanei e gruppi esterni, modelli di guida Amore Partner sessuali e amici 19-25 anni Giovinezza Intimità-solidarietà/ Isolamento L'adolescenza, stimola l'adesione ideologica a valori di ordine religioso, intellettuale, politico e di adattamento ai modelli di successo diffusi. 45 Santonastaso P.; Favaro A., Disturbi dell'Alimentazione, p. 20 46 Bobbo N., La persona e il suo vissuto di malattia: l'approccio educativo, p. 35 47 Bobbo N., Bambini in ospedale. Riflessione pedagogiche e prospettive educative, p.42 Nell'adolescenza la fedeltà rappresenta la capacità di fiducia negli altri, e, nel contempo, l'esser degni di fiducia da parte degli altri e il poter impiegare tutta la lealtà per una causa. Atteggiamenti di spavalderia e insicurezza deriveranno dal mancato consolidamento del senso di fiducia in sé stessi. Erikson riferendosi al rapporto dell'adolescente con i modelli esterni scrive: "Dato che la fedeltà trasferisce il bisogno di guida dalle figure parentali a quelle di capi e di altri idealizzati consiglieri, essa accetta volentieri la loro mediazione ideologica sia nel caso che l'ideologia sia quella implicita in un qualche "modello di vita", sia che assuma la forma di un'esplicita militanza".48 La confusione dell'identità è una delle due antitesi che caratterizzano questo stadio. È un'esperienza comune a tutti gli individui, ma può sconfinare nel patologico e portare a fenomeni regressivi49. Il rifiuto del ruolo si contrappone alla virtù della fedeltà. L'adolescente che rifiuta il suo ruolo adotta un atteggiamento di diffidenza o di sfida. La presenza di un atteggiamento di sfida sottolinea la perversa tendenza del soggetto ad un'identità negativa. Nei casi in cui la persona non trovi possibili alternative a tale atteggiamento, offerte dalla società, può arrivare a regressioni verso situazioni conflittuali dell'infanzia per cercare di far rinascere il proprio Sé. Il rifiuto del ruolo, non adottato come modalità sistematica, ma inteso come elemento presente, fa parte della formazione dell'identità. La disponibilità di molti ruoli richiede che il soggetto ne scelga alcuni e ne accantoni altri: in questo senso il rifiuto di un ruolo può contribuire alla creazione dell'identità. La costante mutazione di circostanze sociali rende necessaria la capacità di mutamento e totale rinnovamento dell'identità, permettendo l'evoluzione psicosociale. Le ritualizzazioni delle interazioni tra coetanei e piccoli gruppi sono molto varie e abbozzano i primi tentativi di impegno nella ricerca di conferme ideologiche. La ricerca di conferme, portata all'estremo, può condurre verso comportamenti di fanatica partecipazione a forme di rituali totalitari, con il rischio di investimento in un'immagine del mondo unica e illusoria, perdendo così la possibilità di autorinnovamento. Nella Giovinezza la persona affronta una fase di definizione dell'identità professionale. Decisioni importanti che il soggetto vive a questa età sono la scelta degli studi universitari o del lavoro, scelte importanti per il suo futuro. Inizia in questa fase la sperimentazione delle relazioni intime e delle relazioni amicali e il soggetto non vive queste esperienze rischia l'isolamento dai coetanei. Questo allontanamento dagli altri giovani può impedire al ragazzo di sperimentare l'amare e l'amarsi, con conseguente impossibilità di acquisire la virtù dell'amore che caratterizza lo stadio. La maggiore età appena compiuta simboleggia per il giovane una nuova autonomia da rivendicare: 48 Erikson E., op.cit., p. 93 49 Ivi, pp.77 -93 è il tempo dei primi lavori, del divertimento, della spensieratezza, delle aspettative, dei desideri e delle frustrazioni. La tendenza a perseguire gli obiettivi a cui aspira, rende il soggetto poco attento alle conseguenze negative delle sue azioni. Nell'ultima colonna della tabella 1 sono riportati gli interlocutori privilegiati del soggetto nei diversi stadi. Nel corso dello sviluppo il soggetto si apre sempre più alle relazioni sociali e tale processo si snoda attraverso le relazioni con il nucleo familiare, i coetanei, i partner sessuali, i figli, i colleghi, gli amici e termina con i legami, nella vecchiaia, instaurati con i figli e le nuove generazioni (es: nipoti). Situazioni patologiche rimangono invece aderenti a schemi di relazione privilegiata con figure non appartenenti al loro stadio di crescita, avviando rapporti morbosi e di dipendenza. 1.6 La famiglia Poiché i DCA hanno il loro esordio generalmente nell’età adolescenziale, e l’età d’esordio, nel tempo, tende ad abbassarsi50 la famiglia risulta fortemente coinvolta nel disturbo. Le caratteristiche stesse di un DCA mettono “a dura prova” la pazienza dei famigliari che spesso non sanno come gestire la malattia. Si possono sviluppare a seguito dell’insorgenza di un DCA delle dinamiche famigliari disfunzionali, che vale la pena riconoscere e correggere per evitare o arginare il processo di perpetuazione del problema. E’ importante che i genitori e i familiari delle pazienti conoscano le caratteristiche del Disturbo Alimentare per poter aiutare adeguatamente i soggetti a migliorare. Il DCA deve essere interpretato come una malattia, non come una scelta personale né come una mancanza di volontà della figlia. Le persone affette da DCA hanno scarso controllo sulla malattia, per questo devono essere supportate e aiutate a sconfiggerla e i familiari possono dare un grande aiuto in questo senso. Frequenti sono gli atteggiamenti di critica da parte dei genitori verso la figlia quando mette in atto comportamenti tipici dei DCA. All'opposto di quanto sperato dai genitori, queste critiche non aiutano la figlia ad evitare comportamenti patologici, anzi portano allo sviluppo di un clima familiare disfunzionale, favorente una scarsa risposta al trattamento, mantenimento e aggravamento del disturbo. Atteggiamento terapeuticamente essenziale da parte dei genitori è invece l'accettazione incondizionata della figlia. 51 La causa dei DCA è, come abbiamo già specificato, multifattoriale. Nonostante ciò spesso la 50 Favaro A.; Caregaro L.; Tenconi E.; Bosello R.; Santonastaso P, Time trends in age of onset of anorexia nervosa and bulimia nervosa,Journal of Clinical Psychiatr,pp.1715-1721 51 Dalle Grave R., op.cit., p.9 famiglia si sente l'unica responsabile della malattia e vive intensi sensi di colpa. Informare i genitori dell'eziopatogenesi dei DCA può essere utile per supportarli nell'interpretare correttamente la situazione. Sarà importante chiarire ai genitori che esistono alcuni fattori predisponenti generici (come abbiamo visto in precedenza) e altri fattori predisponenti che sono invece specifici del comportamento familiare. Questi possono mettere la paziente in una situazione di rischio, e sono: • membro della famiglia a dieta • critiche dei familiari su alimentazione, peso, forme corporee • commenti ripetuti di altri su alimentazione, peso, forme corporee • obesità genitori (BN) • obesità personale nell'infanzia (BN) • frequentazione di ambienti che enfatizzano la magrezza (es.danza, moda, sport, ecc.) • Disturbi dell'Alimentazione nei genitori o in altri parenti Sebbene non esista una tipologia specifica dei familiari di pazienti con DCA, vi sono però delle dinamiche che frequentemente vengono riscontrate come l’iperprotettività, l’invischiamento, l’ipercoinvolgimento emotivo, la mancanza di flessibilità, la scarsa capacità di risolvere conflitti. Genitori che adottano dinamiche di iperprotettive tenderanno a controllare tutti gli aspetti della vita del figlio per proteggerlo. Il genitore protegge il figlio dal mondo esterno come fosse una minaccia. I genitori cercano di evitare così ogni turbamento per il figlio e questi non può, inglobato in questo schema, sperimentarsi nell'affrontare le sfide quotidiane. Non c'è spazio per la responsabilizzazione e l'acquisizione di autonomia, pertanto il soggetto rimane intrappolato nel ruolo di eterno bambino. Un atteggiamento esageratamente emotivo rischia di sommergere la famiglia, essa non riesce a controllarle le emozioni, si sente impotente e fallita. I genitori ipercoinvolti emotivamente hanno la necessità di limitare le loro manifestazioni emotive in relazione alla situazione e ciò può creare in loro impulsività, irritazione, agitazione, insonnia, pianti e rabbia che incidono conseguentemente nella vita familiare. Inoltre modalità di scontro, attuate dal genitore con l'intento di persuadere il figlio con argomentazioni e discorsi possono condurre ad una situazione di perenne litigio. Il genitore può arrivare a litigare e discutere con il figlio per cercare di convincerlo con la sua logica di confronto diretto con la realtà. Conseguenze dirette nella reazione del figlio a tali comportamenti sono la mancanza di fiducia verso i genitori, la mancanza di richiesta del loro supporto, la sensazione di non sentirsi capito e l'attuazione di comportamenti aggressivi. L'adozione di modalità emotivamente fredde provoca nel figlio la sensazione di non sentirsi amato. Nelle famiglie con scarsa capacità di risolvere i conflitti vi è la tendenza ad evitare completamente di parlare e pensare al DCA per lo stress e la paura che tale confronto potrebbe provocare. L'autostima del paziente tende ad abbassarsi per la convinzione che i genitori non lo amino e che siano disinteressati al suo disagio. L'atteggiamento di negazione ed evitamento del DCA può peggiorare il disturbo. La difficoltà di comunicazione tra i membri della famiglia e i livelli di emotività espressa possono contribuire al mantenimento del DCA.52 Il concetto di emotività espressa (EE) dei familiari è stato interesse della psichiatria perché l’iperprotezione, il criticismo e l’ostilità influenzano il corso di vari disturbi e ne predicono le ricadute, incluso il disturbo alimentare in cui l’elevata EE dei familiari ha un forte impatto sull’esito (Schmidt et. al., 2006). L’emotività espressa può essere intesa come la “temperatura emotiva” del clima familiare. Dell’Emotività Espressa sono state evidenziate tre componenti negative (critica, ostilità ed eccessivo coinvolgimento emotivo) e due positive (manifestazioni d’affetto ed osservazioni positive). Le componenti negative contribuiscono al mantenimento del DCA perché favoriscono lo sviluppo di emozioni negative (come rabbia, colpa, vergogna) e sentimenti di autosvalutazione53. La famiglia può essere aiutata a livello terapeutico o con il counseling e la psicoeducazione familiare, che consiste nel fornire informazioni corrette sulla malattia e il suo trattamento o con terapie familiari che forniscono un aiuto aiuto per migliorare le dinamiche familiari per permettere e facilitare, nel figlio, il naturale processo di individualizzazione e separazione. Per soggetti con esordio precoce e breve durata di malattia la terapia familiare sembra essere il trattamento d’elezione dando esiti positivi sia a fine trattamento sia nel follow-up. Anche le famiglie con pazienti con lunga durata di malattia, dove vi è un alto carico familiare, possono beneficiare di un supporto terapeutico. 52 Ivi, p.19-22 53 Ivi, p.49-63 Capitolo 2 Èquipe e tipologie di strutture per il trattamento dei DCA 2.1 Tappe fondamentali nel trattamento dei DCA secondo l'APA L'American Psychiatric Association indica le seguenti tappe fondamentali nel trattamento dei disturbi alimentari54: • diagnosticare e trattare le complicanze mediche • aumentare la motivazione e la collaborazione al trattamento • aumentare il peso corporeo (nell'AN) • ristabilire un'alimentazione adeguata per quantità, qualità e regolarità (psicoeducazione alimentare) • affrontare gli aspetti sintomatologici (dieta, digiuno, vomito, abuso di lassativi, diuretici, iperattività) • correggere i pensieri e gli atteggiamenti patologici riguardo al cibo e al peso • curare i disturbi psichiatrici associati al DCA • cercare la collaborazione e fornire sostegno ed informazioni ai familiari • aumentare il livello di autostima • prevenire le ricadute Il trattamento dei Disturbi Alimentari richiede diverse modalità di cura e diversi livelli di intensità della stessa55. La scelta del trattamento e della struttura per la cura del DCA dipende dalle condizioni cliniche, tra le quali la gravità delle condizioni fisiche, la presenza o l'assenza di gravi complicanze internistiche o psicologiche o di comorbilità psichiatrica, l'ambiente familiare, la durata della malattia e gli esiti di trattamenti precedenti. 2.2 L'équipe e il trattamento multidisciplinare Il trattamento di pazienti con DCA necessita della collaborazione di più professionisti, l'équipe sarà quindi multidisciplinare.56 54 American Psychiatric Association. Practice Guideline for the treatment of patients with eating disorders (revision), American Journal of Psychiatry, 157 55 Decreto della Giunta Regionale n.105/CR del 2009 56 American Psychiatric Association. Practice Guideline for the treatment of patients with eating disorders (revision), American Journal of Psychiatry Il DPR n.105/CR del 14 Luglio 2009 (allegato A) "Progetto Obiettivo Regionale per la Tutela della Salute Mentale (2010-2012)" definisce così il lavoro d'équipe nella tutela della salute mentale: viene favorita una modalità di lavoro partecipata, con adeguata condivisione delle informazioni e degli apporti all'interno delle équipe, garantendo l'effettivo apporto di tutti gli operatori in fase di progettazione, esecuzione e valutazione, operando il superamento della frammentazione57. Seguendo le indicazioni legislative possiamo fare riferimento alla definizione di gruppo fornita da K. Lewin nel 1951, ancora oggi attuale: “Il gruppo è qualcosa di più, o, meglio dire, qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri: ha una struttura propria, fini peculiari, e relazioni particolari con altri gruppi. Quel che ne costituisce l’essenza non è la somiglianza o la dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza. Esso può definirsi una totalità dinamica.”58 Entrando nello specifico del gruppo di lavoro Muti lo definisce come un gruppo di persone che costituiscono un'unità organizzativa di dimensioni ridotte con un certo grado di autonomia gestionale al fine di raggiungere l'obiettivo operativo. Il lavoro di gruppo viene definito dall'autore come il metodo che implica l'esistenza di un obiettivo operativo da conseguire, coordinando l'azione di persone con scopi, bisogni e desideri interdipendenti. L'équipe, in questa prospettiva, viene interpretata come un gruppo di lavoro che utilizza la metodologia del lavoro di gruppo. La capacità di lavorare in gruppo non è scontata né spontanea, ma deve essere acquisita dal professionista; secondo Mucchielli per lavorare in équipe il professionista deve infatti avere capacità di esprimersi e di ascoltare, saper cooperare, organizzare il lavoro, conoscere le dinamiche di gruppo e saperle gestire.59 I membri dell'équipe si occupano dei diversi aspetti del disturbo seguendo il progetto terapeutico individualizzato che l'équipe concorda con ciascuna paziente. La valutazione diagnostica e la relativa diagnosi permettono di attuare l'intervento più adatto al singolo caso. Nel progetto personalizzato, in base alle informazioni raccolte (anamnesi, esami di laboratorio, test psicologici, ecc.), vengono fissati gli obiettivi e le strategie che costituiscono il percorso riabilitativo della paziente. Il progetto personalizzato indica gli obiettivi e le strategie adottate dall'équipe per seguire il soggetto nel percorso di cura. Nel progetto personalizzato, ad esempio, possono rientrare la terapia farmacologica, la terapia psicologica, le condizioni per il ricovero ospedaliero. Gli obiettivi coinvolgeranno l’approccio 57 Decreto del Presidente della Repubblica n.105/CR del 2009 58 Francescato D.; Tomai M., Psicologia di comunità e mondi del lavoro, pp. 17-22 59 Ivi, pp. 92-100 diverso verso il cibo e il proprio corpo, affronteranno le aree della cura di sé, dell'autonomia, della socializzazione, della riabilitazione, della gestione della vita quotidiana (lavoro, scuola, tempo libero), ecc. Il progetto personalizzato viene concordato con la paziente, essa deve essere parte attiva del percorso di cura.60 È importante valutare la motivazione del paziente al cambiamento e al trattamento. A questo proposito Prochaska e Di Clemente hanno individuato diversi stadi nel processo di cambiamento: precontemplazione (inconsapevolezza di avere un problema), contemplazione (fase dell’ambivalenza), preparazione, azione e mantenimento.61 La condivisione, da parte degli operatori, del piano terapeutico richiama l'intento di superare la frammentazione già citato dal "Progetto obiettivo regionale per la tutela della salute mentale (20102012)". La rete di specialisti che possono essere coinvolti nel trattamento di questi disturbi sono: lo psichiatra, lo psicologo, il medico di medicina generale, il dietista, il nutrizionista, l'educatore, l'assistente sociale, l'operatore socio-sanitario, l'infermiere e altre figure specifiche presenti nella struttura. È importante considerare la complessità delle reti relazionali di ogni singola paziente per offrirle un servizio adeguato. I servizi per persone affette da DCA possono avere caratteristiche residenziali, semiresidenziali, ambulatoriali; possono offrire trattamenti individuali o di gruppo, possono essere organizzati con componente sociale e sanitaria di diversa intensità (o l'integrazione delle due). Le tipologie di strutture che tratteremo offrono percorsi di cura differenti secondo la loro strutturazione e specificità. 2.3 Strutture a componente prevalentemente sanitaria All'interno di una struttura di tipo ospedaliero vengono offerti i servizi con maggiore componente sanitaria, quali possono essere le attività del Centro Provinciale/Regionale per i DCA, il servizio ambulatoriale, il ricovero Day Hospital, il ricovero totale, il ricovero nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. 60 Ostuzzi R.; Luxardi G. L., Anoressia e Bulimia. I Disturbi del Comportamento Alimentare. Domande e risposte, p. 149 61 Prochaska JO; Di Clemente CC. Transtheoretical therapy: Toward a more integrative model of change. Psychotherapy: Theory, Research, & Practice, 1982; 19 276-288 2.3.1 Centri Provinciali e Regionali per i DCA Con la DGR n. 3540 del 19 ottobre 1999 "Atto di indirizzo e coordinamento per l’avvio sperimentale di un sistema di interventi in materia di Disturbi del Comportamento Alimentare” nascono i Centri Provinciali e Regionale. La Delibera della Giunta Regionale del Veneto indica le funzioni di ogni Centro provinciale come segue: • Promozione e coordinamento tecnico funzionale, d'intesa con la Regione, delle iniziative in materia di DCA su tutto l'ambito provinciale; • Integrazione dell'attività clinica rivolta ai casi inviati dalle strutture operanti nel proprio ambito provinciale, con particolare riferimento alla definizione diagnostica ed alla gestione terapeutica. Il Centro di Riferimento Provinciale (CPD) per i DCA ha sede all'interno di strutture ospedaliere e aggrega e coordina attività di tipo ambulatoriale, Day Hospital e di ricovero ordinario. […] Deve poter godere di tutti i servizi ospedalieri e anche disporre di terapista motorio e terapista occupazionale62. L'organizzazione dei CPD deve garantire63: • una ubicazione che risponda alle esigenze di integrazione di competenze e infrastrutture per la diagnosi e la cura dei DCA; • la molteplicità di figure professionali, almeno uno psichiatra/neuropsichiatra infantile, un internista/nutrizionista, uno psicologo e un dietista; • la possibilità di collegamento con altre strutture implicate nel trattamento dei DCA; • la disponibilità di risorse strumentali per l'approfondimento diagnostico e la valutazione delle complicanze; • la possibilità di integrare il trattamento specifico individuale con quello di gruppo attraverso programmi di riabilitazione nutrizionale e psicoeducazione alimentare su base cognitivo-comportamentale, nonché con interventi con i familiari (psicoeducazione) e con interventi psicoterapeutici; • la disponibilità di posti letto di Day-Hospital per casi seri di BN e medio-gravi di AN Ai CPD delle Aziende Ospedaliere di Padova e Verona vengono attribuiti compiti di Centri Regionali per i DCA con le ulteriori funzioni: raccolta di dati epidemiologici attraverso la 62 Ibidem 63 Delibera della Giunta Regionale n.3540 del 1999 medicina di base e nelle istituzioni scolastiche; coordinamento tecnico e omogeneizzazione delle iniziative di prevenzione primaria e secondaria; promozione di iniziative per la definizione di linee guida e di protocolli diagnostici, terapeutici e di follow-up; ricerca clinica e biomedica; formazione e aggiornamento del personale medico e non medico; prestazioni e coordinamento di programmi di controllo di qualità; supporto organizzativo alle attività diagnostiche e terapeutiche dei CPD; anagrafe e valutazione delle sperimentazioni cliniche; osservatorio della migrazione sanitaria.64 2.3.2 Servizio ambulatoriale Le attività ambulatoriali svolte all'interno dei CPD fanno riferimento alla DGR n.105/CR del 2009 che stabilisce i compiti degli stessi. Ai presidi ambulatoriali, intra ed extra ospedalieri, viene affidata la presa in carico dell'utente con l'inquadramento diagnostico e la formulazione delle indicazioni ad un trattamento ospedaliero, residenziale, semi-residenziale o ambulatoriale.65 La frequenza degli incontri ambulatoriali è variabile in base al progetto terapeutico. In questa struttura la paziente segue un percorso terapeutico attraverso colloqui con psicologi, psichiatri e dietisti specializzati nella cura dei disturbi alimentari. Il setting viene definito in base agli obiettivi: la cura d’elezione per la maggior parte dei pazienti ambulatoriali con DCA è la Terapia Cognitivo-Comportamentale66, con modalità “time limited” attraverso sedute settimanali. Le visite medico-internistiche, per valutare e monitorare nel tempo la situazione fisica della paziente, costituiscono parte integrante della cura dei DCA. Nel trattamento, oltre alla paziente, anche la famiglia viene coinvolta nel percorso cura. Il trattamento residenziale (in Ospedale o in Case di Cura con reparti dedicati ai DCA) indicato per particolari situazioni psicofisiche e a questo proposito vanno considerati i seguenti fattori:67 64 65 66 67 • entità e rapidità della perdita di peso • comorbilità psichiatrica, suicidialità, impulsività, gravi conflittualità o difficoltà familiari • trattamento dei casi cronici • fallimento trattamento ambulatoriale e/o Day Hospital Ibidem Delibera della Giunta Regionale n.105/CR del 2009 Fairburn C. G., Cognitive Behaviour Therapy and eating Disorders Delibera della Giunta Regionale n.3540 del 1999 • proseguimento terapeutico di un ricovero in una struttura di degenza protetta 2.3.3 Ricovero Day Hospital Ne vengono indicate le funzioni nella DGR n.3540 del 1999 come segue: può svolgere attività di terapia intensiva e di riabilitazione psiconutrizionale, si rivolge a pazienti che non hanno risposto ad un trattamento ambulatoriale, con lunga durata di malattia, con particolari conflittualità ambientali/familiari o nella fase post ricovero68. La Regione Veneto, tra le prime in Italia, ha emanato nel 1999 una Deliberazione contenente un “atto di indirizzo per l’avvio sperimentale di un sistema di interventi in materia di disturbi del comportamento alimentare” che prevedeva la ricognizione dell’esistente, l’attivazione di centri per ogni provincia e che includeva l’obesità nelle priorità in materia di DCA. Secondo tale atto di indirizzo ogni Azienda sanitaria dovrebbe adottare un approccio integrato, a carattere multidisciplinare, di intervento per i DCA; il documento sottolinea come prioritaria l’attivazione di interventi di riabilitazione Day Hospital. Il Day Hospital offre assistenza continua nelle ore diurne, offre una serie di attività terapeutiche, a singoli e gruppi, che spaziano dal sostegno psicologico alla risocializzazione.69 Nel Day Hospital vengono accolti i pazienti solitamente per 6 giorni la settimana 8 ore al giorno. Nella struttura vengono realizzati trattamenti farmacologici, psicoterapeutici e riabilitativi, con alta integrazione socio-sanitaria. 2.3.4 Ricovero ospedaliero totale Il ricovero deve essere considerato un trattamento d'urgenza a breve termine per i pazienti che non possono essere curati ambulatorialmente o a domicilio. Può essere necessario per contenere comportamenti gravemente disturbanti la vita del paziente.70 L’American Psychiatric Association elenca i criteri che rendono necessario ricoverare la paziente in strutture ospedaliere o in case di cura specialistiche ovvero: • Grave o rapida perdita di peso • Complicanze mediche • Frequenza molto elevata di crisi bulimiche, vomito ed uso improprio di farmaci • Multi-impulsività, comportamenti autoaggressivi, elevato rischio suicidario 68 Ibidem 69 Rizzardo R., Capitolo 24. L'organizzazione dell'assistenza psichiatrica, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, p. 590 70 Ivi, pp. 586-586 • Elevata comorbilità psichiatrica (asse I e II) • Elevata conflittualità o scarso sostegno familiare • Mancata risposta al trattamento ambulatoriale • Lunga durata di malattia e fallimento dei precedenti trattamenti Nel ricovero ospedaliero devono essere affrontati gli aspetti internistico-nutrizionali, psicologici e psichiatrici. La durata del ricovero può oscillare mediamente dai 7 ai 30 giorni71. Per un'idonea gestione del caso i ricoveri si svolgono in reparti internistici presso le strutture ospedaliere ove sono collocati i Centri Provinciali per Disturbi Alimentari. 72 In base all'età del soggetto i ricoveri possono essere eseguiti anche in reparti pediatrici. 2.3.5 Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura Quando è presente un totale rifiuto delle cure che compromette la sopravvivenza della paziente è necessario effettuare un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO).73 Il TSO viene attuato contro la volontà del paziente e viene riservato a situazioni estreme, nei casi in cui siano già stati sperimentate altre forme di trattamento senza successo.74 Tale ricovero viene attuato in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Le indicazioni legislative per l'attuazione del TSO sono stabilite dall'articolo 33 e 34 della legge n.833 del 1978, dalla legge 180 del 1978 e dalla DGR n. 847 del marzo 2009 “Linee Guida Regionali per i Dipartimenti di Salute Mentale in materia di Trattamento Sanitario Obbligatorio e Accertamento Sanitario Obbligatorio” e relativo allegato A. Il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) è il reparto ospedaliero dove vengono attuati trattamenti psichiatrici volontari ed obbligatori in condizioni di ricovero. Nella struttura vengono ricoverati pazienti nella fase acuta della malattia. L'SPDC dev'essere inserito in ospedali provvisti di pronto soccorso. Il ricovero in tale reparto è mediamente di 15-20 giorni, tuttavia, frequentemente, il paziente viene dimesso dopo una settimana. Il ricovero deve essere integrato con gli altri interventi che il soggetto ha svolto e svolgerà nell'ottica di un unitario progetto terapeutico che ponga attenzione alla continuità dei trattamenti75. 2.4 Strutture a carattere prevalentemente socio-riabilitativo Le strutture a carattere socio-riabilitativo sono collocate, di solito, all'esterno dell'ospedale, nel 71 Delibera della Giunta Regionale n.3540 del 1999 72 Delibera della Giunta Regionale n.3540 del 1999 73 Ibidem 74 Rizzardo R., Capitolo 24. L'organizzazione dell'assistenza psichiatrica, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, pp. 586-589 75 Ibidem contesto urbano: si tratta dei centri diurni, delle comunità terapeutiche residenziali, delle comunità alloggio, dei gruppi appartamento. 2.4.1 Centro Diurno Di seguito faremo un breve riferimento alla struttura del Centro Diurno, rinviamo al capitolo 4 per ulteriori approfondimenti. I centri diurni sono strutture semiresidenziali con funzioni terapeutico-riabilitative e di socializzazione.76 Nella struttura vengono realizzate attività occupazionali, attività riabilitative e terapeutiche. La collocazione della struttura è solitamente territoriale e di norma l'apertura giornaliera è di 6 giorni alla settimana per 8 ore al giorno. Nel centro diurno si attuano soprattutto attività di gruppo.77 Il centro diurno, attraverso la conduzione di specifiche attività e programmi, ha la funzione di favorire nelle ospiti, in rapporto alle potenzialità ed alle attitudini individuali, il mantenimento e lo sviluppo dell'autonomia personale, delle relazioni interpersonali e sociali dell'ambiente.78 Strutture semiresidenziali riabilitative, come Day Hospital e Centro Diurno, garantiscono la permanenza diurna del paziente nella struttura, assistenza ai pasti, trattamenti individuali e di gruppo, attività riabilitative. Queste strutture permettono il mantenimento del rapporto quotidiano con la famiglia e con la scuola.79 2.4.2 Comunità Terapeutica Residenziale Le comunità terapeutiche fondano le loro radici nel periodo successivo alla chiusura dei manicomi, decretata dalla legge 180 del 13 maggio 1978 (chiamata anche legge Basaglia, dal nome del suo promotore). Fu il "movimento dell'antipsichiatria", in quegli anni, a considerare l'apertura verso l'esterno dei manicomi come una modalità per connettere parti sociali normali e devianti. Nella strutturazione della comunità vi è l'intenzione di eliminare il circolo vizioso che reclude il soggetto nella struttura, promuovendo invece le relazioni con l'esterno. Alla base della comunità viene impostato un progetto riabilitativo del soggetto e un lavoro di interscambio con l'esterno.80 La comunità si configura come il luogo dove le persone vivono insieme, dove si creano relazioni alternative a quelle già sperimentate in famiglia. Le attività svolte nella vita quotidiana punteranno a 76 Ivi, p. 590 77 Ibidem 78 Regione veneto e Venetosociale, Il Centro Educativo Occupazionale Diurno, p.12 79 Decreto del Presidente della Repubblica n.105/CR del 2009 80 L.Brunori; C.Raggi, Le comunità terapeutiche, pp. 13-14 sviluppare la responsabilità e l'autonomia della paziente.81 Nell'ambiente residenziale la relazione paziente-operatore e paziente-paziente è parte integrante del percorso terapeutico, è attraverso la convivenza nella stessa abitazione che il paziente viene stimolato alla socializzazione e al rispetto delle regole comuni. L'ambiente deve porre dei limiti, adempiendo ad una funzione di contenimento e di apprendimento all'autocontrollo, ma allo stesso tempo deve essere tollerante e flessibile alle esigenze delle diverse pazienti82. Queste strutture residenziali sono destinate a pazienti che necessitano di interventi intensi e prolungati di riabilitazione. Di norma la struttura ospita da 12 a 20 pazienti, la presenza del personale è garantita 24 ore su 24, vi operano psichiatri, psicologi, infermieri, educatori professionali e personale ausiliare. 2.4.3 Comunità alloggio e gruppi appartamento Comunità alloggio e gruppi appartamento sono strutture residenziali che riproducono l'ambiente della casa: le pazienti infatti vivono in un'abitazione dove imparano a gestire la quotidianità, dalla pulizia delle stanze alla preparazione dei pasti, dalla gestione del tempo libero alla condivisione degli spazi con altre pazienti. Sia nelle comunità alloggio che nei gruppi appartamento si ricreano forme relazionali familiari, gestite da operatori specializzati. La presenza di personale è variabile in relazione al diverso grado di autonomia delle ospiti.83 A fondamento della struttura vi è l'intenzione di creare relazioni positive e riparative rispetto a quelle vissute precedentemente in famiglia.84 La componente sanitaria e l'intervento di operatori è variabile in base alle pazienti e alla fase del loro percorso. Le comunità alloggio ospitano massimo 6 pazienti con capacità di vivere autonomamente nelle ore diurne; negli appartamenti invece vivono solitamente 3-4 pazienti. Mentre nella comunità alloggio vi è sia una componente sociale che sanitaria, nei gruppi appartamento la componente sociale è preponderante, trattandosi di progetti di inserimento a lungo termine. Entrambe le tipologie di strutture sono inserite in un contesto abitativo residenziale e vengono spesso gestite dal privato sociale, in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale. 81 Rizzardo R., Capitolo 24. L'organizzazione dell'assistenza psichiatrica, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, p. 591 82 Ibidem 83 Ibidem 84 L.Brunori; C.Raggi, Op. Cit.., p. 16 Capitolo 3 Ruolo dell'Educatore Professionale nel percorso di cura di soggetti con DCA 3.1 Le direttive legislative sulla figura dell'Educatore Professionale Faremo riferimento in questo paragrafo alle indicazioni legislative vigenti in Italia sulla figura dell'Educatore Professionale (di seguito EP) per ipotizzare il suo ruolo nella cura dei Disturbi Alimentari. Il Decreto Ministeriale n.520 dell'ottobre 1998 sancisce la figura dell'Educatore Professionale descrivendolo, all'art.1, come l'operatore sociale e sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell'ambito di un progetto terapeutico elaborato da un'équipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento psico sociale dei soggetti in difficoltà.85 Lo stesso Decreto specifica le funzioni dell'Educatore Professionale come segue. L'educatore professionale: programma, gestisce e verifica interventi educativi mirati al recupero e allo sviluppo delle potenzialità dei soggetti in difficoltà per il raggiungimento di livelli sempre più avanzati di autonomia; contribuisce a promuovere e organizzare strutture e risorse sociali e sanitarie, al fine di realizzare il progetto educativo integrato; programma, organizza, gestisce e verifica le proprie attività professionali all'interno di servizi sociosanitari e strutture sociosanitarie riabilitative e socioeducative, in modo coordinato e integrato con altre figure professionali presenti nelle strutture, con il coinvolgimento diretto dei soggetti interessati e/o delle loro famiglie, dei gruppi, della collettività; opera sulle famiglie e sul contesto sociale dei pazienti, allo scopo di favorire il reinserimento nella comunità; partecipa ad attività di studio, ricerca e documentazione finalizzate agli scopi sopra elencati86 85 Decreto Ministeriale n. 520/1998 (Gazzetta Ufficiale 28/4/99 n.98 ) 86 ibidem 3.2 I fondamenti teorici dell'agire educativo L’agire educativo è rivolto alla Persona, l'Altro e alla sua umanizzazione.87 Anche quando la malattia sembra prendere il sopravvento l'educazione mira alla cura della Persona. I pazienti affetti da DCA, riportano disagi psichici evidenti che necessitano di un trattamento medico e psicoterapico. La “convivenza” con il disturbo rientra nella normalità per il soggetto e spesso vi è la negazione del disturbo stesso. Le pazienti si abituano al disturbo e faticano a immaginare una vita senza i sintomi. L'attenzione posta ai sintomi fisici, alle complicanze, ai comportamenti patologici rischia di spostare in secondo piano la Persona nella sua interezza. L'educatore che affianca questi soggetti deve fare riferimento a chiare basi teoriche per fondare la sua azione educativa. Il concetto di Persona, alla base dell'azione verrà qui richiamato per porre al centro del trattamento il soggetto, con le sue caratteristiche e la sua unicità, andando oltre la malattia ed i sintomi presenti. Possiamo descrivere, a questo proposito, la persona attraverso alcuni rapporti dialettici presentati da Pareyson in “Esistenza e persona”.88 La persona ha caratteristica di valore storico; essa è irripetibile, non tanto individuale o particolare quanto singolare, e onniriconoscibile, non tanto generale o totale quanto universalmente valida. Essa viene rappresentata così dagli opposti universalità e singolarità. Inoltre la persona è totalità conclusa in ciascun istante e contemporaneamente apertura alle molteplici possibilità, rappresentata quindi dagli opposti totalità e insufficienza.89 Tratteremo quindi brevemente alcuni concetti base della pratica educativa fondamentali per il lavoro dell'educatore nel trattamento dei DCA. 3.2.1 La relazione educativa La relazione educativa non può essere definita a priori, ma viene costruita nell'incontro tra i soggetti. Essa dipende dai molteplici fattori, mutevoli nel tempo e presenti nell'interazione. Ecco alcuni dei fattori coinvolti: luogo degli incontri, libera scelta o costrizione del soggetto a parteciparvi, età dell'utenza, presenza o assenza di altri operatori, fase attuale del percorso del soggetto.90 Nella relazione vengono affrontate le tematiche della costruzione della relazione stessa, dell'aggancio e dell’ingaggio del soggetto al percorso riabilitativo e della condivisione del progetto di cura.91 87 88 89 90 91 Bobbo N., La persona e il suo vissuto di malattia: l'approccio educativo, pag. 51 Pareyson L., Esistenza e persona Pareyson L., Esistenza e persona Tramma S., L'educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo, pp.75-77 ibidem La relazione educativa si differenzia dalle altre relazioni che il soggetto instaura con i diversi operatori che incontra nel suo percorso per gli spazi e i tempi condivisi con il soggetto, l'attuazione, la condivisione di attività e la frequenza degli incontri operatore-soggetti.92 La relazione educativa è anche relazione di aiuto quando le azioni si orientano verso la prospettiva che viene definita “anticipare liberando”. La prospettiva di cura “anticipare liberando” presuppone un atteggiamento dell'educatore atto a permettere al soggetto di sviluppare il suo “poter essere” affinchè sia lui stesso a prendere consapevolezza della cura di sé. In tal modo non è l'Educatore che cura il soggetto, sostituendosi a lui, ma al contrario lavora per permettere all'educando di prendersi cura di sé. 93 L'anticipazione dell'educatore permette al soggetto di sperare nel futuro, di liberarsi dall'angoscia e intravvedere la possibilità di una vita buona. La relazione di aiuto diventa educativa nell'accompagnamento dell'Altro, attuato come presenza silenziosa o confronto acceso. Nella relazione emergono così i bisogni negati e le speranze del soggetto, ma anche le responsabilità, l'autorevolezza e l'amore dell'educatore. 94 Nella relazione di aiuto all'educatore è richiesto di utilizzare modalità che facilitino la comunicazione con il paziente, favoriscano la relazione stessa e trasmettano comprensione emotiva. La comunicazione, nella relazione d'aiuto, può avere diverse funzioni: liberatoria, di riconoscimento dell'Altro, di acquisizione di conoscenze, di modifica del comportamento e di rinforzo dello stesso.95 Affronteremo brevemente alcuni concetti teorici fondamentali per la costruzione della relazione educativa e la sua attuazione. Ci soffermeremo sui concetti che spiccano per la loro importanza nell'instaurazione della relazione con pazienti affetti da DCA. 3.2.2 Intenzionalità nella relazione educativa La relazione educativa è un atto ricercato, progettato, ricco perciò di intenzionalità educativa.96 L'intenzionalità è vissuta da educatore ed educando in maniera diversa. L'educatore è consapevole dell'intenzionalità alla base del suo rapporto con l'educando; ne è responsabile e critico. L'educando, invece, sperimenta l'intenzionalità attraverso il rapporto di testimonianza e fiducia che esso instaura con l'educatore. Tramite la testimonianza di intenzione educativa l'educatore promuove l'apprendimento libero, convinto, non forzato, che avviene attraverso il riconoscimento di se stessi 92 93 94 95 96 ivi, pp.112 Conte M., Ad altra cura. Condizioni e destinazioni dell'educare, p. 36 Bobbo N., La persona e il suo vissuto di malattia: l'approccio educativo, pp. 47-52 Martin A., Schemi di educazione medica e metodologia educativa, pp.4-10 Tramma S., L'educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo, p.76 negli altri.97 Nei pazienti con DCA tale processo può essere difficoltoso date le resistenze dei soggetti, soprattutto con AN, a riconoscere la loro problematica. 3.2.3 Responsabilità nella relazione educativa L'elemento della responsabilità si riferisce al nostro compito verso l'Altro di appello e risposta, ascolto e parola, a cui si riferisce anche il filosofo H. Jonas nella sua “etica della responsabilità”. L'educatore deve rispondere delle sue azioni, assumersene le responsabilità. L'educatore è responsabile rispetto al potere esercitato sui soggetti a lui affidati, alla verifica di ciò che si realizza dopo il suo intervento, al futuro dell'educando verso il suo “dover-poter essere”. La responsabilità esercitata dall'educatore tende a promuovere nel soggetto la molla della responsabilità.98 Per pazienti con DCA il concetto di responsabilizzazione nel processo di cura è elemento indispensabile per i miglioramenti. L’educatore può svolgere funzione di “modello” per la presa di responsabilità. 3.2.4 Possibilità e fantasia reale nella relazione educativa L'educatore si confronta con l'educando e la sua libertà nel seguire il progetto, creando la possibilità di raggiungere o meno gli esiti attesi. Nel rispetto dell'unicità dell'altro e della sua libertà, l'educatore non si impone con prospettive assolute, ma apre delle possibilità verso il miglioramento. L'educatore deve tendere al futuro, con una tensione utopica progettuale, lasciando spazio alle possibilità del soggetto, all'originalità del suo percorso.99 Il concetto di fantasia reale rappresenta un collegamento tra la realtà (il presente) e l'immaginabile (il futuro), esso è fondamentale per la progettazione di un percorso che si proietti lontano, oltre il presente. Il concetto fa riferimento alle possibilità, ancora inespresse, dell'educando. Compito dell'educatore sarà quello di scovare le abilità nascoste dell'educando e promuoverle, anticipare la realtà del domani guidando il soggetto verso il raggiungimento di obiettivi oggi ancora lontani.100 Questo compito può essere importante per quei soggetti affetti da DCA con forti deficit di autostima e di “progetto di se”. 3.2.5 Asimmetria nella relazione educativa Ogni soggetto, sia educando che educatore, è portatore di un progetto personale, di bisogni specifici 97 Xodo C., Capitani di se stessi. L'educazione come costruzione di identità personale, pp. 122-123 98 Milan G., Disagio giovanile e strategie educative, pp. 61-70 99 Ivi, p. 72 100 Ivi, pp. 88-92 e capacità che devono essere prese in considerazione nella strutturazione del percorso. Educatore ed educando differiscono per conoscenze, esperienze, patrimonio culturale e saggezza. All'educatore, in questa disparità, non viene riconosciuto uno status superiore rispetto all'educando, ma una capacità maggiore di anticipare le richieste del soggetto e progettare azioni educative che rispondano ai bisogni espressi e non espressi dallo stesso. A fianco di un'asimmetria relazionale deve essere presente anche una simmetria costituita da somiglianze e condivisioni che permetta la prossimità empatica tra i due soggetti.101 3.2.6 Pregiudizio nella relazione educativa L'etimologia della parola pregiudizio fa riferimento a idee e concezione errate precedenti alla diretta conoscenza dei fatti.102 Il filosofo tedesco H. Gadamer conferma questa definizione descrivendo il pregiudizio come un giudizio che viene pronunciato prima di un esame completo e definitivo di tutti gli esami obiettivamente rilevanti.103 I pregiudizi sono ineliminabili perché derivano dalle nostre acquisizione culturali e dalle nostre esperienze e la presunzione di non averne rimanda al rischio di credersi neutrali. 104 I pregiudizi ci orientano nella realtà, sono utili nella relazione educativa quando sono legati ad un'autoriflessività su sé e l'Altro. Tuttavia i pregiudizi, non riconosciuti, posso indurre l'educatore ad intraprendere comportamenti rischiosi, di etichettamento e classificazione dell'educando.105 L'educatore, per utilizzarli efficacemente, deve considerarli un semplice abbozzo dell'Altro utile ad agevolare la conoscenza vera realizzabile solo nell'incontro. 3.2.7 Coinvolgimento emotivo ed empatia nella relazione educativa Il lavoro dell'educatore espone ad esperienze emotive simili a quelle dei genitori, nonostante la netta differenza di ruolo rispetto a queste figure.106 La relazione educativa, come quella genitoriale, comprende sempre una dimensione affettiva realizzata nell'incontro umano tra due persone. La dimensione emotiva è uno strumento dal quale l'educatore non può prescindere; essa può essere soggetta al rischio di eccessivo o scarso coinvolgimento, ma non perde mai la sua qualità di strumento educativo.107 L'empatia è legata alla sfera emotiva dell'individuo, è un Co-sentire con l'altro.108 Fu definita dallo psicologo C. Rogers come l'atteggiamento che consente di sentire il mondo più intimo dei valori del 101 Tramma S., L'educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo, pp. 77-80 102 Ivi, p.80 103 Gadamer H., Verità e metodo, p.561 104 D'Agostini F., Analitici e continentali, p. 311 105 Tramma S., L'educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo, p.81 106 Caldin R., Introduzione alla pedagogia speciale, p. 94 107 Tramma S., L'educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo, pp.83-84 108 Bobbo N., La persona e il suo vissuto di malattia: l'approccio educativo, p. 48 cliente come se fosse il proprio, senza mai perdere la qualità del 'come se'. 109 Successivamente D.M. Berger la definì come un processo che richiede continua autoriflessione, attenzione ai propri processi interiori, alle proprie fantasie, alle proprie emozioni, ai propri sentimenti, essa aiuta a comprendere gli elementi nascosti del mondo interiore del paziente che in qualche modo hanno attivato e sono entrati in risonanza con elementi del mondo interiore del terapeuta.110 La comprensione empatica non corrisponde alla rinuncia ad essere sé stessi per aderire passivamente all'altro, anzi per sperimentarla i propri sentimenti devono essere vissuti come separati da quelli dell'Altro (nel caso dell'educatore devono essere separati da quelli dell'educando).111 3.2.8 Empowerment nella relazione educativa Il termine definisce un processo mediante il quale i soggetti, tramite lo sviluppo di abilità e strategie adatte, aumentano le possibilità di esercitare un controllo attivo sulla propria esistenza.112 Nei disturbi alimentari le pazienti tendono ad un controllo ostinato del loro peso e dei loro comportamenti ma si mantengono spesso esterne alle cure, vivendo un rapporto di passività o addirittura di rifiuto. Il concetto di empowerment nel percorso di cura di questi disturbi sottolinea la necessità di dare potere alla persona e di decentrare il senso di potere che deriva dal controllo spasmodico del cibo e del peso, si tratta di passare dal senso di potenza nella malattia ad un senso di potere più sano nel fronteggiarla. Attraverso l’empowerment si aiuta una persona ad individuare le difficoltà tipiche del disturbo, ma anche le sue risorse personali per affrontarle. In quest'ottica si passa dalla passività nella cura alla tensione verso la partecipazione attiva della persona affetta da DCA nel percorso di riabilitazione.113 3.3 Funzioni dell'Educatore nei Servizi per Disturbi del Comportamento Alimentare I compiti dell'educatore sopra elencati sono generici e in relazione ai contesti, alla tipologia di utenza e alle strutture, essi assumeranno sfaccettature differenti. L'educatore inserito in un servizio per DCA deve aver maturato una conoscenza adeguata di tali disturbi. Nella sua formazione inoltre, è utile un approfondimento dei disturbi correlati ad esempio disturbi di personalità, dipendenze patologiche, disturbi ossessivo compulsivi. 109 Milan G., Disagio giovanile e strategie educative, pp. 88-92 110 Ba G., Strumenti e tecniche di riabilitazione psichiatrica e psicosociale, p. 38 111 Milan G., Disagio giovanile e strategie educative, pp. 88-92 112 Lavanco G.; Novara C., Elementi di psicologia di comunità, pp. 51-60 113 Il 13 Novembre 2009 si è svolto, a San Vito al Tagliamento, un convegno organizzato dall'ADAO Friuli Onlus dal titolo “L'empowerment nel trattamenti dei disturbi alimentari” I comportamenti patologici tipici delle persone affette da DCA possono invadere la sfera delle relazioni sociali, della cura del sé, dell'autonomia e dell'autoefficacia. Poiché i DCA coinvolgono molte aree della persona risulta necessario un approccio diretto alla persona nella sua interezza. Di seguito ipotizzeremo le funzioni dell’EP all'interno di un servizio per i DCA, andando poi ad approfondire le sue possibili funzioni a seconda delle diverse tipologie di strutture. Tra le funzioni dell'Educatore nel rapporto utente-educatore riconosciamo: ascoltare la storia narrata dalla paziente, i suoi vissuti, la sua autobiografia; cogliere bisogni espressi e non espressi delle pazienti; focalizzare le difficoltà maggiori della paziente che conducono a comportamenti patologici; concordare con la paziente un percorso e degli obiettivi da raggiungere; promuovere un'attivazione da parte della paziente nella ricerca di strategie per lei più efficaci nel raggiungimento degli obiettivi; fornire alla paziente metodi e strategie per raggiungere gli obiettivi concordati e mantenerne il raggiungimento nel tempo; rinforzare le aree di miglioramento della paziente; promuovere l'attivazione e lo sviluppo di capacità/abilità della paziente; porre attenzione alle proposte delle pazienti su metodi e attività, tenendole in considerazione nella progettazione educativa; verificare con la paziente il raggiungimento o meno degli obiettivi e le difficoltà incontrate; aumentare il livello di autonomia e autogestione della paziente (gradualmente); motivare la paziente nel percorso di cambiamento; verificare che gli obiettivi concordati nel progetto terapeutico non siano il frutto della propria imposizione risultando troppo complessi e irraggiungibili per la paziente; Sono invece funzioni dell'Educatore nel rapporto educatore-altri specialisti/équipe: confrontarsi con gli altri operatori che lavorano nel servizio e con gli specialisti coinvolti nella cura della paziente; chiedere “aiuto” ad altri specialisti in caso di indecisione sulle azioni da intraprendere o per consulenze (rivolgersi a psichiatri, psicologi clinici o assistenti sociali); confrontarsi in èquipe su metodi e approcci da adottare in relazione ai casi specifici. In base alla tipologia di servizio per i DCA, e alle sue peculiarità, possiamo ipotizzare funzioni dell'educatore diversificate. Faremo qui riferimento alle strutture già illustrate nel capitolo 2. Sul territorio Veneto solo in alcune strutture per DCA lavorano attualmente Educatori Professionali. Faremo ora riferimento all'esperienza di una struttura per DCA dove sono inseriti EP. 3.4 L'esperienza della Comunità Terapeutica Residenziale Silesia di Vicenza Mi riferirò ora ad un esempio di Comunità Terapeutica Residenziale che ho avuto occasione di conoscere: la Comunità Silesia è una delle rare Comunità Residenziali per la cura dei DCA, ed accoglie all'interno dell'èquipe del trattamento Educatori Professionali. La Comunità è nata nel Maggio 2000 ed è situata a Vicenza; può ospitare fino a 11 soggetti affetti da DCA gravi e resistenti alle cure.114 Il personale sanitario della struttura è costituito da Educatori Professionali, un Tecnico della Riabilitazione psichiatrica, un Assistente sociale ed un Operatore Socio-Sanitario con formazioni specifica nella cura dei DCA. Periodicamente vi è la consulenza con psicologi, medici internisti, medici psichiatri e dietisti esterni alla comunità. L'intervento si colloca in un tempo medio-lungo: la permanenza delle ospiti può variare da 6 mesi ai 2/3 anni.115 I criteri di ammissione alla comunità sono i seguenti: condizioni psicofisiche stabilizzate, comportamento alimentare stabilizzato, storia pregressa di recidive al rientro al proprio domicilio, impoverimento delle abilità sociali e relazionali, elevata conflittualità/difficoltà nelle relazioni familiari, valida motivazione ad un percorso terapeutico di medio-lungo periodo e alla sperimentazione di sé in nuovi contesti. L'obiettivo principale di questa Comunità è il recupero e lo sviluppo di capacità compatibili con un livello accettabile di autonomia: gestione della casa e della vita in comune, del lavoro e del tempo libero, sviluppo di relazioni sociali soddisfacenti.116 L'ingresso dell'ospite è previsto con modalità graduali: essa visiterà la comunità, prenderà visione delle regole, conoscerà il personale e le altre ospiti. La famiglia accompagnerà l'ospite in questa “conoscenza” e, in seguito, verrà invitata a partecipare a colloqui con l'èquipe della comunità. Il lavoro educativo nella Comunità ha l'obiettivo di correggere atteggiamenti e comportamenti inefficaci e di promuovere lo sviluppo di capacità personali delle ospiti. Gli educatori si occupano dell'organizzazione e della gestione della struttura e di tutte le attività. Gli educatori sono presenti 24 su 24 all'interno della struttura, due ad ogni turno. Essi partecipano regolarmente a incontri di supervisione condotti da consulenti della comunità, uno psichiatra e uno psicologo specialisti nei DCA.117 Gli educatori, in collaborazione con altri specialisti e con l'ospite, definiscono il progetto 114 Ostuzzi R.; Brambullo L.; Ferrari M.; Cuzzolaro M., La Comunità Terapeutica Residenziale: una nuova esperienza di cura per i Disturbi del Comportamento Alimentare, Psicobiettivo, pp. 91-100 115 Sisdca, Volume degli atti “La gestione della cronicità nei Disturbi dell'Alimentazione: dal gioco della palla avvelenata a percorsi di alleanza” p.101 116 Ostuzzi R.; Brambullo L.; Ferrari M.; Cuzzolaro M., OP.Cit., pp. 91-100 117 Ibidem terapeutico personalizzato da attuare nel percorso in Comunità. Nella Comunità Silesia ciascuna ospite viene affiancata da una Tutor, ovvero un'educatrice che la seguirà nel percorso di cura confrontandosi con lei su obiettivi e strategie da adottare. Le attività proposte all'ospite affrontano aspetti educativi, artistici, occupazionali, esercizio fisico, gestione del tempo libero, incontri o terapie di gruppo e individuali, consulenza per le famiglie. Al termine del periodo di permanenza verranno valutate, tenendo conto delle convinzioni dell'ospite e della famiglia a riguardo, le acquisizioni e le abilità sviluppate dall'ospite nel percorso sperimentato. In seguito alla valutazione del percorso vi può essere un rientro dell'ospite in famiglia o la sperimentazione, da parte del soggetto, di un percorso di maggiore autonomia in un Appartamento protetto gestito alle operatrici della Comunità.118 3.5 Il possibile ruolo dell'Educatore Professionale nel Centro Provinciale/Regionale e nei Servizi ambulatoriali per i DCA All'interno di un Centro Provinciale/Regionale o un Servizio ambulatoriale per i DCA l'educatore potrebbe occuparsi del primo contatto telefonico o vis a vis nel quale il paziente si rivolge al servizio. Spesso sono i genitori/amici a contattare il servizio preoccupati per la figlia/amica chiedendo istruzioni sui comportamenti da adottare per aiutarla. Nel primo contatto telefonico l'EP potrebbe contenere la paziente/genitore e fornire informazioni basilari che permettano alla paziente di prendere un appuntamento per un primo colloquio. Potrebbe illustrare l'iter di procedura per l’accesso alla struttura (per esempio: la necessità di andare dal medico di medicina generale per l’impegnativa, in che modo prendere l’appuntamento, illustrare come funziona il Centro nella fase di assessment e della presa in carico. Nel caso se evidenzino dei motivi che richiedano un'altra tipologia di presa in carico si indirizza il soggetto ad un servizio più adatto alle esigenze espresse. La presenza dell'EP potrebbe rappresentare una figura di costante riferimento e supporto per il soggetto. Vi è infatti il rischio che la paziente perda il senso di continuità degli interventi di cura dei diversi specialisti. Per attuare questa funzione di figura ponte dell'EP, è essenziale che questi sia in costante comunicazione con l'èquipe curante, per condividere obiettivi e strategie del percorso di cura. Le capacità di conduzione di gruppi, parte della formazione dell'educatore, potrebbero essere sfruttate in questo contesto per l'attuazione di gruppi educazionali e di confronto tra pazienti e genitori con la presenza e collaborazione di altri specialisti. 118 Ibidem 3.5.1 Il possibile ruolo dell'Educatore Professionale nel ricovero ospedaliero L'educatore nel caso di ricovero in Day Hospital o ricovero completo in reparto ospedaliero (Case di Cura private o SPDC) potrebbe fungere, ancora una volta, da figura ponte di riferimento tra le diverse competenze presenti nell'èquipe ospedaliera. Potrebbe inoltre occuparsi di progettare e attuare (in collaborazione con altre figure professionali) attività occupazionali, attività riabilitative per il singolo o il gruppo, attività del tempo libero e relative alla cura di sé e alla gestione della quotidianità. Nel ricovero ospedaliero, in Day Hospital o per un periodo prolungato in un reparto dedicato, sarebbe possibile attuare attività a medio termine durante la settimana: assistenza ai pasti, attività di distrazione e attività di collegamento scuola-ospedale (nel caso di pazienti giovani che ancora frequentano la scuola). Il Day Hospital è una struttura che prevede un ricovero breve e ciò implica la possibilità di svolgere interventi modulari e limitati. Tale struttura richiederebbe all'educatore flessibilità e semplicità nella progettazione degli interventi che potrebbero svolgersi nell’arco di alcuni giorni. Nel caso del ricovero totale in reparto o Casa di Cura è possibile progettare un percorso più articolato con obiettivi a breve, medio e lungo termine. 3.5.2 Il possibile ruolo dell'Educatore professionale nel Centro Diurno Verrà qui trattato brevemente il ruolo educativo all'interno di un Centro Diurno rimandando all'approfondimento del Capitolo 4. In un Centro Diurno l'educatore potrebbe occuparsi dell'organizzazione e dello svolgimento delle attività che presentano particolari difficoltà per la paziente. Alcune delle attività realizzabili nel CD potrebbero essere l'acquisto del cibo, la preparazione del pasto, la sua consumazione e la gestione dei momenti successivi al pasto, attività legate alla patologia ma sperimentate in una situazione “protetta” e assistita. Nel caso di pazienti che frequentano la scuola l'Educatore le potrebbe affiancare nella gestione dello studio, lo svolgimento dei compiti utilizzando tecniche di concentrazione e strategie di apprendimento (mappe concettuali, schemi riassuntivi, ecc.). Potrebbero realizzarsi attività di socializzazione come cineforum, lettura di giornali e confronto su articoli di attualità, attività del tempo libero come giochi di società o laboratori manuali/creativi. In questa struttura, in particolare, l'educatore potrà essere esempio di relazione sociale adeguata. L'EP potrà inoltre fungere da mediatore all'interno del gruppo e nelle relazioni che il gruppo avrà con l'esterno. Nella gestione delle attività di un servizio diurno vi è la necessità che l'educatore non lavori da solo, ma collabori con tutta l'èquipe che si prende cura del soggetto. Potrebbero essere riservati degli spazi per il confronto con genitori e amici delle pazienti creando piccoli gruppi autonomi o guidati da educatori. 3.5.3 Il possibile ruolo dell'Educatore professionale nei servizi residenziali Comunità Terapeutiche Residenziali, Comunità alloggio e Gruppi appartamento si caratterizzano, come spiegato in precedenza, per la residenzialità delle strutture. Gli ospiti vi permangono per lungo tempo, talvolta anche per alcuni anni. La proposta educativa è perciò strutturabile nel lungo tempo, con la possibilità di progettare percorsi a lungo termine con passaggi da Comunità Terapeutiche Residenziali ad Appartamenti protetti per rendere le pazienti più autonome. Il ruolo dell'educatore potrebbe allora essere quello di tendere ad aumentare l'autonomia delle pazienti, ponendosi come punto di riferimento affinché le informazioni fornite vengano interiorizzate. Il lavoro dell'educatore nei servizi residenziali si realizza nella quotidianità della gestione della comunità/appartamento. L'educatore seguirà la paziente nelle attività di organizzazione della comunità/casa, nella cura di sé, nelle attività di orientamento al lavoro o di scelta degli studi. Nella quotidianità verranno perciò affrontati insieme all'educatore compiti quali fare la spesa, la preparazione e la consumazione del pasto. La presenza di educatori nelle strutture residenziali, nell'area psichiatrica e in quella della disabilità in generale, è molto alta rispetto alle altre figure professionali, che sono invece presenti secondo modalità di collaborazione e consulenza perciò presenti con minor frequenza. Si evidenzia, in tal caso, l'importanza per l'educatore di contattare e confrontarsi con l'èquipe della struttura, il medico inviante, gli terapeuti che seguono il soggetto nel percorso di psicoterapia e la famiglia. La peculiarità delle strutture residenziali è la convivenza di più pazienti, con la conseguente formazione di un gruppo. La funzione dell'educatore, nel contesto del gruppo, potrebbe perciò espletarsi nella gestione delle relazioni all'interno dello stesso proponendo delle regole condivise e delle modalità adeguate per la convivenza, monitorando la loro applicazione. 3.6 Metodologie dell'Educatore Professionale nei DCA Analizzeremo di seguito alcune metodologie utilizzabili dall'educatore nel trattamento dei DCA: il colloquio motivazionale, la psicoeducazione, il tutoring, la gestione del contesto gruppale e il progetto terapeutico individualizzato. 3.6.1 Il colloquio motivazionale Il colloquio motivazionale è una tipologia di colloquio non direttiva che mira a stimolare il cambiamento attraverso l'esplorazione e la risoluzione dell'ambivalenza rispetto al cambiamento stesso.119 Ha come base la teorizzazione di Di Clemente e Prochaska sugli stadi del cambiamento che viene considerato un processo relazionale. Questa metodologia appare adatta per il trattamento di pazienti che non desiderano cambiare i loro atteggiamenti patologici o che sperimentano ambivalenza verso la possibilità di cambiare. Nei DCA questa metodologia viene spesso utilizzata dato che le pazienti hanno molta difficoltà a percepire i loro atteggiamenti e le loro convinzioni come una malattia.120 Fu il teologo e filosofo statunitense W. Miller ad utilizzare per la prima volta questa metodica e ad approfondirne i principi base. L'autore e i suoi collaboratori hanno individuato diverse fasi del colloquio121: Fase di apertura Apertura Analisi delle aspettative ed esigenze del paziente Valutazione di conoscenze sulla malattia Valutazione di fiducia, importanza e disponibilità al cambiamento Presentazione dell'obiettivo di salute Negoziazione degli obiettivi Fase di negoziazione Fase progettuale Rinforzo Definizione del progetto Rinforzo La professoressa Janet Treasure ha applicato il colloquio motivazionale nell’area dei DCA mettendo a punto la cosìdetta “Motivational Enhancement Therapy” (MET). L'obiettivo dell'intervista motivazionale è di aiutare i pazienti con DCA a raggiungere una decisione rispetto al cambiamento, aumentando la loro motivazione interna (automotivazione). La metodologia prevede che l'operatore aiuti il pz a riconoscere la differenza tra il suo comportamento presente e i suoi obiettivi di vita. Quest'approccio è di aiuto a persone che sono ambivalenti riguardo al cambiamento perchè la decisione di cambiare deve venire dal paziente e non dev'essere imposta da qualcun'altro. L'obiettivo del MET è di determinare in quale stadio si trovi il paziente e quindi di assisterlo verso il passaggio a stadi successivi fino a raggiungere l'obiettivo ultimo del cambiamento sostenuto. Tra le strategie utilizzate dalla MET sono inclusi: l’uso della cosiddetta bilancia motivazionale, in cui vengono soppesati i benefici e gli svantaggi di avere un DCA, e i benefici e gli svantaggi 119 Miller W. R.; Rollnick S., Il colloquio motivazionale. Preparare le persone al cambiamento 120 Bobbo N., La persona e il suo vissuto di malattia: l'approccio educativo, p. 58 121 Ivi, p. 63 dell’affrontare un DCA, gli esercizi di immaginare la propria vita dopo cinque anni con o senza DCA, l’elenco dei valori di vita e obiettivi di vita per capire come il DCA contribuisca a realizzarli o rappresenti, al contrario, un ostacolo alla realizzazione.122 3.6.2 La psicoeducazione L'approccio educativo è una componente transdiagnostica presente nella terapia dell’AN, della BN e del BED. Viene utilizzato da molto tempo nel trattamento di AN e BN. Alla base di questo approccio vi è la constatazione che le pazienti affette da DCA spesso abbiano informazioni, convinzioni, idee e concezioni non corrette rispetto ai fattori precipitanti, predisponenti e di mantenimento del loro disturbo. Questo approccio integra conoscenze scientifiche e significati relazionali e comunicativi che il cibo assume per le paziente affetta da DCA. La psicoeducazione ha quindi lo scopo di far conoscere i meccanismi attraverso i quali il disturbo è insorto e si mantiene. L’approccio psicoeducativo è pensato come base fondamentale per la partecipazione e collaborazione con i terapeuti al proprio trattamento. Nei singoli incontri l'operatore esporrà alla paziente, in modo chiaro e semplice, le informazioni sul disturbo alimentare facilitando il cambiamento del comportamento patologico. La psicoeducazione pone attenzione alla sfera psicologica del soggetto, ovvero al suo modo di pensare e di rappresentare la realtà.123 La responsabilità del cambiamento viene attribuita, secondo questo approccio, alle pazienti; esse devono perciò essere parte attiva del percorso di cura. Gli incontri di psicoeducazione possono essere realizzati individualmente oppure in contesti di gruppo. Le tematiche principali nel percorso psicoeducativo delle pazienti con DCA sono inerenti a: a)l'origine multifattoriale dei DCA alla quale concorrono fattori predisponenti, precipitanti e perpetuanti; b) il contesto culturale odierno che propone un modello di magrezza come sinonimo di successo, felicità e carattere; c) la regolazione del peso corporeo attuata dall'organismo tramite meccanismi interni; d) gli effetti provocati dal digiuno come le modificazioni di aspetti emotivi, sociali, cognitivi e fisici; e) il ripristino di un'alimentazione regolare adeguata per qualità dei cibi, quantità di alimenti assunti e frequenza dei pasti; f) i metodi di compenso e di eliminazione per il controllo del peso che fungono da fattori di automantenimento del DCA; g) le complicanze mediche che possono derivare a seguito di comportamenti di denutrizione/malnutrizione e eliminazione 122 Feld R.; Blake Woodside D.; Kaplan A.S.; Olmsted M.P.; Carter J.C., Pretreatment Motivational Enhancement Therapy for Eating Disorders: A Pilot Study 123 Martin A.; Santonastaso P., Educazione professionale in medicina e psichiatria, pp.198-201 perpetuati a lungo.124 L’EP può essere una figura chiave nello svolgimento di queste sessioni educative. 3.6.3 Il Tutoring La metodologia del tutoring (chiamata anche training, counselling o catch) prevede che l'utente sia accompagnato nel percorso di cura da una figura di accompagnamento a cui può fare riferimento. Il Tutor svolge funzione di collegamento paziente-èquipe e struttura-famiglia. La figura del Tutor può sostenere la paziente nelle difficoltà della pratica quotidiana compromesse dal DCA come l'acquisto di cibo, la preparazione del pasto per sé o per altri, la sistemazione della dispensa. Il Tutor può stimolare riflessioni sui comportamenti patologici legati al cibo, promuovere le abilità del soggetto non legate al cibo, sostenere e motivare il cambiamento delle abitudini alimentari, guidare la paziente nella ricerca di attività alternative ai metodi di compenso o per evitare i pensieri ossessivi. Gli incontri individuali tutor-paziente possono affrontare tematiche emerse dalla quotidianità nelle quali il soggetto ha sperimentato difficoltà.125 Il tutoriale 1:1 consiste nell'incontro di Tutor e paziente in un setting precedentemente predisposto. Un buon tutoring non può prescindere dall’instaurarsi di una buona relazione tutor-soggetto. L'atteggiamento del Tutor, come nel colloquio motivazionale e, in generale, negli interventi di confronto con la paziente, dovrebbe essere quanto più accogliente e disponibile possibile126. Non devono essere presenti elementi di distrazione che possano ostacolare l'incontro o possano creare disagio al soggetto (lo squillo del telefono, la presenza di altre persone nella stanza, il comportamento impaziente dell'educatore, etc.). Nell'incontro di tutorato possono essere applicate tecniche che permettano alla paziente di sperimentare situazioni di difficoltà, tramite simulazione e giochi di ruolo, o svolgendo insieme esempi di problem solving.127 3.6.4 La gestione del contesto gruppale L'esperienza del gruppo, nella struttura, si configura come spazio sociale protetto nel quale ciascun soggetto può vivere l'incontro con l'altro con modalità meno conflittuali e ansiogene del confronto con la realtà esterna. Nella riabilitazione psichiatrica e psicosociale, comprendente il reinserimento e l'integrazione del paziente nel contesto familiare e sociale, il gruppo rappresenta una strategia molto efficace. 124 Garner D.M.; Dalle Grave R., Terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell'alimentazione, pp. 205-246 125 Atti del convegno “La comunità terapeutica residenziale: dalla rigidità della malattia alla flessibilità delle risposte” tenutosi nell'Ottobre 2009 a Vicenza 126 Martin A., Schemi di educazione medica e metodologia educativa, pp. 56-57 127 Atti del convegno “La comunità terapeutica residenziale: dalla rigidità della malattia alla flessibilità delle risposte” tenutosi nell'Ottobre 2009 a Vicenza La condivisione del proprio vissuto all'interno del gruppo permette al soggetto di riordinare la percezione del proprio mondo interiore rendendolo comprensibile ed esprimibile ad altri. Il racconto condiviso aiuta il soggetto a diminuire l'ansia derivante dal proprio vissuto. La presenza, nel gruppo, di pazienti che sperimentano diverse fasi del disturbo offre l'occasione di confrontarsi e ascoltare vissuti positivi e di miglioramento che possono promuovere sentimenti di speranza verso il percorso di cura. Nell'esperienza di gruppo il singolo soggetto potrà cogliere l'universalità dei suoi problemi notando le similitudini tra la sua esperienza e quella degli altri. Questo riscontro lo rassicurerà e lo renderà maggiormente disponibile alla condivisione delle sue difficoltà e conflitti con gli altri. Le difficoltà simili dei soggetti rappresenteranno un “territorio comune” posto alla base del sentimento di appartenenza al gruppo. Nello spazio del gruppo ogni soggetto può aiutare gli altri, sperimentandosi utile e aumentando così il proprio livello di autostima e usufruendo contemporaneamente del supporto del gruppo stesso. Il gruppo si costruisce come situazione “familiare”, in quanto il soggetto tenderà a riproporre i modelli patologici e disfunzionali già acquisiti in precedenza. In questo contesto i comportamenti possono però essere analizzati e modificati. I membri del gruppo inviano feed back negativi e positivi al soggetto tramite i quali questi può mutare le proprie modalità di relazione interpersonali per sostituirle con comportamenti più adeguati. Il senso di appartenenza sperimentato dal soggetto emerge come facilitatore dei processi maturativi dello stesso. La coesione del gruppo consente la sua sopravvivenza in momenti di difficoltà e stress dei membri e del gruppo intero.128 L’EP può avere la funzione di aiuto nella gestione e conduzione della dinamiche di gruppo, può inoltre svolgere alcuni gruppi come singolo operatore o in cogestione con altre figure professionali. 3.6.5 Il progetto terapeutico individualizzato Il progetto riabilitativo, o progetto terapeutico individualizzato, viene costruito in collaborazione con le diverse figure professionali che partecipano al percorso di cura del soggetto. Esso è un punto di partenza, dove verranno specificati gli obiettivi da raggiungere, le tappe intermedie e le strategie da seguire nel percorso riabilitativo. Tale progetto andrò successivamente valutato rispetto ai punti di forza e di debolezza emersi. Possiamo riassumere il percorso metodologico di costruzione di un progetto riabilitativo seguendo le tappe proposte da Gabriella Ba in “Strumenti e tecniche di riabilitazione psichiatrica e psicosociale”: 128 Ba G., Strumenti e tecniche di riabilitazione psichiatrica e psicosociale, pp. 96-103 1) Analisi della domanda di riabilitazione È necessario, in questa prima fase, valutare accuratamente la domanda di riabilitazione che perviene al servizio. L'invio alla struttura della paziente affetta da DCA può essere l'azione di diverse figure che hanno avuto un contatto con la paziente ed hanno percepito la necessità di un intervento terapeutico. La paziente può essere inviata alle diverse strutture dal medico di medicina generale, dallo psichiatra/psicologo, dal dietista, dal personale medico che l'ha incontrata in un ricovero in Pronto Soccorso o in un reparto di degenza o ancora dall'assistente sociale. Anche la famiglia, un'amica o il fidanzato, allarmati dalla situazione del soggetto, possono contattare un servizio per DCA. In alcuni casi è la stessa paziente che prende i primi contatti con la struttura. Si procederà ad approfondire la richiesta di riabilitazione per scoprire quali sono le aspettative rispetto al servizio. La struttura contattata dall'inviante dovrà valutare se le domanda riabilitativa a lei rivolta è motivata e adeguata alla struttura. Nel caso in cui la domanda non possa essere accolta dalla struttura, sarà compito della stessa indirizzare il soggetto/inviante ad un servizio maggiormente adeguato alle esigenze riabilitative. 2) Valutazione iniziale del progetto L'èquipe operante nella struttura dovrà procedere ad una valutazione iniziale e globale della paziente. La valutazione verrà arricchita da informazioni che verranno raccolte successivamente. La valutazione iniziale avverrà attraverso osservazione, colloqui individuali e con familiari, somministrazione e interpretazione di alcuni test. Le aree indagabili in questa fase iniziale sono: la condizione psicopatologica del paziente e la sua influenza sul funzionamento globale; la storia personale e familiare; le capacità relazionali e sociali; la presenza di eventuali deficit cognitivi; le aree di disabilità specifiche; le abilità presenti, residue e le potenzialità, le attitudini; la disponibilità e la motivazione ad intraprendere un trattamento riabilitativo.129 3) Definizione degli obiettivi di intervento e presa in carico In questa fase è prevista la definizione dello scopo del trattamento riabilitativo, tenendo in considerazione i dati emersi dalla valutazione iniziale indicata al punto precedente. Verranno qui identificati i bisogni reali del soggetto, distinguendoli da quelli erroneamente presupposti dall'operatore, indotti dalle pressioni sociali o indicati dai familiari. Il progetto viene strutturato attraverso obiettivi specifici e tappe intermedie adeguate al singolo paziente. La realizzazione del percorso terapeutico e, di conseguenza, il raggiungimento di ogni singola tappa e obiettivo intermedio necessitano della collaborazione del paziente. Per quanto 129 Ivi, p. 46 riguarda pazienti con AN non sempre è presente tale livello di collaborazione in quanto i sintomi anoressici sono percepiti come egosintonici, non c'è richiesta di cambiamento anche quando ve nè evidente necessità. La definizione degli obiettivi da raggiungere deve essere comunque discussa e concordata con il soggetto e la sua famiglia. La condivisione degli obiettivi, oltre a richiamare un'etica professionale rispettosa della Persona, rende il progetto terapeutico effettivamente possibile e realizzabile evitando di proporre al soggetto obiettivi difficilmente realizzabili in relazione al suo vissuto. 4) Pianificazione del programma Le attività riabilitative costituenti il programma possono essere di primo o secondo livello. Le prime sono inerenti alla realtà esterna al paziente, alle sue modalità di interazione con l'ambiente e alle attività concrete di vita quotidiana. Il secondo livello si concentra sul mondo interno del paziente, sul suo vissuto personale, sulle sue emozioni e conflitti. Nello specifico di soggetti affetti da DCA la pianificazione del programma potrò prevedere la riabilitazione nutrizionale, incontri psicoeducativi ed interventi psicoterapici. In relazione alla specifica situazione della paziente potranno inoltre essere programmate diverse attività. Qualora la paziente manifestasse una trascuratezza verso il proprio corpo potrebbe essere pianificato un programma per riavvicinarla alle esigenze del corpo in modo che impari ad ascoltarsi e rispondere adeguatamente ai propri bisogni. Nel caso di pazienti che utilizzino l’iperattività fisica come metodo di controllo del peso il programma potrebbe prevedere attività di attività fisica più contenuta ed equilibrata. Nella pianificazione sarà utile evitare ipostimolazioni e iperstimolazioni del soggetto, il programma dovrà infatti riflettere il livello di difficoltà e di coinvolgimento che il paziente può sostenere. Si può pianificare anche il coinvolgimento e il supporto alla famiglia nei casi in cui si ritengono i familiari attori e parte integrante del programma terapeutico. Il progetto riabilitativo deve avere caratteristica temporale definita. Se non vengono definiti i tempi dell'intervento vi è il rischio che il progetto si ripeta e non offra più stimoli di cambiamento adeguati alla fase del percorso sperimentata, promuovendo così una situazione di cronicità. La fase di separazione educatore-paziente è un momento delicato per entrambe le figure. Esso richiama l'obiettivo finale dell'educazione: l'autonomia del soggetto, in tale prospettiva l'educatore mira all'indipendenza del soggetto, l'educatore promuove il distacco cedendo spazio allo sviluppo dell'autonomia del soggetto.130 5) Verifica periodica del progetto 130 Ivi, pp. 44-55 Un efficace sistema di verifica del progetto riabilitativo in itinere permette di evidenziare le possibili modificazioni dello stesso e di contrastare il rischio di cronicizzazione dell'intervento. 131 Un sistema di monitoraggio dell'intervento permette all'educatore di progettare un percorso attento ai cambiamenti e alle difficoltà del soggetto. Il monitoraggio può essere effettuato attraverso l'osservazione diretta del soggetto, tramite la compilazione di griglie di osservazione, l'analisi del diario alimentare della paziente o altri strumenti creati apposta per la situazione. 3.7 Gli strumenti dell'Educatore professionale nei DCA Gli strumenti utili all'educatore per progettare il percorso di cura del soggetto con DCA possono essere molteplici, analizzeremo di seguito i più importanti. 3.7.1 La cartella clinica La cartella clinica contiene informazioni sulla storia clinica passata e presente di ciascuna paziente afferente al servizio ed è uno strumento prezioso da consultare. In particolare essa può contenere: • dati della paziente e della sua famiglia (anamnesi personale, anamnesi familiare, anamnesi patologica prossima e remota); • esiti di esami ematochimici per accertare i livelli presenti proteine, globuli rossi, globuli bianchi, vitamine, oligoelementi, lipidi, glucidi, calcio ed eventuali scompensi idroelettrolitici (livelli di potassio per chi attua metodi di compenso purgativi), insufficienza epatica o renale; • Esiti di altri esami quali: densitometria ossea, elettrocardiogramma, bioimpedenziometria; • Risultati di interviste strutturate e test psicologici somministrati nella fase diagnostica o successivamente per la valutazione in itinere; • lettere di invio del medico curante, relazioni di altre strutture che hanno ospitato la paziente o visite a cui si è sottoposta ( ad esempio visite ginecologiche o nutrizionali), relazioni dei colloqui che diversi specialisti hanno avuto con la paziente o con i suoi familiari (psichiatri, psicologi, dietista, medico internista, assistenti sociali, educatori); • schemi alimentari di riferimento; • grafici dell'andamento del peso; L'educatore può trarre, dalla cartella clinica, utili informazioni sulla vita familiare del soggetto, 131 Ivi, p. 46 sulla composizione del nucleo familiare, sulle malattie concomitanti, sui ricoveri e trattamenti già sperimentati per il DCA, le eventuali allergie o episodi di malattie importanti. La conoscenza della situazione medica, attuale e pregressa, del soggetto permette all'educatore di conoscere i limiti e le abilità residue in base alle quali è possibile costruire il percorso di cura. Inoltre conoscere le precedenti esperienze di cura della paziente permette di proporre un intervento adeguato, evitando di applicare tecniche e metodi che si siano dimostrati inefficaci nel passato. Nel lavoro d'èquipe è necessario trovare strumenti comuni che permettano di condividere le informazioni emerse dall'incontro o il colloquio che ogni operatore può avere con la paziente. Per rispondere a questa esigenza l'operatore può riassumere quanto emerso e inserirlo nella cartella clinica del paziente attraverso una relazione scritta. Alcuni servizi dedicano a tali riassunti un raccoglitore apposito dove vengono riportati colloqui e avvenimenti che coinvolgono le pazienti. Questa modalità appare utile soprattutto in servizi dove più pazienti condividono spazi e tempi (ad esempio in un servizio residenziale, oppure un Centro Diurno) ed emergono quindi dinamiche di gruppo. La raccolta delle relazioni scritte permette di monitorare nel tempo i colloqui, i cambiamenti avvenuti tra un colloquio e l'altro, le tematiche ricorrenti degli incontri e altri dati importanti per la valutazione del percorso di cura. La cartella clinica deve essere aggiornata, il materiale datato e firmato dell'operatore che lo ha redatto. All'interno della cartella clinica trova spazio anche la relazione scritta del progetto terapeutico individualizzato. 3.7.2 Il grafico del peso L'aumento del peso, in casi di AN, è una delle tappe fondamentali nel trattamento dei DCA. Appare quindi necessario monitorare costantemente nel tempo il peso della paziente. Può essere utile usare uno strumenti come il grafico del peso (Figura 1) che rappresenta l'andamento ponderale del soggetto e risulta d'impatto visivo immediato sia per il paziente che per il terapeuta. Figura 1: Esempio di grafico del peso GRAFICO DEL PESO Peso (Kg) 49 48 47 46 45 44 43 42 41 40 39 38 37 36 Ricovero gennaio 2009 febbraio 2009 Data: marzo 2009 aprile 2009 Paziente: maggio 2009 Data Lucia Rossi Anche nei casi di BN il monitoraggio del peso ha lo scopo di fornire un controllo sull'andamento ponderale. Fornisce un dato di realtà sul quale basarsi per riflettere sulle paure di aumento di peso che la maggior parte delle pazienti, con BN, riporta. La paziente viene così rassicurata dal fatto che iniziando a regolarizzare l'introito alimentare la probabilità di avere crisi bulimiche diminuisce e il peso rientra o rimane nel range di normalità. 3.7.3 Il diario alimentare Tappe fondamentali nel trattamento dei DCA consistono nel ristabilire un’alimentazione adeguata per quantità, qualità e regolarità, nell'affrontare gli aspetti sintomatologici (dieta, digiuno, vomito, abuso di lassativi, diuretici, iperattività) e nel correggere i pensieri e gli atteggiamenti patologici riguardo al cibo e al peso. Il diario alimentare è uno strumento adatto al monitoraggio e all'automonitoraggio dell'alimentazione della paziente stessa. Il diario alimentare è uno strumento che richiede alla paziente di annotare alcuni aspetti relativi all'alimentazione: ora e luogo dell'assunzione del cibo, tipologia di cibo o bevanda assunta, presenza/assenza di comportamenti diretti al controllo del peso, pensieri, sensazioni e situazioni sociali vissute dalla paziente nell'assunzione. Un esempio di diario alimentare è fornito in Figura 2. È possibile trarre, dal diario alimentare, informazioni approfondite sull'alimentazione, sui sintomi presenti e la loro frequenza. Vi sono inoltre differenti versioni di diario alimentare, dove possono essere inserite altre informazioni, come, ad esempio, l'attività fisica e il tempo a questa dedicato in una giornata, o una scala dove riportare la quota d'ansia associata all’assunzione di cibo. Figura 2: Esempio di diario alimentare compilato da una pazienti con BN Ora e luogo 8:30 colazione: Cibi e be vande cons umati B Ho mangiato al bar, da sola. Tutti mi guardavano. 1 tazza di latte 2 fette biscottate con miele 13:20 pranzo: 2 ricotta 3 carota e 4 pomodori 14:05 22.50 spuntino: 1 tazza d'orzo 10 biscotti dietetici 250 gr di formaggio 15 biscotti al cioccolato 300 gr di prosciutto Pe ns ie ri, s e ns azioni e s ituazioni s ociali V si si si Pranzo in casa con i miei genitori. Sensazioni di colpa perchè ho ceduto alle loro richieste di nutrirmi Ho mangiato in camera mia. si Ora mi sento grassa e mi faccio schifo. Legenda: V = episodio di vomito, B = episodio di abbuffata Le istruzioni fornite alla paziente per la compilazione del diario dovrebbero essere consegnate in forma scritta permettendo così la consultazione nel caso di dubbio. L'utente dovrà compilare il diario alimentare subito dopo aver assunto il cibo/bevande o dopo crisi bulimiche o episodi di compenso.132 La proposta dell’automonitoraggio va valutata paziente per paziente, è necessario considerare infatti che in alcune pazienti il diario alimentare può potenzialmente incrementare l’ossessività o l’ansia. 132 Garner D.M.; Dalle Grave R., Terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell'alimentazione Capitolo 4 Progettazione di un Centro Diurno 4.1 La struttura del Centro Diurno Per la strutturazione di un Centro Diurno (di seguito CD) possiamo fare riferimento alle indicazioni riportate nella "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate" n. 104 del 5 febbraio 1992. A partire da tale riferimento normativo possiamo definire il Centro Diurno come una struttura territoriale a carattere diurno che attua specifiche attività e programmi per favorire negli ospiti, in rapporto alle potenzialità ed alle attitudini individuali, il mantenimento e lo sviluppo dell'autonomia personale nonché relazioni interpersonali e sociali con l'ambiente. Il CD ha un bacino di utenza interdistrettuale ed è inserito nel contesto dei servizi educativi, formativi, socio-sanitari e riabilitativi del territorio, con i quali è funzionalmente collegato. La capacità ricettiva massima è di 30 ospiti, organizzati in gruppi non superiori alle 10 persone. 133 I Centri Diurni rappresentano una rete di servizi per l’integrazione sociale delle persone con disabilità. Questi servizi sono un efficace mezzo di contrasto ai ricoveri ospedalieri inappropriati, e rendono effettivo il diritto della persona con disabilità di restare nel proprio ambiente di vita e di contribuire alla crescita della comunità, attraverso una piena integrazione.134 Con una Delibera della Giunta Regionale nel 1999 la Regione Veneto ha avviato il processo di ottimizzazione assistenziale delle patologie connesse con i DCA, individuando le linee di comportamento per la costituzione della rete di Servizi territoriali. 4.2 Il progetto È possibile individuare cinque tappe della progettazione: ideazione, attivazione, progettazione, realizzazione e verifica che seguiremo nei capitoli successivi. 4.3 Ideazione e attivazione 4.3.1 Nascita del progetto Per i pazienti con caratteristiche di maggior gravità come lunga durata di malattia, rilevante sottopeso, scarso supporto socio-familiare, mancata risposta alla terapia ambulatoriale e/o presenza 133 www.venetosociale.it 134 www.provincia.pd.it 50 di comorbidità psichiatrica e suicidalità si ritiene necessaria l’attivazione di un programma in strutture semiresidenziali per una terapia riabilitativa intensiva extra-ospedaliera. Inoltre il rientro a casa di pazienti dopo un ricovero è un momento molto delicato che necessiterebbe di un sostegno maggiore di quello ambulatoriale. Il CD potrebbe essere una struttura-ponte per rendere più graduale il re-inserimento a casa. 4.3.2 Esperienze nel territorio, partnership e decodifica della domanda Nella progettazione di un nuovo servizio è necessario prendere coscienza dei servizi già presenti nel territorio, con i quali si potrà collaborare o prendere spunti, per costruire una rete che sappia rispondere al meglio alle esigenze del paziente. Nella progettazione del Centro Diurno faremo riferimento alla città di Padova come sua possibile collocazione. Padova è una grande città, con una popolazione giovane, moltissimi sono infatti gli studenti che la frequentano e vi vivono per motivi di studio. Nell'Azienda ospedaliera padovana è presente, come abbiamo già detto, un Centro Regionale per i DCA. Il Centro Regionale per i DCA di Padova svolge, attualmente, attività diagnostica e psicoterapica, la sua storia risale a molti anni fa. A Padova, più di venti anni fa, è stato attivato un ambulatorio per i Disturbi del Comportamento Alimentare; nell’aprile 1998 è iniziata una collaborazione tra Clinica Psichiatrica e Clinica Medica V che ha permesso di coordinare ed integrare in un unico gruppo di lavoro competenze psichiatriche, internistiche e nutrizionali. Nel 1999 l’Azienda Ospedaliera di Padova ha istituito il Servizio per i Disturbi del Comportamento Alimentare. Nella rete Regionale del Veneto, in materia di DCA, operano i Centri di Riferimento Regionale di Padova e Verona e altri centri di riferimento provinciali presso l'ULSS di Vicenza, Treviso e San Donà di Piave. I Centri Provinciale di riferimento sono stati identificati come indicati per il trattamento e la riabilitazione del paziente affetto da DCA con proiezione verso strutture semiresidenziali, con quelle pazienti con caratteristiche di maggior gravità. Sono presenti, nel territorio veneto, Case di Cura Private (ad esempio Parco dei Tigli, PD; Villa Garda, VR; Villa Margherita, VI) che ospitano pazienti con DCA in regime di ricovero ordinario e Day Hospital. Il ricovero in tali strutture può avvenire per rispondere a situazioni di estrema gravità per la salute del soggetto, a seguito di un'elevata perdite di peso, episodi di tentato suicidio, di manifestazione evidente di sintomi legati al disturbo alimentare o altre motivazioni. Tra le strutture residenziali con caratteristiche non-ospedaliere presenti nel territorio veneto citiamo la Comunità Terapeutica Residenziale Silesia e l'appartamento protetto legato ad essa presenti a 51 Vicenza per pazienti maggiorenni affette da DCA. Il percorso offerto in queste ultime strutture mira a riabilitare l'autonomia del soggetto inserendolo in un contesto di vita protetto con possibilità di relazioni sociali e di sperimentazione nella gestione della casa. In relazione al progetto che stiamo costruendo, la creazione di alleanze e l'attivazione di risorse ci conduce all'incontro con soggetti coinvolti nel trattamento e nella sensibilizzazione dei DCA. La ricerca di partnership si configura anche come collaborazione e contatto con i servizi del territorio che già si occupano del trattamento dei DCA. Si stagliano nel territorio associazioni di genitori, amici ed ex pazienti che organizzano attività di sensibilizzazione e confronto sui Disturbi Alimentari, tra queste “Alice per i DCA” a Padova e “ADAO” a Thiene. Le associazioni spontanee rappresentano un ricco bacino di idee e forze, e soprattutto testimonianze di percorsi che pazienti e famiglie hanno vissuto e vivono. L'ascolto di esperienze di genitori e di persone che hanno sofferto di DCA mi hanno permesso di approfondire le esperienze di tirocinio che ho effettuato presso il Centro Regionale per DCA di Padova e la Comunità Silesia di Vicenza. Questi incontri informali, nei quali ho ascoltato il punto di vista dell'utenza, mi hanno offerto spunti interessanti per la progettazione, per chiarire quali potrebbero essere le aree su cui concentrasi nelle attività di un ipotetico CD. Proprio questo confronto con i familiari di pazienti ha costituito la fase di definizione del problema. Da questi incontri è emersa l'esigenza, rispetto ad un Centro Diurno, di una divisione per fasce d'età, impostando diversi interventi: diretti alle ragazze più giovani, tra i 13 e i 17 anni, e fasce d'età più adulte che possono comportare, ad esempio, il confronto con il mondo del lavoro. In particolare per le pazienti più giovani vi è la necessità di creare un collegamento scuola-casa, proponendo attività nelle ore pomeridiane. Nelle fasce d'età adulte la necessità sarò quella di sviluppare e mantenere abilità lavorative e sociali residue anche minime. In alcuni casi tale sviluppo viene promosso in previsione di un inserimento lavorativo (guidato o meno). La difficoltà di instaurare relazioni amicali e rapportarsi con l'Altro in modo adeguato è una caratteristica molto presente nelle pazienti con DCA. In relazione a ciò nei colloqui con le associazioni è emersa l'esigenza di una struttura che segua le pazienti con una particolare apertura verso l'esterno. Il problema evidenziato dalla presidente di una delle due associazioni è la gestione delle pazienti, da parte della famiglia, dopo un ricovero ospedaliero. Il periodo successivo al ritorno a casa è un momento molto complesso che mette in difficoltà la paziente e la famiglia. Entrambi devono 52 confrontarsi con le abitudini familiari, adattarle alle indicazioni mediche per mantenere il miglioramento ottenuto nel ricovero e stabilizzare le condizioni fisiche della paziente. In questa prospettiva il Centro Diurno potrebbe configurarsi come luogo di transito per la paziente e struttura di supporto per la famiglia. Gli spunti di riflessione esposti verranno utilizzati per la stesura del progetto e l'identificazione degli obiettivi dello stesso. 4.3.3 Campo d'azione e strategie d'azione del progetto Alla base di un servizio per persone affette da DCA poniamo come perno irremovibile, la definizione di “salute” formulata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1948, ancora oggi valida: "La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia o di infermità".135 Successivamente tale definizione fu arricchita con la Dichiarazione di Alma Ata sull'assistenza sanitaria primaria nel 1978 e la Carta di Ottawa nel 1986. L'intervento rivolto a soggetti con Disturbi Alimentari deve fare riferimento a questi documenti internazionali che obbligano ad occuparsi della Persona nella sua interezza, superando un'ottica puramente assistenzialistica che mira solo alla sanità (assenza di malattia e sintomi) del soggetto. La filosofia di salute posta alla base di questo progetto promuove il cambiamento verso una situazione di miglioramento dei sintomi, di sviluppo di empowerment e autonomia nella gestione della quotidianità, di positivo reinserimento sociale e lavorativo. 4.4 Progettazione 4.4.1 Definizione e analisi del problema L'idea iniziale alla base del progetto è nata dall’esigenza di completare lo spettro delle proposte terapeutiche del Centro Regionale per i DCA di Padova, per rendere l’offerta assistenziale flessibile, per garantire risposte dall’ambulatorio al residenziale, per una presa in carico globale con personalizzazione dei percorsi terapeutici ritenuti più confacenti al singolo caso clinico. Si è evidenziato l'esigenza di una struttura di supporto per le pazienti che vengono dimesse da ricovero ospedaliero, in casi di lunga durata di malattia, rilevante sottopeso, scarso sostegno psicosociale, mancata risposta al trattamento ambulatoriale, presenza di comorbidità psichiatrica. I DCA sono il focus dell'intervento, disturbi caratterizzati da una frequenza e una diffusione in aumento nelle giovani generazioni con una guarigione molto difficoltosa (per approfondimenti 135 World Health Organization. International Classification of Functioning, Disability and Health. 53 rimandiamo al capitolo 1). Le strutture presenti nel territorio per il trattamento di tali disturbi sono di diversa tipologia e adottano spesso un approccio multidisciplinare (per approfondimenti rimandiamo al capitolo 2). 4.4.2 Identificazione degli obiettivi Mi focalizzerò ora sull'identificazione degli obiettivi, dei sottobiettivi, degli obiettivi specifici e degli indicatori facendo riferimento ad uno degli scopi possibili del Centro Diurno, ovvero: “Diminuire le ricadute di pazienti con Disturbo del Comportamento Alimentare che rientrano in casa dopo miglioramento della sintomatologia ottenuto durante una fase di ospedalizzazione completa”. Sottobiettivo Rafforzare il mantenimento di miglioramenti raggiunti dalla paziente durante il ricovero Obiettivi specifici Stabilizzare o diminuire/aumentare il peso Aumentare/diminuire i pasti Aumentare la qualità dei pasti Aumentare la quantità dei pasti Diminuire le condotte di eliminazione Diminuire le crisi bulimiche Diminuire l'iperattività fisica Diminuire il Body checking Favorire il rientro in famiglia Favorire una gestione sana ed equilibrata del tempo libero Aumentare i pasti consumati insieme ai familiari (se prima del ricovero il paziente consumava pasti in solitudine) Diminuire la tensione familiare durante i pasti Aumentare la comunicazione adeguata durante i pasti in famiglia Aumentare il tempo dedicato ad attività slegate dal DCA Aumentare la consapevolezza di esigenze di riposo e di attivazione del proprio corpo Indicatore Peso espresso in Kg Numero di pasti in una giornata Numero pasti adeguati per qualità in una settimana Numero pasti adeguati per quantità in una settimana Numero condotte di eliminazione in un giorno Numero crisi bulimiche in un giorno Minuti dedicati all'iperattività fisica in un giorno Minuti dedicati al body checking in una giornata Numero pasti consumati insieme ai familiari in una settimana Percezione della tensione familiare durante i pasti Percezione dell'adeguatezza della comunicazione durante i pasti in famiglia Minuti dedicati ad attività slegate dal DCA Consapevolezza di esigenza di riposo e attivazione del proprio corpo 4.4.3 Beneficiari dell'intervento Il progetto è rivolto a quei soggetti affetti da Disturbi del Comportamento Alimentare con lunga 54 durata di malattia, rilevante sottopeso, scarso supporto socio-familiare, mancata risposta alla terapia ambulatoriale e/o presenza di comorbidità psichiatrica o per pazienti nel periodo di dimissione dal ricovero ospedaliero. L'intervento semiresidenziale permetterebbe infatti alle paziente di vivere in famiglia, frequentare la scuola o il lavoro, seguendo un percorso riabilitativo di cura e di eventuali miglioramenti ottenuti. Il progetto propone un Servizio Diurno rivolto sia a soggetti di giovane età affetti da DCA (indicativamente pazienti di 13-17 anni), sia a soggetti adulti affetti da DCA con lunga storia di malattia (maggiorenni). Gli interventi educativi si differenzieranno quindi per alcuni aspetti e saranno sovrapponibili per altri. Alcune attività, come la psicoeducazione, potranno rivolgersi anche ai familiari delle pazienti, in tal senso anche i familiari potranno essere beneficiari dell'intervento. 4.4.4 Finalità e trattamento riabilitativo nel CD per pazienti affette da DCA Il Centro Diurno potrebbe configurarsi come trampolino di lancio verso un'autonomia conquistata dalla paziente, esso di conseguenza ha tempi determinati. La frequenza può variare da uno a sei mesi. Il significato stesso del Centro Diurno come struttura “di passaggio” perderebbe senso se la paziente lo frequentasse per un tempo prolungato, divenendo sostitutivo della vita familiare. La finalità del progetto riabilitativo semi-residenziale ipotizzato è di integrare attività clinica con attività di riabilitazione nutrizionale e psicosociale inserendosi nell’ambito dell’attività di prevenzione secondaria e terziaria del Centro Regionale per i DCA di Padova. Per prevenzione secondaria si intende la possibilità di intervenire con trattamenti semi-intensivi in casi gravi, di recente insorgenza con l’obiettivo di ridurre il ricorso all’ospedalizzazione e di prevenire la cronicizzazione del disturbo. Per prevenzione terziaria si intendono gli interventi che hanno lo scopo di prevenire la cronicità o ridurre le conseguenze negative che la cronicità apporta in termini di qualità della vita, salute fisica e funzionamento sociale e lavorativo. Il trattamento riabilitativo semiresidenziale comprende la prescrizione individualizzata e la programmazione dei pasti, l'assistenza degli stessi da parte di personale specializzato. Tra le attività terapeutiche e riabilitative vi potranno essere interventi di gruppo; potranno essere di carattere psicoeducazionale, espressivo e occupazionale, riguardanti sia l’alimentazione (cucina e acquisto generi alimentari), che la riacquisizione di capacità di intraprendere attività creative e/o di studio o lavoro (organizzazione di corsi periodici). Nella struttura semiresidenziale potrebbero attuarsi programmi di attività motoria adattata in gruppo, riabilitazione nutrizionale, eventuali trattamenti farmacologici e terapia psicoeducazionale per i familiari. 55 L’accesso al trattamento intensivo extraospedaliero in regime semiresidenziale viene deciso dall’equipe curante del Centro Regionale per i DCA di Padova e concordato nei tempi e nelle modalità in un apposito colloquio di accoglimento da svolgersi con il paziente interessato e, quando necessario, con i familiari. 4.4.5 Modello di intervento Le pazienti più giovani necessiteranno infatti di attività che permettano la frequenza scolastica, lo sviluppo e il mantenimento di relazioni amicali (ad esempio con i compagni di classe) anche all'esterno della struttura. L'intervento offerto per le pazienti maggiorenni si caratterizzerà per l'attenzione alla socializzazione, alla preparazione e alla ricerca lavorativa, all'autonomizzazione del soggetto. Data la naturale diversità tra pazienti minorenni e pazienti adulte anche le aree di intervento potrebbero essere diversificate. Alcune attività risultano specifiche della patologia alimentare (es: psicoeducazione, riabilitazione nutrizionale) e quindi sovrapponibili nelle diverse età. In relazione agli obiettivi specifici già posti individuiamo le aree di intervento del progetto, nello specifico: area dell'accoglienza, area psicoterapica (di pertinenza psichiatrica e psicologica), area riabilitazione nutrizionale e area del rilassamento e ricreativa. 4.4.6 Aree di intervento, attività e ruolo dell'educatore Nella fase iniziale di inserimento del soggetto l'educatore potrà accogliere il paziente e i suoi familiari (nel caso di pazienti minorenni o di pazienti che vogliano coinvolgere i familiari) nella struttura e illustrare loro l'organizzazione della stessa. L'educatore potrà rivestire, in tal senso, la figura di accoglienza, presentando gli spazi, l'èquipe del trattamento, illustrando l'organizzazione e le attività del CD. Nel caso di pazienti che inizino il percorso semiresidenzale al termine di un ricovero ospedaliero, per creare una continuità con i servizi, sarebbe necessario che un educatore del Centro Diurno si dedicasse ai primi incontri con la paziente già durante la fase terminale del ricovero ospedaliero. Tali incontri permetterebbero così un passaggio graduale per la paziente dal ricovero ospedaliero alle frequentazione del CD. L'area della nutrizione assume un'importanza centrale dato il target a cui si rivolge la struttura. La riabilitazione nutrizionale e gli incontri di psicoeducazione rappresentano una parte molto importante dell'intervento che un EP potrebbe svolgere. Durante la giornata le pazienti potrebbero infatti condividere con l'educatore i momenti del pranzo e le merende. L'educatore in tali momenti potrebbe portare supporto nell'affrontare le varie pietanze. L'assistenza al pasto potrebbe aiutare la paziente ad abbandonare abitudini patologiche legate al cibo, come sminuzzare le pietanze in 56 pezzetti molto piccoli, mangiare da sola, mangiare solo alcune pietanze o quantità eccessive di alcune tipologie di cibo, assumere quantità eccessive di liquidi e mangiare velocemente. Con alcune pazienti, l'EP potrebbe acquistare e preparare le pietanze da consumare, tali attività richiedono che la struttura sia dotata di una cucina. L'acquisto del cibo e la sua preparazione potrebbero essere perciò effettuate dalle pazienti, a turno, assistite dall'educatore. Tali attività necessitano di un approccio graduale: l'educatore potrebbe organizzare l'avvicinamento della paziente all'acquisto e alla preparazione del cibo prima proponendole un ruolo di osservatore, e procedendo con un suo coinvolgimento maggiore, per arrivare ad affiancarla permettendole di sperimentare situazioni “a rischio” come scegliere la merce in un supermercato, decidere in base ai suoi gusti personali alcuni cibi da acquistare, cucinare le pietanze per altre persone, porzionare i cibi per sé e per altri. L'educatore seguendo la paziente nella preparazione dei cibi potrebbe stimolarle ad acquisire abitudini sane nella cottura degli stessi, diversificate ed equilibrate. Difficoltà possono emergere nella fase post-prandiale, nella quale le pazienti potrebbero attuare agiti di eliminazione o di compenso legati al DCA. All'interno della struttura potrebbero essere organizzate attività alternative per decentrare l'attenzione. Per le pazienti più giovani l'educatore potrebbe proporre momenti di svago come giochi di società o il completamento di un puzzle. Potrebbero essere attivati gruppi di verbalizzazione e discussione dei propri sentimenti rispetto al momento del pasto o della fase digestiva guidati da uno psicologo e da un educatore. All'interno di un CD oltre alla riabilitazione nutrizionale devono trovare ampio spazio le attività ricreative e di rilassamento. Nell'area del tempo libero le attività potrebbero tendere allo sviluppo di interessi personali, in contesti individuali e di gruppo. L'intento educativo di tali attività è di far emergere dalle pazienti i loro interessi, le loro passioni, le loro abilità, per una riscoperta di sé al di fuori del disturbo alimentare. All'interno del CD potrebbero essere attivati laboratori diretti alle pazienti in base ai loro interessi; preventivamente l'educatore potrebbe approfondire con ciascuna paziente la tematica delle passioni e degli interessi personali. Tra i laboratori attivabili citiamo il cineforum, il laboratorio creativo o espressivo, l'attività fisica (con attenzione al legame con il DCA), il decoupage, la lavorazione del cuoio, la lavorazione della creta, della cartapesta o di altri materiali, il giardinaggio. L'organizzazione di tali attività potrebbe essere attuata dagli educatori e da esperti del settore, come maestri d'arte, esperti di cinema, allenatori sportivi. Alcune semplici attività, come la visione di una film e la sua discussione, richiedono alle pazienti molto impegno e possono presentarsi difficoltà legate al DCA. La semplice visione di un film richiede al soggetto di stare seduto per un 57 determinato tempo, ciò po' essere difficile per le pazienti iperattive, allo stesso tempo il film può rappresentare un modo per interessarsi a qualcosa di diverso dal cibo, inoltre la discussione sulle tematiche del film può offrire un confronto in gruppo sviluppando il funzionamento sociale delle pazienti. Il collegamento con le strutture di volontariato o altre associazioni potrebbe essere uno spunto, per le pazienti, a coltivare le loro passioni anche in ambienti esterni alla struttura. Nel caso la paziente esprima il desiderio di frequentare un'attività all'esterno della struttura l'educatore potrebbe aiutarla a valutare la scelta, supportarla nella ricerca di informazioni su tale attività e nel contatto con la stessa. Esempi a tal proposito possono essere corsi di teatro, corsi di yoga e partecipazione ad attività di associazioni di volontariato. Se le pazienti manifestassero tale desiderio, l'educatore, potrebbe organizzare e aiutare le pazienti nella realizzazione di attività rivolte all'esterno, che coinvolgano la popolazione come spettacoli teatrali o la vendita di creazioni manuali. Potrebbero, inoltre, rientrare nelle attività del CD attività legate all'area scolastica. Gli interventi educativi potrebbero avere lo scopo di promuovere metodi di studio adeguati. L'educatore dovrà modulare l'intervento in relazione al singolo soggetto, possono infatti presentarsi casi di pazienti con rendimento scolastico molto basso e, all'opposto, con risultati molto elevati e comportamenti eccessivamente competitivi verso i compagni di classe. Nel caso di pazienti con basso rendimento scolastico, che manifestino difficoltà di studio e di concentrazione a causa di pensieri sul cibo e legati alla patologia alimentare, l'educatore potrebbe intervenire fornendo strategie adeguate, metodi differenti di studio affiancando il soggetto. L'educatore potrebbe proporre al soggetto di simulare prove scritte e interrogazioni con il suo aiuto. In tal modo la paziente sperimenterebbe in situazione protetta le eventuali prove scolastiche, le simulazioni potrebbero aiutare il soggetto a sperimentare frustrazioni e sentimenti di soddisfazione di sé ed a imparare a gestire queste emozioni negative e positive. Nel caso di pazienti molto competitive, con rendimento scolastico buono, che sacrificano attività del tempo libero e relazioni sociali per studiare e primeggiare l'intervento sarà differente da quello appena ipotizzato. L'educatore potrebbe educare la paziente ad un equilibrio tra studio e altre attività, affinchè questa “si conceda” degli svaghi, delle attività piacevoli e sane. Un'altra area di intervento, attuabile solo in particolari casi, è quella lavorativa, che potrebbe coinvolge le pazienti più adulte, sia in previsione di un inserimento lavorativo futuro, sia in relazione ad un inserimento lavorativo in atto. Le attività educative potrebbero mirare all'approfondimento degli interessi lavorativi, allo sviluppo di abilità e competenze professionali in relazione a questi. Potranno essere proposti dagli educatori 58 stessi, o dalle pazienti, corsi di formazione esterni e laboratori protetti interni alla struttura. Per pazienti con capacità lavorative che potrebbero a breve essere inserite in un programma lavorativo sarà possibile realizzare simulazioni di colloqui. 4.4.7 Mezzi e risorse Per l'avvio di un CD sono necessarie, come figure professionali, lo Psichiatra, lo Psicoterapeuta, l'Educatore Professionale, il Dietista, l'Operatore Socio-Sanitario. Inoltre sarà necessaria la collaborazione con il MMG, l'inviante di ciascuna paziente e, in alcuni casi, l'Assistente Sociale. Un periodo iniziale, precedente all'inizio delle attività del Centro Diurno verrà dedicato alla formazione dell'èquipe, alla condivisione degli obiettivi e dei metodi da adottare tra le diverse figure professionali (il periodo verrà indicato successivamente nel Diagramma di Gantt). Le famiglie, le associazioni che supportano i pazienti con DCA e i loro genitori, le associazioni di volontariato presenti nella città e nelle vicinanze sono risorse umane gratuite e preziose che è possibile coinvolgere nell'organizzazione delle attività. Il collegamento con altri centri e strutture che si occupano della cura dei DCA rappresenta una risorsa per l'avviamento del progetto. In relazione a tale constatazione, già nell'individuazione dei bisogni delle pazienti per la progettazione di un CD, sono stati contattati specialisti formali e informali. Il coinvolgimento di specialisti delle patologie alimentari nella progettazione è il primo passo per creare una rete di collegamento tra le strutture già presenti e il CD che sorgerà. Nella fase iniziale di “pubblicizzazione” della struttura verrà contattato uno specialista di grafica e pubblicità. Il grafico pubblicitario si preoccuperà di progettare e creare un sito internet e un depliant per presentare la struttura alle famiglie, agli specialisti del settore e alle altre strutture pubbliche e private interessate. Le risorse economiche, base per la realizzazione effettiva del progetto, potrebbero essere stanziate da fonti quali il Sistema Sanitario Nazionale, la Regione Veneto, il Comune di Padova, le associazioni di sensibilizzazione sui DCA e le associazioni di volontariato. La risorsa materiale principale da ricercare è la struttura fisica dove verrà attivato il servizio. L'edificio dovrà essere adeguato per collocazione spaziale, dimensioni e spazi interni (stanze ampie per attività di movimento, stanze adatte allo studio, locale cucina ecc.). Il materiale necessario per le attività e la gestione della struttura dovranno essere stimati dall'èquipe nella fase di formazione della stessa. 59 4.4.8 Valutazione e monitoraggio Il monitoraggio del percorso della paziente può essere effettuato attraverso l'osservazione, da parte dell'educatore, dei comportamenti della paziente nelle attività del CD. Ogni educatore osserverà quotidianamente un numero limitato di pazienti e compilerà per ciascuna paziente una scheda di osservazione settimanale. Una scheda di osservazione, comprendente le diverse aree che possono beneficiare della riabilitazione intensiva, può essere creata dall'èquipe nel periodo di formazione della stessa e potrà essere modificata nel tempo. La scheda di osservazione si proporrà come strumento univoco per analizzare il livello di raggiungimento degli obiettivi previsti facendo riferimento agli indicatori sopra individuati. Alla fine di ogni mese verranno confrontate le griglie di osservazione nella riunione d'èquipe condividendo i miglioramenti e le difficoltà osservati nelle pazienti. Anche i colloqui pazienteeducatore/altro operatore saranno determinanti per la valutazione del percorso svolto, anche questi verranno condivisi nelle riunioni d'èquipe. Potrebbe essere previsto un incontro mensile tra èquipe e lo psichiatra/psicologo di riferimento della paziente per condividere la verificare e la messa a punto del percorso. Al termine del percorso individuale della paziente nel CD, si realizzerà una valutazione complessiva del percorso e dei risultati raggiunti. Tale valutazione avverrà attraverso il confronto delle varie figure professionali che hanno partecipato al percorso di cura, anche in modalità di collaborazione, con il CD. Una seconda parte della valutazione verrà avviata con la partecipazione della paziente in un colloquio paziente-educatore responsabile. 4.4.9 Diagramma di Gantt Riportiamo di seguito il diagramma di Gantt che indica la scansione temporale delle azioni da compiere per realizzare il progetto. In figura 1 abbiamo illustrato i primi sei mesi della progettazione e realizzazione del CD, a partire dal settimo mese si ripeteranno le attività riportate al sesto mese. A partire dall'ananlisi dei bisogni che necessariamente precede e affianca la progettazione della struttura e le procedure di avvio si passa alla fase di reclutamento delle ospiti, avviando il contatto con altre strutture per i DCA (e nello specifico le pazienti del Centro Regionale di Padova), fornendo agli operatori informazioni sulla struttura e sulle sue caratteristiche. In questa fase il Centro Diurno inizierà a essere visibile al pubblico anche tramite pubblicizzazione e informazione fornite ai MMG, attraverso depliant e il sito internet della struttura. A questo punto inizia il lavoro terapeutico intensivo con il pazienti e successivamente gli incontri di 60 “tavola rotonda” potranno servire per verificare il raggiungimento o meno degli obiettivi delle ospiti, le difficoltà incontrate nel lavoro degli operatori dell'èquipe e la coerenza degli interventi con il progetto iniziale della struttura. Figura 1: Diagramma di Gantt In tale occasione sarà presente un supervisore, con esperienza comprovata nel trattamento dei DCA, per guidare e supportare l'èquipe in questa verifica. Non tratteremo in questo capitolo la tappa della realizzazione dal momento che il progetto non è stato realmente realizzato e stiamo procedendo attraverso proposte. 4.5 Valutazione del progetto136 La valutazione della progettazione e dell'attuazione del Centro Diurno è un valido strumento per analizzare i risultatati raggiunti alla luce degli obiettivi posti nel progetto. L'esistenza di un Servizio rivolto a pazienti che soffrono di una patologia trova il suo senso se esso ha un impatto positivo, di miglioramento, rispetto ai problemi per cui sorge. Appare quindi doverosa la valutazione dei risultati dell'intervento. Nell'area psichiatrica, in soggetti affetti da DCA da lungo tempo, i miglioramenti spesso sono lenti e minimi. Questa caratteristica lentezza nel miglioramento indurrà l'èquipe del CD ad un'osservazione molto precisa delle ospiti per notare i loro cambiamenti. Anche minimi miglioramenti possono infatti avviare un processo positivo di guarigione. Se il progetto non provoca nessun cambiamento nel soggetto il suo significato è nullo. La valutazione serve per prendere consapevolezza dell'utilità o meno di un intervento e della quantificazione di tale utilità. La valutazione di questo progetto verrà realizzata dal gruppo valutativo, composto dall'èquipe della 136 Leone L.; Prezza M., op. cit., pp. 131-152 61 struttura (che guiderà la valutazione) e dall'intero staff che ha realizzato e progettato l'intervento. La diffusione dei risultati della valutazione dell'intervento potrà rivolgersi ai collaboratori esterni alla struttura, ad altri centri per il trattamento dei DCA e agli utenti. Per una valutazione precisa e puntuale sarà necessario che il gruppo valutativo si riunisca al termine di ogni fase. Al termine della progettazione e dell'avvio del CD il gruppo valutativo potrà valutare retrospettivamente le singole fasi seguendo le stesse domanda-guida già usate al termine di ciascuna fase. Di seguito individueremo alcune domande che potrebbero guidare la valutazione del progetto della struttura nelle varie fasi. 4.5.1 Domande relative alla tappa dell'ideazione e dell'attivazione L'idea iniziale è stata approfondita sufficientemente? Vi erano altre esigenze espresse che non sono state prese in considerazione? Quali le ragioni? L'idea iniziale era realizzabile? È stato investito adeguato tempo per la valutazione della fattibilità del progetto e sua utilità? L'analisi della domanda ha coinvolto un numero di soggetti quantitativamente adeguato? I soggetti scelti erano rappresentativi rispetto al problema? I soggetti hanno manifestato interesse per il progetto? I contatti avviati con le altre strutture in questa fase hanno collaborato/partecipato anche alle altre fasi del progetto? C'è stata disponibilità/interesse da parte delle altre strutture? È stata coinvolta la popolazione locale? Sarebbe stato utile coinvolgere altri soggetti o figure professionali nelle fasi iniziali? Sono state create sufficienti alleanza con altri centri o specialisti dei DCA? Il problema identificato è percepito tale dai soggetti contattati nella la fase di analisi del problema? Le richieste e riflessioni espresse dai soggetti evidenziano lo stesso problema percepito dal progettista? 4.5.2 Domande relative alla tappa della progettazione Vi è attinenza tra progetto finale e scopo generale? Sarebbe stato possibile organizzare un servizio differente perseguendo lo stesso scopo generale? La stesura del progetto è coerente con le riflessioni espresse nelle fasi precedenti? La progettazione teorica ha permesso di passare agevolmente alla progettazione operativa? La collocazione temporale delle varie attività, formulata attraverso il Diagramma di Gantt nella progettazione operativa, si è dimostrata efficace? Le risorse attivate si sono dimostrate sufficienti? Sono state stimate efficacemente le risorse necessarie per l'attuazione del CD? 4.5.3 Domande relative alla tappa della realizzazione Durante la realizzazione sono emerse esigenze o indicazioni che sarebbero state utili nella 62 progettazione? Nella realizzazione sono emerse disattenzioni della fase progettuale? La progettazione è stata flessibile, permettendo la modifica di alcuni aspetti passando dalla progettazione alla realizzazione? È stato necessario contattare altri specialisti, non previsti nella progettazione, con cui collaborare? Sono emerse risorse gratuite non previste? È stato necessario attivare risorse ulteriori oltre a quelle previste nella progettazione teorica al momento di realizzazione dell'intervento? Le attività programmate sono state realizzate completamente? Sono emerse esigenze delle pazienti non previste? La struttura si è dimostrata idonea alle attività e alle esigenze progettuali? Il lavoro d'èquipe è stato efficace? La formazione del personale è stata sufficiente? Sono emerse esigenze formative non previste? 4.5.4 Domande relative alla tappa della valutazione La valutazione nelle varie fasi del progetto è stata attuata? È stata puntuale? È stata realizzata la valutazione finale del progetto? Gli esiti sono stati diffusi? Alla luce della verifica del progetto, ci sono delle modifiche che dovrebbero essere apportate alla struttura del CD avviato? Le valutazioni sono state utili per modificare in corso d'opera le attività o altri aspetti? Al termine del progetto è stata valutata l'efficacia dell'intervento in relazione agli obiettivi individuati? Il progetto è trasferibile e ripetibile? Il monitoraggio è stato utile all'èquipe? La griglia di osservazione è stata creata/utilizzata? È completa? Vi è l'esigenza di modificarla? Ci sono aspetti importanti che non è possibile osservare attraverso tale griglia? È emersa la necessità di adottare altri strumenti valutativi? Per quali ragioni? La condivisione delle osservazioni di ogni operatore sul percorso del singolo paziente è stata possibile? Nel periodo successivo alla frequentazione del CD, le pazienti mantengono i miglioramenti ottenuti? È strutturata una valutazione post intervento (alcuni mesi dopo)? 63 Conclusioni I disturbi del comportamento alimentare sono patologie psichiatriche complesse con cause multifattoriali, molti sono infatti gli elementi che concorrono all'instaurarsi e al perpetuarsi di questi disturbi. La necessità di un trattamento multidisciplinare nasce dalle caratteristiche del DCA stesso: il disturbo alimentare può coinvolgere molte aree della persona, quali ad esempio la cura e la gestione di sé, la capacità lavorativa e scolastica e la capacità di relazionarsi con altre persone, oltre all'area dell'alimentazione e del rapporto con il corpo. Spesso il soggetto nega il disturbo, considerandolo parte di sé e della propria normalità, per tale motivo il trattamento di tali disturbi include un lavoro di motivazione al cambiamento. Nel trattamento di questi disturbi molta attenzione dev'essere posta a sintomi fisici, complicanze, e comportamenti patologici, non dev'essere però dimenticata la Persona nella sua interezza, alla quale si rivolge il percorso di cura. L'Educatore Professionale (EP) in tale quadro patologico potrebbe configurarsi come figura ponte, figura di collegamento tra le diverse professionalità, proponendo interventi educativi indirizzati ad evitare la frammentazione del percorso di cura del soggetto citata dal DPR n.105/CR del 14 Luglio 2009 (allegato A) "Progetto Obiettivo Regionale per la Tutela della Salute Mentale (2010-2012)". Attualmente poche strutture per il trattamento dei DCA accolgo nel loro organico la figura dell’EP. La scarsa conoscenza della figura professionale dell'educatore da parte degli specialisti coinvolti nella cura dei DCA può contribuire a non evidenziarne la necessità. Questa tesi vuole essere una prima ricognizione dei servizi che sono già stati attivati nel territorio per la cura di questi disturbi e del possibile ruolo dell'EP in queste strutture. La progettazione di un Centro Diurno e l'ipotesi di inserimento dell’ EP nell'organizzazione delle attività e della gestione della struttura vuole essere uno spunto di riflessione del possibile ruolo dell’EP nel trattamento dei DCA. All'interno di un Centro Diurno l'EP potrebbe avere molte funzioni e compiti: dalla fase di accoglienza dei pazienti, alla realizzazione di colloqui con genitori per presentare il servizio e ascoltare la “domanda di cura”, dall’assistenza ai pasti all’organizzazione delle attività mirate alla 64 gestione del tempo libero L’EP potrebbe dare un aiuto ai pazienti nel costruire un'organizzazione sana degli impegni, slegata dal pensiero costante e pervasivo del cibo, distante dal circolo vizioso abbuffata-vomito o dall'iperattività fisica. L'EP potrebbe infatti aiutare il soggetto a trovare alternative sane ai comportamenti patologici, soprattutto nel difficile momento post-prandiale, mirando all'approfondimento di interessi personali, lavorativi o scolastici. L'educatore potrebbe inoltre intervenire nell'area delle relazioni aiutando il soggetto ad affrontare il confronto con gli altri, aiutandolo nella gestione di momenti di rabbia o rammarico rispetto a situazioni sociali che potrebbero configurarsi come momenti “a rischio” per comportamenti disfunzionali. L’ambito semiresidenziale può quindi rappresentare uno spazio in cui l’EP con le sue competenze si affianca al team multidisciplinare per fornire un valido supporto nel trattamento dei DCA. 65 Bibliografia Capitolo 1 American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. Fourth Edition. Text Revision (DSM IV-TR), Washington, 2000 Bobbo N., Bambini in ospedale. Riflessione pedagogiche e prospettive educative, Lecce, Pensa MultiMedia, 2004 Bobbo N., La persona e il suo vissuto di malattia: l'approccio educativo, Padova, Cleup, 2009 Bruch H., La gabbia d'oro. L'enigma dell'anoressia mentale, Milano, Feltrinelli, 2006 Brunori L.; Raggi C., Le comunità terapeutiche, Bologna, il Mulino, 2007 Dalle Grave R., Terapia della famiglia. Modulo aggiuntivo della terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell'alimentazione, Verona, Positive Press, 2003 Erikson E.H., I cicli della vita. Continuità e mutamenti, Roma, Armando Editore, 2003 Favaro A.; Caregaro L.; Tenconi E.; Bosello R.; Santonastaso P, Time trends in age of onset of anorexia nervosa and bulimia nervosa, Journal of Clinical Psychiatry, Dicembre 2009; 70(12), pp. 1715-1721. Favaro A.; Santonastaso P., Anoressia & Bulimia. Guida pratica per genitori, insegnanti e amici, Verona, Positive Press, 2002 Garner D.M.; Dalle Grave R., Terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell'alimentazione, Verona, Postive Press, 1999 Luxardi G.L.; Tisiot C. (a cura di), Anoressia, Bulimia e Co. Fuori dal tunnel, 2009 Martin A.; Santonastaso P., Educazione professionale in medicina e psichiatria, Padova, Piccin, 2008 Ostuzzi R., Anoressia e Bulimia. I Disturbi del Comportamento Alimentare. Domande e risposte, Bologna, OSC Healthcare S.r.l, 2009 Santonastaso P., Capitolo 14. Disturbi dell'alimentazione, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, Padova, CLEUP, 2006 Santonastaso P.; Favaro A., Disturbi dell’alimentazione, Milano, Energy Editions, 2000 Treasure J.; Smith G.; Crane A., Skills-based learning for caring for a loved one with an eating disorder : the New Maudsley Method, 2007 Capitolo 2 American Psychiatric Association, Practice Guideline for the treatment of patients with eating disorders (revision), American Journal of Psychiatry, 157, suppl. 1, 2000 Brunori L.; Raggi C., Le comunità terapeutiche, Bologna, il Mulino, 2007 Francescato D.; Tomai M., Psicologia di comunità e mondi del lavoro, Roma, Carocci Editore, 2005 Ostuzzi R.; Luxardi G. L., Figlie in lotta con il cibo, Milano, Baldini&Castoldi, 2003 66 Prochaska JO.; Di Clemente CC., Transtheoretical therapy: Toward a more integrative model of change, Psychotherapy: Theory, Research, & Practice, 1982 Regione Veneto (Giunta Regionale), Il Centro Educativo Occupazionale Diurno Rizzardo R., Capitolo 24. L'organizzazione dell'assistenza psichiatrica, in Pavan L. (a cura di), Clinica Psichiatrica, Padova, CLEUP, 2006 Delibera della Giunta Regionale n.3540 del 1999 Decreto della Giunta Regionale n.105/CR del 2009 Capitolo 3 Ba G., Strumenti e tecniche di riabilitazione psichiatrica e psicosociale, Milano, FrancoAngeli, 2003 Bobbo N., La persona e il suo vissuto di malattia: l'approccio educativo, Padova, Cleup, 2008 Caldin R., Introduzione alla pedagogia speciale, Padova, Cleup, 2007 Conte M., Ad altra cura. Condizioni e destinazioni dell'educare, Lecce, Pensa MultiMedia, 2006 D'Agostini F., Analitici e continentali,Milano, Raffaello Cortina, 1997 Feld R.; Blake Woodside D.; Kaplan A.S.; Olmsted M.P.; Carter J.C., Pretreatment Motivational Enhancement Therapy for Eating Disorders: A Pilot Study, International Journal of Eating Disorders, 29 (4) 393-400, 2001 Gadamer H., Verità e metodo, Milano, Bompiani, 2000 Garner D.M.; Dalle Grave R., Terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell'alimentazione, Verona , Positive Press, 1999 Lavanco G.; Novara C., Elementi di psicologia di comunità, Milano, McGraw-Hill, 2002 Martin A., Schemi di educazione medica e metodologia educativa, Padova, CEDAM, 2005 Martin A.; Santonastaso P., Educazione professionale in medicina e psichiatria, Padova, Piccin, 2008 Milan G., Disagio giovanile e strategie educative, Roma, Città Nuova Editrice, 2005 Miller W. R.; Rollnick S., Il colloquio motivazionale. Preparare le persone al cambiamento,Trento, Erikson, 2004 Ostuzzi R.; Brambullo L.; Ferrari M.; Cuzzolaro M., La Comunità Terapeutica Residenziale: una nuova esperienza di cura per i Disturbi del Comportamento Alimentare, Psicobiettivo, 2, 2001 Pareyson L., Esistenza e persona, Genova, Il Nuovo Melangolo, 2002 Rossati A.; Magro G., Stress e burnout, Roma, Carocci editore, 1999 Santonastaso P., Frammenti. Rivista di psichiatria, anno 12 n.2, Ravenna, tipografia Moderna Ravenna, 2004 Sisdca, Volume degli atti “La gestione della cronicità nei Disturbi dell'Alimentazione: dal gioco della palla avvelenata a percorsi di alleanza”, 2007 Tramma S., L'educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo, Roma, Carocci editore, 2003 67 Treasure J.L.; Katzman M.; Schmidt U.; Troop N.; Todd G.; de Silva P., Engagement and outcome in the treatment of bulimia nervosa: first phase of a sequential design comparing motivation enhancement therapy and cognitive behavioural therapy, Behaviour Research and Therapy, Volume 37 (5), 1999, pp. 405-418 Decreto Ministeriale n. 520/1998 (Gazzetta Ufficiale 28/4/99 n.98 ) Capitolo 4 Leone L.; Prezza M., Costruire e valutare i progetti nel sociale, Milano, Franco Angeli, 2003 World Health Organization. International Classification of Functioning, Disability and Health, Ginevra, 2001 68 69 Sitografia King's Collage (Londra): www.iop.kcl.ac.uk Comunità Terapeutica Residenziale Silesia (Vicenza): www.comunitasilesia.it Centro per il trattamento e la terapia delle sindromi alimentari (Vicenza): www.centrofocus.it Casa di Cura Villa Margherita (Arcugnano, VI): www.casadicuravillamargherita.it Casa di Cura Parco dei Tigli (Costigliola di Villa di Teolo, PD): www.parcotigli.it Casa di Cura Privata Villa Garda (Garda, VR): www.villagarda.it Centro Regionale per www.anoressiabulimia.net i Disturbi del www.provincia.pd.it www.venetosociale.it 70 Comportamento Alimentare di Padova: 71 Ringraziamenti Finalmente è arrivato il momento dei ringraziamenti. Voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato, in un modo o nell'altro, in questi anni di università a tener duro anche nei momenti difficili e soprattutto nell'ultimo periodo della tesi! Desidero ringraziare veramente tantissime persone, perchè sono molte le persone che hanno contribuito a far nascere in me la voglia di fare l'Educatore e a loro va il mio GRAZIE di cuore. Ringrazio il Prof. Paolo Santonastaso e tutta l'èquipe del Centro di riferimento Regionale per i DCA di Padova per avermi accolto come educatore-tirocinante e pesce fuor d'acqua! Ringrazio in particolare Valentina, Elisa, Laura, Chiara, straordinarie compagne di tirocinio! Voglio ringraziare due associazioni che mi hanno aiutato a conoscere il mondo dei DCA e le difficoltà vere che ogni giorno si incontrano, aldilà di ogni criterio diagnostico scritto nei manuali. Ringrazio perciò l'associazione “Alice per i DCA”, in particolare Maddalena e Giulia per una serata in allegria che ha fornito preziosi spunti per questa tesi riportando al centro delle mie riflessioni la Persona con DCA, che rimane in ogni caso Persona! Ringrazio inoltre l'associazione “Adao” e la presidente, Claudia Ischia, per avermi guardato negli occhi e raccontato la sua esperienza, per avermi trasmesso la sua forza e coraggio nel combattere questi disturbi. Ringrazio il Dott.Luxardi per un proficuo confronto sull'educazione applicata al mondo dei DCA. Ringrazio le educatrici/operatrici della Comunità Silesia, Monica, Patrizia, Alessandra, Chiara, Giulia, Lisa, Ilaria e Lea per la loro passione e instancabile forza di educare, di creare e inventare soluzioni adatte ad ogni singola ospite, ai suoi vissuti e alla sua storia. Ringrazio tutte le ospiti della comunità, per i primi passi di fiducia verso di me, passi che iniziano a creare un legame speciale che i libri definiscono “relazione educativa”...infine come non ringraziare l'unico maschietto della comunità, l'allegro Nico? Anche a lui vanno i miei ringraziamenti per l'accoglienza che mi riserva ogni giorno. Ringrazio tutte le segretarie del C.U.R. e lo staff che si preoccupa di far filare tutto liscio al CUBO. In particolare ringrazio Eleonora Raimondi, tutor eccellente, paziente e sorridente che mi ha dimostrato come un educatore può stare ad una scrivania senza perdere la sua essenza educativa! 72 Ringrazio Don Max, amico spirituale e reale, persona importante per la mia vita che ha saputo ascolatare le mie scelte e supportarle. Ringrazio gli Scout per l'esperienza di crescita e condivisione che mi hanno offerto, per la testimonianza di amore gratuito verso il prossimo e per il loro “cantare anche nelle avversità”. Voglio ringraziare una scout speciale, Laura, per la sua amicizia e per avermi mostrato che educate vuol dire affiancare, spronare e puntare oltre i limiti. Ringrazio il mio affezionato Gruppo AttivaMente, per fortuna posso chiamarlo per nome...ringrazio tutti i ragazzi/e che ne fanno parte, per avermi mostrato che tutti i nodi si possono sbrigliare sedendosi attorno ad un tavolo e mettendosi in gioco. Ho lasciato verso la fine i ringraziamenti più importanti... Ringrazio le mie compagne di corso, Gloria, Selena, Elena e Eleonora; compagne meravigliose, che in questi anni hanno condiviso con me esami, lezioni e burocrazia universitaria creando un rapporto forte di amicizia rendendo l'università un'esperienza straordinariamente bella. Ringrazio Suor Costanza e tutte le ragazze di Casa Madre Assunta per i momenti di condivisione vissuti, dalle feste alle preghiere, per la forza di credere nel Signore che mi hanno trasmesso e che insieme abbiamo coltivato! Ringrazio le mie “quasi” coinquiline Paola, Giorgia e, di nuovo, Gloria, per tutte le chiacchierate prima di un esame o all'ora del thè, per le corse in bici nella fantastica Rovigo, per i pranzi in compagnia e il clima familiare che mi hanno donato facendomi sentire sempre a casa. Ringrazio i miei amici, tutti ma proprio tutti, da quelli delle partite a ping-pong a quelli del biliardo del sabato sera, li ringrazio per i momenti di divertimento trascorsi tra un esame e l'altro, tra un capitolo della tesi e l'altro per la loro assiduità nel cercarmi nonostante i miei mille impegni. E per finire.... Ringrazio Elisa per le avventure scolastiche che abbiamo sperimentato insieme, per ricordarmi il mio lato artistico e le mie passioni, per la forza con cui siamo rimaste unite costruendo un'amicizia “secolare”. 73 Ringrazio Davide per aver condiviso con me le riflessioni e i bubbi sulle scelte degli studi, sugli esami e su questa tesi, ma lo ringrazio anche per ogni momento passato insime, bello o brutto, per aver scelto di stare accanto a me nonstante la distanza e le peripezie. Ringrazio i miei genitori, Fabio, Nicoletta, Gilberto, instancabili maestri di vita, che in momenti diversi hanno saputo donarmi amore e protezione, comprensione e testimonianza. Ringrazio i miei cari nonni, Maria e Carlo, Dina e Bruno, per aver creduto in me anche senza sapere precisamente cosa può fare un Educatore Professionale, li ringrazio per la loro fiducia e la saggezza che dimostrano. Infine un augurio per tutte le persone che hanno scelto di fare gli educatori e non immaginano la loro vita professionale in altro modo, sia quelli che stanno studiando per diventarlo sia chi già lavora, auguro loro di non perdere mai la forza di credere nell'educazione, nelle possibilità infinite della persona perchè sono il nostro segreto professionale!!! 74