CPN 20 aprile - Documento Bellotti e altri Una svolta operaia per una nuova Rifondazione comunista L’esito del voto che ha cancellato la sinistra dal parlamento italiano deve, pur nella sua profonda negatività, essere occasione di una riflessione profonda sul nostro partito, la sua linea e la sua stessa natura. Che una sconfitta ci sarebbe stata, era scritto in partenza. Un’esperienza di governo fallimentare, terminata ingloriosamente per mano di Mastella e Dini: una rottura col Pd subìta con rassegnazione da parte dei gruppi dirigenti dell’Arcobaleno, che in buona parte hanno continuato a piagnucolare per la protervia di Veltroni che non ha voluto stringere accordi (e c’è chi continua anche dopo il voto con lo stesso ritornello); una campagna elettorale zoppicante, parole d’ordine vaghe e contraddittorie. Tutto questo lasciava presagire un esito negativo, ma i numeri, smentendo anche i sondaggi più negativi, dicono che si è aggiunto qualcosa di più. Alla semplice domanda: “C’è un solo motivo per cui valga la pena di votare l’Arcobaleno?” oltre due milioni e settecentomila elettori che nel 2006 avevano votato le forze dell’Arcobaleno (senza contare Sinistra democratica) non hanno saputo dare risposta. Il voto della sinistra è esploso in frammenti, chi nell’astensione, chi nelle liste del Pcl e di Sinistra critica, chi nel “voto utile” al Pd, chi infine nel voto a Di Pietro e alla Lega nord. Il terreno è franato sotto i piedi di un gruppo dirigente che fino all’ultimo minuto non ha dimostrato di avere il minimo sentore di quanto si stava preparando. È la fine di un’epoca. La nettezza della vittoria di Berlusconi si accompagna a una radicalizzazione a destra che si esprime nel voto alla Lega e alla Destra di Storace. In questo risultato sicuramente la parte del leone l’hanno fatta i due anni di governo Prodi e il rapido deteriorarsi delle condizioni sociali, di vita e di lavoro di milioni di persone. Tuttavia non possiamo nasconderci che in questo voto si manifestano anche processi di più lungo periodo. La crescita del voto operaio alla Lega, che torna a mietere consensi anche in zone come l’Emilia Romagna, unito a una crescita dell’astensionismo in molte zone operaie, è un segnale che deve far riflettere, così come il successo dell’Italia dei valori, che rappresenta l’anima più demagogica e reazionaria dell’alleanza guidata da Veltroni. Non è solo voto di protesta, è anche il frutto di un lungo lavoro di “semina” compiuto dalla Lega, spesso in collaborazione competititva con i neofascisti di Forza Nuova. Per anni il veleno razzista è stato disseminato nella società senza trovare una risposta forte e convincente da parte della sinistra e con l’accondiscendenza delle forze che poi hanno costituito il Pd. Se la destra razzista che frequenta quotidianamente i quartieri periferici mentre la sinistra lancia appelli alla fraternità dai salottini di Via Veneto, come stupirsi di questi numeri? La classe operaia, si dice, ha abbandonato la sinistra. Sì, almeno in larga parte. Ma questo è stato possibile solo perché prima la sinistra ha drammaticamente abbandonato la classe operaia a sè stessa. Un ulteriore elemento da segnalare è il voto alla Destra, che si segnala per la sua forte componente giovanile. Paragonando il voto di Camera e Senato è il partito che in proporzione al proprio elettorato ha il maggior voto giovanile. Con una destra saldamente al governo e con un Pd a fare un’“opposizione” che su molti temi potrebbe avere posizioni persino più liberiste e filopadronali di Tremonti, con una burocrazia sindacale in ginocchio e una sinistra a pezzi, è fin troppo facile capire che sui lavoratori si scaricherà una pressione pesantissima. Dobbiamo esserne coscienti, si preparano tempi molto duri. La possibililtà di esplosioni della lotta di classe sono implicite, ma dobbiamo sapere che la ripresa delle mobilitazione del protagonismo operaio si dovrà fare strada in una situazione politica e sociale assai difficile. La sconfitta dell’Arcobaleno produrrà una severa selezione a tutti i livelli. Non parliamo qui di quei dirigenti dei Verdi e di Sinistra democratica che già si preparano a veleggiare verso il Partito democratico o i socialisti. Parliamo della crisi del Prc, che è l’epicentro della crisi della sinistra. La volontà di riscatto che anima la parte più vitale del Prc deve essere la base per una elaborazione politica e teorica all’altezza della sfida. I circoli, le federazioni, i gruppi dirigenti del Prc devono diventare luoghi di dibattito politico serio, di riflessione approfondita sulle condizioni di lavoro e di vita di quei milioni di lavoratori che percepiscono la sinistra come sideralmente lontana dai loro bisogni. Dobbiamo aprire, o riaprire, una discussione seria sulle esperienze storiche del movimento operaio e comunista, sulle basi teoriche del marxismo, sulle esperienze di punta della lotta di classe a livello internazionale, a partire da quelle latinoamericane, che oggi possono aiutarci a riproporre la questione del superamento del capitalismo e di una società socialista basata sui bisogni e non sul profitto. Su queste basi, in un partito che ponga al centro la militanza e lo spirito di sacrificio, sarà allora possibile anche parlare di una vera democrazia interna, di controllo della base sui vertici, della formazione di una nuova generazione di quadri e di militanti. Ma questo non è ancora sufficiente. Non basta studiare e conoscere contraddizioni e bisogni: è necessario che questa analisi porti a risposte politiche e organizzative, pena trasformarci in semplice commentatori passivi della crisi sociale. La svolta operaia significa non solo orientarsi ai luoghi di lavoro, ma assumere fino in fondo la necessità di una completa indipendenza di classe del partito e del suo programma, il che oggi significa concretamente indipendenza e antagonismo non solo rispetto alle destre oggi al governo, ma anche rispetto al Partito democratico e al blocco di interessi da esso rappresentato. Anche fuori dal parlamento, il problema politico di fondo rimane aperto. Dobbiamo scegliere tra chi pensa che la sinistra debba comunque, in un modo o nell’altro, costruirsi in una logica di alleanza col Pd, di fronte comune contro le destre, in sostanza di proseguire sulla strada degli scorsi anni, e chi invece ritiene che la natura padronale e confindustriale del Pd ne faccia un nostro avversario strategico. Proponiamo che il Prc assuma con nettezza questa seconda posizione. Non si ricostruirà mai una sinistra di classe, reale espressione dei lavoratori, con un consenso di massa, fino a quando non si romperà definitivamente questo cordone ombelicale. Sappiamo bene che non basta agitare slogan o parole d’ordine di sinistra, per quanto corrette, per risalire la china. Le condizioni obiettive, il maturare della coscienza di massa, ha le sue regole e i suoi tempi che non dipendono principalmente dall’azione di un partito, per giunta piccolo, ma dipendono soprattutto dagli avvenimenti, dall’esperienza viva che milioni di lavoratori compiono ogni giorno. Per rompere la presa della destra nel nostro paese e il duopolio Pd-Pdl non basteranno tante belle parole, ma sarà necessario un forte movimento di massa dei lavoratori, che ne scuota l’egemonia nella società, che faccia emergere un punto di riferimento forte sul quale una prospettiva comunista possa trovare credibilità e autorità. Questa fase difficile deve essere attraversata fino in fondo, in tutte le sue pieghe, dobbiamo usare le difficoltà attuali per imparare a calarci nel profondo delle contraddizioni, per partecipare passo per passo a questa traversata, per far crescere un nuovo tipo di militante comunista, che rompa oggi con il lascito fallimentare della stagione del governismo e della liquidazione politica e ideologica, per potere domani svolgere un ruolo di primo piano nel riscatto che tutti insieme prepareremo. Per invertire la rotta è indispensabile che il partito abbandoni ogni velleità di costituire un soggetto politico amorfo e distante dalle masse quale è l’Arcobaleno. Come va abbandonata la pratica di imporre dall’alto scelte che hanno dimostrato il loro carattere fallimentare. Non solo è imprescindibile che arrivino le dimissioni del gruppo dirigente convocando immediatamente il congresso, è altresì necessario riflettere sul futuro della rifondazione comunista. Da questo punto di vista non è pensabile che la riesumazione della Sinistra europea rappresenti un’alternativa credibile. L’Arcobaleno si è imposto proprio a partire dall’insuccesso della sezione italiana della sinistra europea. Dall’altra parte la proposta della Confederazione oltre ad essere debole risulta sempre meno credibile alla luce dell’esodo che si produrrà inevitabilmente dall’Arcobaleno verso le sponde del Pd. E’ tutt’altra la direzione che deve essere intrapresa. Si tratta di partire dalla rifondazione comunista, da una nuova rifondazione da rilanciare con un paziente e umile lavoro a partire dai luoghi di lavoro, dalle periferie, dal conflitto ovunque si produca. Solo a partire da un lavoro centrato sul nostro partito che punti a far emergere e a far pesare le forze sane e i settori proletari e più combattivi è possibile aprire un’interlocuzione con le altre forze anticapitalistiche includendo i compagni del Pcl, di Sinistra Critica e anche del Pdci. La proposta di unità comunista che viene avanzata da Diliberto non può ridursi a un problema di simboli, che ovviamente non esauriscono la questione di un progetto politico rivoluzionario e anticapitalista. Ai compagni del Pdci dobbiamo chiedere cosa intendono quando dicono che è stata superata la rottura del ’98. E cioè se hanno accantonato l’idea di “unità delle forze democratiche” per abbracciare una politica di indipendenza dalle forze della borghesia e di conflitto strategico dei comunisti contro il Pd. Altrimenti l’unità comunista sarebbe destinata a trasformarsi in un progetto minoritario e settario incapace di incidere nella realtà sociale e suscitare grandi entusiasmi nei settori più vitali e dinamici della società. L’ipotesi che sottoponiamo al giudizio dei militanti è quella di una nuova rifondazione comunista che a partire dalle migliori tradizioni del movimento operaio, da una vera e propria svolta operaia, nell’elaborazione, nei programmi e anche nella vita del partito, mettendo al centro la militanza e la partecipazione, selezionando gruppi dirigenti capaci di ricostruire il radicamento di classe del partito, sia in grado di rivolgersi a tutti gli oppressi e di riscattare questa sconfitta drammatica. Claudio Bellotti, Simona Bolelli, Alessandro Giardiello, Mario Iavazzi, Jacopo Renda, Respinto con 5 voti a favore