Fascicolo Storia Locale

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PERCORSO STORICO ED ARTISTICO
PER LA CONOSCENZA DELLA STORIA DELLA CITTÀ DI MODENA
ANNO SCOLASTICO 2015/2016
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Premessa
Conosco il territorio in cui vivo
Quando, nello studio della storia scolastica, si aprono spazi diversi, la visione della storia acquista
una nuova dimensione: non più disciplina “al singolare”, ma insegnamento e apprendimento di
storie, da quelle generali alla ri-scoperta delle dimensioni locali; dagli eventi politico-istituzionali alle
influenze sulle società umane.
Si ripropone, in tal modo, il problema del potenziale formativo della conoscenza storica, non più
riconducibile al solo tempo cronologico, ma in grado di estendere il campo di indagine con i percorsi
selezionati dagli insegnanti sulla base della loro rilevanza didattica.
Rilevanza più che mai presente nello studio della storia locale, una storia che permette di creare
specifiche occasioni di riappropriazione della memoria individuale e collettiva e di ridefinizione di
identità e appartenenze comuni o nuove, specie per le nuove generazioni.
L’esercizio dell’autonomia organizzativo-didattica ed un’efficace mediazione didattica possono, se
integrati, promuovere processi di rinnovamento nell’insegnamento della storia e garantire il diritto
degli studenti alla conoscenza della storie locali a scuola.
Alla base di questo percorso di studio e di ricerca, si individuano almeno tre scelte fondamentali:
- la prima, di tipo metodologico, realizzata con l’introduzione di modalità di
insegnamento/apprendimento basate su attività di tipo cooperativo con la quasi totale assenza
della lezione frontale, arricchite da apporti specialistici, laboratoriali e di ricerca, sfruttando le
numerose opportunità fornite dal territorio;
- la seconda, di tipo didattico, orientata alla conoscenza e al recupero della storia regionale e
locale, con i necessari intrecci con le vicende nazionali;
- la terza, di tipo culturale, rappresentata non solo dalla padronanza di conoscenze, ma anche
dalla consapevolezza del come esse sono prodotte, dalla capacità di usarle per esprimere ed
argomentare i propri punti di vista.
Il percorso realizzato, ben lontano dall’essere chiuso ed autosufficiente, si apre al confronto,
all’apporto di esperti e studiosi, di archivi e biblioteche, ad altri gruppi di ricerca rappresentati dalle
classi protagoniste del progetto.
Motivazione
Avviare un’educazione ad uno sguardo più consapevole sulla città e sui suoi spazi, cercando
di costruire progressivamente l’idea di città come luogo dell’appartenenza, cioè del far parte e del
sentirsi parte.
Acquisire competenze di tipo storico e comunicativo per saper esporre le proprie conoscenze ad
un gruppo di adulti (genitori della classe) in modo chiaro e comprensibile.
Camminare per le strade della città, conoscere parti della sua storia, imparare a leggerne le tracce,
parlare con testimoni, osservare monumenti, fotografie, carte storiche, non può che far nascere nei
ragazzi una maggiore sensibilità verso l’ambiente nel quale vivono e una maggiore consapevolezza
di essere individui appartenenti ad una comunità, cittadini più consapevoli, quindi anche più in grado
di accogliere l’altro.
Bisogni formativi
Percepire che il luogo in cui si vive ha “una storia”, è il risultato di trasformazioni operate dall’uomo
nel corso del tempo, è condizione indispensabile per maturare progressivamente nei confronti di
esso atteggiamenti di rispetto, di tutela.
Conoscere i luoghi carichi di spessore culturale: il Duomo e Piazza Grande, Palazzo dei musei,
Palazzo Ducale, Il teatro Comunale ecc.
Si tratta di un itinerario che ha lo scopo di far conoscere ai bambini elementi fondamentali del
patrimonio storico ed artistico della città.
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Tale conoscenza è condizione indispensabile per un’attività di sensibilizzazione e di assunzione di
responsabilità rispetto a ciò che è patrimonio di una comunità. Quindi, oltre ad essere un’esperienza
culturale forte, si tratta di un impegno di educazione alla cittadinanza attiva.
Lo sguardo si posa anche sui luoghi della città, che sono stati teatro di drammatici eventi durante la
seconda guerra mondiale, per stimolare nei bambini:
o
La capacità di osservazione e lo sviluppo di competenze di ricerca verso il patrimonio storico
della propria città. Si tratta di educare ad una cittadinanza consapevole attraverso la
conoscenza dei luoghi cittadini della seconda guerra mondiale e della loro storia.
o
Sostegno dei valori della democrazia e dell’identità nazionale, con particolare attenzione alle
principali ricorrenze che fanno parte della tradizione nazionale, locale (calendario laico) e alle
giornate della memoria.
o
La conoscenza e della riflessione sui valori che, attraverso la Resistenza e la guerra di
Liberazione Nazionale, portarono all’affermazione dei principi di libertà, democrazia e giustizia
sociale contenuti nella Carta costituzionale italiana; conoscenza dei principi e dei valori della
Costituzione Italiana.
Criterio formazione dei gruppi di lavoro: criterio scelto dagli alunni sulla base degli interessi
personali relativamente all’argomento trattato. Unica condizione, ogni coppia doveva essere mista,
ossia formata da un maschio e da una femmina.
Sono stati così formati dodici gruppi da due bambini ciascuno.
Fig. 1 – Organizzazione generale del progetto
Tipo di progetto: due tematiche fondamentali:
- Percorso storico-artistico sui monumenti cittadini visitati nel corso delle classi terza e quarta;
- Percorso storico sui luoghi della quotidianità e della violenza durante la seconda guerra mondiale,
sulla base dello studio svolto in classe e nel centro della città, durante la classe quinta.
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Fig. 2 – Individuazione dei due percorsi
All’interno delle due tematiche, ogni coppia di bambini ha ricercato i materiali necessari (documenti
forniti dall’Istituto Storico, testi scritti, immagini di repertorio/foto d’epoca, materiali in rete),
predisponendo un testo espositivo, corredato d’immagini, che è stato presentato ai genitori della
classe durante una visita guidata dagli alunni stessi.
Fig. 3 – Assegnazione degli argomenti alle coppie di bambini
Scopo del lavoro è stato duplice: realizzare una “visita guidata” dei luoghi studiati, il volantino
dell’iniziativa e un fascicolo che raccogliesse i testi elaborati.
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Percorso storico-artistico
Sui principali monumenti cittadini
Mappa della città con il percorso storico – artistico presentato dai bambini
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TEATRO COMUNALE A cura di Anita e Davide D.B.
La Storia
Il teatro Comunale fu inaugurato nel 1841 con il nome dell’illustrissima comunità.
Nel corso degli anni è stato restaurato ma la sua bellezza non ha cambiato significato.
Questo è frutto di un accurato restauro che lo ha tenuto originale.
Il teatro è uno dei più bei teatri italiani grazie all’acustica e l’eleganza. In questo teatro
vengono ospitati balli, concerti e opere liriche. Il 6 dicembre 2007 il teatro è stato
intitolato, a tre mesi dalla morte, a Luciano Pavarotti , in segno di riconoscimento alla
figura del grande tenore modenese.
Il teatro è stato costruito da Francesco Vandelli e Malatesta, un pittore ( autore del
sipario) .
Descrizione
La facciata dell’edificio
L’edificio riprende lo stile neoclassico e sorge un’area di 2300 metri quadrati.
La facciata si innalza su un portico a nove archi;
di cui due di questi sono adornati da dei rosoni.
Le cinque arcate principali corrispondono alle tre
porte dell’ingresso. Di fronte a queste si
innalzano quattro colonne, che sostengono una
cornice su cui posa un balcone.
Sulla parte in alto della facciata è collocata
l’opera di Righi, che rappresenta il “genio alato di
Modena”.
L’atrio
L’atrio è di forma ovale. Il soffitto è decorato con pitture e decorazioni di Camillo
Crespolani e Luigi Manzini: esse sono eseguite con la tecnica del chiaro-scuro e
rappresentano alcuni dei più famosi musicisti modenesi.
La parte superiore è decorata con bassorilievi; opera di Luigi Righi, che raffigurano
muse; sulle porte laterali dell’ingresso invece sono riprodotti il dio Apollo; gli Amorini
e Minerva, con le arti sorelle: pittura, scultura e architettura.
Dall’atrio si accede ai palchi e alla platea, per mezzo dell’andito (corridoio)
sormontato da un arco ellittico che comprende due porte d’accesso alle scale di
marmo e alla porta centrale. Lateralmente si trovano due nicchie, all’interno delle
quali sono sistemati due busti, opera di Righi, raffiguranti Luigi Riccoboni e Orazio
Vecchi.
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Platea
La platea è di forma ellittica; in lunghezza misura 18,75
m e larghezza 16,25 m. Al centro della platea si trova il
lampadario che pesa cinque tonnellate. Un tempo aveva
solo sessantanove candele, mentre adesso oltre 138
lampadine.
Giuseppe Manzini aveva posto sotto la platea un
ingranaggio che le permetteva di alzarsi sino al
palcoscenico durante le grandi feste, per ottenere una
spaziosa sala da ballo.
Platea e palchi
La platea è chiusa da quattro ordini di palchi; in ciascun ordine se ne contavano trenta per
un totale di centoquattordici.
Nella quinta fila è situato il loggione per un comprensivo di sei file (il teatro può contenere
fino a 900 persone).
I davanzali dei palchi di primo ordine furono decorati (e lo sono tuttora) in oro; quelli del
secondo, sempre in oro, ma ornati con bassorilievi.
Sopra la porta d’ingresso si trova il palco grande della Corona (dove si sedeva la famiglia
Estense); su quel palco è stata ricollocata l’Aquila Estense.
Lo stemma della città di Modena, così come nella maggior parte dei teatri, si trova al centro
dell’arco scenico.
Inoltre c’è un orologio sull’architrave rivolto verso la platea.
La grande soffitta, incurvata con una cornice di legno, è ornata da quattro figure che
rappresentano la Musica, la Poesia, la Commedia e la Tragedia (eseguiti da Crespolani e
Manzini).
Verso il centro della soffitta si notano quattro medaglioni con le immagini di Dante, Tasso,
Ariosto e Petrarca (poeti Italiani del 1300-1400 d. C.
Il palcoscenico
Le sue strutture sono state realizzate dal falegname Manzini.
Il palcoscenico è il cuore della macchina teatrale. Al suo interno si trova la maggior parte
degli impianti tecnologici: illuminazione generale, luci di scena, fonica (suono, acustica),
sicurezza generale.
Il sipario storico
Come già detto il sipario storico fu dipinto da Malatesta. Sul sipario è raffigurato Ercole I
d’Este in visita al teatro in costruzione (1486).
Il sipario fu inaugurato, insieme al teatro, il 2 ottobre 1841, suscitando grande ammirazione.
Nella sala del ridotto (antica sala da ballo) è custodito un frammento del sipario storico,
raffigurante Orfeo ed Euridice (Orfeo è considerato il più famoso poeta e musicista che la
storia mitologica abbia mai avuto).
La leggenda narra che il dio Apollo un giorno donò ad Orfeo una lira e le muse gli
insegnarono a usarla ed egli divenne molto abile. Ogni creature amava Orfeo ed era
incantata dalla sua musica e dalla sua poesia, ma Orfeo aveva occhi solo per una donna:
Euridice, che divenne sua sposa.
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Purtroppo un giorno la bellezza di Euridice fece ardere il cuore di Aristeo che si innamorò di
lei e cercò di sedurla. La fanciulla, per sfuggire alle sue insistenze, si mise a correre ma ebbe
la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell'erba che la morsicò, provocandone la
morte istantanea.
Orfeo, impazzito dal dolore, decise di scendere nell'Ade per cercare di strapparla dal regno
dei morti. Orfeo iniziò a suonare e a cantare la sua disperazione e solitudine e le sue melodie
erano così piene di dolore che gli stessi signori degli inferi si commossero. Fu così che fu
concesso a Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio
verso la terra egli la precedesse e non si voltasse a guardarla fino a quando non fossero giunti
alla luce del sole.
Il sipario storico
Durante il viaggio, un sospetto cominciò a farsi strada nella mente di Orfeo: egli pesava di
condurre per mano un'ombra e non Euridice. Dimenticando così la promessa fatta, si voltò
a guardarla ma nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono sul suo volto Euridice svanì,
e Orfeo assistette impotente alla sua morte per la seconda volta.
All’interno del teatro sono presente i camerini per gli attori e la sartoria.
Nel sottotetto c’è la stanza dove vengono realizzate le scenografie.
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PALAZZO DUCALE A cura di Ting e Mohamed
Palazzo Ducale- Accademia Militare
Il Palazzo Ducale in origine era un castello; appartenne agli Estensi fin dal Duecento,
quando Obizzo d’Este lo fece fortificare per motivi di difesa. A quei tempi Modena si
trovava in comunicazione con Ferrara e con il Mar Adriatico. Il castello si trovava in
una posizione strategica perché era circondato dal Naviglio, che sboccava nel fiume
Panaro e quindi nel Po; il palazzo fu perciò chiamato “Casa delle Acque”.
Nel 1306, con la rivolta popolare che cacciò il signore d‘Este, fu distrutto. Solo nel
1340 con il ritorno degli Estensi, fu decisa la costruzione di una nuova roccaforte.
Nel 1598 gli Estensi trasferirono la propria residenza da Ferrara a Modena, che
divenne capitale dello Stato, e il palazzo di Modena divenne residenza ufficiale dei
duchi stessi. Il palazzo fu sede di governi, amministrazioni ed enti pubblici.
Dal 1814 al 1859 la sua funzione iniziò a essere pubblica: ospitò uffici, biblioteche,
pinacoteche (per esposizione dei quadri) ed archivi.
La costruzione attuale ebbe inizio nel 1635, per volere di Francesco I d‘Este, e su
disegno dell‘architetto Gaspare Vigarini, presto sostituito da Bartolomeo Avanzini e
da Gian Lorenzo Bernini; quest’ultimo, famoso architetto, realizzò un’opera che
rivelava uno stile unitario, solenne ed elegante.
L’ultimo sovrano abbandonò il Palazzo Ducale nel 1859.
Dal 1947 l’edificio ospita l’Accademia Militare.
L’elegante facciata si presenta con tre ordini di finestre affiancate, coronate da
balaustre con statue; la parte centrale e quella laterale sono sopraelevate.
Il cortile d’onore, con elegante loggiato (caratterizzato da un seguito di arcate che lo
aprono verso lo spazio esterno) a due piani, è ritenuto un capolavoro dell’architettura
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barocca. Da qui si accede allo scalone d’onore, ornato da statue romane, che porta
alle numerose sale della Resistenza Estense.
In particolare si segnalano la sala del trono, il salottino d’oro, il salone d’onore e la
sala dello stemma. All’interno, il museo dell’Accademia Militare contiene armi e
armature, memorie, cimeli e militarie (bandiere, uniformi, tamburi, ecc).
Descrizione storico-artistica della facciata del Palazzo Ducale
Ancora oggi l’edificio non può dirsi terminato: la parte superiore della facciata di
sinistra è fatta di cemento anziché di marmo; i timpani delle finestre (la parte
triangolare o arcuata sovrastante la cornice di coronamento) sono meno sporgenti di
quelli della parte destra.
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FONTE D’ABISSO A cura di Selin e Riccardo V.
Tra Piazza Roma e Piazza San Domenico, vicino a Palazzo Ducale, c’è la Fonte d’Abisso
(da “bissa” che significa canale).
Ai tempi del ducato, il Palazzo era circondato da canali, che servivano per proteggersi,
navigare e trasportare merci. La Fonte d’Abisso era collegata con le cucine del Palazzo
e riforniva la famiglia Estense di acqua potabile.
Successivamente, nel 1865, la Fonte venne spostata allo sbocco di via De' Lovoleti.
Una ringhiera in ferro all'altezza della strada funge da protezione.
La fontana rimase così fino al 1946, quando ormai, povera di acqua sorgiva, venne
alimentata con acqua dell'acquedotto comunale.
In seguito, la Fonte venne coperta con la pavimentazione della piazza, lasciando in
vista la ringhiera e collocando nei pressi una fontanella di ghisa. Della Fonte si era
persa memoria per molti anni, ma è stata riscoperta e restaurata nel 2001 quando
vennero realizzati lavori di pavimentazione di Piazza Roma.
Attualmente, si trova in uno stato di semi degrado perché qualche cittadino poco
rispettoso vi getta rifiuti.
La Fonte d’Abisso
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MODENA CITTÀ SUI CANALI A cura di Hassan e Sofia
“Città fondata sopra molti canali”, così il grande storico Girolamo Tiraboschi definì
Modena sul finire del Settecento.
La storia urbana di Modena è quella di una città
d’acque, la cui memoria “in superficie” rimane nei
nomi delle strade (toponomastica stradale): via
Canalino, corso Canalgrande, corso Canalchiaro; e
poi via Modonella, via Cerca (l’omonimo torrente
prendeva il nome dal fatto che scorresse vicino al
cerchio delle mura della città; ancora oggi, in una
abitazione si può vedere una carrucola che serviva
per sollevare le merci sino alle finestra del
compratore che le acquistava dalle navi che
passavano per il canale), la via Fonte d’Abisso.
Nella città, lungo i canali derivati dai fiumi Secchia
e Panaro o dalle risorgive e fontanili, sorgevano
opifici (fabbriche) e botteghe di artigiani che
sfruttavano le acque per le attività produttive.
Via della Cerca, dove sono presenti tracce di una carrucola
Sotto il Palazzo, nella cosiddetta “Casa delle Acque” confluivano, e confluiscono
anche ora, i canali che attraversano il sottosuolo della città. Un tempo le loro acque
riemergevano vicino al Palazzo Ducale, nell’odierno corso Vittorio Emanuele II,
confluendo nella Darsena del canale del Naviglio, approdo per le imbarcazioni.
Dalla Darsena, il Naviglio usciva dalla città e procedeva in un percorso navigabile che
giungeva al mare Adriatico, a Ferrara, a Venezia: una via di comunicazione importante
per i trasporti, i commerci.
Sino ai primi del Novecento, nella zona a settentrione della città, al di là delle linee
ferroviarie, presso il Naviglio esistevano ancora una banchina, magazzini per le merci
e la “Salina”, il deposito del sale che per tanti secoli era giunto a Modena dall’Adriatico
tramite la via dell’acqua.
La Darsena del Naviglio nel Settecento
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Via Castelmaraldo, dove di può notare
il cosiddetto “muro a scarpa”, ossia una
parete obliqua che consentiva di
proteggere le case affacciate sui canali
dalla forza impetuosa dell’acqua
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CHIESA DI SANTA MARIA DELLA POMPOSA a cura di Sofia e Hassan
Chiesa di S. M. della Pomposa
Santa Maria della Pomposa prende il nome
dall’abazia della Pomposa. Risale al 1153, e l’edificio
conserva poco della sua struttura originale: solo la
muratura della metà inferiore della chiesa è stata
chiusa.
Inoltre, la torre massiccia, che si trova a fianco
dell’edificio, è stata tagliata a una certa altezza (forse
durante il Medioevo faceva parte di un castello).
All’interno della chiesa si trovano sei dipinti, del
Seicento e del Settecento, che ritraggono alcuni
momenti della vita di San Sebastiano (militare
romano morto nel 288 d.C. per aver sostenuto la
fede cristiana), opera di Cervi e Vellani.
Sul lato destro della chiesa, nella cappellina, è
collocato il dipinto della “Madonna della
Misericordia”, di autore ignoto.
Sul lato sinistro, nella prima cappella, si trova il sarcofago di Ludovico Antonio
Muratori, sormontato da un monumento marmoreo posto nel 1931, opera dello
scultore milanese Pogliaghi.
Ludovico Antonio Muratori
Ludovico Antonio Muratori, nato nel 1672 e morto nel 1750 a 78 anni, era un prete
modenese. A lui fu affidata la chiesa di Santa Maria della Pomposa, dal 1716 al 1750
(anno della sua morte). Egli fu poi seppellito in quella chiesa.
Ludovico Antonio Muratori faceva diversi mestieri, tra cui il prete, lo scrittore,
bibliotecario e archivista. Si applicò in tutti i campi della conoscenza.
Il Duca Rinaldo I D’Este lo accolse e gli offrì l’ufficio d’archivista e bibliotecario.
Quando Modena venne occupata dai francesi tra il 1702 e 1707, perché l’Europa stava
per entrare nella guerra di successione spagnola, l’intero archivio, appena riordinato,
doveva essere trasferito e fu proprio Ludovico Muratori a prendersene cura. Cercando
di aggiornare e rinnovare la cultura e la tradizione letteraria italiana.
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Messi da parte gli studi sul Medioevo, perché non poteva accedere alle fonti, iniziò a
scrivere dei testi che, da un lato, esaltavano l’Italia e, dall’altro, ne sottolineava le
debolezze (ad esempio, “Della perfetta poesia italiana”).
Nel 1865 gli dedicarono il liceo classico “Muratori”.
Inoltre, sul’omonimo Largo, che si affaccia sulla Via Emilia, c’è un monumento
dedicato a lui, scolpito da Malatesta.
Nel 1922 le spoglie di Muratori i furono traslate nella chiesa di Santa Maria della
Pomposa.
Statua di L. A. Muratori
Chiesa di Santa Maria della Pomposa
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PALAZZO DEI MUSEI A cura di Riccardo V. e Selin
Palazzo dei Musei
Il Palazzo dei Musei fu eretto dal 1764 al 1771 dall’architetto Piero Teramini.
Inizialmente, questo museo era un albergo per i più poveri e, successivamente, nel
1787 Ercole III lo rese un albergo delle arti e molte stanze si trasformarono in officine
di lavoro. Invece nel 1817 fu sede del Monte dei pegni e nel 1884 fu inaugurato come
sede museale.
Palazzo dei Musei come lo conosciamo noi oggi lo ha fondato Carlo Boni nel 1871 per
conservare i reperti archeologici e artistici che hanno testimoniato le origini e la storia
della nostra città.
Attualmente in questo museo si trovano:
I. Museo Lapidario Estense, rappresenta il primo museo cittadino destinato alla
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II. Biblioteca Poletti;
III. Archivio storico comunale;
IV. Biblioteca Estense, nata dalla libreria privata della famiglia d’Este nella prima metà
del XV secolo;
V. i Musei Civici istituiti da Carlo Boni nel 1871, che si dividono in due sezioni.
1. Il Museo Civico Archeologico – Etnologico, contenente alcuni reperti
soprattutto riguardanti il territorio modenese (Terramara, epoca etrusca e
romana).
2. Il Museo Civico di Arte Medievale: i materiali raccolti sono oggetti artistici
come, ad esempio, sculture, dipinti e carte decorate, cuoi ecc., strumenti
musicali e scientifici.
VI. La Galleria Estense, con più di trecento dipinti e una ricca collezione di sculture,
antiche e moderne, in marmo, bronzo e terracotta, in parte provenienti dall’antico
patrimonio estense.
Museo Lapidario Estense
Il Museo Lapidario Estense si trova a piano terra di Palazzo dei Musei; esso è di
proprietà statale.
Museo Lapidario Estense
Le lapidi furono riportate in luce negli anni ’30 dell’Ottocento dal Duca Francesco IV.
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All’interno si trova una sezione dedicata alle testimonianze delle necropoli di Mutina,
l’antico nome romano della nostra città.
Intorno alla statua di Borso d’Este, sono collocati reperti di epoca romana, trovati
lungo la via Emilia a est della città. Un esempio è l’Ara di Vetilia, alta più di 4 metri,
ritrovata nel settembre 2007 durante scavi edilizi.
L’ara è composta di una base, un grande cubo sormontato da tre gradini e, al di sopra
di essi, un altare parallelepipedo in marmo orientale finemente lavorato. Nel
dicembre 2007 l’ara è stata smontata e collocata nel Lapidario Romano. Le iscrizioni
che sono riportate su di essa permettono di collocarla intorno alla metà del I secolo
d.C., e di ricostruire le vicende di dell’antica liberta modenese, Vetilia.
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CHIESA DI SANT’AGOSTINO A cura di Selin e Riccardo V.
Costruita nel 1300 come cappella degli agostiniani (seguaci di Sant’Agostino), la chiesa
fu completamente rivoluzionata in seguito ai funerali del Duca Francesco I nel 1659.
L’insieme delle decorazioni che in quella occasione ornarono la cattedrale ebbe così
tanto successo che si decise di trasformare la
chiesa in Pantheon degli Este.
La semplice facciata, attaccata a quella di Palazzo
dei Musei, conserva un bel portale e un rosone
cinquecentesco
con
cornice
in
cotto.
L’enorme interno, a navata unica e profondo
presbiterio, è invece decorato con statue, stucchi
e dipinti. Il soffitto a cassettoni è opera di
Francesco Stringa, Sigismondo Caula e Oliver
Dauphin. Dentro i clipei (decorazioni rotonde, a
forma di medaglione in rilievo, con immagini sacre
o di personaggi illustri) sono posti busti di santi e
beati della famiglia d’Este, accanto ad angeli e
figure allegoriche.
Nella prima cappella a destra, è collocata la Deposizione dalla Croce in terracotta di
Antonio Begarelli del 1530, commissionata per l’oratorio di San Bernardino; nella
seconda, San Michele dello Zoboli, voluto dal marchese Taddeo Rangoni.
Sotto la cantoria (luogo a forma di tribuna dove stanno i cantori), la Vergine che
allatta il Bambino o Madonna della consolazione di
Tommaso da Modena; presso l’altare di destra, tela
di Francesco Stringa del 1668.
A sinistra, dall’ingresso: Sant’Antonio di Adeodato
Malatesta, del XIX secolo; tela di Francesco Vellani
con San Giuseppe; Natività della Vergine, sotto la
cantoria, del pittore Ettore Setti (XVI secolo).
Presso il presibiterio (parte della chiesa riservata al
vescovo e al clero, comprendente il coro, l'altare e
l'abside), a destra, monumento a Paolo Ruffini,
grande matematico modenese; a sinistra, busto dello
storico Carlo Sigonio, forse del Begarelli.
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IL DUOMO, LA GHIRLANDINA E LA SINAGOGA
A cura di Alice e Achille
Il Duomo
Oggi siamo qui per parlarvi del Duomo e della Ghirlandina, due veri e propri
capolavori che nel 1997 furono dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.
Oggi il Duomo, nonostante non li dimostri, ha ben 900 anni. La sua storia ebbe inizio
nel 1099 quando i modenesi decisero di costruire un’altra
cattedrale al posto di quella che c’era già.
Il luogo scelto fu quello che da oltre 700 anni ospitava il
Santo patrono di Modena, San Geminiano. Per costruire
questa gigantesca chiesa ci vollero oltre 200 anni e sono
stati impegnati migliaia di lavoratori specializzati in molti
incarichi diversi, come ad esempio architetti per il
disegno della costruzione, muratori per innalzare i muri,
carpentieri per la realizzazione di scale e ponteggi in
legno e strategie per sollevare i carichi, fabbri che
costruivano gli attrezzi, gli scultori che scolpivano le
pietre e il marmo, infine mosaicisti e pittori che
preparavano le decorazioni.
Dopo aver preso la decisione di costruire il Duomo, i
modenesi si interrogarono a lungo su chi avrebbe dovuto
realizzare un’opera così importante. Dopo molte
discussioni i lavori furono affidati a Lanfranco, uno dei più
celebri architetti del tempo, e ai maestri Comacini (che
provenivano dalla zona del lago di Como).
La prima pietra fu posata il 23 maggio del 1099. Ben
pesto cominciarono a essere costruiti i muri, ad
essere innalzate le colonne e il Duomo iniziò a
prendere forma. Mancava soltanto qualcuno che si
occupasse delle sculture, compito che inizialmente fu
affidato allo scultore Wiligelmo e ai suoi allievi.
Passarono gli anni e al Duomo ormai occorrevano solo
le ultime rifiniture. Questo compito spettò ai Maestri
Campionesi, così chiamati perché provenivano da
Campione d’Italia, località che si trova al confine con
la Svizzera. I Maestri Campionesi cominciarono i lavori
di completamento della cattedrale nell’anno 1167
occupandosi anche della costruzione della torre
campanaria, conosciuta come Ghirlandina. A loro si
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devono gran parte delle decorazioni interne del Duomo, le due porte della facciata ai
lati del portale maggiore, il grande rosone al centro della facciata e la bellissima Porta
Regia che si affaccia su Piazza Grande. I maestri Campionesi rimasero nella nostra città
per tre generazioni, quasi 200 anni, tramandandosi di padre in figlio l’arte della
scultura e dell’architettura. Il Duomo e la Ghirlandina furono completati intorno
all’anno 1319, quando Enrico da Campione terminò la cuspide (tetto a punta) della
Ghirlandina.
Ora vorremmo illustrarvi alcuni particolari della nostra bellissima cattedrale, nota
anche come “Libro di pietra” per le tante storie della Bibbia raccontate dalle sculture
che decorano la facciata principale. In particolare, le vicende della Genesi furono
scolpite da Wiligelmo nel 1099-1106 circa.
La prima cosa che si nota nella facciata del Duomo è l’enorme finestra circolare
realizzata da Anselmo Campione verso il 1200 per far entrare più luce all’interno della
cattedrale. Il rosone presenta una croce centrale da cui partono ventiquattro raggi e
tutto intorno è disposta una doppia cornice rotonda finemente scolpita. Sempre
osservando la facciata del Duomo, possiamo notare diverse sculture come ad esempio
l’angelo, situato sulla cima del tetto che stringe al petto un fiordaliso. Di fianco
all’angelo c’è la statua di Gesù con i simboli dei quattro evangelisti. Accanto si può
notare un uomo che, con la sola forza delle mani, uccide un leone; questo uomo è
Sansone.
Nella porta principale e più imponente del Duomo si innalzano due superbi leoni, che
con le fauci aperte fanno la guardia al portale maggiore e reggono sulla schiena
colonne che sostengono il protiro; per questo sono detti leoni stilofori, cioè portatori
di colonne.
Sopra il portale maggiore è situata la statua del patrono di Modena, San Geminiano;
il Santo stringe al petto un osso di balena. Questo reperto archeologico ricorda che
molti anni fa Modena era sommersa dal mare.
Il Duomo e la Ghirlandina sono decorati con tanti tipi di pietra di colori diversi e di
marmi, che li rendono ancora più belli e suggestivi, soprattutto al tramonto quando si
colorano di rosa. Alcune di queste pietre sono state importate dalla Toscana, dal
Veneto dall’Istria e dalla Turchia.
Per finire, una curiosità: la maggior parte delle pietre utilizzate per la costruzione del
Duomo e della Ghirlandina sono state ricavate dai resti di edifici e manufatti
dell’antica Mutina, la Modena romana.
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La Ghirlandina
Come tutte le chiese che si rispettino, il Duomo
ha un campanile, la Ghirlandina, alta più di 86 m.
fu Enrico da Campione a portarla a questa altezza
costruendo, nel 1300, l’appuntita guglia (la punta
più alta). Essendo così alta la Ghirlandina ha ben
191 gradini.
La quinta stanza partendo dal basso della torre
campanaria era la stanza dei custodi chiamati
Torresani; questa stanza un tempo era anche usata come cella campanaria e come
tribunale. Un’altra stanza molto importante è quella della “Secchia rapita”, rubata dai
modenesi ai bolognesi al tempo della guerra di Zappolino. Tutto cominciò quando
Modena e Bologna, due città rivali, entrarono per l’ennesima volta in conflitto. I
modenesi, dopo aver vinto la battaglia, come trofeo rubarono la secchia da un pozzo.
Fu proprio la secchia contesa dalle due città il motivo di un altro litigio. Oggi la secchia
originale si trova nel palazzo comunale mentre
nella Ghirlandina è esposta una copia.
La Ghirlandina è oggi il simbolo della città di
Modena e deve il suo nome alle due ghirlande di
marmo che la caratterizzano.
La Ghirlandina è stata costruita sul fianco
settentrionale del Duomo. Essa fu costruita
esternamente con vari tipi di pietre come il
marmo, il bronzetto, il travertino, la trachite, la
pietra di Chiampo, la pietra di Vicenza, la pietra
d’Istria, la pietra Aurisina, l’arenaria e la scaglia
rossa; mentre internamente di mattoni, che sono più leggeri, altrimenti sarebbe
sprofondata di altri metri e per rinforzarla sono state costruite delle arcate collegate
al Duomo.
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In una delle facciate della Ghirlandina, vicino alla porta della Pescheria presente nel
Duomo (chiamata così perché durante il medioevo
in quel luogo e in piazza Grande si svolgeva il
mercato), sono presenti due rientranze circolari che
servivano per misurare la quantità di formaggio da
vendere e da acquistare.
Su un altro lato della Ghirlandina, che si affaccia
sulla Via Emilia, è possibile notare il Sacrario,
l’insieme delle foto delle persone partigiane cadute
in guerra, tra cui Emilio Po.
Da un punto di vista storico, inizialmente, la
funzione della Ghirlandina era quella di torre
campanaria, ma fu anche utilizzata come torre di
vedetta (in epoca romana e longobarda).
Nel passato la torre ha avuto, oltre a un ruolo
religioso, il ruolo civile: essa era usata come
archivio, dove erano contenuti i documenti del comune di Modena.
Già nel 1306, al quinto piano della torre, vi era l’abitazione dei Torresani, custodi e
campanari, che vegliavano sulla città dando segnali per
l’apertura e la chiusura delle porte, suonando le campane per
scandire le ore e allertando la città in caso di attacco.
I Torresani risultano abitare stabilmente nella torre fino alla
seconda metà dell’Ottocento.
Da una attenta analisi dei documenti storici, risulta che la
cattedrale e la torre siano state ristrutturate con le offerte
parrocchiali, anche se il proprietario della cattedrale era il
Comune, ma e quest’ultimo non era obbligato a finanziare il
pagamento della ristrutturazione della torre e della
cattedrale.
Il 27 giugno 1569 le due parti (Comune e Chiesa) firmarono un
patto in cui il consiglio comunale si impegnava a pagare per il
restauro della torre e della basilica. In seguito il Comune pagò
definitivamente tutte le spese per le ristrutturazioni, ma la troppa quantità di denaro
per la manutenzione obbligò il Comune a cedere la torre allo Stato nel 1803.
Dopo qualche anno lo stato propose di restituire la proprietà dell’edificio al Comune
di Modena, ma in cambio, contribuendo a pagare le spese di ristrutturazione.
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La Sinagoga
Oggi la facciata della Sinagoga è ben visibile
nella zona più centrale della città, ma nel
passato le cose erano ben diverse. Quando fu
costruita, infatti, il tempio era totalmente
nascosto alla visuale dai fabbricati che
sorgevano nell'area dell'attuale Piazza
Mazzini: questi edifici furono demoliti
nel1904. La Sinagoga sorgeva in effetti al
centro del ghetto degli ebrei, voluto da
Francesco I d'Este nel 1638: il quartiere, dal quale gli ebrei non potevano uscire
durante le ore notturne, era chiuso con due cancelli in via Blasia e in via Coltellini. Qui
viveva almeno un migliaio di ebrei nel 1861, quando con l'annessione di Modena al
Regno d'Italia il ghetto fu chiuso.
Il tempio israelitico è stato costruito
tra il 1869 e il 1873. La sala del
tempio è a pianta circolare iscritta in
un'area rettangolare con alte
colonne corinzie che sorreggono il
matroneo e rappresentano le dodici
tribù di Israele; in un'area ad est,
sopraelevata rispetto alla sala, si
trova l'Aron, l'armadio che
custodisce i rotoli della Torah.
Per entrare in Sinagoga gli ebrei
usavano diversi indumenti come:
il Tefllin, due astucci che si pongono uno sulla fronte
e l’altro sul braccio sinistro; in entrambi gli astucci
sono contenute diverse pergamene (Torah, Esodo e
Deuteronomio).
Il Kippà, un cappellino circolare di colore bianco.
In Sinagoga sono deposti diversi oggetti sacri come
il Menorà, un candelabro a sette braccia.
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PALAZZO DELL’ARCIVESCOVADO A cura di Camilla e Michele
Al di là del Corso Duomo sorge il palazzo dell’Arcivescovado dove si sviluppò
l’alloggiamento urbano.
È un tipico esempio dell’architettura settecentesca, con porticato e un cornicione a
guscio.
Qui vi ha sede l’archivio notarile, uno dei più antichi d’Italia, che conserva ancora oggi
codici e sigilli notarili.
Nell’edificio odierno è rinascimentale solo lo spigolo a bugnato (con delle
decorazioni), tra il Corso Duomo e via Sant’Eufemia, con il busto del vescovo Gian
Andrea Bociaci. All’interno il salone ha tele decorate.
Lungo via Sant’Eufemia possiamo trovare l’anonima chiesa, annessa a un convento
femminile. Ha una forma ottagonale con una volta cupolata, eretta nel 1650
Facciata del Palazzo dell’Arcivescovado
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PALAZZO COMUNALE A cura di Davide D.B., Camilla, Michele e Anita
Facciata di Palazzo Comunale
Parte esterna
La facciata si divide in due ali, quella verso la Ghirlandina e quella verso via Scudari.
La Piazzetta delle Ova è dominata dall’orologio con quadro trasparente (1868).
Il meccanismo che lo fa muovere è un vero prodigio: progettato da Ludovico Gavioli,
riesce a regolare l’ora anche del quadrante principale posto su Piazza Grande, anche
se fra i due non ci sono quaranta metri di distanza, e diversi metri di dislivello.
Sotto al portico di destra, possiamo osservare il mosaico con l’antico stemma del
Comune. Alle pareti, invece, targhe commemorative delle milizie sul Mincio, sui moti
del 1848, dei cittadini morti durante le battaglie del Risorgimento e di Pietro Giannone
(filosofo e giurista).
A metà di via Scudari si apre invece il nucleo più antico dell’intera costruzione: il cortile
medioevale presso Palazzo Campori. Le scale di antico marmo salgono al primo piano,
mentre le travi di legno in cima danno un marcato tono medioevale.
Su Piazza Grande si affaccia però il prospetto principale del palazzo, scandito dalle
arcate, in marmo bianco, secondo il disegno seicentesco di Raffaele Rinaldi la torre
dell’orologio fu effettuata tra la fine del 400 e l’inizio del 500.
Opera di Ambrogio Tagliapietra, il balcone è occupato da una statua dell’Immacolata
collocata in occasione della visita di Papa Pio VII, posta sul piedistallo.
A sinistra della torre dell’orologio, si può notare ciò che è rimasto della torre
comunale, luogo in cui venivano custoditi i documenti più importanti e in cui venivano
eseguite le condanne capitali. Danneggiata dal terremoto del 1501, venne demolita.
Sotto al portico, presso il voltone che conduce a piazza Mazzini, sul pavimento in
muratura testimoniano le costruzioni che si ergevano in zona, mentre il soffitto è una
suggestiva rappresentazioni delle costellazioni.
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Più avanti si apre lo scalone principale di accesso al palazzo, rampa unica, costruita
nel 1563 su progetto di Pellegrino Rinaldi, interrotto dalla bella cancellata con gli
stemmi del Comune.
Giunti al primo piano, al termine della scala che
conduce su via Scudari, si possono ammirare, sulle
pareti della loggia, alcune lapidi marmoree. Una
per la medaglia d’oro conferita alla città della
resistenza partigiana; un’altra a Raimondo
Montecuccoli, generale del 600 che, a capo delle
truppe imperiali impedì l’avanzata Ottomana
verso l’Europa; due per i martiri della prima guerra
mondiale, a cui il bollettino della vittoria fa
riferimento a una quinta lastra, Francesco
Guicciardini, governatore della città durante il
periodo papale; Ferruccio Tegli e Alfeo Corassori,
primo sindaco della città dopo il secondo conflitto
mondiale; Alessandro Coppi, il presidente del
Comitato Provinciale di Liberazione; un’ultima
targa ricorda infine Enrico Cialdini, generale modenese comandante vittorioso di
tante battaglie del risorgimento italiano.
A sinistra si accede alle sale più importanti del palazzo.
Parte interna
Il corridoio del Palazzo è abbellito da dipinti di artisti modenesi per volere di Luigi
Poletti.
La porta di destra conduce alla Torre Mozza, (quella che fu la prima torre comunale),
che ospita i ritratti dei modenesi più illustri e cassapanche con il simbolo del Comune.
Le sale più prestigiose che possiamo ammirare sono:
- Il Camerino dei “Confirmati”, dove è collocata la secchia rapita conservata per 650
anni nella Ghirlandina (oggi è sostituita da una copia).
La Secchia Rapita
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- la Sala del Fuoco che prende il nome dal grande camino presente nella stanza; alle
pareti vi sono dipinte anche le battaglie di Modena di Niccolò dell’Abate. Il soffitto
presenta ornamenti d’oro con lo stemma del Comune.
La Sala del Fuoco
- Ritornando dal camerino, si accede alla Sala del Vecchio Consiglio dove si riuniva il
governo della città prima del trasloco nell’attuale aula: le pareti sono di seta dorata,
il soffitto è stato dipinto da Niccolò dell’Abate, all'inizio del 600, con soggetti
riguardanti l'esaltazione dell'amore per la patria.
Al centro della volta un genio (nella mitologia pagana, era lo spirito, buono o
cattivo, che presiedeva al destino degli uomini dalla nascita alla morte, e anche lo
spirito che aveva sotto la sua protezione una città, un popolo, una nazione) regge
il mondo a cavallo di un'aquila che stringe tra gli artigli le trivelle.
Particolari del soffitto della Sala del Vecchio Consiglio
Affreschi nella Sala del consiglio
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- Segue la Sala degli Arazzi, sede del conservatorio con lo stemma del Comune. Le
pareti sono adornate da dipinti su tela settecenteschi imitano le tappezzerie ad
arazzo in voga in Francia nel 700 e raffigurano episodi della Pace di Costanza (1183)
che pose fine alla contesa tra i Comuni dell'Italia Settentrionale e Federico
Barbarossa. Nel pavimento, in legno, il motto di Modena.
La Sala degli Arazzi
- L’ultima stanza è la Sala dei Matrimoni in cui spicca il soffitto con lo stemma del
comune retto da due angeli. Un tempo il vasto ambiente era usato come archivio.
La Sala dei Matrimoni
Tra le altre stanze del palazzo degne di nota si segnalano
- la Sala delle bifore, in cui si possono ammirare i resti dell’antico palazzo dei notai
o della ragione; le antiche prigioni, in cui vennero rinchiusi patrioti come don
Giuseppe Andreoli e Antonio Morandi.
- la Sala dei passi perduti, originariamente usata per confortare i condannati a
morte, con delicati affreschi settecenteschi a trompe l’oeil.
- Infine l’acetaia comunale, costruita nel 2003 per tutelare anche in Municipio il
preziosissimo aceto balsamico tradizionale.
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LA PREDA RINGADORA A cura di Camilla e Michele
In un angolo di Piazza Grande si trova la
Preda Ringadora. Si tratta di un masso di
marmo rosso veronese, di probabile
origine romana, che veniva usato
anticamente (nell’VIII sec. d.C.) per
punizioni pubbliche.
Successivamente divenne luogo in cui gli
oratori parlavano, e di arringhe (quando
gli avvocati facevano discorsi per i loro
imputati) da cui deriva il nome, o di
richieste di giustizia da parte del popolo.
La Preda Ringadora, nel tempo, ha cambiato più volte collocazione. Sino al 1930 è
stata posta ai piedi della Ghirlandina; oggi è collocata davanti al Palazzo Comunale.
La Preda Ringadora
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LA BONISSIMA A cura di Michele e Camilla
Altro simbolo di Modena è la statuetta della Bonissima, che
è collocata dal 1468 in una nicchia del Palazzo Comunale,
all’angolo tra Piazza Grande e via Castellaro.
Si tratta di una figura di donna che alcuni identificano come
la contessa Matilde di Canossa, altri come Bona, una
benefattrice dei poveri.
In realtà, la Bonissima, sino al 1268, si trovava nella Piazza
presso l’ufficio che s’interessava della giustizia mercantile e
per questa ragione era
chiamata la “Bona Estima”. La
fantasia popolare l’ha fatta
diventare nel tempo la
leggendaria Bonissima.
Ai piedi della statua, nel
lastrone di marmo che faceva
da piedistallo, erano scolpite le unità di misura per
evitare frodi commerciali.
Quando la statua fu spostata e il piedistallo distrutto,
alcune misure furono riportate nell’abside centrale del
Duomo dove sono tuttora.
La statua della Bonissima
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Percorso storico sui luoghi della quotidianità e della violenza
durante la seconda guerra mondiale
Mappa della città con il percorso storico presentato dai bambini
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PALAZZO DUCALE a cura di Davide S. e Rebecca F.
Ci troviamo in Piazza Roma, da poco resa pedonabile e abbellita da fontane.
Palazzo Ducale
Di fronte a noi troviamo il Palazzo Ducale. Il luogo dove oggi, sorge questo palazzo fu scelto
da Obizzo secondo d’Este e la costruzione iniziò nel 1634, sul progetto dell’architetto
Bartolomeo Avanzini; la scelta di questa posizione non fu casuale: Modena in quell’epoca
era in comunicazione col Po e con l’Adriatico. Questa posizione era usato non solo come
difesa, ma anche come partenza per le imbarcazioni che sboccavano ne fiume Panaro e,
quindi del Po.
Questo grande bacino che raccoglieva tutti i corsi d’acqua delle città veniva chiamato “Casa
delle acque”.
L’elegante facciata si presenta con tre piante di finestre affiancate, coronate da balaustre
con statue; la parte centrale e quella laterale sono sopraelevate. Il cortile d’onore con
elegante loggiato a due piani, è ritenuto un capolavoro dell’architettura barocca. Da qui si
accede allo scalone d’onore, ornato da statue romane che porta alle numerose sale della
residenza estense (cioè l’abitazione dei duchi di casa D’Este).
In particolare si segnalano: la sala del trono, il salottino d’oro, il salone d’onore e la sala dello
stemma. All’interno, il museo dell’Accademia militare, contiene armi e armature, memorie,
cimeli e militarie (bandiere, uniformi, tamburi, ecc).
Tutt’oggi, il Palazzo Ducale non può dirsi ancora terminato: la facciata di sinistra è fatta di
cemento anziché di marmo e le finestre sono meno decorate di quella della parte destra.
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L’ultimo sovrano abbandonò il Palazzo Ducale nella notte del 13 giugno 1859, e dal 1947
l’edificio ospita l’accademia militare. Nel 1943, dopo l’8 Settembre, il Palazzo Ducale si
chiamò Platzkomandantur; era la sede del comando tedesco. La torre a sinistra (cioè la
destra del palazzo) si chiamava Quota Pipistrello, dove si torturavano i partigiani (come E.
Po) fino alla morte; questa torre non aveva le finestre come le altre, perché in questo modo
non si sentivano le urla della tortura. Questa torre fu chiamata così perché era più
sopraelevata delle altre e anche perché, essendo priva di finestre c’era buio (infatti i
pipistrelli adorano il buio).
Durante la seconda guerra mondiale, nel 1943 l’Accademia fu sciolta e il Palazzo Ducale
occupato da tedeschi che, dopo essersi insediati, vi collocarono il Platzkomandantur, e nel
1944 diventò un ufficio di spionaggio tedesco.
Nel 1943 fu anche sede del comando militare dell’esercito italiano.
Il 22 aprile del 1945, nella battaglia per la liberazione della nostra città, i partigiani si
concentrarono attorno al Palazzo Ducale, costringendo alla resa i reparti tedeschi lì di stanza.
Durante il periodo della Resistenza, i partigiani in città dovevano apparire persone normali
per non attirare l’attenzione dei tedeschi; si potevano riunire nelle chiese, nelle case e
perfino nei negozi; i loro attacchi erano frequenti e veloci, perché dovevano far credere ai
fascisti di essere numerosi creando panico tra loro; dovevano cambiare il nome proprio di
persona per sicurezza (specialmente in montagna) perché la loro famiglia non corresse
pericoli.
Infatti, per non aver parlato viene conferita ad Emilio Po la “Medaglia d’oro al valore
militare”.
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EMILIO PO: LA CATTURA a cura di Riccardo Z. e Rebecca B.
Emilio Po con i figli Meri e Maurizio
In via San Vincenzo, all’ angolo con Via Campanella, aveva sede il laboratorio
clandestino di esplosivi della brigata dei GAP “Walter Tabacchi”. Il sette novembre
1944, una pattuglia della GNR*, riuscì a catturare Emilio Po, mentre in bicicletta
trasportava esplosivi nascosti dalla segatura. Egli fu fucilato tre giorni dopo in Piazza
Grande. Nel perimetro del centro storico i partigiani, per distribuire volantini o per le
armi, utilizzavano laboratori artigiani.
Storia
Emilio Po nacque a Modena nel 1916, e diventò un falegname ebanista.
Successivamente, nel Gennaio del 1943 fu mandato a Piacenza, per frequentare un
corso da artificiere. Entrò poi nella 65^ brigata “Walter Tabacchi”, dove ebbe
l’incarico di ispettore della formazione. Partecipò a numerose azioni di sabotaggio, fin
quando, durante una di queste, fu catturato e seviziato con un ferro rovente perché
rivelasse il nome dei propri compagni. Lui rimase in silenzio, quindi fu cosparso di
benzina e dato alle fiamme. Ma la sua bocca restò chiusa, finché tre giorni dopo, il 10
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novembre 1943, fu trascinato ai piedi del Duomo, dove fu fucilato insieme a Giacomo
Ulivi e Alfonso Piazza. Prima di morire, Emilio scrisse una lettera ai suoi cari,
descrivendogli il dolore che prova non per se stesso, ma per il futuro di incertezze che
gli lascia. Nel nostro quartiere, il Villaggio Artigiano, ci sono alcune vie dedicate a
questi partigiani, oltre alla nostra scuola dedicata proprio a lui.
LA CHIESA DI SAN BIAGIO a cura Di Riccardo T. e Greta V.
Nella Chiesa di San Biagio, che si trova lungo la Via Emilia centro, operava, durante il
periodo della Resistenza, Don Elio Monari, che insieme ad alcuni giovani, aiutò molti
Ebrei a fuggire in Svizzera, per evitare così le deportazioni nei campi di sterminio. Egli
nascose pure una trentina di Ebrei provenienti da Ferrara, che dopo l’eccidio
compiuto dai fascisti al Castello Estense, cercarono riparo nella nostra città. Ricercato
dalla polizia, Don Elio Monari salì in montagna per unirsi ai partigiani.
Catturato, fu fucilato a Firenze il 23 Luglio 1944. Fu grazie ai parroci, militanti
Antifascisti, ma anche funzionari pubblici, che la comunità Ebraica Modenese ebbe un
numero veramente limitato di catturati per la deportazione. Tra gli appartenenti alla
Comunità , si ha notizia di 13 persone catturate, sorprese per lo più in altre province,
e finite ad Auschwitz. Altri furono uccisi mentre tentavano di passare la linea del
fronte.
Le origini della parrocchia di San Biagio risalgono al 1319; i documenti ci informano
che l’ antica chiesa di San Biagio, venne però distrutta nella seconda metà del ‘700 e
spostata in via Del Carmine, dove tutt’ ora ha sede. L’ interno della chiesa è costituto
da una sola navata sormontata da volte a crociera. La cupola è decorata con affreschi
che illustrano le glorie del paradiso; Il coro con bellissimi angeli suonatori. Entrambe
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le opere sono attribuite a Mattia Preti allievo del Guercino. Recenti restauri hanno
scoperto nel chiostro del quattordicesimo secolo, a lato della chiesa, degli affreschi
raffiguranti una Madonna col bambino.
Chiostro della Chiesa di San Biagio: Madonna con il Bambino
Nel 1768, con la demolizione della vecchia chiesa di San Biagio, la parrocchia fu
trasferita al Carmine e assunse la denominazione di San Biagio del Carmine.
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PIAZZA MAZZINI E IL GHETTO DI MODENA a cura di di Fabio P. e Elisa S.
Vicolo Squallore
Il Vicolo Squallore è una strada molto stretta con edifici alti. All’interno delle case del
ghetto c’erano i “mezzi piani” cioè appartamenti non sullo stesso piano (soppalchi),
oggi lo si può capire dalle numerose finestre, non tutte allineate e su piani diversi. I
soffitti erano non molto alti (da 1,80 m a 2 m); gli spazi della casa servivano per
abitarci, ma anche per lavorare. L’ origine del nome di questa strada è incerta; fu
inclusa nel ghetto nel 1724. Il Vicolo Squallore è una delle pochissime strade medievali
rimaste intatte nella città. Dopo l’abolizione del ghetto divenne sede di prostitute e di
persone malaffare.
Vicolo squallore in una foto d’epoca
Piazza Mazzini
Piazza Mazzini, che fino al 1911 si chiamava Piazza della Libertà, è oggi uno degli angoli
più eleganti e affascinanti dell’intero Centro Storico di Modena, per la sua storia
particolare e per i palazzi che vi si affacciano. Nel 1873 furono abbattuti alcuni edifici
fatiscenti e malsani e vi fu costruita la Sinagoga. Successivamente, su pressione
dell’arcivescovo di Modena, per nascondere la vista dell’edificio ai passanti, vennero
piantati degli alberi e realizzato un giardino.
Piazza Mazzini agli inizi del ‘900
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Il Ghetto Di Modena
Nel 1638 il Duca Francesco I decise di istituire il ghetto, per ospitare la grande
comunità di ebrei modenesi che aveva seguito la corte Estense da Ferrara. Le case del
ghetto erano umide, strette, molto alte per ospitare molte persone. Le strade a sera
venivano chiuse prima con portoni poi con pesanti cancelli per impedire che gli ebrei
uscissero di notte.
L’istituzione del ghetto prevedeva:
- la pena della frusta per chi fosse stato trovato fuori dopo la chiusura dei portoni;
- il portonaro del serraglio, cioè una persona di religione cristiana che doveva
chiudere a chiave i portoni, al tramonto, al suono della campana chiamata fogarola.
Dal 1620 venne imposto agli abitanti del ghetto un simbolo di riconoscimento giallo o
arancione:
- per gli uomini una striscia sul cappello o una fascia sul braccio sinistro;
- per le donne uno scialle giallo.
I lavori che potevano fare gli ebrei che vivevano nel ghetto erano tra i più umili e i
meno pagati. Salvo qualche prestatore di denaro o orefice, gli altri potevano
commerciare gli abiti usati, oggetti, mobili o biancheria usata erano chiamati
“stracciaroli” o “zavaiari”.
Dal 1903 iniziò l’abbattimento degli edifici a scopo di risanamento urbanistico.
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La Sinagoga
Dopo il 1492, cacciati dalla spagna, una grande comunità di ebrei raggiunsero
Modena, invitati dal Duca Ercole I D’Este. La maggior parte si stabilì nella zona
dell’attuale Rua Del Muro, dove crearono alcuni oratori di rito spagnolo. In una mappa
dell’Archivio Storico Comunale, datata 1622, è indicata una sinagoga fra via Trivellari
e via Cervetta, appartenente alla famiglia Sanguineti, banchieri e proprietari di un
grande edificio.
Il luogo dove gli ebrei si riuniscono per pregare e studiare non dovrebbe essere
chiamato “tempio” ma dovrebbe essere chiamato “Sinagoga” che deriva dal greco e
significa “luogo di riunione”.
Il 19 dicembre 1873 fu inaugurata la Sinagoga. Il progetto fu affidato all’ingegnere
Ludovico Maglietta e la pittore Ferdinando Mazzini.
All’interno della Sinagoga sono collocate alcune lapidi, una con la data di
inaugurazione e un’altra con l’elenco dei principali benefattori offerenti, un’altra
ancora in omaggio al Re Vittorio Emanuele II.
La Sinagoga in una foto degli inizi del ‘900
Le Leggi Razziali
Nel 1938 furono emanate le leggi razziali che privarono gli ebrei di molti diritti e di
libertà personali.
Furono confiscati agli ebrei i propri beni come si può vedere in un articolo della
Gazzetta di Modena del 18 Maggio 1944 in cui sono elencati i nomi di alcune persone
ebree e quello che veniva loro confiscato. Le leggi razziali prevedevano anche alcuni
provvedimenti che riguardavano la scuola:
- è vietata agli alunni ebrei la frequenza delle scuole di qualsiasi ordine e grado;
-
è vietato, nelle scuole pubbliche, l’uso di libri di testo di autori ebrei;
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- devono essere allontanati tutti gli insegnanti ebrei dalla scuola elementare
all’università.
Manifesto antisemita del 1938
Alcuni insegnanti ebrei troveranno lavoro nella scuola per alunni “di razza ebraica”,
istituita nel Novembre del 1938 dal Podestà (sindaco), con sede nel fabbricato
adiacente la chiesa di San Vincenzo (dove oggi si trova il tribunale).
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PIAZZA TORRE E I BOMBARDAMENTI DI MODENA
a cura di Lorenzo S. e Giselle C.
Il Tovagliolo del Formiggini
Foto di Angelo Fortunato Formiggini
In Piazza Torre avvenne il suicidio di Angelo Fortunato Formiggini, l’ebreo modenese
che aveva creato i “Classici del ridere” e altre collane. Il 28 novembre 1938, per
protestare contro l’emanazione delle leggi razziali promulgate dal governo fascista, si
tolse la vita gettandosi dalla Ghirlandina; si schiantò in piazza Torre, a due passi dal
monumento al Tassoni vicino al Palazzo Comunale, dove sorge una lapide che lo
ricorda, con su scritto “AL TVAJOL ED FURMAJIN”, così chiese ai modenesi che venisse
chiamato il piccolo spazio che c’è tra la Ghirlandina e il monumento al Tassoni.
Il giorno del suicidio, Formiggini, disse a un amico: “Salgo lassù per la scala; scenderò
dall’esterno, sarà meno gravoso”. Sembrava l’ennesimo scherzo ma lui non scherzava.
Angelo nasce il 21 giugno 1878 a Collegara, una frazione di Modena. Studia presso
l’università cittadina dove, nel 1901 si laurea in legge. In seguito si laureò in filosofia,
a Bologna; qui insegna per alcuni anni e, nel 1908 in occasione delle feste Tassoniane,
inizia la sua attività di editore.
Alla fine del 1909 si trasferisce a Bologna e, nel 1911, si sposta a Genova. Nel 1915
partecipa, come volontario, alla prima guerra mondiale. Durante il conflitto viene
distrutta la sede a Genova della casa editrice; così si trasferisce a Roma e nel 1918
fonda “l’Italia che scrive”, una delle prime e più originali riviste mensili.
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La rivista ebbe un notevole successo e continuò ad uscire fino al 1938, anno della sua
morte.
La porta “Misteriosa”
Piazza Torre: Porta Misteriosa
A pochi passi dal luogo in cui cadde suicida Angelo Formiggini, c’è una piccola porta
di cui non si conosce bene l’origine e l’uso preciso; attualmente è il retro di un
negozio che si trova in via Emilia, all’ angolo con piazza Torre. Ancora oggi è un
mistero l’uso preciso di questa porta.
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Il rifugio di Piazza Torre (chiesa S.Salvatore)
La Chiesa di San salvatore dopo il bombardamento del 1944
La zona di via Servi è stata quella più colpita dal bombardamento a Modena del 13
maggio 1944; in Piazzale Storti si trovava la chiesa S.Salvatore, risalente al 1214. Essa
fu completamente distrutta dalle bombe ma si salvò il campanile, ancora oggi visibile
all’ angolo con via dei Servi. Sui resti della chiesa è ancora presente l’insegna che
indica il rifugio che si trovava in Piazza Grande. I primi bombardamenti risalgono al
1943, anno in cui gli alleati sbarcarono in Italia.
Nel periodo successivo, che intercorre tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, si contano
almeno 127 bombardamenti, anche su località non vicine al fronte di guerra, come le
città di Roma, Genova, Torino, Milano e Bologna.
Modena, che da tempo ospitava numerosi sfollati provenienti principalmente da
Bologna, subì il primo bombardamento il 14 febbraio 1944 in cui furono colpiti la zona
circostante alla stazione e i quartieri della Sacca e San Cataldo; si contarono più di 100
morti e 150 feriti.
Il secondo e più grave attacco aereo si verificò il 13 maggio 1944, quando gli alleati
colpirono per errore il centro storico (l’obbiettivo era ancora la zona ferroviaria): si
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contarono 122 morti e 3000 senza tetto. Quel giorno vennero distrutte le chiese dei
Servi e di San Vincenzo ed anche Villa Rainusso.
Durante i bombardamenti , che si svolgevano principalmente di notte, i cittadini si
rifugiavano nei rifugi ,come indicato in Piazza Storti.
Pippo: aereo che veniva usato per i bombardamenti
IL MERCATO ALBINELLI E L’ALIMENTAZIONE
a cura di Agnese V. e Samuele M.
Il mercato coperto di frutta e verdura fu costruito nel 28 ottobre 1931 durante il
regime fascista. Il mercato fu trasferito da piazza Grande a piazza XX Settembre in via
Albinelli, perché Mussolini voleva tenere la piazza pulita e sgombera per le grandi
manifestazioni.
L’interno del mercato in una foto d’epoca
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Il mercato era ed è ancora oggi un mercato alimentare e questo posto può essere
considerato come emblema delle difficoltà alimentari incontrate durante la guerra dai
cittadini di Modena. Numerose testimonianze e documenti ricordano l'ansia e la
paura provocata dai banchi vuoti e dalla mancanza degli alimenti, le difficoltà e i
ritardi nella distribuzione dei generi di prima necessità, il continuo aumento dei prezzi
e lo sviluppo del mercato nero. In inverno, poi esplodeva in tutta la sua drammaticità
il problema del reperimento della legna e del combustibile necessario per il
riscaldamento domestico e la cottura dei cibi. Infatti all'epoca, al contrario di oggi,
dentro al mercato c'era poco cibo, e questo era dovuto perché al sud e al centro
dell'Italia c'erano gli americani e sulle montagne i partigiani a combattere, perciò tutto
il cibo prodotto nell'Italia centrale, meridionale, e settentrionale non riusciva ad
arrivare a Modena. Quindi per garantire il rifornimento alla popolazione, si impose la
consegna a centri di raccolta dei prodotti agricoli e la divisione degli alimenti, che si
potevano acquistare a prezzi prestabiliti, con l'uso di carte annonarie.
Le Tessere della Fame
Dal 1940 in Italia gli alimenti furono razionati, e nel gennaio di quell’anno, ad ogni
cittadino venne distribuita una tessera detta annonaria da tutti chiamata tessera
della fame, sulla quale si dovevano applicare dei bollini comparativi al prelievo. Essa
era personale, con questa i cittadini potevano comprare le merci e gli alimenti
necessari alla sopravvivenza. Ad ogni persona spettava una certa quantità di cibo,
questo metodo di razionamento veniva chiamato: razione giornaliera. Questo sistema
venne deciso dal regime fascista; si incominciò con il razionamento di caffè e di
zucchero per poi proseguire con pane, farina, olio, pasta, riso, grassi, carne e sapone.
Le essere avevano colori diversi per le differenti fasce d’età, verdi per i bambini fino a
otto anni, azzurre dai nove ai diciotto anni e per gli adulti grigie. Gli uffici annonari
fornivano il cibo ogni due mesi. Oltre alle carte annonarie c’erano anche le “tessere
legna” che fornivano due quintali di legna al mese a ogni famiglia.
Nonostante questi provvedimenti il cibo però non era sufficiente e tra la popolazione
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cresceva il malcontento per la scarsa quantità e qualità dei prodotti. Inoltre le persone
erano costrette ad aspettare per ore in fila davanti ai punti di distribuzione, e spesso
rimanevano a mani vuote. Nei comuni dell’Appennino i tempi di attesa erano ancora
più lunghi, e le persone erano costrette a spostarsi fino in Toscana per procurarsi ciò
di cui avevano bisogno. Il razionamento e le carte annonarie restarono fino al 1949.
Nella copia di un manifesto dell’ufficio annonario, che veniva appeso ai muri della
città, sono riportati i vari razionamenti:
ZUCCHERO
supplemento da 0 a 3 anni
500g
OLIO
due decilitri
180g
BURRO
150g
GRASSI SUINI
50g
SAPONE
100g
RISO
razione normale
500g
PASTA
razione normale
1500g
RISO
supplemento da 0 a3 anni
1000g
RISO
supplemento lavoratori
300g
PASTA
supplemento lavoratori
300g
Tessera annonaria
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Il Mercato Nero
Il luogo in cui i prodotti alimentari non mancavano mai era il mercato nero, chiamato
anche mercato parallelo, che si stabilì tra il 1941 e il 1942, favorito proprio dal sistema
troppo rigido di razionamento masso in atto dal regime fascista. In questo mercato
clandestino si vendevano prodotti che non era possibile trovare nel mercato ufficiale;
quindi questi prodotti venivano venduti a prezzi elevatissimi. Nel mercato nero oltre
a vendere illegalmente della merce si poteva usare la tessera annonaria, ma si poteva
anche barattare gioielli in cambio di cibo. Questo documento il “il ladro nero lo
conoscerete tutti” è un manifesto che rappresenta le tante persone disoneste
(contrabbandieri) che si arricchivano speculando su questa forma di commercio, che
metteva in circolazione di tutto.
Manifesto che denunciava la presenza del Mercato Nero
I fascisti tentarono di fermare questa organizzazione clandestina formando delle
squadre annonarie, con il compito di arrestare chiunque praticasse il mercato nero,
ma non riuscirono a placare questo sistema. Il mercato nero prosperò fino 1946.
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Testimonianze, documenti e lettere
L’ufficio per la censura segnala di frequente diverse lettere dalle quali emerge il
malcontento sulla scarsità dei generi di consumo (cibo) per le persone con meno
possibilità economiche (con pochi soldi). Queste lettere sono documenti tratti dalla
relazione settimanale della commissione provinciale di censura della prefettura di
Modena dirette alla polizia politica di Roma.
Eccone alcune:
Modena 31 maggio 1942
Oggetto: relazione settimanale dal 24 al 30 maggio1942
“….. in casa non concludo tutto quello che vorrei fare. Per esempio oggi sono stata in fila due ore
per avere un chilo di carbone. Ieri al Gruppo per avere un chilo di patate sono stata in fila dalle
nove fino a mezzogiorno ….”
“…. Ogni giorno che passa è una lotta continua per il mangiare e tutto il resto, tanto per darti una
idea ieri sono andata in fila per poter avere quattro chili di carbone da fornello, e ci sono stata
dalle due alle cinque, e poi non l’ho potuto avere e ci sono tornata stamattina; insomma tu non
puoi immaginare, la vita che si fa, non si ha nulla se non si sta in fila delle ore e si viene a casa con
della rabbia, perché non si può dire ciò che sarebbe ben detto, mentre bisogna dire che va bene
anche se si soffre la fame”
“… dopo che il cattivo tempo ci ha portato tutto quel po’ che c’era … abbiamo anche il calmiere,
che è l’unica mia speranza erano i fragoloni e li hanno messi a lire 270, mentre senza questo si
poteva prendere da 5 lire a 6 lire, e le ciliegie le hanno messe a 3 lire mentre si poteva prenderne
almeno il doppio”.
Oltre agli annunci che venivano resi noti dall’ufficio annonario come quello visto
prima venivano appesi alle mura della città anche gli annunci del comune dell’Ansa e
della Sepral.
Eccone alcuni:
PANE FINALMENTE A 300g
Roma, 21 febbraio 1945 l’Ansa informa che la razione del pane per l’Italia liberata è portata a 300 g
al giorno a decorrere dal primo marzo.
LEGNA DA ARDERE
Roma, 22 febbraio 1945 i servizi annonari comunicano che sono in vendita quantitativi di legna da
ardere a lire 340 al quintale; 340 lire corrispondeva alla paga di un comune lavoratore.
Dopo la liberazione d’Italia la tessera legna non venne più usata a differenza di quella
annonaria.
UNA CANDELA A TESTA!!! (Con il bollino 25) (scorta di un mese)
Roma, 25 gennaio 1945 si può prelevare una candela a persona presso gli spacci autorizzati, e si può
prenotare lo zucchero per 4 mesi, utilizzando i due buoni della marmellata.
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COSTO DELLA VITA
La spesa media quotidiana di una famiglia era di lire 5,40 nel 1940 poi è risalita in gennaio nel 45 a
lire 94,80. A metà del 1945 lo stipendio di un operaio si aggirava tra le 8-10 000 lire. Il costo di un
giornale £ 4, una tazzina di caffè £ 20, un biglietto per il tram £ 4, pane £ 45, latte £ 30, vino £ 75
(quando in Italia c’erano ancora i fascisti il vino era stato abolito perché a Mussolini faceva venire il
bruciore di stomaco), olio £ 30, pasta £ 120, riso £60 … .
39g A TESTA DI PASTA AL GIORNO
Roma, 10 aprile la Sepral comunica che i normali consumatori potranno prelevare dal 14 al 25,
590grammi di pasta.
URGONO BOTTIGLIE DI LATTE
Roma 16 aprile alla centrale del latte sono urgenti bottiglie per la distribuzione di latte agli ammalati
quindi si chiede ad ogni famiglia se possono donare bottiglie in cambio di 25£ per bottiglie da un
litro e 20£ per bottiglie da mezzo litro.
ARRIVA LA CONSERVA
Roma 27 aprile la Sepral comunica che i normali consumatori potranno prelevare dal 30 aprile una
razione di 100g di concentrato di pomodoro a persona dagli esercenti
5000 QUINTALI DI PECORINO SARDO
Roma 6 luglio nei prima giorni della prossima settimana arriveranno 2600. Primo quantitativo di
5000 quintali.
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LE LAPIDI DI PIAZZA GRANDE a cura di Rebecca B. e Riccardo Z.
In Piazza Grande, sono presenti due lapidi. La prima rappresenta l’uccisione di 20
cittadini lasciati ammucchiati in un angolo per far capire alla gente che se non
avessero collaborato, avrebbero fatto la stessa fine. Qui è presente anche un’altra
lapide, dedicata a Emilio Po, che ricorda la medaglia d’oro e d’argento assegnate ai 3
partigiani (oltre ad Emilio Po, anche Alfonso Piazza e Giacomo Ulivi).
Quest’ultima recita:
“DOPO INAUDITO SUPPLIZIO
SACRIFICARONO LA
GIOVANE VITA PER LA PATRIA E LA LIBERTA’
ESEMPIO E MONITO AGLI ITALIANI
MEDAGLIA D’ORO EMILIO PO
PARTIGIANO ALFONZO PIAZZA
MEDAGLIA D’ARGENTO PARTIGIANO GIACOMO ULIVI”
IL 10 NOVEMBRE 1944
10-11-1948
La lapide di Piazza Grande
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L’uccisione di Emilio Po, Giacomo Ulivi e Alfonzo Piazza
Uno degli episodi più violenti della resistenza modenese è la fucilazione di Emilio Po,
Giacomo Ulivi e Alfonso Piazza, avvenuta il 10 novembre 1944 in piazza grande. Emilio
Po era l’artificiere della brigata Walter Tabacchi; fu fermato dalla GNR* mentre si
recava al laboratorio di esplosivi della brigata. Fu quindi torturato, cosparso di benzina
e dato alle fiamme. Lui tacque, perciò fu fucilato insieme ad Alfonso Piazza, un giovane
di Agrigento fermato qualche tempo prima in possesso di armi e documenti falsi, e a
Giacomo Ulivi, simpatizzante del partito d’azione originario di Parma, che ha lasciato
una delle più belle lettere della resistenza italiana.
I fascisti caricarono i tre condannati su un camioncino che li portò in piazza Grande,
accompagnati da giovani del reparto controguerriglia che cantavano inni fascisti.
Furono fatti allineare al muro del palazzo Arcivescovile e fucilati. La sorella e il padre
di Emilio assistettero alla rappresaglia; questo provocò impressione tra la
cittadinanza, e una dura presa di posizione del CLN (Comitato di Liberazione
Nazionale), che diffuse volantini nei quali si condannavano a morte i responsabili di
tali azioni. Il comando della brigata Walter Tabacchi inviò una lettera al comando
tedesco per chiedere aiuto affinché i prigionieri in mano alla GNR non fossero più
torturati, per proporre lo scambio dei prigionieri e la sospensione delle rappresaglie.
Una lettera simile venne inviata ai comandi della GNR e della brigata nera, con la
proposta di cessare le torture, i maltrattamenti e le rappresaglie, e di dar luogo allo
scambio dei prigionieri.
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*La Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) fu una forza armata istituita in Italia dal governo fascista repubblicano l'8 dicembre
1943 «con compiti di polizia interna e militare». Essa nacque per volere di Renato Ricci e prendeva il posto Dei Regi Carabinieri e
delle altre Forze di Polizia. La GNR era destinata teoricamente ai compiti propri dei Carabinieri (ordine pubblico e controllo del
territorio) e della Milizia (nelle sue varie specialità), ma in realtà prese parte soprattutto alla lotta repressiva contro le forze
partigiane della Resistenza italiana, partecipando a rastrellamenti e devastazioni accanto alle formazioni tedesche. Alcuni suoi
reparti furono utilizzati, sotto comando tedesco, al fronte contro gli Alleati (cioè gli anglo americani). Svolse anche un ruolo di
ordine pubblico contro il banditismo che era diffuso nei territori occupati dell'Italia centrale e settentrionale.
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IL SACRARIO a cura di Greta V. e Riccardo T.
Si può cogliere visivamente la dimensione della violenza contro la Resistenza in
provincia di Modena portandosi in Piazzetta Tassoni, davanti alla Ghirlandina. Ai piedi
della torre, tre grandi teche contengono le immagini di centinaia di partigiani uccisi
(tra cui Emilio Po). Vennero ammazzate circa 2000 persone; è il monumento alla
memoria della Resistenza, nato in modo spontaneo, come manifestazione del dolore
popolare. Dopo la liberazione i modenesi attaccavano le foto di familiari dispersi, nella
speranza che qualcuno potesse dare loro notizie. Col passare del tempo sono state
esposte qui tutte le immagini di partigiani caduti nella lotta.
Foto del sacrario di Piazza Torre
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Gli alunni
Bonacini Rebecca
Campagna Giselle
Castielli Michele
De Bellis Davide
Diena Achille
Faglioni Sofia
Ferrari Alice
Fontanesi Rebecca
Hu Ting Ting
Karma Mohamed
Marani Samuele
Nocetti Anita
Ouarsani Hassan
Palma Fabio
Saguatti Elisa
Saguatti Lorenzo
Scoddo Camilla
Soyuguz Selin
Storchi Davide
Tobolars Riccardo
Vaccari Riccardo Andrea
Vadacca Greta Vienna
Vaschieri Agnese
Zanetti Riccardo
Le insegnanti:
Salami Erika
De Marinis Luciana
Lorenzini Sara
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