PERCORSO STORICO ED ARTISTICO PER LA CONOSCENZA DELLA STORIA DELLA CITTÀ DI MODENA ANNO SCOLASTICO 2015/2016 1 Premessa Conosco il territorio in cui vivo Quando, nello studio della storia scolastica, si aprono spazi diversi, la visione della storia acquista una nuova dimensione: non più disciplina “al singolare”, ma insegnamento e apprendimento di storie, da quelle generali alla ri-scoperta delle dimensioni locali; dagli eventi politico-istituzionali alle influenze sulle società umane. Si ripropone, in tal modo, il problema del potenziale formativo della conoscenza storica, non più riconducibile al solo tempo cronologico, ma in grado di estendere il campo di indagine con i percorsi selezionati dagli insegnanti sulla base della loro rilevanza didattica. Rilevanza più che mai presente nello studio della storia locale, una storia che permette di creare specifiche occasioni di riappropriazione della memoria individuale e collettiva e di ridefinizione di identità e appartenenze comuni o nuove, specie per le nuove generazioni. L’esercizio dell’autonomia organizzativo-didattica ed un’efficace mediazione didattica possono, se integrati, promuovere processi di rinnovamento nell’insegnamento della storia e garantire il diritto degli studenti alla conoscenza della storie locali a scuola. Alla base di questo percorso di studio e di ricerca, si individuano almeno tre scelte fondamentali: - la prima, di tipo metodologico, realizzata con l’introduzione di modalità di insegnamento/apprendimento basate su attività di tipo cooperativo con la quasi totale assenza della lezione frontale, arricchite da apporti specialistici, laboratoriali e di ricerca, sfruttando le numerose opportunità fornite dal territorio; - la seconda, di tipo didattico, orientata alla conoscenza e al recupero della storia regionale e locale, con i necessari intrecci con le vicende nazionali; - la terza, di tipo culturale, rappresentata non solo dalla padronanza di conoscenze, ma anche dalla consapevolezza del come esse sono prodotte, dalla capacità di usarle per esprimere ed argomentare i propri punti di vista. Il percorso realizzato, ben lontano dall’essere chiuso ed autosufficiente, si apre al confronto, all’apporto di esperti e studiosi, di archivi e biblioteche, ad altri gruppi di ricerca rappresentati dalle classi protagoniste del progetto. Motivazione Avviare un’educazione ad uno sguardo più consapevole sulla città e sui suoi spazi, cercando di costruire progressivamente l’idea di città come luogo dell’appartenenza, cioè del far parte e del sentirsi parte. Acquisire competenze di tipo storico e comunicativo per saper esporre le proprie conoscenze ad un gruppo di adulti (genitori della classe) in modo chiaro e comprensibile. Camminare per le strade della città, conoscere parti della sua storia, imparare a leggerne le tracce, parlare con testimoni, osservare monumenti, fotografie, carte storiche, non può che far nascere nei ragazzi una maggiore sensibilità verso l’ambiente nel quale vivono e una maggiore consapevolezza di essere individui appartenenti ad una comunità, cittadini più consapevoli, quindi anche più in grado di accogliere l’altro. Bisogni formativi Percepire che il luogo in cui si vive ha “una storia”, è il risultato di trasformazioni operate dall’uomo nel corso del tempo, è condizione indispensabile per maturare progressivamente nei confronti di esso atteggiamenti di rispetto, di tutela. Conoscere i luoghi carichi di spessore culturale: il Duomo e Piazza Grande, Palazzo dei musei, Palazzo Ducale, Il teatro Comunale ecc. Si tratta di un itinerario che ha lo scopo di far conoscere ai bambini elementi fondamentali del patrimonio storico ed artistico della città. 2 Tale conoscenza è condizione indispensabile per un’attività di sensibilizzazione e di assunzione di responsabilità rispetto a ciò che è patrimonio di una comunità. Quindi, oltre ad essere un’esperienza culturale forte, si tratta di un impegno di educazione alla cittadinanza attiva. Lo sguardo si posa anche sui luoghi della città, che sono stati teatro di drammatici eventi durante la seconda guerra mondiale, per stimolare nei bambini: o La capacità di osservazione e lo sviluppo di competenze di ricerca verso il patrimonio storico della propria città. Si tratta di educare ad una cittadinanza consapevole attraverso la conoscenza dei luoghi cittadini della seconda guerra mondiale e della loro storia. o Sostegno dei valori della democrazia e dell’identità nazionale, con particolare attenzione alle principali ricorrenze che fanno parte della tradizione nazionale, locale (calendario laico) e alle giornate della memoria. o La conoscenza e della riflessione sui valori che, attraverso la Resistenza e la guerra di Liberazione Nazionale, portarono all’affermazione dei principi di libertà, democrazia e giustizia sociale contenuti nella Carta costituzionale italiana; conoscenza dei principi e dei valori della Costituzione Italiana. Criterio formazione dei gruppi di lavoro: criterio scelto dagli alunni sulla base degli interessi personali relativamente all’argomento trattato. Unica condizione, ogni coppia doveva essere mista, ossia formata da un maschio e da una femmina. Sono stati così formati dodici gruppi da due bambini ciascuno. Fig. 1 – Organizzazione generale del progetto Tipo di progetto: due tematiche fondamentali: - Percorso storico-artistico sui monumenti cittadini visitati nel corso delle classi terza e quarta; - Percorso storico sui luoghi della quotidianità e della violenza durante la seconda guerra mondiale, sulla base dello studio svolto in classe e nel centro della città, durante la classe quinta. 3 Fig. 2 – Individuazione dei due percorsi All’interno delle due tematiche, ogni coppia di bambini ha ricercato i materiali necessari (documenti forniti dall’Istituto Storico, testi scritti, immagini di repertorio/foto d’epoca, materiali in rete), predisponendo un testo espositivo, corredato d’immagini, che è stato presentato ai genitori della classe durante una visita guidata dagli alunni stessi. Fig. 3 – Assegnazione degli argomenti alle coppie di bambini Scopo del lavoro è stato duplice: realizzare una “visita guidata” dei luoghi studiati, il volantino dell’iniziativa e un fascicolo che raccogliesse i testi elaborati. 4 Percorso storico-artistico Sui principali monumenti cittadini Mappa della città con il percorso storico – artistico presentato dai bambini 5 TEATRO COMUNALE A cura di Anita e Davide D.B. La Storia Il teatro Comunale fu inaugurato nel 1841 con il nome dell’illustrissima comunità. Nel corso degli anni è stato restaurato ma la sua bellezza non ha cambiato significato. Questo è frutto di un accurato restauro che lo ha tenuto originale. Il teatro è uno dei più bei teatri italiani grazie all’acustica e l’eleganza. In questo teatro vengono ospitati balli, concerti e opere liriche. Il 6 dicembre 2007 il teatro è stato intitolato, a tre mesi dalla morte, a Luciano Pavarotti , in segno di riconoscimento alla figura del grande tenore modenese. Il teatro è stato costruito da Francesco Vandelli e Malatesta, un pittore ( autore del sipario) . Descrizione La facciata dell’edificio L’edificio riprende lo stile neoclassico e sorge un’area di 2300 metri quadrati. La facciata si innalza su un portico a nove archi; di cui due di questi sono adornati da dei rosoni. Le cinque arcate principali corrispondono alle tre porte dell’ingresso. Di fronte a queste si innalzano quattro colonne, che sostengono una cornice su cui posa un balcone. Sulla parte in alto della facciata è collocata l’opera di Righi, che rappresenta il “genio alato di Modena”. L’atrio L’atrio è di forma ovale. Il soffitto è decorato con pitture e decorazioni di Camillo Crespolani e Luigi Manzini: esse sono eseguite con la tecnica del chiaro-scuro e rappresentano alcuni dei più famosi musicisti modenesi. La parte superiore è decorata con bassorilievi; opera di Luigi Righi, che raffigurano muse; sulle porte laterali dell’ingresso invece sono riprodotti il dio Apollo; gli Amorini e Minerva, con le arti sorelle: pittura, scultura e architettura. Dall’atrio si accede ai palchi e alla platea, per mezzo dell’andito (corridoio) sormontato da un arco ellittico che comprende due porte d’accesso alle scale di marmo e alla porta centrale. Lateralmente si trovano due nicchie, all’interno delle quali sono sistemati due busti, opera di Righi, raffiguranti Luigi Riccoboni e Orazio Vecchi. 6 Platea La platea è di forma ellittica; in lunghezza misura 18,75 m e larghezza 16,25 m. Al centro della platea si trova il lampadario che pesa cinque tonnellate. Un tempo aveva solo sessantanove candele, mentre adesso oltre 138 lampadine. Giuseppe Manzini aveva posto sotto la platea un ingranaggio che le permetteva di alzarsi sino al palcoscenico durante le grandi feste, per ottenere una spaziosa sala da ballo. Platea e palchi La platea è chiusa da quattro ordini di palchi; in ciascun ordine se ne contavano trenta per un totale di centoquattordici. Nella quinta fila è situato il loggione per un comprensivo di sei file (il teatro può contenere fino a 900 persone). I davanzali dei palchi di primo ordine furono decorati (e lo sono tuttora) in oro; quelli del secondo, sempre in oro, ma ornati con bassorilievi. Sopra la porta d’ingresso si trova il palco grande della Corona (dove si sedeva la famiglia Estense); su quel palco è stata ricollocata l’Aquila Estense. Lo stemma della città di Modena, così come nella maggior parte dei teatri, si trova al centro dell’arco scenico. Inoltre c’è un orologio sull’architrave rivolto verso la platea. La grande soffitta, incurvata con una cornice di legno, è ornata da quattro figure che rappresentano la Musica, la Poesia, la Commedia e la Tragedia (eseguiti da Crespolani e Manzini). Verso il centro della soffitta si notano quattro medaglioni con le immagini di Dante, Tasso, Ariosto e Petrarca (poeti Italiani del 1300-1400 d. C. Il palcoscenico Le sue strutture sono state realizzate dal falegname Manzini. Il palcoscenico è il cuore della macchina teatrale. Al suo interno si trova la maggior parte degli impianti tecnologici: illuminazione generale, luci di scena, fonica (suono, acustica), sicurezza generale. Il sipario storico Come già detto il sipario storico fu dipinto da Malatesta. Sul sipario è raffigurato Ercole I d’Este in visita al teatro in costruzione (1486). Il sipario fu inaugurato, insieme al teatro, il 2 ottobre 1841, suscitando grande ammirazione. Nella sala del ridotto (antica sala da ballo) è custodito un frammento del sipario storico, raffigurante Orfeo ed Euridice (Orfeo è considerato il più famoso poeta e musicista che la storia mitologica abbia mai avuto). La leggenda narra che il dio Apollo un giorno donò ad Orfeo una lira e le muse gli insegnarono a usarla ed egli divenne molto abile. Ogni creature amava Orfeo ed era incantata dalla sua musica e dalla sua poesia, ma Orfeo aveva occhi solo per una donna: Euridice, che divenne sua sposa. 7 Purtroppo un giorno la bellezza di Euridice fece ardere il cuore di Aristeo che si innamorò di lei e cercò di sedurla. La fanciulla, per sfuggire alle sue insistenze, si mise a correre ma ebbe la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell'erba che la morsicò, provocandone la morte istantanea. Orfeo, impazzito dal dolore, decise di scendere nell'Ade per cercare di strapparla dal regno dei morti. Orfeo iniziò a suonare e a cantare la sua disperazione e solitudine e le sue melodie erano così piene di dolore che gli stessi signori degli inferi si commossero. Fu così che fu concesso a Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra egli la precedesse e non si voltasse a guardarla fino a quando non fossero giunti alla luce del sole. Il sipario storico Durante il viaggio, un sospetto cominciò a farsi strada nella mente di Orfeo: egli pesava di condurre per mano un'ombra e non Euridice. Dimenticando così la promessa fatta, si voltò a guardarla ma nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono sul suo volto Euridice svanì, e Orfeo assistette impotente alla sua morte per la seconda volta. All’interno del teatro sono presente i camerini per gli attori e la sartoria. Nel sottotetto c’è la stanza dove vengono realizzate le scenografie. 8 PALAZZO DUCALE A cura di Ting e Mohamed Palazzo Ducale- Accademia Militare Il Palazzo Ducale in origine era un castello; appartenne agli Estensi fin dal Duecento, quando Obizzo d’Este lo fece fortificare per motivi di difesa. A quei tempi Modena si trovava in comunicazione con Ferrara e con il Mar Adriatico. Il castello si trovava in una posizione strategica perché era circondato dal Naviglio, che sboccava nel fiume Panaro e quindi nel Po; il palazzo fu perciò chiamato “Casa delle Acque”. Nel 1306, con la rivolta popolare che cacciò il signore d‘Este, fu distrutto. Solo nel 1340 con il ritorno degli Estensi, fu decisa la costruzione di una nuova roccaforte. Nel 1598 gli Estensi trasferirono la propria residenza da Ferrara a Modena, che divenne capitale dello Stato, e il palazzo di Modena divenne residenza ufficiale dei duchi stessi. Il palazzo fu sede di governi, amministrazioni ed enti pubblici. Dal 1814 al 1859 la sua funzione iniziò a essere pubblica: ospitò uffici, biblioteche, pinacoteche (per esposizione dei quadri) ed archivi. La costruzione attuale ebbe inizio nel 1635, per volere di Francesco I d‘Este, e su disegno dell‘architetto Gaspare Vigarini, presto sostituito da Bartolomeo Avanzini e da Gian Lorenzo Bernini; quest’ultimo, famoso architetto, realizzò un’opera che rivelava uno stile unitario, solenne ed elegante. L’ultimo sovrano abbandonò il Palazzo Ducale nel 1859. Dal 1947 l’edificio ospita l’Accademia Militare. L’elegante facciata si presenta con tre ordini di finestre affiancate, coronate da balaustre con statue; la parte centrale e quella laterale sono sopraelevate. Il cortile d’onore, con elegante loggiato (caratterizzato da un seguito di arcate che lo aprono verso lo spazio esterno) a due piani, è ritenuto un capolavoro dell’architettura 9 barocca. Da qui si accede allo scalone d’onore, ornato da statue romane, che porta alle numerose sale della Resistenza Estense. In particolare si segnalano la sala del trono, il salottino d’oro, il salone d’onore e la sala dello stemma. All’interno, il museo dell’Accademia Militare contiene armi e armature, memorie, cimeli e militarie (bandiere, uniformi, tamburi, ecc). Descrizione storico-artistica della facciata del Palazzo Ducale Ancora oggi l’edificio non può dirsi terminato: la parte superiore della facciata di sinistra è fatta di cemento anziché di marmo; i timpani delle finestre (la parte triangolare o arcuata sovrastante la cornice di coronamento) sono meno sporgenti di quelli della parte destra. 10 FONTE D’ABISSO A cura di Selin e Riccardo V. Tra Piazza Roma e Piazza San Domenico, vicino a Palazzo Ducale, c’è la Fonte d’Abisso (da “bissa” che significa canale). Ai tempi del ducato, il Palazzo era circondato da canali, che servivano per proteggersi, navigare e trasportare merci. La Fonte d’Abisso era collegata con le cucine del Palazzo e riforniva la famiglia Estense di acqua potabile. Successivamente, nel 1865, la Fonte venne spostata allo sbocco di via De' Lovoleti. Una ringhiera in ferro all'altezza della strada funge da protezione. La fontana rimase così fino al 1946, quando ormai, povera di acqua sorgiva, venne alimentata con acqua dell'acquedotto comunale. In seguito, la Fonte venne coperta con la pavimentazione della piazza, lasciando in vista la ringhiera e collocando nei pressi una fontanella di ghisa. Della Fonte si era persa memoria per molti anni, ma è stata riscoperta e restaurata nel 2001 quando vennero realizzati lavori di pavimentazione di Piazza Roma. Attualmente, si trova in uno stato di semi degrado perché qualche cittadino poco rispettoso vi getta rifiuti. La Fonte d’Abisso 11 MODENA CITTÀ SUI CANALI A cura di Hassan e Sofia “Città fondata sopra molti canali”, così il grande storico Girolamo Tiraboschi definì Modena sul finire del Settecento. La storia urbana di Modena è quella di una città d’acque, la cui memoria “in superficie” rimane nei nomi delle strade (toponomastica stradale): via Canalino, corso Canalgrande, corso Canalchiaro; e poi via Modonella, via Cerca (l’omonimo torrente prendeva il nome dal fatto che scorresse vicino al cerchio delle mura della città; ancora oggi, in una abitazione si può vedere una carrucola che serviva per sollevare le merci sino alle finestra del compratore che le acquistava dalle navi che passavano per il canale), la via Fonte d’Abisso. Nella città, lungo i canali derivati dai fiumi Secchia e Panaro o dalle risorgive e fontanili, sorgevano opifici (fabbriche) e botteghe di artigiani che sfruttavano le acque per le attività produttive. Via della Cerca, dove sono presenti tracce di una carrucola Sotto il Palazzo, nella cosiddetta “Casa delle Acque” confluivano, e confluiscono anche ora, i canali che attraversano il sottosuolo della città. Un tempo le loro acque riemergevano vicino al Palazzo Ducale, nell’odierno corso Vittorio Emanuele II, confluendo nella Darsena del canale del Naviglio, approdo per le imbarcazioni. Dalla Darsena, il Naviglio usciva dalla città e procedeva in un percorso navigabile che giungeva al mare Adriatico, a Ferrara, a Venezia: una via di comunicazione importante per i trasporti, i commerci. Sino ai primi del Novecento, nella zona a settentrione della città, al di là delle linee ferroviarie, presso il Naviglio esistevano ancora una banchina, magazzini per le merci e la “Salina”, il deposito del sale che per tanti secoli era giunto a Modena dall’Adriatico tramite la via dell’acqua. La Darsena del Naviglio nel Settecento 12 Via Castelmaraldo, dove di può notare il cosiddetto “muro a scarpa”, ossia una parete obliqua che consentiva di proteggere le case affacciate sui canali dalla forza impetuosa dell’acqua 13 CHIESA DI SANTA MARIA DELLA POMPOSA a cura di Sofia e Hassan Chiesa di S. M. della Pomposa Santa Maria della Pomposa prende il nome dall’abazia della Pomposa. Risale al 1153, e l’edificio conserva poco della sua struttura originale: solo la muratura della metà inferiore della chiesa è stata chiusa. Inoltre, la torre massiccia, che si trova a fianco dell’edificio, è stata tagliata a una certa altezza (forse durante il Medioevo faceva parte di un castello). All’interno della chiesa si trovano sei dipinti, del Seicento e del Settecento, che ritraggono alcuni momenti della vita di San Sebastiano (militare romano morto nel 288 d.C. per aver sostenuto la fede cristiana), opera di Cervi e Vellani. Sul lato destro della chiesa, nella cappellina, è collocato il dipinto della “Madonna della Misericordia”, di autore ignoto. Sul lato sinistro, nella prima cappella, si trova il sarcofago di Ludovico Antonio Muratori, sormontato da un monumento marmoreo posto nel 1931, opera dello scultore milanese Pogliaghi. Ludovico Antonio Muratori Ludovico Antonio Muratori, nato nel 1672 e morto nel 1750 a 78 anni, era un prete modenese. A lui fu affidata la chiesa di Santa Maria della Pomposa, dal 1716 al 1750 (anno della sua morte). Egli fu poi seppellito in quella chiesa. Ludovico Antonio Muratori faceva diversi mestieri, tra cui il prete, lo scrittore, bibliotecario e archivista. Si applicò in tutti i campi della conoscenza. Il Duca Rinaldo I D’Este lo accolse e gli offrì l’ufficio d’archivista e bibliotecario. Quando Modena venne occupata dai francesi tra il 1702 e 1707, perché l’Europa stava per entrare nella guerra di successione spagnola, l’intero archivio, appena riordinato, doveva essere trasferito e fu proprio Ludovico Muratori a prendersene cura. Cercando di aggiornare e rinnovare la cultura e la tradizione letteraria italiana. 14 Messi da parte gli studi sul Medioevo, perché non poteva accedere alle fonti, iniziò a scrivere dei testi che, da un lato, esaltavano l’Italia e, dall’altro, ne sottolineava le debolezze (ad esempio, “Della perfetta poesia italiana”). Nel 1865 gli dedicarono il liceo classico “Muratori”. Inoltre, sul’omonimo Largo, che si affaccia sulla Via Emilia, c’è un monumento dedicato a lui, scolpito da Malatesta. Nel 1922 le spoglie di Muratori i furono traslate nella chiesa di Santa Maria della Pomposa. Statua di L. A. Muratori Chiesa di Santa Maria della Pomposa 15 PALAZZO DEI MUSEI A cura di Riccardo V. e Selin Palazzo dei Musei Il Palazzo dei Musei fu eretto dal 1764 al 1771 dall’architetto Piero Teramini. Inizialmente, questo museo era un albergo per i più poveri e, successivamente, nel 1787 Ercole III lo rese un albergo delle arti e molte stanze si trasformarono in officine di lavoro. Invece nel 1817 fu sede del Monte dei pegni e nel 1884 fu inaugurato come sede museale. Palazzo dei Musei come lo conosciamo noi oggi lo ha fondato Carlo Boni nel 1871 per conservare i reperti archeologici e artistici che hanno testimoniato le origini e la storia della nostra città. Attualmente in questo museo si trovano: I. Museo Lapidario Estense, rappresenta il primo museo cittadino destinato alla fruizione pubblica; 16 II. Biblioteca Poletti; III. Archivio storico comunale; IV. Biblioteca Estense, nata dalla libreria privata della famiglia d’Este nella prima metà del XV secolo; V. i Musei Civici istituiti da Carlo Boni nel 1871, che si dividono in due sezioni. 1. Il Museo Civico Archeologico – Etnologico, contenente alcuni reperti soprattutto riguardanti il territorio modenese (Terramara, epoca etrusca e romana). 2. Il Museo Civico di Arte Medievale: i materiali raccolti sono oggetti artistici come, ad esempio, sculture, dipinti e carte decorate, cuoi ecc., strumenti musicali e scientifici. VI. La Galleria Estense, con più di trecento dipinti e una ricca collezione di sculture, antiche e moderne, in marmo, bronzo e terracotta, in parte provenienti dall’antico patrimonio estense. Museo Lapidario Estense Il Museo Lapidario Estense si trova a piano terra di Palazzo dei Musei; esso è di proprietà statale. Museo Lapidario Estense Le lapidi furono riportate in luce negli anni ’30 dell’Ottocento dal Duca Francesco IV. 17 All’interno si trova una sezione dedicata alle testimonianze delle necropoli di Mutina, l’antico nome romano della nostra città. Intorno alla statua di Borso d’Este, sono collocati reperti di epoca romana, trovati lungo la via Emilia a est della città. Un esempio è l’Ara di Vetilia, alta più di 4 metri, ritrovata nel settembre 2007 durante scavi edilizi. L’ara è composta di una base, un grande cubo sormontato da tre gradini e, al di sopra di essi, un altare parallelepipedo in marmo orientale finemente lavorato. Nel dicembre 2007 l’ara è stata smontata e collocata nel Lapidario Romano. Le iscrizioni che sono riportate su di essa permettono di collocarla intorno alla metà del I secolo d.C., e di ricostruire le vicende di dell’antica liberta modenese, Vetilia. 18 CHIESA DI SANT’AGOSTINO A cura di Selin e Riccardo V. Costruita nel 1300 come cappella degli agostiniani (seguaci di Sant’Agostino), la chiesa fu completamente rivoluzionata in seguito ai funerali del Duca Francesco I nel 1659. L’insieme delle decorazioni che in quella occasione ornarono la cattedrale ebbe così tanto successo che si decise di trasformare la chiesa in Pantheon degli Este. La semplice facciata, attaccata a quella di Palazzo dei Musei, conserva un bel portale e un rosone cinquecentesco con cornice in cotto. L’enorme interno, a navata unica e profondo presbiterio, è invece decorato con statue, stucchi e dipinti. Il soffitto a cassettoni è opera di Francesco Stringa, Sigismondo Caula e Oliver Dauphin. Dentro i clipei (decorazioni rotonde, a forma di medaglione in rilievo, con immagini sacre o di personaggi illustri) sono posti busti di santi e beati della famiglia d’Este, accanto ad angeli e figure allegoriche. Nella prima cappella a destra, è collocata la Deposizione dalla Croce in terracotta di Antonio Begarelli del 1530, commissionata per l’oratorio di San Bernardino; nella seconda, San Michele dello Zoboli, voluto dal marchese Taddeo Rangoni. Sotto la cantoria (luogo a forma di tribuna dove stanno i cantori), la Vergine che allatta il Bambino o Madonna della consolazione di Tommaso da Modena; presso l’altare di destra, tela di Francesco Stringa del 1668. A sinistra, dall’ingresso: Sant’Antonio di Adeodato Malatesta, del XIX secolo; tela di Francesco Vellani con San Giuseppe; Natività della Vergine, sotto la cantoria, del pittore Ettore Setti (XVI secolo). Presso il presibiterio (parte della chiesa riservata al vescovo e al clero, comprendente il coro, l'altare e l'abside), a destra, monumento a Paolo Ruffini, grande matematico modenese; a sinistra, busto dello storico Carlo Sigonio, forse del Begarelli. 19 IL DUOMO, LA GHIRLANDINA E LA SINAGOGA A cura di Alice e Achille Il Duomo Oggi siamo qui per parlarvi del Duomo e della Ghirlandina, due veri e propri capolavori che nel 1997 furono dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Oggi il Duomo, nonostante non li dimostri, ha ben 900 anni. La sua storia ebbe inizio nel 1099 quando i modenesi decisero di costruire un’altra cattedrale al posto di quella che c’era già. Il luogo scelto fu quello che da oltre 700 anni ospitava il Santo patrono di Modena, San Geminiano. Per costruire questa gigantesca chiesa ci vollero oltre 200 anni e sono stati impegnati migliaia di lavoratori specializzati in molti incarichi diversi, come ad esempio architetti per il disegno della costruzione, muratori per innalzare i muri, carpentieri per la realizzazione di scale e ponteggi in legno e strategie per sollevare i carichi, fabbri che costruivano gli attrezzi, gli scultori che scolpivano le pietre e il marmo, infine mosaicisti e pittori che preparavano le decorazioni. Dopo aver preso la decisione di costruire il Duomo, i modenesi si interrogarono a lungo su chi avrebbe dovuto realizzare un’opera così importante. Dopo molte discussioni i lavori furono affidati a Lanfranco, uno dei più celebri architetti del tempo, e ai maestri Comacini (che provenivano dalla zona del lago di Como). La prima pietra fu posata il 23 maggio del 1099. Ben pesto cominciarono a essere costruiti i muri, ad essere innalzate le colonne e il Duomo iniziò a prendere forma. Mancava soltanto qualcuno che si occupasse delle sculture, compito che inizialmente fu affidato allo scultore Wiligelmo e ai suoi allievi. Passarono gli anni e al Duomo ormai occorrevano solo le ultime rifiniture. Questo compito spettò ai Maestri Campionesi, così chiamati perché provenivano da Campione d’Italia, località che si trova al confine con la Svizzera. I Maestri Campionesi cominciarono i lavori di completamento della cattedrale nell’anno 1167 occupandosi anche della costruzione della torre campanaria, conosciuta come Ghirlandina. A loro si 20 devono gran parte delle decorazioni interne del Duomo, le due porte della facciata ai lati del portale maggiore, il grande rosone al centro della facciata e la bellissima Porta Regia che si affaccia su Piazza Grande. I maestri Campionesi rimasero nella nostra città per tre generazioni, quasi 200 anni, tramandandosi di padre in figlio l’arte della scultura e dell’architettura. Il Duomo e la Ghirlandina furono completati intorno all’anno 1319, quando Enrico da Campione terminò la cuspide (tetto a punta) della Ghirlandina. Ora vorremmo illustrarvi alcuni particolari della nostra bellissima cattedrale, nota anche come “Libro di pietra” per le tante storie della Bibbia raccontate dalle sculture che decorano la facciata principale. In particolare, le vicende della Genesi furono scolpite da Wiligelmo nel 1099-1106 circa. La prima cosa che si nota nella facciata del Duomo è l’enorme finestra circolare realizzata da Anselmo Campione verso il 1200 per far entrare più luce all’interno della cattedrale. Il rosone presenta una croce centrale da cui partono ventiquattro raggi e tutto intorno è disposta una doppia cornice rotonda finemente scolpita. Sempre osservando la facciata del Duomo, possiamo notare diverse sculture come ad esempio l’angelo, situato sulla cima del tetto che stringe al petto un fiordaliso. Di fianco all’angelo c’è la statua di Gesù con i simboli dei quattro evangelisti. Accanto si può notare un uomo che, con la sola forza delle mani, uccide un leone; questo uomo è Sansone. Nella porta principale e più imponente del Duomo si innalzano due superbi leoni, che con le fauci aperte fanno la guardia al portale maggiore e reggono sulla schiena colonne che sostengono il protiro; per questo sono detti leoni stilofori, cioè portatori di colonne. Sopra il portale maggiore è situata la statua del patrono di Modena, San Geminiano; il Santo stringe al petto un osso di balena. Questo reperto archeologico ricorda che molti anni fa Modena era sommersa dal mare. Il Duomo e la Ghirlandina sono decorati con tanti tipi di pietra di colori diversi e di marmi, che li rendono ancora più belli e suggestivi, soprattutto al tramonto quando si colorano di rosa. Alcune di queste pietre sono state importate dalla Toscana, dal Veneto dall’Istria e dalla Turchia. Per finire, una curiosità: la maggior parte delle pietre utilizzate per la costruzione del Duomo e della Ghirlandina sono state ricavate dai resti di edifici e manufatti dell’antica Mutina, la Modena romana. 21 La Ghirlandina Come tutte le chiese che si rispettino, il Duomo ha un campanile, la Ghirlandina, alta più di 86 m. fu Enrico da Campione a portarla a questa altezza costruendo, nel 1300, l’appuntita guglia (la punta più alta). Essendo così alta la Ghirlandina ha ben 191 gradini. La quinta stanza partendo dal basso della torre campanaria era la stanza dei custodi chiamati Torresani; questa stanza un tempo era anche usata come cella campanaria e come tribunale. Un’altra stanza molto importante è quella della “Secchia rapita”, rubata dai modenesi ai bolognesi al tempo della guerra di Zappolino. Tutto cominciò quando Modena e Bologna, due città rivali, entrarono per l’ennesima volta in conflitto. I modenesi, dopo aver vinto la battaglia, come trofeo rubarono la secchia da un pozzo. Fu proprio la secchia contesa dalle due città il motivo di un altro litigio. Oggi la secchia originale si trova nel palazzo comunale mentre nella Ghirlandina è esposta una copia. La Ghirlandina è oggi il simbolo della città di Modena e deve il suo nome alle due ghirlande di marmo che la caratterizzano. La Ghirlandina è stata costruita sul fianco settentrionale del Duomo. Essa fu costruita esternamente con vari tipi di pietre come il marmo, il bronzetto, il travertino, la trachite, la pietra di Chiampo, la pietra di Vicenza, la pietra d’Istria, la pietra Aurisina, l’arenaria e la scaglia rossa; mentre internamente di mattoni, che sono più leggeri, altrimenti sarebbe sprofondata di altri metri e per rinforzarla sono state costruite delle arcate collegate al Duomo. 22 In una delle facciate della Ghirlandina, vicino alla porta della Pescheria presente nel Duomo (chiamata così perché durante il medioevo in quel luogo e in piazza Grande si svolgeva il mercato), sono presenti due rientranze circolari che servivano per misurare la quantità di formaggio da vendere e da acquistare. Su un altro lato della Ghirlandina, che si affaccia sulla Via Emilia, è possibile notare il Sacrario, l’insieme delle foto delle persone partigiane cadute in guerra, tra cui Emilio Po. Da un punto di vista storico, inizialmente, la funzione della Ghirlandina era quella di torre campanaria, ma fu anche utilizzata come torre di vedetta (in epoca romana e longobarda). Nel passato la torre ha avuto, oltre a un ruolo religioso, il ruolo civile: essa era usata come archivio, dove erano contenuti i documenti del comune di Modena. Già nel 1306, al quinto piano della torre, vi era l’abitazione dei Torresani, custodi e campanari, che vegliavano sulla città dando segnali per l’apertura e la chiusura delle porte, suonando le campane per scandire le ore e allertando la città in caso di attacco. I Torresani risultano abitare stabilmente nella torre fino alla seconda metà dell’Ottocento. Da una attenta analisi dei documenti storici, risulta che la cattedrale e la torre siano state ristrutturate con le offerte parrocchiali, anche se il proprietario della cattedrale era il Comune, ma e quest’ultimo non era obbligato a finanziare il pagamento della ristrutturazione della torre e della cattedrale. Il 27 giugno 1569 le due parti (Comune e Chiesa) firmarono un patto in cui il consiglio comunale si impegnava a pagare per il restauro della torre e della basilica. In seguito il Comune pagò definitivamente tutte le spese per le ristrutturazioni, ma la troppa quantità di denaro per la manutenzione obbligò il Comune a cedere la torre allo Stato nel 1803. Dopo qualche anno lo stato propose di restituire la proprietà dell’edificio al Comune di Modena, ma in cambio, contribuendo a pagare le spese di ristrutturazione. 23 La Sinagoga Oggi la facciata della Sinagoga è ben visibile nella zona più centrale della città, ma nel passato le cose erano ben diverse. Quando fu costruita, infatti, il tempio era totalmente nascosto alla visuale dai fabbricati che sorgevano nell'area dell'attuale Piazza Mazzini: questi edifici furono demoliti nel1904. La Sinagoga sorgeva in effetti al centro del ghetto degli ebrei, voluto da Francesco I d'Este nel 1638: il quartiere, dal quale gli ebrei non potevano uscire durante le ore notturne, era chiuso con due cancelli in via Blasia e in via Coltellini. Qui viveva almeno un migliaio di ebrei nel 1861, quando con l'annessione di Modena al Regno d'Italia il ghetto fu chiuso. Il tempio israelitico è stato costruito tra il 1869 e il 1873. La sala del tempio è a pianta circolare iscritta in un'area rettangolare con alte colonne corinzie che sorreggono il matroneo e rappresentano le dodici tribù di Israele; in un'area ad est, sopraelevata rispetto alla sala, si trova l'Aron, l'armadio che custodisce i rotoli della Torah. Per entrare in Sinagoga gli ebrei usavano diversi indumenti come: il Tefllin, due astucci che si pongono uno sulla fronte e l’altro sul braccio sinistro; in entrambi gli astucci sono contenute diverse pergamene (Torah, Esodo e Deuteronomio). Il Kippà, un cappellino circolare di colore bianco. In Sinagoga sono deposti diversi oggetti sacri come il Menorà, un candelabro a sette braccia. 24 PALAZZO DELL’ARCIVESCOVADO A cura di Camilla e Michele Al di là del Corso Duomo sorge il palazzo dell’Arcivescovado dove si sviluppò l’alloggiamento urbano. È un tipico esempio dell’architettura settecentesca, con porticato e un cornicione a guscio. Qui vi ha sede l’archivio notarile, uno dei più antichi d’Italia, che conserva ancora oggi codici e sigilli notarili. Nell’edificio odierno è rinascimentale solo lo spigolo a bugnato (con delle decorazioni), tra il Corso Duomo e via Sant’Eufemia, con il busto del vescovo Gian Andrea Bociaci. All’interno il salone ha tele decorate. Lungo via Sant’Eufemia possiamo trovare l’anonima chiesa, annessa a un convento femminile. Ha una forma ottagonale con una volta cupolata, eretta nel 1650 Facciata del Palazzo dell’Arcivescovado 25 PALAZZO COMUNALE A cura di Davide D.B., Camilla, Michele e Anita Facciata di Palazzo Comunale Parte esterna La facciata si divide in due ali, quella verso la Ghirlandina e quella verso via Scudari. La Piazzetta delle Ova è dominata dall’orologio con quadro trasparente (1868). Il meccanismo che lo fa muovere è un vero prodigio: progettato da Ludovico Gavioli, riesce a regolare l’ora anche del quadrante principale posto su Piazza Grande, anche se fra i due non ci sono quaranta metri di distanza, e diversi metri di dislivello. Sotto al portico di destra, possiamo osservare il mosaico con l’antico stemma del Comune. Alle pareti, invece, targhe commemorative delle milizie sul Mincio, sui moti del 1848, dei cittadini morti durante le battaglie del Risorgimento e di Pietro Giannone (filosofo e giurista). A metà di via Scudari si apre invece il nucleo più antico dell’intera costruzione: il cortile medioevale presso Palazzo Campori. Le scale di antico marmo salgono al primo piano, mentre le travi di legno in cima danno un marcato tono medioevale. Su Piazza Grande si affaccia però il prospetto principale del palazzo, scandito dalle arcate, in marmo bianco, secondo il disegno seicentesco di Raffaele Rinaldi la torre dell’orologio fu effettuata tra la fine del 400 e l’inizio del 500. Opera di Ambrogio Tagliapietra, il balcone è occupato da una statua dell’Immacolata collocata in occasione della visita di Papa Pio VII, posta sul piedistallo. A sinistra della torre dell’orologio, si può notare ciò che è rimasto della torre comunale, luogo in cui venivano custoditi i documenti più importanti e in cui venivano eseguite le condanne capitali. Danneggiata dal terremoto del 1501, venne demolita. Sotto al portico, presso il voltone che conduce a piazza Mazzini, sul pavimento in muratura testimoniano le costruzioni che si ergevano in zona, mentre il soffitto è una suggestiva rappresentazioni delle costellazioni. 26 Più avanti si apre lo scalone principale di accesso al palazzo, rampa unica, costruita nel 1563 su progetto di Pellegrino Rinaldi, interrotto dalla bella cancellata con gli stemmi del Comune. Giunti al primo piano, al termine della scala che conduce su via Scudari, si possono ammirare, sulle pareti della loggia, alcune lapidi marmoree. Una per la medaglia d’oro conferita alla città della resistenza partigiana; un’altra a Raimondo Montecuccoli, generale del 600 che, a capo delle truppe imperiali impedì l’avanzata Ottomana verso l’Europa; due per i martiri della prima guerra mondiale, a cui il bollettino della vittoria fa riferimento a una quinta lastra, Francesco Guicciardini, governatore della città durante il periodo papale; Ferruccio Tegli e Alfeo Corassori, primo sindaco della città dopo il secondo conflitto mondiale; Alessandro Coppi, il presidente del Comitato Provinciale di Liberazione; un’ultima targa ricorda infine Enrico Cialdini, generale modenese comandante vittorioso di tante battaglie del risorgimento italiano. A sinistra si accede alle sale più importanti del palazzo. Parte interna Il corridoio del Palazzo è abbellito da dipinti di artisti modenesi per volere di Luigi Poletti. La porta di destra conduce alla Torre Mozza, (quella che fu la prima torre comunale), che ospita i ritratti dei modenesi più illustri e cassapanche con il simbolo del Comune. Le sale più prestigiose che possiamo ammirare sono: - Il Camerino dei “Confirmati”, dove è collocata la secchia rapita conservata per 650 anni nella Ghirlandina (oggi è sostituita da una copia). La Secchia Rapita 27 - la Sala del Fuoco che prende il nome dal grande camino presente nella stanza; alle pareti vi sono dipinte anche le battaglie di Modena di Niccolò dell’Abate. Il soffitto presenta ornamenti d’oro con lo stemma del Comune. La Sala del Fuoco - Ritornando dal camerino, si accede alla Sala del Vecchio Consiglio dove si riuniva il governo della città prima del trasloco nell’attuale aula: le pareti sono di seta dorata, il soffitto è stato dipinto da Niccolò dell’Abate, all'inizio del 600, con soggetti riguardanti l'esaltazione dell'amore per la patria. Al centro della volta un genio (nella mitologia pagana, era lo spirito, buono o cattivo, che presiedeva al destino degli uomini dalla nascita alla morte, e anche lo spirito che aveva sotto la sua protezione una città, un popolo, una nazione) regge il mondo a cavallo di un'aquila che stringe tra gli artigli le trivelle. Particolari del soffitto della Sala del Vecchio Consiglio Affreschi nella Sala del consiglio 28 - Segue la Sala degli Arazzi, sede del conservatorio con lo stemma del Comune. Le pareti sono adornate da dipinti su tela settecenteschi imitano le tappezzerie ad arazzo in voga in Francia nel 700 e raffigurano episodi della Pace di Costanza (1183) che pose fine alla contesa tra i Comuni dell'Italia Settentrionale e Federico Barbarossa. Nel pavimento, in legno, il motto di Modena. La Sala degli Arazzi - L’ultima stanza è la Sala dei Matrimoni in cui spicca il soffitto con lo stemma del comune retto da due angeli. Un tempo il vasto ambiente era usato come archivio. La Sala dei Matrimoni Tra le altre stanze del palazzo degne di nota si segnalano - la Sala delle bifore, in cui si possono ammirare i resti dell’antico palazzo dei notai o della ragione; le antiche prigioni, in cui vennero rinchiusi patrioti come don Giuseppe Andreoli e Antonio Morandi. - la Sala dei passi perduti, originariamente usata per confortare i condannati a morte, con delicati affreschi settecenteschi a trompe l’oeil. - Infine l’acetaia comunale, costruita nel 2003 per tutelare anche in Municipio il preziosissimo aceto balsamico tradizionale. 29 LA PREDA RINGADORA A cura di Camilla e Michele In un angolo di Piazza Grande si trova la Preda Ringadora. Si tratta di un masso di marmo rosso veronese, di probabile origine romana, che veniva usato anticamente (nell’VIII sec. d.C.) per punizioni pubbliche. Successivamente divenne luogo in cui gli oratori parlavano, e di arringhe (quando gli avvocati facevano discorsi per i loro imputati) da cui deriva il nome, o di richieste di giustizia da parte del popolo. La Preda Ringadora, nel tempo, ha cambiato più volte collocazione. Sino al 1930 è stata posta ai piedi della Ghirlandina; oggi è collocata davanti al Palazzo Comunale. La Preda Ringadora 30 LA BONISSIMA A cura di Michele e Camilla Altro simbolo di Modena è la statuetta della Bonissima, che è collocata dal 1468 in una nicchia del Palazzo Comunale, all’angolo tra Piazza Grande e via Castellaro. Si tratta di una figura di donna che alcuni identificano come la contessa Matilde di Canossa, altri come Bona, una benefattrice dei poveri. In realtà, la Bonissima, sino al 1268, si trovava nella Piazza presso l’ufficio che s’interessava della giustizia mercantile e per questa ragione era chiamata la “Bona Estima”. La fantasia popolare l’ha fatta diventare nel tempo la leggendaria Bonissima. Ai piedi della statua, nel lastrone di marmo che faceva da piedistallo, erano scolpite le unità di misura per evitare frodi commerciali. Quando la statua fu spostata e il piedistallo distrutto, alcune misure furono riportate nell’abside centrale del Duomo dove sono tuttora. La statua della Bonissima 31 Percorso storico sui luoghi della quotidianità e della violenza durante la seconda guerra mondiale Mappa della città con il percorso storico presentato dai bambini 32 PALAZZO DUCALE a cura di Davide S. e Rebecca F. Ci troviamo in Piazza Roma, da poco resa pedonabile e abbellita da fontane. Palazzo Ducale Di fronte a noi troviamo il Palazzo Ducale. Il luogo dove oggi, sorge questo palazzo fu scelto da Obizzo secondo d’Este e la costruzione iniziò nel 1634, sul progetto dell’architetto Bartolomeo Avanzini; la scelta di questa posizione non fu casuale: Modena in quell’epoca era in comunicazione col Po e con l’Adriatico. Questa posizione era usato non solo come difesa, ma anche come partenza per le imbarcazioni che sboccavano ne fiume Panaro e, quindi del Po. Questo grande bacino che raccoglieva tutti i corsi d’acqua delle città veniva chiamato “Casa delle acque”. L’elegante facciata si presenta con tre piante di finestre affiancate, coronate da balaustre con statue; la parte centrale e quella laterale sono sopraelevate. Il cortile d’onore con elegante loggiato a due piani, è ritenuto un capolavoro dell’architettura barocca. Da qui si accede allo scalone d’onore, ornato da statue romane che porta alle numerose sale della residenza estense (cioè l’abitazione dei duchi di casa D’Este). In particolare si segnalano: la sala del trono, il salottino d’oro, il salone d’onore e la sala dello stemma. All’interno, il museo dell’Accademia militare, contiene armi e armature, memorie, cimeli e militarie (bandiere, uniformi, tamburi, ecc). Tutt’oggi, il Palazzo Ducale non può dirsi ancora terminato: la facciata di sinistra è fatta di cemento anziché di marmo e le finestre sono meno decorate di quella della parte destra. 33 L’ultimo sovrano abbandonò il Palazzo Ducale nella notte del 13 giugno 1859, e dal 1947 l’edificio ospita l’accademia militare. Nel 1943, dopo l’8 Settembre, il Palazzo Ducale si chiamò Platzkomandantur; era la sede del comando tedesco. La torre a sinistra (cioè la destra del palazzo) si chiamava Quota Pipistrello, dove si torturavano i partigiani (come E. Po) fino alla morte; questa torre non aveva le finestre come le altre, perché in questo modo non si sentivano le urla della tortura. Questa torre fu chiamata così perché era più sopraelevata delle altre e anche perché, essendo priva di finestre c’era buio (infatti i pipistrelli adorano il buio). Durante la seconda guerra mondiale, nel 1943 l’Accademia fu sciolta e il Palazzo Ducale occupato da tedeschi che, dopo essersi insediati, vi collocarono il Platzkomandantur, e nel 1944 diventò un ufficio di spionaggio tedesco. Nel 1943 fu anche sede del comando militare dell’esercito italiano. Il 22 aprile del 1945, nella battaglia per la liberazione della nostra città, i partigiani si concentrarono attorno al Palazzo Ducale, costringendo alla resa i reparti tedeschi lì di stanza. Durante il periodo della Resistenza, i partigiani in città dovevano apparire persone normali per non attirare l’attenzione dei tedeschi; si potevano riunire nelle chiese, nelle case e perfino nei negozi; i loro attacchi erano frequenti e veloci, perché dovevano far credere ai fascisti di essere numerosi creando panico tra loro; dovevano cambiare il nome proprio di persona per sicurezza (specialmente in montagna) perché la loro famiglia non corresse pericoli. Infatti, per non aver parlato viene conferita ad Emilio Po la “Medaglia d’oro al valore militare”. 34 EMILIO PO: LA CATTURA a cura di Riccardo Z. e Rebecca B. Emilio Po con i figli Meri e Maurizio In via San Vincenzo, all’ angolo con Via Campanella, aveva sede il laboratorio clandestino di esplosivi della brigata dei GAP “Walter Tabacchi”. Il sette novembre 1944, una pattuglia della GNR*, riuscì a catturare Emilio Po, mentre in bicicletta trasportava esplosivi nascosti dalla segatura. Egli fu fucilato tre giorni dopo in Piazza Grande. Nel perimetro del centro storico i partigiani, per distribuire volantini o per le armi, utilizzavano laboratori artigiani. Storia Emilio Po nacque a Modena nel 1916, e diventò un falegname ebanista. Successivamente, nel Gennaio del 1943 fu mandato a Piacenza, per frequentare un corso da artificiere. Entrò poi nella 65^ brigata “Walter Tabacchi”, dove ebbe l’incarico di ispettore della formazione. Partecipò a numerose azioni di sabotaggio, fin quando, durante una di queste, fu catturato e seviziato con un ferro rovente perché rivelasse il nome dei propri compagni. Lui rimase in silenzio, quindi fu cosparso di benzina e dato alle fiamme. Ma la sua bocca restò chiusa, finché tre giorni dopo, il 10 35 novembre 1943, fu trascinato ai piedi del Duomo, dove fu fucilato insieme a Giacomo Ulivi e Alfonso Piazza. Prima di morire, Emilio scrisse una lettera ai suoi cari, descrivendogli il dolore che prova non per se stesso, ma per il futuro di incertezze che gli lascia. Nel nostro quartiere, il Villaggio Artigiano, ci sono alcune vie dedicate a questi partigiani, oltre alla nostra scuola dedicata proprio a lui. LA CHIESA DI SAN BIAGIO a cura Di Riccardo T. e Greta V. Nella Chiesa di San Biagio, che si trova lungo la Via Emilia centro, operava, durante il periodo della Resistenza, Don Elio Monari, che insieme ad alcuni giovani, aiutò molti Ebrei a fuggire in Svizzera, per evitare così le deportazioni nei campi di sterminio. Egli nascose pure una trentina di Ebrei provenienti da Ferrara, che dopo l’eccidio compiuto dai fascisti al Castello Estense, cercarono riparo nella nostra città. Ricercato dalla polizia, Don Elio Monari salì in montagna per unirsi ai partigiani. Catturato, fu fucilato a Firenze il 23 Luglio 1944. Fu grazie ai parroci, militanti Antifascisti, ma anche funzionari pubblici, che la comunità Ebraica Modenese ebbe un numero veramente limitato di catturati per la deportazione. Tra gli appartenenti alla Comunità , si ha notizia di 13 persone catturate, sorprese per lo più in altre province, e finite ad Auschwitz. Altri furono uccisi mentre tentavano di passare la linea del fronte. Le origini della parrocchia di San Biagio risalgono al 1319; i documenti ci informano che l’ antica chiesa di San Biagio, venne però distrutta nella seconda metà del ‘700 e spostata in via Del Carmine, dove tutt’ ora ha sede. L’ interno della chiesa è costituto da una sola navata sormontata da volte a crociera. La cupola è decorata con affreschi che illustrano le glorie del paradiso; Il coro con bellissimi angeli suonatori. Entrambe 36 le opere sono attribuite a Mattia Preti allievo del Guercino. Recenti restauri hanno scoperto nel chiostro del quattordicesimo secolo, a lato della chiesa, degli affreschi raffiguranti una Madonna col bambino. Chiostro della Chiesa di San Biagio: Madonna con il Bambino Nel 1768, con la demolizione della vecchia chiesa di San Biagio, la parrocchia fu trasferita al Carmine e assunse la denominazione di San Biagio del Carmine. 37 PIAZZA MAZZINI E IL GHETTO DI MODENA a cura di di Fabio P. e Elisa S. Vicolo Squallore Il Vicolo Squallore è una strada molto stretta con edifici alti. All’interno delle case del ghetto c’erano i “mezzi piani” cioè appartamenti non sullo stesso piano (soppalchi), oggi lo si può capire dalle numerose finestre, non tutte allineate e su piani diversi. I soffitti erano non molto alti (da 1,80 m a 2 m); gli spazi della casa servivano per abitarci, ma anche per lavorare. L’ origine del nome di questa strada è incerta; fu inclusa nel ghetto nel 1724. Il Vicolo Squallore è una delle pochissime strade medievali rimaste intatte nella città. Dopo l’abolizione del ghetto divenne sede di prostitute e di persone malaffare. Vicolo squallore in una foto d’epoca Piazza Mazzini Piazza Mazzini, che fino al 1911 si chiamava Piazza della Libertà, è oggi uno degli angoli più eleganti e affascinanti dell’intero Centro Storico di Modena, per la sua storia particolare e per i palazzi che vi si affacciano. Nel 1873 furono abbattuti alcuni edifici fatiscenti e malsani e vi fu costruita la Sinagoga. Successivamente, su pressione dell’arcivescovo di Modena, per nascondere la vista dell’edificio ai passanti, vennero piantati degli alberi e realizzato un giardino. Piazza Mazzini agli inizi del ‘900 38 Il Ghetto Di Modena Nel 1638 il Duca Francesco I decise di istituire il ghetto, per ospitare la grande comunità di ebrei modenesi che aveva seguito la corte Estense da Ferrara. Le case del ghetto erano umide, strette, molto alte per ospitare molte persone. Le strade a sera venivano chiuse prima con portoni poi con pesanti cancelli per impedire che gli ebrei uscissero di notte. L’istituzione del ghetto prevedeva: - la pena della frusta per chi fosse stato trovato fuori dopo la chiusura dei portoni; - il portonaro del serraglio, cioè una persona di religione cristiana che doveva chiudere a chiave i portoni, al tramonto, al suono della campana chiamata fogarola. Dal 1620 venne imposto agli abitanti del ghetto un simbolo di riconoscimento giallo o arancione: - per gli uomini una striscia sul cappello o una fascia sul braccio sinistro; - per le donne uno scialle giallo. I lavori che potevano fare gli ebrei che vivevano nel ghetto erano tra i più umili e i meno pagati. Salvo qualche prestatore di denaro o orefice, gli altri potevano commerciare gli abiti usati, oggetti, mobili o biancheria usata erano chiamati “stracciaroli” o “zavaiari”. Dal 1903 iniziò l’abbattimento degli edifici a scopo di risanamento urbanistico. 39 La Sinagoga Dopo il 1492, cacciati dalla spagna, una grande comunità di ebrei raggiunsero Modena, invitati dal Duca Ercole I D’Este. La maggior parte si stabilì nella zona dell’attuale Rua Del Muro, dove crearono alcuni oratori di rito spagnolo. In una mappa dell’Archivio Storico Comunale, datata 1622, è indicata una sinagoga fra via Trivellari e via Cervetta, appartenente alla famiglia Sanguineti, banchieri e proprietari di un grande edificio. Il luogo dove gli ebrei si riuniscono per pregare e studiare non dovrebbe essere chiamato “tempio” ma dovrebbe essere chiamato “Sinagoga” che deriva dal greco e significa “luogo di riunione”. Il 19 dicembre 1873 fu inaugurata la Sinagoga. Il progetto fu affidato all’ingegnere Ludovico Maglietta e la pittore Ferdinando Mazzini. All’interno della Sinagoga sono collocate alcune lapidi, una con la data di inaugurazione e un’altra con l’elenco dei principali benefattori offerenti, un’altra ancora in omaggio al Re Vittorio Emanuele II. La Sinagoga in una foto degli inizi del ‘900 Le Leggi Razziali Nel 1938 furono emanate le leggi razziali che privarono gli ebrei di molti diritti e di libertà personali. Furono confiscati agli ebrei i propri beni come si può vedere in un articolo della Gazzetta di Modena del 18 Maggio 1944 in cui sono elencati i nomi di alcune persone ebree e quello che veniva loro confiscato. Le leggi razziali prevedevano anche alcuni provvedimenti che riguardavano la scuola: - è vietata agli alunni ebrei la frequenza delle scuole di qualsiasi ordine e grado; - è vietato, nelle scuole pubbliche, l’uso di libri di testo di autori ebrei; 40 - devono essere allontanati tutti gli insegnanti ebrei dalla scuola elementare all’università. Manifesto antisemita del 1938 Alcuni insegnanti ebrei troveranno lavoro nella scuola per alunni “di razza ebraica”, istituita nel Novembre del 1938 dal Podestà (sindaco), con sede nel fabbricato adiacente la chiesa di San Vincenzo (dove oggi si trova il tribunale). 41 PIAZZA TORRE E I BOMBARDAMENTI DI MODENA a cura di Lorenzo S. e Giselle C. Il Tovagliolo del Formiggini Foto di Angelo Fortunato Formiggini In Piazza Torre avvenne il suicidio di Angelo Fortunato Formiggini, l’ebreo modenese che aveva creato i “Classici del ridere” e altre collane. Il 28 novembre 1938, per protestare contro l’emanazione delle leggi razziali promulgate dal governo fascista, si tolse la vita gettandosi dalla Ghirlandina; si schiantò in piazza Torre, a due passi dal monumento al Tassoni vicino al Palazzo Comunale, dove sorge una lapide che lo ricorda, con su scritto “AL TVAJOL ED FURMAJIN”, così chiese ai modenesi che venisse chiamato il piccolo spazio che c’è tra la Ghirlandina e il monumento al Tassoni. Il giorno del suicidio, Formiggini, disse a un amico: “Salgo lassù per la scala; scenderò dall’esterno, sarà meno gravoso”. Sembrava l’ennesimo scherzo ma lui non scherzava. Angelo nasce il 21 giugno 1878 a Collegara, una frazione di Modena. Studia presso l’università cittadina dove, nel 1901 si laurea in legge. In seguito si laureò in filosofia, a Bologna; qui insegna per alcuni anni e, nel 1908 in occasione delle feste Tassoniane, inizia la sua attività di editore. Alla fine del 1909 si trasferisce a Bologna e, nel 1911, si sposta a Genova. Nel 1915 partecipa, come volontario, alla prima guerra mondiale. Durante il conflitto viene distrutta la sede a Genova della casa editrice; così si trasferisce a Roma e nel 1918 fonda “l’Italia che scrive”, una delle prime e più originali riviste mensili. 42 La rivista ebbe un notevole successo e continuò ad uscire fino al 1938, anno della sua morte. La porta “Misteriosa” Piazza Torre: Porta Misteriosa A pochi passi dal luogo in cui cadde suicida Angelo Formiggini, c’è una piccola porta di cui non si conosce bene l’origine e l’uso preciso; attualmente è il retro di un negozio che si trova in via Emilia, all’ angolo con piazza Torre. Ancora oggi è un mistero l’uso preciso di questa porta. 43 Il rifugio di Piazza Torre (chiesa S.Salvatore) La Chiesa di San salvatore dopo il bombardamento del 1944 La zona di via Servi è stata quella più colpita dal bombardamento a Modena del 13 maggio 1944; in Piazzale Storti si trovava la chiesa S.Salvatore, risalente al 1214. Essa fu completamente distrutta dalle bombe ma si salvò il campanile, ancora oggi visibile all’ angolo con via dei Servi. Sui resti della chiesa è ancora presente l’insegna che indica il rifugio che si trovava in Piazza Grande. I primi bombardamenti risalgono al 1943, anno in cui gli alleati sbarcarono in Italia. Nel periodo successivo, che intercorre tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, si contano almeno 127 bombardamenti, anche su località non vicine al fronte di guerra, come le città di Roma, Genova, Torino, Milano e Bologna. Modena, che da tempo ospitava numerosi sfollati provenienti principalmente da Bologna, subì il primo bombardamento il 14 febbraio 1944 in cui furono colpiti la zona circostante alla stazione e i quartieri della Sacca e San Cataldo; si contarono più di 100 morti e 150 feriti. Il secondo e più grave attacco aereo si verificò il 13 maggio 1944, quando gli alleati colpirono per errore il centro storico (l’obbiettivo era ancora la zona ferroviaria): si 44 contarono 122 morti e 3000 senza tetto. Quel giorno vennero distrutte le chiese dei Servi e di San Vincenzo ed anche Villa Rainusso. Durante i bombardamenti , che si svolgevano principalmente di notte, i cittadini si rifugiavano nei rifugi ,come indicato in Piazza Storti. Pippo: aereo che veniva usato per i bombardamenti IL MERCATO ALBINELLI E L’ALIMENTAZIONE a cura di Agnese V. e Samuele M. Il mercato coperto di frutta e verdura fu costruito nel 28 ottobre 1931 durante il regime fascista. Il mercato fu trasferito da piazza Grande a piazza XX Settembre in via Albinelli, perché Mussolini voleva tenere la piazza pulita e sgombera per le grandi manifestazioni. L’interno del mercato in una foto d’epoca 45 Il mercato era ed è ancora oggi un mercato alimentare e questo posto può essere considerato come emblema delle difficoltà alimentari incontrate durante la guerra dai cittadini di Modena. Numerose testimonianze e documenti ricordano l'ansia e la paura provocata dai banchi vuoti e dalla mancanza degli alimenti, le difficoltà e i ritardi nella distribuzione dei generi di prima necessità, il continuo aumento dei prezzi e lo sviluppo del mercato nero. In inverno, poi esplodeva in tutta la sua drammaticità il problema del reperimento della legna e del combustibile necessario per il riscaldamento domestico e la cottura dei cibi. Infatti all'epoca, al contrario di oggi, dentro al mercato c'era poco cibo, e questo era dovuto perché al sud e al centro dell'Italia c'erano gli americani e sulle montagne i partigiani a combattere, perciò tutto il cibo prodotto nell'Italia centrale, meridionale, e settentrionale non riusciva ad arrivare a Modena. Quindi per garantire il rifornimento alla popolazione, si impose la consegna a centri di raccolta dei prodotti agricoli e la divisione degli alimenti, che si potevano acquistare a prezzi prestabiliti, con l'uso di carte annonarie. Le Tessere della Fame Dal 1940 in Italia gli alimenti furono razionati, e nel gennaio di quell’anno, ad ogni cittadino venne distribuita una tessera detta annonaria da tutti chiamata tessera della fame, sulla quale si dovevano applicare dei bollini comparativi al prelievo. Essa era personale, con questa i cittadini potevano comprare le merci e gli alimenti necessari alla sopravvivenza. Ad ogni persona spettava una certa quantità di cibo, questo metodo di razionamento veniva chiamato: razione giornaliera. Questo sistema venne deciso dal regime fascista; si incominciò con il razionamento di caffè e di zucchero per poi proseguire con pane, farina, olio, pasta, riso, grassi, carne e sapone. Le essere avevano colori diversi per le differenti fasce d’età, verdi per i bambini fino a otto anni, azzurre dai nove ai diciotto anni e per gli adulti grigie. Gli uffici annonari fornivano il cibo ogni due mesi. Oltre alle carte annonarie c’erano anche le “tessere legna” che fornivano due quintali di legna al mese a ogni famiglia. Nonostante questi provvedimenti il cibo però non era sufficiente e tra la popolazione 46 cresceva il malcontento per la scarsa quantità e qualità dei prodotti. Inoltre le persone erano costrette ad aspettare per ore in fila davanti ai punti di distribuzione, e spesso rimanevano a mani vuote. Nei comuni dell’Appennino i tempi di attesa erano ancora più lunghi, e le persone erano costrette a spostarsi fino in Toscana per procurarsi ciò di cui avevano bisogno. Il razionamento e le carte annonarie restarono fino al 1949. Nella copia di un manifesto dell’ufficio annonario, che veniva appeso ai muri della città, sono riportati i vari razionamenti: ZUCCHERO supplemento da 0 a 3 anni 500g OLIO due decilitri 180g BURRO 150g GRASSI SUINI 50g SAPONE 100g RISO razione normale 500g PASTA razione normale 1500g RISO supplemento da 0 a3 anni 1000g RISO supplemento lavoratori 300g PASTA supplemento lavoratori 300g Tessera annonaria 47 Il Mercato Nero Il luogo in cui i prodotti alimentari non mancavano mai era il mercato nero, chiamato anche mercato parallelo, che si stabilì tra il 1941 e il 1942, favorito proprio dal sistema troppo rigido di razionamento masso in atto dal regime fascista. In questo mercato clandestino si vendevano prodotti che non era possibile trovare nel mercato ufficiale; quindi questi prodotti venivano venduti a prezzi elevatissimi. Nel mercato nero oltre a vendere illegalmente della merce si poteva usare la tessera annonaria, ma si poteva anche barattare gioielli in cambio di cibo. Questo documento il “il ladro nero lo conoscerete tutti” è un manifesto che rappresenta le tante persone disoneste (contrabbandieri) che si arricchivano speculando su questa forma di commercio, che metteva in circolazione di tutto. Manifesto che denunciava la presenza del Mercato Nero I fascisti tentarono di fermare questa organizzazione clandestina formando delle squadre annonarie, con il compito di arrestare chiunque praticasse il mercato nero, ma non riuscirono a placare questo sistema. Il mercato nero prosperò fino 1946. 48 Testimonianze, documenti e lettere L’ufficio per la censura segnala di frequente diverse lettere dalle quali emerge il malcontento sulla scarsità dei generi di consumo (cibo) per le persone con meno possibilità economiche (con pochi soldi). Queste lettere sono documenti tratti dalla relazione settimanale della commissione provinciale di censura della prefettura di Modena dirette alla polizia politica di Roma. Eccone alcune: Modena 31 maggio 1942 Oggetto: relazione settimanale dal 24 al 30 maggio1942 “….. in casa non concludo tutto quello che vorrei fare. Per esempio oggi sono stata in fila due ore per avere un chilo di carbone. Ieri al Gruppo per avere un chilo di patate sono stata in fila dalle nove fino a mezzogiorno ….” “…. Ogni giorno che passa è una lotta continua per il mangiare e tutto il resto, tanto per darti una idea ieri sono andata in fila per poter avere quattro chili di carbone da fornello, e ci sono stata dalle due alle cinque, e poi non l’ho potuto avere e ci sono tornata stamattina; insomma tu non puoi immaginare, la vita che si fa, non si ha nulla se non si sta in fila delle ore e si viene a casa con della rabbia, perché non si può dire ciò che sarebbe ben detto, mentre bisogna dire che va bene anche se si soffre la fame” “… dopo che il cattivo tempo ci ha portato tutto quel po’ che c’era … abbiamo anche il calmiere, che è l’unica mia speranza erano i fragoloni e li hanno messi a lire 270, mentre senza questo si poteva prendere da 5 lire a 6 lire, e le ciliegie le hanno messe a 3 lire mentre si poteva prenderne almeno il doppio”. Oltre agli annunci che venivano resi noti dall’ufficio annonario come quello visto prima venivano appesi alle mura della città anche gli annunci del comune dell’Ansa e della Sepral. Eccone alcuni: PANE FINALMENTE A 300g Roma, 21 febbraio 1945 l’Ansa informa che la razione del pane per l’Italia liberata è portata a 300 g al giorno a decorrere dal primo marzo. LEGNA DA ARDERE Roma, 22 febbraio 1945 i servizi annonari comunicano che sono in vendita quantitativi di legna da ardere a lire 340 al quintale; 340 lire corrispondeva alla paga di un comune lavoratore. Dopo la liberazione d’Italia la tessera legna non venne più usata a differenza di quella annonaria. UNA CANDELA A TESTA!!! (Con il bollino 25) (scorta di un mese) Roma, 25 gennaio 1945 si può prelevare una candela a persona presso gli spacci autorizzati, e si può prenotare lo zucchero per 4 mesi, utilizzando i due buoni della marmellata. 49 COSTO DELLA VITA La spesa media quotidiana di una famiglia era di lire 5,40 nel 1940 poi è risalita in gennaio nel 45 a lire 94,80. A metà del 1945 lo stipendio di un operaio si aggirava tra le 8-10 000 lire. Il costo di un giornale £ 4, una tazzina di caffè £ 20, un biglietto per il tram £ 4, pane £ 45, latte £ 30, vino £ 75 (quando in Italia c’erano ancora i fascisti il vino era stato abolito perché a Mussolini faceva venire il bruciore di stomaco), olio £ 30, pasta £ 120, riso £60 … . 39g A TESTA DI PASTA AL GIORNO Roma, 10 aprile la Sepral comunica che i normali consumatori potranno prelevare dal 14 al 25, 590grammi di pasta. URGONO BOTTIGLIE DI LATTE Roma 16 aprile alla centrale del latte sono urgenti bottiglie per la distribuzione di latte agli ammalati quindi si chiede ad ogni famiglia se possono donare bottiglie in cambio di 25£ per bottiglie da un litro e 20£ per bottiglie da mezzo litro. ARRIVA LA CONSERVA Roma 27 aprile la Sepral comunica che i normali consumatori potranno prelevare dal 30 aprile una razione di 100g di concentrato di pomodoro a persona dagli esercenti 5000 QUINTALI DI PECORINO SARDO Roma 6 luglio nei prima giorni della prossima settimana arriveranno 2600. Primo quantitativo di 5000 quintali. 50 LE LAPIDI DI PIAZZA GRANDE a cura di Rebecca B. e Riccardo Z. In Piazza Grande, sono presenti due lapidi. La prima rappresenta l’uccisione di 20 cittadini lasciati ammucchiati in un angolo per far capire alla gente che se non avessero collaborato, avrebbero fatto la stessa fine. Qui è presente anche un’altra lapide, dedicata a Emilio Po, che ricorda la medaglia d’oro e d’argento assegnate ai 3 partigiani (oltre ad Emilio Po, anche Alfonso Piazza e Giacomo Ulivi). Quest’ultima recita: “DOPO INAUDITO SUPPLIZIO SACRIFICARONO LA GIOVANE VITA PER LA PATRIA E LA LIBERTA’ ESEMPIO E MONITO AGLI ITALIANI MEDAGLIA D’ORO EMILIO PO PARTIGIANO ALFONZO PIAZZA MEDAGLIA D’ARGENTO PARTIGIANO GIACOMO ULIVI” IL 10 NOVEMBRE 1944 10-11-1948 La lapide di Piazza Grande 51 L’uccisione di Emilio Po, Giacomo Ulivi e Alfonzo Piazza Uno degli episodi più violenti della resistenza modenese è la fucilazione di Emilio Po, Giacomo Ulivi e Alfonso Piazza, avvenuta il 10 novembre 1944 in piazza grande. Emilio Po era l’artificiere della brigata Walter Tabacchi; fu fermato dalla GNR* mentre si recava al laboratorio di esplosivi della brigata. Fu quindi torturato, cosparso di benzina e dato alle fiamme. Lui tacque, perciò fu fucilato insieme ad Alfonso Piazza, un giovane di Agrigento fermato qualche tempo prima in possesso di armi e documenti falsi, e a Giacomo Ulivi, simpatizzante del partito d’azione originario di Parma, che ha lasciato una delle più belle lettere della resistenza italiana. I fascisti caricarono i tre condannati su un camioncino che li portò in piazza Grande, accompagnati da giovani del reparto controguerriglia che cantavano inni fascisti. Furono fatti allineare al muro del palazzo Arcivescovile e fucilati. La sorella e il padre di Emilio assistettero alla rappresaglia; questo provocò impressione tra la cittadinanza, e una dura presa di posizione del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), che diffuse volantini nei quali si condannavano a morte i responsabili di tali azioni. Il comando della brigata Walter Tabacchi inviò una lettera al comando tedesco per chiedere aiuto affinché i prigionieri in mano alla GNR non fossero più torturati, per proporre lo scambio dei prigionieri e la sospensione delle rappresaglie. Una lettera simile venne inviata ai comandi della GNR e della brigata nera, con la proposta di cessare le torture, i maltrattamenti e le rappresaglie, e di dar luogo allo scambio dei prigionieri. ______________________________________________________________________________ *La Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) fu una forza armata istituita in Italia dal governo fascista repubblicano l'8 dicembre 1943 «con compiti di polizia interna e militare». Essa nacque per volere di Renato Ricci e prendeva il posto Dei Regi Carabinieri e delle altre Forze di Polizia. La GNR era destinata teoricamente ai compiti propri dei Carabinieri (ordine pubblico e controllo del territorio) e della Milizia (nelle sue varie specialità), ma in realtà prese parte soprattutto alla lotta repressiva contro le forze partigiane della Resistenza italiana, partecipando a rastrellamenti e devastazioni accanto alle formazioni tedesche. Alcuni suoi reparti furono utilizzati, sotto comando tedesco, al fronte contro gli Alleati (cioè gli anglo americani). Svolse anche un ruolo di ordine pubblico contro il banditismo che era diffuso nei territori occupati dell'Italia centrale e settentrionale. 52 IL SACRARIO a cura di Greta V. e Riccardo T. Si può cogliere visivamente la dimensione della violenza contro la Resistenza in provincia di Modena portandosi in Piazzetta Tassoni, davanti alla Ghirlandina. Ai piedi della torre, tre grandi teche contengono le immagini di centinaia di partigiani uccisi (tra cui Emilio Po). Vennero ammazzate circa 2000 persone; è il monumento alla memoria della Resistenza, nato in modo spontaneo, come manifestazione del dolore popolare. Dopo la liberazione i modenesi attaccavano le foto di familiari dispersi, nella speranza che qualcuno potesse dare loro notizie. Col passare del tempo sono state esposte qui tutte le immagini di partigiani caduti nella lotta. Foto del sacrario di Piazza Torre 53 Gli alunni Bonacini Rebecca Campagna Giselle Castielli Michele De Bellis Davide Diena Achille Faglioni Sofia Ferrari Alice Fontanesi Rebecca Hu Ting Ting Karma Mohamed Marani Samuele Nocetti Anita Ouarsani Hassan Palma Fabio Saguatti Elisa Saguatti Lorenzo Scoddo Camilla Soyuguz Selin Storchi Davide Tobolars Riccardo Vaccari Riccardo Andrea Vadacca Greta Vienna Vaschieri Agnese Zanetti Riccardo Le insegnanti: Salami Erika De Marinis Luciana Lorenzini Sara 54