Dal commento su Luca 2, 41-52 (a cura dei Carmelitani) Ci troviamo nei cosiddetti racconti dell’infanzia secondo Luca (cap. 1-2), nel brano finale. Un prologo teologico e Cristologico più che storico, in cui vengono presentati i motivi che ritorneranno frequenti nella catechesi lucana: il Tempio, il viaggio verso Gerusalemme, la filiazione divina, i poveri, il Padre misericordioso, ecc. Con una lettura retrospettiva, nell’infanzia di Gesù già appaiono evidenti i segni della sua vita futura. Maria e Giuseppe conducono Gesù a Gerusalemme per partecipare ad uno dei tre pellegrinaggi (a Pasqua, a Pentecoste, per la festa delle Capanne) prescritti dalla Legge (Dt 16,16). Durante i sette giorni legali di festa, la gente partecipava al culto ed ascoltava i Rabbi che discutevano sotto il portico del Tempio. “Il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme”, la città che il Signore ha scelto per sua sede (2Re 21,4-7; Ger 3,17; Zc 3,2), dov’è il Tempio (Sal 68,30; 76,3; 135,21), unico luogo di culto per il giudaismo (Gv 4,20). Gerusalemme è il luogo in cui “tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo si compirà” (Lc 18,21), il luogo della “sua dipartita” (Lc 9,31.51; 24,18) e delle apparizioni del risorto (Lc 24,33.36-49). I genitori “si misero a cercarlo” con ansia e affanno (44.45.48.49). Come è possibile perdere un figlio, non accorgersi che Gesù non è nella carovana? E’ il Cristo che deve seguire gli altri o il contrario? “Dopo tre giorni” termina la “passione” e ritrovano Gesù nel Tempio, tra i dottori, insegnando, tra lo stupore generale. Cominciano a svelarsi le caratteristiche della sua missione che trovano il loro compendio nelle prime parole pronunciate da Gesù nel vangelo di Luca “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” Ma chi è il padre suo? Perché cercarlo? E’ lo stesso padre delle ultime parole di Gesù, secondo Luca, sulla croce “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (23,46) e nell’ascensione al cielo “E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso” (24,49). Occorre, prima di tutto, obbedire a Dio, come ben aveva capito Pietro, dopo la Pentecoste (At 5,29), cercare il Regno di Dio e la sua giustizia (Mt 6,33), cercare il Padre nella preghiera (Mt 7,7-8), cercare Gesù (Gv 1,38) per seguirlo. Gesù dichiara la sua dipendenza – “io devo” – nei confronti del Padre celeste. Egli ce lo fa conoscere nella sua immensa bontà (Lc 15), ma con ciò crea anche una distanza e una rottura nei confronti dei suoi. Prima dei legami affettivi, della realizzazione personale, degli affari… viene il progetto di Dio. “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22, 42). Per la madre Maria comincia a realizzarsi la profezia di Simeone (Lc 2,34), “ma essi non compresero”. L’incomprensione dei suoi è anche quella dei discepoli di fronte all’annuncio della passione (18,34). Ribellarsi? Sottomettersi? Andarsene? Gesù “tornò a Nazaret e stava loro sottomesso”, dice Luca, e Maria “serbava tutte queste cose nel suo cuore”. L’atteggiamento di Maria esprime lo sviluppo della fede di una persona che cresce e progredisce nell’intelligenza del mistero. Gesù rivela che l’obbedienza a Dio è la condizione essenziale per realizzarsi nella vita, per un cammino di condivisione nella famiglia e nelle comunità. L’obbedienza al Padre è ciò che ci rende fratelli e sorelle, c’insegna a obbedirci l’un l’altro, ad ascoltarci l’un l’altro e a riconoscere l’uno nell’altro il progetto di Dio. In questo clima si creano le condizioni per crescere “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” e camminare insieme. La Santa Famiglia di Nazareth (di Padre Gabriele M. Pellettieri, F.I.) Dopo la splendida liturgia del Natale, in cui abbiamo contemplato il mistero della nascita del Verbo di Dio fatto uomo, oggi siamo invitati a fissare lo sguardo su Maria e Giuseppe che, con Gesù, formano la Santa Famiglia di Nazaret. La Chiesa attribuisce grande importanza alla festa che oggi celebriamo per il ruolo di primissimo piano che la famiglia occupa nella vita dell’uomo; infatti nella famiglia si riceve la prima e fondamentale educazione e dalla famiglia dipende il bene e il futuro stesso della società. Stupisce profondamente che anche Dio, per venire tra noi, abbia scelto, tra le infinite possibilità, la strada di tutti, quella della famiglia; abbia voluto aver bisogno di una casa dove nascere, crescere e abitare, di un padre e di una madre per imparare a parlare, a camminare, a lavorare. La famiglia oggi si trova di fronte a una delle peggiori crisi della sua storia. Idee devastanti imperversano nella società odierna che attaccano e profanano la sacralità della famiglia. La denatalità, il libero amore, la convivenza, il matrimonio civile, il divorzio, l’aborto: ecco alcuni, fra i tanti errori, che mettono in serio pericolo l’unità, la stabilità, la natura e il concetto stesso della famiglia. S. Pio da Pietrelcina è stato un intrepido difensore della vita, dell’unità della famiglia e dell’indissolubilità del matrimonio. Quante famiglie ha salvato dalla rovina! Affermava con fermezza che il divorzio è “la via maestra che porta all’inferno”. Era inesorabile contro ogni abuso del matrimonio, soprattutto contro i contraccettivi che considerava “prodotti infernali”. Negava l’assoluzione a chi di proposito evitava i figli. Se qualcuno parlava di difficoltà di avere più figli, rispondeva: “Quando si ha fede, i figli non pesano né alla salute, né alle finanze, né ai nervi”. Aveva una predilezione particolare per le famiglie numerose. Alla Signora Licia Manelli, oggi quasi vicina alla soglia dei cento anni, che chiedeva a P. Pio di voler assistere e proteggere la sua famiglia, il Santo rispose: “E come se la proteggerò! Questa è la mia famiglia”. Da quella famiglia nasceranno ben ventuno figli, come egli stesso un giorno le aveva predetto : “supererete i venti…” , tanti quanti il Signore ne ha voluti. All’aggravarsi della crisi che oggi minaccia la famiglia in tutti i settori e fin dalle sue radici, la Chiesa non trova rimedio migliore che presentare alle famiglie cristiane, come modello insuperabile, l’esempio sublime della Santa Famiglia. Dagli episodi riportati dal Vangelo, scopriamo tutta la ricchezza interiore di una vita vissuta nel nascondimento e nell’umiltà più profonda, nell’abbandono costante e fiducioso in Dio, nell’obbedienza totale e fedele alla sua volontà. Nella casa di Nazareth Dio occupa sempre il primo posto e tutto si vede e si risolve alla luce di Dio, anche gli eventi più difficili. Ne è prova l’episodio del Vangelo di questa domenica. Le parole che Simeone rivolge alla Madre del Salvatore: “a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35) e che lasciano prevedere una vita contrassegnata dalla sofferenza, trovano in Lei una piena e totale conformità ai disegni di Dio. Con quella “spada” nel cuore, la Corredentrice abbraccerà tutte le prove e i disagi della vita e coopererà fino in fondo alla missione del Figlio Redentore. Alla luce degli esempi mirabili di Gesù, Maria e Giuseppe, la famiglia cristiana deve ritrovare in Dio il suo punto costante di riferimento. Il matrimonio non può essere considerato un semplice contratto giuridico, basato unicamente sull’amore umano che è fragile e volubile, ma è una comunità che ha il suo fondamento nell’amore di Dio, che è amore soprannaturale, inviolabile e sempre nuovo. “Dio è amore”, dice S. Giovanni, e ogni amore procede da Dio, maggiormente quello coniugale che, come unione di due esseri, è un riflesso di quello di Dio in seno alla SS. Trinità. Già nell’Antico Testamento, fin dalle prime pagine della Bibbia, appare il carattere sacro e indissolubile del matrimonio: “L’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà con la sua donna e i due saranno una sola carne” (Gn 2,24) e l’amore sponsale era rappresentato dai profeti come simbolo e immagine dell’amore di Dio verso il popolo eletto (cfr Is 62,4-6). Nel Nuovo Testamento il matrimonio, elevato da Gesù a dignità di sacramento, è immagine dell’amore di Cristo per la Chiesa, mezzo di unione con Dio e segno efficace dell’amore e della fedeltà di Dio verso l’uomo. La famiglia è stata definita una “chiesa domestica”, perché in essa la preghiera deve occupare il primo posto e tutto deve essere santificato e offerto a Dio: preghiera e lavoro, riposo e fatica, gioie e sofferenze, accoglienza ed educazione dei figli. Così il cammino che fanno insieme, i coniugi e i figli, diventa un cammino di santità. Paolo VI, in un discorso tenuto agli sposi (11 agosto 1976), chiedeva loro: “le insegnate ai vostri bambini le preghiere del cristiano? Li preparate ai sacramenti della Confessione, della Comunione e della Cresima? Li abituate a pensare a Gesù, a invocare l’aiuto della Madonna e dei Santi? Lo dite il Rosario in famiglia?… L’esempio vostro vale una lezione di vita”. I genitori riflettano sulla grave responsabilità che hanno di educare i figli ai valori religiosi e di formarli, con la parola e con l’esempio, alla vita cristiana. Preghiamo perché nel mondo odierno le famiglie, seguendo il fulgido esempio della Famiglia di Nazareth, ritornino ad essere cristiane: unite nella preghiera, forti nelle prove, salde nella fede, pronte al sacrificio, alla pazienza, al perdono, all’amore scambievole e siano di fermento per la edificazione del Regno di Dio nel mondo.