La storia del Velodromo d’Inverno È avvenuto in un caldo giorno di luglio di sessantotto anni fa. Il 16 e 17 luglio del 1942 più di tredicimila ebrei, tra cui molti bambini, vennero arrestati a Parigi per essere mandati nei campi di concentramento Il Velodromo d’Inverno Il Vélodrome d’Hiver era un circuito coperto tra boulevard de Grenelle e rue Nelaton nel quindicesimo arrondissement di Parigi, vicino alla Torre Eiffel. L’edificio dove prima si svolgevano le gare di ciclismo si trovava poco lontano, nella Salles des Machines, che era stata però demolita per migliorare la vista sulla Torre. Così Henri Desgrange (direttore e fondatore del quotidiano sportivo francese L’Auto e ideatore del Tour de France ciclistico) aveva voluto il trasferimento della pista in quello che, su progetto dell’architetto Gaston Lambert, divenne il Vélodrome d’Hiver. Nell’estate del 1924 vi si svolsero anche alcuni eventi delle Olimpiadi. Il Velodromo è stato poi demolito nel 1959 dopo che una sua parte era andata distrutta in un incendio. Al suo posto, ora, si trovano un edificio del ministero degli Interni e un monumento commemorativo. La preparazione della retata Nell’estate del 1940 la Francia era stata divisa tra la parte settentrionale occupata dalla Germania e quella meridionale – il “regime di Vichy” – formalmente autonoma e nata dopo l’armistizio con i tedeschi, guidata dal discusso governo del maresciallo Pétain in accordo con la Germania, di cui divenne via via sempre più succube. Gli ebrei francesi erano stati censiti a partire dal 1940 dopo un’ordinanza tedesca del 21 settembre. I loro nomi e i loro indirizzi erano catalogati nel dossier Tulard (dal nome del suo creatore, André Tulard ). Il 4 luglio René Bousquet, capo della polizia del governo di Vichy, incontrò a Parigi gli ufficiali delle SS Knochen e Dannecker. I tedeschi avanzavano la pretesa di visitare i campi di internamento della zona non occupata per rendersi conto della situazione e predisporre i trasferimenti nei campi di concentramento. Bousquet accettò e Dannecker poté quindi telegrafare a Adolf Eichmann (uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei) il risultato positivo dei colloqui che stabilirono anche la partecipazione della polizia francese alle retate. Il rastrellamento di Parigi Il 12 luglio del 1942 venne dato il via all’operazione “Vento di primavera” che, secondo gli ordini, doveva essere eseguito «con la massima velocità». L’arresto dei bambini venne effettuato su iniziativa diretta delle milizie francesi e Eichmann, che non l’aveva chiesto, si limitò ad autorizzarlo qualche giorno dopo. I tedeschi erano infatti interessati solo alle persone tra i sedici e i quarant’anni; fu Pierre Laval (Primo Ministro e principale responsabile della politica di collaborazione con la Germania nazista) a proporre ai tedeschi di prelevare le famiglie intere spiegando al Consiglio dei ministri: «Per un principio umanitario ho ottenuto, contrariamente alle prime intenzioni dei tedeschi, che i figli, compresi quelli minori di sedici anni, siano autorizzati ad accompagnare i genitori». A partire dalle 4 del mattino del 16 luglio 1942, ebbe inizio la retata: 13.152 ebrei furono arrestati. In base ai documenti della prefettura di Parigi 5.802 (il 44 per cento) erano donne e 4.115 (il 31 per cento) erano bambini. Le condizioni per gli arrestati prevedevano che potessero portare con sé solo una coperta, un maglione, un paio di scarpe. Alcuni di loro furono inviati subito al campo di transito di Drancy, a nord di Parigi, in attesa di essere deportati in Germania o in Polonia. Altri, la maggioranza, compresi tutti i bambini, furono rinchiusi per giorni nel Velodromo d’inverno, ecco l’origine del nome di quel tristissimo giorno. All’orrore delle deportazioni e del Nazismo in sé, si aggiunge l’orrore delle condizioni in cui dovettero non vivere, bensì cercare di sopravvivere i 7000 internati. All’interno della costruzione, nulla era stato preparato per il loro arrivo, tutti erano stipati con meno di un metro quadrato a disposizione di ciascuno. Le pochissime persone che, in qualità di assistenti sociali, poterono entrare a portare un misero sollievo a quei disperati, parlano di condizioni disumane sotto ogni aspetto. Cibo scarsissimo, per non dire nullo (soltanto il terzo giorno furono distribuiti 70 grammi di pane e una tazza di brodo a testa). Assenza di toilette, con le logiche e orribili conseguenze. Temperature insopportabili dovute all’unione tra il mese di luglio, l’elevatissimo numero di persone e la chiusura totale di porte e finestre. Odori nauseabondi. Malori, svenimenti, parti e aborti. Qui, sotto un tetto che era stato dipinto di blu scuro per celarlo ai bombardieri, le condizioni divennero terribili per l’affollamento e per il caldo. Le finestre erano state chiuse per sicurezza, dei dieci bagni disponibili cinque erano stati sigillati, c’era un unico rubinetto dell’acqua. Coloro che cercarono di fuggire furono fucilati sul posto. Dopo cinque giorni, i prigionieri furono portati nei campi di internamento di Drancy, Beaune-la-Rolande e Pithiviers, e successivamente nei campi di sterminio. La responsabilità francese Per decenni il governo francese ha rifiutato di chiedere scusa per il ruolo della polizia nel rastrellamento o per qualsiasi altra complicità. Si sosteneva infatti che la Repubblica francese smantellata da Philippe Pétain e ristabilita a guerra finita, non aveva avuto alcuna responsabilità. Il 16 luglio 1995, fu l’allora presidente Jacques Chirac a dire infine che era tempo che la Francia facesse i conti con il proprio passato e a riconoscere il ruolo che lo Stato aveva giocato nella persecuzione degli ebrei. Perché non basta un giorno della memoria per ricordare. E non basta piangere sugli ebrei morti per guadagnarsi il diritto di sputare su quelli vivi. (a cura di Silvia Sangalli, Cl.1B, Liceo Linguistico, Cesare Battisti, Lovere-BG)