STORIA SPERIMENTALE DELLA SCIENZA PROF. ARGANTE CIOCCI GALILEI ED IL METODO SPERIMENTALE (2-94) GALILEI E IL MOTO PARABOLICO DEI PROIETTILI (95-148) IL METODO SPERIMENTALE NEL XVII SECOLO Torricelli, Pascal, Stevino, Boyle e gli esperimenti sul vuoto (149-190) LA RIVOLUZIONE NELLE SCIENZE BACONIANE ELETTRICITA' E MAGNETISMO (191-286) Galilei e il metodo sperimentale La legge di caduta dei gravi e l’esperimento del piano inclinato La caduta dei gravi nel “De motu” (1587) di Galilei • L’impetus è causa immanente (che risiede nei corpi), ma non naturale, del moto. • L’impetus non è eterno, ma si consuma mano a mano che il moto si esaurisce. • Tutti i corpi hanno un “peso” che tende “naturalmente” a muoverli verso il basso; non esistono, contrariamente ad Aristotele, corpi leggeri in senso assoluto, per natura. • Il moto ascensionale dei corpi avviene quando l’impetus o leggerezza impressa dal motore supera la pesantezza del corpo. • La velocità di caduta di un grave – carattere essenziale del moto – è proporzionale al suo “peso”. Il De motu di Galilei Il “peso”, che determina la velocità uniforme di caduta, non è quello assoluto ma quello specifico relativo; ovvero il peso specifico del corpo diminuito del peso specifico del mezzo in cui il corpo si muove. In conseguenza di ciò diventa possibile concepire un moto di caduta nel vuoto; in esso e solo in esso, la velocità di caduta è determinata unicamente dal peso (specifico) assoluto del corpo (si ricordi che nella fisica di Aristotele, essendo la velocità di caduta dei corpi inversamente proporzionale alla densità del mezzo, l’esistenza del vuoto portava all’assurdo di una velocità infinita). L’accelerazione costituisce solo un accidente, non è un carattere essenziale del moto, in quanto riguarda solo una prima fase transitoria del moto di caduta, terminata la quale il moto diviene uniforme. Moto di un corpo lanciato verso l’alto secondo la teoria dell’impetus 1. L’impetus o leggerezza trasferita al mobile dal motore, maggiore della sua pesantezza “naturale”, determina il moto ascensionale. 2. Salendo l’impetus si consuma, la velocità diminuisce sino ad annullarsi alla quota massima; in questo punto la leggerezza uguaglia la pesantezza 3. La prima fase della discesa risulta accelerata in quanto la leggerezza residua ritarda lo stabilirsi del moto uniforme 4. Esaurito completamente l’impetus il moto diventa uniforme e la velocità di regime è proporzionale al peso specifico relativo del corpo Quando i corpi sono uniti considerando che ogni corpo tende a mantenere la sua velocità il più piccolo ritarda il più grande il più grande velocizza il più piccolo v1<v3<v2 ASSURDO! LA VELOCITA' NON E' PROPORZIONALE AL PESO considerando i pesi P3 = P2 + P1 P3 > P2 > P1 v3>v2>v1 Il superamento di Aristotele: la velocità di caduta non è proporzionale alla forza (peso) Galileo e la caduta dei gravi o In una lettera a Paolo Sarpi del 1604, Galileo mostra di conoscere la proporzionalità tra le distanze percorse e i quadrati dei tempi nel moto di caduta libera, ma si dice alla ricerca di un principio fondamentale dal quale dedurre tale relazione. o I corpi cadono, cadendo il loro moto accelera, le distanze percorse crescono con i quadrati dei tempi; ma qual è la ragione di tutto ciò? o Ciò che cerca Galileo non è la causa del moto di caduta ma la sua essenza, la sua definizione. Galileo rinuncia alla spiegazione causale in favore della ricerca del carattere essenziale del moto. (“investigare e spiegare la definizione che corrisponde esattamente al moto accelerato di cui si serve la natura” ) Procedere ex suppositione: la semplicità della natura • Infine –scrive Galilei nei Discorsi - a studiare il moto naturalmente accelerato siamo stati condotti quasi per mano dall'osservazione della consuetudine e della regola seguite dalla natura medesima in tutte le altre sue opere, nella cui attuazione suole far uso dei mezzi più immediati, più semplici, più facili. Ritengo infatti che non vi sia nessuno, il quale creda che si possa praticare il nuoto o il volo in una maniera più semplice e più facile di quella usata, per istinto naturale, dai pesci e dagli uccelli. Spostare il problema: dalla causa dell’accelerazione agli “accidenti” • Salv. Non mi par tempo opportuno d'entrare al presente nell'investigazione della causa dell'accelerazione del moto naturale, intorno alla quale da varii filosofi varie sentenzie sono state prodotte,[…]. Per ora basta al nostro Autore che noi intendiamo che egli ci vuole investigare e dimostrare alcune passioni di un moto accelerato (qualunque si sia la causa della sua accelerazione) talmente, che i momenti della sua velocità vadano accrescendosi, dopo la sua partita dalla quiete, con quella semplicissima proporzione con la quale cresce la continuazion del tempo, che è quanto dire che in tempi eguali si facciano eguali additamenti di velocità; e se s'incontrerà che gli accidenti che poi saranno dimostrati si verifichino nel moto de i gravi naturalmente descendenti ed accelerati, potremo reputare che l'assunta definizione comprenda cotal moto de i gravi, e che vero sia che l'accelerazione loro vadia crescendo secondo che cresce il tempo e la durazione del moto La definizione del moto uniformemente accelerato e i piani inclinati Piani inclinati e assunzioni supplementari • Assumo che i gradi di velocità, acquistati da un medesimo mobile su piani diversamente inclinati, siano eguali allorché sono eguali le elevazioni di quei piani medesimi. • Tale esperienza, che deve mostrare come “una palla grave e perfettamente rotonda, scendendo per le linee CA, CD, CB, giugnerebbe nei termini A, D, B con impeti uguali” e sufficienti a riportare tale palla all’altezza del punto di partenza C, consiste in un pendolo AB, appeso ad una parete con un chiodo piantato in A e lasciato oscillare dall’altezza rappresentata dalla rerra DC disegnata perpendicolarmente al filo del pendolo AB. Galilei riferisce che, tolti gli impedimenti rappresentati dalla resistenza dell’aria e del filo, il pendolo lasciato oscillare dal punto C, descrivendo l’arco CBD, raggiungerebbe D. Conficcato poi un chiodo nel punto E e lasciato oscillare di nuovo il pendolo dall’altezza della retta DC esso raggiungerebbe il punto G, posto su DC; raggiungerebbe cioè sempre la stessa altezza; e analogamente, conficcando un chiodo in F si otterrebbe lo stesso risultato nel punto I Il pendolo e la caduta dei gravi Analogia fra pendoli e piani inclinati Isocronismo delle oscillazioni Una possibile esperienza didattica galileiana sull’isocronismo del pendolo • Dal che ne séguita la conclusione d'un problema bellissimo: che è che, data una quarta di cerchio (ne segnerò qui in terra un poco di figura), qual sarebbe questa A B, eretta all'orizonte sí che insista su 'l piano toccando nel punto B, e fatto un arco con una tavola ben pulita e liscia dalla parte concava, piegandola secondo la curvità della circonferenza A D B, sí che una palla ben rotonda e tersa vi possa liberamente scorrer dentro (la cassa di un vaglio è accomodata a tale esperienza), dico che posta la palla in qualsivoglia luogo, o vicino o lontano dall'infimo termine B, come sarebbe mettendola nel punto C o vero qui in D o in E, e lasciata in libertà, in tempi eguali o insensibilmente differenti arriverà al termine B, partendosi dal C o dal D o dall'E o da qualsivoglia altro luogo: accidente veramente maraviglioso. Aggiugnete un altro accidente, non men bello di questo: che è che anco per tutte le corde tirate dal punto B a i punti C, D, E ed a qualunque altro, non solamente preso nella quarta B A, ma in tutta la circonferenza del cerchio intero, il mobile stesso scenderà in tempi assolutamente eguali; talché in tanto tempo scenderà per tutto 'l diametro eretto a perpendicolo sopra il punto B, in quanto scenderà per la B C, quando bene ella suttendesse a un sol grado o a minore arco. • Discorsi (1638): “Quanto poi alla proporzione de i tempi delle vibrazioni dei La legge del mobili pendenti da fila di differente lunghezza, sono essi tempi in proporzione periodo del suddupla delle lunghezze delle fila, o vogliam dire le lunghezze esser in duplicata pendolo e quella proporzion de i tempi, cioè son come i di caduta dei quadrati de i tempi: sì che volendo v.g., che ‘l tempo d’una vibrazione d’un pendolo sia gravi doppio del tempo d’una vibrazione d’un altro, bisogna che la lunghezza della corda di quello sia quadrupla della lunghezza della corda di questo; ed allora, nel tempo d’una vibrazione di quello, un altro ne farà tre, quando la corda di quello sarà nove volte più lunga dell’altra; dal che ne seguita che le lunghezze delle corde hanno fra di loro proporzione che hanno i quadrati de’ numeri delle vibrazioni che si fanno nel medesimo tempo”. Come ricava la legge sul periodo del pendolo? • Secondo Drake Galileo procede ad un'accurata misura delle oscillazioni del pendolo fino alla verticale, registrando i “tempi”(1 tempo= 16 grani d'acqua, 1 grano=1/480 di oncia fluida), misurati tramite un cronometro ad acqua, in funzione delle “lunghezze”, misurate con un regolo diviso in 60 punti (1 punto=0.94 mm) Il periodo del pendolo e la caduta libera: f. 151v. Prime registrazioni dei tempi di caduta e (in seguito) il calcolo di una media geometrica per il pendolo. Le unità di misura di Galileo: per le distante usava il “punto”, corrispondente a 1/60 del suo regolo da disegno. Il punto= 0,94 mm. Per il tempo l’unità di misura (un “tempo” galileiano) era pari a 16 grani, essendo 1 grano d’acqua= 1/480 d’oncia fluida Tabella di misure dalla quale emerge la legge del pendolo nella forma della media geometrica. Quando il tempo raddoppia la lunghezza quadruplica Lunghezza del pendolo in Tempo impiegato per punti raggiungere la verticale in grani d'acqua 870 1740 3480 6960 13920 27840 668,5 942 1337 1884 2674 3764 La conferma della legge generale del pendolo: f. 154r del vol. 72 ms. Gal BNF Galileo calcolò la media geometrica di 118 e 167 – i tempi, misurati in “tempi”, impiegati per raggiungere la verticale da due pendoli lunghi, rispettivamente 6960 e 13920 “punti” - ottenendo 140 “tempi”. La nota “filo br. 16”, a destra a metà pagina, indica che Galileo usò un pendolo di 9840 punti, circa 9 metri (essendo un braccio=620 punti). La lunghezza 9843, infatti, è la media geometrica fra 6960 e 13920. Per tale pendolo ottenne la conferma sperimentale di 140 tempi. Il pendolo semplice Il periodo del pendolo è il tempo che esso impiega a compiere una oscillazione completa, cioè a tornare nella posizione da cui è partito e nelle stesse condizioni di movimento. Se l’angolo di apertura dell’oscillazione è piccolo (minore di circa 5 gradi), il moto del pendolo può essere considerato un moto armonico semplice. Pertanto, è facile dimostrare che il periodo T è dato dalla relazione: dove L è la lunghezza del pendolo e g è l'accelerazione di gravità, che racchiude le quattro leggi del pendolo: 1a Le piccole oscillazioni si compiono nello stesso tempo (sono isocrone), indipendentemente dall’ampiezza. 2a Il periodo non dipende dalla massa del pesetto. 3a Il periodo è direttamente proporzionale alla radice quadrata della lunghezza L del pendolo 4a Il periodo è inversamente proporzionale alla radice quadrata dell’accelerazione di gravità g. Foucault e il pendolo di Parigi Il pendolo e la rotazione terrestre Il pendolo di Foucault (U.Eco) Il pendolo al polo nord Il pendolo all'equatore Il pendolo ad una latitudine intermedia La frequenza di rotazione Tempo di rotazione a diverse latitudini Alcuni esempi Il pendolo del “Vitruvio” Caratteristiche tecniche: Tipo di cavo: filo armonico di acciaio da 1,2 mm Lunghezza: 14,45 m Massa: 34 kg Materiale della massa: ferro Velocità angolare: 10,035° in 1 ora Angolo diurno: 240° 50’ Periodo di oscillazione: 7,91 s Latitudine: 42° Nord Longitudine : 13° 25' 27" Est Torniamo a Galileo: dal pendolo alla caduta dei gravi • Galileo dopo aver ricavato la legge sul periodo del pendolo, stabilendo che “le lunghezze esser in duplicata proporzion de i tempi, cioè son come i quadrati de i tempi”, suppone che la caduta di un grave lungo la verticale possa essere misurata in relazione alla misura di un quarto del periodo di oscillazione di un pendolo lungo quanto l'altezza dalla quale si vuol far cadere il grave Pendolo e caduta dei gravi • Dalle equazioni per lo spazio percorso nella caduta a partire dalla quiete, S= (g/2) t² • e per il periodo di un pendolo che oscilla di un piccolo arco fino alla verticale, t= (π/2)√ (l/g) • • è facile vedere che, quando S=l, il rapporto dei periodi è (π/2)√2 . Analogamente, quando t è lo stesso per una caduta e per un pendolo, il rapporto delle loro lunghezze è π²/8=1,2337. Galileo e la sua “costante” (π/2)√2=1,1107... • Galileo nel passaggio dalla legge del pendolo a quella di caduta dei gravi adotta il rapporto 942/850 (1,108 “tempi”), da lui misurato fra il periodo di oscillazione di un pendolo fino alla verticale e il tempo di caduta (a partire dalla quiete) da un'altezza pari alla lunghezza del pendolo. Periodo del pendolo e caduta dei gravi in Galileo • Il linguaggio matematico usato da Galileo non è quello delle equazioni algebriche ma quello delle proporzioni. La legge del periodo del pendolo e quella di caduta dei gravi appaiono allo scienziato pisano strettamente connesse I tempi di caduta lungo piani inclinati diversi. Galileo secondo Mach Foglio 182v Galileo qui trovò la regola per le discese lungo piani inclinati di diversa lunghezza e inclinazione Tempi di caduta lungo la verticale e l'inclinata Foglio 189r Conferma numerica del teorema derivato nel 1602 in base a presupposti errati. Usando la regola trovata per i piani di diversa lunghezza e inclinazione Galileo confermò il suo teorema, per il quale in seguito trovò una dimostrazione valida, basata sull'accelerazione uniforme Il teorema della corda Cerchio brachistocrono Galileo at Work: la scoperta della legge di caduta dei gravi secondo Drake. La pagina di appunti sulla quale Galileo stava scrivendo quando scoprì la legge dei quadrati dei tempi (f. 189v1 del vol. 72 dei ms. galileiani dlela BNF) • Il tempo per il quale Galileo calcolò la lunghezza della caduta dalla verticale era di 280 “tempi”, il doppio di quello di 140 al quale aveva cronometrato il pendolo di 9 metri con il quale aveva stabilito la generalità della legge del pendolo. Ciò che Galileo calcolò sul foglio 189v1 era la metà della caduta che impiegava 280 “tempi”, che aveva poi raddoppiato e citato in una frase in latino: perpendicularis cuius long.do 48143 conficit. Temp. 280 (la perpendicolare la cui lunghezza è di 48143 punti è completata in 280 “tempi”) Il foglio 189v1 e la caduta dei gravi Dal pendolo alla caduta • Galileo, dopo aver composto i rapporti, prese direttamente la media geometrica fra le lunghezze 4000 e 48143 e si accorse che questa era quasi la metà di 27834. Disegnò allora il diagramma che da quel giorno in poi usò per mettere in relazione i tempi e le lunghezze di una caduta mediante la regola della media geometrica Galileo pioniere della scienza: f. 107v. I numeri quadrati sul margine sinistro confermarono che la legge della caduta dei gravi valeva anche per la discesa su un piano inclinato. Ciascuno di questi, moltiplicato per la prima distanza, dava quasi esattamente la discesa misurata corrispondente lungo il piano inclinato La legge di caduta dei gravi • Le necessarie dimostrazioni matematiche • Le sensate esperienze Il teorema della velocità media • Prendiamo dunque per ora questo come postulato, la verità assoluta del quale ci verrà poi stabilita dal vedere altre conclusioni, fabbricate sopra tale ipotesi, rispondere e puntualmente confrontarsi con l'esperienza. Supposto dall'Autore questo solo principio, passa alle proposizioni, dimostrativamente concludendole; delle quali la prima è questa: • TEOREMA 1. PROPOSIZIONE 1 • Il tempo in cui uno spazio dato è percorso da un mobile con moto uniformemente accelerato a partire dalla quiete, è eguale al tempo in cui quel medesimo spazio sarebbe percorso dal medesimo mobile mosso di moto equabile, il cui grado di velocità sia sudduplo [la metà] del grado di velocità ultimo e massimo [raggiunto dal mobile] nel precedente moto uniformemente accelerato Il primo passo della dimostrazione Galilei: Discorsi. Le necessarie dimostrazioni TEOREMA 2. PROPOSIZIONE 2 Se un mobile scende, a partire dalla quiete, con moto uniformemente accelerato, gli spazi percorsi da esso in tempi qualsiasi stanno tra di loro in duplicata proporzione dei tempi [in un rapporto pari al rapporto dei tempi moltiplicato per se stesso], cioè stanno tra di loro come i quadrati dei tempi. Di qui è manifesto che, se dal primo istante o inizio del moto avremo preso successivamente un numero qualsiasi di tempi eguali, come ad esempio AD, DE, EF, FG, nei quali siano percorsi gli spazi HL, LM, MN, NI, questi spazi staranno tra di loro come i numeri impari ab unitate, cioè come 1, 3, 5, 7: questa è infatti la proporzione tra gli eccessi dei quadrati delle linee che si eccedono egualmente e il cui eccesso è eguale alla minima di esse, o vogliam dire tra i numeri quadrati consecutivi ab unitate. Pertanto, mentre i gradi di velocità aumentano in tempi eguali secondo la serie dei numeri semplici, gli spazi percorsi nei medesimi tempi acquistano incrementi secondo la serie dei numeri impari ab unitate. Corollario Galilei: la dimostrazione Dove mi figuro per la linea AI la continuazione del tempo dopo il primo instante in A; applicando poi in A, secondo qualsivoglia angolo, la retta AF, e congiugnendo i termini I, F, diviso il tempo AI in mezo in C, tiro la CB parallela alla IF; considerando poi la CB come grado massimo della velocità che, cominciando dalla quiete nel primo instante del tempo A, si andò augumentando secondo il crescimento delle parallele alla BC, prodotte nel triangolo ABC (che è il medesimo che crescere secondo che cresce il tempo), ammetto senza controversia, per i discorsi fatti sin qui, che lo spazio passato dal mobile cadente con la velocità accresciuta nel detto modo sarebbe eguale allo spazio che passerebbe il medesimo mobile quando si fusse nel medesimo tempo AC mosso di moto uniforme, il cui grado di velocità fusse eguale all'EC, metà del BC. …. Vedesi dunque anco in questo semplice calcolo, gli spazii passati in tempi uguali dal mobile che, partendosi dalla quiete, va acquistando velocità conforme all'accrescimento del tempo, esser tra di loro come i numeri impari ab unitate 1, 3, 5, e, congiuntamente presi gli spazii passati, il passato nel doppio tempo esser quadruplo del passato nel sudduplo, il passato nel tempo triplo esser nonuplo, ed in somma gli spazii passati essere in duplicata proporzione de i tempi, cioè come i quadrati di essi tempi. Conclusione Galilei: Discorsi. Le sensate esperienze Salv. Voi, da vero scienziato, fate una ben ragionevol domanda; e così si costuma e conviene nelle scienze le quali alle conclusioni naturali applicano le dimostrazioni matematiche, come si vede ne i perspettivi, negli astronomi, ne i mecanici, ne i musici ed altri, li quali con sensate esperienze confermano i principii loro, che sono i fondamenti di tutta la seguente struttura: e però non voglio che ci paia superfluo se con troppa lunghezza aremo discorso sopra questo primo e massimo fondamento, sopra 'l quale s'appoggia l'immensa machina d'infinite conclusioni, delle quali solamente una piccola parte ne abbiamo in questo libro, poste dall'Autore, il quale arà fatto assai ad aprir l'ingresso e la porta stata sin or serrata agl'ingegni specolativi. Circa dunque all'esperienze, non ha tralasciato l'Autor di farne; e per assicurarsi che l'accelerazione de i gravi naturalmente descendenti segua nella proporzione sopradetta, molte volte mi son ritrovato io a farne la prova nel seguente modo, in sua compagnia. Galilei: l’esperimento In un regolo, o vogliàn dir corrente, di legno, lungo circa 12 braccia, e largo per un verso mezo bracio e per l'altro 3 dita, si era in questa minor larghezza incavato un canaletto, poco più largo d'un dito; tiratolo drittissimo, e, per averlo ben pulito e liscio, incollatovi dentro una carta pecora zannata e lustrata al possibile, si faceva in esso scendere una palla di bronzo durissimo, ben rotondata e pulita; costituito che si era il detto regolo pendente, elevando sopra il piano orizontale una delle sue estremità un braccio o due ad arbitrio, si lasciava (come dico) scendere per il detto canale la palla, notando, nel modo che appresso dirò, il tempo che consumava nello scorrerlo tutto, replicando il medesimo atto molte volte per assicurarsi bene della quantità del tempo, nel quale non si trovava mai differenza né anco della decima parte d'una battuta di polso. Fatta e stabilita precisamente tale operazione, facemmo scender la medesima palla solamente per la quarta parte della lunghezza di esso canale; e misurato il tempo della sua scesa, si trovava sempre puntualissimamente esser la metà dell'altro: e facendo poi l'esperienze di altre parti, esaminando ora il tempo di tutta la lunghezza col tempo della metà, o con quello delli duo terzi o de i 3/4, o in conclusione con qualunque altra divisione, per esperienze ben cento volte replicate sempre s'incontrava, gli spazii passati esser tra di loro come i quadrati e i tempi, e questo in tutte le inclinazioni del piano, cioè del canale nel quale si faceva scender la palla; dove osservammo ancora, i tempi delle scese per diverse inclinazioni mantener esquisitamente tra di loro quella proporzione che più a basso troveremo essergli assegnata e dimostrata dall'Autore. Quanto poi alla misura del tempo, si teneva una gran secchia piena d'acqua, attaccata in alto, la quale per un sottil cannellino, saldatogli nel fondo, versava un sottil filo d'acqua, che s'andava ricevendo con un piccol bicchiero per tutto 'l tempo che la palla scendeva nel canale e nelle sue parti: le particelle poi dell'acqua, in tal guisa raccolte, s'andavano di volta in volta con esattissima bilancia pesando, dandoci le differenze e proporzioni de i pesi loro le differenze e proporzioni de i tempi; e questo con tal giustezza, che, come ho detto, tali operazioni, molte e molte volte replicate, già mai non differivano d'un notabil momento. Descrizione didattica della legge di caduta dei gravi • Il tempo di caduta delle sfere è ottenuto pesando la quantità d’acqua che, nel medesimo tempo, fuoriuscendo attraverso un sottile cannello dal secchio, viene raccolta in un recipiente. • Si misura il tempo di caduta della sfera variando in modo controllato la lunghezza di caduta. Per ogni lunghezza si ripete più volte la misura del tempo. • Facendo percorre alla palla un quarto della lunghezza totale del piano si ottiene puntualissimamente la metà del tempo precedente. • Facendo poi l’esperienze di altre parti, … ,per esperienze ben cento volte replicate, sempre s’incontrava gli spazi passati essere tra di loro come i quadrati de i tempi, e questo in tutte le inclinazioni del piano. Misura del tempo con il volume o il peso dell'acqua Grafico dell'altezza dell'acqua in funzione del tempo Ricerca di una legge fisica Pendenza della retta ed errore medio Legge di caduta dei corpi 1. La velocità di un corpo che cade aumenta proporzionalmente col tempo. 2. L’accelerazione della caduta è la stessa per tutti i corpi. Il conflitto delle interpretazioni storiografiche Galilei e il moto parabolico dei proiettili Inerzia e relatività secondo Galileo Lo studio della traiettoria dei proiettili : Tartaglia e la balistica • Nel 1531 Tartaglia mentre era a Verona come riferisce lui stesso nell'introduzione al suo libro La nova scientia, pubblicato poi nel 1537 e dedicato al Duca di Urbino - fu invitato da un suo vecchio amico, ufficiale d'artiglieria, ad occuparsi del problema di mettere a segno i colpi dei cannoni: "…E a benche in tal arte io non havesse pratica alcuna (per che in vero Eccellente Duca giamai discargheti artegliaria, archibuso, bombarda, ne schioppo) niente di meno (desideroso di servir l'amico) gli promisi di darli in breve rissoluta risposta…". La Nova scientia di Tartaglia • Nel corso delle sue ricerche, che daranno luogo alla nascita ufficiale della balistica - lo studio appunto del movimento dei proiettili - il matematico bresciano non soltanto si servì dell'analisi teorica, ma anche dell'applicazione sperimentale di strumenti quali squadre e "quadranti" (sorta di goniometri), stabilendo così, ad esempio, che l'inclinazione ottimale dell'arma da fuoco doveva essere di 45 gradi Tartaglia e la squadra dei bombardieri • "…Et di poi che hebbi ben masticata e ruminata tal materia, gli conclusi, e dimostrai con ragioni naturali, e geometrice, qualmente bisognava che la bocca dil pezo stesse ellevata talmente che guardasse rettamente a .45. gradi sopra a l'orizonte, e che per far tal cosa ispedientemente bisogna havere una squara de alcun metallo over legno sodo che habbia interchiuso un quadrante con lo suo perpendicolo…" Tecnica bellica e scienza • L'importanza di tutte queste ricerche è doppia: non soltanto fu il primo esempio in assoluto di trasformazione di una tecnica pratica - quella dell'artiglieria - in una vera e propria scienza regolata da leggi matematiche; ma fu anche il primo studio del movimento in senso strettamente fisico e meccanico. Tutta La nova scientia (che in realtà si riferisce solo alla balistica, senza quindi alcuna intenzione di rivoluzionare il metodo scientifico) trabocca di descrizioni in forma matematica sul movimento dei corpi (o "gravi"), definizioni, postulati, e riferimenti ai principi geometrico-matematici come quelli di Euclide. I risultati degli studi, dal punto di vista pratico furono un successo e destarono ben presto l'interesse degli artiglieri (che però vollero prima verificarli sperimentalmente, addirittura organizzando vere e proprie scommesse), Il moto dei proiettili è parabolico: le misure sperimentali di Galilei nel ms. vol. 72 della BNF f. 116v La velocità di caduta è proporzionale alla radice quadrata dell'altezza Il moto parabolico per Galileo Il dispositivo sperimentale di Galileo Foglio 116v MS. 72 BNF La proporzione fra velocità di caduta e altezza I calcoli di Galileo sulla proporzione fra velocità di caduta e altezza Il moto parabolico: la quarta giornata dei Discorsi (1638) • Immagino di avere un mobile lanciato su un piano orizzontale, rimosso ogni impedimento: già sappiamo, per quello che abbiamo detto più diffusamente altrove, che il suo moto si svolgerà equabile e perpetuo sul medesimo piano, qualora questo si estenda all'infinito; se invece intendiamo [questo piano] limitato e posto in alto, il mobile, che immagino dotato di gravità, giunto all'estremo del piano e continuando la sua corsa, aggiungerà al precedente movimento equabile e indelebile quella propensione all'ingiù dovuta alla propria gravità: ne nasce un moto composto di un moto orizzontale equabile e di un moto deorsum naturalmente accelerato, il quale [moto composto] chiamo proiezione. Ne dimostreremo parecchie proprietà: la prima delle quali sia [la seguente]. • TEOREMA 1. PROPOSIZIONE 1 Un proietto, mentre si muove di moto composto di un moto orizzontale equabile e di un moto deorsum naturalmente accelerato, descrive nel suo movimento una linea semiparabolica. • Si intenda la linea orizzontale ossia il piano ab posto in alto, e un mobile si muova su di esso da a in b di moto equabile; mancando ora il sostegno del piano in b, sopravvenga al medesimo mobile, per la propria gravità, un moto naturale deorsum secondo la perpendicolare bn. Si intenda inoltre che la linea be, la quale prosegue il piano ab per diritto, rappresenti lo scorrere del tempo, ossia [ne costituisca] la misura, e su di essa si segnino ad arbitrio un numero qualsiasi di porzioni di tempo eguali, bc, cd, de; inoltre dai punti b, c, d, e si intendano condotte linee equidistanti dalla perpendicolare bn: sulla prima di esse si prenda una parte qualsiasi ci; sulla [linea] successiva se ne prenda una quattro volte maggiore, df; [sulla terza,] una nove volte maggiore, eh; e così di séguito sulle altre linee secondo la proporzione dei quadrati delle [porzioni di tempo] cb, db, eb, o vogliam dire in duplicata proporzione delle medesime. La dimostrazione del moto parabolico • Ma continuando a muoversi, nel tempo db, cioè [in un tempo] doppio di bc, sarà disceso per uno spazio quattro volte maggiore del primo spazio ci; abbiamo infatti dimostrato nel primo trattato, che gli spazi percorsi da un grave, con moto naturalmente accelerato, sono in duplicata proporzione dei tempi: e parimenti, il successivo spazio eh, percorso nel tempo be, sarà nove [volte maggiore del primo spazio]: sì che risulterà manifesto che gli spazi eh, df, ci stanno tra di loro come i quadrati delle linee eb, db, cb. Si conducano ora dai punti i, f, h le rette io, fg, hl, equidistanti dalla medesima eb: le linee hl, fg, io saranno eguali, ad una ad una, alle linee eb, db, cb; e così pure le linee bo, bg, bl saranno eguali alle linee ci, df, eh; inoltre il quadrato di hl starà al quadrato di fg come la linea lb sta alla bg, e il quadrato di fg starà al quadrato di io come gb sta a bo; dunque, i punti i, f, h si trovano su un unica e medesima linea parabolica. La risultante parabolica del moto orizzontale “equabile” e del moto verticale accelerato Le obiezioni al moto della terra e la replica di Galilei (Dialogo) • L’argomento della torre. • SALV. Per la piú gagliarda ragione si produce da tutti quella de i corpi gravi, che cadendo da alto a basso vengono per una linea retta e perpendicolare alla superficie della Terra; argomento stimato irrefragabile, che la Terra stia immobile: perché, quando ella avesse la conversion diurna, una torre dalla sommità della quale si lasciasse cadere un sasso, venendo portata dalla vertigine della Terra, nel tempo che 'l sasso consuma nel suo cadere, scorrerebbe molte centinaia di braccia verso oriente, e per tanto spazio dovrebbe il sasso percuotere in terra lontano dalla radice della torre. L’argomento della nave • Il quale effetto confermano con un'altra esperienza, cioè col lasciar cadere una palla di piombo dalla cima dell'albero di una nave che stia ferma, notando il segno dove ella batte, che è vicino al piè dell'albero; ma se dal medesimo luogo si lascerà cadere la medesima palla quando la nave cammini, la sua percossa sarà lontana dall'altra per tanto spazio quanto la nave sarà scorsa innanzi nel tempo della caduta del piombo, e questo non per altro se non perché il movimento naturale della palla posta in sua libertà è per linea retta verso 'l centro della Terra. L’argomento dei proiettili • Fortificasi tal argomento con l'esperienza d'un proietto tirato in alto per grandissima distanza, qual sarebbe una palla cacciata da una artiglieria drizzata a perpendicolo sopra l'orizonte, la quale nella salita e nel ritorno consuma tanto tempo, che nel nostro parallelo l'artiglieria e noi insieme saremmo per molte miglia portati dalla Terra verso levante, talché la palla, cadendo, non potrebbe mai tornare appresso al pezzo, ma tanto lontana verso occidente quanto la Terra fosse scorsa avanti. Tiri a levante e a ponente • Aggiungono di piú la terza e molto efficace esperienza, che è: tirandosi con una colubrina una palla di volata verso levante, e poi un'altra con egual carica ed alla medesima elevazione verso ponente, il tiro verso ponente riuscirebbe estremamente maggiore dell'altro verso levante; imperocché mentre la palla va verso occidente, e l'artiglieria, portata dalla Terra, verso oriente, la palla verrebbe a percuotere in terra lontana dall'artiglieria tanto spazio quanto è l'aggregato de' due viaggi, uno fatto da sé verso occidente, e l'altro dal pezzo, portato dalla Terra, verso levante; e per l'opposito, del viaggio fatto dalla palla tirata verso levante bisognerebbe detrarne quello che avesse fatto l'artiglieria seguendola: posto dunque, per esempio, che 'l viaggio della palla per se stesso fosse cinque miglia, e che la Terra in quel tal parallelo nel tempo della volata della palla scorresse tre miglia, nel tiro di ponente la palla cadrebbe in terra otto miglia lontana dal pezzo, cioè le sue cinque verso ponente e le tre del pezzo verso levante; ma il tiro d'oriente non riuscirebbe piú lungo di due miglia, ché tanto resta detratto dalle cinque del tiro le tre del moto del pezzo verso la medesima parte: ma l'esperienza mostra i tiri essere eguali; adunque l'artiglieria sta immobile, e per conseguenza la Terra ancora Galilei: la composizione dei moti nel Dialogo • Ora, per cominciar a sviluppar questi nodi, domando al signor Simplicio, quando altri negasse a Tolomeo e ad Aristotile che i gravi nel cader liberamente da alto venissero per linea retta e perpendicolare, cioè diretta al centro, con qual mezo lo proverebbero. • SIMP. Col mezo del senso, il quale ci assicura che quella torre è diritta e perpendicolare, e ci mostra quella pietra nel cadere venirla radendo, senza piegar pur un capello da questa o da quella parte, e percuotere al piede giusto sotto 'l luogo donde fu lasciata. • SALV. Ma quando per fortuna il globo terrestre si movesse in giro, ed in conseguenza portasse seco la torre ancora, e che ad ogni modo si vedesse la pietra nel cadere venir radendo il filo della torre, qual bisognerebbe che fusse il suo movimento? SIMP. Bisognerebbe in questo caso dir piú tosto «i suoi movimenti», perché uno sarebbe quello col quale verrebbe da alto a basso, e un altro converrebbe ch'ella n'avesse per seguire il corso della torre. SALV. Sarebbe dunque il moto suo un composto di due, cioè di quello col quale ella misura la torre, e dell'altro col quale ella la segue: dal qual composto ne risulterebbe che 'l sasso descriverebbe non piú quella semplice linea retta e perpendicolare, ma una trasversale, e forse non retta SIMP. Del non retta non lo so; ma intendo bene che di necessità sarebbe trasversale, e differente dall'altra retta perpendicolare, che ella descrisse stando la Terra immobile. SALV. Adunque dal solamente vedere la pietra cadente rader la torre, voi non potete sicuramente affermare che ella descriva una linea retta e perpendicolare, se non supposto prima che la Terra stia ferma. Perplessità di Simplicio • Per Aristotele i moti non si compongono • SALV. La difesa dunque d'Aristotile consiste nell'esser impossibile, o almeno nell'aver egli stimato impossibile, che 'l sasso potesse muoversi di un moto misto di retto e di circolare; perché quando e' non avesse avuto per impossibile che la pietra potesse muoversi al centro e 'ntorno al centro unitamente, egli averebbe inteso che poteva accadere che 'l sasso cadente potesse venir radendo la torre tanto movendosi ella quanto stando ferma, e in conseguenza si sarebbe accorto che da questo radere non si poteva inferir niente attenente al moto o alla quiete della Terra. Simplicio non è convinto • …ma che un sasso gravissimo o una palla d'artiglieria, che da alto venga a basso e sia già posta in sua balía, si lasci trasportar né da aria né da altro, ha del tutto dell'inopinabile. Oltre che ci è l'esperienza tanto propria, della pietra lasciata dalla cima dell'albero della nave, la qual, mentre la nave sta ferma, casca al piè dell'albero, ma quando la nave camina, cade tanto lontana dal medesimo termine, quanto la nave nel tempo della caduta del sasso è scorsa avanti; che non son poche braccia, quando 'l corso della nave è veloce. La replica di Salviati introduce l’inerzia • E per restar persuaso di questo, non avete a far altro che mutar un'antiquata impressione fatta nella vostra mente, e dire: «Sí come, per avere stimato io sin ora che sia proprietà del globo terrestre lo stare immobile intorno al suo centro, non ho mai auto difficultà o repugnanza alcuna in apprendere che qualsivoglia sua particella resti essa ancora naturalmente nella medesima quiete; cosí è ben dovere che quando naturale instinto fusse del globo terreno l'andare intorno in ventiquattr'ore, sia d'ogni sua parte ancora intrinseca e naturale inclinazione non lo star ferma, ma seguire il medesimo corso»: e cosí senza urtare in veruno inconveniente si potrà concludere, che per non esser naturale, ma straniero, il moto conferito alla nave dalla forza de' remi, e per essa a tutte le cose che in lei si ritrovano, sia ben dovere che quel sasso, separato che e' sia dalla nave, si riduca alla sua naturalezza e ritorni ad esercitare il puro e semplice suo natural talento Moto e quiete: Aristotele e Galilei • Per Aristotele il movimento è un “atto di una potenza in quanto tale” e cioè un passaggio da uno stato potenziale (capacità di acquisire nuove determinazioni) a uno stato attuale (realizzazione di una potenza). Tutto ciò che si muove lo fa perché si trova in una condizione di privazione, e tende, tramite il movimento, ad acquisire una certa perfezione. Il movimento, così inteso, ha sempre bisogno di una causa motrice: se cessa la causa termina anche il suo effetto. Il moto quindi per conservarsi ha bisogno di una forza costante, e viene meno nel momento in cui cessa l’applicazione della forza che lo produce. • Per Galilei , invece, il movimento ha la stessa dignità della quiete e si conserva in assenza di forze. Una biglia che rotola da un piano inclinato tende a conservare la velocità acquisita alla fine del piano inclinato fino a quando non viene perturbata da altre forze. Galilei introduce il principio di inerzia soprattutto per rispondere alle critiche aristoteliche alla teoria di Copernico che prevedeva i morti della terra. L’inerzia viene utilizzata da Galilei per spiegare perché stando sulla terra in movimento una pietra lasciata cadere da una torre cada ai piedi della torre e non, invece, spostata verso ovest, cioè in direzione contraria a quella del moto di rotazione terrestre. Galilei ritiene che la pietra oltre a tendere verso il basso, seguendo una traiettoria verticale, conserva l’inerzia del moto di rotazione terrestre. La risultante della composizione dei due moti è quindi una traiettoria parabolica, che spiega il perché la pietra cade ai piedi della torre anche se la terra si muove. Se voi volevi produrre una piú aggiustata esperienza, dovevi dire che si osservasse, se non con l'occhio della fronte, almeno con quel della mente, ciò che accaderebbe quando un'aquila portata dall'impeto del vento si lasciasse cader da gli artigli una pietra; la quale, perché già nel partirsi dalle branche volava al pari del vento, e dopo partita entra in un mezo mobile con egual velocità, ho grande opinione che non si vedrebbe cader giú a perpendicolo, ma che, seguendo 'l corso del vento ed aggiugnendovi quel della propria gravità, si moverebbe di un moto trasversale. Quanto all'altro, del sopravegnente moto in giú, prima è manifesto che questi due, dico il circolare intorno al centro e 'l retto verso 'l centro, non son contrarii né destruttivi l'un dell'altro né incompatibili, perché, quanto al mobile, ei non ha repugnanza alcuna a cotal moto: ché già voi stesso avete conceduto, la repugnanza esser contro al moto che allontana dal centro, e l'inclinazione, verso il moto che avvicina al centro; onde necessariamente segue che al moto che non appressa né discosta dal centro, non ha il mobile né repugnanza né propensione né, in conseguenza, cagione di diminuirsi in lui la facultà impressagli: e perché la causa motrice non è una sola, che si abbia, per la nuova operazione, a inlanguidire, ma son due tra loro distinte, delle quali la gravità attende solo a tirare il mobile al centro, e la virtú impressa a condurlo intorno al centro, non resta occasione alcuna d'impedimento. • Or, fatti questi due presupposti, venni già descrivendo intorno al centro A col semidiametro A B il cerchio B I, rappresentantemi il globo terrestre; e prolungando il semidiametro AB in C, descrissi l'altezza della torre BC, la quale, portata dalla Terra sopra la circonferenza B I, descrive con la sua sommità l'arco C D; divisa poi la linea C A in mezo in E, col centro E, intervallo E C, descrivo il mezo cerchio C I A, per il quale dico ora che assai probabilmente si può credere che una pietra, cadendo dalla sommità della torre C, venga movendosi del moto composto del comune circolare e del suo proprio retto. Sulla composizione dei moti Una “strana” approssimazione • SAGR. Intendo perfettamente il tutto, né posso credere che 'l mobile cadente descriva col centro della sua gravità altra linea che una simile. • SALV. Ma piano, signor Sagredo; ché io ho da portarvi ancora tre mie meditazioncelle, che forse non vi dispiaceranno. La prima delle quali è, che se noi ben consideriamo, il mobile non si muove realmente d'altro che di un moto semplice circolare, sí come quando posava sopra la torre pur si muoveva di un moto semplice e circolare. La seconda è ancora piú bella: imperocché egli non si muove punto piú o meno che se fusse restato continuamente su la torre, essendo che a gli archi C F, F G, G H, etc., che egli avrebbe passati stando sempre su la torre, sono precisamente eguali gli archi della circonferenza C I rispondenti sotto gli stessi C F, F G, G H, etc. Dal che ne séguita la terza meraviglia: che il moto vero e reale della pietra non vien altrimenti accelerato, ma è sempre equabile ed uniforme, poiché tutti gli archi eguali notati nella circonferenza C D ed i loro corrispondenti segnati nella circonferenza C I vengono passati in tempi eguali… • Ma che il negozio, quanto al moto de i gravi descendenti, proceda cosí puntualmente, io per ora non lo voglio affermare; ma dirò bene che se la linea descritta dal cadente non è questa per l'appunto, ella gli è sommamente prossima. Introduzione alla relatività galieliana • SIMP. Ma, Dio buono, come, se ella si muove trasversalmente, la veggo io muoversi rettamente e perpendicolarmente? questo è pure un negare il senso manifesto; e se non si deve credere al senso, per qual altra porta si deve entrare a filosofare? • SALV. Rispetto alla Terra, alla torre e a noi, che tutti di conserva ci moviamo, col moto diurno, insieme con la pietra, il moto diurno è come se non fusse, resta insensibile, resta impercettibile, è senza azione alcuna, e solo ci resta osservabile quel moto del quale noi manchiamo, che è il venire a basso lambendo la torre. Voi non sete il primo che senta gran repugnanza in apprender questo nulla operar il moto tra le cose delle quali egli è comune. L’esperienza ideale della stanza sotto “coverta” • Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi de' pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; cammina o pure sta ferma; e voi, gettando all'amico alcuna cosa, non piú gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder cosí, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave La stanza sotto “coverta” metafora delle osservazioni dalla terra • …voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima, né, perché la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua, benché, nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte contraria al vostro salto; e gettando alcuna cosa al compagno, non con piú forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli sarà verso la prua e voi verso poppa, che se voi fuste situati per l'opposito; le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché, mentre la gocciola è per aria, la nave scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con piú fatica noteranno verso la precedente che verso la sussequente parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell'orlo del vaso . Caratteristiche dei sistemi inerziali • SALV. E di tutta questa corrispondenza d'effetti ne è cagione l'esser il moto della nave comune a tutte le cose contenute in essa ed all'aria ancora, che per ciò dissi io che si stesse sotto coverta; • SAGR. Queste osservazioni, ancorché navigando non mi sia caduto in mente di farle a posta, tuttavia son piú che sicuro che succederanno nella maniera raccontata: in confermazione di che mi ricordo essermi cento volte trovato, essendo nella mia camera, a domandar se la nave camminava o stava ferma, e tal volta, essendo sopra fantasia, ho creduto che ella andasse per un verso, mentre il moto era al contrario. Per tanto io sin qui resto sodisfatto e capacissimo della nullità del valore di tutte l'esperienze prodotte in provar piú la parte negativa che l'affirmativa della conversion della Terra. Il metodo sperimentale nel XVII secolo Torricelli, Pascal, Stevino, Boyle e gli esperimenti sul vuoto Aristotele e il “vuoto” • Nella Fisica, Aristotele sostenne che affermare l'esistenza del vuoto - come aveva fatto Democrito - rappresentava un'infrazione del principio di non contraddizione. Per Aristotele uno spazio privo di oggetti (cioè vuoto) non corrisponde affatto al niente, ma ha una propria permanente esistenza. Né il vuoto per Aristotele può essere preso in considerazione in quanto ente immateriale, dato che la filosofia naturale ha come oggetto solo l'essere in quanto essere. Aristotele, pur concependo, d'altra parte, l'universo come finito, negò tuttavia risolutamente che oltre i confini del mondo vi fosse il vuoto. Aristotele e l'aria senza peso Il filosofo greco considerava inoltre il mondo sublunare composto da quattro elementi (fuoco, aria, terra e acqua) e sosteneva che a ognuno di essi corrispondeva un luogo naturale, dal quale potevano essere spostati solo per violenza. Nel loro luogo naturale gli elementi non avevano peso. L'aria, dunque, per il filosofo greco e per i suoi innumerevoli seguaci non pesava, né esercitava pressione. L’horror vacui nel Medioevo • Sviluppando le concezioni della Fisica aristotelica, alcuni autori medievali elaborarono la teoria dell'orrore del vuoto da parte della natura: una ripugnanza costitutiva per il vuoto induceva la natura ad adoperarsi in ogni modo per impedire che esso potesse prodursi. La teoria dell'orrore del vuoto fu impiegata per interpretare diversi singolari fenomeni naturali: la difficoltà di separare due superfici combacianti perfettamente levigate; la difficoltà di aprire un mantice perfettamente sigillato; la mancata fuoriuscita del liquido dal fondo bucherellato di una caraffa colma d'acqua la cui bocca era stata perfettamente chiusa; e, infine, la limitata altezza cui pompe e sifoni riuscivano a sollevare l'acqua mediante aspirazione. Ancora con l'orrore del vuoto veniva spiegata la rottura di bottiglie sigillate piene d'acqua e congelate: si riteneva erroneamente che l'acqua, congelando, diminuisse di volume e, di conseguenza, si supponeva che la natura, provoca la rottura della bottiglia per evitare che a seguito di tale contrazione di volume si creasse il vuoto. Galileo e il “vuoto” • In una lettera del 1630, il patrizio genovese Giovan Batista Galiani interpellò Galileo sulle ragioni per cui l'acqua non saliva nel sifone che aveva costruito per addurre acqua scavalcando una collina di circa 21 m di altezza. Nella sua risposta Galileo sostenne che l'orrore del vuoto da parte della natura non costituiva una ripugnanza e non era invincibile, al contrario, essa poteva essere superata con una forza adeguata. Galileo aveva infatti accertato che la forza del vuoto era tale da consentire il sollevamento di una colonna d'acqua, mediante una pompa, fino all'altezza massima di 18 braccia (circa 11 metri). Oltre quel limite la forza del vuoto non era sufficiente e la colonna d'acqua si spezzava. Per questo, secondo Galileo, il sifone costruito da Baliani non poteva funzionare. Anche se ignorava la funzione determinante del peso dell'aria, l'interpretazione galileiana del vuoto contribuì a rimettere in moto la sperimentazione e, soprattutto, fece cadere la convinzione nell'assoluta impossibilità di generare il vuoto in natura. Torricelli e il “pelago d’aria” • In ogni momento della giornata incombe su di noi l'atmosfera, che esercita un peso di 10 tonnellate su ogni metro quadro di superficie. Descrivendo le implicazioni della propria scoperta, Evangelista Torricelli affermò dunque giustamente che viviamo sul fondo di un "pelago d'aria". • «Dico ciò – scrive Torricelli a Ricci nel 1644 - perché qualche filosofo, vedendo di non poter fuggire questa confessione, che la gravita dell'aria cagioni la repugnanza che si sente nel far il vacuo, non dicesse di conceder l'operatione del peso aereo, ma persistesse nell'asseverare che anche la natura concorre a repugnare al vacuo. Noi viviamo sommersi nel fondo d'un pelago d'aria elementare, la quale per esperienze indubitate si sa che pesa, e tanto che questa grossissima vicino alla superficie terrena pesa circa la 1/400 parte del peso del- l'acqua». Il peso dell'aria La forza di gravità infatti, cui niente e nessuno può sfuggire, agisce anche sulle molecole dell'aria. Esse acquisiscono così un peso, esercitando di conseguenza sulla superficie della Terra una pressione di 1 kg per cm². Il processo che portò alla scoperta della pressione atmosferica e delle molteplici conseguenze che ne derivano costituisce un'affascinante avventura che si è consumata nell'arco di pochi decenni, a partire dall'esperimento di Torricelli del 1644. In quei decenni, per dimostrare che l'aria pesa e che il vuoto esiste scesero in campo alcuni dei protagonisti più straordinari della Rivoluzione Scientifica. Torricelli e il vuoto • La prima cronaca dell'esperienza l'abbiamo da una lettera dell' 11 giugno 1644 che lo stesso Torricelli indirizzò al suo amico Michelangelo Ricci, in Roma. Scriveva Torricelli: • «Le accennai già che si stava facendo non so che sperienza filosofica intorno al vacuo, non per far semplicemente il vacuo, ma per far uno strumento che mostrasse le mutuazioni dell'aria, hora più grave e grossa et hor più leggiera e sottile». Torricelli a Ricci 1644 Nel seguito della lettera Torricelli entra in maggiori dettagli: «Molti hanno detto che il vacuo non si dia, altri che si dia, ma con repugnanza della natura e con fatica; non so già che alcuno habbia detto che si dia senza fatica e senza resistenza della natura. Io discorrevo così: se trovassi una causa manifestissima, dalla quale derivi quella resistenza che si sente nel voler fare il vacuo indarno mi pare si cercherebbe di attribuire al vacuo quella operazione che deriva apertamente da altra cagione, anzi che, facendo certi calcoli facilissimi, io trovo che la causa da me addotta (cioè il peso dell'aria) doverebbe per sé sola far maggior contrasto che ella non fa nel tentarsi il vacuo». La descrizione dell’esperimento • «Noi habbiamo fatti molti vasi di vetro et anco come i seguenti, segnati A e B grossi e di collo lungo due braccia, questi pieni d'argento vivo [mercurio], poi serrategli con un dito la bocca e rivoltati in un vaso dove era l'argento vivo C, si vedevano votarsi e non succedere niente nel vaso che si votava; il collo però AB restava sempre pieno all'altezza d'un braccio e 1/4 et un dito di più [circa 76 cm ]». L’esperimento di Torricelli • Il celeberrimo esperimento dell'argento vivo fu realizzato da Torricelli nella primavera del 1644 a Firenze. Torricelli riempì di mercurio un tubo di vetro aperto ad una delle estremità. Poi, tenendo serrata con un dito l'estremità aperta, rovesciò il tubo in una bacinella contenente mercurio. Osservò allora che la colonna di mercurio scendeva solo parzialmente, fermandosi ad un'altezza di circa 76 cm. Torricelli si convinse che lo spazio lasciato libero dalla discesa del mercurio nel tubo fosse vuoto e che il sostentamento della colonna di mercurio dipendesse dalla pressione che l'aria esercitava sul mercurio nella bacinella. In una lettera a Michelangelo Ricci del 11 giugno 1644, Torricelli sostenne che il suo esperimento provava due concetti fondamentali: che la natura non aborre il vuoto e che l'aria pesa. I risultati dell'esperimento dell'argento vivo aprivano un'epoca di trasformazioni rivoluzionarie e obbligavano a rivedere dottrine consolidate da secoli Il peso dell’aria • «Il discorso si faceva mentre il vaso AE stava voto e l'argento vivo si sosteneva benché gravissimamente nel collo AC; questa forza, che regge quell'argento vivo contro la sua naturalezza di ricader giù, si è veduto fino adesso che sia stata interna nel vaso AE, o di vacuo, o di quella robba sommamente rarefatta; ma io pretendo che la sia esterna e che la forza venga di fuori. Sulla superficie del liquore che è nella catinella gravita l'altezza di 50 miglia d'aria; però qual maraviglia è se nel vetro CE, dove l'argento vivo non ha inclinazione, ne anco repugnanza per non esservi nulla, entri e vi s'innalzi fin tanto che si equilibri colla gravita dell'aria esterna che lo spinge? L'acqua poi in un vaso simile, ma molto più lungo, salirà quasi fino a 18 braccia [circa 10 metri], cioè tanto più dell'argento vivo, quanto più l'argento vivo è più grave dell'acqua, per equilibrarsi con la medesima cagione che spinge e l'uno e l'altra». Il barometro di Torricelli • Il barometro è lo strumento che consente di "pesare" l'aria. Il suo funzionamento è simile a quello di una bilancia: la colonna di mercurio è infatti contrappesata dalla pressione esercitata dall'aria sulla vaschetta piena di mercurio. Torricelli scoprì nel 1644 che il livello del mercurio contenuto in un tubo, chiuso ad un'estremità, capovolto e rovesciato in una vaschetta di mercurio, si abbassava solo parzialmente perché era controbilanciato dalla pressione dell'aria sulla vaschetta. Egli scoprì anche che l'altezza della colonna di mercurio variava, alla medesima altitudine, al variare della temperatura. Grazie a questa osservazione, fu possibile successivamente mettere a punto il termometro a mercurio. Al livello del mare, alla temperatura di 0°C e alla latitudine di 45°, il livello del mercurio nella colonnina si mantiene ad una altezza di circa 76 cm, mentre sulla cima di una montagna alta 2500 metri si attesta al livello di soli 57 cm. Un esperimento torricelliano senza mercurio • L'uso del mercurio, denso circa 14 volte più dell'acqua, consentì a Torricelli di operare con tubi di lunghezza inferiore ad un metro. • Onde evitare le difficoltà operative e sanitarie connesse al mercurio si potrebbe, per così dire, “pesare l'aria con l'acqua”. Materiale occorrente per il barometro ad acqua del “Vitruvio” e risultati attesi • Un tubo di plastica trasparente di 13 metri e di diametro pari a 1cm. Il diametro interno è di 8 mm) • Acqua addizionata di colorante • Due rubinetti a chiusura ermetica • Una bacinella di raccolta. Risulati attesi: Poiché il peso specifico dell'acqua è circa quattordici volte inferiore a quello del mercurio a livello del mare ci attendiamo che compiuto l'esperimento la pressione atmosferica faccia scendere la colonnina d'acqua nel tubo ad un'altezza pari a 10,33 metri. All'altitudine di Avezzano 700m s.l.m ci si aspetta un'altezza della colonnina d'acqua inferiore a 10 metri Gradiente e pressione atmosferica Quota e variazione di pressione Descrizione dell'esperienza • Dopo averlo opportunamente graduato (fra i 9 metri e i 10,33 metri) Fissiamo, con fascette o cravatte, il tubo di plastica al corrimano della scala A del Liceo Scientifico, sfruttando così l'altezza della tromba delle scale. • Attappiamo l'estremità inferiore del tubo immersa in una bacinella d'acqua. • Riempiamo dall'estremità superiore il tubo con acqua colorata fino alla sua estremità superiore • Attappiamo l'estremità superiore. • Operando con le mani nella bacinella di raccolta stappiamo il tappo dell'estremità inferiore del tubo. • La lettura del livello dell'acqua nel tubo ci fornisce il peso dell'aria, cioè la pressione atmosferica Esperimento di tipo torricelliano. Gaspar Schott, Technica curiosa, sive, Mirabilia artis, Würzburg 1664 Il vuoto torricelliano • Torricelli si convinse infatti che la parte superiore chiusa del tubo lasciata libera dalla discesa del mercurio doveva essere vuota. Era la prima volta che il vuoto veniva affermato non su base puramente speculativa ma col sostegno di una convincente evidenza sperimentale. Naturalmente, il vuoto torricelliano non era un vuoto perfetto, perché nello spazio del tubo lasciato libero per la discesa del mercurio rimanevano i vapori del metallo. Bastarono tuttavia dieci anni perché, grazie all'invenzione delle pompe da vuoto, si riuscisse a creare livelli via via più spinti di vuoto, favorendo in tal modo lo sviluppo delle attività sperimentali. Diversi tipi di vuoto Oggi si distinguono vari tipi di vuoto: il vuoto industriale, corrispondente a 0,1 mmHg (1mmHg=1millimetro di mercurio); il vuoto medio fino a 10-1 mmHg; l'alto vuoto fino a 10-7; e infine l'ultra vuoto, inferiore a 10-7 mmHg. Particolarmente complesse sono le procedure per produrre gli ultravuoti fino a 10-15 mmHg, necessari per il funzionamento delle macchine acceleratrici a fasci collidenti. Tuttavia anche questi vuoti sono di gran lunga inferiori al vuoto interstellare, che contiene meno di un atomo per cm3. Esperimento di tipo torricelliano. Gaspar Schott, Technica curiosa, sive, Mirabilia artis, Würzburg 1664. Scrive Torricelli: «Confermava il discorso l'esperienza fatta nel medesimo tempo col vaso A e con la canna B, nei quali l'argento vivo si fermava sempre nel medesimo orizzonte AB, segno quasi certo che la virtù non era dentro; perché più forza averebbe avuto il vaso AE, dove era più robba rarefatta ed attraente, e molto più gagliarda per la rarefattione maggiore che quella del pochissimo spatio B. Ho poi cercato di salvar con questo principio tutte le sorte di repugnanze che sentono nelli varii effetti attribuiti al vacuo, ne vi ho fin'hora incontrato cosa che non cammini bene». Pascal e la conferma dell’esperimento di Torricelli • Una delle conferme decisive dell'influenza della pressione atmosferica venne offerta dal cosiddetto esperimento del "vuoto nel vuoto", realizzato nel 1648 con diverse modalità da Roberval, da Adrien Auzout, dallo stesso Pascal e, successivamente, dagli Accademici del Cimento e da Robert Boyle. Si scoprì, infatti, che, se l'esperimento torricelliano veniva realizzato in un ambiente vuoto, il mercurio non restava in sospensione ma discendeva completamente nella bacinella. Si osserva inoltre che, reimmettendo aria, il mercurio tornava a salire nel tubo. Per confermare l'esperimento di Torricelli, Blaise Pascal concepì nel 1648 una prova risolutiva. Fece portare un barometro sulla sommità del Puy de Dôme, nel Massiccio Centrale della Francia, dove il livello della colonna di mercurio risultò più basso di alcuni pollici rispetto alla pianura. Pascal interpretò correttamente questa variazione come conseguenza della diminuzione della pressione per l'altitudine. Variazione del tubo torricelliano ordinario per l'esperienza del vuoto nel vuoto. Pascal, Traitez de l'equilibre des liqueurs, et de la pesanteur de la masse de l'air, Parigi 1663 Esperienze sul peso dell'aria. Daniello Bartoli, La tensione e la pressione disputanti qual di loro sostenga l'argento vivo ne' cannelli dopo fattone il vuoto, Roma 1677 La legge di Stevino (∆p=ρgh) e i vasi comunicanti Le esperienze di Magdeburgo • Otto von Guericke mise a punto, intorno al 1655, una pompa che poteva estrarre l'aria da recipienti a tenuta. Grazie a questo nuovo strumento, von Guericke poté allestire a Magdeburgo, nel 1657, una spettacolare esperienza alla quale assisté un enorme numero di concittadini. Egli dimostrò che il peso dell'aria spingeva l'una contro l'altra due calotte emisferiche perfettamente combacianti (entro le quali era stato fatto il vuoto con la pompa pneumatica), con tale forza che occorrevano due tiri contrapposti di 16 cavalli per separarle. Von Guericke intuì che il peso dell'aria costituiva una forza utilizzabile per compiere lavoro, ad esempio per sollevare pesi, avviando così un filone di ricerche che porterà alla macchina a vapore di James Watt (17361819). Pompa pneumatica di Otto von Guericke. Otto von Guericke, Experimenta Nova (ut vocantur) Magdeburgica De Vacuo Spatio, Amsterdam 1672 Esperienza degli emisferi di Magdeburgo. Gaspar Schott, Mechanica hydraulicopneumatica, Würzburg 1657 Boyle e la pompa aspirante • Robert Boyle perfezionò notevolmente la pompa aspirante di von Guericke favorendo in tal modo le attività di sperimentazione sul peso dell'aria e sul vuoto. Lo stesso Boyle, servendosi di campane di vetro evacuate grazie alla pompa, realizzò un gran numero di esperienze fondamentali. Secondo i contestatori del vuoto, il suono di un campanello in ambiente vuoto non sarebbe risultato percepibile. Viceversa, le prime esperienze compiute nel tubo torricelliano sembravano dimostrare il contrario. Boyle dimostrò per primo che, evacuando una campana di vetro nella quale era posto un campanello, effettivamente non si riusciva a percepirne più il suono. Analoga suggestione e valore presentavano altre esperienze, come quella del fumo che non sale ma viceversa scende nel vuoto, e quella dell'acqua che bolle a temperatura ambiente nel vuoto. Pompa pneumatica di Boyle. Robert Boyle, New Experiments PhysicoMechanicall, Touching the Spring of the Air and its Effects, Oxford 1660 Il suono nel vuoto. Robert Boyle, New Experiments PhysicoMechanicall, Touching the Spring of the Air and its Effects, Oxford 1660 Esperienze con campane di vetro nella quali è stato prodotto il vuoto. Robert Boyle, New Experiments Physico-Mechanicall, Touching the Spring of the Air and its Effects, Oxford 1660 Incredibili vesciche che si gonfiano • Particolarmente spettacolare e convincente risultava, quando si faceva il vuoto nella campana, anche il misterioso gonfiamento di vesciche precedentemente svuotate d'aria. La poca aria residua in esse, non essendovi più il contrasto della pressione atmosferica, bastava infatti a gonfiarle. Reimmettendo l'aria nella campana, le vesciche tornavano sgonfie. La legge di Boyle • Il contesto storico in cui venne formulata la legge di Boyle si colloca all'interno di quella grande serie di esperimenti che seguirono lo storico e famosissimo esperimento condotto da Evangelista Torricelli nel 1644 a seguito del quale si scoprì la pressione atmosferica e gli scienziati cominciarono ad interessarsi allo studio dell'aria e dei gas. Fu infatti nell'eseguire esperimenti di compressione di una certa massa d'aria che Boyle scoprì la legge che porta il suo nome. Il contributo di Mariotte A titolo di curiosità si segnala che nel formulare la sua legge, Boyle non specificò che la temperatura dovesse essere mantenuta rigorosamente costante, condizione necessaria perché la relazione pV = costante sia effettivamente verificata. Egli diede infatti per scontata una tale precauzione, tuttavia il fisico francese Edme Mariotte (1630- 1684), che scoprì indipendentemente la stessa legge, specificò chiaramente che la temperatura dovesse essere mantenuta costante e per questa ragione nell'Europa continentale la legge di Boyle circola spesso col nome di legge di Mariotte. I gas perfetti e la natura • Le legge di Boyle (1662) o legge dell'isoterma afferma che per un gas ideale a temperatura T costante il prodotto della pressione (assoluta) p per il volume V è costante, cioè in formule pV = costante (per T costante) o, il che è lo stesso, pV = p0V0 (per T costante), se con p0 e V0 si indicano rispettivamente la pressione iniziale e il volume iniziale del gas. In altre parole, le relazioni precedenti esprimono che a temperatura costante (per esempio quella ambiente) dimezzando il volume a disposizione di una certa massa di gas la sua pressione raddoppia e, viceversa, raddoppiando il volume, la pressione del gas si dimezza. Un'esperienza di laboratorio per illustrare la legge di Boyle Gas ideali e gas in natura E' importante sottolineare che, dal momento che un gas ideale non esiste in natura, per i gas reali la legge di Boyle non vale sempre proprio perché il gas è reale e non ideale. Tuttavia nelle scienze applicate l'aria, per esempio, può considerarsi un gas ideale nei limiti di errore dell'1% alla temperatura ambiente e per pressioni fino a 25 atmosfere e lo stesso margine d'errore vale con pressione di una atmosfera fino a 95° C. Di fatto un gas reale può essere trattato come un gas ideale quanto più si è nelle condizioni di pressione sufficientemente bassa e di temperatura alta rispetto a quella per cui si avrebbe condensazione in relazione ad un fissato valore della pressione. Un possibile esperimento sulla legge di Boyle da realizzare a scuola La caduta dei gravi nel vuoto • Galileo affermò per primo che i corpi, di qualunque materia, peso e volume, cadono tutti dalla quiete con la medesima velocità. Le prove sperimentali mostravano, tuttavia, come i corpi più pesanti giungessero al suolo con un buon anticipo rispetto ai più leggeri. Grazie alla messa a punto di strumenti per produrre agevolmente il vuoto, alla fine del Seicento venne costruito un ingegnoso apparato sperimentale che consentì finalmente di dimostrare che Galileo aveva ragione. In un tubo di vetro, evacuato mediante una pompa, venivano fatte cadere simultaneamente una piuma e una moneta d'oro (una ghinea inglese): i due corpi, nonostante il loro peso così diverso, giungevano insieme alla base del tubo. Apparato sperimentale per la caduta dei gravi nel vuoto. Jean Antoine Nollet, Leçons de physique expérimentale, Parigi 1743-1748 La rivoluzione nelle scienze baconiane Elettricità e magnetismo nel XIX secolo Scienze classiche e baconiane: una distinzione introdotta da Kuhn (1975) con riferimento alla Rivoluzione Scientifica Saggio III (1975) intitolato: “Tradizioni matematiche e tradizioni sperimentali nello sviluppo delle scienze fisiche” pag. 42: “Le scienze fisiche classiche” [matematiche] pag. 48 “L’emergere delle scienze baconiane” [empiriche] Tradizioni matematiche: le scienze classiche • Astronomia, meccanica, moto locale, ottica geometrica, acustica, caratterizzate da una trattazione matematica fin dall’antichità • Ulteriormente sviluppate con linguaggio matematico durante la Rivoluzione Scientifica La scienze baconiane •Francis Bacon (1561-1626) iniziatore della tradizione empirica inglese •Limiti della ragione e conseguente valorizzazione dello studio empirico della natura, compilazione di VASTI RESOCONTI SPERIMENTALI in vari settori, tra cui: Scienze fisiche [Kuhn concentra l’attenzione su queste]: –Chimica –Calore –Magnetismo –Elettricità La rivoluzione nella scienza dell’elettricità e del magnetismo • Un percorso storico in 5 fasi: • a) la fase baconiana nel seicento e settecento, culminante con la formulazione della legge di Volta nel 1784 e di Coulomb nel 1785 • b) gli sviluppi della teoria matematica del potenziale • c) la scoperta della pila, le esperienze di Oersted e le leggi di Biot-Savart e di Ohm • d) l'opera di Ampère e lo sviluppo dell'elettrodinamica, cioè il filone newtoniano nell'elettromagnetismo • e) lo sviluppo delle idee di Faraday e Maxwell in Inghilterra e della teoria dell'azione a contatto Galvani e l'elttericità animale Gli esperimenti di Galvani Volta e l'elettricità animale Ipotesi sull'elettricità La memoria del 1792 La controversia Galvani-Volta. Galvani e le contrazioni senza metallo La replica di Volta La controversia continua Le pile di Volta: la pila a colonna e la corona di tazze Il paradigma newtoniano • Il quadro concettuale nel quale si collocavano gli studi sull’elettricità era quello newtoniano che si era affermato a partire dalla scoperta della gravitazione universale (Newton, 1687). Al di là dell'aspetto matematico (proporzionalità tra masse che interagiscono e dipendenza dall'inverso del quadrato della distanza tra i loro centri), questa legge • • sottintende che: • 1) l'azione tra le due masse è rettilinea, avviene cioè lungo la retta che unisce i centri delle stesse; • 2) l'azione è a distanza, non ha cioè bisogno di intermediari per agire tra le due masse; • 3) l'azione è istantanea, non richiede cioè tempo per propagarsi (essa si propaga quindi con velocità infinita). Forze magnetiche e forze elettriche • Tutto il Settecento visse sotto l'autorevole influsso di Newton e quindi alla ricerca di azioni del tipo di quelle descritte. Così John Michell nel 1750 provò a dare una stessa legge per le forze che si esercitano tra poli magnetici • (proporzionalità tra 'poli' che interagiscono e dipendenza dall'inverso del quadrato della loro 'distanza'), legge che non funziona, e Coulomb ricavò (1784) la legge di forza tra cariche elettriche • (proporzionalità tra cariche che interagiscono e dipendenza dall'inverso del quadrato della distanza tra i loro centri), legge che funziona solo a certe condizioni: cariche puntiformi, a grande distanza, …. Insomma tutti i fisici tentavano di trovare leggi alla Newton e nel far ciò avrebbero certamente disposto i loro strumenti di misura 'tra' i due oggetti che andavano ad interagire. La legge di Coulomb • “In una memoria presentata all'Accademia nel 1784, - scrive Coulomb - ho sperimentalmente determinato le leggi della forza di torsione di un filo di metallo, e ho trovato che questa forza è direttamente proporzionale all'angolo di torsione, alla quarta potenza del diametro del filo di sospensione ed è inversamente proporzionale alla sua lunghezza; il tutto moltiplicato per un coefficiente costante che dipende dalla natura del metallo e che si può facilmente determinare sperimentalmente” Gli strumenti: bilancia di torsione, bottiglie di Leida (condensatori), elettroscopio La scuola francese e la teoria matematica del potenziale. Funzioni continue nelle variabili spaziali. Equazioni differenziali. L’uso del continuo matematico in fisica, se da un lato permetteva l’applicazione di strumenti matematici sempre più efficaci, dall’altro era in contrasto con la nozione particellare su cui si fondava l’interpretazione newtoniana. In questo contesto, la funzione potenziale V, definita in linea di principio in qualunque punto dello spazio che circonda i punti materiali, o le particelle dei fluidi elettrici e magnetici, non poteva che essere vista come mero artificio formale. La duplice interpretazione: azioni a distanza; azioni per contatto. • Nel 1820 una esperienza apparentemente innocua realizzata dal fisico danese Oersted (il quale vi lavorò per ben 9 anni, guidato dal presupposto del 'conflitto di forze' della Naturphilosophie tra i cui massimi rappresentanti vi erano Schelling e Goethe) aveva portato un grande scompiglio nella fisica. Per la prima volta, dopo più di 130 anni di rassicuranti azioni 'rettilinee a distanza', veniva evidenziata una azione totalmente differente: un filo conduttore, se disposto parallelamente ad un ago magnetico, vede l'ago ruotare di 90º e disporsi perpendicolarmente al filo, quando in esso viene fatta circolare corrente. Questo tipo di azione si svolge su di un piano perpendicolare alla congiungente filo - ago e consiste in una rotazione dell'ago medesimo risultando, come dice Oersted, 'circolare'. Elettricità e magnetismo: l’esperienza di Oersted Le conclusioni di Oersted: Experimenta circa effectum conflictus electrici in acum magneticum (1820) • Oersted, nel condurre l'esperienza, muove l'ago nello spazio circostante il filo e si accorge che, se la rotazione avviene in un senso con l'ago disposto sotto il filo, essa avviene in senso opposto se si dispone l'ago sopra il filo. Per Oersted quindi, le forze magnetiche sono distribuite nello spazio che circonda il filo e, data la simmetria degli spostamenti dell'ago, conclude che le forze magnetiche sono costituite da cerchi "poiché è nella natura dei cerchi che movimenti da parti opposte debbano avere opposte direzioni" (oggi diremmo che le linee di forza del campo magnetico intorno ad un filo rettilineo percorso da corrente, sezionando il filo con un piano ad esso perpendicolare, hanno la forma di circonferenze concentriche al filo). Conclusioni di Oersted • « ... Il conflitto elettrico non è racchiuso nel conduttore ma, come abbiamo già detto, è al medesimo tempo disperso nello spazio circostante, e ciò è ampiamente dimostrato da tutte le osservazioni fin qui fatte... ». • Riferendosi poi all'effetto di simmetria da lui riscontrato nel disporre l'ago magnetico al di sopra o al di sotto del filo percorso da corrente dice: • « ... In maniera simile è possibile dedurre da quanto abbiamo osservato che questo conflitto agisce circolarmente perché questa sembra essere una condizione senza la quale è impossibile che la medesima parte del filo di congiunzione, che quando sta sotto il polo magnetico lo fa spostare ad est, lo fa spostare invece ad ovest quando è posta sopra di esso. Perché è nella natura dei cerchi che moti in parti opposte abbiano direzioni opposte... ». Elettricità e magnetismo in Francia • Subito partirono, soprattutto dalla Francia di Ampère, Biot, Savart, …, studi e ricerche che tentarono di ricondurre quella stessa azione circolare alla Oersted nell'ambito di quelle rettilinee alla Newton. Su questa strada, in tempi brevissimi si conseguirono risultati di notevole importanza. Arago osservò che un disco di rame in rotazione ha effetti su un ago magnetico; Biot e Savart dimostrarono sperimentalmente che in prossimità di un conduttore rettilineo la 'forza' varia in ragione inversa alla distanza; μ0 i B= ⋅ 2π r Laplace, la legge di Biot e Savart e l’azione a distanza • Scrive Biot: “... Egli( Laplace) ha dedotto matematicamente dalle nostre osservazioni la legge della forza esercitata singolarmente da ogni tratto di filo su ogni molecola magnetica ad esso esposta. Questa forza è diretta, come l'azione totale, perpendicolarmente al piano formato dall'elemento longitudinale di filo e dalla più breve distanza tra questo elemento e la molecola magnetica sollecitata. La sua intensità, come nelle altre azioni magnetiche è inversamente proporzionale al quadrato di questa stessa distanza » • Come si vede, anche questa è una legge che ha una grande analogia formale con quella di Coulomb e quella di Newton: l'andamento con l'inverso del quadrato della distanza ed il riconoscimento stesso di un'azione a distanza bastano per ora a far intravedere la presenza rassicurante di Newton e ad allontanare lo spettro delle forze «disordinate» ed « in permanente conflitto ». Newtoniani a oltranza • Arago scoprì che un conduttore avvolto ad elica (solenoide) agisce come un magnete; Arago (e Davy) osservarono la magnetizzazione di limatura di ferro mediante il passaggio di corrente attraverso un conduttore posto nelle vicinanze; Ampère scoprì l'azione elettrodinamica tra correnti, ricavandone una legge elementare dipendente dagli angoli che tali correnti formano tra loro • (egli era cosciente del fatto che la legge da lui trovata era discutibile proprio per quella sua dipendenza da angoli e prima di morire lasciò uno scritto in cui sosteneva che il suo scopo di completa riduzione dell'esperienza di Oersted ad azioni di tipo newtoniano sarebbe stato raggiunto quando si fosse trovata una qualche legge elementare tra 'molecole' elettriche dipendente dalla loro velocità); André Marie Ampére: Annales de Chimie et de Physique (1820) • “I due conduttori si trovano così paralleli e vicini l'un l'altro su di un piano orizzontale; uno di essi può oscillare intorno alla linea orizzontale passante per le estremità dei due punti di acciaio, e, in questo movimento, esso resta necessariamente parallelo all'altro conduttore (che è) fisso…” • Ampére inizia a studiare due conduttori rettilinei disposti parallelamente ed in grado di muoversi parallelamente l'uno rispetto all'altro. In questo caso si ha attrazione o repulsione (a seconda del verso delle correnti nei due fili). F=K i 1⋅i 2⋅l d Ampère: Mémoire sur la théorie mathématique des phénomenes éléctrodinamiques uniquement déduite de l’expérience (1826) Ampére interpreta l’esperienza di Oersted in termini di azioni a distanza rettilinee • Il problema che Ampére aveva bene in mente era però quello della rotazione dell'ago magnetico di Öersted ed allora egli monta l'esperienza in modo da avere un filo rettilineo fisso ed un altro in grado di ruotare su di un piano parallelo al primo: • «... Se il conduttore mobile, invece di essere costretto a muoversi parallelamente a quello fisso, è libero soltanto di girare su di un piano parallelo a questo conduttore fisso, intorno ad una perpendicolare comune passante per i loro centri, è chiaro che, secondo la legge che abbiamo appena ammesso per le attrazioni e repulsioni delle correnti elettriche, le due metà di ogni conduttore attireranno e respingeranno quelle dell'altro, secondo che le correnti siano concordi o discordi; per conseguenza il conduttore mobile girerà fino a quando esso arriva in una situazione in cui si trovi parallelo a quello fisso, e in cui le correnti siano dirette nello stesso senso: da cui segue che nell'azione mutua di due correnti elettriche l'azione direttrice e l'azione attrattiva o repulsiva dipendono da uno stesso principio e non sono che effetti differenti di una sola e medesima azione ». Ampére: elettricità e magnetismo • « E' cosi che si arriva a questo risultato inatteso, che i fenomeni magnetici sono unicamente prodotti dalla elettricità... ». • Ecco allora su quali ipotesi Ampère trova la legge di forza tra correnti: il magnete è pensato come un insieme di correnti elettriche nei piani perpendicolari alla linea che unisce i poli. Questa ipotesi è dunque necessaria ad Ampère per ricavare l'azione ponderomotrice tra correnti, per rendere conto dell'esperienza di Öersted e, infine, per ricondurre le «forze in conflitto » all'ordine newtoniano. La spiegazione “newtoniana” dell’esperimento di Oersted • L'introduzione di questa ipotesi spiega bene il perché, contrariamente a due fili percorsi da corrente che tendono a sistemarsi parallelamente, un ago magnetico tende a disporsi perpendicolarmente ad un filo percorso da corrente. Quest'ultimo fenomeno è in realtà analogo a quello dei due fili: sono le correnti che circolano perpendicolarmente al filo e nel far questo portano l'asse del magnete ad essere perpendicolare al filo stesso Ampére e il paradigma newtoniano: dalle parti al tutto • Ampère si rende subito conto però che non è possibile ricavare la legge di forza tra due correnti se non passando attraverso elementi infinitesimi di circuito ed infatti egli trova che: • « ... L'azione di quelle [correnti] delle quali si possono misurare gli effetti, è la somma delle azioni infinitamente piccole dei loro elementi, somma che si può ottenere con due integrazioni successive, l'una da farsi su tutta la lunghezza di una delle correnti relativamente ad uno stesso punto dell'altra, la seconda da eseguirsi sul risultato della prima integrazione ... su tutta l'estensione della seconda corrente... ». • L'espressione della legge che regola l'azione che si esercita tra due correnti elettriche ha il carattere di azione istantanea a distanza tipico della fisica newtoniana. È questo un trionfo di Ampère. Gli studi di Ohm • "L'intensità di corrente in un circuito è direttamente proporzionale alla tensione ad esso applicata ed inversamente proporzionale alla resistenza del circuito stesso". La sua espressione matematica è: • I=V/R L’elettromagnetismo in Gran Bretagna • Ben diversa fu l'accoglienza che l'esperienza di Oersted ebbe in Gran Bretagna. Nel 1821 Richard Phillips, direttore degli Annals of Philosophy, chiese al giovane assistente di Davy e suo amico, Michael Faraday, di fare, per la rivista, una rassegna storica di tutti gli esperimenti e teorie dell'elettromagnetismo che erano apparsi dopo Oersted (è opportuno a questo punto ricordare che in accordo con il riduzionismo di Ampère - magnetismo prodotto da elettricità, anche a livello di struttura 'molecolare' della materia - nel continente entra in uso il termine 'elettrodinamica'; anche per sottolineare un approccio diverso al problema, in Gran Bretagna, gli stessi fenomeni sono designati con il termine 'elettromagnetismo'). Faraday e le azioni circolari • Ma Faraday, nel realizzare il suo lavoro, ebbe modo di ripetere molte delle esperienze che trovava descritte nella letteratura e la cui redazione non lo soddisfaceva; ebbe modo di valutare i pregi e le idee oscure di ogni singola teoria proposta; in particolare non lo convinceva la spiegazione teorica che Ampère dava dell'esperienza di Oersted. Egli, in nessun modo, riusciva a convincersi che le azioni tra filo conduttore e magnete potessero essere rettilinee, istantanee ed a distanza. L'aspetto che più lo colpiva nell'esperienza di Oersted erano gli effetti di simmetria che balzavano immediatamente agli occhi: se l'ago era disposto sotto il filo la rotazione dell'ago avveniva in un senso; sopra il filo la rotazione si realizzava in verso opposto. Su ciò concentrò il suo lavoro fino a realizzare una esperienza in cui, se possibile, le azioni circolari erano portate ad una evidenza ancora maggiore. • Con l'apparato sperimentale in figura, riuscì a realizzare il moto circolare di un magnete intorno ad una corrente e, simultaneamente, di un filo percorso da corrente intorno ad un magnete. L'apparato è costituito da due coppe di vetro ; all'interno delle coppe vi è del mercurio che permette la chiusura del circuito mediante un contatto strisciante (il conduttore rigido si muove mantenendo il contatto elettrico con il mercurio); i conduttori che escono da sotto le coppe sono collegati ad una batteria; quando passa corrente il magnete della coppa di sinistra ed il conduttore della coppa di destra cominciano a ruotare vorticosamente intorno, rispettivamente, al conduttore fisso ed al magnete fisso. Sarebbe stato a questo punto più difficile mettere in discussione le azioni circolari. Faraday e la dimostrazione sperimentale dell’azione circolare L’apparato sperimentale di Faraday per la dimostrazione delle azioni circolari L’induzione elettromagnetica • Faraday, nel 1831, scoprì l'induzione elettromagnetica: un magnete mosso in prossimità di un circuito non alimentato provoca in esso il passaggio di corrente. Non si trattava di un fenomeno semplice da evidenziare: chissà quante volte Faraday aveva mosso un magnete vicino ad un circuito! Il fatto è che il fenomeno è evidente solo durante il moto relativo di magnete e circuito elettrico. Solo quando c'è una variazione di una qualche grandezza nella fase transitoria. E di questo Faraday si rese ben conto fino a progettare l'esperienza in figura: all'apertura o chiusura del circuito B, mediante il tasto T, il galvanometro G segna passaggio di corrente (se in un dato verso all'apertura, in verso opposto alla chiusura). E' la prima evidenza chiara di un nesso tra corrente elettrica, magnetismo e movimento (o variazione di una data situazione). Faraday, l’elettrolisi, il monopolo elettrico e la critica dell’azione a distanza fra centri di forza • Nel 1832 Faraday intraprende una nuova serie di ricerche sperimentali con le quali si propone di dimostrare l'identità di tutti i tipi di elettricità. Qui si deve scontrare con l'elettrolisi, sulla quale lavora molto. Questo fenomeno era stato spiegato brillantemente con la teoria dell'azione a distanza, essendo i poli della cella voltaica i centri delle forze attrattive e repulsive che agiscono su 'pezzi' di molecole. • Egli si sbarazzò dapprima dei poli facendo avvenire la dissociazione elettrolitica senza l'uso dei due poli che si ritenevano indispensabili. Provocò questa dissociazione con vari apparati sperimentali che si servivano di un solo polo, mostrando nel contempo l'identità dei vari tipi di corrente, quella voltaica, quella elettrostatica ecc. • Nella figura (a) è rappresentato un generatore elettrostatico ad un solo polo che si scarica su strisce di carta imbevute di una soluzione salina (si provoca la decomposizione della soluzione e simultaneamente si ha flusso di corrente); nella figura (b) viene suggerito l'uso di un solo polo di una batteria voltaica per far avvenire la decomposizione in a di una soluzione salina di cui è imbevuta la striscia di carta (indicata con b); il circuito non è infatti chiuso sul polo positivo ma è interrotto nel punto e per cui Faraday fa circolare corrente riscaldando l'aria nel tratto in cui il circuito è interrotto. In ambedue questi casi non vi sono due terminali, o poli, che provocano la dissociazione della soluzione: viene così meno l'indispensabilità dei poli medesimi. Ed eliminati i poli sono eliminati i supposti centri di forza Il monopolo elettrico L’azione per contatto e la trasmissione della forza elettrostatica • Negli anni seguenti, fino al 1837, studia essenzialmente fenomeni elettrolitici. E proprio nel '37 inizia una serie di ricerche finalizzate ad evidenziare l'azione a contatto anche in elettrostatica ('l'induzione di particelle contigue' come dice Faraday). L'idea che lo guidava e sulla quale voleva indagare era la seguente: se la trasmissione della forza elettrostatica dovesse dipendere dalle particelle del mezzo attraverso cui passa la forza, allora queste particelle dovrebbero esse stesse avere un qualche effetto sulla forza medesima (ad esempio: sulla capacità, sulla costante della legge di Coulomb, …) La costante dielettrica • Con l'apparato in figura si mise ad indagare quali effetti provocava l'introduzione di dielettrici differenti (dapprima gas, quindi liquidi e solidi) nella parte compresa tra le due sfere di figura. La prima importante scoperta che ne conseguì fu che quando nello spazio tra le due sfere (i due elettrodi) si disponeva un dielettrico e la differenza di potenziale si manteneva constante, della carica elettrica affluiva sul dielettrico originandone la polarizzazione. Nel far questo Faraday definì la constante dielettrica relativa e fornì, quindi, un metodo per distinguere isolanti da conduttori in base alla proprietà delle relative molecole di rimanere polarizzate o meno. Faraday: le linee di forza • Egli può quindi concludere che, come nel caso elettrochimico, l'energia coinvolta nel processo la si ritrova nel mezzo esistente tra le cariche elettrostatiche "ed è un'azione di particelle contigue del dielettrico, messe in uno stato di polarità e tensione ed in mutua relazione mediante le loro forze in tutte le direzioni" inoltre, prosegue, "l'intera azione … non si esercita meramente lungo linee qualunque che possono essere concepite attraverso il dielettrico tra la superficie inducente e quella indotta". Anche qui, quindi, Faraday si sbarazza dei supposti poli ed a questo punto introduce il concetto di linee di forza ("un temporaneo modo convenzionale di esprimere la direzione lungo cui agisce la forza nei casi di induzione"), dando una immagine mediante esse di quanto trovato, afferma che queste ultime si fanno più fitte nel dielettrico quando lo sottoponiamo all'azione di una forza elettrica. Ed aggiunge che le stesse forze elettriche sono originate da uno stato di tensione delle linee di forza ('lo stato elettrotonico') ribadendo quindi con maggior forza che i fenomeni elettrostatici risiedono nel mezzo interposto piuttosto che nei supposti poli. Faraday : lo stato “elettrotonico” • Lo 'stato elettro-tonico' viene introdotto da Faraday, con le solite cautele, nel 1831. Egli afferma " questo peculiare stato è come se fosse uno stato di tensione, e può essere considerato come equivalente ad una corrente elettrica, almeno uguale a quella prodotta quando si crea o si annulla una induzione". • In altri termini, "è come se vi fosse una membrana elastica in tensione nelle vicinanze di un corpo elettrizzato e specialmente di un magnete. Alle variazioni della tensione dello stato elettrotonico Faraday collegava lo scatenarsi di correnti indotte che si hanno nelle vicinanze di un magnete in movimento" Prove dell’azione per contatto • Altre prove che in quell'anno e nel successivo Faraday portò a sostegno dell'azione a contatto furono: • 1) nei fenomeni elettrolitici gli elettrodi si ricoprono interamente delle sostanze decomposte; questo fatto non può essere in alcun modo spiegato con l'azione a distanza; in quest'ultimo caso, infatti si dovrebbero ricoprire solo quelle parti degli elettrodi che risultano affacciate tra loro; • 2) la stessa cosa vale per i fenomeni elettrostatici: quando infatti avviciniamo un bacchetta ad una sfera per caricarla mediante induzione, se poniamo un elettrometro nella zona d'ombra della sfera (cioè: dietro la sfera, dalla parte opposta della bacchetta), questo segna la presenza di carica indotta anche in quella parte di spazio che, secondo la teoria dell'azione a distanza, non sarebbe in alcun modo raggiungibile. • Le conclusioni che Faraday ne trasse sono che le azioni si propagano per linee curve originate dallo stato elettrotonico dello spazio in tensione che sottopone a sforzo le molecole interposte. E' quindi un effetto di volume sulle molecole che ne provoca la disposizione su linee curve lungo, appunto, le linee di forza. A Speculation Touching Electric Conduction and the Nature of Matter (1844) • "Senza dubbio i centri di forza variano nella loro distanza reciproca, ma quella che è la vera e propria materia di un atomo tocca la materia dei suoi vicini. Quindi la materia sarà continua ovunque, e quando consideriamo una massa di essa non dobbiamo pensare alcuna distinzione tra i suoi atomi e gli spazi interposti. Le forze intorno ai centri danno loro le proprietà di atomi di materia; e sempre queste forze, quando molti centri sono raggruppati in una massa dalle loro forze attrattive, danno ad ogni parte di quella massa la proprietà di materia". • Quindi niente più materia ma forze che, dove hanno una 'densità' maggiore forniscono la sensazione di materia. Di conseguenza niente più atomi e vuoto, ma continuità ovunque. Sarà poi la disposizione peculiare dell'atmosfera di forza intorno ai centri che permetterà al punto atomo di avere particolari comportamenti fisico - chimici (lo renderà cioè o polare, o magnetico, o come si vuole) Verso una teoria del campo • "Questa concezione della costituzione della materia sembrerebbe condurre necessariamente alla conclusione che la materia riempie tutto lo spazio o, almeno, tutto lo spazio a cui si estende la gravitazione (includendo il Sole ed il sistema solare); poiché la gravitazione è una proprietà della materia dipendente da una certa forza, ed è questa forza che costituisce la materia.In questa concezione la materia non è solo mutuamente compenetrabile, ma ciascun atomo si estende, per così dire, attraverso l'intero sistema solare, pur conservando il proprio centro di forza". Thoughts on Ray-vibrations (1846): luce ed elettricità • " Il considerare la materia mi indusse gradualmente a guardare le linee di forza come probabile sede delle vibrazioni dei fenomeni radianti. Un'altra considerazione, che porta ugualmente all'ipotetica idea di coesistenza di materia e radiazione, nasce dal confronto delle velocità con cui l'azione radiante e certe forze della materia vengono trasmesse … Si è mostrato mediante gli esperimenti di Wheatstone, che la velocità dell'elettricità è grande come quella della luce, se non più grande". • E qui egli riesce ad intravedere che un modo per mettere in evidenza l'eventuale identità tra luce e fenomeni elettromagnetici è il confrontarne le relative velocità. Ma come si propagherebbe la radiazione? " La mia concezione … considera la radiazione come una importante specie di vibrazione nelle linee di forza che uniscono tra loro particelle ed anche masse di materia. La mia concezione fa a meno dell'etere ma non delle vibrazioni" che da vari risultati sperimentali devono essere vibrazioni laterali e cioè trasversali. Sulle linee di forza • Nei lavori che seguirono egli scoprì e teorizzò le sostanze ferromagnetiche, paramagnetiche e diamagnetiche; su questa strada ebbe modo di chiarirsi meglio le idee sulle linee di forza magnetica fino ad arrivare alla convinzione che: " le linee di forza magnetica possono rassomigliare ai raggi di luce, al calore, ecc., e possono trovare difficoltà nel passare attraverso i corpi ed essere influenzate da essi allo stesso modo della luce". • Questa indagine sulle linee magnetiche di forza proseguì con una serie di lavori sperimentali del 1851 e 1852. Intanto, mediante un semplice circuito esploratore (un filo conduttore connesso con un galvanometro mosso vicino ad un magnete), era riuscito a rilevarne l'esistenza: si tratta di linee curve, continue e chiuse, senza poli né centri di azione; esse esistono sia nello spazio circostante il magnete che nel magnete stesso. E così Faraday scriveva: "dentro il magnete vi sono linee di forza esattamente uguali in forza e quantità a quelle fuori di esso, ma con direzione opposta …Ed in effetti ciascuna linea di forza è una curva chiusa, che in qualche parte del proprio percorso passa attraverso il magnete cui essa appartiene " ed aggiungeva " io propendo a considerare il mezzo esterno al magnete come altrettanto essenziale per il magnete: è esso infatti che collega l'una all'altra le polarità esterne per mezzo di linee di forza curve e fa si che esse non possano essere altro che curve". On Some Points of Magnetic Philosophy, 1855 • Uno degli ultimi lavori di Faraday, nel quale tentò di convincere i suoi contemporanei dell'erroneità della teoria dell'azione a distanza, è del 1855. Questo lavoro affronta il tema del campo in termini di conservazione dell'energia (che in quegli anni si era affermata con diversi e vari contributi e particolarmente con il lavoro di Helmholtz del 1847, Über die Erhaltung der Kraft , Sulla conservazione della forza) ed in esso si sostiene la necessità del campo perché altrimenti si arriverebbe all'assurdo di creazione o annichilamento di energia. Secondo la teoria di Newton, egli argomentava, due corpi che si attraggono (Sole e Terra, ad esempio) devono essere considerati separatamente come inerti, cioè a ciascun corpo non deve essere associata alcuna forza. Se ora facciamo interagire i due corpi essi si attraggono a seguito del fatto che si sarebbe creata nello spazio tra i due quella forza che li tiene uniti (si ricordi che l'azione alla Newton è istantanea e a distanza). Se invece tolgo uno dei due corpi che stanno interagendo annichilo una forza che precedentemente li teneva uniti. Questi fatti paiono assurdi e l'unico modo per spiegarli è ammettere l'ipotesi che ciascuno dei due corpi abbia una preesistente forza (oggi diremmo energia) che lo circonda e questa forza si diparte da questo corpo pervadendo l'intero spazio. Due corpi che si attraggono sono allora due corpi che fanno interagire le loro preesistenti linee di forza (i loro campi). Gauss e la sintesi dei risultati • I risultati degli studi su elettricità e magnetismo furono sintetizzati da Carl Fredrich Gauss (1777-1855) nei seguenti due teoremi, che stabiliscono i primi due principi fondamentali dell'elettromagnetismo: • 1) Un corpo carico produce nello spazio circostante delle linee di forza elettriche, il cui flusso attraverso una superficie chiusa è pari alla somma delle cariche poste al suo interno divisa per la costante dielettrica. • 2) Una corrente elettrica che circola in un conduttore produce delle linee di forza magnetiche attorno al conduttore, il cui flusso attraverso una superficie chiusa è sempre nullo. • La prima affermazione è detta Teorema di Gauss del campo elettrico, e matematicamente si può scrivere così: • • mentre la seconda viene detta anche Teorema di Gauss del campo magnetico: • • dove la lettera greca Φ indica il flusso attraverso la superficie S. Il primo teorema ha il seguente significato fisico: esiste il monopolo elettrico, cioè la carica elettrica singola, ed essa è sorgente di campo elettrico. Il secondo teorema ci dice invece che il campo magnetico è solenoidale, ovvero che le linee di forza sono sempre chiuse, e NON esiste il monopolo magnetico. James Clerk Maxwell (1831 - 1879) • Nel 1855 il giovane fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831 - 1879) iniziò ad occuparsi di elettromagnetismo. Egli disponeva dell'elaborazione matematica del metodo delle 'analogie' sviluppato da W. Thomson; conosceva bene i contributi di Weber all'elettrodinamica; conosceva la matematica di Green e Stokes; aveva studiato Helmholtz e la sua cinematica dei fluidi ed aveva, naturalmente, ben presente l'opera di Faraday. L'iter lungo cui si sviluppa il complesso della teoria del campo elettromagnetico di Maxwell è segnato da 3 memorie fondamentali e dal famoso Treatise on Electricity and Magnetism del 1873. La prima memoria: Matematizzare Faraday • La prima delle memorie di Maxwell, On Faraday's Lines of Force (1855), è un riconoscimento di difficoltà che un ricercatore incontra nel voler formalizzare la scienza elettrica. Questo ricercatore ha a disposizione, da una parte, la gran mole di risultati sperimentali che vengono continuamente sfornati e, dall'altra, la necessità di familiarizzarsi con una gran quantità di matematica molto complessa " la cui sola memorizzazione già di per sé interferisce materialmente con altre ricerche". Diversità di fenomeni e identità formale delle leggi • Il fatto che colpiva Maxwell era, da una parte, la completa diversità di due fenomeni come il moto uniforme del calore in un mezzo omogeneo (dove sembra esservi un'azione a contatto da particella a particella) e l'azione a distanza e, dall'altra, l'identità formale delle leggi matematiche che descrivevano i due fenomeni: basta solo sostituire sorgente di calore con centro di attrazione, temperatura con potenziale, ... Con questo apparato concettuale egli mostrò che alle concezioni di Faraday era possibile applicare gli stessi metodi matematici con i quali erano state trattate la teoria dell'elasticità e l'idrodinamica. (le equazioni differenziali alle derivate parziali). Ma ciò che fa un poco pensare è il fatto che una matematica nata per la descrizione di fenomeni punto per punto riesca a descrivere una azione a distanza (sembra che anche la matematica dia una mano al superamento delle differenze tra azioni a distanza ed a contatto). Analogie idrodinamiche e sviluppo di modelli • Se si associa a ogni linea di forza “un tubo sottile di sezione variabile in cui scorre un fluido incomprimibile”, allora “ poiché la velocità del fluido è inversamente proporzionale alla sezione del tubo, possiamo rendere la variazione della velocità rispondente a qualsivoglia legge, semplicemente regolando l’andamento della sezione del tubo”. • Dall’applicazione del modello idrodinamico Maxwell ricava due grandezze caratteristiche che chiama “quantità” e intensita” (successivamente le denoterà rispettivamente con “flussi” e “forze”), Le due grandezze stanno tra loro in relazione di proporzionalità tramite un fattore che corrisponde alla resistenza del mezzo materiale (F=KI). • In modo analogo Maxwell tratta il caso di quelli che in notazione moderna sono i campi magnetici B (“quantità”) e H (“intensità”) la cui relazione è H=KB, dove la “resistenza” K che li unisce non è altro che il reciproco di quella che oggi viene chiamata “permeabilità magnetica”. La seconda memoria On Physical Lines of Force (1861-1862) • Le linee di forza non sono più una mera rappresentazione di come le forze del campo sono distribuite; esse assumono ora un carattere fisico. Si tratta di linee immerse in un fluido elastico, (l'etere) sottoposto ad uno stress, ad uno stato di sforzo proprio per il fatto di trovarsi situato tra due polarità. La linea di forza viene allora pensata come una corda tesa, cioè in tensione, su cui si esercitano delle pressioni laterali, perpendicolari e di uguale intensità. In accordo con Thomson, è come il moto vorticoso di un fluido che nel suo realizzarsi espande il fluido nella zona equatoriale, mentre lo contrae ai poli (si pensi alla forma fusiforme di una tromba d'aria) per effetto delle forze centrifughe. In definitiva (figura) si tratta di vortici che si avvitano intorno alle linee di forza, che nascono con un piccolo diametro da un determinato polo e, dopo essersi dilatati lungo il cammino, muoiono sull'altro polo con lo stesso piccolo diametro di partenza. Il modello meccanico dei vortici e il carattere dipolare delle linee di forza • Questo modo di vedere le cose permette intanto di dare una spiegazione del carattere dipolare delle linee di forza: il verso di rotazione di un vortice è opposto se osservato dalle due estremità del suo asse. Ciò comportava però la rotazione nello stesso verso per vortici relativi ad una determinata espansione polare. Era una difficoltà. Infatti parti di vortici contigui devono annullare il loro moto nei punti di contatto perché in questi punti il moto si realizza in direzioni opposte. "Cos'è una corrente elettrica?" • Ma se questa è da una parte una difficoltà, dall'altra, sembra costruita ad arte perché il suo superamento permette a Maxwell, con una ulteriore elaborazione del modello meccanico, di rispondere alle domande che egli stesso si poneva: "Cos'è una corrente elettrica?" o, che è lo stesso, " Come può una concezione a vortici implicare una corrente?". È così che egli introduce le 'ruote inattive', uno strato di 'particelle' mobili in modo tale da trasferire il moto da vortice a vortice senza interferire con il moto stesso (fig. 8). In condizioni normali queste particelle sono effettivamente inattive, rotolando senza attrito con i vortici, quando invece vi è uno sforzo prodotto sul campo esse si trasferiscono da una parte all'altra, cominciando ad esercitare attrito con i vortici con la conseguente nascita dei fenomeni della resistenza elettrica e della produzione di calore. E tutto ciò in accordo con la conservazione dell'energia. In definitiva le ruote inattive esercitano un triplice ruolo: da una parte trasmettono il moto da vortice a vortice; dall'altra il loro moto di traslazione costituisce la corrente elettrica; da ultimo le pressioni tangenziali così messe in gioco rappresentano la forza elettromotrice. Il modello meccanico di Maxwell • Tutti i fenomeni elettromagnetici noti trovano una spiegazione mediante questo modello meccanico (riportato, come da Maxwell stesso disegnato, in fig. 9). I vortici di etere sono schematizzati come esagoni (il segno + all'interno di un dato vortice indica la sua rotazione antioraria mentre il segno - la sua rotazione oraria). La corrente era costituita da quello strato di particelle esistente tra vortice e vortice e, nel disegno, essa fluiva da A a B. Il modello meccanico e le correnti indotte • Di modelli meccanici di questo tipo ne vennero ideati molti ad opera di Maxwell, Boltzmann e W. Thomson (già Lord Kelvin). Ad esempio, le correnti indotte scoperte da Faraday sono così spiegate nel modello di Maxwell: l'effetto che la corrente ha sul mezzo che la circonda è far sì che i vortici in contatto con le correnti ruotino in modo che le parti vicine ad essa si spostino nella sua stessa direzione mentre le parti più lontane ad essa lo facciano in senso contrario. Se il mezzo è conduttore, con la conseguenza di 'particelle' che si possano muovere in qualunque direzione, quelle che sono in contatto con la periferia di questi vortici si muoveranno in senso contrario alla corrente, di modo che esisterà una corrente indotta in senso opposto alla prima. Inoltre, quando una corrente elettrica o un magnete si muove in presenza di un conduttore si altera la velocità di rotazione dei vortici di modo che essi cambiano di posizione e di forma originando una forza; questa forza costituisce la forza elettromotrice del conduttore in moto relativo. In questo modo di vedere, c'è la scoperta di Faraday che le correnti sono originate da variazioni del campo magnetico. Modello meccanico e variazione del campo magnetico • Questo modello rendeva poi conto di come potesse avvenire il fenomeno inverso: se le ruote inattive (la corrente) cominciavano a spostarsi attraverso il sistema, si modificavano le forme dei vortici e ciò vuol dire che ad una corrente elettrica si accompagna una variazione dei vortici e quindi del campo magnetico. Qui incontriamo una delle principali scoperte di Maxwell che verrà in seguito convenientemente elaborata: variazioni nel campo elettrico devono originare un campo magnetico e viceversa. Il “Campo” e l’etere • Il campo, esistente ad esempio intorno ad un magnete, deve prevedere intorno a sé vortici e ruote inattive. Dove si costruiscono vortici se c'è il vuoto? Un qualche mezzo, sia esso di materia ordinaria o di un qualche etere con particolari proprietà dovrà riempire lo spazio in cui si sviluppa il campo. Le caratteristiche di questo supposto etere dovranno essere tali da rendere conto dei fatti sperimentali: da una parte esso dovrà essere estremamente sottile (non lo percepiamo immediatamente) e dall'altra, per spiegare la velocità con cui si propagano le perturbazioni del campo elettromagnetico, denso come l'acciaio (è di interesse notare che queste azioni, nel modello di Maxwell non possono che essere a distanza). Ebbene, se si crea una perturbazione in un dato punto dello spazio muovendo, ad esempio, un magnete vicino ad una corrente, questa perturbazione nei vortici e nelle ruote inattive non c'è motivo che resti localizzata tra magnete e corrente, essa dovrà via via propagarsi attraverso l'etere in tutto lo spazio (teoricamente all'infinito) circondante il sistema magnete corrente L’elasticità dell’etere e la corrente di spostamento • Nell'ultima parte di questa sua memoria Maxwell torna all'analogia di Thomson tra mezzo in cui si costruiscono vortici (e ruote inattive) e sostanze elastiche. Il mezzo nel quale si propagano le perturbazioni deve essere dotato di elasticità allo stesso modo che lo è un ordinario corpo solido solo che di valore differente. L'elasticità del mezzo è poi di estrema utilità per la spiegazione dei fenomeni elettrostatici. Questa supposta elasticità del mezzo faceva introdurre a Maxwell un concetto che avrà enorme importanza negli sviluppi successivi, quello di spostamento elettrico. Qui Maxwell si riallacciava direttamente a Faraday ed in particolare alle sue ricerche sui dielettrici ed alla scoperta della loro polarizzazione. Dice Maxwell: • "Possiamo pensare che l'elettricità che risiede in ogni molecola sia spostata in modo tale che una estremità di essa divenga positiva e l'altra negativa. L'effetto di questa azione sull'intera massa del dielettrico è quello di produrre uno spostamento generale dell'elettricità in una data direzione. Questo spostamento non giunge al livello di una corrente perché quando ha raggiunto un certo valore rimane constante, tuttavia è l'inizio di una corrente e le sue variazioni costituiscono correnti di direzione positiva o negativa, a seconda che lo spostamento aumenti o diminuisca". Verso una teoria elettromagnetica della luce • Facendo i conti sulla velocità di propagazione di una perturbazione (oggi diremmo: onda) elettromagnetica nel mezzo elastico etere, considerando la relazione esistente tra la corrente di spostamento e la forza che la produce e deducendo da questa la relazione esistente tra misure statiche e dinamiche dell'elettricità, egli trovò che: • "la velocità delle ondulazioni trasversali nel nostro mezzo ipotetico, calcolata a partire dagli esperimenti elettromagnetici di Kohlrausch e Weber , si accorda in modo tanto esatto con la velocità della luce calcolata a partire dagli esperimenti di Fizeau, che noi non possiamo quasi fare a meno di concludere che la luce consiste nelle ondulazioni trasversali del medesimo mezzo che è causa dei fenomeni elettrici e magnetici". La terza memoria: A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field (1864) • Questo lavoro contiene tutti i principali risultati che egli aveva precedentemente ottenuto e può essere considerato come la prima formulazione completa, dal punto di vista analitico, della teoria del campo elettromagnetico e della teoria elettromagnetica della luce. Le proprietà di questo campo sono descritte da 20 equazioni generali. Lo stesso Maxwell, all'inizio della memoria, annunciava che la sua era una teoria dinamica nel senso che si serve di materia in moto nello spazio per rendere conto dei fenomeni elettrici e magnetici. Essa riguarda essenzialmente lo spazio circostante i corpi elettrizzati o magnetizzati che dovrà essere riempito di un mezzo (permeante anche i corpi) in grado di essere posto in moto e di trasmettere quel moto da una parte all'altra con grande ma non infinita velocità. Questo etere ha una natura elettromagnetica ma poiché ha le stesse proprietà (elasticità, densità, …) di un etere ottico, può essere identificato con esso (è interessante notare che le proprietà dell'etere elettromagnetico Maxwell le assegnava a priori in modo che esso avesse poi avuto le caratteristiche che si richiedevano, ad esempio, per trasportare vibrazioni trasversali ad una data velocità). Maxwell: l’energia e le sue forme • Per Maxwell l'energia è localizzata in tutto lo spazio ed è tutta di natura meccanica: egli considera un etere costituito da una enorme quantità di piccolissime cellule che, all'interno di un campo magnetico, ruotano tutte nello stesso verso attorno ad assi paralleli alle linee di forza. Così Maxwell può affermare che "l'energia cinetica di questo movimento vorticoso non differisce dall'energia magnetica …[e], in ogni punto del dielettrico sottoposto ad un campo, si accumula una energia che, nel modello, è elastica, ma che in realtà non è altro che energia cinetica" . Egli considera quindi l'energia elettrica come energia potenziale meccanica e l'energia magnetica come energia cinetica di natura meccanica. E, come già detto, questa energia meccanica elettromagnetica risiede in tutto lo spazio e, in particolari condizioni, si può propagare sotto forma di onde elettromagnetiche. Il mezzo, l'etere, si può polarizzare in virtù della sua elasticità e quando è polarizzato è in una condizione di accumulo di energia potenziale (elettrica) che ridarà, sotto forma di energia cinetica (magnetica), quando lo sforzo cesserà. In definitiva la propagazione di onde elettromagnetiche nello spazio è dovuta alla trasformazione continua di una di queste forme di energia nell'altra e viceversa, e, istante per istante, l'energia totale nello spazio è ugualmente divisa tra energia potenziale (elettrica) e cinetica (magnetica). Treatise on Electricity and Magnetism (1873) Il lavoro è sistematico ed i contributi di Maxwell si mescolano con quelli di altri autori. Sulla strada della terza memoria, Maxwell abbandona del tutto i modelli meccanici affidandosi al solo etere al quale sembra assegnare una realtà fisica. Egli tralascia molti dei procedimenti che lo avevano guidato sulla strada della scoperta delle sue equazioni del campo elettromagnetico. La deduzione di queste equazioni è puramente analitica a partire dalle equazioni fondamentali della meccanica nella forma che ad esse aveva dato Lagrange. Paradossalmente in questo modo di operare sparisce la meccanica stessa che diventa, in definitiva, una teoria eminentemente matematica, elaborata con Green, Stokes ed Hamilton. L'elettromagnetismo diventa quindi una meccanica dell'etere e, come lo stesso Maxwell affermava, "l'integrale è l'espressione matematica adeguata per la teoria dell'azione a distanza tra particelle, mentre l'equazione differenziale è l'espressione appropriata per una teoria dell'azione esercitata tra particelle contigue di un mezzo" Le equazioni di Maxwell • 1) Un corpo carico produce nello spazio circostante delle linee di forza elettriche, il cui flusso attraverso una superficie chiusa è pari alla somma delle cariche poste al suo interno divisa per la costante dielettrica. • 2) Una corrente elettrica che circola in un conduttore produce delle linee di forza magnetiche attorno al conduttore, il cui flusso attraverso una superficie chiusa è sempre nullo. • • Sia un circuito contenente un condensatore, come quello illustrato nella figura a fianco; in regime di corrente continua, il circuito risulta ovviamente aperto, cioè non passa alcuna carica elettrica, e la circuitazione del campo elettrico calcolata lungo il percorso chiuso 1 è nulla sia prendendo in considerazione la superficie piana a che quella curva b, essendo nulla la corrente concatenata con le due superfici, cioè la corrente che le "buca" entrambe. Diverso è il discorso se la corrente i è variabile nel tempo. Infatti in questo caso il circuito dotato di condensatore non è chiuso, e la circuitazione del campo B lungo la linea l è pari, per il teorema della circuitazione di Ampére, al prodotto della corrente i per la permeabilità magnetica del vuoto µ0. Allora, tale circuitazione è pari a zero se si prende in considerazione la superficie b passante fra le armature del condensatore, non "bucata" da alcuna corrente di conduzione, ed è invece pari a µ0 i se si prende in considerazione la superficie a. Questo paradosso può essere risolto solo ammettendo l'esistenza, nello spazio vuoto tra le due armature, di una corrente che non è di conduzione, non essendoci cariche da spostare materialmente, ma che agli effetti del teorema della circuitazione di Ampére è equivalente ad una corrente di conduzione. Maxwell identificò tale corrente con quella che egli chiamò corrente di spostamento. La corrente di spostamento • Siccome essa dipende dalla rapidità con cui varia la posizione delle cariche, egli concluse che essa deve essere direttamente proporzionale alla rapidità con la quale varia nel tempo il flusso del campo elettrico attraverso una superficie che ha come contorno il percorso l. E così il grande fisico-matematico attribuì ad essa la seguente espressione: • • • Di conseguenza la legge di Ampére sull'induzione magnetica, scritta nella forma C(B) = µ0 i, deve essere così modificata: • • • • perché alla corrente di conduzione i va aggiunta quella di spostamento is. Le equazioni di Maxwell: la terza • Il vettore B del campo magnetico indotto sta in un piano perpendicolare al vettore E del campo elettrico variabile e l'intensità di B dipende dalla rapidità con cui varia E. • Consideriamo dunque una coppia di conduttori piani collegati a un generatore di corrente, come nella figura a destra. Mentre le cariche si avvicinano o si allontanano dai piatti attraverso i conduttori collegati alla corrente, l'intensità E del campo elettrico nello spazio tra i piatti varia nel tempo. Come si è già visto, questo campo elettrico variabile produce un campo magnetico nel quale l'intensità del vettore in un dato istante varia con la distanza dai piatti. Cambiando segno alla carica sulle armature, e quindi il verso del campo elettrico da a) a b), anche le linee di forza del campo magnetico indotto cambiano verso. Questo è il significato fisico della Terza Equazione di Maxwell Un campo elettrico variabile nello spazio produce un campo magnetico Un campo magnetico variabile nello spazio produce un campo elettrico. • Questo fenomeno di induzione elettromagnetica era stato scoperto sperimentalmente da Henry e dal solito Faraday, ed infatti la legge matematica che la esprime è nota come equazione di Faraday-Henry: • • Essa significa che la circuitazione del campo elettrico indotto dal campo magnetico variabile nel tempo è pari alla variazione nel tempo del flusso di tale campo magnetico induttore. Il segno meno indica che la corrente indotta ha segno opposto alla variazione di flusso che la produce, ed è nota come legge di Lenz. Infatti, quando il flusso di B varia nel tempo, viene indotta una corrente elettrica che a sua volta genera un campo magnetico, il cui flusso ( per colpa di quel segno meno) varia in direzione opposta a quella del campo B esterno. In tal modo, se quest'ultimo sta diminuendo la corrente indotta cerca di sostenerlo, mentre se sta aumentarlo cerca di tamponarne la crescita. Le onde elettromagnetiche • Il fatto che una variazione del campo magnetico in un punto produce un campo elettrico variabile era noto già prima di Maxwell, in quanto era previsto dalla legge di Faraday-Henry; si pensava però che, allorché un campo magnetico bruscamente diminuiva da un valore massimo a zero, altrettanto doveva fare il campo elettrico e il tutto cessava dopo un piccolo intervallo di tempo dall'istante in cui si era annullato il campo magnetico. La novità prevista da Maxwell consiste nel fatto che il campo elettrico ed il campo magnetico generati dalla variazione nel tempo di uno dei due sono in grado di autosostenersi, cioè di propagarsi anche se la variazione iniziale che li ha prodotti è venuta meno! • Se ne conclude che, da una brusca variazione di un campo elettrico o magnetico nel tempo, ha origine la propagazione di un impulso elettromagnetico, cioè di un'ONDA, chiamata per l'appunto onda elettromagnetica. L’etere e le onde elettromagnetiche • In definitiva, secondo la teoria di Maxwell, una perturbazione elettromagnetica (ad esempio una carica che acceleri) si propaga in tutto lo spazio sotto forma di onde elettromagnetiche. L'esistenza di tali onde rimane quindi un'ipotesi nella teoria: la conferma o la confutazione di essa metterà alla prova l'intera teoria in un vero e proprio experimentum crucis. Riguardo la velocità di tali onde valgono ora le stesse considerazioni che Maxwell aveva fatto nella sua seconda memoria: esse si muovono con la velocità della luce e quindi la luce è un'onda elettromagnetica.. Vale però la pena di ricordare che tutto l'impianto maxwelliano è basato sull'ipotesi di esistenza di un mezzo, l'etere, in cui avessero sede le perturbazioni; questo etere era inoltre meccanicamente indispensabile. Allora, con Maxwell, se dell'energia viene trasmessa da un corpo ad un altro nel tempo, ci deve essere un mezzo o sostanza in cui l'energia esiste dopo aver lasciato un corpo e prima di raggiungere l'altro. Se si ammette questo mezzo come ipotesi è evidente che esso dovrà diventare oggetto preminente delle future ricerche sperimentali. Questioni aperte • Due erano le questioni che Maxwell lasciava ad una verifica sperimentale: l'esistenza di onde elettromagnetiche e l'esistenza di un etere che le sostenga. Oltre a ciò le sue equazioni non soddisfacevano da un punto di vista euristico poiché non risultano simmetriche come le equazioni della dinamica e poiché erano state ricavate con grande disinvoltura matematica. • Nel 1880 veniva pubblicata postuma su Nature una sua lettera a D.F. Todd. In questa lettera, tra l'altro, suggeriva un modo per poter accertare sperimentalmente la presenza del supposto etere attraverso la misura della velocità della luce in un tragitto andata - ritorno che la stessa avrebbe dovuto percorrere in direzione parallela al moto della Terra intorno al Sole (qui l'effetto del supposto etere sarebbe stato del 2º ordine nel rapporto v/c, con v velocità della Terra e c velocità della luce). Maxwell e l’unificazione della fisica • L'accoglienza a queste teorie non fu della più entusiasta. L'unico fatto, e non da poco, che riconciliava il mondo dei fisici era che, in definitiva, Maxwell si era servito di un mezzo meccanico, l'etere, ed aveva unificato in una mirabile sintesi i fenomeni dell'elettricità, del magnetismo e dell'ottica. Ma, al di là dell'accoglienza dei contemporanei, è certamente vero che la sua teoria in sé e nei molti punti in cui era logicamente indeterminata apriva ad una grossa mole di lavori sperimentali che non tardarono a prodursi particolarmente ad opera di Hertz e Michelson Le onde elettromagnetiche: Hertz (1892) Il contributo di Herz • Con Hertz, la luce entra anche sperimentalmente nel novero delle onde elettomagnetiche. E' una delle infinite onde elettromagnetiche che noi, con il nostro strumento meraviglioso ma selettivo, l'occhio, riusciamo a vedere. La gran maggioranza di tali onde riusciamo solo a vederle attraverso strumenti amplificatori dei nostri sensi. Nella figura seguente un semplificato schema del peso della luce visibile, rispetto alle altre onde elettromagnetiche.