Galilei e il metodo sperimentale

STORIA SPERIMENTALE DELLA SCIENZA
PROF. ARGANTE CIOCCI

GALILEI ED IL METODO SPERIMENTALE (2-94)

GALILEI E IL MOTO PARABOLICO DEI PROIETTILI (95-148)


IL METODO SPERIMENTALE NEL XVII SECOLO Torricelli, Pascal,
Stevino, Boyle e gli esperimenti sul vuoto (149-190)
LA RIVOLUZIONE NELLE SCIENZE BACONIANE ELETTRICITA'
E MAGNETISMO (191-286)
Galilei e il metodo sperimentale
La legge di caduta dei gravi e l’esperimento
del piano inclinato
La caduta dei gravi nel “De motu” (1587) di Galilei
• L’impetus è causa immanente (che risiede nei corpi),
ma non naturale, del moto.
• L’impetus non è eterno, ma si consuma mano a
mano che il moto si esaurisce.
• Tutti i corpi hanno un “peso” che tende
“naturalmente” a muoverli verso il basso; non
esistono, contrariamente ad Aristotele, corpi leggeri
in senso assoluto, per natura.
• Il moto ascensionale dei corpi avviene quando
l’impetus o leggerezza impressa dal motore supera
la pesantezza del corpo.
• La velocità di caduta di un grave – carattere
essenziale del moto – è proporzionale al suo “peso”.
Il De motu di Galilei
Il “peso”, che determina la velocità uniforme di caduta, non è
quello assoluto ma quello specifico relativo; ovvero il peso
specifico del corpo diminuito del peso specifico del mezzo in
cui il corpo si muove. In conseguenza di ciò diventa possibile
concepire un moto di caduta nel vuoto; in esso e solo in esso,
la velocità di caduta è determinata unicamente dal peso
(specifico) assoluto del corpo (si ricordi che nella fisica di
Aristotele, essendo la velocità di caduta dei corpi
inversamente proporzionale alla densità del mezzo, l’esistenza
del vuoto portava all’assurdo di una velocità infinita).
L’accelerazione costituisce solo un accidente, non è un carattere
essenziale del moto, in quanto riguarda solo una prima fase
transitoria del moto di caduta, terminata la quale il moto
diviene uniforme.
Moto di un corpo lanciato verso l’alto secondo la teoria
dell’impetus
1. L’impetus o leggerezza trasferita al mobile
dal motore, maggiore della sua pesantezza
“naturale”, determina il moto ascensionale.
2. Salendo
l’impetus si consuma, la velocità
diminuisce sino ad annullarsi alla quota
massima; in questo punto la leggerezza
uguaglia la pesantezza
3. La prima fase della discesa risulta
accelerata in quanto la leggerezza residua
ritarda lo stabilirsi del moto uniforme
4. Esaurito completamente l’impetus il moto
diventa uniforme e la velocità di regime è
proporzionale al peso specifico relativo del
corpo
Quando
i corpi
sono uniti
considerando che ogni
corpo tende a mantenere
la sua velocità
il più piccolo ritarda il
più grande
il più grande velocizza il
più piccolo
v1<v3<v2
ASSURDO!
LA VELOCITA'
NON E'
PROPORZIONALE
AL PESO
considerando i
pesi
P3 = P2 + P1
P3 > P2 > P1
v3>v2>v1
Il superamento di
Aristotele: la velocità di
caduta non è
proporzionale alla forza
(peso)
Galileo e la caduta dei gravi
o In una lettera a Paolo Sarpi del 1604, Galileo mostra di
conoscere la proporzionalità tra le distanze percorse e i
quadrati dei tempi nel moto di caduta libera, ma si dice alla
ricerca di un principio fondamentale dal quale dedurre tale
relazione.
o I corpi cadono, cadendo il loro moto accelera, le distanze
percorse crescono con i quadrati dei tempi; ma qual è la
ragione di tutto ciò?
o Ciò che cerca Galileo non è la causa del moto di caduta ma la
sua essenza, la sua definizione. Galileo rinuncia alla
spiegazione causale in favore della ricerca del carattere
essenziale del moto. (“investigare e spiegare la definizione
che corrisponde esattamente al moto accelerato di cui si serve
la natura” )
Procedere ex suppositione: la
semplicità della natura
• Infine –scrive Galilei nei Discorsi - a studiare il
moto naturalmente accelerato siamo stati condotti
quasi per mano dall'osservazione della
consuetudine e della regola seguite dalla natura
medesima in tutte le altre sue opere, nella cui
attuazione suole far uso dei mezzi più immediati,
più semplici, più facili. Ritengo infatti che non vi
sia nessuno, il quale creda che si possa praticare il
nuoto o il volo in una maniera più semplice e più
facile di quella usata, per istinto naturale, dai pesci
e dagli uccelli.
Spostare il problema: dalla causa dell’accelerazione
agli “accidenti”
• Salv. Non mi par tempo opportuno d'entrare al presente
nell'investigazione della causa dell'accelerazione del moto naturale,
intorno alla quale da varii filosofi varie sentenzie sono state
prodotte,[…]. Per ora basta al nostro Autore che noi intendiamo che
egli ci vuole investigare e dimostrare alcune passioni di un moto
accelerato (qualunque si sia la causa della sua accelerazione)
talmente, che i momenti della sua velocità vadano accrescendosi,
dopo la sua partita dalla quiete, con quella semplicissima
proporzione con la quale cresce la continuazion del tempo, che è
quanto dire che in tempi eguali si facciano eguali additamenti di
velocità; e se s'incontrerà che gli accidenti che poi saranno
dimostrati si verifichino nel moto de i gravi naturalmente
descendenti ed accelerati, potremo reputare che l'assunta
definizione comprenda cotal moto de i gravi, e che vero sia che
l'accelerazione loro vadia crescendo secondo che cresce il tempo e
la durazione del moto
La definizione del moto uniformemente
accelerato e i piani inclinati
Piani inclinati e assunzioni
supplementari
• Assumo che i gradi di velocità, acquistati da un medesimo
mobile su piani diversamente inclinati, siano eguali
allorché sono eguali le elevazioni di quei piani medesimi.
• Tale esperienza, che deve mostrare come
“una palla grave e perfettamente rotonda,
scendendo per le linee CA, CD, CB,
giugnerebbe nei termini A, D, B con impeti
uguali” e sufficienti a riportare tale palla
all’altezza del punto di partenza C, consiste
in un pendolo AB, appeso ad una parete con
un chiodo piantato in A e lasciato oscillare
dall’altezza rappresentata dalla rerra DC
disegnata perpendicolarmente al filo del
pendolo AB. Galilei riferisce che, tolti gli
impedimenti rappresentati dalla resistenza
dell’aria e del filo, il pendolo lasciato
oscillare dal punto C, descrivendo l’arco
CBD, raggiungerebbe D. Conficcato poi un
chiodo nel punto E e lasciato oscillare di
nuovo il pendolo dall’altezza della retta DC
esso raggiungerebbe il punto G, posto su
DC; raggiungerebbe cioè sempre la stessa
altezza; e analogamente, conficcando un
chiodo in F si otterrebbe lo stesso risultato
nel punto I
Il
pendolo e
la caduta
dei gravi
Analogia fra pendoli e piani inclinati
Isocronismo
delle
oscillazioni
Una possibile esperienza
didattica galileiana
sull’isocronismo del pendolo
• Dal che ne séguita la conclusione d'un problema bellissimo: che è che, data una
quarta di cerchio (ne segnerò qui in terra un poco di figura), qual sarebbe questa A
B, eretta all'orizonte sí che insista su 'l piano toccando nel punto B, e fatto un arco
con una tavola ben pulita e liscia dalla parte concava, piegandola secondo la curvità
della circonferenza A D B, sí che una palla ben rotonda e tersa vi possa liberamente
scorrer dentro (la cassa di un vaglio è accomodata a tale esperienza), dico che posta
la palla in qualsivoglia luogo, o vicino o lontano dall'infimo termine B, come
sarebbe mettendola nel punto C o vero qui in D o in E, e lasciata in libertà, in tempi
eguali o insensibilmente differenti arriverà al termine B, partendosi dal C o dal D o
dall'E o da qualsivoglia altro luogo: accidente veramente maraviglioso. Aggiugnete
un altro accidente, non men bello di questo: che è che anco per tutte le corde tirate
dal punto B a i punti C, D, E ed a qualunque altro, non solamente preso nella quarta
B A, ma in tutta la circonferenza del cerchio intero, il mobile stesso scenderà in
tempi assolutamente eguali; talché in tanto tempo scenderà per tutto 'l diametro
eretto a perpendicolo sopra il punto B, in quanto scenderà per la B C, quando bene
ella suttendesse a un sol grado o a minore arco.
• Discorsi (1638): “Quanto poi alla
proporzione de i tempi delle vibrazioni dei
La
legge
del
mobili pendenti da fila di differente
lunghezza, sono essi tempi in proporzione
periodo del
suddupla delle lunghezze delle fila, o
vogliam dire le lunghezze esser in duplicata pendolo e quella
proporzion de i tempi, cioè son come i
di caduta dei
quadrati de i tempi: sì che volendo v.g., che
‘l tempo d’una vibrazione d’un pendolo sia
gravi
doppio del tempo d’una vibrazione d’un
altro, bisogna che la lunghezza della corda di
quello sia quadrupla della lunghezza della
corda di questo; ed allora, nel tempo d’una
vibrazione di quello, un altro ne farà tre,
quando la corda di quello sarà nove volte più
lunga dell’altra; dal che ne seguita che le
lunghezze delle corde hanno fra di loro
proporzione che hanno i quadrati de’ numeri
delle vibrazioni che si fanno nel medesimo
tempo”.
Come ricava la legge sul periodo
del pendolo?
•
Secondo Drake Galileo procede ad
un'accurata misura delle oscillazioni del
pendolo fino alla verticale, registrando i
“tempi”(1 tempo= 16 grani d'acqua, 1
grano=1/480 di oncia fluida), misurati tramite
un cronometro ad acqua, in funzione delle
“lunghezze”, misurate con un regolo diviso in
60 punti (1 punto=0.94 mm)
Il periodo del
pendolo e la
caduta libera:
f. 151v. Prime registrazioni dei tempi di
caduta e (in seguito) il calcolo di una
media geometrica per il pendolo.
Le unità di misura di Galileo: per le
distante usava il “punto”, corrispondente
a 1/60 del suo regolo da disegno. Il
punto= 0,94 mm. Per il tempo l’unità di
misura (un “tempo” galileiano) era pari
a 16 grani, essendo 1 grano d’acqua=
1/480 d’oncia fluida
Tabella di misure dalla quale emerge la legge del
pendolo nella forma della media geometrica.
Quando il tempo raddoppia la lunghezza quadruplica
Lunghezza del pendolo in Tempo impiegato per
punti
raggiungere la verticale in
grani d'acqua
870
1740
3480
6960
13920
27840
668,5
942
1337
1884
2674
3764
La conferma della legge
generale
del
pendolo:
f. 154r del vol. 72 ms. Gal BNF
Galileo calcolò la media
geometrica di 118 e 167 – i
tempi, misurati in “tempi”,
impiegati per raggiungere la
verticale da due pendoli lunghi,
rispettivamente 6960 e 13920
“punti” - ottenendo 140 “tempi”.
La nota “filo br. 16”, a destra a
metà pagina, indica che Galileo
usò un pendolo di 9840 punti,
circa 9 metri (essendo un
braccio=620
punti).
La
lunghezza 9843, infatti, è la
media geometrica fra 6960 e
13920. Per tale pendolo ottenne
la conferma sperimentale di 140
tempi.
Il pendolo semplice
Il periodo del pendolo è il tempo che esso impiega a compiere una
oscillazione completa, cioè a tornare nella posizione da cui è partito e
nelle stesse condizioni di movimento. Se l’angolo di apertura
dell’oscillazione è piccolo (minore di circa 5 gradi), il moto del pendolo
può essere considerato un moto armonico semplice. Pertanto, è facile
dimostrare che il periodo T è dato dalla relazione:
dove L è la lunghezza del pendolo e g è l'accelerazione di gravità, che
racchiude le quattro leggi del pendolo:
1a Le piccole oscillazioni si compiono nello stesso tempo (sono isocrone),
indipendentemente dall’ampiezza.
2a Il periodo non dipende dalla massa del pesetto.
3a Il periodo è direttamente proporzionale alla radice quadrata della
lunghezza L del pendolo
4a Il periodo è inversamente proporzionale alla radice quadrata
dell’accelerazione di gravità g.
Foucault e il pendolo di Parigi
Il pendolo e la rotazione terrestre
Il pendolo di Foucault (U.Eco)
Il pendolo al polo nord
Il pendolo all'equatore
Il pendolo ad una latitudine
intermedia
La frequenza di rotazione
Tempo di rotazione a diverse latitudini
Alcuni esempi
Il pendolo del “Vitruvio”
Caratteristiche tecniche:
Tipo di cavo: filo armonico di acciaio da 1,2 mm
Lunghezza: 14,45 m
Massa: 34 kg
Materiale della massa: ferro
Velocità angolare: 10,035° in 1 ora
Angolo diurno: 240° 50’
Periodo di oscillazione: 7,91 s
Latitudine: 42° Nord
Longitudine : 13° 25' 27" Est
Torniamo a Galileo: dal pendolo
alla caduta dei gravi
•
Galileo dopo aver ricavato la legge sul periodo
del pendolo, stabilendo che “le lunghezze esser
in duplicata proporzion de i tempi, cioè son
come i quadrati de i tempi”, suppone che la
caduta di un grave lungo la verticale possa
essere misurata in relazione alla misura di un
quarto del periodo di oscillazione di un pendolo
lungo quanto l'altezza dalla quale si vuol far
cadere il grave
Pendolo e caduta dei gravi
•
Dalle equazioni per lo spazio percorso nella
caduta a partire dalla quiete, S= (g/2) t²
•
e per il periodo di un pendolo che oscilla di un
piccolo arco fino alla verticale, t= (π/2)√ (l/g)
•
•
è facile vedere che, quando S=l, il rapporto dei
periodi è (π/2)√2 . Analogamente, quando t è lo
stesso per una caduta e per un pendolo, il
rapporto delle loro lunghezze è π²/8=1,2337.
Galileo e la sua “costante”
(π/2)√2=1,1107...
•
Galileo nel passaggio dalla legge del
pendolo a quella di caduta dei gravi
adotta il rapporto 942/850 (1,108
“tempi”), da lui misurato fra il periodo di
oscillazione di un pendolo fino alla
verticale e il tempo di caduta (a partire
dalla quiete) da un'altezza pari alla
lunghezza del pendolo.
Periodo del pendolo e caduta dei
gravi in Galileo
•
Il linguaggio matematico usato da Galileo non
è quello delle equazioni algebriche ma quello
delle proporzioni. La legge del periodo del
pendolo e quella di caduta dei gravi appaiono
allo scienziato pisano strettamente connesse
I tempi di caduta lungo piani inclinati
diversi. Galileo secondo Mach
Foglio 182v
Galileo qui trovò
la regola per le
discese lungo
piani inclinati di
diversa
lunghezza e
inclinazione
Tempi di caduta lungo la
verticale e l'inclinata
Foglio 189r Conferma
numerica del teorema
derivato nel 1602 in base
a presupposti errati.
Usando la regola trovata
per i piani di diversa
lunghezza e inclinazione
Galileo confermò il suo
teorema, per il quale in
seguito trovò una
dimostrazione valida,
basata sull'accelerazione
uniforme
Il
teorema
della
corda
Cerchio brachistocrono
Galileo at Work: la
scoperta della legge di
caduta dei gravi
secondo Drake.
La pagina di appunti sulla quale
Galileo stava scrivendo quando
scoprì la legge dei quadrati dei
tempi (f. 189v1 del vol. 72 dei
ms. galileiani dlela BNF)
•
Il tempo per il quale Galileo
calcolò la lunghezza della
caduta dalla verticale era di 280
“tempi”, il doppio di quello di
140 al quale aveva cronometrato
il pendolo di 9 metri con il quale
aveva stabilito la generalità
della legge del pendolo. Ciò che
Galileo calcolò sul foglio 189v1
era la metà della caduta che
impiegava 280 “tempi”, che
aveva poi raddoppiato e citato in
una frase in latino:
perpendicularis cuius long.do
48143 conficit. Temp. 280 (la
perpendicolare la cui lunghezza
è di 48143 punti è completata in
280 “tempi”)
Il foglio 189v1 e la
caduta dei gravi
Dal pendolo alla caduta
•
Galileo, dopo aver composto
i rapporti, prese direttamente
la media geometrica fra le
lunghezze 4000 e 48143 e si
accorse che questa era quasi
la metà di 27834. Disegnò
allora il diagramma che da
quel giorno in poi usò per
mettere in relazione i tempi e
le lunghezze di una caduta
mediante la regola della
media geometrica
Galileo pioniere della
scienza:
f. 107v. I numeri quadrati sul
margine sinistro confermarono
che la legge della caduta dei
gravi valeva anche per la
discesa su un piano inclinato.
Ciascuno di questi,
moltiplicato per la prima
distanza, dava quasi
esattamente la discesa
misurata corrispondente lungo
il piano inclinato
La legge di caduta dei gravi
• Le necessarie
dimostrazioni
matematiche
• Le sensate
esperienze
Il teorema della velocità media
• Prendiamo dunque per ora questo come postulato,
la verità assoluta del quale ci verrà poi stabilita
dal vedere altre conclusioni, fabbricate sopra tale
ipotesi, rispondere e puntualmente confrontarsi
con l'esperienza. Supposto dall'Autore questo solo
principio,
passa
alle
proposizioni,
dimostrativamente concludendole; delle quali la
prima è questa:
• TEOREMA 1. PROPOSIZIONE 1
• Il tempo in cui uno spazio dato è percorso da un
mobile con moto uniformemente accelerato a
partire dalla quiete, è eguale al tempo in cui quel
medesimo spazio sarebbe percorso dal medesimo
mobile mosso di moto equabile, il cui grado di
velocità sia sudduplo [la metà] del grado di
velocità ultimo e massimo [raggiunto dal mobile]
nel precedente moto uniformemente accelerato
Il primo passo della dimostrazione
Galilei: Discorsi. Le necessarie
dimostrazioni
TEOREMA 2. PROPOSIZIONE 2
Se un mobile scende, a partire dalla quiete, con
moto uniformemente accelerato, gli spazi percorsi
da esso in tempi qualsiasi stanno tra di loro in
duplicata proporzione dei tempi [in un rapporto
pari al rapporto dei tempi moltiplicato per se
stesso], cioè stanno tra di loro come i quadrati dei
tempi.
Di qui è manifesto che, se dal primo istante o
inizio del moto avremo preso
successivamente un numero qualsiasi di tempi
eguali, come ad esempio AD, DE, EF, FG,
nei quali siano percorsi gli spazi HL, LM,
MN, NI, questi spazi staranno tra di loro
come i numeri impari ab unitate, cioè come 1,
3, 5, 7: questa è infatti la proporzione tra gli
eccessi dei quadrati delle linee che si
eccedono egualmente e il cui eccesso è eguale
alla minima di esse, o vogliam dire tra i
numeri quadrati consecutivi ab unitate.
Pertanto, mentre i gradi di velocità aumentano
in tempi eguali secondo la serie dei numeri
semplici, gli spazi percorsi nei medesimi
tempi acquistano incrementi secondo la serie
dei numeri impari ab unitate.
Corollario
Galilei: la dimostrazione
Dove mi figuro per la linea AI la continuazione del
tempo dopo il primo instante in A; applicando poi in A,
secondo qualsivoglia angolo, la retta AF, e
congiugnendo i termini I, F, diviso il tempo AI in
mezo in C, tiro la CB parallela alla IF; considerando
poi la CB come grado massimo della velocità che,
cominciando dalla quiete nel primo instante del tempo
A, si andò augumentando secondo il crescimento delle
parallele alla BC, prodotte nel triangolo ABC (che è il
medesimo che crescere secondo che cresce il tempo),
ammetto senza controversia, per i discorsi fatti sin qui,
che lo spazio passato dal mobile cadente con la
velocità accresciuta nel detto modo sarebbe eguale allo
spazio che passerebbe il medesimo mobile quando si
fusse nel medesimo tempo AC mosso di moto
uniforme, il cui grado di velocità fusse eguale all'EC,
metà del BC. ….
Vedesi dunque anco in questo semplice
calcolo, gli spazii passati in tempi
uguali dal mobile che, partendosi
dalla quiete, va acquistando velocità
conforme all'accrescimento del
tempo, esser tra di loro come i numeri
impari ab unitate 1, 3, 5, e,
congiuntamente presi gli spazii
passati, il passato nel doppio tempo
esser quadruplo del passato nel
sudduplo, il passato nel tempo triplo
esser nonuplo, ed in somma gli spazii
passati essere in duplicata
proporzione de i tempi, cioè come i
quadrati di essi tempi.
Conclusione
Galilei: Discorsi. Le sensate esperienze
Salv. Voi, da vero scienziato, fate una ben ragionevol domanda; e così si
costuma e conviene nelle scienze le quali alle conclusioni naturali
applicano le dimostrazioni matematiche, come si vede ne i perspettivi,
negli astronomi, ne i mecanici, ne i musici ed altri, li quali con sensate
esperienze confermano i principii loro, che sono i fondamenti di tutta la
seguente struttura: e però non voglio che ci paia superfluo se con troppa
lunghezza aremo discorso sopra questo primo e massimo fondamento,
sopra 'l quale s'appoggia l'immensa machina d'infinite conclusioni, delle
quali solamente una piccola parte ne abbiamo in questo libro, poste
dall'Autore, il quale arà fatto assai ad aprir l'ingresso e la porta stata sin
or serrata agl'ingegni specolativi.
Circa dunque all'esperienze, non ha tralasciato l'Autor di farne; e per
assicurarsi che l'accelerazione de i gravi naturalmente descendenti segua
nella proporzione sopradetta, molte volte mi son ritrovato io a farne la
prova nel seguente modo, in sua compagnia.
Galilei: l’esperimento
In un regolo, o vogliàn dir corrente, di legno, lungo circa 12
braccia, e largo per un verso mezo bracio e per l'altro 3 dita, si era
in questa minor larghezza incavato un canaletto, poco più largo
d'un dito; tiratolo drittissimo, e, per averlo ben pulito e liscio,
incollatovi dentro una carta pecora zannata e lustrata al possibile, si
faceva in esso scendere una palla di bronzo durissimo, ben
rotondata e pulita; costituito che si era il detto regolo pendente,
elevando sopra il piano orizontale una delle sue estremità un
braccio o due ad arbitrio, si lasciava (come dico) scendere per il
detto canale la palla, notando, nel modo che appresso dirò, il tempo
che consumava nello scorrerlo tutto, replicando il medesimo atto
molte volte per assicurarsi bene della quantità del tempo, nel quale
non si trovava mai differenza né anco della decima parte d'una
battuta di polso.
Fatta e stabilita precisamente tale operazione, facemmo scender
la medesima palla solamente per la quarta parte della
lunghezza di esso canale; e misurato il tempo della sua scesa,
si trovava sempre puntualissimamente esser la metà dell'altro:
e facendo poi l'esperienze di altre parti, esaminando ora il
tempo di tutta la lunghezza col tempo della metà, o con quello
delli duo terzi o de i 3/4, o in conclusione con qualunque altra
divisione, per esperienze ben cento volte replicate sempre
s'incontrava, gli spazii passati esser tra di loro come i quadrati
e i tempi, e questo in tutte le inclinazioni del piano, cioè del
canale nel quale si faceva scender la palla; dove osservammo
ancora, i tempi delle scese per diverse inclinazioni mantener
esquisitamente tra di loro quella proporzione che più a basso
troveremo essergli assegnata e dimostrata dall'Autore.
Quanto poi alla misura del tempo, si teneva una gran secchia
piena d'acqua, attaccata in alto, la quale per un sottil cannellino,
saldatogli nel fondo, versava un sottil filo d'acqua, che s'andava
ricevendo con un piccol bicchiero per tutto 'l tempo che la palla
scendeva nel canale e nelle sue parti: le particelle poi dell'acqua,
in tal guisa raccolte, s'andavano di volta in volta con esattissima
bilancia pesando, dandoci le differenze e proporzioni de i pesi
loro le differenze e proporzioni de i tempi; e questo con tal
giustezza, che, come ho detto, tali operazioni, molte e molte volte
replicate, già mai non differivano d'un notabil momento.
Descrizione didattica della legge di caduta dei gravi
• Il tempo di caduta delle sfere è ottenuto pesando la quantità d’acqua che, nel
medesimo tempo, fuoriuscendo attraverso un sottile cannello dal secchio, viene
raccolta in un recipiente.
• Si misura il tempo di caduta della sfera variando in modo controllato la lunghezza di
caduta. Per ogni lunghezza si ripete più volte la misura del tempo.
• Facendo percorre alla palla un quarto della lunghezza totale del piano si ottiene
puntualissimamente la metà del tempo precedente.
• Facendo poi l’esperienze di altre parti, … ,per esperienze ben cento volte replicate,
sempre s’incontrava gli spazi passati essere tra di loro come i quadrati de i tempi, e
questo in tutte le inclinazioni del piano.
Misura del tempo
con il volume o il
peso dell'acqua
Grafico dell'altezza dell'acqua in funzione del tempo
Ricerca di una legge fisica
Pendenza della retta ed errore medio
Legge di caduta
dei corpi
1.
La velocità di
un corpo che cade
aumenta
proporzionalmente
col tempo.
2. L’accelerazione
della caduta è la
stessa per tutti i
corpi.
Il conflitto delle interpretazioni storiografiche
Galilei e il moto parabolico dei
proiettili
Inerzia e relatività secondo Galileo
Lo studio della traiettoria dei proiettili :
Tartaglia e la balistica
• Nel 1531 Tartaglia mentre era a Verona come riferisce lui stesso nell'introduzione
al suo libro La nova scientia, pubblicato
poi nel 1537 e dedicato al Duca di Urbino
- fu invitato da un suo vecchio amico,
ufficiale d'artiglieria, ad occuparsi del
problema di mettere a segno i colpi dei
cannoni: "…E a benche in tal arte io non
havesse pratica alcuna (per che in vero
Eccellente Duca giamai discargheti
artegliaria, archibuso, bombarda, ne
schioppo) niente di meno (desideroso di
servir l'amico) gli promisi di darli in
breve rissoluta risposta…".
La Nova scientia
di Tartaglia
• Nel corso delle sue ricerche, che
daranno luogo alla nascita
ufficiale della balistica - lo
studio appunto del movimento
dei proiettili - il matematico
bresciano non soltanto si servì
dell'analisi teorica, ma anche
dell'applicazione sperimentale di
strumenti quali squadre e
"quadranti" (sorta di
goniometri), stabilendo così, ad
esempio, che l'inclinazione
ottimale dell'arma da fuoco
doveva essere di 45 gradi
Tartaglia e la squadra dei
bombardieri
• "…Et di poi che hebbi ben masticata e ruminata tal
materia, gli conclusi, e dimostrai con ragioni
naturali, e geometrice, qualmente bisognava che la
bocca dil pezo stesse ellevata talmente che
guardasse rettamente a .45. gradi sopra a
l'orizonte, e che per far tal cosa ispedientemente
bisogna havere una squara de alcun metallo over
legno sodo che habbia interchiuso un quadrante
con lo suo perpendicolo…"
Tecnica bellica e scienza
• L'importanza di tutte queste ricerche è doppia: non soltanto fu il primo
esempio in assoluto di trasformazione di una tecnica pratica - quella
dell'artiglieria - in una vera e propria scienza regolata da leggi
matematiche; ma fu anche il primo studio del movimento in senso
strettamente fisico e meccanico. Tutta La nova scientia (che in realtà
si riferisce solo alla balistica, senza quindi alcuna intenzione di
rivoluzionare il metodo scientifico) trabocca di descrizioni in forma
matematica sul movimento dei corpi (o "gravi"), definizioni, postulati,
e riferimenti ai principi geometrico-matematici come quelli di
Euclide. I risultati degli studi, dal punto di vista pratico furono un
successo e destarono ben presto l'interesse degli artiglieri (che però
vollero prima verificarli sperimentalmente, addirittura organizzando
vere e proprie scommesse),
Il moto dei
proiettili è
parabolico:
le misure
sperimentali
di Galilei nel
ms. vol. 72
della BNF
f. 116v
La velocità di caduta è proporzionale
alla radice quadrata dell'altezza
Il moto parabolico per Galileo
Il dispositivo sperimentale di Galileo
Foglio 116v MS. 72 BNF
La proporzione fra velocità di caduta e altezza
I calcoli di Galileo sulla proporzione
fra velocità di caduta e altezza
Il moto parabolico: la quarta giornata dei
Discorsi (1638)
• Immagino di avere un mobile lanciato su un piano orizzontale,
rimosso ogni impedimento: già sappiamo, per quello che abbiamo
detto più diffusamente altrove, che il suo moto si svolgerà
equabile e perpetuo sul medesimo piano, qualora questo si
estenda all'infinito; se invece intendiamo [questo piano] limitato e
posto in alto, il mobile, che immagino dotato di gravità, giunto
all'estremo del piano e continuando la sua corsa, aggiungerà al
precedente movimento equabile e indelebile quella propensione
all'ingiù dovuta alla propria gravità: ne nasce un moto composto di
un moto orizzontale equabile e di un moto deorsum naturalmente
accelerato, il quale [moto composto] chiamo proiezione. Ne
dimostreremo parecchie proprietà: la prima delle quali sia [la
seguente].
• TEOREMA 1. PROPOSIZIONE 1
Un proietto, mentre si muove di moto composto di un moto
orizzontale equabile e di un moto deorsum naturalmente
accelerato, descrive nel suo movimento una linea semiparabolica.
• Si intenda la linea orizzontale ossia il
piano ab posto in alto, e un mobile si
muova su di esso da a in b di moto
equabile; mancando ora il sostegno del
piano in b, sopravvenga al medesimo
mobile, per la propria gravità, un moto
naturale deorsum secondo la
perpendicolare bn. Si intenda inoltre
che la linea be, la quale prosegue il
piano ab per diritto, rappresenti lo
scorrere del tempo, ossia [ne
costituisca] la misura, e su di essa si
segnino ad arbitrio un numero qualsiasi
di porzioni di tempo eguali, bc, cd, de;
inoltre dai punti b, c, d, e si intendano
condotte linee equidistanti dalla
perpendicolare bn: sulla prima di esse
si prenda una parte qualsiasi ci; sulla
[linea] successiva se ne prenda una
quattro volte maggiore, df; [sulla
terza,] una nove volte maggiore, eh; e
così di séguito sulle altre linee secondo
la proporzione dei quadrati delle
[porzioni di tempo] cb, db, eb, o
vogliam dire in duplicata proporzione
delle medesime.
La
dimostrazione
del moto
parabolico
• Ma continuando a muoversi, nel tempo
db, cioè [in un tempo] doppio di bc,
sarà disceso per uno spazio quattro
volte maggiore del primo spazio ci;
abbiamo infatti dimostrato nel primo
trattato, che gli spazi percorsi da un
grave, con moto naturalmente
accelerato, sono in duplicata
proporzione dei tempi: e parimenti, il
successivo spazio eh, percorso nel
tempo be, sarà nove [volte maggiore
del primo spazio]: sì che risulterà
manifesto che gli spazi eh, df, ci stanno
tra di loro come i quadrati delle linee
eb, db, cb. Si conducano ora dai punti i,
f, h le rette io, fg, hl, equidistanti dalla
medesima eb: le linee hl, fg, io saranno
eguali, ad una ad una, alle linee eb, db,
cb; e così pure le linee bo, bg, bl
saranno eguali alle linee ci, df, eh;
inoltre il quadrato di hl starà al quadrato
di fg come la linea lb sta alla bg, e il
quadrato di fg starà al quadrato di io
come gb sta a bo; dunque, i punti i, f, h
si trovano su un unica e medesima linea
parabolica.
La risultante
parabolica del moto
orizzontale
“equabile” e del
moto verticale
accelerato
Le obiezioni al moto della terra
e la replica di Galilei (Dialogo)
• L’argomento della torre.
• SALV. Per la piú gagliarda ragione si produce da tutti
quella de i corpi gravi, che cadendo da alto a basso
vengono per una linea retta e perpendicolare alla
superficie della Terra; argomento stimato irrefragabile,
che la Terra stia immobile: perché, quando ella avesse la
conversion diurna, una torre dalla sommità della quale si
lasciasse cadere un sasso, venendo portata dalla
vertigine della Terra, nel tempo che 'l sasso consuma nel
suo cadere, scorrerebbe molte centinaia di braccia verso
oriente, e per tanto spazio dovrebbe il sasso percuotere
in terra lontano dalla radice della torre.
L’argomento della
nave
• Il quale effetto confermano con un'altra esperienza,
cioè col lasciar cadere una palla di piombo dalla cima
dell'albero di una nave che stia ferma, notando il segno
dove ella batte, che è vicino al piè dell'albero; ma se
dal medesimo luogo si lascerà cadere la medesima
palla quando la nave cammini, la sua percossa sarà
lontana dall'altra per tanto spazio quanto la nave sarà
scorsa innanzi nel tempo della caduta del piombo, e
questo non per altro se non perché il movimento
naturale della palla posta in sua libertà è per linea retta
verso 'l centro della Terra.
L’argomento dei proiettili
• Fortificasi tal argomento con l'esperienza d'un proietto
tirato in alto per grandissima distanza, qual sarebbe una
palla cacciata da una artiglieria drizzata a perpendicolo
sopra l'orizonte, la quale nella salita e nel ritorno
consuma tanto tempo, che nel nostro parallelo
l'artiglieria e noi insieme saremmo per molte miglia
portati dalla Terra verso levante, talché la palla,
cadendo, non potrebbe mai tornare appresso al pezzo,
ma tanto lontana verso occidente quanto la Terra fosse
scorsa avanti.
Tiri a levante e a ponente
• Aggiungono di piú la terza e molto efficace esperienza, che
è: tirandosi con una colubrina una palla di volata verso
levante, e poi un'altra con egual carica ed alla medesima
elevazione verso ponente, il tiro verso ponente riuscirebbe
estremamente maggiore dell'altro verso levante; imperocché
mentre la palla va verso occidente, e l'artiglieria, portata
dalla Terra, verso oriente, la palla verrebbe a percuotere in
terra lontana dall'artiglieria tanto spazio quanto è l'aggregato
de' due viaggi, uno fatto da sé verso occidente, e l'altro dal
pezzo, portato dalla Terra, verso levante; e per l'opposito,
del viaggio fatto dalla palla tirata verso levante
bisognerebbe detrarne quello che avesse fatto l'artiglieria
seguendola:
posto dunque, per esempio, che 'l viaggio della
palla per se stesso fosse cinque miglia, e che la
Terra in quel tal parallelo nel tempo della volata
della palla scorresse tre miglia, nel tiro di
ponente la palla cadrebbe in terra otto miglia
lontana dal pezzo, cioè le sue cinque verso
ponente e le tre del pezzo verso levante; ma il
tiro d'oriente non riuscirebbe piú lungo di due
miglia, ché tanto resta detratto dalle cinque del
tiro le tre del moto del pezzo verso la medesima
parte: ma l'esperienza mostra i tiri essere eguali;
adunque l'artiglieria sta immobile, e per
conseguenza la Terra ancora
Galilei: la composizione dei moti nel Dialogo
• Ora, per cominciar a sviluppar questi nodi, domando al signor
Simplicio, quando altri negasse a Tolomeo e ad Aristotile che i
gravi nel cader liberamente da alto venissero per linea retta e
perpendicolare, cioè diretta al centro, con qual mezo lo
proverebbero.
• SIMP. Col mezo del senso, il quale ci assicura che quella torre è
diritta e perpendicolare, e ci mostra quella pietra nel cadere
venirla radendo, senza piegar pur un capello da questa o da
quella parte, e percuotere al piede giusto sotto 'l luogo donde fu
lasciata.
• SALV. Ma quando per fortuna il globo terrestre si movesse in
giro, ed in conseguenza portasse seco la torre ancora, e che ad
ogni modo si vedesse la pietra nel cadere venir radendo il filo
della torre, qual bisognerebbe che fusse il suo movimento?
SIMP. Bisognerebbe in questo caso dir piú tosto «i suoi
movimenti», perché uno sarebbe quello col quale verrebbe da
alto a basso, e un altro converrebbe ch'ella n'avesse per seguire
il corso della torre.
SALV. Sarebbe dunque il moto suo un composto di due, cioè
di quello col quale ella misura la torre, e dell'altro col quale ella
la segue: dal qual composto ne risulterebbe che 'l sasso
descriverebbe non piú quella semplice linea retta e
perpendicolare, ma una trasversale, e forse non retta
SIMP. Del non retta non lo so; ma intendo bene che di
necessità sarebbe trasversale, e differente dall'altra retta
perpendicolare, che ella descrisse stando la Terra immobile.
SALV. Adunque dal solamente vedere la pietra cadente rader la
torre, voi non potete sicuramente affermare che ella descriva
una linea retta e perpendicolare, se non supposto prima che la
Terra stia ferma.
Perplessità di Simplicio
• Per Aristotele i moti non si compongono
• SALV. La difesa dunque d'Aristotile consiste nell'esser
impossibile, o almeno nell'aver egli stimato impossibile,
che 'l sasso potesse muoversi di un moto misto di retto e di
circolare; perché quando e' non avesse avuto per
impossibile che la pietra potesse muoversi al centro e
'ntorno al centro unitamente, egli averebbe inteso che
poteva accadere che 'l sasso cadente potesse venir radendo
la torre tanto movendosi ella quanto stando ferma, e in
conseguenza si sarebbe accorto che da questo radere non si
poteva inferir niente attenente al moto o alla quiete della
Terra.
Simplicio non è convinto
• …ma che un sasso gravissimo o una palla
d'artiglieria, che da alto venga a basso e sia già
posta in sua balía, si lasci trasportar né da aria né
da altro, ha del tutto dell'inopinabile. Oltre che ci è
l'esperienza tanto propria, della pietra lasciata
dalla cima dell'albero della nave, la qual, mentre la
nave sta ferma, casca al piè dell'albero, ma quando
la nave camina, cade tanto lontana dal medesimo
termine, quanto la nave nel tempo della caduta del
sasso è scorsa avanti; che non son poche braccia,
quando 'l corso della nave è veloce.
La replica di Salviati introduce l’inerzia
• E per restar persuaso di questo, non avete a far altro che
mutar un'antiquata impressione fatta nella vostra mente, e
dire: «Sí come, per avere stimato io sin ora che sia proprietà
del globo terrestre lo stare immobile intorno al suo centro,
non ho mai auto difficultà o repugnanza alcuna in apprendere
che qualsivoglia sua particella resti essa ancora naturalmente
nella medesima quiete; cosí è ben dovere che quando naturale
instinto fusse del globo terreno l'andare intorno in
ventiquattr'ore, sia d'ogni sua parte ancora intrinseca e
naturale inclinazione non lo star ferma, ma seguire il
medesimo corso»: e cosí senza urtare in veruno
inconveniente si potrà concludere, che per non esser naturale,
ma straniero, il moto conferito alla nave dalla forza de' remi,
e per essa a tutte le cose che in lei si ritrovano, sia ben dovere
che quel sasso, separato che e' sia dalla nave, si riduca alla
sua naturalezza e ritorni ad esercitare il puro e semplice suo
natural talento
Moto e quiete: Aristotele e Galilei
• Per Aristotele il movimento è un
“atto di una potenza in quanto tale”
e cioè un passaggio da uno stato
potenziale (capacità di acquisire
nuove determinazioni) a uno stato
attuale (realizzazione di una
potenza). Tutto ciò che si muove lo
fa perché si trova in una condizione
di privazione, e tende, tramite il
movimento, ad acquisire una certa
perfezione. Il movimento, così
inteso, ha sempre bisogno di una
causa motrice: se cessa la causa
termina anche il suo effetto. Il moto
quindi per conservarsi ha bisogno
di una forza costante, e viene
meno nel momento in cui cessa
l’applicazione della forza che lo
produce.
•
Per Galilei , invece, il movimento ha la stessa
dignità della quiete e si conserva in assenza di
forze. Una biglia che rotola da un piano
inclinato tende a conservare la velocità acquisita
alla fine del piano inclinato fino a quando non
viene perturbata da altre forze. Galilei introduce
il principio di inerzia soprattutto per rispondere
alle critiche aristoteliche alla teoria di Copernico
che prevedeva i morti della terra. L’inerzia viene
utilizzata da Galilei per spiegare perché stando
sulla terra in movimento una pietra lasciata
cadere da una torre cada ai piedi della torre e
non, invece, spostata verso ovest, cioè in
direzione contraria a quella del moto di
rotazione terrestre. Galilei ritiene che la pietra
oltre a tendere verso il basso, seguendo una
traiettoria verticale, conserva l’inerzia del moto
di rotazione terrestre. La risultante della
composizione dei due moti è quindi una
traiettoria parabolica, che spiega il perché la
pietra cade ai piedi della torre anche se la terra si
muove.
Se voi volevi produrre una piú aggiustata
esperienza, dovevi dire che si osservasse, se non
con l'occhio della fronte, almeno con quel della
mente, ciò che accaderebbe quando un'aquila
portata dall'impeto del vento si lasciasse cader da
gli artigli una pietra; la quale, perché già nel
partirsi dalle branche volava al pari del vento, e
dopo partita entra in un mezo mobile con egual
velocità, ho grande opinione che non si vedrebbe
cader giú a perpendicolo, ma che, seguendo 'l
corso del vento ed aggiugnendovi quel della
propria gravità, si moverebbe di un moto
trasversale.
Quanto all'altro, del sopravegnente moto in giú, prima è
manifesto che questi due, dico il circolare intorno al centro e
'l retto verso 'l centro, non son contrarii né destruttivi l'un
dell'altro né incompatibili, perché, quanto al mobile, ei non
ha repugnanza alcuna a cotal moto: ché già voi stesso avete
conceduto, la repugnanza esser contro al moto che allontana
dal centro, e l'inclinazione, verso il moto che avvicina al
centro; onde necessariamente segue che al moto che non
appressa né discosta dal centro, non ha il mobile né
repugnanza né propensione né, in conseguenza, cagione di
diminuirsi in lui la facultà impressagli: e perché la causa
motrice non è una sola, che si abbia, per la nuova
operazione, a inlanguidire, ma son due tra loro distinte, delle
quali la gravità attende solo a tirare il mobile al centro, e la
virtú impressa a condurlo intorno al centro, non resta
occasione alcuna d'impedimento.
• Or, fatti questi due presupposti,
venni già descrivendo intorno al
centro A col semidiametro A B il
cerchio B I, rappresentantemi il
globo terrestre; e prolungando il
semidiametro AB in C, descrissi
l'altezza della torre BC, la quale,
portata dalla Terra sopra la
circonferenza B I, descrive con la
sua sommità l'arco C D; divisa
poi la linea C A in mezo in E, col
centro E, intervallo E C, descrivo
il mezo cerchio C I A, per il quale
dico ora che assai probabilmente
si può credere che una pietra,
cadendo dalla sommità della torre
C, venga movendosi del moto
composto del comune circolare e
del suo proprio retto.
Sulla
composizione dei
moti
Una “strana” approssimazione
• SAGR. Intendo perfettamente il tutto, né posso credere che 'l mobile cadente
descriva col centro della sua gravità altra linea che una simile.
• SALV. Ma piano, signor Sagredo; ché io ho da portarvi ancora tre mie
meditazioncelle, che forse non vi dispiaceranno. La prima delle quali è, che se
noi ben consideriamo, il mobile non si muove realmente d'altro che di un moto
semplice circolare, sí come quando posava sopra la torre pur si muoveva di un
moto semplice e circolare. La seconda è ancora piú bella: imperocché egli non
si muove punto piú o meno che se fusse restato continuamente su la torre,
essendo che a gli archi C F, F G, G H, etc., che egli avrebbe passati stando
sempre su la torre, sono precisamente eguali gli archi della circonferenza C I
rispondenti sotto gli stessi C F, F G, G H, etc. Dal che ne séguita la terza
meraviglia: che il moto vero e reale della pietra non vien altrimenti accelerato,
ma è sempre equabile ed uniforme, poiché tutti gli archi eguali notati nella
circonferenza C D ed i loro corrispondenti segnati nella circonferenza C I
vengono passati in tempi eguali…
• Ma che il negozio, quanto al moto de i gravi descendenti, proceda cosí
puntualmente, io per ora non lo voglio affermare; ma dirò bene che se la linea
descritta dal cadente non è questa per l'appunto, ella gli è sommamente
prossima.
Introduzione alla relatività galieliana
• SIMP. Ma, Dio buono, come, se ella si muove
trasversalmente, la veggo io muoversi rettamente e
perpendicolarmente? questo è pure un negare il senso
manifesto; e se non si deve credere al senso, per qual altra
porta si deve entrare a filosofare?
• SALV. Rispetto alla Terra, alla torre e a noi, che tutti di
conserva ci moviamo, col moto diurno, insieme con la pietra,
il moto diurno è come se non fusse, resta insensibile, resta
impercettibile, è senza azione alcuna, e solo ci resta
osservabile quel moto del quale noi manchiamo, che è il
venire a basso lambendo la torre. Voi non sete il primo che
senta gran repugnanza in apprender questo nulla operar il
moto tra le cose delle quali egli è comune.
L’esperienza ideale della stanza sotto “coverta”
• Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza
che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate
d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti;
siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi de'
pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello,
che a goccia a goccia vadia versando dell'acqua in un
altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e
stando ferma la nave, osservate diligentemente come
quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso
tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar
notando indifferentemente per tutti i versi; le stille
cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto;
cammina o pure sta ferma;
e voi, gettando all'amico alcuna cosa, non piú
gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte
che verso questa, quando le lontananze sieno eguali;
e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali
spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che
avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun
dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non
debbano succeder cosí, fate muover la nave con
quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia
uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non
riconoscerete una minima mutazione in tutti li
nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete
comprender se la nave
La stanza sotto “coverta” metafora delle
osservazioni dalla terra
• …voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che
prima, né, perché la nave si muova velocissimamente, farete
maggior salti verso la poppa che verso la prua, benché, nel
tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra
verso la parte contraria al vostro salto; e gettando alcuna
cosa al compagno, non con piú forza bisognerà tirarla, per
arrivarlo, se egli sarà verso la prua e voi verso poppa, che se
voi fuste situati per l'opposito; le gocciole cadranno come
prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa,
benché, mentre la gocciola è per aria, la nave scorra molti
palmi; i pesci nella lor acqua non con piú fatica noteranno
verso la precedente che verso la sussequente parte del vaso,
ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su
qualsivoglia luogo dell'orlo del vaso .
Caratteristiche dei sistemi inerziali
• SALV. E di tutta questa corrispondenza d'effetti ne è
cagione l'esser il moto della nave comune a tutte le cose
contenute in essa ed all'aria ancora, che per ciò dissi io che
si stesse sotto coverta;
• SAGR. Queste osservazioni, ancorché navigando non mi
sia caduto in mente di farle a posta, tuttavia son piú che
sicuro che succederanno nella maniera raccontata: in
confermazione di che mi ricordo essermi cento volte
trovato, essendo nella mia camera, a domandar se la nave
camminava o stava ferma, e tal volta, essendo sopra
fantasia, ho creduto che ella andasse per un verso, mentre
il moto era al contrario. Per tanto io sin qui resto sodisfatto
e capacissimo della nullità del valore di tutte l'esperienze
prodotte in provar piú la parte negativa che l'affirmativa
della conversion della Terra.
Il metodo sperimentale nel XVII
secolo
Torricelli, Pascal, Stevino, Boyle e
gli esperimenti sul vuoto
Aristotele e il “vuoto”
• Nella Fisica, Aristotele sostenne che affermare l'esistenza
del vuoto - come aveva fatto Democrito - rappresentava
un'infrazione del principio di non contraddizione. Per
Aristotele uno spazio privo di oggetti (cioè vuoto) non
corrisponde affatto al niente, ma ha una propria
permanente esistenza.
Né il vuoto per Aristotele può essere preso in
considerazione in quanto ente immateriale, dato che la
filosofia naturale ha come oggetto solo l'essere in quanto
essere. Aristotele, pur concependo, d'altra parte, l'universo
come finito, negò tuttavia risolutamente che oltre i confini
del mondo vi fosse il vuoto.
Aristotele e l'aria senza peso
Il filosofo greco considerava inoltre il mondo
sublunare composto da quattro elementi
(fuoco, aria, terra e acqua) e sosteneva che a
ognuno di essi corrispondeva un luogo
naturale, dal quale potevano essere spostati
solo per violenza. Nel loro luogo naturale
gli elementi non avevano peso. L'aria,
dunque, per il filosofo greco e per i suoi
innumerevoli seguaci non pesava, né
esercitava pressione.
L’horror vacui nel Medioevo
• Sviluppando le concezioni della Fisica aristotelica, alcuni autori
medievali elaborarono la teoria dell'orrore del vuoto da parte della
natura: una ripugnanza costitutiva per il vuoto induceva la natura
ad adoperarsi in ogni modo per impedire che esso potesse
prodursi.
La teoria dell'orrore del vuoto fu impiegata per interpretare diversi
singolari fenomeni naturali: la difficoltà di separare due superfici
combacianti perfettamente levigate; la difficoltà di aprire un
mantice perfettamente sigillato; la mancata fuoriuscita del liquido
dal fondo bucherellato di una caraffa colma d'acqua la cui bocca
era stata perfettamente chiusa; e, infine, la limitata altezza cui
pompe e sifoni riuscivano a sollevare l'acqua mediante
aspirazione. Ancora con l'orrore del vuoto veniva spiegata la
rottura di bottiglie sigillate piene d'acqua e congelate: si riteneva
erroneamente che l'acqua, congelando, diminuisse di volume e, di
conseguenza, si supponeva che la natura, provoca la rottura della
bottiglia per evitare che a seguito di tale contrazione di volume si
creasse il vuoto.
Galileo e il “vuoto”
• In una lettera del 1630, il patrizio genovese Giovan Batista Galiani
interpellò Galileo sulle ragioni per cui l'acqua non saliva nel sifone
che aveva costruito per addurre acqua scavalcando una collina di circa
21 m di altezza.
Nella sua risposta Galileo sostenne che l'orrore del vuoto da parte
della natura non costituiva una ripugnanza e non era invincibile, al
contrario, essa poteva essere superata con una forza adeguata. Galileo
aveva infatti accertato che la forza del vuoto era tale da consentire il
sollevamento di una colonna d'acqua, mediante una pompa, fino
all'altezza massima di 18 braccia (circa 11 metri). Oltre quel limite la
forza del vuoto non era sufficiente e la colonna d'acqua si spezzava.
Per questo, secondo Galileo, il sifone costruito da Baliani non poteva
funzionare. Anche se ignorava la funzione determinante del peso
dell'aria, l'interpretazione galileiana del vuoto contribuì a rimettere in
moto la sperimentazione e, soprattutto, fece cadere la convinzione
nell'assoluta impossibilità di generare il vuoto in natura.
Torricelli e il “pelago d’aria”
• In ogni momento della giornata incombe su di noi l'atmosfera,
che esercita un peso di 10 tonnellate su ogni metro quadro di
superficie. Descrivendo le implicazioni della propria scoperta,
Evangelista Torricelli affermò dunque giustamente che
viviamo sul fondo di un "pelago d'aria".
• «Dico ciò – scrive Torricelli a Ricci nel 1644 - perché
qualche filosofo, vedendo di non poter fuggire questa
confessione, che la gravita dell'aria cagioni la repugnanza
che si sente nel far il vacuo, non dicesse di conceder
l'operatione del peso aereo, ma persistesse nell'asseverare
che anche la natura concorre a repugnare al vacuo. Noi
viviamo sommersi nel fondo d'un pelago d'aria elementare,
la quale per esperienze indubitate si sa che pesa, e tanto che
questa grossissima vicino alla superficie terrena pesa circa
la 1/400 parte del peso del- l'acqua».
Il peso dell'aria
La forza di gravità infatti, cui niente e nessuno può
sfuggire, agisce anche sulle molecole dell'aria. Esse
acquisiscono così un peso, esercitando di conseguenza
sulla superficie della Terra una pressione di 1 kg per
cm².
Il processo che portò alla scoperta della pressione
atmosferica e delle molteplici conseguenze che ne
derivano costituisce un'affascinante avventura che si è
consumata nell'arco di pochi decenni, a partire
dall'esperimento di Torricelli del 1644. In quei decenni,
per dimostrare che l'aria pesa e che il vuoto esiste
scesero in campo alcuni dei protagonisti più
straordinari della Rivoluzione Scientifica.
Torricelli e il vuoto
• La prima cronaca dell'esperienza l'abbiamo da una
lettera dell' 11 giugno 1644 che lo stesso Torricelli
indirizzò al suo amico Michelangelo Ricci, in Roma.
Scriveva Torricelli:
• «Le accennai già che si stava facendo non so che
sperienza filosofica intorno al vacuo, non per far
semplicemente il vacuo, ma per far uno strumento
che mostrasse le mutuazioni dell'aria, hora più
grave e grossa et hor più leggiera e sottile».
Torricelli a Ricci 1644
Nel seguito della lettera Torricelli entra in maggiori dettagli:
«Molti hanno detto che il vacuo non si dia, altri che si dia,
ma con repugnanza della natura e con fatica; non so già
che alcuno habbia detto che si dia senza fatica e senza
resistenza della natura. Io discorrevo così: se trovassi
una causa manifestissima, dalla quale derivi quella
resistenza che si sente nel voler fare il vacuo indarno mi
pare si cercherebbe di attribuire al vacuo quella
operazione che deriva apertamente da altra cagione, anzi
che, facendo certi calcoli facilissimi, io trovo che la
causa da me addotta (cioè il peso dell'aria) doverebbe
per sé sola far maggior contrasto che ella non fa nel
tentarsi il vacuo».
La descrizione dell’esperimento
• «Noi habbiamo fatti molti vasi di vetro
et anco come i seguenti, segnati A e B
grossi e di collo lungo due braccia,
questi pieni d'argento vivo [mercurio],
poi serrategli con un dito la bocca e
rivoltati in un vaso dove era l'argento
vivo C, si vedevano votarsi e non
succedere niente nel vaso che si
votava; il collo però AB restava
sempre pieno all'altezza d'un braccio e
1/4 et un dito di più [circa 76 cm ]».
L’esperimento di Torricelli
• Il celeberrimo esperimento dell'argento vivo fu
realizzato da Torricelli nella primavera del 1644 a
Firenze. Torricelli riempì di mercurio un tubo di vetro
aperto ad una delle estremità. Poi, tenendo serrata con
un dito l'estremità aperta, rovesciò il tubo in una
bacinella contenente mercurio. Osservò allora che la
colonna di mercurio scendeva solo parzialmente,
fermandosi ad un'altezza di circa 76 cm. Torricelli si
convinse che lo spazio lasciato libero dalla discesa del
mercurio nel tubo fosse vuoto e che il sostentamento
della colonna di mercurio dipendesse dalla pressione
che l'aria esercitava sul mercurio nella bacinella. In
una lettera a Michelangelo Ricci del 11 giugno 1644,
Torricelli sostenne che il suo esperimento provava due
concetti fondamentali: che la natura non aborre il
vuoto e che l'aria pesa. I risultati dell'esperimento
dell'argento vivo aprivano un'epoca di trasformazioni
rivoluzionarie e obbligavano a rivedere dottrine
consolidate da secoli
Il peso dell’aria
• «Il discorso si faceva mentre il vaso AE stava
voto e l'argento vivo si sosteneva benché
gravissimamente nel collo AC; questa forza, che
regge quell'argento vivo contro la sua
naturalezza di ricader giù, si è veduto fino
adesso che sia stata interna nel vaso AE, o di
vacuo, o di quella robba sommamente rarefatta;
ma io pretendo che la sia esterna e che la forza
venga di fuori. Sulla superficie del liquore che è
nella catinella gravita l'altezza di 50 miglia d'aria;
però qual maraviglia è se nel vetro CE, dove
l'argento vivo non ha inclinazione, ne anco
repugnanza per non esservi nulla, entri e vi
s'innalzi fin tanto che si equilibri colla gravita
dell'aria esterna che lo spinge? L'acqua poi in un
vaso simile, ma molto più lungo, salirà quasi fino
a 18 braccia [circa 10 metri], cioè tanto più
dell'argento vivo, quanto più l'argento vivo è più
grave dell'acqua, per equilibrarsi con la
medesima cagione che spinge e l'uno e l'altra».
Il barometro di Torricelli
• Il barometro è lo strumento che consente di "pesare" l'aria. Il
suo funzionamento è simile a quello di una bilancia: la
colonna di mercurio è infatti contrappesata dalla pressione
esercitata dall'aria sulla vaschetta piena di mercurio. Torricelli
scoprì nel 1644 che il livello del mercurio contenuto in un
tubo, chiuso ad un'estremità, capovolto e rovesciato in una
vaschetta di mercurio, si abbassava solo parzialmente perché
era controbilanciato dalla pressione dell'aria sulla vaschetta.
Egli scoprì anche che l'altezza della colonna di mercurio
variava, alla medesima altitudine, al variare della temperatura.
Grazie a questa osservazione, fu possibile successivamente
mettere a punto il termometro a mercurio. Al livello del mare,
alla temperatura di 0°C e alla latitudine di 45°, il livello del
mercurio nella colonnina si mantiene ad una altezza di circa
76 cm, mentre sulla cima di una montagna alta 2500 metri si
attesta al livello di soli 57 cm.
Un esperimento torricelliano
senza mercurio
•
L'uso del mercurio, denso circa 14 volte più dell'acqua,
consentì a Torricelli di operare con tubi di lunghezza
inferiore ad un metro.
•
Onde evitare le difficoltà operative e sanitarie connesse
al mercurio si potrebbe, per così dire, “pesare l'aria con
l'acqua”.
Materiale occorrente per il barometro ad
acqua del “Vitruvio” e risultati attesi
•
Un tubo di plastica trasparente di 13 metri e di diametro
pari a 1cm. Il diametro interno è di 8 mm)
•
Acqua addizionata di colorante
•
Due rubinetti a chiusura ermetica
•
Una bacinella di raccolta.
Risulati attesi: Poiché il peso specifico dell'acqua è circa
quattordici volte inferiore a quello del mercurio a livello del
mare ci attendiamo che compiuto l'esperimento la pressione
atmosferica faccia scendere la colonnina d'acqua nel tubo
ad un'altezza pari a 10,33 metri. All'altitudine di Avezzano
700m s.l.m ci si aspetta un'altezza della colonnina d'acqua
inferiore a 10 metri
Gradiente e pressione atmosferica
Quota e variazione di pressione
Descrizione dell'esperienza
•
Dopo averlo opportunamente graduato (fra i 9 metri e i
10,33 metri) Fissiamo, con fascette o cravatte, il tubo di
plastica al corrimano della scala A del Liceo Scientifico,
sfruttando così l'altezza della tromba delle scale.
•
Attappiamo l'estremità inferiore del tubo immersa in una
bacinella d'acqua.
•
Riempiamo dall'estremità superiore il tubo con acqua
colorata fino alla sua estremità superiore
•
Attappiamo l'estremità superiore.
•
Operando con le mani nella bacinella di raccolta stappiamo il
tappo dell'estremità inferiore del tubo.
•
La lettura del livello dell'acqua nel tubo ci fornisce il peso
dell'aria, cioè la pressione atmosferica
Esperimento di tipo
torricelliano.
Gaspar Schott, Technica
curiosa, sive, Mirabilia
artis, Würzburg 1664
Il vuoto torricelliano
• Torricelli si convinse infatti che la parte superiore
chiusa del tubo lasciata libera dalla discesa del
mercurio doveva essere vuota. Era la prima volta
che il vuoto veniva affermato non su base
puramente speculativa ma col sostegno di una
convincente evidenza sperimentale. Naturalmente,
il vuoto torricelliano non era un vuoto perfetto,
perché nello spazio del tubo lasciato libero per la
discesa del mercurio rimanevano i vapori del
metallo. Bastarono tuttavia dieci anni perché,
grazie all'invenzione delle pompe da vuoto, si
riuscisse a creare livelli via via più spinti di vuoto,
favorendo in tal modo lo sviluppo delle attività
sperimentali.
Diversi tipi di vuoto
Oggi si distinguono vari tipi di vuoto: il vuoto
industriale, corrispondente a 0,1 mmHg
(1mmHg=1millimetro di mercurio); il vuoto medio
fino a 10-1 mmHg; l'alto vuoto fino a 10-7; e infine l'ultra
vuoto, inferiore a 10-7 mmHg.
Particolarmente complesse sono le procedure per
produrre gli ultravuoti fino a 10-15 mmHg, necessari per
il funzionamento delle macchine acceleratrici a fasci
collidenti. Tuttavia anche questi vuoti sono di gran
lunga inferiori al vuoto interstellare, che contiene meno
di un atomo per cm3.
Esperimento di tipo
torricelliano.
Gaspar Schott, Technica
curiosa, sive, Mirabilia artis,
Würzburg 1664.
Scrive Torricelli:
«Confermava il discorso l'esperienza fatta
nel medesimo tempo col vaso A e con la
canna B, nei quali l'argento vivo si fermava
sempre nel medesimo orizzonte AB, segno
quasi certo che la virtù non era dentro;
perché più forza averebbe avuto il vaso AE,
dove era più robba rarefatta ed attraente, e
molto più gagliarda per la rarefattione
maggiore che quella del pochissimo spatio
B. Ho poi cercato di salvar con questo
principio tutte le sorte di repugnanze che
sentono nelli varii effetti attribuiti al vacuo,
ne vi ho fin'hora incontrato cosa che non
cammini bene».
Pascal e la conferma dell’esperimento di Torricelli
• Una delle conferme decisive dell'influenza della pressione
atmosferica venne offerta dal cosiddetto esperimento del "vuoto nel
vuoto", realizzato nel 1648 con diverse modalità da Roberval, da
Adrien Auzout, dallo stesso Pascal e, successivamente, dagli
Accademici del Cimento e da Robert Boyle.
Si scoprì, infatti, che, se l'esperimento torricelliano veniva realizzato
in un ambiente vuoto, il mercurio non restava in sospensione ma
discendeva completamente nella bacinella. Si osserva inoltre che,
reimmettendo aria, il mercurio tornava a salire nel tubo.
Per confermare l'esperimento di Torricelli, Blaise Pascal concepì nel
1648 una prova risolutiva. Fece portare un barometro sulla sommità
del Puy de Dôme, nel Massiccio Centrale della Francia, dove il
livello della colonna di mercurio risultò più basso di alcuni pollici
rispetto alla pianura. Pascal interpretò correttamente questa
variazione come conseguenza della diminuzione della pressione per
l'altitudine.
Variazione del tubo
torricelliano ordinario per
l'esperienza del vuoto nel
vuoto.
Pascal, Traitez de l'equilibre
des liqueurs, et de la
pesanteur de la masse de l'air,
Parigi 1663
Esperienze sul peso
dell'aria.
Daniello Bartoli, La
tensione e la
pressione disputanti
qual di loro sostenga
l'argento vivo ne'
cannelli dopo fattone
il vuoto, Roma 1677
La legge di Stevino (∆p=ρgh) e i vasi comunicanti
Le esperienze di Magdeburgo
• Otto von Guericke mise a punto, intorno al 1655, una
pompa che poteva estrarre l'aria da recipienti a tenuta.
Grazie a questo nuovo strumento, von Guericke poté
allestire a Magdeburgo, nel 1657, una spettacolare
esperienza alla quale assisté un enorme numero di
concittadini.
Egli dimostrò che il peso dell'aria spingeva l'una contro
l'altra due calotte emisferiche perfettamente combacianti
(entro le quali era stato fatto il vuoto con la pompa
pneumatica), con tale forza che occorrevano due tiri
contrapposti di 16 cavalli per separarle.
Von Guericke intuì che il peso dell'aria costituiva una
forza utilizzabile per compiere lavoro, ad esempio per
sollevare pesi, avviando così un filone di ricerche che
porterà alla macchina a vapore di James Watt (17361819).
Pompa pneumatica di
Otto von Guericke.
Otto von Guericke,
Experimenta Nova (ut
vocantur)
Magdeburgica De
Vacuo Spatio,
Amsterdam 1672
Esperienza degli emisferi di Magdeburgo.
Gaspar Schott, Mechanica hydraulicopneumatica, Würzburg 1657
Boyle e la pompa aspirante
• Robert Boyle perfezionò notevolmente la pompa aspirante
di von Guericke favorendo in tal modo le attività di
sperimentazione sul peso dell'aria e sul vuoto. Lo stesso
Boyle, servendosi di campane di vetro evacuate grazie alla
pompa, realizzò un gran numero di esperienze
fondamentali.
Secondo i contestatori del vuoto, il suono di un campanello
in ambiente vuoto non sarebbe risultato percepibile.
Viceversa, le prime esperienze compiute nel tubo
torricelliano sembravano dimostrare il contrario. Boyle
dimostrò per primo che, evacuando una campana di vetro
nella quale era posto un campanello, effettivamente non si
riusciva a percepirne più il suono. Analoga suggestione e
valore presentavano altre esperienze, come quella del
fumo che non sale ma viceversa scende nel vuoto, e quella
dell'acqua che bolle a temperatura ambiente nel vuoto.
Pompa
pneumatica di
Boyle.
Robert Boyle, New
Experiments
PhysicoMechanicall,
Touching the
Spring of the Air
and its Effects,
Oxford 1660
Il suono nel vuoto.
Robert Boyle, New
Experiments PhysicoMechanicall,
Touching the Spring
of the Air and its
Effects, Oxford 1660
Esperienze con
campane di vetro
nella quali è stato
prodotto il vuoto.
Robert Boyle, New
Experiments
Physico-Mechanicall,
Touching the Spring
of the Air and its
Effects, Oxford 1660
Incredibili vesciche che si gonfiano
• Particolarmente spettacolare
e convincente risultava,
quando si faceva il vuoto
nella campana, anche il
misterioso gonfiamento di
vesciche precedentemente
svuotate d'aria. La poca aria
residua in esse, non
essendovi più il contrasto
della pressione atmosferica,
bastava infatti a gonfiarle.
Reimmettendo l'aria nella
campana, le vesciche
tornavano sgonfie.
La legge di Boyle
• Il contesto storico in cui venne formulata la
legge di Boyle si colloca all'interno di quella
grande serie di esperimenti che seguirono lo
storico e famosissimo esperimento condotto
da Evangelista Torricelli nel 1644 a seguito
del quale si scoprì la pressione atmosferica e
gli scienziati cominciarono ad interessarsi allo
studio dell'aria e dei gas. Fu infatti
nell'eseguire esperimenti di compressione di
una certa massa d'aria che Boyle scoprì la
legge che porta il suo nome.
Il contributo di Mariotte
A titolo di curiosità si segnala che nel formulare la sua
legge, Boyle non specificò che la temperatura
dovesse essere mantenuta rigorosamente costante,
condizione necessaria perché la relazione pV =
costante sia effettivamente verificata. Egli diede infatti
per scontata una tale precauzione, tuttavia il fisico
francese Edme Mariotte (1630- 1684), che scoprì
indipendentemente la stessa legge, specificò
chiaramente che la temperatura dovesse essere
mantenuta costante e per questa ragione nell'Europa
continentale la legge di Boyle circola spesso col nome
di legge di Mariotte.
I gas perfetti e la natura
• Le legge di Boyle (1662) o legge dell'isoterma
afferma che per un gas ideale a temperatura T
costante il prodotto della pressione (assoluta) p per il
volume V è costante, cioè in formule pV = costante
(per T costante) o, il che è lo stesso, pV = p0V0 (per T
costante), se con p0 e V0 si indicano rispettivamente
la pressione iniziale e il volume iniziale del gas. In
altre parole, le relazioni precedenti esprimono che a
temperatura costante (per esempio quella ambiente)
dimezzando il volume a disposizione di una certa
massa di gas la sua pressione raddoppia e,
viceversa, raddoppiando il volume, la pressione del
gas si dimezza.
Un'esperienza
di laboratorio
per illustrare
la legge di
Boyle
Gas ideali e gas in natura
E' importante sottolineare che, dal momento che un gas
ideale non esiste in natura, per i gas reali la legge di
Boyle non vale sempre proprio perché il gas è reale e
non ideale. Tuttavia nelle scienze applicate l'aria, per
esempio, può considerarsi un gas ideale nei limiti di
errore dell'1% alla temperatura ambiente e per
pressioni fino a 25 atmosfere e lo stesso margine
d'errore vale con pressione di una atmosfera fino a 95° C. Di fatto un gas reale può essere trattato come
un gas ideale quanto più si è nelle condizioni di
pressione sufficientemente bassa e di temperatura
alta rispetto a quella per cui si avrebbe
condensazione in relazione ad un fissato valore della
pressione.
Un possibile esperimento sulla legge di
Boyle da realizzare a scuola
La caduta dei gravi nel vuoto
• Galileo affermò per primo che i corpi, di qualunque
materia, peso e volume, cadono tutti dalla quiete con la
medesima velocità. Le prove sperimentali mostravano,
tuttavia, come i corpi più pesanti giungessero al suolo
con un buon anticipo rispetto ai più leggeri.
Grazie alla messa a punto di strumenti per produrre
agevolmente il vuoto, alla fine del Seicento venne
costruito un ingegnoso apparato sperimentale che
consentì finalmente di dimostrare che Galileo aveva
ragione. In un tubo di vetro, evacuato mediante una
pompa, venivano fatte cadere simultaneamente una
piuma e una moneta d'oro (una ghinea inglese): i due
corpi, nonostante il loro peso così diverso, giungevano
insieme alla base del tubo.
Apparato
sperimentale per la
caduta dei gravi nel
vuoto.
Jean Antoine
Nollet, Leçons de
physique
expérimentale,
Parigi 1743-1748
La rivoluzione nelle scienze
baconiane
Elettricità e magnetismo nel XIX
secolo
Scienze classiche e baconiane: una
distinzione introdotta da Kuhn (1975) con
riferimento alla Rivoluzione Scientifica
Saggio III (1975) intitolato:
“Tradizioni matematiche e
tradizioni sperimentali nello
sviluppo delle scienze fisiche”
pag. 42: “Le scienze fisiche
classiche” [matematiche]
pag. 48 “L’emergere delle scienze
baconiane” [empiriche]
Tradizioni matematiche: le
scienze classiche
• Astronomia, meccanica, moto locale, ottica
geometrica, acustica, caratterizzate da una
trattazione matematica fin dall’antichità
• Ulteriormente sviluppate con linguaggio
matematico durante la Rivoluzione Scientifica
La scienze baconiane
•Francis Bacon (1561-1626) iniziatore della
tradizione empirica inglese
•Limiti della ragione e conseguente valorizzazione
dello studio empirico della natura, compilazione di
VASTI RESOCONTI SPERIMENTALI in vari
settori, tra cui:
Scienze fisiche [Kuhn concentra l’attenzione su
queste]:
–Chimica
–Calore
–Magnetismo
–Elettricità
La rivoluzione nella scienza
dell’elettricità e del magnetismo
• Un percorso storico in 5 fasi:
• a) la fase baconiana nel seicento e settecento, culminante
con la formulazione della legge di Volta nel 1784 e di
Coulomb nel 1785
• b) gli sviluppi della teoria matematica del potenziale
• c) la scoperta della pila, le esperienze di Oersted e le leggi
di Biot-Savart e di Ohm
• d) l'opera di Ampère e lo sviluppo dell'elettrodinamica, cioè
il filone newtoniano nell'elettromagnetismo
• e) lo sviluppo delle idee di Faraday e Maxwell in Inghilterra
e della teoria dell'azione a contatto
Galvani e l'elttericità animale
Gli esperimenti di Galvani
Volta e l'elettricità animale
Ipotesi sull'elettricità
La memoria del 1792
La controversia Galvani-Volta.
Galvani e le contrazioni senza
metallo
La replica di Volta
La controversia continua
Le pile di Volta: la pila a
colonna e la corona di
tazze
Il paradigma newtoniano
• Il quadro concettuale nel quale si collocavano gli studi
sull’elettricità era quello newtoniano che si era affermato a
partire dalla scoperta della gravitazione universale (Newton,
1687). Al di là dell'aspetto matematico (proporzionalità tra
masse che interagiscono e dipendenza dall'inverso del
quadrato della distanza tra i loro centri), questa legge
•
• sottintende che:
• 1) l'azione tra le due masse è rettilinea, avviene cioè lungo la
retta che unisce i centri delle stesse;
• 2) l'azione è a distanza, non ha cioè bisogno di intermediari
per agire tra le due masse;
• 3) l'azione è istantanea, non richiede cioè tempo per
propagarsi (essa si propaga quindi con velocità infinita).
Forze magnetiche e forze elettriche
• Tutto il Settecento visse sotto l'autorevole influsso di Newton e quindi alla
ricerca di azioni del tipo di quelle descritte. Così John Michell nel 1750
provò a dare una stessa legge per le forze che si esercitano tra poli
magnetici
• (proporzionalità tra 'poli' che interagiscono e dipendenza dall'inverso del
quadrato della loro 'distanza'), legge che non funziona, e Coulomb ricavò
(1784) la legge di forza tra cariche elettriche
• (proporzionalità tra cariche che interagiscono e dipendenza dall'inverso
del quadrato della distanza tra i loro centri), legge che funziona solo a
certe condizioni: cariche puntiformi, a grande distanza, …. Insomma tutti
i fisici tentavano di trovare leggi alla Newton e nel far ciò avrebbero
certamente disposto i loro strumenti di misura 'tra' i due oggetti che
andavano ad interagire.
La legge di Coulomb
• “In una memoria presentata
all'Accademia nel 1784, - scrive
Coulomb - ho sperimentalmente
determinato le leggi della forza di
torsione di un filo di metallo, e ho
trovato che questa forza è
direttamente proporzionale
all'angolo di torsione, alla quarta
potenza del diametro del filo di
sospensione ed è inversamente
proporzionale alla sua lunghezza; il
tutto moltiplicato per un
coefficiente costante che dipende
dalla natura del metallo e che si può
facilmente determinare
sperimentalmente”
Gli strumenti: bilancia di torsione, bottiglie di
Leida (condensatori), elettroscopio
La scuola francese e la teoria
matematica del potenziale.
Funzioni continue nelle variabili
spaziali. Equazioni differenziali.
L’uso del continuo matematico in fisica,
se da un lato permetteva l’applicazione
di strumenti matematici sempre più
efficaci, dall’altro era in contrasto con la
nozione particellare su cui si fondava
l’interpretazione newtoniana. In questo
contesto, la funzione potenziale V,
definita in linea di principio in
qualunque punto dello spazio che
circonda i punti materiali, o le particelle
dei fluidi elettrici e magnetici, non
poteva che essere vista come mero
artificio formale.
La duplice interpretazione: azioni a
distanza; azioni per contatto.
• Nel 1820 una esperienza apparentemente
innocua realizzata dal fisico danese Oersted
(il quale vi lavorò per ben 9 anni, guidato
dal presupposto del 'conflitto di forze' della
Naturphilosophie tra i cui massimi
rappresentanti vi erano Schelling e Goethe)
aveva portato un grande scompiglio nella
fisica. Per la prima volta, dopo più di 130
anni di rassicuranti azioni 'rettilinee a
distanza', veniva evidenziata una azione
totalmente differente: un filo conduttore, se
disposto parallelamente ad un ago
magnetico, vede l'ago ruotare di 90º e
disporsi perpendicolarmente al filo, quando
in esso viene fatta circolare corrente.
Questo tipo di azione si svolge su di un
piano perpendicolare alla congiungente filo
- ago e consiste in una rotazione dell'ago
medesimo risultando, come dice Oersted,
'circolare'.
Elettricità e
magnetismo:
l’esperienza di
Oersted
Le conclusioni di Oersted: Experimenta circa
effectum conflictus electrici in acum magneticum
(1820)
• Oersted, nel condurre l'esperienza, muove l'ago nello spazio
circostante il filo e si accorge che, se la rotazione avviene in un
senso con l'ago disposto sotto il filo, essa avviene in senso
opposto se si dispone l'ago sopra il filo. Per Oersted quindi, le
forze magnetiche sono distribuite nello spazio che circonda il
filo e, data la simmetria degli spostamenti dell'ago, conclude che
le forze magnetiche sono costituite da cerchi "poiché è nella
natura dei cerchi che movimenti da parti opposte debbano avere
opposte direzioni" (oggi diremmo che le linee di forza del campo
magnetico intorno ad un filo rettilineo percorso da corrente,
sezionando il filo con un piano ad esso perpendicolare, hanno la
forma di circonferenze concentriche al filo).
Conclusioni di Oersted
• « ... Il conflitto elettrico non è racchiuso nel conduttore ma,
come abbiamo già detto, è al medesimo tempo disperso nello
spazio circostante, e ciò è ampiamente dimostrato da tutte le
osservazioni fin qui fatte... ».
• Riferendosi poi all'effetto di simmetria da lui riscontrato nel
disporre l'ago magnetico al di sopra o al di sotto del filo
percorso da corrente dice:
• « ... In maniera simile è possibile dedurre da quanto abbiamo
osservato che questo conflitto agisce circolarmente perché
questa sembra essere una condizione senza la quale è
impossibile che la medesima parte del filo di congiunzione, che
quando sta sotto il polo magnetico lo fa spostare ad est, lo fa
spostare invece ad ovest quando è posta sopra di esso. Perché è
nella natura dei cerchi che moti in parti opposte abbiano
direzioni opposte... ».
Elettricità e magnetismo in Francia
• Subito partirono, soprattutto dalla Francia di Ampère, Biot,
Savart, …, studi e ricerche che tentarono di ricondurre quella
stessa azione circolare alla Oersted nell'ambito di quelle
rettilinee alla Newton. Su questa strada, in tempi brevissimi si
conseguirono risultati di notevole importanza. Arago osservò
che un disco di rame in rotazione ha effetti su un ago
magnetico; Biot e Savart dimostrarono sperimentalmente che
in prossimità di un conduttore rettilineo la 'forza' varia in
ragione inversa alla distanza;
μ0 i
B= ⋅
2π r
Laplace, la legge di Biot e Savart
e l’azione a distanza
• Scrive Biot: “... Egli( Laplace) ha dedotto matematicamente dalle nostre
osservazioni la legge della forza esercitata singolarmente da ogni tratto di
filo su ogni molecola magnetica ad esso esposta. Questa forza è diretta,
come l'azione totale, perpendicolarmente al piano formato dall'elemento
longitudinale di filo e dalla più breve distanza tra questo elemento e la
molecola magnetica sollecitata. La sua intensità, come nelle altre azioni
magnetiche è inversamente proporzionale al quadrato di questa stessa
distanza »
• Come si vede, anche questa è una legge che ha una grande analogia
formale con quella di Coulomb e quella di Newton: l'andamento con
l'inverso del quadrato della distanza ed il riconoscimento stesso di
un'azione a distanza bastano per ora a far intravedere la presenza
rassicurante di Newton e ad allontanare lo spettro delle forze
«disordinate» ed « in permanente conflitto ».
Newtoniani a oltranza
• Arago scoprì che un conduttore avvolto ad elica (solenoide) agisce
come un magnete; Arago (e Davy) osservarono la magnetizzazione
di limatura di ferro mediante il passaggio di corrente attraverso
un conduttore posto nelle vicinanze; Ampère scoprì l'azione
elettrodinamica tra correnti, ricavandone una legge elementare
dipendente dagli angoli che tali correnti formano tra loro
• (egli era cosciente del fatto che la legge da lui trovata era
discutibile proprio per quella sua dipendenza da angoli e prima di
morire lasciò uno scritto in cui sosteneva che il suo scopo di
completa riduzione dell'esperienza di Oersted ad azioni di tipo
newtoniano sarebbe stato raggiunto quando si fosse trovata una
qualche legge elementare tra 'molecole' elettriche dipendente
dalla loro velocità);
André Marie Ampére:
Annales de Chimie et de Physique (1820)
• “I due conduttori si trovano così paralleli e vicini l'un l'altro su di
un piano orizzontale; uno di essi può oscillare intorno alla linea
orizzontale passante per le estremità dei due punti di acciaio, e, in
questo movimento, esso resta necessariamente parallelo all'altro
conduttore (che è) fisso…”
• Ampére inizia a studiare due conduttori rettilinei disposti
parallelamente ed in grado di muoversi parallelamente l'uno
rispetto all'altro. In questo caso si ha attrazione o repulsione (a
seconda del verso delle correnti nei due fili).
F=K
i 1⋅i 2⋅l
d
Ampère: Mémoire sur la théorie mathématique des phénomenes
éléctrodinamiques uniquement déduite de l’expérience (1826)
Ampére interpreta l’esperienza di Oersted in
termini di azioni a distanza rettilinee
• Il problema che Ampére aveva bene in mente era però quello della rotazione
dell'ago magnetico di Öersted ed allora egli monta l'esperienza in modo da
avere un filo rettilineo fisso ed un altro in grado di ruotare su di un piano
parallelo al primo:
• «... Se il conduttore mobile, invece di essere costretto a muoversi
parallelamente a quello fisso, è libero soltanto di girare su di un piano parallelo
a questo conduttore fisso, intorno ad una perpendicolare comune passante per
i loro centri, è chiaro che, secondo la legge che abbiamo appena ammesso per le
attrazioni e repulsioni delle correnti elettriche, le due metà di ogni conduttore
attireranno e respingeranno quelle dell'altro, secondo che le correnti siano
concordi o discordi; per conseguenza il conduttore mobile girerà fino a quando
esso arriva in una situazione in cui si trovi parallelo a quello fisso, e in cui le
correnti siano dirette nello stesso senso: da cui segue che nell'azione mutua di
due correnti elettriche l'azione direttrice e l'azione attrattiva o repulsiva
dipendono da uno stesso principio e non sono che effetti differenti di una sola e
medesima azione ».
Ampére: elettricità e magnetismo
• « E' cosi che si arriva a questo risultato inatteso, che i fenomeni
magnetici sono unicamente prodotti dalla elettricità... ».
• Ecco allora su quali ipotesi Ampère trova la legge di forza tra
correnti: il magnete è pensato come un insieme di correnti
elettriche nei piani perpendicolari alla linea che unisce i poli.
Questa ipotesi è dunque necessaria ad Ampère per ricavare
l'azione ponderomotrice tra correnti, per rendere conto
dell'esperienza di Öersted e, infine, per ricondurre le «forze in
conflitto » all'ordine newtoniano.
La spiegazione “newtoniana”
dell’esperimento di Oersted
• L'introduzione di questa ipotesi spiega bene il perché,
contrariamente a due fili percorsi da corrente che tendono a
sistemarsi parallelamente, un ago magnetico tende a disporsi
perpendicolarmente ad un filo percorso da corrente.
Quest'ultimo fenomeno è in realtà analogo a quello dei due fili:
sono le correnti che circolano perpendicolarmente al filo e nel
far questo portano l'asse del magnete ad essere perpendicolare
al filo stesso
Ampére e il paradigma newtoniano: dalle
parti al tutto
• Ampère si rende subito conto però che non è possibile ricavare
la legge di forza tra due correnti se non passando attraverso
elementi infinitesimi di circuito ed infatti egli trova che:
• « ... L'azione di quelle [correnti] delle quali si possono misurare
gli effetti, è la somma delle azioni infinitamente piccole dei loro
elementi, somma che si può ottenere con due integrazioni
successive, l'una da farsi su tutta la lunghezza di una delle
correnti relativamente ad uno stesso punto dell'altra, la seconda
da eseguirsi sul risultato della prima integrazione ... su tutta
l'estensione della seconda corrente... ».
• L'espressione della legge che regola l'azione che si esercita tra
due correnti elettriche ha il carattere di azione istantanea a
distanza tipico della fisica newtoniana. È questo un trionfo di
Ampère.
Gli studi di Ohm
• "L'intensità di corrente in un circuito è direttamente
proporzionale alla tensione ad esso applicata ed
inversamente proporzionale alla resistenza del circuito
stesso". La sua espressione matematica è:
• I=V/R
L’elettromagnetismo in Gran Bretagna
• Ben diversa fu l'accoglienza che l'esperienza di Oersted
ebbe in Gran Bretagna. Nel 1821 Richard Phillips,
direttore degli Annals of Philosophy, chiese al giovane
assistente di Davy e suo amico, Michael Faraday, di
fare, per la rivista, una rassegna storica di tutti gli
esperimenti e teorie dell'elettromagnetismo che erano
apparsi dopo Oersted (è opportuno a questo punto
ricordare che in accordo con il riduzionismo di Ampère
- magnetismo prodotto da elettricità, anche a livello di
struttura 'molecolare' della materia - nel continente
entra in uso il termine 'elettrodinamica'; anche per
sottolineare un approccio diverso al problema, in Gran
Bretagna, gli stessi fenomeni sono designati con il
termine 'elettromagnetismo').
Faraday e le azioni circolari
• Ma Faraday, nel realizzare il suo lavoro, ebbe modo di ripetere
molte delle esperienze che trovava descritte nella letteratura e la
cui redazione non lo soddisfaceva; ebbe modo di valutare i pregi e
le idee oscure di ogni singola teoria proposta; in particolare non lo
convinceva la spiegazione teorica che Ampère dava
dell'esperienza di Oersted. Egli, in nessun modo, riusciva a
convincersi che le azioni tra filo conduttore e magnete potessero
essere rettilinee, istantanee ed a distanza. L'aspetto che più lo
colpiva nell'esperienza di Oersted erano gli effetti di simmetria
che balzavano immediatamente agli occhi: se l'ago era disposto
sotto il filo la rotazione dell'ago avveniva in un senso; sopra il filo
la rotazione si realizzava in verso opposto. Su ciò concentrò il suo
lavoro fino a realizzare una esperienza in cui, se possibile, le
azioni circolari erano portate ad una evidenza ancora maggiore.
• Con l'apparato sperimentale in
figura, riuscì a realizzare il moto
circolare di un magnete intorno ad
una corrente e, simultaneamente, di
un filo percorso da corrente intorno
ad un magnete. L'apparato è
costituito da due coppe di vetro ;
all'interno delle coppe vi è del
mercurio che permette la chiusura
del circuito mediante un contatto
strisciante (il conduttore rigido si
muove mantenendo il contatto
elettrico con il mercurio); i
conduttori che escono da sotto le
coppe sono collegati ad una
batteria; quando passa corrente il
magnete della coppa di sinistra ed il
conduttore della coppa di destra
cominciano a ruotare
vorticosamente intorno,
rispettivamente, al conduttore fisso
ed al magnete fisso. Sarebbe stato a
questo punto più difficile mettere in
discussione le azioni circolari.
Faraday e la dimostrazione
sperimentale dell’azione
circolare
L’apparato
sperimentale di
Faraday per la
dimostrazione
delle azioni
circolari
L’induzione elettromagnetica
• Faraday, nel 1831, scoprì l'induzione elettromagnetica: un magnete mosso in
prossimità di un circuito non alimentato provoca in esso il passaggio di corrente.
Non si trattava di un fenomeno semplice da evidenziare: chissà quante volte
Faraday aveva mosso un magnete vicino ad un circuito! Il fatto è che il fenomeno è
evidente solo durante il moto relativo di magnete e circuito elettrico. Solo quando
c'è una variazione di una qualche grandezza nella fase transitoria. E di questo
Faraday si rese ben conto fino a progettare l'esperienza in figura: all'apertura o
chiusura del circuito B, mediante il tasto T, il galvanometro G segna passaggio di
corrente (se in un dato verso all'apertura, in verso opposto alla chiusura). E' la prima
evidenza chiara di un nesso tra corrente elettrica, magnetismo e movimento (o
variazione di una data situazione).
Faraday, l’elettrolisi, il monopolo elettrico e
la critica dell’azione a distanza fra centri di
forza
• Nel 1832 Faraday intraprende una nuova serie di ricerche
sperimentali con le quali si propone di dimostrare l'identità di
tutti i tipi di elettricità. Qui si deve scontrare con l'elettrolisi,
sulla quale lavora molto. Questo fenomeno era stato spiegato
brillantemente con la teoria dell'azione a distanza, essendo i
poli della cella voltaica i centri delle forze attrattive e
repulsive che agiscono su 'pezzi' di molecole.
• Egli si sbarazzò dapprima dei poli facendo avvenire la
dissociazione elettrolitica senza l'uso dei due poli che si
ritenevano indispensabili. Provocò questa dissociazione con
vari apparati sperimentali che si servivano di un solo polo,
mostrando nel contempo l'identità dei vari tipi di corrente,
quella voltaica, quella elettrostatica ecc.
• Nella figura (a) è rappresentato un
generatore elettrostatico ad un solo polo
che si scarica su strisce di carta imbevute
di una soluzione salina (si provoca la
decomposizione della soluzione e
simultaneamente si ha flusso di corrente);
nella figura (b) viene suggerito l'uso di un
solo polo di una batteria voltaica per far
avvenire la decomposizione in a di una
soluzione salina di cui è imbevuta la
striscia di carta (indicata con b); il
circuito non è infatti chiuso sul polo
positivo ma è interrotto nel punto e per
cui Faraday fa circolare corrente
riscaldando l'aria nel tratto in cui il
circuito è interrotto. In ambedue questi
casi non vi sono due terminali, o poli, che
provocano la dissociazione della
soluzione: viene così meno
l'indispensabilità dei poli medesimi. Ed
eliminati i poli sono eliminati i supposti
centri di forza
Il monopolo
elettrico
L’azione per contatto e la trasmissione
della forza elettrostatica
• Negli anni seguenti, fino al 1837, studia essenzialmente
fenomeni elettrolitici. E proprio nel '37 inizia una serie di
ricerche finalizzate ad evidenziare l'azione a contatto anche
in elettrostatica ('l'induzione di particelle contigue' come
dice Faraday). L'idea che lo guidava e sulla quale voleva
indagare era la seguente: se la trasmissione della forza
elettrostatica dovesse dipendere dalle particelle del mezzo
attraverso cui passa la forza, allora queste particelle
dovrebbero esse stesse avere un qualche effetto sulla forza
medesima (ad esempio: sulla capacità, sulla costante della
legge di Coulomb, …)
La costante dielettrica
• Con l'apparato in figura si mise
ad indagare quali effetti
provocava l'introduzione di
dielettrici differenti (dapprima
gas, quindi liquidi e solidi) nella
parte compresa tra le due sfere di
figura. La prima importante
scoperta che ne conseguì fu che
quando nello spazio tra le due
sfere (i due elettrodi) si
disponeva un dielettrico e la
differenza di potenziale si
manteneva constante, della carica
elettrica affluiva sul dielettrico
originandone la polarizzazione.
Nel far questo Faraday definì la
constante dielettrica relativa e
fornì, quindi, un metodo per
distinguere isolanti da conduttori
in base alla proprietà delle
relative molecole di rimanere
polarizzate o meno.
Faraday: le linee di forza
• Egli può quindi concludere che, come nel caso elettrochimico,
l'energia coinvolta nel processo la si ritrova nel mezzo esistente tra le
cariche elettrostatiche "ed è un'azione di particelle contigue del
dielettrico, messe in uno stato di polarità e tensione ed in mutua
relazione mediante le loro forze in tutte le direzioni" inoltre, prosegue,
"l'intera azione … non si esercita meramente lungo linee qualunque
che possono essere concepite attraverso il dielettrico tra la superficie
inducente e quella indotta". Anche qui, quindi, Faraday si sbarazza
dei supposti poli ed a questo punto introduce il concetto di linee di
forza ("un temporaneo modo convenzionale di esprimere la direzione
lungo cui agisce la forza nei casi di induzione"), dando una immagine
mediante esse di quanto trovato, afferma che queste ultime si fanno
più fitte nel dielettrico quando lo sottoponiamo all'azione di una forza
elettrica. Ed aggiunge che le stesse forze elettriche sono originate da
uno stato di tensione delle linee di forza ('lo stato elettrotonico')
ribadendo quindi con maggior forza che i fenomeni elettrostatici
risiedono nel mezzo interposto piuttosto che nei supposti poli.
Faraday : lo stato “elettrotonico”
• Lo 'stato elettro-tonico' viene introdotto da Faraday, con le
solite cautele, nel 1831. Egli afferma " questo peculiare stato
è come se fosse uno stato di tensione, e può essere
considerato come equivalente ad una corrente elettrica,
almeno uguale a quella prodotta quando si crea o si annulla
una induzione".
• In altri termini, "è come se vi fosse una membrana elastica
in tensione nelle vicinanze di un corpo elettrizzato e
specialmente di un magnete. Alle variazioni della tensione
dello stato elettrotonico Faraday collegava lo scatenarsi di
correnti indotte che si hanno nelle vicinanze di un magnete
in movimento"
Prove dell’azione per contatto
• Altre prove che in quell'anno e nel successivo Faraday portò a sostegno
dell'azione a contatto furono:
• 1) nei fenomeni elettrolitici gli elettrodi si ricoprono interamente delle sostanze
decomposte; questo fatto non può essere in alcun modo spiegato con l'azione a
distanza; in quest'ultimo caso, infatti si dovrebbero ricoprire solo quelle parti
degli elettrodi che risultano affacciate tra loro;
• 2) la stessa cosa vale per i fenomeni elettrostatici: quando infatti avviciniamo
un bacchetta ad una sfera per caricarla mediante induzione, se poniamo un
elettrometro nella zona d'ombra della sfera (cioè: dietro la sfera, dalla parte
opposta della bacchetta), questo segna la presenza di carica indotta anche in
quella parte di spazio che, secondo la teoria dell'azione a distanza, non sarebbe
in alcun modo raggiungibile.
• Le conclusioni che Faraday ne trasse sono che le azioni si propagano per linee
curve originate dallo stato elettrotonico dello spazio in tensione che sottopone a
sforzo le molecole interposte. E' quindi un effetto di volume sulle molecole che
ne provoca la disposizione su linee curve lungo, appunto, le linee di forza.
A Speculation Touching Electric Conduction
and the Nature of Matter (1844)
• "Senza dubbio i centri di forza variano nella loro distanza reciproca,
ma quella che è la vera e propria materia di un atomo tocca la
materia dei suoi vicini. Quindi la materia sarà continua ovunque, e
quando consideriamo una massa di essa non dobbiamo pensare
alcuna distinzione tra i suoi atomi e gli spazi interposti. Le forze
intorno ai centri danno loro le proprietà di atomi di materia; e
sempre queste forze, quando molti centri sono raggruppati in una
massa dalle loro forze attrattive, danno ad ogni parte di quella massa
la proprietà di materia".
•
Quindi niente più materia ma forze che, dove hanno una 'densità'
maggiore forniscono la sensazione di materia. Di conseguenza niente
più atomi e vuoto, ma continuità ovunque. Sarà poi la disposizione
peculiare dell'atmosfera di forza intorno ai centri che permetterà al
punto atomo di avere particolari comportamenti fisico - chimici (lo
renderà cioè o polare, o magnetico, o come si vuole)
Verso una teoria del campo
• "Questa concezione della costituzione
della materia sembrerebbe condurre
necessariamente alla conclusione che
la materia riempie tutto lo spazio o,
almeno, tutto lo spazio a cui si estende
la gravitazione (includendo il Sole ed il
sistema solare); poiché la gravitazione è
una proprietà della materia dipendente
da una certa forza, ed è questa forza
che costituisce la materia.In questa
concezione la materia non è solo
mutuamente compenetrabile, ma
ciascun atomo si estende, per così dire,
attraverso l'intero sistema solare, pur
conservando il proprio centro di forza".
Thoughts on Ray-vibrations
(1846): luce ed elettricità
• " Il considerare la materia mi indusse gradualmente a guardare le
linee di forza come probabile sede delle vibrazioni dei fenomeni
radianti. Un'altra considerazione, che porta ugualmente all'ipotetica
idea di coesistenza di materia e radiazione, nasce dal confronto delle
velocità con cui l'azione radiante e certe forze della materia vengono
trasmesse … Si è mostrato mediante gli esperimenti di Wheatstone,
che la velocità dell'elettricità è grande come quella della luce, se non
più grande".
•
E qui egli riesce ad intravedere che un modo per mettere in
evidenza l'eventuale identità tra luce e fenomeni elettromagnetici è il
confrontarne le relative velocità. Ma come si propagherebbe la
radiazione? " La mia concezione … considera la radiazione come una
importante specie di vibrazione nelle linee di forza che uniscono tra
loro particelle ed anche masse di materia. La mia concezione fa a
meno dell'etere ma non delle vibrazioni" che da vari risultati
sperimentali devono essere vibrazioni laterali e cioè trasversali.
Sulle linee di forza
• Nei lavori che seguirono egli scoprì e teorizzò le sostanze ferromagnetiche,
paramagnetiche e diamagnetiche; su questa strada ebbe modo di chiarirsi
meglio le idee sulle linee di forza magnetica fino ad arrivare alla convinzione
che: " le linee di forza magnetica possono rassomigliare ai raggi di luce, al
calore, ecc., e possono trovare difficoltà nel passare attraverso i corpi ed essere
influenzate da essi allo stesso modo della luce".
• Questa indagine sulle linee magnetiche di forza proseguì con una serie di
lavori sperimentali del 1851 e 1852. Intanto, mediante un semplice circuito
esploratore (un filo conduttore connesso con un galvanometro mosso vicino
ad un magnete), era riuscito a rilevarne l'esistenza: si tratta di linee curve,
continue e chiuse, senza poli né centri di azione; esse esistono sia nello spazio
circostante il magnete che nel magnete stesso. E così Faraday scriveva:
"dentro il magnete vi sono linee di forza esattamente uguali in forza e quantità a
quelle fuori di esso, ma con direzione opposta …Ed in effetti ciascuna linea di
forza è una curva chiusa, che in qualche parte del proprio percorso passa
attraverso il magnete cui essa appartiene " ed aggiungeva " io propendo a
considerare il mezzo esterno al magnete come altrettanto essenziale per il
magnete: è esso infatti che collega l'una all'altra le polarità esterne per mezzo di
linee di forza curve e fa si che esse non possano essere altro che curve".
On Some Points of Magnetic Philosophy,
1855
• Uno degli ultimi lavori di Faraday, nel quale tentò di convincere i suoi
contemporanei dell'erroneità della teoria dell'azione a distanza, è del 1855.
Questo lavoro affronta il tema del campo in termini di conservazione dell'energia
(che in quegli anni si era affermata con diversi e vari contributi e particolarmente
con il lavoro di Helmholtz del 1847, Über die Erhaltung der Kraft , Sulla
conservazione della forza) ed in esso si sostiene la necessità del campo perché
altrimenti si arriverebbe all'assurdo di creazione o annichilamento di energia.
Secondo la teoria di Newton, egli argomentava, due corpi che si attraggono (Sole
e Terra, ad esempio) devono essere considerati separatamente come inerti, cioè a
ciascun corpo non deve essere associata alcuna forza. Se ora facciamo interagire
i due corpi essi si attraggono a seguito del fatto che si sarebbe creata nello spazio
tra i due quella forza che li tiene uniti (si ricordi che l'azione alla Newton è
istantanea e a distanza). Se invece tolgo uno dei due corpi che stanno interagendo
annichilo una forza che precedentemente li teneva uniti. Questi fatti paiono
assurdi e l'unico modo per spiegarli è ammettere l'ipotesi che ciascuno dei due
corpi abbia una preesistente forza (oggi diremmo energia) che lo circonda e
questa forza si diparte da questo corpo pervadendo l'intero spazio. Due corpi che
si attraggono sono allora due corpi che fanno interagire le loro preesistenti linee
di forza (i loro campi).
Gauss e la sintesi dei risultati
• I risultati degli studi su elettricità e magnetismo furono sintetizzati da Carl
Fredrich Gauss (1777-1855) nei seguenti due teoremi, che stabiliscono i primi
due principi fondamentali dell'elettromagnetismo:
• 1) Un corpo carico produce nello spazio circostante delle linee di forza
elettriche, il cui flusso attraverso una superficie chiusa è pari alla somma
delle cariche poste al suo interno divisa per la costante dielettrica.
• 2) Una corrente elettrica che circola in un conduttore produce delle linee di
forza magnetiche attorno al conduttore, il cui flusso attraverso una superficie
chiusa è sempre nullo.
• La prima affermazione è detta Teorema di Gauss del campo elettrico, e
matematicamente si può scrivere così:
•
• mentre la seconda viene detta anche Teorema di Gauss del campo magnetico:
•
• dove la lettera greca Φ indica il flusso attraverso la superficie S. Il primo teorema
ha il seguente significato fisico: esiste il monopolo elettrico, cioè la carica
elettrica singola, ed essa è sorgente di campo elettrico. Il secondo teorema ci dice
invece che il campo magnetico è solenoidale, ovvero che le linee di forza sono
sempre chiuse, e NON esiste il monopolo magnetico.
James Clerk Maxwell (1831 - 1879)
• Nel 1855 il giovane fisico scozzese James Clerk
Maxwell (1831 - 1879) iniziò ad occuparsi di
elettromagnetismo. Egli disponeva dell'elaborazione
matematica del metodo delle 'analogie' sviluppato da
W. Thomson; conosceva bene i contributi di Weber
all'elettrodinamica; conosceva la matematica di Green
e Stokes; aveva studiato Helmholtz e la sua cinematica
dei fluidi ed aveva, naturalmente, ben presente l'opera
di Faraday. L'iter lungo cui si sviluppa il complesso
della teoria del campo elettromagnetico di Maxwell è
segnato da 3 memorie fondamentali e dal famoso
Treatise on Electricity and Magnetism del 1873.
La prima memoria: Matematizzare Faraday
• La prima delle memorie di Maxwell, On Faraday's Lines of Force
(1855), è un riconoscimento di difficoltà che un ricercatore incontra
nel voler formalizzare la scienza elettrica. Questo ricercatore ha a
disposizione, da una parte, la gran mole di risultati sperimentali che
vengono continuamente sfornati e, dall'altra, la necessità di
familiarizzarsi con una gran quantità di matematica molto
complessa " la cui sola memorizzazione già di per sé interferisce
materialmente con altre ricerche".
Diversità di fenomeni e identità
formale delle leggi
• Il fatto che colpiva Maxwell era, da una parte, la completa diversità di
due fenomeni come il moto uniforme del calore in un mezzo
omogeneo (dove sembra esservi un'azione a contatto da particella a
particella) e l'azione a distanza e, dall'altra, l'identità formale delle
leggi matematiche che descrivevano i due fenomeni: basta solo
sostituire sorgente di calore con centro di attrazione, temperatura con
potenziale, ... Con questo apparato concettuale egli mostrò che alle
concezioni di Faraday era possibile applicare gli stessi metodi
matematici con i quali erano state trattate la teoria dell'elasticità e
l'idrodinamica. (le equazioni differenziali alle derivate parziali). Ma
ciò che fa un poco pensare è il fatto che una matematica nata per la
descrizione di fenomeni punto per punto riesca a descrivere una
azione a distanza (sembra che anche la matematica dia una mano al
superamento delle differenze tra azioni a distanza ed a contatto).
Analogie idrodinamiche e sviluppo di modelli
• Se si associa a ogni linea di forza “un tubo sottile di sezione
variabile in cui scorre un fluido incomprimibile”, allora “ poiché la
velocità del fluido è inversamente proporzionale alla sezione del
tubo, possiamo rendere la variazione della velocità rispondente a
qualsivoglia legge, semplicemente regolando l’andamento della
sezione del tubo”.
• Dall’applicazione del modello idrodinamico Maxwell ricava due
grandezze caratteristiche che chiama “quantità” e intensita”
(successivamente le denoterà rispettivamente con “flussi” e
“forze”), Le due grandezze stanno tra loro in relazione di
proporzionalità tramite un fattore che corrisponde alla resistenza
del mezzo materiale (F=KI).
• In modo analogo Maxwell tratta il caso di quelli che in notazione
moderna sono i campi magnetici B (“quantità”) e H (“intensità”) la
cui relazione è H=KB, dove la “resistenza” K che li unisce non è
altro che il reciproco di quella che oggi viene chiamata
“permeabilità magnetica”.
La seconda memoria On Physical Lines of Force
(1861-1862)
• Le linee di forza non sono più una mera rappresentazione di come le forze del
campo sono distribuite; esse assumono ora un carattere fisico. Si tratta di linee
immerse in un fluido elastico, (l'etere) sottoposto ad uno stress, ad uno stato di
sforzo proprio per il fatto di trovarsi situato tra due polarità. La linea di forza
viene allora pensata come una corda tesa, cioè in tensione, su cui si esercitano
delle pressioni laterali, perpendicolari e di uguale intensità. In accordo con
Thomson, è come il moto vorticoso di un fluido che nel suo realizzarsi espande il
fluido nella zona equatoriale, mentre lo contrae ai poli (si pensi alla forma
fusiforme di una tromba d'aria) per effetto delle forze centrifughe. In definitiva
(figura) si tratta di vortici che si avvitano intorno alle linee di forza, che nascono
con un piccolo diametro da un determinato polo e, dopo essersi dilatati lungo il
cammino, muoiono sull'altro polo con lo stesso piccolo diametro di partenza.
Il modello meccanico dei vortici e il carattere
dipolare delle linee di forza
• Questo modo di vedere le cose permette intanto di dare una
spiegazione del carattere dipolare delle linee di forza: il verso di
rotazione di un vortice è opposto se osservato dalle due
estremità del suo asse. Ciò comportava però la rotazione nello
stesso verso per vortici relativi ad una determinata espansione
polare. Era una difficoltà. Infatti parti di vortici contigui devono
annullare il loro moto nei punti di contatto perché in questi
punti il moto si realizza in direzioni opposte.
"Cos'è una corrente elettrica?"
• Ma se questa è da una parte una difficoltà, dall'altra, sembra costruita ad arte
perché il suo superamento permette a Maxwell, con una ulteriore elaborazione
del modello meccanico, di rispondere alle domande che egli stesso si poneva:
"Cos'è una corrente elettrica?" o, che è lo stesso, " Come può una concezione a
vortici implicare una corrente?". È così che egli introduce le 'ruote inattive', uno
strato di 'particelle' mobili in modo tale da trasferire il moto da vortice a
vortice senza interferire con il moto stesso (fig. 8). In condizioni normali queste
particelle sono effettivamente inattive, rotolando senza attrito con i vortici,
quando invece vi è uno sforzo prodotto sul campo esse si trasferiscono da una
parte all'altra, cominciando ad esercitare attrito con i vortici con la
conseguente nascita dei fenomeni della resistenza elettrica e della produzione di
calore. E tutto ciò in accordo con la conservazione dell'energia. In definitiva le
ruote inattive esercitano un triplice ruolo: da una parte trasmettono il moto da
vortice a vortice; dall'altra il loro moto di traslazione costituisce la corrente
elettrica; da ultimo le pressioni tangenziali così messe in gioco rappresentano la
forza elettromotrice.
Il modello meccanico di Maxwell
• Tutti i fenomeni elettromagnetici
noti trovano una spiegazione
mediante questo modello
meccanico (riportato, come da
Maxwell stesso disegnato, in fig.
9). I vortici di etere sono
schematizzati come esagoni (il
segno + all'interno di un dato
vortice indica la sua rotazione
antioraria mentre il segno - la sua
rotazione oraria). La corrente era
costituita da quello strato di
particelle esistente tra vortice e
vortice e, nel disegno, essa fluiva
da A a B.
Il modello meccanico e le
correnti indotte
• Di modelli meccanici di questo tipo ne vennero ideati molti ad opera di
Maxwell, Boltzmann e W. Thomson (già Lord Kelvin). Ad esempio, le correnti
indotte scoperte da Faraday sono così spiegate nel modello di Maxwell: l'effetto
che la corrente ha sul mezzo che la circonda è far sì che i vortici in contatto con
le correnti ruotino in modo che le parti vicine ad essa si spostino nella sua
stessa direzione mentre le parti più lontane ad essa lo facciano in senso
contrario. Se il mezzo è conduttore, con la conseguenza di 'particelle' che si
possano muovere in qualunque direzione, quelle che sono in contatto con la
periferia di questi vortici si muoveranno in senso contrario alla corrente, di
modo che esisterà una corrente indotta in senso opposto alla prima. Inoltre,
quando una corrente elettrica o un magnete si muove in presenza di un
conduttore si altera la velocità di rotazione dei vortici di modo che essi
cambiano di posizione e di forma originando una forza; questa forza costituisce
la forza elettromotrice del conduttore in moto relativo. In questo modo di
vedere, c'è la scoperta di Faraday che le correnti sono originate da variazioni
del campo magnetico.
Modello meccanico e variazione
del campo magnetico
• Questo modello rendeva poi conto di
come potesse avvenire il fenomeno
inverso: se le ruote inattive (la corrente)
cominciavano a spostarsi attraverso il
sistema, si modificavano le forme dei
vortici e ciò vuol dire che ad una
corrente elettrica si accompagna una
variazione dei vortici e quindi del campo
magnetico. Qui incontriamo una delle
principali scoperte di Maxwell che verrà
in seguito convenientemente elaborata:
variazioni nel campo elettrico devono
originare un campo magnetico e
viceversa.
Il “Campo” e l’etere
• Il campo, esistente ad esempio intorno ad un magnete, deve prevedere
intorno a sé vortici e ruote inattive. Dove si costruiscono vortici se c'è
il vuoto? Un qualche mezzo, sia esso di materia ordinaria o di un
qualche etere con particolari proprietà dovrà riempire lo spazio in cui
si sviluppa il campo. Le caratteristiche di questo supposto etere
dovranno essere tali da rendere conto dei fatti sperimentali: da una
parte esso dovrà essere estremamente sottile (non lo percepiamo
immediatamente) e dall'altra, per spiegare la velocità con cui si
propagano le perturbazioni del campo elettromagnetico, denso come
l'acciaio (è di interesse notare che queste azioni, nel modello di
Maxwell non possono che essere a distanza). Ebbene, se si crea una
perturbazione in un dato punto dello spazio muovendo, ad esempio,
un magnete vicino ad una corrente, questa perturbazione nei vortici e
nelle ruote inattive non c'è motivo che resti localizzata tra magnete e
corrente, essa dovrà via via propagarsi attraverso l'etere in tutto lo
spazio (teoricamente all'infinito) circondante il sistema magnete corrente
L’elasticità dell’etere e la corrente di spostamento
• Nell'ultima parte di questa sua memoria Maxwell torna all'analogia di Thomson tra
mezzo in cui si costruiscono vortici (e ruote inattive) e sostanze elastiche. Il mezzo
nel quale si propagano le perturbazioni deve essere dotato di elasticità allo stesso
modo che lo è un ordinario corpo solido solo che di valore differente. L'elasticità del
mezzo è poi di estrema utilità per la spiegazione dei fenomeni elettrostatici. Questa
supposta elasticità del mezzo faceva introdurre a Maxwell un concetto che avrà
enorme importanza negli sviluppi successivi, quello di spostamento elettrico. Qui
Maxwell si riallacciava direttamente a Faraday ed in particolare alle sue ricerche sui
dielettrici ed alla scoperta della loro polarizzazione. Dice Maxwell:
• "Possiamo
pensare che l'elettricità che risiede in ogni molecola sia
spostata in modo tale che una estremità di essa divenga positiva e
l'altra negativa. L'effetto di questa azione sull'intera massa del
dielettrico è quello di produrre uno spostamento generale
dell'elettricità in una data direzione. Questo spostamento non giunge
al livello di una corrente perché quando ha raggiunto un certo valore
rimane constante, tuttavia è l'inizio di una corrente e le sue variazioni
costituiscono correnti di direzione positiva o negativa, a seconda che
lo spostamento aumenti o diminuisca".
Verso una teoria elettromagnetica della luce
• Facendo i conti sulla velocità di propagazione di una
perturbazione (oggi diremmo: onda) elettromagnetica nel mezzo
elastico etere, considerando la relazione esistente tra la corrente
di spostamento e la forza che la produce e deducendo da questa la
relazione esistente tra misure statiche e dinamiche dell'elettricità,
egli trovò che:
• "la velocità delle ondulazioni trasversali nel nostro mezzo ipotetico,
calcolata a partire dagli esperimenti elettromagnetici di Kohlrausch
e Weber , si accorda in modo tanto esatto con la velocità della luce
calcolata a partire dagli esperimenti di Fizeau, che noi non
possiamo quasi fare a meno di concludere che la luce consiste nelle
ondulazioni trasversali del medesimo mezzo che è causa dei
fenomeni elettrici e magnetici".
La terza memoria: A Dynamical Theory of
the Electromagnetic Field (1864)
• Questo lavoro contiene tutti i principali risultati che egli aveva
precedentemente ottenuto e può essere considerato come la prima
formulazione completa, dal punto di vista analitico, della teoria del campo
elettromagnetico e della teoria elettromagnetica della luce. Le proprietà di
questo campo sono descritte da 20 equazioni generali. Lo stesso Maxwell,
all'inizio della memoria, annunciava che la sua era una teoria dinamica nel
senso che si serve di materia in moto nello spazio per rendere conto dei
fenomeni elettrici e magnetici. Essa riguarda essenzialmente lo spazio
circostante i corpi elettrizzati o magnetizzati che dovrà essere riempito di un
mezzo (permeante anche i corpi) in grado di essere posto in moto e di
trasmettere quel moto da una parte all'altra con grande ma non infinita
velocità. Questo etere ha una natura elettromagnetica ma poiché ha le stesse
proprietà (elasticità, densità, …) di un etere ottico, può essere identificato con
esso (è interessante notare che le proprietà dell'etere elettromagnetico Maxwell
le assegnava a priori in modo che esso avesse poi avuto le caratteristiche che si
richiedevano, ad esempio, per trasportare vibrazioni trasversali ad una data
velocità).
Maxwell: l’energia e le sue forme
• Per Maxwell l'energia è localizzata in tutto lo spazio ed è tutta di natura
meccanica: egli considera un etere costituito da una enorme quantità di
piccolissime cellule che, all'interno di un campo magnetico, ruotano tutte nello
stesso verso attorno ad assi paralleli alle linee di forza. Così Maxwell può
affermare che "l'energia cinetica di questo movimento vorticoso non differisce
dall'energia magnetica …[e], in ogni punto del dielettrico sottoposto ad un
campo, si accumula una energia che, nel modello, è elastica, ma che in realtà non
è altro che energia cinetica" . Egli considera quindi l'energia elettrica come
energia potenziale meccanica e l'energia magnetica come energia cinetica di
natura meccanica. E, come già detto, questa energia meccanica elettromagnetica risiede in tutto lo spazio e, in particolari condizioni, si può
propagare sotto forma di onde elettromagnetiche. Il mezzo, l'etere, si può
polarizzare in virtù della sua elasticità e quando è polarizzato è in una
condizione di accumulo di energia potenziale (elettrica) che ridarà, sotto forma
di energia cinetica (magnetica), quando lo sforzo cesserà. In definitiva la
propagazione di onde elettromagnetiche nello spazio è dovuta alla
trasformazione continua di una di queste forme di energia nell'altra e
viceversa, e, istante per istante, l'energia totale nello spazio è ugualmente divisa
tra energia potenziale (elettrica) e cinetica (magnetica).
Treatise on Electricity and
Magnetism (1873)
Il lavoro è sistematico ed i contributi di Maxwell si mescolano con quelli di
altri autori. Sulla strada della terza memoria, Maxwell abbandona del tutto i
modelli meccanici affidandosi al solo etere al quale sembra assegnare una
realtà fisica. Egli tralascia molti dei procedimenti che lo avevano guidato sulla
strada della scoperta delle sue equazioni del campo elettromagnetico. La
deduzione di queste equazioni è puramente analitica a partire dalle equazioni
fondamentali della meccanica nella forma che ad esse aveva dato Lagrange.
Paradossalmente in questo modo di operare sparisce la meccanica stessa che
diventa, in definitiva, una teoria eminentemente matematica, elaborata con
Green, Stokes ed Hamilton. L'elettromagnetismo diventa quindi una
meccanica dell'etere e, come lo stesso Maxwell affermava, "l'integrale è
l'espressione matematica adeguata per la teoria dell'azione a distanza tra
particelle, mentre l'equazione differenziale è l'espressione appropriata per una
teoria dell'azione esercitata tra particelle contigue di un mezzo"
Le equazioni di Maxwell
• 1) Un corpo carico produce nello spazio
circostante delle linee di forza elettriche,
il cui flusso attraverso una superficie
chiusa è pari alla somma delle cariche
poste al suo interno divisa per la costante
dielettrica.
• 2) Una corrente elettrica che circola in un
conduttore produce delle linee di forza
magnetiche attorno al conduttore, il cui
flusso attraverso una superficie chiusa è
sempre nullo.
•
•
Sia un circuito contenente un condensatore, come quello
illustrato nella figura a fianco; in regime di corrente
continua, il circuito risulta ovviamente aperto, cioè non
passa alcuna carica elettrica, e la circuitazione del campo
elettrico calcolata lungo il percorso chiuso 1 è nulla sia
prendendo in considerazione la superficie piana a che quella
curva b, essendo nulla la corrente concatenata con le due
superfici, cioè la corrente che le "buca" entrambe.
Diverso è il discorso se la corrente i è variabile nel tempo.
Infatti in questo caso il circuito dotato di condensatore non è
chiuso, e la circuitazione del campo B lungo la linea l è pari,
per il teorema della circuitazione di Ampére, al prodotto
della corrente i per la permeabilità magnetica del vuoto µ0.
Allora, tale circuitazione è pari a zero se si prende in
considerazione la superficie b passante fra le armature del
condensatore, non "bucata" da alcuna corrente di
conduzione, ed è invece pari a µ0 i se si prende in
considerazione la superficie a. Questo paradosso può essere
risolto solo ammettendo l'esistenza, nello spazio vuoto tra le
due armature, di una corrente che non è di conduzione, non
essendoci cariche da spostare materialmente, ma che agli
effetti del teorema della circuitazione di Ampére è
equivalente ad una corrente di conduzione. Maxwell
identificò tale corrente con quella che egli chiamò corrente
di spostamento.
La corrente di
spostamento
• Siccome essa dipende dalla rapidità con cui varia
la posizione delle cariche, egli concluse che essa
deve essere direttamente proporzionale alla
rapidità con la quale varia nel tempo il flusso del
campo elettrico attraverso una superficie che ha
come contorno il percorso l. E così il grande
fisico-matematico attribuì ad essa la seguente
espressione:
•
•
• Di conseguenza la legge di Ampére
sull'induzione magnetica, scritta nella forma C(B)
= µ0 i, deve essere così modificata:
•
•
•
• perché alla corrente di conduzione i va aggiunta
quella di spostamento is.
Le equazioni
di Maxwell:
la terza
• Il vettore B del campo magnetico indotto sta
in un piano perpendicolare al vettore E del
campo elettrico variabile e l'intensità di B
dipende dalla rapidità con cui varia E.
• Consideriamo dunque una coppia di
conduttori piani collegati a un generatore di
corrente, come nella figura a destra. Mentre
le cariche si avvicinano o si allontanano dai
piatti attraverso i conduttori collegati alla
corrente, l'intensità E del campo elettrico
nello spazio tra i piatti varia nel tempo.
Come si è già visto, questo campo elettrico
variabile produce un campo magnetico nel
quale l'intensità del vettore in un dato istante
varia con la distanza dai piatti. Cambiando
segno alla carica sulle armature, e quindi il
verso del campo elettrico da a) a b), anche le
linee di forza del campo magnetico indotto
cambiano verso. Questo è il significato
fisico della Terza Equazione di Maxwell
Un campo elettrico
variabile nello spazio
produce un campo
magnetico
Un campo magnetico variabile nello
spazio produce un campo elettrico.
• Questo fenomeno di induzione elettromagnetica era stato scoperto
sperimentalmente da Henry e dal solito Faraday, ed infatti la legge matematica
che la esprime è nota come equazione di Faraday-Henry:
•
• Essa significa che la circuitazione del campo elettrico indotto dal campo
magnetico variabile nel tempo è pari alla variazione nel tempo del flusso di tale
campo magnetico induttore. Il segno meno indica che la corrente indotta ha segno
opposto alla variazione di flusso che la produce, ed è nota come legge di Lenz.
Infatti, quando il flusso di B varia nel tempo, viene indotta una corrente elettrica
che a sua volta genera un campo magnetico, il cui flusso ( per colpa di quel segno
meno) varia in direzione opposta a quella del campo B esterno. In tal modo, se
quest'ultimo sta diminuendo la corrente indotta cerca di sostenerlo, mentre se sta
aumentarlo cerca di tamponarne la crescita.
Le onde elettromagnetiche
• Il fatto che una variazione del campo magnetico in un punto produce
un campo elettrico variabile era noto già prima di Maxwell, in
quanto era previsto dalla legge di Faraday-Henry; si pensava però
che, allorché un campo magnetico bruscamente diminuiva da un
valore massimo a zero, altrettanto doveva fare il campo elettrico e il
tutto cessava dopo un piccolo intervallo di tempo dall'istante in cui si
era annullato il campo magnetico. La novità prevista da Maxwell
consiste nel fatto che il campo elettrico ed il campo magnetico
generati dalla variazione nel tempo di uno dei due sono in grado
di autosostenersi, cioè di propagarsi anche se la variazione iniziale
che li ha prodotti è venuta meno!
• Se ne conclude che, da una brusca variazione di un campo elettrico o
magnetico nel tempo, ha origine la propagazione di un impulso
elettromagnetico, cioè di un'ONDA, chiamata per l'appunto onda
elettromagnetica.
L’etere e le onde elettromagnetiche
• In definitiva, secondo la teoria di Maxwell, una perturbazione
elettromagnetica (ad esempio una carica che acceleri) si propaga in
tutto lo spazio sotto forma di onde elettromagnetiche. L'esistenza di
tali onde rimane quindi un'ipotesi nella teoria: la conferma o la
confutazione di essa metterà alla prova l'intera teoria in un vero e
proprio experimentum crucis. Riguardo la velocità di tali onde
valgono ora le stesse considerazioni che Maxwell aveva fatto nella
sua seconda memoria: esse si muovono con la velocità della luce e
quindi la luce è un'onda elettromagnetica.. Vale però la pena di
ricordare che tutto l'impianto maxwelliano è basato sull'ipotesi di
esistenza di un mezzo, l'etere, in cui avessero sede le perturbazioni;
questo etere era inoltre meccanicamente indispensabile. Allora, con
Maxwell, se dell'energia viene trasmessa da un corpo ad un altro nel
tempo, ci deve essere un mezzo o sostanza in cui l'energia esiste dopo
aver lasciato un corpo e prima di raggiungere l'altro. Se si ammette
questo mezzo come ipotesi è evidente che esso dovrà diventare
oggetto preminente delle future ricerche sperimentali.
Questioni aperte
• Due erano le questioni che Maxwell lasciava ad una verifica
sperimentale: l'esistenza di onde elettromagnetiche e
l'esistenza di un etere che le sostenga. Oltre a ciò le sue
equazioni non soddisfacevano da un punto di vista euristico
poiché non risultano simmetriche come le equazioni della
dinamica e poiché erano state ricavate con grande
disinvoltura matematica.
• Nel 1880 veniva pubblicata postuma su Nature una sua
lettera a D.F. Todd. In questa lettera, tra l'altro, suggeriva
un modo per poter accertare sperimentalmente la presenza
del supposto etere attraverso la misura della velocità della
luce in un tragitto andata - ritorno che la stessa avrebbe
dovuto percorrere in direzione parallela al moto della Terra
intorno al Sole (qui l'effetto del supposto etere sarebbe stato
del 2º ordine nel rapporto v/c, con v velocità della Terra e c
velocità della luce).
Maxwell e l’unificazione della fisica
• L'accoglienza a queste teorie non fu della più
entusiasta. L'unico fatto, e non da poco, che
riconciliava il mondo dei fisici era che, in definitiva,
Maxwell si era servito di un mezzo meccanico, l'etere,
ed aveva unificato in una mirabile sintesi i fenomeni
dell'elettricità, del magnetismo e dell'ottica. Ma, al di là
dell'accoglienza dei contemporanei, è certamente vero
che la sua teoria in sé e nei molti punti in cui era
logicamente indeterminata apriva ad una grossa mole
di lavori sperimentali che non tardarono a prodursi
particolarmente ad opera di Hertz e Michelson
Le onde elettromagnetiche: Hertz
(1892)
Il contributo di Herz
• Con Hertz, la luce entra anche sperimentalmente nel novero delle
onde elettomagnetiche. E' una delle infinite onde elettromagnetiche
che noi, con il nostro strumento meraviglioso ma selettivo, l'occhio,
riusciamo a vedere. La gran maggioranza di tali onde riusciamo solo a
vederle attraverso strumenti amplificatori dei nostri sensi. Nella figura
seguente un semplificato schema del peso della luce visibile, rispetto
alle altre onde elettromagnetiche.