LA CIRCOLAZIONE STRADALE VISTA DA PALAZZO CAVOUR RASSEGNA SEMESTRALE DI SENTENZE DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE A cura di Alberto Gardina LE ORIGINI La “Cassazione” è nata dal travaglio della rivoluzione francese. In Francia già esisteva il Conseil des parties, istituito nel 1578 come una sezione speciale del Consiglio del Re, per assicurare e conservare la legge. Ma l'Assemblea legislativa volle creare qualcosa di nuovo sulla base della filosofia espressa da Montesquieu prima e Rousseau poi. Era ben nota la disputa circa la separazione dei poteri a seguito delle antiche lotte tra sovrano e parlamenti. Il problema della istituenda cassazione si presentò come alternativa tra potere legislativo e organo giurisdizionale. Si preferì il primo tanto era il timore di chiamare i componenti della Cassazione "giudici". Ciò di cui si aveva bisogno era un organo che sorvegliasse il potere giudiziario e non che giudicasse. Questa concezione ebbe una base razionale nel decreto dell'Assemblea costituente del 1 maggio 1790 col quale veniva sancito all'articolo 3 che vi sarebbero stati soltanto due gradi di giurisdizione in materia civile. Ciò escludeva che la cassazione potesse essere giudice di terzo grado. Fu così che nacque con il decreto 27 novembre 1790 il "Tribunal de Cassation". Presto però non si poté fare a meno di riconoscere carattere giurisdizionale all'istituto con l'estensione del controllo della cassazione agli errores in judicando ed errores in procedendo. Oggi il problema è ancora vivo e attuale, ma sotto l'aspetto dei rapporti tra giudizio di cassazione e giudizio di rinvio. In quanto appare ovvio che il giudice del rinvio debba essere vincolato alla decisione della cassazione, ma si assistette ad ogni sforzo per evitare questo vincolo. Nel nostro ordinamento non vi è dubbio che la corte di cassazione, per come la conosciamo, sia la derivazione italiana dell'analoga istituzione francese LA CORTE DI CASSAZIONE NELL’ORDINAMENTO ITALIANO La Corte di Cassazione è il vertice della giurisdizione ordinaria, essendo il tribunale di ultima istanza nel sistema giurisdizionale ordinario (penale e civile) italiano. Assicura l'uniforme applicazione ed interpretazione delle norme giuridiche (c.d funzione nomofilattica) e coordina i rapporti tra le varie giurisdizioni. La Corte si articola in diverse sezioni (civile, penale e del lavoro). Nei casi più importanti o nei casi per i quali vi siano orientamenti contrastanti delle diverse sezioni, la Cassazione si riunisce in Sezioni Unite (SS.UU.). Le decisioni assunte dalla Corte di Cassazione in tale composizione sono di un'autorevolezza tale da somigliare a dei "precedenti vincolanti", concetto altrimenti estraneo all'ordinamento italiano. Di regola, giudica in seguito ad un gravame successivo ad una pronuncia di una Corte d'Appello, fintantoché il gravame sia possibile, e cioè finché la questione non sia coperta da giudicato. Ai sensi dell'art 111, 2° comma della Costituzione è sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di legge contro le sentenze dei giudici ordinari e speciali, nonché contro i provvedimenti (per esempio: sentenze penali comminanti pena detentiva, ordinanze in materia di misure cautelari personali, decreto di trattenimento emesso ex art. 12 § V BIS D.L.vo 286/1998) che incidano sulla libertà personale. Tuttavia, per espressa disposizione costituzionale (art 111, 3° comma), contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso è ammesso per soli motivi attinenti alla giurisdizione. Non giudica sul fatto, ma sul diritto, è giudice di legittimità: ciò significa che non può occuparsi di riesaminare le prove, bensì può solo verificare che sia stata applicata correttamente la legge e che il processo nei gradi precedenti si sia svolto secondo le regole (vale a dire, che sia stata correttamente applicata la legge processuale, anche in relazione alla formazione e valutazione della prova, oltre che quella del merito della causa). A differenza che negli ordinamenti di Common Law, le pronunce della Cassazione (in quanto tribunale di ultima istanza) non sono vincolanti che per il giudizio cui si riferiscono. Tuttavia esse sono di regola seguite dai giudici dei gradi inferiori (in particolare le pronunce delle Sezioni Unite). In ciò si esprime la cosiddetta funzione nomofilattica 1 della Corte di Cassazione, con la quale si intende il ruolo della Cassazione di armonizzare l'interpretazione giurisprudenziale delle norme di applicazione ermeneutica più ambigua. La Cassazione riunita in Sezioni Unite, inoltre, ha il compito di "giudice della giurisdizione": essa deve cioè esprimersi ogni qual volta vi sia un conflitto di giurisdizione (tra giurisdizione ordinaria e giurisdizioni speciali, come quella amministrativa LE FUNZIONI Le funzioni della Suprema Corte di Cassazione, sono precisate dall’'articolo 65 dell'ordinamento giudiziario (Regio Decreto 30 gennaio 1941, n° 12) . La suprema Corte “assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge”. La Corte di Cassazione, tribunale di ultima istanza nel sistema giurisdizionale ordinario, si articola in diverse sezioni: civile, penale e del lavoro. Per quanto riguarda la circolazione stradale: alla seconda civile vengono assegnate le controversie in materia di sanzioni amministrative; alla terza quelle relative al risarcimento danno per incidenti stradali; alla quarta penale i reati connessi alla circolazione stradale. La Cassazione, non giudicando sul fatto, ma sul diritto, non può riesaminare le prove. Può invece verificare che sia stata applicata correttamente la legge e che il processo, nei gradi precedenti, si sia svolto con corretta applicazione della legge processuale, oltre che del merito. Sebbene le pronunce degli “ ermellini “siano vincolanti solo per il giudizio cui si riferiscono, sono di regola seguite dai giudici dei gradi inferiori Questo vale in particolare per le pronunce delle Sezioni Unite. Nei casi più importanti o in quelli per i quali gli orientamenti tra diverse o stesse sezioni sono contrastanti, la Cassazione si riunisce in Sezioni Unite (SS.UU.), le cui decisioni sono di un'autorevolezza tale da somigliare a dei "precedenti vincolanti". Si tratta della cosiddetta funzione “nomofilattica”, dal greco νόμος, che significa "norma", unito al verbo φυλάσσω, che indica l'azione del "proteggere con lo sguardo". ( nomos nel greco antico significava appunto legge). 2 IL RISARCIMENTO DANNI Negli ultimi sei mesi la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in materia in numerose circostanze che verranno analizzate molto sinteticamente Della fine dello scorso anno la sentenza numero 27337 del 18/11/2008 in materia di responsabilità civile conseguente a incidente stradale con danni alle persone . Le SS.UU hanno stabilito che in questo caso il danneggiato ha un termine per presentare l’azione civile per risarcimento del danno , equivalente a quello in cui si prescrive il reato di cui è stato vittima. Si applica così l’articolo 2947 comma 3° del codice civile, anche se non è stata presentata querela. Viene così smentito un precedente orientamento di tenore opposto, delle stesse Sezioni Unite, che voleva questi casi inquadrabili nel comma 2: solo due anni per avviare l’azione risarcitoria in assenza di querela. Le SS.UU hanno precisato che deve considerarsi decisamente superata in materia processuale- penalistica la tesi, secondo cui la querela costituisce una condizione di sussistenza del reato, che dunque sussiste indipendentemente dalla querela Il giudice civile in questi casi ha facoltà di accertare incidentalmente, con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di fatto reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi. In questo caso la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto ( ad esempio l’investimento del pedone , stante la lettera dell'art. 2947 c.c., comma 3). Relativamente alla manutenzione della sede stradale ed alla responsabilità civile derivanti dalla caduta in buche, la terza sezione della Cassazione civile, con sentenza numero 1691 del 23/01/2009, ha chiarito che il Comune risponde sempre dei danni cagionati , fatto salvo il caso fortuito Non fa eccezione il fatto che la manutenzione delle strade sia stata affidata piu’ imprese, secondo la zona Al contrario questo comporta un maggiore grado di possibilità di sorveglianza e di controllo sui beni del demanio stradale. 3 AUSILIARI ED ACCERTATORI DELLA SOSTA Finalmente si fa chiarezza sulle competenze La numero sentenza n°5621, del l 3 febbraio scorso, delle Sezioni Unite chiarisce i poteri e le competenze del personale dipendente delle società concessionarie di aree adibite a parcheggio a pagamento, può elevare sanzioni, per violazioni in materia di sosta, solo sulle aree contrassegnate con le strisce blu o da altra segnaletica orizzontale. Non è invece consentito loro rilevare le infrazioni, di cui si è detto, in zone più ampie al di fuori delle aree oggetto di concessione. La pronuncia pone così fine ad un contrasto giurisprudenziale in atto ormai da diverso tempo. Al centro dei contrasti fra sezioni diverse, a volte perfino fra la stessa sezione composta da giudici differenti, l’interpretazione giuridicamente più corretta riguardante l’articolo 17 comma 133 della legge 127/1997, in relazione al codice della strada (artt. 7, co. 6. 7 ed 8, c.d.s),ed alla legge 488/1999 (art 68) Nel corso degli anni si sono succedute tesi contrastanti. 1. Tesi restrittiva ( accolta ora dalle Sezioni Unite): afferma che le competenze delegate ai dipendenti delle società concessionarie sono limitate alle violazioni in materia di sosta dei veicoli (artt. 7, c. 1, e art. 157, c. 5, 6 e 8, c.d.s.) commesse nelle aree comunali, urbane ed extraurbane, oggetto di concessione. Gli ermellini hanno precisato che tale potere deve riferirsi solo alle aree specificamente destinate con delibera della giunta comunale, al parcheggio o alla sosta sulla carreggiata e per la cui fruizione è imposto il pagamento di una somma di denaro, Al limite , secondo questa prima tesi, il potere sanzionatorio si puo’ estendere alle aree poste a servizio di quelle a pagamento, immediatamente limitrofe alle aree oggetto di concessione, solo se se ed in quanto precludano la funzionalità del parcheggio. 2. Tesi estensiva ( bocciata dalle Sezioni Unite): ha attribuito all'ausiliario dipendente della società concessionaria del parcheggio a pagamento, un potere di accertamento esteso anche alla prevenzione ed al rilievo di tutte le infrazioni, ricollegabili alla sosta; questo nell’ intera zona ( o strada ) oggetto della concessione. 4 LA PATENTE A PUNTI E NOTIFICAZIONI E’ stato un tema molto trattato dalla stessa Corte Costituzionale Tale organo con ordinanza numero 351 del 10/10/2008 ( in questa sede non pubblicata aveva recentemente ribadito la legittimità costituzionale dell'articolo 126-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285in relazione all’’articolo 148 del codice della strada. Nessuna diversità di trattamento in materia di decurtazione dei punti, tra comma 11 ( sorpasso area di intersezione al semaforo) e comma 14 dell’articolo 148 ( sorpasso da parte di mezzi pesanti dove vietato). Infatti sono da ritenere assoggettate allo stesso trattamento, in tema di decurtazione del punteggio dalla patente di guida, tutte le ipotesi di divieto di sorpasso previste dall'art. 148 del cds. Venendo alla Cassazione, la sentenza numero 3475, della seconda sezione civile ha chiarito che Nel caso di conducente alla guida di un veicolo in stato di ebbrezza, il rifiuto di sottoporsi all’alcool test, ( art 186 comma 7°) è corretto applicare una doppia decurtazione di punti: dieci per la violazione di cui’articolo 186/2° (guida in stato di ebbrezza) e dieci per quella del 7° comma ( rifiuto) La guida in stato d’ebbrezza e il rifiuto di sottoporsi all’accertamento del tasso alcolemico sono infatti fattispecie diverse e punite in modo autonomo dal codice della strada I due precetti tutelano dei beni giuridici diversi e tra essi non si configura il concorso apparente tra violazioni ( art 15 cp e art 8 L. 689/1981) Non si ha pertanto concorso apparente di norme. In questi ambiti la legge o la disposizione di legge speciale, deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito per evitare che al colpevole venga applicato il regime del concorso di reati in modo ingiustificato. Gli “ermellini”, con l’ordinanza numero 7715 della terza sezione Civile, datata 30 marzo scorso, hanno annullato la decisione con la quale un giudice di pace non aveva ritenuto “valido” un verbale di accertamento di violazione del codice della strada ( C.d.S) mancante dell’indicazione dei punti della patente da sottrarre. Investita del giudizio di legittimità, la Suprema Corte, ha ritenuto non essenziale la presenza di tale indicazione nel verbale di accertamento In parole povere gli organi di polizia stradale sono tenuti a verbalizzare solo le sanzioni che possono applicare direttamente. Ma la decurtazione dei punti (art. 126 bis C.d.S) non rientra tra queste: per questo la sua omissione non determina l’annullabilità del verbale. Organo competente ad applicare tale tipo di sanzione è infatti questo caso il Ministero dei Trasporti (Anagrafe Nazionale degli Abilitati alla Guida). Concludendo, in questi casi, il verbale di contestazione elevato dagli operatori di polizia stradale è un semplice un preavviso di una a ulteriore sanzione, contro quale è esperibile il ricorso in via amministrativa. Le notificazioni agli obbligati solidali sono al centro della sentenza numero 7666 del 30 marzo, della Seconda Sezione Civile La pronuncia non brilla per chiarezza espositiva e per sintassi, tanto che alcuni passaggi non appaiono proprio chiari. Partiamo dai dati certi: i giudici di Piazza Cavour hanno chiarito che deve ritenersi legittima la notificazione di un verbale del C.d.S effettuata alla società proprietaria di un veicolo aziendale e non al suo legale rappresentante.( art 6 della legge 689/1981). Detto questo, dal tenore letterale della sentenza, risulta meno semplice comprendere se venga ritenuta efficace la sanzione notificata nel modo sopra descritto anche in caso di mancata identificazione del trasgressore. La Suprema Corte sembrerebbe sposare questa tesi. Tornando al principio generale la responsabilità solidale della persona giuridica, sussiste sempre, quando l’illecito amministrativo è stato commesso da un suo rappresentante o da un suo dipendente. Questo accade anche quando la violazione viene commessa da persona ricollegabile all’ente, o non identificata. 1 Questa responsabilità sembrerebbe invece restare esclusa nel caso di: 1 si veda la precedente sentenza n° 26574/2006 della stessa sezione che testualmente recita: la responsabilità solidale di una persona giuridica 'ente può essere fatta valere indipendentemente dall'identificazione dell'autore materiale dell'illecito. ( omissis) nel caso di specie la esclusione della responsabilità del sindaco - originariamente individuato come rappresentante dell'ente amministrativo cui andava imputata la violazione - risulta del tutto ininfluente ai fini della ricorrenza della responsabilità solidale dell'ente rappresentato, sia perchè nel corso del giudizio è rimasta accertata la persona effettivamente responsabile - individuata nel Dirigente del settore, delegato del sindaco per la specifica materia - sia perchè è fuor di dubbio che l'attività omissiva sanzionata era ricollegabile al comune di (OMISSIS) perchè spettava al soggetto da esso preposto al settore impedire che fossero attivati e mantenuti scarichi fognari senza che fosse richiesta l'autorizzazione all'amministrazione provinciale competente. 5 - mancata identificazione del trasgressore; difetto di prova sulla responsabilità'; dubbio della sussistenza stessa dell'illecito o del nesso soggettivo tra la commissione del fatto. L'articolo 126 bis del codice della strada e la patente a punti ancora una volta, sono al centro di pronunce della Corte di Cassazione Civile: si tratta in questo caso della sentenza della Seconda sezione, numero 9847 del 24/04/2009. I giudici di Piazza Cavour sono intervenuti in questa occasione sul cosiddetto giustificato motivo Come noto, l'organo da cui dipende l'agente accertatore della violazione che comporta la perdita di punteggio, in caso di mancata identificazione del trasgressore deve conoscere, dal proprietario del veicolo o da altro obbligato in solido, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione. La comunicazione deve avvenire entro sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione. Tuttavia il proprietario, o altro obbligato in solido ai sensi dell'articolo 196, persona fisica o giuridica, può omettere con giustificato motivo e documentato motivo, di fornire i dati richiesti. In questo caso non viene applicata la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 263 a euro 1.050, prevista in caso la comunicazione non sia avvenuta e senza giustificato La Suprema Corte ha circoscritto l’ipotesi di giustificato e documentato motivo, precisando che il proprietario del veicolo è sempre responsabile della circolazione dello sua circolazione. Per questo è tenuto sempre a conoscere l'identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione e risponde, nei per le sanzioni e per i danni a terzi, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull'affidamento. L'obbligo di cui all'art. 126 bis C.d.S., , dunque non può essere eluso adducendo, la difficoltà di individuazione del soggetto che ha utilizzato il veicolo. Infatti, occorre tener conto che spetta all’imprenditore organizzare correttamente la propria impresa e permettere che l'uso dei veicoli normalmente risulti dai turni di servizio Dello stesso tenore anche la sentenza della seconda sezione della Cassazione Civile n. 9852 del 24/04/2009. Leggermente diverse, in questo caso le sfumature usate, che comunque consentono di precisare ulteriormente in quali casi la sanzione di cui all’articolo 126 coma 2 non vada applicata. I “giustificati motivi” possono rilevare, solo quando si dimostri di avere fatto tutto quanto dovuto, per tenersi informato delle generalità e dei dati della patente dei conducenti degli autoveicoli di sua proprietà. Non basta trovarsi in presenza di un organizzazione complessa con un elevato numero dei dipendenti, si precisa nel dispositivo. 6 UTILIZZO DI APPARECCCHIATURE AUTOMATICHE L’argomento è stato ripreso piu’ volte Dalla la seconda sezione civile la sentenza 29334 del 15/12/2008, relativa all’articolo 142 del cds ed agli accertamenti mediante autovelox. La pronuncia ribadisce principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità che spazzano via ogni dubbio su alcuni puniti. 1. Per gli strumenti destinati ad accertare il superamento dei limiti di velocità non è prevista taratura, né dalla normativa comunitaria né da quella nazionale (fanno eccezione i cronotachigrafi). 2. L’ autovelox necessita solo di decreto di omologazione, riferito al singolo modello e non esemplare. 3. Il giudice di pace non può sindacare il collocamento discrezionale dell’apparecchiatura. 4. È da escludere, in base alle stesse pronunce della Corte Costituzionale ( sentenza n° 277/2007), che la disciplina relativa agli strumenti per l’ accertamento delle violazioni dei limiti di velocità sia incostituzionale, per il solo fatto che, a differenza di quella che disciplina gli strumenti destinati ad altre misurazioni, non è prevista l’obbligatorietà della taratura periodica. 5. Le legislazioni in materia di commercio sono del tutto diverse da quelle perseguite per le vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto, le cui norme sono intese alla tutela dei diversi interessi, pubblico e privato, alla sicurezza della circolazione, in funzione dell'ordine pubblico, della preservazione dell'integrità fisica degli individui, della conservazione dei beni. 6. Non è direttamente applicabile la raccomandazione OIML R91 del 1990 ( “Misura della Velocità dei Veicoli”), peraltro non attinente al caso di specie in quanto relativa alle sole apparecchiature radar. La sentenza dalla seconda sezione civile della Corte di Cassazione n 1206 del 19/01/2009 ha invece ribadito che “e’ legittima la rilevazione della velocità di un veicolo, effettuata a mezzo dell'apparecchiatura elettronica omologata anche in assenza di documentazione fotografica” Orma si tratta di un classico al quale evidentemente molti automobilisti e i giudici di pace non sembrano rassegnarsi. La Seconda Sezione con la sentenza n. 1661 del 22/01/2009, ha chiarito che l’accertamento del superamento dei i limiti di velocità può legittimamente essere provato anche a mezzo del tachimetro in dotazione ai veicoli delle forze di polizia. Da qui si conclude che l’articolo 142 C.d.S., comma 6° deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza dei detti limiti può legittimamente essere acclarata in molti modi. Sono così attendibili modalità di accertamento meramente deduttive, affidate al prudente apprezzamento del giudice (Cass. 6457/2000: 6777/1996; 1469/1988). In parole povere, per gli organi di polizia stradale, appare superfluo dotarsi di costosi apparecchi da installare a bordo dei veicoli di servizio. 7 LE OPPOSIZIONI Anche questo è un tema spesso trattato L’ordinanza n° 28147 del 25/11/2008 della seconda Sezione Civile ha affermato due principi: 1) le pronunce con cui il giudice di pace dichiara irricevibile il ricorso presentato oltre i termini sono impugnabili solo davanti alla Corte di Cassazione; 2) grava sul giudice di pace l'onere di provare la decorrenza dei termine per la presentazione del ricorso. L’ordinanza precisa che “la riforma introdotta dal decreto legislativo ( dlgs) n° 40 del 2006, non ha modificato il primo comma dell'art. 23 della legge 689. Questo significa che le dichiarazioni con le quali il giudice di pace rigetta il ricorso perché presentao oltre il termine sono impugnabili solo davanti alla Cassazione. Il principio vale sia per le sanzioni elevate ai sensi del codice della strada, che per tutte le altre che seguono il procedimento sanzionatorio, dettato dalla legge di depenalizzazione, la numero 689/1981. I giudici di Piazza Cavour non hanno invece affrontato la questione relativa alla impugnabilità delle sentenze relative a ricorsi proposti tempestivamente. In questo caso continuano a trovare applicazioni le disposizioni previste dal resto dell’articolo 23 della legge 689/1981: le sentenze sono appellabili davanti al tribunale civile. Valgono così le regole generali dettate dal Titolo III Capo I e II del codice di procedura civile ( c.p.p.) ed in particolare dall’articolo 339. Certamente il legislatore con le modifiche apportate dal dlgs 40/2006 all’articolo 23 della legge 689 ha reso tortuosa la strada dell’interprete, che deve ora ricavare tale assunto dalla lettura coordinata di piu’ testi di legge e non piu’ direttamente dall’articolo appena citato. Ma la pronuncia ha anche precisato che, ai sensi dell’articolo 23 comma 1° della legge 689/1981, l’opposizione può essere dichiarata inammissibile, perché presentata oltre il termine stabilito, solo se il giudice di pace o lo stesso prefetto siano in grado di dimostrare tale fatto E questo puo’ avvenire solo attraverso la prova documentale l’esibizione del documento cartaceo attestante la presentazione oltre i termini. Questo significa che la pronuncia deve essere sostenuta dall’esistenza dalla prova documentale che testimoni la data certa dell’avvenuta notifica ( ad esempio mediante l’esibizione della cartolina) In sua assenza non puo’ trovare conferma la dichiarazione di inammissibilità Sempre dalla seconda sezione civile la sentenza n. 27935 del 24/11/2008. Sebbene non recentissima, la pronuncia merita un attenta lettura, dal momento che chiarisce la natura processuale dei termini per proporre opposizione al giudice di pace, (artt. 204 bis del C.d.S e 22 e 23 della legge 689/1981. Al procedimento di opposizione a sanzioni amministrative promosso davanti al giudice di pace si applica la sospensione dei termini nel periodo feriale. 2 Questo significa che nell’ambito dello stesso atto normativo il legislatore ha previsto impugnative soggette a termini di natura diversa: 1. l’una, quella disciplinata dall’articolo 203 del cds, di natura sostanziale soggetta sempre al termine “inderogabile” di 60 giorni dalla data di contestazione o notifica del verbale; 2. l’altra , quella disciplinata dall’articolo 204 bis e 222 e 223 della legge 689, sottoposta ad un termine di natura sostanziale In parole povere convivono procure soggette a termini di natura durata diversa , almeno nel periodo estivo. Tra le sentenze piu’ recenti della quarta sezione penale la numero 9991 del 6 febbraio, che ha riguardato l’interpretazione degli articoli 186 e 187 del cds. 2 Il periodo feriale decorre dal 1° agosto - 15 settembre 8 SANZIONI ACCESSORIE Su questo argomento sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione Civile con la sentenza numero 563 del 14 gennaio 2009, riguardante gli impianti pubblicitari abusivi I giudici di legittimità hanno chiarito che, nel caso di violazioni all’articolo 23 del codice della strada, la giurisdizione e la competenza sono integralmente del giudice ordinario Pertanto spetta al giudice di pace e non al T.A.R decidere anche sull’ordinanza comunale di rimozione di impianti pubblicitari abusivi lungo strade comunali (art. 23, comma 13 quater, del CdS), dato che si tratta di sanzione accessoria di un principale prevista dal codice della strada. Relativamente alle sanzioni accessorie due pronunce che interessano gli articoli 222 e 223 del codice della strada (cds). La seconda sezione Civile , con pronuncia n. 8801 del 06/02/2009, ha precisato che con la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice penale deve disporre la sospensione del documento di guida, ('art. 222 del C.d.S.), anche se già disposta dal Prefetto. Infatti le sanzioni accessorie al cds, “non integrando una pena accessoria, nè una misura di sicurezza, prescindono dall'accordo tra le parti, conformemente a quanto affermato da precedenti decisioni della Cassazione (Cass. SS.UU. 27.5.1998, Bosio)” Il periodo di tempo già scontato per effetto della sospensione ordinata dal Prefetto deve essere “scontato” dal provvedimento del giudice . La quarta Sezione della Cassazione Penale con sentenza numero 7307 del 29 gennaio 2009, sempre a proposito degli articoli 222 e 223 del cds, ha chiarito che il cosiddetto patteggiamento (ex art. 444 cpp) comporta comunque l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida Il giudice nell’applicarla deve semplicemente fornire opportuna motivazione avendo riguardo alla personalità del reo ed alla gravità del sinistro. . 9 ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA interessante la pronuncia dalla terza Sezione Civile: la numero 316 del 09/01/2009 Il giudizio di legittimità ha chiarito un principio di diritto: la copertura assicurativa ex art 1 L 990/1969, opera su un autogrù, per il solo fatto che un veicolo si trovi su strada di uso pubblico o su area a questa equiparata in sosta Resta indifferente se durante la sosta il mezzo operi o meno quale macchina operatrice. Infatti anche la sosta è riconducibile ad un momento della circolazione Pertanto quando il veicolo è un'autogru, ad integrare il presupposto di operatività della copertura assicurativa è sufficiente che essa si trovi in sosta su una strada di uso pubblico o su un'area ad essa equiparata, restando indifferente se durante la sosta essa operi o meno quale macchina operatrice 10 LA GIURISPRUDENZA PENALE In materia penale la parte del leone è stata recitata dalle pronunce in materia guida i stato di ebbrezza alocoolica La pronuncia della quarta sezione numero 43313 del 28/10/2008 ha chiarito che anche in vigenza del decreto legge 3 agosto 2007, n. 117 lo stato di ebbrezza da alcool del conducente di un veicolo poteva essere comunque accertato e provato con qualsiasi mezzo. Per convincere il giudice non occorre avere il riscontro dell’ etilometro o seguire le procedure indicate nel D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 379. In tema di guida in stato di ebbrezza la sentenza della Corte di cassazione penale , IV sezione 9991 del 6/02/2009 sezione ha chiarito che per la conduzione di un veicolo del quale non è richiesta la patente, non può essere applicata la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida. In questo caso infatti non sussiste alcun collegamento diretto tra il mezzo con il quale il reato è stato commesso e l'abuso dell'autorizzazione amministrativa. Questo ovviamente non toglie nulla all’ esistenza del reato Per finire due sentenze della quarta sezione della Corte di Cassazione Penale, relative all’articolo 186 del cds. La sentenza numero 18958 del 06 maggio 2009 ha ribadito, in linea con precedenti pronunce, che la prova dello stato di ebbrezza del conducente dell'autoveicolo, può essere provato e accertato con qualsiasi mezzo. Dunque non occorre l’utilizzo della strumentazione e la procedura indicate nell'art. 379 del regolamento di attuazione ed esecuzione del codice della strada (c.d. etilometro). La pronuncia è relativa al periodo di vigenza del decreto Bianchi ('art. 5 lettera a) del D.L. 3/8/2007 n. 117), in vigore fino al 26 maggio 2008. Quella anche l’articolo 186 del codice della strada. Secondo molti interpreti le modifiche di fatto rendevano impraticabile l’accertamento sintomatico della guida in stato di ebbrezza, data l’impossibilità di inquadrare la violazione nella lettera a), b) o c dell’articolo 186 comma 2°. Questo avrebbe portato all’impossibilità di accertare in modo sintomatico lo stato di ebbrezza e di applicare in questo caso la sanzione penale. Ora gli ermellini smentiscono questo indirizzo. Anche in caso di rifiuto di sottoporsi al test alcolimetrico, ed in vigenza delle modifiche apportate all’articolo 186 del cds dal dl 117/2007, la condotta restava sanzionabile penalmente, Infatti sul piano probatorio, il giudice puo’ sempre avvalersi, ai fini dell'affermazione della sussistenza dello stato di ebbrezza, delle sole circostanze sintomatiche riferite dagli agenti accertatori. Pertanto, pur a seguito della riformulazione dell'art. 186 del codice cod. stradale , era possibile circoscrivere l’accertamento sintomatico alla sola fattispecie meno prave (quella di prima fascia, di cui alla lett. A) del comma 2 dell'art. 186 cod. strad.) Per le ipotesi piu’ gravi , si imponeva invece, l'accertamento tecnico del livello effettivo di alcool nel sangue. Infine la sentenza 13831 del 30 marzo 2009 , sempre della “quarta” penale. Al centro gli articoli 186 e 213 del codice della strada In questo caso i giudici di legittimità hanno chiarito che il sequestro preventivo del veicolo, fino all'esito del giudizio, data la confisca obbligatoria ex art. 186, comma 2, lett. c, deve essere disposto sempre che sussista il "fumus" del reato. Infatti, la restituzione del mezzo potrebbe produrre una situazione successiva di impossibilità a procedere in tal senso in caso di condanna. 11 INFORTUNISTICA STRADALE La sentenza n° 4118 del 28/01/2009 della quarta penale . In caso di incidente stradale, è legittimo il prelievo ematico effettuato, ( art 186 C.d.S) secondo i normali protocolli medici di pronto soccorso, per dimostrare lo stato di ebbrezza del conducente di un veicolo Ma la sentenza in commento va oltre, affermando la correttezza dei giudici di primo e secondo grado che in questo caso avevano condannato per omicidio colposo ( art 589 C.P) aggravato dal dolo eventuale, ( art 61 lettera c C.P.) lo stesso automobilista, per essersi posto alla guida l'abituale nonostante l’ abuso abituale di alcolici provocando la morte di una persona. 12 RACCOLTA DI SENTENZE RESPONSABILITA’ CIVILE CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE Sentenza 27337 del 18/11/2008. CIRCOLAZIONE STRADALE – RESPONSABILITÀ CIVILE-- Incidente stradale con danno a persone. Nel caso di incidente stradale con danni alle persone per invocare il risarcimento del danno vale il termine lungo di prescrizione dell’articolo 2947 comma 3° C.C. , anche se non è stata presentata querela E' infatti decisamente superata in materia processualpenalistica la tesi minoritaria e datata, secondo cui la querela costituisse una condizione di punibilità perché la querela non assurge a rango di elemento essenziale della struttura del reato . FATTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto notificato il 24.3.1999 N.A. e P. C., in proprio e quali legali rappresentanti dei figli minori P., D. e L., convenivano in giudizio dinanzi al tribunale di Torino M.G. e R.A., rispettivamente conducente e proprietario di un'autovettura Fiat Panda, nonchè l'Axa Assicurazioni s.p.a., quale impresa assicuratrice, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti a sinistro stradale, avvenuto il (OMISSIS), nel quale era rimasto coinvolto il minore N.P., che aveva riportato lesioni personali con postumi permanenti invalidanti del 100%. Si costituivano i convenuti, eccependo l'improcedibilità della domanda e la prescrizione biennale. Il Tribunale di Torino, con sentenza depositata il 9.9.2000, dichiarava improcedibile tutte le domande, ad eccezione di quella del minore N.P., il cui diritto veniva dichiarato prescritto. Proponeva appello N.A. nella qualità di tutore provvisorio del figlio N.P.. Resistevano gli appellati. La corte di appello di Torino respingeva l'appello con sentenza depositata il 17.10.2002. Riteneva la corte di merito che nella fattispecie era applicabile il termine biennale di prescrizione di cui all'art. 2947 c.c., comma 2, non essendo stata proposta querela per il reato di lesioni, secondo quanto statuito da Cass. S.U. n. 5121 del 2002; che non era stata effettuato nei termini alcun atto interruttivo; che la documentazione esibita in appello non era ammissibile a norma dell'art. 345 c.p.c.. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione N. A., nella qualità di tutore di N., che ha anche presentato memoria. Resiste con controricorso l'Axa Assicurazioni s.p.a. La terza Sezione civile di questa Corte, ravvisando un possibile contrasto tra i principi posti a base della decisione delle S.U. n. 1479 del 1997 e quelli su cui si fonda la sentenza n. 5121 del 2002, che aveva espressamente ritenuto che la mancanza di querela rendeva inapplicabile il più lungo termine di prescrizione di cui al comma terza dell'art. 2947 c.c., ed in ogni caso ritenendo di non condividere tale ultima decisione, tenuto conto dell'evoluzione legislativa e giurisprudenziale, rimetteva gli atti al Primo Presidente, che ne disponeva l'assegnazione alle Sezioni Unite Civili. DIRITTO MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2947 c.c., comma 3, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Assume il ricorrente che, in ipotesi di lesioni da sinistro stradale, l'applicabilità del più lungo termine prescrizionale di cui all'art. 2947 c.c., comma 3, rispetto a quello previsto dal cit. art. comma 2, non può essere esclusa dalla circostanza che non sia stata presentata querela per il reato di lesioni colpose, tenuto conto che la querela è solo una condizione di procedibilità del reato e non un elemento sostanziale dello stesso; che ciò comporta una disparità di trattamento con le - ipotesi in cui per il reato si procede di ufficio; che, in ogni caso, tale interpretazione penalizza i danneggiati dal reato, che non siano anche persone offese e quindi titolari del diritto di querela. 2. Il motivo è fondato e va accolto. Le norme giuridiche di riferimento sono racchiuse nell'art. 2947 c.c., in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno. Il comma 1, dell'art. in questione prevede la prescrizione breve del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, fissando in anni cinque il termine relativo, con decorrenza dal giorno in cui il fatto si è verificato. Il 13 comma 2, prevede un termine ancora più breve, pari ad anni due, per la sola ipotesi di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie. Infine, il comma 3, dispone, nella prima parte, che in ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile. Prosegue stabilendo che tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile. Si tratta, come è evidente, di un regime prescrizionale singolarmente articolato ed asimmetrico che, in linea generale, per le istanze risarcitorie scaturenti da fatto illecito, stabilisce un termine di prescrizione più breve rispetto a quello ordinario di dieci anni; in chiave derogatoria (rispetto a quella linea generale), un termine ancora più contenuto, per l'ipotesi in cui il fatto generatore del danno si riconnetta alla specifica dinamica della circolazione stradale; e da ultimo, con riferimento ad entrambe le fattispecie risarcitorie (fatto illecito ordinario e fatto illecito da circolazione dei veicoli di ogni specie), una norma di rinvio in bianco quanto alla durata del termine, nel caso in cui quel fatto dannoso è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, giacchè, in tale ipotesi, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno è commisurato al termine prescrizionale previsto dal reato, ove sia più breve di questo. La norma è in bianco in quanto, come è risaputo, l'art. 157 c.p., nel determinare il tempo necessario a prescrivere, non stabilisce una misura temporale fissa, bensì un ordine decrescente di maturazione (anche dopo la modifica apportata dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251) in rapporto ai diversi limiti di pena edittale. Di talchè, se ed in quanto il fatto generatore del danno sia considerato dalla legge come reato e se ed in quanto per il reato sia previsto (in base alla pena edittale) un termine di prescrizione superiore - rispettivamente - a cinque od a due anni, trova applicazione anche per l'azione civile il più lungo termine prescrizionale previsto per il reato. 3.1. In merito all'interpretazione di tale norma si sono avuti vari contrasti. Un primo atteneva agli effetti in sede civile delle cause di interruzione e sospensione della prescrizione di natura penale del reato. Esso fu risolto dalle S.U. con l'affermazione del principio secondo cui in base all'art. 2947 c.c., comma 3, il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, che sia considerato dalla legge come reato, si prescrive nello stesso termine di prescrizione del reato se quest'ultimo si prescrive in un termine superiore ai cinque anni, mentre si prescrive in cinque anni se per il reato è stabilito un termine uguale o inferiore, nel qual caso il termine di prescrizione dell'azione civile decorre dalla data di consumazione del reato e non assumono rilievo eventuali cause di interruzione o sospensione della prescrizione relative al reato, essendo ontologicamente diversi l'illecito civile e quello penale (Cass. Sez. Unite, 18/02/1997, n. 1479). Un secondo contrasto aveva ad oggetto il dies a quo della decorrenza della prescrizione. Ritennero le S.U. che, in caso di fatto illecito che costituisca anche reato, per il quale sia stato pronunciato decreto di archiviazione (nel regime dell'abrogato codice di rito) per mancanza di querela, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno comincia a decorrere dalla data del provvedimento di archiviazione, senza che invece rilevi la data del visto apposto dal p.m. al decreto stesso (Cass. Sez. Unite, 02/10/1998, n. 9782). 3.2. Un terzo contrasto aveva ad oggetto la durata del termine prescrizione nell'ipotesi in cui reato fosse procedibile a querela e questa non fosse stata presentata (caso identico a quello riproposto all'esame di queste S.U.). Hanno ritenuto le S.U. che in tema di danni derivanti dalla circolazione dei veicoli, ove il fatto illecito integri gli estremi di un reato perseguibile a querela e quest'ultima non sia stata proposta, trova applicazione, ancorchè per il reato sia stabilita una prescrizione più lunga di quella civile, la prescrizione biennale di cui all'art. 2947 c.c., comma 2, decorrente dalla scadenza del termine utile per la presentazione della querela medesima (Cass. S.U., 10/04/2002, n. 5121). A questa conclusione la Corte, in conformità con le ragioni addotte dalla giurisprudenza e dottrina conformi a tale orientamento, giungeva sulla base della pretesa ratio ispiratrice dell'art. 2947, comma 3. Riteneva la corte che essa, già indicata "nell'esigenza di tutela dell'affidamento del danneggiato nella conservazione del diritto (al risarcimento) per la prevedibile durata della pretesa punitiva dello Stato" (Cass., 22 maggio 1996 n. 4740), è stata enunciata con particolare chiarezza, sia pure incidentalmente, nella sentenza delle Sezioni Unite 2 ottobre 1998 n. 9782, affermando che "la ragione giustificatrice dell'aggancio del termine prescrizionale dell'azione civile a quello eventualmente più lungo di prescrizione dell'azione penale (art. 2947 c.c., comma 3) va individuata nell'esigenza di evitare che l'autore di un reato, dichiarato responsabile e condannato in sede penale, resti esente dall'obbligo di risarcimento verso la vittima - il cui diritto rimarrebbe vanificato - in conseguenza dell'avvenuta più breve prescrizione civile durante il tempo necessario per l'accertamento della responsabilità penale, o, comunque, di impedire che l'azione di risarcimento del danno si estingua quando è ancora possibile che l'autore del fatto sia perseguito penalmente". Questa essendo la "ratio" dell'eccezionale assimilazione della prescrizione civile a quella, eventualmente più lunga, prevista per il fatto - reato, era di tutta evidenza che siffatta esigenza veniva meno nell'ipotesi in cui la querela, necessaria per la perseguibilità concreta dell'illecito penale, non fosse stata proposta perchè, non essendo mai stato avviato un procedimento, era escluso il rischio che il diritto risarcitorio del soggetto danneggiato possa estinguersi, "medio tempore", per effetto della normale prescrizione biennale. 14 Inoltre, a fronte se non proprio di una volontà contraria all'esercizio dell'azione penale, quanto meno di un disinteresse così manifestato implicitamente dal danneggiato, non avrebbe avuto alcun senso accordargli il favore di un più lungo termine di prescrizione, essendo la querela una condizione di procedibilità "sui generis", dipendente in via esclusiva dalla sola volontà dell'interessato. Ne conseguiva che, ove la querela non fosse stata proposta, doveva trovare applicazione la prescrizione biennale di cui al cit. art. 2947 c.c., comma 2. Inoltre osservava la Corte che non si ravvisava alcuna valida - ragione logico - giuridica per trattare differentemente l'ipotesi di estinzione per remissione della querela (art. 152 c.p.) e, quindi, di sopravvenuta improcedibilità dell'azione penale, a quella di mancanza della querela, cioè di improcedibilità originaria, considerando il disposto della seconda parte del comma ("tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione ... il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati nei primi due commi"). 4.1. A questa sentenza delle S.U. n. 5121 del 2002, le Sezioni semplici si sono uniformate ed hanno costantemente affermato che "In tema di danni derivanti dalla circolazione dei veicoli, ove il fatto illecito integri gli estremi di un reato perseguibile a querela e quest'ultima non sia stata proposta, trova applicazione, ancorchè per il reato sia stabilita una prescrizione più lunga di quella civile, la prescrizione biennale di cui all'art. 2947 c.c., comma 2, decorrente dalla scadenza del termine utile per la presentazione della querela medesima". Ciò è stato affermato sulla base della pretesa ratio della norma, sopra esposta (ex multis: Cass. 05/06/2007, n. 13057; Cass. 11885 del 2007; Cass. 27169 del 2006; Cass. 19297 del 2006; Cass. n. 5227 del 2006; Cass. n. 4661 del 2006; Cass. n. 2521 del 2006). Non si rinvengono, anzi, sentenze che abbiano affermato un principio contrario nelle ipotesi in cui il reato fosse procedibile a querela e questa non fosse stata proposta. Il contrasto, invece, si ravvisa tra il principio che è alla base di questo orientamento, ormai consolidato (secondo cui se non è stato iniziato procedimento penale, sia pure per mancanza di querela, non vi è ragione per la più lunga prescrizione di cui all'art. 2947 c.c., comma 3) e quello espresso in altre pronunzie, che pur non attenendo ad ipotesi di reati procedibili a querela (generalmente casi di omicidio colposo a seguito di circolazione stradale), hanno invece affermato che: "Se il fatto illecito per il quale si aziona il diritto al risarcimento del danno è considerato dalla legge come reato e per questo la legge stabilisce una prescrizione più lunga di quella di cinque anni prevista dall'art. 2947 c.c., comma 1, ai sensi del cit. art. comma 3, prima parte, quest'ultima si applica anche all'azione civile, indipendentemente dalla promozione o meno dell'azione penale, essendo il maggior termine di prescrizione correlato solo alla astratta previsione dell'illecito come reato e non alla sentenza irrevocabile penale, che rileva solo ai fini dell'art. 2947 c.c., comma 3, u.p." (Cass., 26/02/2004, n. 3865; Cass. 30 ottobre 2003, n. 16305; Cass. 19.1.2007; n. 1206; Cass. 29/09/2004, n. 19566). In questi casi si è ritenuto che, nonostante il decreto di archiviazione in sede penale, non fosse precluso al Giudice civile accertare, incidenter tantum, l'esistenza del fatto - reato, al fine di applicare il più lungo termine prescrizionale di cui all'art. 2947 c.c., comma 3. 5.1. Ritengono queste S.U. che vada rivisitato il principio espresso da Cass. S.U. n. 5121 del 2002, in caso di improcedibilità del reato per mancanza di querela, in modo da armonizzarlo con il più generale principio in tema di termine di prescrizione emergente dalla lettera dell'art. 2947 c.c., comma 3, prima parte - secondo cui l'applicabilità di tale norma prescinde dalla procedibilità o meno del reato. Sono due le condizioni che rendono applicabile l'art. 2947 c.c., comma 3: la configurabilità di un reato nel fatto dannoso; e la previsione per la prescrizione del reato di un termine più lungo di quelli stabiliti nel cit. art. 2947 c.c., primi due commi. Il concorso di entrambe queste condizioni, che va preliminarmente accertato, rende applicabile una disciplina della prescrizione che è in ogni caso derogatoria rispetto a quella dettata dall'art. 2947 c.c., primi due commi, (o per l'entità o per la decorrenza del termine di prescrizione). Ciò che è discusso è se l'applicazione dell'art. 2947 c.c., comma 3, richieda l'effettiva perseguibilità del reato. Sicchè occorre innanzitutto accertare cosa intenda la norma per "fatto considerato dalla legge come reato". 5.2. In dottrina si discute in particolare se l'art. 2947 c.c., sia applicabile quando manchi la querela necessaria per la procedibilità o, secondo altri, per la punibilità del fatto dannoso previsto come reato. Coloro che considerano la querela come condizione di procedibilità, ritengono che l'applicabilità dell'art. 2947 c.c., comma 3, prescinda dalla proposizione della querela eventualmente necessaria per la promovibilità dell'azione penale; sicchè il diritto al risarcimento del danno cagionato da un fatto punibile a querela di parte si prescrive nel termine previsto per il reato anche quando la querela non sia stata proposta. 5.3. Coloro che considerano la querela come condizione per la configurabilità stessa di un reato, ritengono, invece, che la mancanza della querela eventualmente necessaria, escludendo la punibilità del fatto dannoso, sottoponga la pretesa risarcitoria ai termini di prescrizione fissati dal cit. art. 2947 c.c., primi due commi. Taluno ha sostenuto anche che la stessa possibilità di instaurare un procedimento penale condizioni l'applicabilità dell'art. 2947 c.c., comma 3; sicchè vanno applicati i più brevi termini di prescrizione previsti dall'art. 2947 c.c., primi due commi, anche in ogni altro caso in cui manchi una condizione di procedibilità come la richiesta, l'istanza o l'autorizzazione a procedere. Nell'ambito di questa seconda impostazione è ricorrente la commistione tra condizioni di applicabilità e contenuti della disciplina dettata dall'art. 2947 c.c., comma 3, si sostiene, infatti, che il più breve termine di prescrizione non 15 decorra dal giorno in cui il fatto si è verificato, come prevede l'art. 2947 c.c., comma 1, che pure è considerato applicabile, bensì dal momento in cui si decade dal diritto di proporre la querela o dal momento in cui l'impromovibilità dell'azione penale viene dichiarata. Altri sostengono che la previsione di "fatto considerato dalla legge come reato" sussiste quando per il fatto stesso l'azione penale sia proponibile, quando sia pendente procedimento penale, oppure ancora quando la procedibilità penale si sia arrestata in limine per archiviazione o sentenza di non doversi procedere. 5.4. In realtà questo orientamento dottrinale e giurisprudenziale compie una duplice forzatura interpretativa della lettera dell'art. 2947 c.c.,comma 3, resa necessaria dalla mancata distinzione tra condizioni di applicabilità e contenuto della disciplina dettata da questa norma. E', infatti, una forzatura interpretativa intendere il riferimento della norma a un "fatto considerato dalla legge come reato" nel senso di "fatto per il quale possa essere iniziato un procedimento penale"; ed è ancora una forzatura interpretativa ritenere applicabili le decorrenze fissate dall'art. 2947 c.c., comma 3, ai termini di prescrizione stabiliti nel cit. art. primi due commi, anche quando si ritiene che il fatto non sia qualificabile come reato. 6. In effetti la lettera della norma, ai fini del più lungo termine di prescrizione di cui all'art. 2947 c.c., comma 3, non richiede assolutamente che il fatto di reato sia procedibile, ovvero che per esso si sia effettivamente proceduto penalmente, ma solo che il fatto sia "considerato dalla legge come reato". Ciò significa che il fatto deve avere gli elementi sostanziali soggetti ed oggettivi del reato, astrattamente previsto, mentre le condizioni di procedibilità (tra cui la querela) hanno natura solo processuale e non sostanziale. E' infatti decisamente superata in materia processualpenalistica la tesi minoritaria e datata, secondo cui la querela costituisse una condizione di punibilità ed avesse, quindi natura sostanziale, per cui la sua mancanza impediva che il fatto potesse considerarsi reato (Cass. pen. Sez. 3^, 8.4.1971, n. 1359). La querela non assurge a rango di elemento essenziale della struttura del reato, nè concorre a definire il tipo di illecito ed il contenuto del disvalore del fatto che, invece, si presuppone già realizzato (la querela viene proposta dalla persona già "offesa" dal reato). Neppure può ravvisarsi nella querela una condizione di punibilità, poichè detta condizione attiene, a sua volta, alla fattispecie materiale in senso ampio e si collega al "dovere sostanziale di punire". Inoltre, e soprattutto, l'art. 345 c.p.p., vigente, espressamente individua nella querela una condizione di procedibilità (Cass. pen., Sez. 5^, 11/10/2005, n. 38967; Cass. pen., Sez. 6^, 20/10/2004, n. 44929). 7. Peraltro l'orientamento dottrinale che sostiene che la mancanza di querela esclude l'applicabilità dell'art. 2047 c.c., comma 3, è in contrasto con la soluzione adottata allorchè si è posto il problema del termine applicabile quando il "fatto considerato dalla legge come reato" sia commesso da persona non imputabile. Qui le risposte fornite sono univoche nel senso che, trattandosi di fatto configurabile come reato, debbano applicarsi i termini fissati dal cit. art. comma 3. In giurisprudenza non si rinvengono decisioni di legittimità in proposito. Tuttavia assume rilevanza la giurisprudenza che ritiene risarcibile il danno non patrimoniale derivante dal reato commesso da persona non imputabile. Quest'orientamento giurisprudenziale, relativo all'interpretazione dell'art. 2059 c.c., e art. 185 c.p., che prevedono la risarcibilità del danno morale derivante da reato, è, infatti, fondato sull'assunto che occorra fare riferimento all'astratta configurabilità del fatto come reato e non alla sua concreta punibilità (Cass., sez. U, 6 dicembre 1982, n. 6651; Cass. 20 novembre 1990, n. 11198). Ciò viene affermato non solo nelle ipotesi in cui l'autore del fatto di reato sia un soggetto non imputabile, ma anche nel caso in cui per il reato non si sia proceduto penalmente(Cass. 15/01/2005, n. 729; Cass. 11.2.1988, n. 1478; Cass. 24/02/2006, n. 4184; Cass. 16/01/2006, n. 720). 8.1. Rimane, quindi, a sostegno della tesi secondo cui la mancanza di una condizione di procedibilità rende inapplicabile l'art. 2047 c.p.c., comma 3, solo la presunta ratio assegnata a tale norma, e cioè quella di evitare che per il medesimo fatto l'azione civile potesse estinguersi, quando l'azione penale fosse ancora in vita (rischio escluso con la decadenza dalla proponibilità della querela). Una volta ritenuto che sulla base della lettera della legge la più lunga prescrizione di cui alla norma all'art. 2947 c.c., comma 3, è applicabile ogni qual volta il fatto è "considerato dalla legge come reato", sotto il profilo ontologico, indipendentemente dal punto se poi si sia effettivamente proceduto penalmente o meno (e ciò non solo con riguardo ai reati procedibili d'ufficio, ma anche a quelli per i quali è necessaria una condizione di procedibilità, come appunto la querela), risulta difficile superare detta interpretazione letterale della norma sulla base di un'interpretazione correlata alla sola "ratio" della stessa. Ciò tanto più se si considera che allorchè il legislatore ha ritenuto di applicare i termini di prescrizione di cui al cit. art. 2947, commi 1 e 2, pur in presenza di un fatto di reato, ma con una diversa decorrenza, l'ha espressamente detto nella seconda parte del cit. art. 2947 c.c., comma 3. Costituisce, infatti, ulteriore argomento letterale l'omessa previsione del difetto di querela tra le situazioni tipizzate - nella seconda parte del menzionato art. 2947 c.c., comma 3, come fatti condizionanti il decorso del termine prescrizionale, al punto da consentire, nonostante la gravità del fatto, una prescrizione diversa da quella del reato, mentre l'estensione di una siffatta deroga all'ipotesi in esame non sarebbe affatto legittima, non essendo applicabile lo strumento ermeneutico dell'interpretazione analogica stante il riconosciuto carattere eccezionale della norma, rispetto alla decorrenza ordinaria. 16 8.2. Nè può fondatamente sostenersi che la non previsione della mancanza di querela tra le ipotesi previste nella seconda parte del comma terzo sarebbe dovuta solo all'impossibilità per il legislatore di prevedere i molteplici casi della realtà, sicchè, stante 1'incongruenza dell'assunto che una non perseguibilità iniziale debba essere disciplinata diversamente dalla non perseguibilità successiva (nelle ipotesi espressamente previste dal legislatore, quali la morte del reo, l'amnistia, la rimessione della querela), sarebbe affatto logico ritenere che al difetto di querela debba applicarsi - in virtù di interpretazione estensiva (sul rilievo della regolamentazione implicita, per il principio lex minus dixit quam voluit) - la stessa disciplina prevista per le ipotesi in cui, per fatti sopravvenuti, non sia più possibile procedere all'accertamento del fatto - reato. A tale costruzione teorica va obiettato che le ipotesi previste dalla norma da ultimo citata integrano, per espressa definizione normativa (rispettivamente gli artt. 150, 151 e 152 c.p.), casi di estinzione del reato, e solo conseguentemente della pretesa punitiva dello Stato, e quindi rilevanti sotto il profilo sostanziale, mentre la mancata presentazione della querela attiene al diverso profilo dell'improcedibilità dell'azione penale. 9.1. In ogni caso il tema della ratio ispiratrice della particolare disciplina dell'art. 2947 c.c., merita di essere rivisitato alla luce della mutata fisionomia del sistema processualpenalistico, a seguito dell'intervenuta riforma del codice di rito, e delle più significative opzioni legislative - tra quelle immediatamente rilevanti in questo ambito civilistico - specie per quanto attiene alla natura della querela, ormai espressamente consacrata in termini di condizione di procedibilità (art. 354 c.p.c.), e più in generale ai modificati rapporti tra azione civile ed azione penale. Anzitutto nessun elemento in favore di tale ratio deriva dalla relazione ministeriale. Essa dopo un generico riferimento alle ragioni di sicurezza, stabilità dei rapporti giuridici e necessità di salvaguardia dei diritti difensivi, ritiene - quanto alla norma in esame - che sia naturale rapportare i termini prescrizionali a quelli, eventualmente, più lunghi previsti dalla legge penale per la prescrizione del reato, ove il fatto illecito assuma anche rilevanza penale. Sennonchè, proprio l'apodittica opzione, nella sua riferita scontatezza, potrebbe offrire una significativa chiave di lettura, nella misura in cui possa ritenersi espressione dell'humus culturale che permeava la legiferazione del tempo, incontrovertibilmente ispirata al primato della giurisdizione penale su quella civile, e dunque alla priorità riconosciuta all'accertamento del fatto in ambito penalistico, non fosse altro che in ragione dei più intensi, e potenzialmente illimitati, poteri istruttori del Giudice penale rispetto a quelli conferiti al giudice civile. Ed invero, i principi cardini dell'ordinamento all'epoca vigente erano quelli dell'unitarietà della funzione giurisdizionale e della prevalenza della giurisdizione penale su quella civile, per evitare, nel superiore interesse della certezza del diritto, la possibilità di giudicati contraddittori (art. 3 c.p.p., e art. 295 c.p.c.). In ragione di tali principi ispiratori era inarcata la tendenza a spostare in sede penale l'accertamento del fatto che fosse anche fonte di responsabilità civile. 9.2. Dalla disciplina del nuovo codice di procedura penale si ricava che il nostro ordinamento non è più ispirato al principio dell'unitarietà della giurisdizione, come invece avveniva per il c.p.p., del 1930 ma a quello dell'autonomia di ciascun processo e della piena cognizione, da parte di ogni Giudice, delle questioni giuridiche e di accertamento dei fatti rilevanti ai fini della propria decisione. Consegue che, tranne alcune particolari e limitate ipotesi di sospensione del processo civile previste dall'art. 75 nuovo c.p.p., comma 3, (azione promossa in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado), da un lato il processo civile deve proseguire il suo corso senza essere influenzato dal processo penale e, dall'altro, il Giudice civile deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti (ex multis: Cass. 10/08/2004, n. 15477; Cass. 9.4.2003, n. 5530; Cass. S.U., ord., 5.11.2001, n. 13682). In particolare, alla stregua dei principi dell'autonomia e della separazione delle giurisdizioni, non regge più la tesi relativa all'esigenza di impedire che la punibilità sopravviva alla risarcibilità, che, nel subordinare, come si è detto, l'applicabilità del più lungo termine prescrizionale all'esistenza di un procedimento penale o alla mera possibilità della sua instaurazione, risente di una filosofia di rapporti tra giudizio civile e quello penale imperniata sulla prevalenza del secondo sul primo e finalizzata ad evitare contrasti tra giudicati civili e penali. 9.3. Attualmente costituisce punto fermo che il Giudice civile si può avvalere nell'ambito dei suoi accertamenti in merito all'esistenza del fatto considerato come reato, di tutte le prove che il rito civile prevede. Il consolidato orientamento giurisprudenziale, che escludeva la risarcibilità del danno non patrimoniale, allorquando la responsabilità dell'autore materiale del fatto illecito fosse stata affermata non già in base all'accertamento concreto dell'elemento psicologico (cioè almeno la colpa), ma in base a presunzioni, quali quelle stabilite dagli artt. 2050 a 2054 c.c., è stato modificato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte che ha invece ritenuto che "ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 e 185 c.p., non osta il mancato positivo accertamento dell'autore del danno se essa debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge (come l'art. 2054 c.c.) e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato" (Cass. 12.5.2003, n. 7281). Una volta affermata l'autonomia tra il giudizio civile e quello penale, il Giudice civile deve accertare la fattispecie costitutiva della responsabilità aquiliana, posta al suo esame, con i mezzi suoi propri e, quindi, con i mezzi di prova offerti al Giudice dal rito civile per la sua decisione. Tra questi mezzi non solo vi è la presunzione, legale o non, ma addirittura vi sono le c.d. "prove legali", in cui la legge deroga al principio del libero convincimento del Giudice (art. 239 c.p.c., artt. 2700, 2702, 2705, 2709, 2712, 2713, 2714, 2715, 27120, 2733; 2734, 2735 e 2738 c.c.). La categoria delle prove legali è completamente sconosciuta all'ordinamento penale. 17 Contemporaneamente si è ampliata la nozione di danno non patrimoniale risarcibile a norma dell'art. 2059 c.c., (cfr. Cass. n. 8827 ed 8828 del 2003). 9.4. Inoltre di recente sono stati indicati i diversi standars di certezza probatoria, esistenti tra il processo civile e quello penale. Ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti (Cass. S.U. 11/01/2008, n. 576; Cass. S.U. 11/01/2008, n. 582). Ciò comporta che il P.M. potrebbe non esercitare l'azione penale a fronte di una notitia criminis e chiedere l'archiviazione, sul rilievo che non sia possibile raggiungere nel dibattimento sufficienti risultati probatori ai fini dell'affermazione della responsabilità penale, tenuto conto del detto livello di certezza e dei diversi mezzi probatori a sua disposizione, mentre il - Giudice civile, che nell'accertamento incidentale del fatto di reato è sottoposto alle regole civilistiche ed all'utilizzo dei mezzi suoi propri, può ritenere l'esistenza dello stesso, con conseguente applicabilità dell'art. 2047 c.c., comma 3. In questo caso non si capirebbe perchè, pur non avendo il P.M. proceduto penalmente, la prescrizione è quella di cui alla predetta norma, mentre nell'ipotesi in cui non si è proceduto per mancanza di querela, la prescrizione è quella di cui ai primi due commi dell'art. 2947 c.c., sia pure con decorrenza dalla scadenza del termine per la presentazione della querela. 9.5. D'altra parte solo nell'ambito dell'affermata autonomia tra giudizio civile e quello penale trovano logica collocazione le affermazioni costanti in giurisprudenza, in relazione ad altri profili della prescrizione civile intesa come svincolata dallo sviluppo, sia pure potenziale, di un procedimento penale. In particolare, si intende fare riferimento all'interpretazione offerta dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1479 del 18 febbraio 1997 in ordine all'ininfluenza delle cause di sospensione ed interruzione in sede penale sul corso della prescrizione civile; ovvero all'affermazione secondo cui - qualora, in esito al processo penale, l'imputazione sia stata degradata - deve aversi riguardo al reato contestato e non già a quello ritenuto in sentenza (cfr., Cass. 4 dicembre 1992, n. 12919) ed indipendentemente dal riconoscimento delle attenuanti (come avviene in sede penale solo attualmente a seguito della sostituzione dell'art. 157 c.p., operata dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6). Ciè è l'esatto contrario di quanto vale per la prescrizione penale per la cui determinazione, come è noto, occorre tener conto del tipo di reato riconosciuto in sentenza. 10.1. Qualunque possa essere la ratio originaria dell'art. 2047 c.c., comma 3, e cioè sia quella di evitare che la pretesa risarcitoria civile si prescrivesse prima della perseguibilità penale, sia la scelta del legislatore di elevare il tempo di prescrizione in relazione al disvalore del fatto, considerato come reato, come sostenuto da alcuni, va osservato che la perdita di valenza (nell'evoluzione dell'ordinamento) della prima pretesa ratio e del conseguente criterio interpretativo su di essa fondato comporta che non possa essere superata l'interpretazione letterale del cit. art. 2947, comma 3, che equipara la prescrizione civile a quella penale, ove più lunga, sulla base della sola "considerazione" del fatto come reato sotto il profilo ontologico, indipendentemente dalla circostanza se per esso si proceda penalmente. 10.2. Nè può essere accolta la tesi, secondo cui la mancata presentazione della querela dimostrerebbe un disinteresse (un'inerzia) del soggetto offeso, da cui il legislatore farebbe discendere la non applicabilità del cit. art. 2047, comma 3, come pure sostenuto in giurisprudenza ed in dottrina. Infatti, a parte il rilievo che ancora una volta tale osservazione non ha riscontro in indici normativi, va osservato che il cit. art. 2947, comma 3, non limita l'applicabilità della disposizione alla sola persona offesa dal reato, affermando solo che il più lungo termine prescrizionale "si applica anche all'azione civile". Come la giurisprudenza di questa Corte ha già osservato (Cass. 26/02/2003, n. 2888) la disposizione dell'art. 2947 c.c., comma 3, che prevede, ove il fatto che ha causato il danno sia considerato dalla legge come reato, l'applicabilità all'azione civile per il risarcimento, in luogo del termine biennale stabilito dal cit. art. comma 2, di quello eventualmente più lungo previsto per detto reato, è invocabile da qualunque soggetto che abbia subito un danno patrimoniale dal fatto considerato come reato dalla legge, e non solo dalla persona offesa dallo stesso. Vincolare l'applicabilità di tale più lungo termine prescrizionale alla procedibilità dell'azione penale, e quindi, come nel caso in esame, alla presentazione della querela, significherebbe condizionare il diritto di chi sia stato danneggiato da reato, ma non sia il titolare del diritto di querela, per non essere il titolare del bene giuridico tutelato dalla norma penale, all'iniziativa di quest'ultimo, quanto meno sotto il profilo del termine prescrizionale. Va, invece, rilevato che il trend interpretativo - evolutivo si ispira al diverso principio secondo cui è palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa, far ricadere conseguenze negative a carico di un soggetto per ritardi o omissioni di altri e perciò del tutto estranei alla sfera di disponibilità del primo (cfr. Corte Cost. 26/11/2002, n. 477). 11. Ritengono, quindi, queste Sezioni Unite che il contrasto in esame vada composto alla luce del seguente principio di diritto: "Nel caso in cui l'illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l'eventuale, più lunga prescrizione prevista per il reato, si applica anche all'azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto - reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto, atteso che la chiara lettera dell'art. 2947 c.c., comma 3, a tenore della quale "se il 18 fatto è considerato dalla legge come reato", non consente la differente interpretazione, secondo cui tale maggiore termine sia da porre in relazione con la procedibilità del reato". E' appena il caso di ricordare che in relazione al dies a quo per la decorrenza della prescrizione, sinteticamente indicato nell'art. 2947 c.c., comma 1, nella locuzione "giorno in cui il fatto si è verificato", rimangono validi i principi già fissati da queste S.U. con le sentenze 11.1.2008, n. 576, 580 e 582, ed altre in pari data, con riferimento al momento in cui il soggetto danneggiato abbia avuto ( o avrebbe dovuto avere, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche) sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato. 12. L'accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l'assorbimento del secondo motivo (essendosi verificato l'incidente il 24.4.1994 ed essendo stata notificata la citazione introduttiva il 24.3.1999). 13. Pertanto va accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato assorbito il secondo. Va cassata l'impugnata sentenza, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Torino, che si uniformerà al principio di diritto esposto al punto 11. 19 CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE TERZA. Sentenza 1691 del 23/01/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE - RESPONSABILITÀ CIVILE-BUCA IN CARREGGIATA – Per gli incidenti è responsabile il Comune dei danni cagionati , fatto salvo il caso fortuito; non fa eccezione il fatto che la manutenzione delle strade sia stata appaltata ad imprese diverse secondo la zona, dal momento che questo fatto comporta un maggiore grado di possibilità di sorveglianza e di controllo sui beni del demanio stradale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto notificato il 17.3.98 XXX YYY, premesso che il giorno 16.6.97 circolava in Roma alla guida del proprio ciclomotore e che, giunto all'altezza di via Damiano Chiesa (direzione Balduina), in una curva sinistrorsa il motociclo scivolava sul gasolio presente sul manto stradale, travolgendo esso esponente, che riportava gravi lesioni giudicate guaribili in 40 gg. s.c., conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Comune di Roma per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza di detto sinistro. Si costituiva il Comune di Roma, che in via preliminare chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa l'impresa XXX YYY, appaltatrice dei lavori di manutenzione stradale all'epoca del sinistro ed unica responsabile dell'evento per cui era causa, ed instava che fosse manlevato e/o rimborsato di quanto si dovesse versare a chicchessia per sorte, interessi e spese. Si costituiva anche l'Impresa ZZZ , chiedendo il rigetto della domanda di manleva e di garanzia proposta dal Comune e di quella principale proposta dall'attore. Espletata l'istruzione, l'adito Tribunale rigettava la domanda dell’ XXX YYY: interposto appello da parte di quest'ultimo, si costituivano sia il Comune, che chiedeva il rigetto del gravame e proponeva appello incidentale condizionato per la condanna dell'Impresa ZZZ a manlevarlo e garantire, che quest'ultima impresa, che concludeva per il rigetto di entrambe le domande. Con sentenza depositata il 5.7.04 la Corte di appello di Roma rigettava entrambi gli appelli, e contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l' XXX YYY, con due motivi, mentre sia il Comune di Roma che l'Impresa Verticchio hanno resistito con controricorso, con cui hanno sollevato ricorso incidentale condizionato. Motivi della decisione Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi ex art. 335 cpc. A) Ricorso n. 27669/04 1. Il primo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2051 cc, 14 cds, 1655 e segg. cc, nonché illogica, apodittica ed omessa motivazione su più punti decisivi della controversia, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto - pur avendo riconosciuto come provata la preesistenza di gasolio sparso sulla strada, nonché la circostanza che analoghi spargimenti in passato avevano dato luogo a vari sinistri - che al caso di specie non potesse applicarsi il disposto dell'art. 2051 cc, deve ritenersi fondato. 2. Giustamente, infatti, la ricorrente si duole che in ordine ai danni subiti dall'utente in conseguenza dell'omessa o insufficiente manutenzione delle strade pubbliche la Corte territoriale abbia in modo aprioristico ritenuto che il referente normativo per l'inquadramento della responsabilità della P.A. è costituito, non dall'art. 2051 c.c. (che sancirebbe una presunzione inapplicabile nei confronti della P.A. con riferimento ai beni demaniali quando siano oggetto di un uso generale ed ordinario da parte dei terzi) ma dall'art. 2043 c.c., che impone invece, nell'osservanza della norma primaria del neminem laedere, di far sì che la strada aperta al pubblico transito non integri per l'utente una situazione di pericolo occulto. In realtà, la Corte di merito ha fatto proprio un orientamento giurisprudenziale ormai obsoleto e che non tiene conto dell'evoluzione della giurisprudenza in subiecta materia a partire dalla nota pronuncia n. 156 del 10.5.1999 della Corte costituzionale. La quale ebbe, infatti, ad affermare il principio che alla P.A. non era applicabile la disciplina normativa dettata dall'art. 2051 c.c. solo allorquando “sul bene di sua proprietà non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le modalità di uso, diretto e generale, da parte di terzi - un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza dì cause di pericolo per gli utenti”. Ne deriva che, secondo tale autorevole interprete, il fattore decisivo per l'applicabilità della disciplina ex art. 2051 c.c. debba individuarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l'impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi, considerati meri indici di 20 tale impossibilità, ma all'esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto gli indici suddetti. In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006). Questo procedimento di verifica in merito all'esistenza del potere di controllo e vigilanza, di cui si discute, è stato invece totalmente omesso dalla Corte di merito, che si è trincerata dietro l'inapplicabilità in via di principio dell'art. 2051 c.c. alla manutenzione delle strade da parte della P.A. Alla luce delle considerazioni che precedono va, dunque, affermato il principio che la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall'art. 2051 cc, è applicabile nei confronti dei comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi. Sintomatico, in questo senso, deve considerarsi la circostanza, anch'essa tenuta presente dalla Corte di merito (ma da questa non valorizzata ai fini della riconducibilità della responsabilità del Comune di Roma nell'ambito di cui all'art. 2051 cc), che ha riguardo alla suddivisione in “zone” della manutenzione delle strade del territorio comunale, affidata in appalto a varie imprese, tra cui quella XXX YYY. È indubbio, infatti, che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza gravata, tale “zonizzazione” comporta per il Comune, sul piano meramente fattuale, un maggiore grado di possibilità di sorveglianza e di controllo sui beni del demanio stradale, con conseguente responsabilità del Comune stesso per i danni da essi cagionato, salvo ricorso del caso fortuito. Né può sostenersi che l'affidamento della manutenzione stradale in appalto alle singole imprese sottrarrebbe la sorveglianza ed il controllo, di cui si discute, al Comune, per assegnarli all'impresa appaltatrice, che così risponderebbe direttamente in caso d'inadempimento: infatti, il contratto d'appalto per la manutenzione delle strade di parte del territorio comunale costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell'ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell'art. 14 del vigente Codice della strada, per cui deve ritenersi che l'esistenza di tale contratto di appalto non vale affatto ad escludere la responsabilità del Comune committente nei confronti degli utenti delle singole strade ai sensi dell'art. 2051 cc. 2. Il secondo motivo, con cui viene dedotta la violazione degli artt. 2043 cc e 115 cpc, nonché illogica, apodittica ed omessa motivazione circa un punto decisivo, per non avere la Corte di merito spiegato adeguatamente le ragioni per cui era stata esclusa la sussistenza dì un'insidia o trabocchetto, resta assorbito in conseguenza dell'accoglimento del primo motivo. B) Ricorso n. 1573/05 e ricorso n. 1701/05 Sia il ricorso incidentale condizionato, con cui il Comune di Roma, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso principale, ripropone la questione dell'obbligo dell'Impresa XXX YYY a manlevarlo, stante la sua responsabilità nella produzione dell'evento dannoso, che quello incidentale, sempre condizionato all'accoglimento del ricorso principale, con cui l'Impresa predetta deduce l'insussistenza del diritto del Comune di Roma ad essere garantito e manlevato, con la condanna di chi di dovere alla rifusione in suo favore delle spese di tutti i gradi di giudizio, restano assorbiti a seguito dell'accoglimento del primo motivo del ricorso principale. C) In conclusione, viene accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali condizionati, e conseguentemente la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio della causa dinanzi alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che, oltre che uniformarsi al principio di diritto enunciato al punto 1. della presente sentenza, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio dì cassazione. P.Q.M. Riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali proposti dal Comune di Roma e dall'Impresa Antonio Verticchio, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa dinanzi alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione. 21 AUSILIARI ED ACCERTTORI DELLA SOSTA CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE – Sentenza n. 5621 del 09/03/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA - ART. 7, 12, 157 E 158 DEL CODICE DELLA STRADA - Ausiliari del traffico - Le violazioni in materia di sosta che non riguardino le aree contrassegnate con le strisce blu e/o da segnaletica orizzontale e non comportanti pregiudizio alla funzionalità delle aree distinte come sopra precisato, non possono essere legittimamente rilevate da personale dipendente delle società concessionarie di aree adibite a parcheggio a pagamento SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il Comune di Parma ha proposto ricorso, basato su di un solo motivo, avverso la sentenza del Giudice di pace di Parma del 6.1.2004, con cui era stata accolta l'opposizione proposta da ABC avverso verbale di accertamento della polizia municipale della stessa città, redatto su indicazione degli ausiliari del traffico dipendenti dalla società concessionaria della gestione dei parcheggi a pagamento nulla zona in questione, relativo all'infrazione di cui all'art. 7, 1° e 4° comma, del Codice della strada, per sosta vietata, peraltro nella zona oggetto di concessione di parcheggio a pagamento; resiste con controricorso il ABC ed entrambe le parti hanno presentato memoria. L'opposizione era stata accolta sulla base di un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, la violazione era stata accertata da una operatrice del TEP, concessionaria della gestione dei parcheggi a pagamento nella ZTL di Parma, che non rivestiva ad personam la qualità di ausiliario del traffico e in secondo luogo in quanto l'art. 17, 132° comma, della legge n° 127 del 1997, conferisce al personale dipendente dal concessionario funzioni di accertamento delle violazioni in materia di sosta limitatamente alle aree oggetto della concessione e che dette aree, considerato il disposto dell'art 7, 6° e 7° comma, andavano individuale in quelle evidenziate da righe blu e da corrispondente segnaletica verticale ed in quelle che costituiscono lo spazio minimo ed indispensabile per compiere le manovre necessarie a garantire la concreta fruizione del parcheggio e non sull'intera area oggetto della concessione. Investita di tale questione, la II Sezione civile di questa Corte ha rimesso gli atti al sig. primo Presidente, per l'eventuale rimessione della stessa alle SS. UU., avendo rilevato l'esistenza di un contrasto tra la tesi secondo cui la competenza delegata ai dipendenti dei la concessionaria sono limitate alle violazioni in materia di sosta dei veicoli (artt. 7, 1° comma e 157, 5°, 6° e 8° comma del Codice della strada) commesse nelle aree comunali oggetto di concessione e specificamente destinale al parcheggio previo pagamento di un ticket, potendosi estendere anche alle aree poste a servizio di quelle a pagamento, immediatamente limitrofe esclusivamente se ed in quanto precludano la funzionalità del parcheggio (Cass. Sez. I, nn° 7336 del 7.4.2005, 7979 del 18.4.2005, 8593 del 26.4.2005 e, da ultimo, 18186 del 18.8.2006) e quella secondo cui il potere dell'ausiliario dipendente dal concessionario non sarebbe limitato a rilevare le infrazioni strettamente collegate al parcheggio stesso, ma esteso anche alla prevenzione ed al rilievo di tutte le infrazioni ricollegabili alla sosta nella zona oggetto della concessione, in relazione al fatto che nella suddetta area la sosta deve ritenersi consentita solo negli spazi concessi e previo pagamento del ticket, essendo la concessionaria direttamente interessata, nell'ambito territoriale suddetto, al rispetto dei limiti e dei divieti, per il solo fatto che qualsiasi violazione incide sul suo diritto alla riscossione delle tariffe stabilite (Cass. sez, II, nn° 9287 del 20.4.2006, 20558 del 28.9.2007 e sez. I, n° 4173 del 22.2.2007). Nell'imminenza della discussione di fronte a queste Sezioni unite, il Comune di Parma ha presentato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE Con l'unico, articolato motivo su cui si basa il presente ricorso, il Comune di Parma affronta sia il profilo attinente alla mancata attribuzione ad personam della qualità di ausiliario del traffico, all'operatrice del TEP, concessionaria della gestione dei parcheggi a pagamento nella ZTL di Parma, che aveva rilevata l'infrazione, sia quella della estensione dei poteri esperibili dai dipendenti della società concessionaria nell'ambito delle aree oggetto della concessione. Poiché peraltro sia l'uno che l'altro profilo sono a astrattamente idonei a sorreggere, ciascuno da solo, la decisione impugnata, appare opportuno affrontare la questione su cui sì è formato il denunciato contrasto. Il Comune ricorrente si basa sulla tesi che potrebbe essere definita più ampia, atteso che considera conferito agli ausiliari del traffico il potere dì accertare qualunque violazione in materia di sosta nell'area soggetta a concessione, in ragione del fatto che la concessionaria è direttamente interessata, nell'ambito territoriale suddetto, al rispetto dei limiti e dei divieti vigenti al riguardo, in quanto qualsiasi violazione andrebbe ad incidere sul suo diritto alla riscossione delle tariffe stabilite. Sotto il profilo normativo, va ricordato che la legge 15 maggio 1977, n° 127, art. 17, ha stabilito che i comuni possono, con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione ed accertamento delle violazioni in 22 materia di sosta a dipendenti comunali o delle società di gestione dei parcheggi, limitatamente alle aree oggetto di concessione. La legge 23 dicembre 1999, n° 488, all'art. 68, comma 1, ha successivamente chiarito che la legge n° 127 del 1997, art. 17, commi 132 e 133, si interpretano nel senso che il conferimento delle funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni ivi previste comprende, ai sensi del d. lgs. 30 aprile 1992, n° 285, art. 12, comma 1 lett. e) e successive modificazioni, i poteri di contestazione immediata nonché di redazione e di sottoscrizione del verbale di accertamento con l'efficacia di cui agii artt. 2699 e 2700 del codice civile. Da tanto può desumersi che il legislatore, in presenza ed in funzione di particolari esigenze de! traffico cittadino, tra cui sono da ritenere comprese le problematiche connesse alle aree da riservare a parcheggio a pagamento, ha stabilito, con le norme surrichiamate, che determinate funzioni, obiettivamente pubbliche, possano essere eccezionalmente svolte anche da soggetti privati, i quali abbiano una particolare investitura, da parte della pubblica amministrazione, in relazione al servizio svolto, in considerazione "della progressiva rilevanza dei problemi delle soste e parcheggi" (Corte cost. ord. n° 157 del 2001). Peraltro, l'art. 17, commi 132 e 133, in ragione della rilevanza e del carattere eccezionalmente derogatorio del conferimento di tali funzioni a soggetti che, sebbene siano estranei all'apparato della pubblica amministrazione, e non compresi nel novero di quelli ai quali le suddette funzioni sono ordinariamente attribuiti (art. 12 C.d.s.), vengono con provvedimento sindacale legittimati all'esercizio di compiti di prevenzione ed accertamento di violazioni del Codice della strada sanzionate in via amministrativa, deve ritenersi norma di stretta interpretazione (v. Cass. 7.4.2005, n° 7336). Tale conclusione trova ulteriore conferma nel fatto che il legislatore, conscio di tale natura delle dettate disposizioni, ha avuto cura di puntualizzare che le funzioni esperibili, per i dipendenti delle imprese che gestiscono pubblici parcheggi, riguardano soltanto le violazioni in materia di sosta e limitatamente alle aree oggetto di concessione, poiché la attribuzioni di esse è ritenuta strumentale rispetto allo scopo di garantire la funzionalita dei parcheggi, che concorre a ridurre, se non ad evitare, il problema, sempre più pressante, della circolazione nei centri abitati. Di preminente valore ai fini interpretativi deve essere considerata la disposizione secondo cui, al personale in questione può esser conferita anche la competenza a disporre la rimozione dei veicoli, ma esclusivamente nei casi previsti dall'art. 158, comma 2, lett. b), c) e d) (art. 68, comma 3, cit.), ovvero dovunque venga impedito di accedere ad un altro veicolo regolarmente in sosta, oppure lo spostamento dei veicoli in sosta o in seconda fila. Il legislatore, nel disciplinare tale delicata materia, che estende a soggetti non compresi tra quelli ai quali tali funzioni sono istituzionalmente attribuite, le suddette funzioni, ha pertanto delimitato con rigore il senso di tale attribuzione, precisando come la competenza delegata ai dipendenti della concessionaria siano limitate alle violazioni in materia di sosta dei veicoli commesse nelle aree comunali oggetto di concessione e specificamente destinate al parcheggio, previo pagamento di ticket, potendosi estendere anche alle aree poste a servizio di quelle a pagamento, immediatamente limitrofe, se ed in quanto precludano la funzionalità del parcheggio stesso. La diversa tesi per un verso contrasta e con la natura di norma di stretta interpretazione, da attribuirsi per le ragioni dette all'art. 17, commi 132 e 133, e con il contesto normativo che complessivamente regola la materia e per altro verso si basa su dì un argomento non sufficiente a svilire il senso dell'eccezione quale introdotta, finendo per basarsi su di un profilo di ordine economico, a vantaggio della concessionaria che, pur se sussistente, non giustificherebbe l'estensione dell'applicazione di una norma con connotazioni di eccezionalità. Del resto, gli scarsi apporti dottrinari rinvenibili, pur non in modo esplicito, paiono anch'essi concordare con la tesi ritenuta corretta, mentre è appena il caso dì sottolineare come dalla citata ordinanza della Corte costituzionale non sia possibile trarre alcun elemento di convincimento, in un senso, come nell'altro. Da tanto consegue che può essere enunciato il principio di diritto secondo cui le violazioni in materia di sosta che non riguardino le aree contrassegnate con le strisce blu e/o da segnaletica orizzontale e non comportanti pregiudizio alla funzionalità delle aree distinte come sopra precisato, non possono essere legittimamente rilevate da personale dipendente delle società concessionarie di aree adibite a parcheggio a pagamento, seppure commesse nell'area oggetto di concessione (ma solo limitatamente agli spazi distinti con strisce blu). Poiché tale ratio decidendi, adottata dal giudice di pace di Parma a sostegno della sentenza qui impugnata, con cui ha accolto l'opposizione del ABC è idonea a sostenere da sola la decisione adottata, l'ulteriore questione sollevata in ricorso ed afferente alla sussistenza o meno in capo ali1 operatrice TEP, della nomina ad ausiliario del traffico ad personam, risulta assorbita. Il ricorso deve essere pertanto respinto. In ragione della sussistenza dei rilevato contrasto giurisprudenziale ora soltanto risolto, sussistono valide ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese relative al presente procedimento per cassazione. PQM la Corte respinge il ricorso e compensa le spese. 23 PATENTE A PUNTI E NOTIFICAZIONI CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE SECONDA– SENTENZA N. 3745 DEL 16/02/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE –VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA – ART 186 – Guida in stato di ebbrezza- Nel caso di rifiuto di sottoporsi all’alcool test, è legittimo decurtare venti punti di patente di guida, dieci per la violazione dell’articolo 186/2° e dici per quella del 7° comma, in quanto i due commi tutelano beni giuridici diversi, e tra le due fattispecie punite non si configura in questo caso il concorso apparente tra violazioni ( art 15 cp e art 8 L. 689/1981) Motivi della decisione 1. L'eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dall'Avvocatura dello Stato è infondata atteso che il ricorso risulta notificato sia al Ministero dell'Interno, parte nel giudizio a quo (presso l'Avvocatura Generale), che alla Prefettura di Verona, costituitasi in primo grado in rappresentanza del Ministero (cfr. intestazione della sentenza). 1.a. In ogni caso ogni (eventuale) nullità della notifica del ricorso (non meglio precisata nel controricorso) sarebbe sanata dalla costituzione in giudizio sia del Ministero che della Prefettura di Verona. 2. Quanto al merito, il Collegio osserva che i due motivi di ricorso (entrambi riguardanti l'ingiustizia della doppia decurtazione dei punti) possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro logicamente e funzionalmente connessi. 3. Innanzitutto non sussiste il preteso vizio di motivazione (lamentato nel secondo motivo) avendo il giudice fatto riferimento, per giustificare la propria decisione, al “prontuario allegato al codice della strada” (come si ammette nello stesso ricorso) ed emergendo dal complesso della (sia pure scarna) motivazione, la ratio decidendi in forza della quale il giudice a quo ha ritenuto che, per ciascuna delle diverse violazioni commesse dallo XXX, potesse - e dovesse - essere applicata una decurtazione di dieci punti. 4. La censura di violazione di legge (att. 186, c. 2 e 186, c. 7 nonché 126 C.d.S.), dedotta nel primo motivo, non è, ad avviso del Collegio, fondata per nessuno dei profili che la sorreggono. E precisamente: a) sul significato e la lettera della norma dell'art. 186 commi 2 e C.d.S., in combinato disposto con l'art. 126 stesso codice ed allegata tabella; b) sul confronto con le altre ipotesi previste dalla tabella; c) sulle finalità della norma che prevede la riduzione dei punti; d) sul concorso apparente di norme. 5. Il Collegio ritiene che, per ragioni logiche, occorra innanzitutto rilevare che nella specie non ricorre l'asserita ipotesi del concorso apparente di norme. 5.a. Trattasi di un istituto che, sia pure approfondito soprattutto dalla scienza penalistica, non può non riguardare anche la teoria generale del diritto e, in particolare, la materia della sanzioni amministrative, nella quale determinate condotte tipiche, assunte come illecite, sono sanzionate anziché dalle note pene previste per i delitti e le contravvenzioni, con la imposizione del pagamento di somme cui può conseguire anche l'applicazione di sanzioni accessorie (nel campo penalistico: pene accessorie). 6. Ebbene, secondo le teorie dottrinali più accreditate e la giurisprudenza prevalente, si ha concorso apparente di norme quando più leggi (penali o, comunque, sanzionatorie) regolano la stessa materia (art. 15 c.p.) dovendosi, per “stessa materia”, intendere la “stessa situazione di fatto”, e, più precisamente, quando lo stesso accadimento concreto, inteso come fatto storicamente determinato, possa integrare il contenuto descrittivo di diverse previsioni legislative astratte a carattere sanzionatorio. 7. In forza di ciò non può ritenersi sussistente il concorso apparente di norme nel caso in cui fatti (accadimenti) ipotizzati dalla fattispecie astratta siano diversi nella loro materialità oppure quando la norma che regola un fatto (accadimento) contenga una clausola di riserva (in genere del tipo: “salvo che il fatto non sia preveduto come reato o non costituisca più grave reato - nel nostro caso illecito - da altra disposizione di legge”) o, infine, se la norma che prevede una fattispecie di illecito faccia richiamo, solo quoad poenam (id est: quanto alla sanzione applicabile) ad altra norma prevedente diversa fattispecie. 8. Nel caso che ne occupa, il comma 2 dell'art. 186 del codice dalla strada prevede, come ipotesi astratta soggetta a sanzione, la condotta di colui che guida in stato di ebbrezza, mentre il comma 7 prevede la condotta di colui che, opportunamente invitato a sottoporvisi, rifiuti l'accertamento del tasso alcolemico. Non vi è alcun dubbio che le condotte previste dalle due ipotesi astratte siano diverse nel loro contenuto, sia fattuale che temporale, e che il comma 7, facendo salva l'ipotesi che il fatto costituisca più grave reato, richiami la norma del comma 2 solo quanto alle sanzioni. 24 9. Per quanto concerne, poi, le indicazioni della tabella allegata all'art. 126-bis C.d.S., il Collegio osserva che non è decisivo l'argomento secondo cui nella colonna indicante il punteggio 10 (da decurtare) siano previsti i commi 2 e 7, posto che: a) ciò si verifica anche negli altri casi in cui lo stesso punteggio (da decurtare) è previsto per ipotesi di illeciti diversi (si pensi all'art. 189 che prevede la decurtazione di 10 punti per l'ipotesi di cui al comma 5 secondo periodo, del C.d.S., costituente illecito amministrativo, e l'ipotesi del comma 6, costituente delitto; alla violazione dell'art. 172, che comporta la stessa decurtazione di punti per chi non fa uso delle cinture di sicurezza e per la condotta, indubbiamente diversa, di chi, pur facendone uso, ne altera il funzionamento; all'art. 174 c. 4 e 5; all'art. 191 che prevede l'obbligo per conducenti di fermarsi o arrestarsi in diverse situazioni di fatto). Solo nel caso in cui i punteggi siano diversi, vi è nella tabella l'indicazione di essi sotto diverse colonne a la previsione della (diversa) ipotesi sanzionatola, quando questa sia prevista nello stesso articolo); b) non sarebbe ragionevole applicare (come si pretende nella specie) la stessa decurtazione di punteggio a chi commetta due violazioni entrambi meritevoli di sanzione ed a chi commetta una sola delle violazioni accertate e previste nello stesso articolo. 10. Quanto alle finalità della normativa che ha introdotto la decurtazione dei punti, deve affermarsi il principio esattamente opposto a quello propugnato dal ricorrente secondo il quale si dovrebbe applicare sempre e solo la sanzione (unica) a quei comportamenti che creino pericolo alla circolazione e solo per le condotte che violino le disposizioni sul comportamento alla guida, così che sarebbe “incongruo sanzionare con la riduzione del punteggio il rifiuto di sottoporsi all'esame alcolimetrico, che non crea alcun pericolo per la sicurezza della circolazione e che sarebbe sottoposto a sanzione solo perché considerato dall'ordinamento come implicita ammissione dello stato di ebbrezza”. 10.a. Si tratta di argomenti che certamente non tengono conto del complesso delle norme del codice della strada alla cui violazione consegue la decurtazione del punteggio. Basti pensare alla violazione di obblighi tesi alla protezione del guidatore, come l'uso del casco e delle cinture, o alla fuga dopo un incidente con danni alle persone, che ha lo scopo di consentire l'identificazione del guidatore coinvolto e ne sanziona solo la condotta successiva all'incidente, che nessun pericolo arreca alla sicurezza della circolazione. È proprio quest'ultimo esempio che dimostra come il legislatore ha scelto di punire e comminare la decurtazione dei punti, anche per quelle (sole) condotte che impediscano l'accertamento dei fatti connessi alla (già avvenuta) violazione di una norma di comportamento nella guida, come quella di chi non si fermi dopo un incidente o che impedisca l'accertamento dello stato di ebbrezza alcoolica o sotto l'influenza di sostanze stupefacenti. La diversità dei beni giuridici tutelati dalle due ipotesi di guida in stato di ebbrezza e di rifiuto di sottoporsi all'accertamento conferma ancora una volta la diversità e l'autonomia delle singole ipotesi (nella specie delittuose) e, quindi, della ratio puniendi. 11. In buona sostanza, nel caso di plurime violazioni della legge e di concorso effettivo o reale (non apparente) di norme o di plurime violazioni della stessa norma, vige il principio generale del cumulo materiale (più azioni od omissioni) o formale (una sola azione od omissione) (sanciti, in materia penale dagli artt. 73 commi 1 e 3 e 81 c. 1 c.p.). Il cumulo materiale si esprime nel concetto tot crimina tot poenae e le conseguenze sanzionatorie possono essere attenuate nei soli casi previsti dal legislatore (concorso formale o continuazione). 12. La conferma di tali principi si rinviene, quanto alla materia della sanzioni amministrative in generale, nella legge fondamentale che le regola (art. 8 legge n. 689/81), e, proprio per il caso della decurtazione dei punti dalla patente, dall'art. 126, comma 1-bis del codice della strada che prevede la decurtazione nel massimo di 15 punti quando vengano accertate contemporaneamente più violazioni delle norme di cui a comma 1. Nel caso di specie la violazione di detta norma (art. 126, comma 1 bis C.d.S.) non venne denunziata al giudice di primo grado né lo è stata in questa sede e, in ogni caso, la disposizione non poteva - né può - essere applicata, per l'assorbente ragione che, per entrambe le violazioni accertate (artt. 186 commi 2 e 7 C.d.S.), è prevista la sospensione della patente di guida. 13. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente alle spese, liquidate in Euro 600,00 per onorario, oltre le spese prenotate a debito. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 600,00 per onorario, oltre le spese fisse e quelle prenotate a debito 25 CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE TERZA – ORDINANZA N. 7715 DEL 30/03/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE –VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA –ART – 126 bis– Patente a punti. E’ valido il verbale di accertamento che non contiene indicazione dei punti da sottrarre ex art 126 bis, in quanto costituisce un semplice preavviso della successiva sanzione della decurtazione di punti, che può essere impugnata in altra sede ORDINANZA FATTO E DIRITTO XXX impugna la sentenza n. 68 del Giudice di Pace di Senigallia che aveva respinto l'opposizione avverso il verbale 000135/ 2004 /Q della Polizia municipale del Comune di Senigallia, commessa in data 14 febbraio 2004. L'opponente deduceva che il verbale relativo a tale infrazione era stato già precedentemente notificato il 22 marzo 2004 e che era stato già effettuato il pagamento in data 25 marzo 2004. Il Comune di Senigallia, costituitosi in giudizio, confermava che il verbale in questione era stato notificato il 22 marzo 2004, ma erroneamente non era stata inserita l'indicazione relativa alla decurtazione dei punti della patente per la violazione di cui all'articolo 142 del codice la strada. Per questo tale verbale veniva ristampato con indicazione della deportazione dei punti e notificato in data 7 aprile 2004. Il Comune di Senigallia precisava altresì che risultava effettuato il 25 marzo 2004 il pagamento della sanzione e chiedeva che il ricorso fosse dichiarato inammissibile, perché era stato effettuato il pagamento in misura ridotta. Il Giudice di Pace accoglieva le conclusioni dei Comune di Senigallia e rigettava il ricorso, osservando tra l'altro che l'opponente, pur avendo dichiarato che, ove avesse avuto conoscenza della decurtazione dei punti dalla patente di guida, avrebbe impugnato il relativo verbale e non pagato la sanzione nella misura ridotta, non aveva fornito alcuna indicazione in ordine a motivi e eccezioni che legittimassero tale impugnativa. Parte ricorrente articola cinque motivi di ricorso. Parte intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede. Attivatasi procedura ex art. 375 CPC, il Procuratore Generale con requisitoria scritta nella quale concede con richiesta di trattazione del ricorso in pubblica udienza. Tali conclusioni della Procura Generale non ostano alla pronuncia in camera di consiglio. Infatti, L’inammissibilità della pronuncia in camera di consiglio è ravvisabile solo ove la Corte ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui all'art. 375 c.p.c, primo e secondo comma, oppure emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata. In tali casi la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza. Nel caso in cui, invece, la Corte ritenga, come nella specie, che la decisione, del ricorso presenta aspetti di evidenza compatibili con l'immediata decisione, può pronunciarsi la manifesta infondatezza o la manifesta fondatezza dell'impugnazione, anche ove le conclusioni del pubblico ministero siano, all'opposto, per la trattazione in pubblica udienza (Cass. 2007 n. 23842; Cass. 2007, n. 1255). Parte ricorrente ha depositato memoria. Il ricorso è inammissibile. Infatti, occorre osservare, per quanto attiene alla decurtazione del punteggio dalla patente, che, ai sensi dell'art. 126 bis C.d.5., comma 2, viene applicata dall'autorità centrale preposta all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida all'esito della segnalazione conseguente alla definizione della contestazione relativa all' infrazione che la comporta e sulla base della tabella allegata all'articolo medesimo. Occorre osservare, altresì, che, in adeguamento ai dettami della sentenza della Carte Costituzionale n. 27 del 12 gennaio 2005, dichiarativa ' dell'illegittimità della citata disposizione del codice della strada nella parte in cui imponeva, in caso di mancata identificazione del materiale trasgressore, la segnalazione a carico del proprietario del veicolo che non avesse comunicato in termini i dati dell'effettivo conducente, è intervenuta la nuova normativa di cui della L. 24 novembre 2006, n. 286, artt. 164 e 165, di conversione del D.L. 3 ottobre 2006, n 262, art 44 Sicché il verbale, contenendo non un provvedimento irrogativo della sanzione ma solo un preavviso di quella specifica conseguenza della futura ed eventuale definitività dell'accertamento, non è sotto tale profilo impugnabile per difetto dell'oggetto e, quand'anche, a seguito della reiezione in toto dell'opposizione avverso il verbale in questione e nonostante l'intervenuta sentenza della Corte Costituzionale, fosse stata nella specie inoltrata la segnalazione de qua a carico dell'apparente contravventore, questi può giovarsi del previsto ed appropriato rimedio in via amministrativa della riattribuzione automatica del punteggio da parte dell'ufficio competente in ottemperanza al surrichiamato dettato normativo. Da ciò consegue l'inammissibilità dell'originaria opposizione sul punto per difetto d'un provvedimento impugnabile e, comunque, per difetto d'interesse del ricorrente, sotto gli evidenziati profili, alla pronunzia giurisdizionale, pronunzia che la sussistenza di quell'oggetto dell'impugnazione e di quell'interesse, quali condizioni dell'azione, di necessità presuppone esistente al momento della sua adozione (Cass. 2007 n. 23999). 26 PQM La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Così deciso in Roma, Camera di Consiglio del IO novembre 2008.ttobre 2006, n. 262, art. 44. Roma 30/03/2009 27 CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE SECONDA Sentenza 7666 del 30/ 03/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE – VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA – ART 201– Notificazioni – è legittima la notificazione di un verbale del codice della strada per violazione infrazioni commessa a bordo di veicolo aziendale notificata direttamente alla società e non al suo legale rappresentante Fatto e diritto Il giudice di pace di Milazzo con sentenza del 19 settembre 2005 accoglieva l'opposizione proposta da XXX avverso il Ministero delle Infrastrutture - Capitaneria di Porto di Milazzo, per l'annullamento dell'ordinanza ingiunzione di pagamento n. 922/04, relativa al parcheggio di un veicolo in zona vietata del porto. Respinti gli altri motivi, il giudice di pace rilevava che la nullità derivava dall'aver ingiunto il pagamento "alla società e non alla stessa in persona del suo legale rappresentante", così violando il principio che consente l'irrogazione di sanzioni amministrative solo a una persona fisica, che nel caso in esame doveva essere individuata nel legale rappresentante. Il Ministero delle Infrastrutture e la Capitaneria di Porto di Milazzo, assistiti dall'avvocatura dello Stato, hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 22 settembre 2006, svolgendo due motivi di ricorso. La parte è rimasta intimata. Avviata la trattazione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, il procuratore generale ha chiesto la trattazione in pubblica udienza, ovvero l'accoglimento del ricorso perché manifestamente fondato. Parte ricorrente lamenta violazione dell'art. 6 comma 3 della legge 689/81 e vizi di motivazione, censurando lo svuotamento di significato della disposizione sulla solidarietà nel pagamento delle sanzioni amministrative, perpetralo con il pretendere che destinatario dell'ingiunzione sia necessariamente ed espressamente l'amministratore della società sanzionata. Il ricorso è fondato. La sentenza impugnata ha fatto leva sul principio della natura personale della responsabilità, in base al quale autore dell'illecito amministrativo può' essere soltanto la persona fisica che ha commesso il fatto, per desumerne una conseguenza ulteriore non prevista dalla norma. Ha cioè inferito che sarebbe illegittima la sanzione irrogata alla società proprietaria di un veicolo e che in ogni caso la sanzione rivolta ad una società dovrebbe recare quale destinatario il legale rappresentante della società. L'affermazione è errata. In primo luogo va ribadito che nel sistema sanzionatorio delineato dalla legge 24 novembre 1981, n° 689 l’articolo 6 sancisce il principio della responsabilità solidale della persona giuridica , nell’ipotesi in cui l’illecito amministrativo sia stato commesso da un suo rappresentante o da un suo dipendente, tale responsabilità è di carattere sussidiario e deve ritenersi sussistente ogni qual volta sia stato commesso un illecito amministrativo da persona ricollegabile all’ente, per aver agito nell'esercizio delle sue funzioni o incombenze, a prescindere dall'identificazione dell'autore materiale dell'illecito, trattandosi di requisito che, di per se' solo, non costituisce condizione di legittimità' dell'ordinanza-ingiunzione, a meno che detta mancanza di identificazione non possa tradursi in un difetto di prova sulla responsabilità', o perche' possa dubitarsi della sussistenza stessa dell'illecito, o perche' sia posto in discussione il nesso soggettivo tra la commissione del fatto (certo nella sua verificazione) e le funzioni o incombenze esercitate dal trasgressore (Cass 24573/06). Rimaste incontestate tali evenienze , che avrebbero potuto legittimare , ove collegate e provate , l’esclusione della responsabilità solidale, i provvedimento risulta esente da censure. Va peraltro notato in aggiunta che è ben possibile che l'amministrazione, notifichi due distinti provvedimenti, uno all'autore materiale e l'altro al responsabile solidale, il quale, ai sensi del ricordato art 6 comma 3 della legge 689/81, può essere una persona giuridica, tenuta in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma dovuta e abilitata (comma 4) all'esercizio del regresso. La circostanza che nella specie l'ingiunzione opposta sia stata rivolta alla società, omettendo l'indicazione del nome dell'amministratore, induce a maggior ragione a credere che essa sia stata individuata e raggiunta quale responsabile solidale, non essendo stato evidenziato il ruolo di autore dell’illecito neppure dell’amministratore. Discende da quanto esposto l'accoglimento- del ricorso. Poiché il giudice di pace ha respinto gli altri motivi di opposizione, è possibile la decisione nel merito della controversia, ex art 384 epe, con il rigetto dell'opposizione e la condanna della intimata società alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo. PQM La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l'opposizione proposta da XXX. Condanna l'intimata alla refusione delle spese di lite liquidate in euro 400 per onorari, oltre rimborso delle spese prenotate a debito. Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della seconda sezione civile tenuta il 10 novembre Il Presidente Giovanni Settimj 28 CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE SECONDA Sentenza n° 9847 del 24/04/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE – SANZIONI AMMINISTRATIVE STRADA - ART. 126 BIS il proprietario del veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l'identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione e risponde, nei confronti per le sanzioni e per i danni per i danni, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull'affidamento. FATTO E DIRITTO Il Comune di PARMA impugna la sentenza n. 1797 del 2005 del Giudice di Pace di Parma, con la quale veniva l'accolta l'opposizione proposta dall'odierna parte intimata, T.M. quale legale rappresentante della Ditta XXX e figli, avverso il verbale di accertamento n. 869Z/2005, col quale veniva comminata una sanzione di Euro 357,00, ai sensi dell'art. 180 C.d.S., comma 8, per aver la società omesso senza giustificato motivo di ottemperare all'invito di indicare le generalità del conducente del veicolo di sua proprietà in relazione al quale era stata accertata la violazione di cui all'art. 142 C.d.S.. Ricevuta la contestazione dell'infrazione e la richiesta di indicazione del nominativo del conducente, l'intimato aveva comunicato di non essere in grado di fornire tale indicazione in relazione al numero delle persone autorizzate all'uso del veicolo. Il Giudice di Pace accoglieva l'opposizione, ritenendo giustificata la mancata comunicazione per la difficoltà di individuare il conducente del mezzo al momento dell'accertata infrazione. L'amministrazione ricorrente articola un motivo di ricorso col quale denuncia la violazione dell'art. 126 bis C.d.S., comma 2, e art. 180 C.d.S., comma 8, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3". Parte intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede. Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale, concordando con il parere espresso nella nota di trasmissione, conclude con richiesta di accoglimento del ricorso per la sua manifesta fondatezza. Parte ricorrente ha depositato memoria. Il ricorso è fondato e va accolto. Il giudicante è pervenuto a una decisione errata, considerato che l'obbligo di cui all'art. 126 bis C.d.S. (come modificato dalla sentenza della corte costituzionale n. 27 del 2005), sanzionato dall'art. 180 C.d.S., comma 8, non può essere eluso adducendo, come nel caso di specie, la difficoltà di individuazione del soggetto che ha utilizzato il veicolo. Infatti, occorre tener conto che nell'ambito di un'attività correttamente organizzata, l'uso dei veicoli normalmente risulta dai turni di servizio e che comunque anche in organizzazione di piccole dimensioni spetta al proprietario del veicolo tener nota dell'utilizzo dei veicoli adottando gli opportuni accorgimenti e ciò ai fini di adempiere a quanto richiesto dall'art. 180 C.d.S.. Questa Corte ha già avuto occasione di affermare tale principio e di recente con Cass. 2007 n. 13748, la cui massima ufficiale è la seguente: In tema di violazioni alle norme del codice della strada , con riferimento alla sanzione pecuniaria inflitta per l'illecito amministrativo previsto dal combinato disposto dell'art. 126 bis C.d.S., comma 2, penultimo periodo, e art. 180 C.d.S., comma 8, il proprietario del veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l'identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione, onde dell'eventuale incapacità d'identificare detti soggetti necessariamente risponde, nei confronti delle une per le sanzioni e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull'affidamento in guisa da essere in grado di adempiere al dovere di comunicare l'identità del conducente. Peraltro, la sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2005 - che pure ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 126 bis C.d.S., comma 2, nella parte in cui era comminata la riduzione dei punti della patente a carico del proprietario del veicolo che non fosse stato anche responsabile dell'infrazione stradale - ha affermato, con asserzione che in quanto interpretativa e confermativa della validità di norma vigente, trova applicazione anche ai fatti vendicatisi precedentemente e regolati dalla norma stessa, che "nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui all'art. 180 C.d.S., comma 8" e che "in tal modo viene anche fugato il dubbio in ordine ad una ingiustificata disparità di trattamento 29 realizzata tra i proprietari di veicoli, discriminati a seconda della loro natura di persone giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste ultime, in base alla circostanza meramente accidentale che le stesse siano munite o meno di patente". (Nella specie, il giudice di pace aveva rigettato l'opposizione al verbale di accertamento, per violazione dell'art. 180 C.d.S., comma 8, proposta da una società in a.s., secondo cui le era stato impossibile identificare il conducente a causa dei numerosi automezzi di sua proprietà affidati a vari dipendenti e dell'insussistenza dell'obbligo di registrare ciascun affidamento; la S.C., poichè non era stata fornita idonea ragione per esimersi da responsabilità, ha rigettato il ricorso per erronea interpretazione della norma suddetta in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2005). Il ricorso va accolto e il provvedimento impugnato cassato. Sussistendone i presupposti, ai sensi dell'art. 384 c.p.c. questa Corte può pronunciare sul merito, rigettando l'opposizione originariamente proposta. P.Q.M. LA CORTE accoglie ricorso, cassa senza rinvio il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, rigetta l'opposizione originariamente proposta dall'intimato. Condanna la parte intimata alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 400,00 Euro per onorari e 100,00 per spese, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 gennaio 2009. Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2009 30 CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE SECONDA – Sentenza n. 9852 del 24/04/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE – SANZIONI AMMINISTRATIVE STRADA - ART. 126 BIS gli eventuali “giustificati motivi” esimenti l’obbligo di comunicare i dati del conducente di un veicolo possono rilevare, solo quando si dimostri di avere fatto tutto quanto dovuto, per tenersi informato delle generalità e dei dati della patente dei conducenti degli autoveicoli di sua proprietà, ed ma non in presenza di un organizzazione complessa con un elevato numero dei dipendenti dispositivo. Premesso che con la sentenza indicata in epigrafe il Giudice di pace di Rimini ha respinto l'opposizione proposta dalla XXX avverso verbale di contestazione di violazione dell'art. 126 bis codice della strada, elevato il 23 marzo e notificatole il 30 marzo 2004 dalla Polizia Municipale di Rimini per omissione della comunicazione, richiesta dalla Polizia, delle generalità e dei dati della patente di guida del conducente di un autoveicolo di proprietà della cooperativa, con il quale era stata commessa violazione dell'art. 142, comma 9, del medesimo codice contestata l'8 novembre 2003; che l’opponente ha quindi proposto ricorso per cassazione per cinque motivi, cui ha resistito l'intimato Comune di Rimini con controricorso, illustrato anche da memoria. Considerato che con i primi tre motivi di ricorso - da trattare congiuntamente attesa la loro connessione - si lamenta, denunciando sia violazione di norme di diritto sia vizi di motivazione, che il Giudice di pace non abbia tenuto in alcun conto le giustificazioni della mancata comunicazione delle generalità e dei dati della patente del conducente addotte dall'opponente, la quale aveva tempestivamente risposto alla richiesta della Polizia Municipale facendo presente di non essere a conoscenza di quanto richiestole, per il lungo tempo trascorso e perché quasi tutti i suoi dipendenti potevano utilizzare gli autoveicoli aziendali; che manifestamente la censura non può trovare accoglimento, in quanto, pur avendo il Giudice di pace errato nel trascurare del tutto le giustificazioni addotte dall'opponente, tuttavia la sua decisione è conforme a diritto, ancorché necessiti di correzione ai sensi dell'art. 384, secondo comma, c.p.c. (come, del resto, già ritenuto da questa Corte nella sentenza n. 13748 del 2007 relativa a fattispecie analoga); che, infatti, l'art. 126 bis, comma 2, c.d.s. (nel testo qui applicabile ratione temporis, risultante dalle modifiche introdotte con d.l. 27 giugno 2003, n. 151, conv., con modif., dalla l. 1° agosto 2003, n. 214) pone a carico dei proprietari di autoveicoli un dovere di tenersi informati delle generalità e dei dati della patente di guida dei conducenti dei medesimi: dovere implicito in quello di comunicazione agli organi di polizia stradale e la cui violazione, con la conseguente violazione del dovere di comunicazione, comporta l'applicazione della sanzione pecuniaria di cui all'art. 180, comma 8, c.d.s.; che gli eventuali “giustificati motivi” della violazione di tale dovere possono rilevare, se non ai sensi dell'art, 180, comma 8, cit. (che espressamente fa salva l'esistenza di un “giustificato motivo” di inottemperanza all'obbligo ivi contemplato), richiamato dall'art. 126 bis, comma 2, cit., solo nella parte sanzionatoria e non anche nella parte precettiva (ma si veda, per completezza, l'art. 2, comma 164, lett. b), d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, conv., con modif., dalla l. 24 novembre 2006, n. 286 - qui dunque non applicabile ratione temporis - che ha introdotto anche nel richiamato secondo comma dell'art. 126 bis c.d.s. la salvezza del “giustificato e documentato motivo” di inottemperanza all'obbligo di comunicazione), certamente ai sensi del principio generale di colpevolezza di cui all'art. 3 l. 24 novembre 1981, n. 689; che dunque è sempre consentito al preteso trasgressore dell'art. 126 bis, secondo comma, c.d.s. dimostrare di non essere in colpa avendo fatto tutto quanto dovuto, secondo l'ordinaria diligenza, per tenersi informato delle generalità e dei dati della patente dei conducenti degli autoveicoli di sua proprietà, sì da essere in condizione di comunicarli, all'occorrenza, agli organi di polizia (e ciò, conformando la previsione normativa di cui si discute al richiamato principio generale del sistema sanzionatorio amministrativo, manifestamente consente di superare i dubbi, cui si fa cenno in ricorso, di violazione dei principi costituzionali, di cui agli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost.); che però la giustificazione addotta nella specie dall'opponente - cioè l'esserle stato, in definitiva, impossibile comunicare le informazioni richieste per il gran tempo trascorso e per la complessità dell'organizzazione aziendale - è manifestamente insufficiente e inadeguata, perché né il trascorrere del tempo (non lungo, peraltro, nella specie), né la complessità dell'organizzazione o l'elevato numero dei dipendenti sono, di per sé, ostativi alla 31 diligente registrazione - ai fini della successiva, eventuale comunicazione - dei conducenti degli autoveicoli; che il quarto motivo di ricorso, con cui si denuncia violazione dell'art. 23, sesto comma, l. n. 689/1981, sui poteri istruttori del giudice di pace, e dell'art. 112 c.p.c., è inammissibile essendo le censure formulate in termini del tutto generici; che del pari inammissibile per genericità delle censure è il quinto motivo, con cui si denuncia violazione dell'art. 23, comma dodicesimo, l. n. 689/1981 osservando che il giudice avrebbe dovuto accogliere l'opposizione in difetto di sufficienti prove di responsabilità; che il ricorso va, in conclusione, respinto, con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in euro 500,00, di cui 400,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge. 32 LE OPPOSIZIONI CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE SECONDA Ordinanza 28147 del 25/11/2008. CIRCOLAZIONE STRADALE –VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA – ART 203 Cds e 24 bis L 689/1981 – Opposizione a sanzioni amministrative - La pronuncia di inammissibilità dell’ opposizione con ordinanza ( ex art 23 comma 1°L 689/1981) ) non puo’ essere desunta neppure dalla dichiarazione sfavorevole dell’opponente ed è puo’ fondarsi solo su elementi documentali FATTO E DIRITTO Il giudice di pace di Biella con ordinanza 16/23 luglio 2007 dichiarava inammissibile, perché tardiva, l'opposizione proposta dall'odierno ricorrente avverso il verbale di contestazione notificatogli il 7 aprile 2007, relativo a violazione del codice della strada rilevata dalla polizia Municipale del Comune di Gaglianico. L'opponente ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 14 novembre 2007. Il Comune è rimasto intimato. Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, ritenendo sussistente la manifesta infondatezza del ricorso. È stata depositata memoria. Giova premettere che il ricorso risulta ammissibile perché avverso l'ordinanza di cui all'art. 23/1 l. 689/81 è ancora esperibile il ricorso diretto per cassazione e non l'appello,. in quanto la riforma introdotta dal d.lgs n. 40 del 2006, che ha generalizzato lo strumento dell'appello avverso le sentenze rese dal giudice di pace, non ha modificato il primo comma dell'art. 23. Il giudice di pace ha ritenuto che l'atto di opposizione fosse tardivo perché presentato il 4 giugno 2007 a fronte di notifica del verbale avvenuta il 2 aprile 2007. Parte ricorrente ha dedotto che quest'ultima data non è stata oggetto di puntuale accertamento mediante l'esame dell'avviso di ricevimento della notifica del verbale di contestazione della violazione, non avendo il giudicante convocato le parti e acquisito la relativa documentazione, in possesso dell'ente notificante. Ha chiarito di non essere stata in grado di produrre la busta verde contenente il plico notificatole, andata smarrita, e di essere entrata nel coacervo di migliaia di analoghe contestazioni notificate in quei giorni ad altrettanti automobilisti dal Comune di Gaglianico. Ha aggiunto di avere erroneamente indicato in opposizione che la notifica era avvenuta il 2 aprile e di avere in seguito verificato, grazie all'acquisizione dagli uffici postali di “copia della situazione di spedizione”, che la data esatta era invece il 7 aprile. Dopo aver ripercorso la giurisprudenza di legittimità in ordine agli obblighi di verifica della data di effettiva notifica della contestazione, ha formulato rituale quesito di diritto ex art. 366 bis cpc. Rivedendo l'orientamento manifestato ex art 380 bis cpc, questo collegio ritiene che il ricorso sia fondato. Occorre dare seguito al principio, già altre volte espresso da questa Corte, secondo il quale “in tema di opposizione a sanzione amministrativa, grava sull'opponente l'onere della prova di aver tempestivamente proposto l'opposizione, sicché al fine di consentire il controllo in ordine a tale tempestività, egli è tenuto, ai sensi dell'art. 22 della legge n. 689 del 1981, ad allegare copia dell'atto opposto a lui notificato; la mancata allegazione della relata di notifica del provvedimento opposto non costituisce, tuttavia, di per sé, prova della non tempestività dell'opposizione, tale da giustificare, per l'effetto, una dichiarazione di inammissibilità del ricorso con ordinanza pronunciata “in limine litis”, ai sensi dell'art. 23, comma primo, della legge 24 novembre 1981 n. 689, perché tale provvedimento postula, pur sempre, l'esistenza di una prova certa e inconfutabile della intempestività della detta opposizione, e non una mera difficoltà di accertamento delle tempestività. Ne consegue che, soltanto ove in prosieguo di giudizio, a causa della mancata acquisizione della copia dell'ordinanza notificata, permanga e diventi definitiva l'impossibilità di controllo (anche di ufficio) della tempestività dell'opposizione, il ricorso andrà dichiarato, con sentenza, inammissibile”. Nel caso in esame l'affermazione (che viene dichiarata erronea) circa la data di ricevimento, pur avendo probabilmente contribuito a indurre il giudice di pace ad emettere l'ordinanza, non valeva ad attribuire certezza circa la intempestività dell'opposizione, che non era documentalmente riscontrabile, in assenza della busta recante il timbro con la data di consegna o altre utili annotazioni. Sul giudice di pace gravava invece l'onere di convocare le parti e verificare se il termine per l'opposizione era stato rispettato, con riferimento alla data di effettiva consegna dell'atto opposto, desumibile dalla relata di notifica sulla copia dell'ordinanza notificata o dall'avviso di ricevimento, che l'amministrazione era tenuta a produrre. A tale principio è ispirata la sentenza delle Sezioni Unite numero 1006 del 2002 che così reca: la legge limita la pronuncia di inammissibilità con ordinanza al solo caso in cui si accerti positivamente in limine litis che il ricorso sia stato proposto oltre il termine stabilito. Tale accertamento positivo sulla scorta di elementi documentali non era possibile nella specie e non poteva essere sostituito da un elemento indiziario quale la dichiarazione a sé sfavorevole proveniente dal difensore della parte. Doveva infatti essere prima ricercata la certezza documentale, facilmente acquisibile esaminando la relata di notifica in possesso dell'amministrazione. Va quindi data positiva risposta al quesito del ricorrente, che assume l'illegittimità dell'ordinanza resa ex art 23 comma 1 l. 689/81 senza avere preventivamente valutato l'avviso di ricevimento del verbale di contestazione notificato alla parte sanzionata. 33 Discende da quanto esposto l'accoglimento del ricorso. La ordinanza va cassata e la cognizione rimessa ad altro giudice di pace di Biella per lo svolgimento dell'opposizione e la liquidazione delle spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la ordinanza impugnata e rinvia ad altro giudice di pace di Biella, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. 34 CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE SECONDA Sentenza n. 27935 del 24/11/2008. CIRCOLAZIONE STRADALE –VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA – ART 204 bis – Opposizione a sanzioni amministrative davanti al giudice di pace - sospensione dei termini per il periodo feriale- si applica anche al procedimento di cui all’articolo 204 bis. FATTO E DIRITTO F.G., titolare della ditta F. E. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice di Pace di Racconigi dep. il 29 dicembre 2005 che aveva dichiarato inammissibile, perchè tardiva, l'opposizione del medesimo proposta con ricorso presentato il 20-9-2005 avverso il verbale di contravvenzione per violazione del codice della strada notificatogli i 16-6 2005. Il Giudice di Pace, nel dichiarare inammissibile l'opposizione per inosservanza del termine stabilito per impugnare in verbale, riteneva che al riguardo non trovava applicazione la sospensione feriale dei termini processuali. Non ha svolto attività difensiva l'intimato. Attivatasi procedura ex art. 375 cod. proc. civ. il Procuratore Generale ha inviato richiesta scritta di accoglimento del ricorso per manifesta fondatezza. Il ricorso è manifestamente fondato. Va accolto il motivo con cui si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 204 bis C.d.S., della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 nonchè della L. n. 742 del 1969, art. 3. Il Giudice di Pace ha erroneamente ritenuto spirato inutilmente il termine di giorni sessanta stabilito per l'impugnazione del verbale di contravvenzione notificato il 16-6-2005 proposta con l'opposizione presentata il 20-92005, sul rilievo che non trovasse applicazione la L. n. 742 del 1969, art. 1 attesa la natura sostanziale e non processuale dei termini di cui agli artt. 203 e 204 C.d.S.. Il procedimento di opposizione a sanzioni amministrative, disciplinato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 22 e 23 non rientra tra quelli per i quali la L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3 dispone l'inapplicabilità della sospensione dei termini nel periodo feriale (v. tra le altre Cass. n. 2/2005; 13127/2004): pertanto, dovendo considerarsi sospeso durante il periodo feriale (1 agosto - 15 settembre) - il termine di impugnazione del verbale, che ha evidentemente natura processuale e non sostanziale, come erroneamente ritenuto dal giudicante, la proposta opposizione era stata tempestiva. La sentenza va cassata, con rinvio, anche per le spese della presente fase, al Giudice di Pace di Racconigi in persona di altro magistrato. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia,anche per le spese della presente fase, al Giudice di Pace di Racconigi in persona di altro magistrato. 35 ACCERTAMENTO DEI LIMITI DI VELOCITA’ CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE SECONDA Sentenza 29334 del 15/12/2008 CIRCOLAZIONE STRADALE –VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA – ART 142 – AUTOVELOX : non necessita di taratura periodica, ma di decreto di omologazione riferito al singolo modello e non esemplare. Il giudice di pace non può sindacare il collocamento discrezionale dell’apparecchiatura ma fare rilevare solo eventuali vizi di procedura nell’individuazione della località dove la strumentazione è effettuata. Fatto e diritto Il Comune di Corigliano Calabro impugna per cassazione la sentenza 1.6.05 n. 344 con la quale il G.d.P. in loco, su ricorso in opposizione proposto da XXX , ha annullato il verbale di contestazione n. 1678/V redatto il 24.2.04 dalla polizia municipale a carico dell'opponente per violazione dell'art. 142/IX CdS. La decisione impugnata fa parte d'una serie di sentenze con le quali il G.d.P. ha annullato numerosi verbali d'accertamento per violazione del limite di velocità, redatti dalla polizia municipale di Corigliano Calabro nei confronti d'una pluralità di trasgressori, per ritenuta illegittimità dell'omessa contestazione immediata dell'infrazione, accertata a mezzo d'apparecchiatura automatica, e per illegittima utilizzazione dell'apparecchiatura stessa, sulla base delle seguenti principali considerazioni: 1 - che dell'utilizzazione d'apparecchiature elettroniche di rilevamento delle infrazioni non fosse stata data idonea informazione all'utenza; 2 - che il decreto prefettizio di classificazione del tratto di strada in discussione tra quelli nei quali l'utilizzazione d'apparecchiature elettroniche di rilevamento esonera dalla contestazione immediata fosse da ritenere carente d'elementi motivazionali e privo d'una congrua istruttoria eppertanto da disapplicare; 3 - che l'apparecchiatura utilizzata per la rilevazione fosse obsoleta, incompatibile con la normativa introdotta successivamente alla sua omologazione ed inidonea per mancata taratura periodica. Il ricorrente, con i due principali motivi di ricorso - oltre un terzo sulle spese - denunzia: A - Sotto distinti ed autonomi profili: Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto: Violazione degli artt. 200 e 201 (in particolare comma 1 bis, lett. e) del Codice della Strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285) e dell'artt. 384 e 385 del regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice della Strada (d.p.r. 16 dicembre 1992, n. 495). In subordine: Violazione degli artt. 200 e 201 (in particolare comma 1 bis, lett. f) del Codice della Strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285). Violazione dell'art. 4, d.l. 20 giugno 2002, n. 121, convertito con modificazioni con la l. 1 agosto 2002, n. 168. Violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge 20 marzo 186, n. 2248, all. E e dei principi di diritto in tema di disapplicazione. Violazione del Decreto del Prefetto di Cosenza 8.9.2003, n. 46. Violazione del diritto di difesa e delle norme processuali a tutela del predetto diritto costituzionale. (art. 360 n. 3 c.p.c.) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. B - Sotto distinti ed autonomi profili: Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto: Violazione degli artt. 142 e 201 del Codice della Strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285) e dell'art. 345 del regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice della Strada (d.p.r. 16 dicembre 1992, n. 495). Violazione dell'art. 4, d.l. 20 giugno 2002, n. 121, convertito con modificazioni con la l. 1 agosto 2002, n. 168. Violazione dei decreti del Ministero dei Lavori Pubblici nn. 2961 del 27 novembre 1989 e 3480 del 19 settembre 1996. Violazione del Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 29 ottobre 1997. (art. 360 n. 3 c.p.c.) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Il ricorrente ha anche suffragato con memorie le proprie tesi. Attivatasi procedura ex art. 375 CPC, il Procuratore Generale, pur concordando con le ragioni per le quali in sede d'esame preliminare era stata ravvisata la ricorrenza delle condizioni per la trattazione del ricorso con il procedimento ex art. 375 c.p.c., ha, tuttavia, chiesto ed ottenuto la trattazione in pubblica udienza, quivi ribadendo la richiesta di sospensione e di trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale “per verificare ... la compatibilità con gli artt. 3, 24, 97 e 111, 2° Cost.: A. della disciplina applicabile alla fattispecie (artt. 45, 6° C.d.S. - cui fa rinvio anche l'art. 4, 3° co., del D.L. n. 121 del 2002, quale risultante dalle modifiche ed aggiunte introdotte dalla L. n. 168 del 2002 - 142, 6° C.d.S., 192 reg. C.d.S. e 345 reg. C.d.S.); B. della disciplina generale sulle misurazioni (R.D. n. 7088 del 1890 e relativo regolamento approvato con R.D. n. 242 del 1909, e successive integrazione e modificazione, compresa soprattutto la L. n. 273 del 1991), in quanto non applicabile ai misuratori della velocità previsti dalla specifica disciplina testé ricordata”. La questione richiede trattazione preliminare. 36 Pretermesse le considerazioni di carattere metagiuridico, è sollevata nei termini che seguono. In relazione all'art. 3 della Costituzione, sostiene il P.G. l'irragionevolezza della contestata normativa sulla considerazione che “il metro e la bilancia usati nel mercatino (nel supermercato o all'aeroporto) siano sottoposti a rigorosi indipendenti controlli (preventivi e periodici), da cui restano esenti invece gli strumenti misuratori destinati a rilevare la velocità degli autoveicoli, e quindi usati come prova delle corrispondenti violazioni amministrative: se nel primo caso viene in considerazione la sicurezza e l'affidabilità dei traffici giuridici, e perciò del mercato, in rapporto alle sanzioni (che, comportando comunque trasferimenti di ricchezza, si giustificano soltanto se correttamente applicate) viene in rilievo l'affidamento dei cittadini nella “giustizia”, tecnicamente verificata e verificabile, dell'attività e dell'autorità amministrativa (nel suo delicato aspetto sanzionatorio), che è un valore immanente nella Costituzione e nell'ordinamento giudico”. In relazione agli artt. 24 e 111, 2°, Cost., il P.G. prospetta una lesione del diritto di difesa del cittadino sulla considerazione che questi “sanzionato in forza dei risultati degli strumenti in questione non è in grado poi di confutarli efficacemente allorché gli sia contestata la violazione e gli sia applicata la sanzione, senza neppure potere fare affidamento sui controlli preventivi previsti dall'ordinamento per altre situazioni che pure coinvolgono attività di misurazione (quantitativa); come dire che allo stato la sicurezza degli scambi economici sembra tecnicamente più garantita (in sede preprocessuale e processuale) della credibilità del potere sanzionatorio della Pubblica Amministrazione”. In relazione all'art. 97 Cost., il P.G. ravvisa una situazione lesiva del buon andamento e dell'imparzialità della P.A. in quanto “alla maggiore capacità tecnologica ed incisività dell'accertamento delle infrazioni deve in principio corrispondere anche la sicurezza del riscontro probatorio, perché l'operazione economico-giuridica insita nell'applicazione della sanzione sarebbe alla resa dei conti decisamente in perdita se, per sanzionare (come pure è incontestatamente necessario) l'eccesso di velocità e salvaguardare la vita umana, l'ordinamento fosse costretto ad abiurare alle più elementari garanzie di civiltà probatoria e giuridica, disponendosi a tollerare a priori la possibilità di iniquità o anche di mera superficialità sanzionatorie”. Le riportate argomentazioni, che possono essere congiuntamente trattate in un coordinato sviluppo della loro disamina, e con le quali sembra volersi riproporre, allegando un tertium comparationis ritenuto pertinente, la medesima questione già disattesa, in relazione al D.M. 28.3.2002 n. 182, dalla Corte Costituzionale con la sentenza 13.7.07 n. 277, risultano manifestamente infondate. È, infatti, anzi tutto da escludere che nella complessa normativa con la quale il legislatore ha disciplinato l'utilizzazione degli strumenti di misurazione destinati all'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità nella circolazione stradale possa ravvisarsi una violazione del principio d'eguaglianza, posto dall'art. 3 della Costituzione, in relazione alla normativa con la quale ha diversamente disciplinato l'utilizzazione degli strumenti destinati a misurazioni relative ad altre attività; così come in quest'ultima disciplina non può essere fondatamente ravvisato il medesimo vizio per non esservi contemplata e regolamentata anche l'utilizzazione dei detti strumenti misuratori della velocità. Le fattispecie costituenti i termini di comparazione da porsi a base d'una valutazione intesa ad accertare un'eventuale disparità di trattamento normativo dell'una rispetto all'altra che si rappresenti lesiva del principio costituzionale d'uguaglianza - per non trovare la discrezionalità del legislatore nell'adozione di discipline difformi o comunque non univoche giustificazione se non nella sufficiente loro differenziazione - debbono, in vero, risultare o identiche o, quanto meno, analoghe nelle finalità delle norme e/o delle discipline a confronto nelle quali sono ricomprese, nei rapporti regolati, negli oggetti delle singole prescrizioni. Nessuna delle quali caratteristiche si riscontra, per converso, ove si proceda alla comparazione che ne occupa, id est con riferimento alla L. 11.8.1991 n. 273. La disciplina legale delle misurazioni - a partire dal T.U. delle leggi sui pesi e le misure approvato con R.D. 23.8.1890 n. 7088, cui fece seguito il regolamento sul servizio metrico approvato con R.D. 31.1.1909 n. 242, entrambi successivamente più volte aggiornati ed integrati, in particolare dalla L 13.12.1928 n. 2886 sulla definizione delle unità legali di peso e di misura - ha sempre avuto quale specifica finalità quella di regolare rapporti di carattere essenzialmente privatistico inerenti l'industria, l'agricoltura, il commercio ed, indirettamente, il pubblico interesse alla certezza nelle transazioni commerciali in genere e già allora, laddove si rese necessaria la regolamentazione di materie particolari implicanti interessi od esigenze difformi o non suscettibili d'essere ricondotti alla disciplina generale, il legislatore intervenne con normative ad hoc in deroga, od in aggiunta, a quella generale (cfr. ad ex. L. 7.7.1910 n. 480 sul carato metrico, la L. 5.2.34 n. 305 sul titolo dei metalli preziosi, il D.Lgs. 21.3.48 n. 370 sulle unità fotometriche ed elettriche). Le medesime finalità risultano perseguite dalla normativa comunitaria di base (cfr. il preambolo alla Direttiva 80/181/CEE del Consiglio in data 20.12.1979 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative alle unità di misura laddove, tra l'altro, si considera “... che le legislazioni degli Stati Membri che prescrivono l'impiego di unità di misura differiscono da uno Stato Membro all'altro e pertanto ostacolano le transazioni commerciali; che, di conseguenza, per eliminare detti ostacoli è necessario armonizzare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative; ... che in data 18 ottobre 1971 il Consiglio ha adottato la Direttiva 71/354/CEE intesa ad armonizzare le legislazioni degli Stati Membri al fine di eliminare gli ostacoli negli scambi mediante approvazione a livello comunitario del sistema internazionale delle unità; ... che, durante il periodo transitorio, è indispensabile mantenere una 37 situazione chiara in materia di impiego di unità di misura negli scambi tra gli Stati Membri, in particolare allo scopo di proteggere il consumatore; ...”; ed ancora il preambolo della Direttiva 1999/103/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio in data 24.1.2000, laddove, tra l'altro, si considera “... che taluni paesi terzi non accettano nei propri mercati i prodotti le cui indicazioni sono apposte unicamente nelle unità legali stabilite dalla Direttiva 80/181/CEE; le imprese che esportano i loro prodotti in tali paesi si troverebbero in una situazione di svantaggio qualora si vietasse l'apposizione di indicazioni supplementari ...”); alla quale sono seguiti adattamenti, anche in funzione di singole materie e dell'entrata in vigore, pur sempre rimanendo nel medesimo ambito d'interessi, ma sono state anche aggiunte disposizioni intese a disciplinare settori in origine non presi in considerazione ed implicanti interessi diversi e specifici (quale quello sanitario di cui alla Direttiva 85/1/CEE del Consiglio in data 18.12.1984). È da notare che la più recente delle Direttive in materia, la 2004/22/CE del 31 marzo 2004, elenca specificamente, all'art. 1, gli strumenti nella stessa specificamente considerati, tra i quali non sono ricompresi i misuratori di velocità, onde, ad oggi, non essendo state emanate Direttive comunitarie in materia, il controllo CEE non può ancora essere attuato su tali dispositivi che, in tutti i Paesi Membri, vengono allo stato approvati e disciplinati secondo le rispettive normative nazionali (unica eccezione è data dalla disciplina dei cronotachigrafi, soggetti allo specifico regolamento CEE n. 3821/85 del 20.12.1985, come modificato dal Regolamento CE n. 2135/98 del 24.11.1998 e dal Regolamento CE n. 561/06 del 15.3.06, ai quali l'ordinamento italiano è stato adeguato con D.M. 10.8.2007 del Ministero dello Sviluppo Economico, normative che riflettono anch'esse, significativamente, esigenze riferite più all'aspetto socio-commerciale delle finalità perseguite nel settore dei trasporti su strada che non a quello attinente alla viabilità ed ai connessi problemi di sicurezza). In buona sostanza, non esistono, allo stato, norme comunitarie vincolanti in materia di misurazione della velocità dei veicoli e di pertinenti apparecchiature. Al qual riguardo devesi considerare che, contrariamente a quanto a volte sostenuto dalle parti interessate e da alcuni giudici del merito, non è vincolante la normativa UNI EN 30012 (Sistema di Conferma Metrologica di Apparecchi per Misurazioni) che, in assenza di leggi o regolamenti di recepimento, rappresenta unicamente un insieme di regole di buona tecnica, impropriamente definite “norme”, alle quali, in assenza di obblighi giuridici, i costruttori decidono autonomamente di conformarsi; così come non è direttamente applicabile la raccomandazione OIML R91 del 1990 (“Apparecchiature Radar per la Misura della Velocità dei Veicoli”), peraltro non attinente al caso di specie in quanto relativa alle apparecchiature radar. Il legislatore italiano, nell'adeguarsi alla surrichiamata normativa europea sul riavvicinamento delle singole legislazioni in materia di unità di misura, con la legge delega 9.2.82 n. 42, il DPR 12.8.82 n. 802, la L. 11.8.91 n. 273, il Decreto del Ministero delle Attività Produttive 10.12.2001 (nella cui intestazione è significativamente indicato “materia: commercio”), ha adeguato l'ordinamento interno a quello comunitario perseguendo le medesime finalità. Le quali, all'evidenza, sono del tutto diverse da quelle perseguite con il porre la disciplina dell'utilizzazione delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto, le cui norme sono intese alla tutela dei diversi interessi, pubblico e privato, alla sicurezza della circolazione, in funzione dell'ordine pubblico, della preservazione dell'integrità fisica degli individui, della conservazione dei beni. Le rilevate difformità nei fini e negli oggetti delle discipline prese in considerazione impediscono d'istituire un corretto raffronto tra le due discipline stesse onde desumerne una disparità di trattamento rilevante ai fini della conformità all'art. 3 della Costituzione. Così come la specialità della materia giustifica l'esercizio da parte del legislatore del potere discrezionale di contemperamento d'opposti interessi nel dettare la peculiare disciplina del rilevamento della velocità dei veicoli, anche in vista dell'accertamento delle violazioni alle disposizioni con le quali sono stati posti determinati limiti alla velocità stessa in ragione di luoghi, tempi, condizioni del traffico, caratteristiche dei veicoli e qualità dei conducenti. La vigente formulazione del C.d.S., al sesto comma dell'art. 45, prevede che “Nel regolamento sono precisati i segnali, i dispositivi, le apparecchiature e gli altri mezzi tecnici di controllo e regolazione del traffico, nonché quelli atti all'accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni alle norme di circolazione, ed i materiali che, per la loro fabbricazione e diffusione, sono soggetti all'approvazione od omologazione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previo accertamento delle caratteristiche geometriche, fotometriche, funzionali, di idoneità e di quanto altro necessario. Nello stesso regolamento sono precisate altresì le modalità di omologazione e di approvazione”, ed ai commi 6 e 6 bis (questo aggiunto dall'art. 3 del D.L. 3.8.07 n. 117) dell'art. 142 prevede, rispettivamente, che “Per la determinazione dell'osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, anche per il calcolo della velocità media di percorrenza su tratti determinati, nonché le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento” e che “Le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all'impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi, conformemente alle norme stabilite nel regolamento di esecuzione del presente codice. Le modalità di impiego sono stabilite con decreto del Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'interno”, disposizione attuata con D.M. 15.8.07. La vigente formulazione delle disposizioni regolamentari alle quali le norme surriportate fanno rinvio prevedono tra l'altro, all'art. 192, che onde ottenere l'omologazione o l'approvazione di mezzi tecnici per l'accertamento e il 38 rilevamento automatico delle violazioni alle norme di circolazione, di competenza del Ministero dei lavori pubblici, l'interessato deve presentare domanda corredata da una relazione tecnica sull'oggetto della richiesta, da certificazioni di enti riconosciuti o laboratori autorizzati su prove alle quali l'elemento è stato già sottoposto, nonché da ogni altro elemento di prova idoneo a dimostrare l'utilità e l'efficienza dell'oggetto di cui si chiede l'omologazione o l'approvazione e presentare almeno due prototipi dello stesso: che l'Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale del Ministero dei lavori pubblici accerta, anche mediante prove, e avvalendosi, quando ritenuto necessario, del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, la rispondenza e la efficacia dell'oggetto di cui si richiede l'omologazione alle prescrizioni stabilite dal presente regolamento, e ne omologa il prototipo quando gli accertamenti abbiano dato esito favorevole; che l'interessato è tenuto a fornire le ulteriori notizie e certificazioni che possono essere richieste nel corso dell'istruttoria amministrativa di omologazione ed a consentire a che uno dei prototipi resti depositato; che su ogni elemento conforme al prototipo omologato o approvato deve essere riportato il numero e la data del decreto ministeriale di omologazione o di approvazione ed il nome del fabbricante; che il fabbricante assume la responsabilità del prodotto commercializzato sulla conformità al prototipo depositato e si impegna a far effettuare i controlli di conformità che sono disposti dall'Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale. A sua volta, l'art. 345 prevede, in particolare, che le apparecchiature destinate a controllare l'osservanza dei limiti di velocità devono essere costruite in modo da raggiungere detto scopo fissando la velocità del veicolo in un dato momento in modo chiaro ed accertabile; che le singole apparecchiature devono essere approvate dal Ministero dei lavori pubblici; che, qualunque sia l'apparecchiatura utilizzata, al valore rilevato sia applicata una riduzione pari al 5%, con un minimo di 5 km/h, compresa anche la tolleranza strumentale; che non possono essere impiegate, per l'accertamento dell'osservanza dei limiti di velocità, apparecchiature con tolleranza strumentale superiore al 5%; che dette apparecchiature devono essere gestite direttamente dagli organi di polizia stradale cui all'articolo 12 del codice, e devono essere nella disponibilità degli stessi. La materia dell'impiego e della manutenzione dei misuratoci di velocità ha, poi, una propria disciplina, specifica rispetto alle norme che regolamentano gli altri apparecchi di misura, contenuta nel D.M. 29.10.97, relativo all'approvazione dei prototipi delle apparecchiature per l'accertamento dell'osservanza dei limiti di velocità e alle loro modalità di impiego, il cui art. 4 stabilisce che “gli organi di polizia stradale interessati all'uso delle apparecchiature per l'accertamento dell'osservanza dei limiti di velocità sono tenuti a ... rispettare le modalità di installazione e di impiego previste nei manuali d'uso”, escludendo, perciò, la necessità di un controllo periodico finalizzato alla taratura dello strumento di misura se non è espressamente richiesto dal costruttore nel manuale d'uso depositato presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al momento della richiesta di approvazione, ovvero nel decreto stesso di approvazione. Si noti che - rimanendo, peraltro, al di fuori del caso in esame, relativo ad apparecchiatura direttamente gestita dagli agenti - alcuni tipi d'apparecchi di più recente approvazione in quanto da utilizzarsi in modalità automatica, cioè senza la presenza ed il diretto controllo dell'operatore di polizia stradale nelle ipotesi espressamente previste e consentite, devono essere sottoposti ad una verifica periodica tendente a valutare la corretta funzionalità dei meccanismi di rilevazione che, secondo le disposizioni del richiamato art. 4 del D.M. 29.10.97, deve essere effettuata a cura del costruttore dell'apparecchio o di un'officina da questo abilitata con cadenza al massimo annuale. Ne risulta, dunque, un complesso sistema di controlli - preventivi, in corso d'utilizzazione e successivi - tale da garantire il cittadino assoggettato all'accertamento da quelle disfunzioni delle apparecchiature che, ove insuscettibili di verifica, potrebbero determinare quelle lesioni al diritto di difesa del cittadino stesso ed alla legittimità dell'azione amministrativa che il P.G. paventa nella sua requisitoria. I controlli preventivi si svolgono, come da riportata disciplina, in fase d'omologazione od approvazione del prototipo e, considerata la partecipazione al procedimento d'organi tecnici e d'istituti specializzati, non sembra possano sollevarsi dubbi al riguardo. Si svolgono altresì, in fase d'utilizzazione del singolo apparecchio, da parte degli agenti operatori all'atto della sua predisposizione per le operazioni di rilevamento, in ossequio alle disposizioni impartite con D.M. 29.10.77, relativo all'approvazione di prototipi di apparecchiature per l'accertamento dell'osservanza dei limiti di velocità e alle loro modalità di impiego, il cui art. 4 stabilisce che “gli organi di polizia stradale interessati all'uso delle apparecchiature per l'accertamento dell'osservanza dei limiti di velocità sono tenuti a ... rispettare le modalità di installazione e di impiego previste nei manuali d'uso”. Si noti che dalla questione in esame, attinente alla taratura in corso d'uso e/o alla revisione periodica delle singole apparecchiature prodotte in conformità al prototipo, esulano i dubbi, alle volte sollevati, in ordine alla detta conformità, poiché l'eventuale difetto di essa attiene al momento della produzione quale vizio genetico e non a quello dell'utilizzazione quale vizio funzionale. In proposito, va considerato che, in ogni caso, la produzione in difformità dal prototipo omologato non solo è sanzionata dal sesto comma dell'art. 192 del Regolamento, ma è suscettibile di verifica sia in sede amministrativa, mediante l'ispezione prevista dal successivo ottavo comma della medesima norma, sia in sede d'eventuale controversia giudiziaria, mediante consulenza tecnica sulla conformità dell'apparecchio, con il quale è stato effettuato il rilevamento, al prototipo rimasto depositato presso il Ministero. Il medesimo tipo d'accertamento è esperibile anche ove si deduca, in sede d'opposizione, non il vizio d'origine ma il 39 vizio funzionale dell'apparecchio utilizzato per il rilevamento della violazione, questo identificabile sulla base delle indicazioni relative ad esso ed alla sua installazione contenute nel verbale d'accertamento, come prescritto dalle istruzioni ministeriali, ed occorrendo mediante l'accesso agli atti e l'actio ad exhibendum garantiti al cittadino dalle norme di cui al capo V della L. 7.8.90 n. 241 e succ. mod., in tal guisa potendosi effettuare un controllo successivo idoneo a garantire il diritto di difesa, che non rimane, pertanto, leso dall'applicazione del complesso normativo in esame, così come non ne restano inficiati i principi dell'affidabilità e della trasparenza dell'attività amministrativa. Principi che trovano rispettosa applicazione anche in corso d'utilizzazione delle apparecchiature de quibus, dacché la funzionalità loro è costantemente sotto il controllo degli agenti operatori, in quanto munite di programmi d'autodiagnosi capaci di segnalare in tempo reale tanto i malfunzionamenti dello strumento, quanto gli errori umani nella sua manovra, quanto ancora le eventuali interferenze da cause estranee capaci di falsare il rilevamento, di guisa che gli agenti stessi sono in grado di sospenderne l'utilizzazione. D'altro canto, la costante giurisprudenza di questa Corte, laddove ha escluso che la mancanza di taratura e/o di controllo periodici delle apparecchiature de quibus, in quanto non previsti dalla sopra esaminata normativa che ne disciplina l'immissione sul mercato e l'utilizzazione, non costituisce causa d'illegittimità degli accertamenti effettuati per loro mezzo, ha sempre contestualmente affermato l'onere, eppertanto il diritto, dell'opponente d'allegare e dimostrare il malfunzionamento, per ciascuna delle cause pure sopra indicate, dell'apparecchiatura utilizzata nel singolo caso, ed, infatti, non sono mancate pronunzie nelle quali tale dimostrazione è stata ritenuta adeguatamente fornita, con consequenziale cassazione della sentenza impugnata e pronunzia ex art. 384 c.p.c. d'annullamento del verbale di contestazione, ed altre nelle quali la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio per non essere stati ammessi in sede di merito i mezzi istruttori richiesti al fine di fornirla. Mentre non è stato considerato utile esercizio del diritto di difesa l'apodittica contestazione della legittimità dell'accertamento fondata su considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse all'idoneità della mancanza di revisione o manutenzione periodica dell'attrezzatura a pregiudicarne l'efficacia. In definitiva, non si ravvisano ragioni per ritenere che la mancata previsione di controlli periodici della funzionalità delle apparecchiature in questione nella disciplina dell'accertamento delle violazioni ai limiti di velocità comporti vizi di legittimità costituzionale della pertinente normativa in relazione agli artt. 3, 24 e 97 della Carta fondamentale. Può, dunque, procedersi all'esame del ricorso, rilevando come tutte le questioni poste nei numerosi giudizi analoghi siano già state risolte da questa Corte con motivazioni che il Collegio ritiene di condividere, di seguito testualmente riportando una delle più complete, quella di Cass. 19.11.07 n. 23999. “1 - Il GdP afferma l'illegittimità dell'accertamento della violazione all'imposto limite di velocità in quanto ritiene che dell'installazione dell'apparecchiatura di rilevamento automatico non fosse stata data idonea informazione agli utenti, essendo “fatto notorio” che “nelle sedi stradali ove è stata accertata la violazione a mezzo d'apparecchiatura automatica sono presenti due soli segnali informativi connotati da una totale assenza di riferimento al Decreto Prefettizio e pertanto fuori da ogni prototipo di pannello a messaggio variabile” ed inoltre “gli stessi, ancorché collocati in sedi poco visibili, si rendono di difficile percezione ed ingenerano confusione con la segnaletica stradale ivi presente”. Tale affermazione è inficiata da più errori. Come da consolidato insegnamento di questa Corte, l'utilizzazione del fatto notorio, comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio e dando luogo a prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso rigoroso, id est come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile; di guisa che non possono essere annoverate tra le nozioni di comune conoscenza, intesa quale esperienza dell'individuo medio in un dato tempo ed in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implichino cognizioni particolari od anche solo la pratica di determinate situazioni, come, nel caso, le caratteristiche ed il posizionamento dei cartelli; tanto meno può, poi, soccorrere la scienza individuale del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non è annoverabile nella categoria del notorio, neppur quando la cognizione gli derivi dall'avvenuta disamina d'analoghe controversie (Cass. 8.8.02 n. 11946, 12.9.03 n. 13426, 7.3.05 n. 4862). Quanto alla collocazione ed alla visibilità del cartello, sull'esistenza del quale non v'era contestazione, incombeva alla parte opponente, a fronte della presunzione di legittimità dell'attività amministrativa, dimostrare l'eventuale difetto di conformità dello stesso alle prescrizioni degli artt. 79 ed 80 del Reg.to CdS, dimostrazione che dall'impugnata sentenza non risulta fosse stata fornita ed alla quale, per quanto sopra evidenziato, non poteva sostituirsi la generica personale opinione del giudice. Quanto alla mancanza di riferimenti al decreto prefettizio sul cartello, nessuna norma impone tale indicazione, mentre l'art. 77 dello stesso Reg.to CdS impone che sia indicato sul retro del segnale l'ente o l'amministrazione proprietaria della strada, il marchio della ditta che ha fabbricato il segnale, l'anno di fabbricazione e il numero dell'autorizzazione concessa dal Ministero alla ditta stessa, nonché - ma per i soli segnali di prescrizione, e non è il caso in esame - gli estremi dell'ordinanza di apposizione - che, nel caso, sarebbe stata quella d'apposizione adottata dal sindaco e non il presupposto decreto di classificazione adottato dal prefetto. Persino per i segnali di prescrizione, peraltro, si è evidenziato che la mancata indicazione, sul retro del segnale verticale, degli estremi dell'ordinanza di apposizione - indicazione imposta dall'art. 77, comma 7, del regolamento di esecuzione del codice della strada - non determina l'illegittimità del segnale, e non esime l'utente della strada dall'obbligo di rispettarne la prescrizione, non trattandosi di una difformità rispetto alla previsione 40 normativa tale da rendere il cartello inidoneo a svolgere la funzione propria del segnale stradale, che è quella di rendere nota all'utente della strada la norma di condotta da osservare (Cass. 22.2.06 n. 3962, 20.3.06 n. 7125, 13.4.06 n. 8660). 2 - Con la normativa introdotta nel 2002 (DLgs. n. 9, DL n. 121, L. n. 168) il legislatore ha inteso regolare ex novo, onde colmare le lacune ordinamentali che avevano determinato difformi modalità attuative e dubbi di costituzionalità, la materia del rilevamento delle violazioni mediante apparecchiature elettroniche in determinate situazioni. A tal fine, giusta quanto è desumibile dall'inequivoco tenore letterale dell'art. 4 del DL 20.6.02 n. 121, come modificato dalla L. di conversione 1.8.02 n. 168, si è stabilito che: a - i dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni alle norme di comportamento di cui agli artt. 142 e 148 CdS (limiti di velocità e sorpasso) possono essere utilizzati od installati sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali di cui all'art. 2, comma 2, lettere A e B, del CdS; b - gli stessi dispositivi possono essere utilizzati od installati sulle strade extraurbane secondarie e sulle strade urbane di scorrimento di cui alla medesima norma, lettere C e D, ovvero su singoli tratti di esse, ove specificamente individuati, con apposito decreto prefettizio, in ragione del tasso d'incidentalità, delle condizioni strutturali, plano-altimetriche e di traffico per le quali non è possibile il fermo di un veicolo senza recare pregiudizio alla sicurezza della circolazione, alla fluidità del traffico o all'incolumità degli agenti operanti e dei soggetti controllati; c - dell'utilizzazione od installazione dei detti dispositivi deve essere data informazione agli automobilisti; d - la violazione deve essere documentata con sistemi fotografici, di ripresa video o con analoghi dispositivi idonei ad accertare il fatto costituente illecito ed i dati d'immatricolazione del veicolo ovvero il responsabile della circolazione; e - l'utilizzazione di dispositivi che consentano il rilevamento automatico della violazione senza la presenza o il diretto intervento degli agenti preposti è subordinata all'approvazione od omologazione dei dispositivi stessi ai sensi dell'art. 45/VI CdS; f - in caso d'utilizzazione dei dispositivi in questione secondo quanto stabilito nei precedenti punti, non sussiste l'obbligo di contestazione immediata di cui all'art. 200 CdS. Ne deriva che il disposto del primo comma, integrato con quello del secondo comma della norma in esame - che indica, per le strade extraurbane secondarie e per le strade urbane di scorrimento, i criteri d'individuazione delle situazioni nelle quali il fermo del veicolo, al fine della contestazione immediata, può costituire motivo d'intralcio per la circolazione o di pericolo per le persone, situazioni ritenute sussistenti a priori per le autostrade e per le strade extraurbane principali -, evidenzia come il legislatore abbia inteso regolare l'utilizzazione dei dispositivi de quibus, tra l'altro, anche in funzione del quarto comma, con il quale si esclude tout court l'obbligo della contestazione immediata. È, inoltre, da rilevare come l'indicazione, nel verbale di contestazione notificato, d'una delle ragioni che rendono ammissibile, ex lege, la contestazione differita dell'infrazione, come il riferimento al decreto prefettizio adottato nel caso sub b), non è una mera motivazione di stile, ma il richiamo d'una specifica disposizione normativa che rende ipso facto legittimo il verbale e la conseguente irrogazione della sanzione, senza che, in proposito, sussista alcun margine d'apprezzamento da parte del giudice (Cass. 17.3.05 n. 5861, 8.8.03 n. 11971, 15.11.01 n. 14313). Al riguardo, l'intimata eccepisce, in relazione agli artt. 3, 24 e 111 della Carta fondamentale, l'incostituzionalità della norma in esame per violazione del diritto di difesa, in quanto esperibile in caso di contestazione immediata ma non in caso di contestazione differita, non essendo stabilita dal legislatore ma rimessa ad un organo amministrativo l'individuazione delle situazioni nelle quali lo stesso possa o meno essere esercitato e risultando un trattamento difforme degli utenti in relazione alle caratteristiche del tratto di strada percorso. L'eccezione è manifestamente infondata. Il legislatore ha predeterminato tutti i criteri ai quali gli organi chiamati a concorrere nel procedimento complesso d'individuazione delle strade o tratti di esse di cui alla norma in esame, rimettendo ai detti organi unici in grado d'effettuare le necessarie valutazioni in sede locale, tecniche, sulla base della diretta cognizione delle condizioni delle strade e del traffico nel territorio, e di merito, sulla base della valutazione ponderata delle varie esigenze della popolazione ed in particolare degli utenti - la sola concreta applicazione, alle singole situazioni, mediante decreti attuativi delle compiute direttive impartite con la norma stessa; di tal che non può obiettivamente ritenersi esercitato dai detti organi amministrativi un potere normativo, se pur secondario, in materia riservata al legislatore. Il quale, nello stabilire i detti criteri, ha operato una scelta discrezionale e non irragionevole, essendo ogni determinazione adottata in tema di limiti alla velocità dei mezzi in circolazione sulle pubbliche strade nonché di strumenti idonei a prevenire e reprimere le inerenti violazioni normativamente finalizzata alla difesa del bene primario della vita delle persone che utilizzano le strade stesse o che alla tutela di tale primario interesse sono funzionalmente preposte, secondo scelte insindacabili espresse all'esito di complesse valutazioni tecniche, politiche, nonché di opportunità generale. Né tale scelta legislativa presta il fianco a dubbi di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 24 della Carta fondamentale, avuto riguardo all'obiettiva diversità delle condizioni di fatto nelle quali è commessa l'infrazione - quelle, appunto, in ragione delle quali il legislatore ha ritenuto doversi evitare le situazioni di pericolo e/o d'intralcio determinate dal fermo dei veicoli al fine della contestazione rispetto a quelle nelle quali situazioni siffatte non sono riscontrabili - e tenuto conto che il diritto di difesa del preteso trasgressore è, in ogni caso, pienamente tutelato dall'obbligatorietà della contestazione dell'infrazione, ancorché non necessariamente immediata, e dalla possibilità per 41 lo stesso d'esperire contro il provvedimento sanzionatorio i rimedi previsti dalla legge in sede amministrativa e giurisdizionale. Ciò posto, devesi rilevare che il GdP, nel caso in esame, accoglie l'opposizione ritenendo di poter disapplicare il provvedimento prefettizio d'inclusione del tratto di strada in questione tra quelli nei quali è consentito il rilevamento delle infrazioni ai limiti di velocità a mezzo d'apparecchiature automatiche senza la contestazione immediata con una motivazione che giova riportare testualmente: “Nella fattispecie peculiare, dalla visione delle fotografie è possibile rilevare una incongruente classificazione del tratto di strada quale sede preposta per l'accertamento a distanza delle violazioni, rispetto a quella definita nel Decreto Prefettizio in esame. ... Va preliminarmente chiarito che la classificazione dei tratti di strada individuati e statuiti nel Decreto Prefettizio n. 46/2003, alla luce di una più approfondita indagine di questo Giudicante, è risultata oltremodo carente di elementi motivazionali e priva di una congrua istruttoria. È ampiamente notorio che lo spazio stradale della SS 106, quanto meno dal Km. 359+00 al Km 362+00, nonché il tratto dal Km 353+00 al Km 356+200, si presenta ad unica carreggiata con una sola corsia per senso di marcia, senza banchina e con la presenza di marciapiedi pavimentati. Questo Giudicante, alla luce di quanto sopra esposto, ritiene di pervenire a diversa conclusione rispetto alla tipologia stradale assegnata ai tratti oggetto del Decreto Prefettizio e, trovando applicazione nel caso di specie l'istituto della disapplicazione dell'atto ex art. 5 della legge 2248 del 1865, all. E, in quanto lo stesso esplicando la sua operatività in forma dell'incidenter tantum è stato rilasciato senza completa istruttoria ed utilizzando formule assolutamente generiche ed apodittiche, determina l'esclusione dei tratti stradali dal Km 359+00 al Km 362+00, nonché il tratto dal Km 353+00 al Km 356+200, dalle tipologie C e D dell'art. 2 del Codice della Strada e conseguentemente priva di ogni effetto, con statuizione limitata al presente giudizio, il provvedimento amministrativo n. 46/2003 emesso dal Prefetto di Cosenza in data 08.09.2003”. Nel decidere in tal senso, il GdP - pur volendosi prescindere dal rilievo, già in precedenza effettuato, dell'irrilevanza delle sue personali cognizioni ed opinioni, poste a base anche del capo di decisione in esame - ha, comunque, evidentemente travalicato i limiti del potere di disapplicazione attribuito al giudice ordinario dall'art. 5 della L. 20.3.1865 n. 2248, All. E. In materia di sanzioni amministrative, la competenza giurisdizionale a pronunciare sull'opposizione ex art. 22 della legge n. 689 del 1981 spetta, in via generale, al giudice ordinario, perché l'opponente, contestando la ricorrenza dei presupposti per l'applicazione d'una sanzione amministrativa punitiva, fa valere il proprio diritto a non essere sottoposto ad una prestazione patrimoniale non conforme alla legge e chiede l'accertamento della conformità della sanzione ai casi, alle forme ed all'entità dalla legge stessa previsti, invocando, quindi, il rispetto del principio di legalità di cui all'art. 1 della legge n. 689 del 1981, cioè una situazione giuridica avente consistenza di diritto soggettivo (e pluribus, Cass. SS.UU. 2.12.05 n. 26224, 4.2.05 n. 2205, 28.1.03 n. 1240, 27.5.99 n. 314, cfr. anche Corte Costo 4.3.70 n. 32). Nell'ambito del giudizio d'opposizione promosso avverso ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria per illeciti amministrativi - e, nel caso d'infrazioni in materia di circolazione stradale, anche avverso il verbale d'accertamento e contestazione ex art. 204-bis CdS - deve riconoscersi al giudice ordinario il potere di sindacare incidentalmente il provvedimento amministrativo che costituisce il presupposto di quello sanzionatorio, quello cioè integrativo della norma la cui violazione è stata posta a fondamento della sanzione, ove la valutazione della legittimità del primo debba aver luogo solo in via incidentale, id est quando non assuma rilievo quale causa della lesione del diritto del privato, ma quale mero antecedente, onde la questione della sua legittimità venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale (Cass. 25.1.06 n. 1373 SS.UU., 27.3.03 n. 4538, 22.2.02 n. 2588). Ciò anche in presenza di una norma di legge che abiliti una pubblica Amministrazione a porre in essere un atto generale, a seguito ed alla stregua del quale vengano poi emessi i singoli atti applicativi, la posizione del privato assumendo la consistenza del diritto soggettivo, tutelabile davanti all'autorità giudiziaria ordinaria, ove si faccia valere la lesione di detta posizione per effetto dell'adozione del singolo atto applicativo del provvedimento generale, il quale, eventualmente, potrà essere disapplicato incidenter tantum dal giudice ordinario, sul presupposto della sua non conformità alla norma regolante la specifica materia (Cass. 24.4.02 n. 6035 SS.UU., 16.6.00 n. 455 SS.UU.). Tuttavia, al fine della disapplicazione, in via incidentale, dell'atto o del provvedimento amministrativo, il giudice ordinario può sindacare tutti i possibili vizi di legittimità - incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere - estendendo il proprio controllo alla rispondenza delle finalità perseguite dall'Amministrazione con quelle indicate dalla legge, ma non ha il potere di sostituire l'Amministrazione stessa negli accertamenti e valutazioni di merito, quali sono quelli inerenti alla scelta in concreto degli strumenti adeguati per assicurare gli interessi generali contemplati dalla legge o nella valutazione delle situazioni di fatto in funzione dell'applicabilità o meno delle misure previste dalla legge, che sono d'esclusiva competenza degli organi ai quali è attribuito il potere di perseguire in concreto le finalità di pubblico interesse normativamente determinate, operando un sindacato di merito di tipo sostitutivo del giudizio espresso dall'Amministrazione (Cass. 25.1.06 n. 1373 SS.UU, 2.8.05 n. 16143, 14.1.02 n. 332). Nella fattispecie regolata dall'art. 4 del DL 20.6.02 n. 121 come convertito con modificazioni dalla L. 1.8.02 n. 168, è rimessa al prefetto, previa consultazione degli organi di polizia stradale competenti per territorio e su conforme parere dell'ente proprietario, l'individuazione delle strade (o di singoli tratti di esse), diverse dalla autostrade o dalle strade extraurbane principali, nelle quali non è possibile il fermo di un veicolo, ai fini della contestazione immediata 42 delle infrazioni, senza recare pregiudizio alla sicurezza della circolazione, alla fluidità del traffico od all'incolumità degli agenti operanti o dei soggetti controllati, e ciò sulla base della valutazione del tasso d'incidentalità nonché delle condizioni strutturali, plano-altimetriche e di traffico. È del tutto evidente come nella formazione del provvedimento in questione converga una pluralità di valutazioni, effettuate da parte degli organi ed uffici indicati (anche con efficacia vincolante: parere conforme dell'ente proprietario), di natura non solo strettamente tecnica, ma anche ampiamente discrezionale, in quanto formulate sulla base d'apprezzamenti ponderati sia delle situazioni di fatto, sia delle molteplici esigenze da prendersi in considerazione al fine di regolare il traffico sulla strada considerata, o tratto di essa, nell'ambito della gestione complessiva della circolazione stradale sul territorio. Tali valutazioni, che costituiscono le condizioni dell'esercizio del potere prefettizio di classificazione della strada ai fini dell'applicazione della norma in esame, in quanto attinenti al merito dell'attività amministrativa, non sono suscettibili di sindacato da parte dell'autorità giudiziaria, ordinaria od amministrativa che sia, il cui potere di valutazione, ai fini della disapplicazione per l'una e dell'annullamento per l'altra, è limitato all'accertamento dei soli vizi di legittimità dell'atto. Nell'ambito dei vizi di tal natura, il GdP sembra aver riscontrato quello d'eccesso di potere sotto il profilo sintomatico del difetto di motivazione, ma anche tale ragione della pronunzia è illegittima ed errata. In tema di provvedimenti amministrativi, la motivazione per relationem è, infatti, da ritenere ammissibile sulla base della più generale previsione di cui all'art 3, comma terzo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, la quale stabilisce che, se le “ragioni” dei provvedimenti amministrativi risultano da altro atto dell'amministrazione, richiamato nel procedimento, quest'ultima, insieme alla comunicazione del provvedimento, deve indicare e rendere disponibile anche l'atto richiamato (Cass. 27.6.02 n. 9363), e costituendo, comunque, tale tipo di motivazione una modalità d'esposizione delle ragioni del provvedimento amministrativo, in linea di principio, senz'altro corretta e legittima, oltre che conforme al principio di speditezza dell'azione amministrativa, laddove l'autore del provvedimento ritenga di far proprio, ribadendolo, il giudizio o l'accertamento posto in essere nel corso del procedimento amministrativo (Cass. 16.1.07 n. 871). 3 - Il GdP ha errato anche nell'annullare il provvedimento sanzionatorio sulla ritenuta inattendibilità dell'accertamento della violazione in quanto effettuato con apparecchiatura considerata obsoleta, incompatibile con la normativa introdotta successivamente alla sua omologazione ed inidonea per mancata taratura periodica. Anche a non considerare la genericità della motivazione, le ragioni svolte nell'impugnata sentenza non trovano supporto nella normativa vigente, nessuna disposizione avendo adottato il legislatore che commini la decadenza delle omologazioni rilasciate alle apparecchiature in utilizzo, e risultando difformi dalla giurisprudenza formatasi sulla materia in sede di legittimità. In particolare, si è ritenuto che: - la necessità di omologazione dell'apparecchiatura di rilevazione automatica, ai fini della validità del relativo accertamento, va riferita al singolo modello e non al singolo esemplare, come si desume, sul piano logico e letterale, dall'art. 345, secondo comma, del DPR 16 dicembre 1992, n. 495, così come modificato dall'art. 197 del DPR 16 settembre 1996, n. 610, secondo cui non ciascun esemplare ma “le singole apparecchiature” devono essere approvate dal Ministero dei lavori pubblici (Cass. 5.7.06 n. 15324, 24.3.04 n. 5889); - per le stesse ragioni già svolte sub 2 -, l'errore tecnico, imputato al Ministero dei Lavori Pubblici nell'esercizio del potere di classificazione degli apparecchi elettronici di rilevazione della velocità può essere fatto valere dall'interessato solo per il tramite di un vizio di legittimità dell'atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere), ma non domandando al giudice, eventualmente anche a mezzo di consulente tecnico, un sindacato di merito di tipo sostitutivo del giudizio espresso dalla P.A. (Cass. 2.8.05 n. 16143); - il termine di validità dell'omologazione da parte dei competenti organi ministeriali attiene non ad un arco di tempo durante il quale l'apparecchiatura può essere validamente utilizzata ed oltre il quale tale utilizzazione non è più legittima - dacché tale operatività, una volta omologato il modello, dipende soltanto dalla permanente funzionalità della singola apparecchiatura - ma ad un arco di tempo durante il quale le apparecchiature di quel modello possono continuare ad essere commercializzate dal costruttore; ciò che si evince chiaramente sia dall'art. 3 del D.M. 30.11.98 n. 6025, sia dall'art. 2 del D.M. 20.3.00 n. 1824, sia dalle premesse dei detti decreti, nelle quali risulta come la determinazione ministeriale sia adottata sulla richiesta del produttore onde autorizzare la commercializzazione del prodotto in quanto riscontrato conforme agli standard normativamente richiesti; pertanto, la scadenza del termine d'omologazione del modello d'apparecchiatura incide soltanto sulla possibilità per il costruttore di continuare a vendere le apparecchiature di quel modello e non sull'ulteriore utilizzabilità, oltre la scadenza di quel termine, delle apparecchiature già esistenti da parte degli organi operativi che ne siano dotati; diversamente opinando, si perverrebbe all'assurda conseguenza per cui un'apparecchiatura acquistata in prossimità della scadenza dell'omologazione diverrebbe inutilizzabile a far data da tale scadenza pur se perfettamente funzionante ed idonea allo scopo in ragione degli accertamenti in base ai quali era stata concessa l'omologazione del modello (Cass. 26.4.07 n. 9950); - nel caso di violazione dei limiti di velocità rilevata attraverso apparecchiature “autovelox”, la mancata contestazione immediata della violazione, qualora l'organo accertatore abbia dato atto a verbale dei motivi che hanno reso impossibile procedere alla stessa e tali motivi configurino una delle ipotesi previste dall'art. 384, lett. e), del regolamento di esecuzione del codice della strada, non è consentito al giudice un apprezzamento al riguardo, con l'indicazione di apparecchi più adeguati (o con la prospettazione di una diversa organizzazione del servizio), risolvendosi una tale valutazione in una inammissibile ingerenza nel modus operandi della pubblica 43 amministrazione, in linea di principio non sindacabile dal giudice ordinario (Cass. 7.11.03 n. 16713, 2.8.05 n. 16143); - in tema di rilevazione dell'inosservanza dei limiti di velocità dei veicoli a mezzo di apparecchiature elettroniche, né il codice della strada (art. 142, comma sesto) né il relativo regolamento di esecuzione (art. 345 d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495) prevedono che il verbale di accertamento dell'infrazione debba contenere, a pena di nullità, l'attestazione che la funzionalità del singolo apparecchio impiegato sia stata sottoposta a controllo preventivo e costante durante l'uso, giacché, al contrario, l'efficacia probatoria di qualsiasi strumento di rilevazione elettronica della velocità dei veicoli perdura sino a quando non risultino accertati, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall'opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionalità dello strumento stesso, o situazioni comunque ostative al suo regolare funzionamento, senza che possa farsi leva, in senso contrario, su considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse all'idoneità della mancanza di revisione o manutenzione periodica dell'attrezzatura a pregiudicarne l'efficacia ex art. 142 CdS (Cass. 5.7.06 n. 15324, 16.5.05 n. 10212, 20.4.05 n. 8233, 10.1.05 n. 287, 22.6.01 n. 8515, 5.6.99 n. 5542); - in ordine all'applicabilità o meno della L. 273/91, istitutiva del sistema nazionale di taratura, alle apparecchiature elettroniche di controllo della velocità, devesi rilevare come la stessa attenga a materia diversa, quella metrologica, rispetto a quella della misurazione elettronica della velocità, in ogni caso adeguatamente verificata in sede d'omologazione, ed attribuisca funzioni ad autorità amministrative diverse, rispetto a quelle pertinenti al caso di specie, onde non ricorrono i presupposti a che anche le dette apparecchiature vengano assoggettate ai controlli nella legge stessa previsti”. Poiché, dunque, nel decidere delle questioni sottoposte al suo esame, il giudice a quo è incorso nelle violazioni e negli errori rilevati, la sentenza in esame va annullata, peraltro senza rinvio, potendo questa Corte, ex art. 384 CPC, decidere del merito allo stato degli atti e respingere l'originaria opposizione. Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, mentre per il giudizio di merito non v'ha luogo a provvedere non avendo il Comune, rappresentato in quella sede da personale amministrativo, chiesto e documentato la refusione delle spese vive. P.Q.M. LA CORTE accoglie il ricorso, cassa senza rinvio l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge l'originaria opposizione; condanna parte intimata alla refusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 700,00 per onorari, oltre accessori di legge in favore del Comune di Corigliano Calabro. 44 CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE SECONDA Sentenza 1206 del 19/01/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE – VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA – ART 142- TELELASER . e’ legittima la rilevazione della velocità di un veicolo, effettuata a mezzo dell'apparecchiatura elettronica anche in assenza di documentazione fotografica - FATTO E DIRITTO 1. Il Ministero dell'Interno e l'Ufficio Territoriale del Governo di Matera impugnano la sentenza del Giudice di Pace di Pisticci n. 213 del 2005 che accoglieva l'opposizione proposta dall'odierno intimato, XXX YYY, avverso il verbale di contestazione n. 362151M, elevata in data 17 ottobre 2004 dalla Polizia stradale di Matera, per la violazione dell'articolo 142, nono comma, del Codice della Strada, accertata mediante apparecchiatura telelaser modello LTT 20-20. L'opponente, a sostegno del ricorso, invocava l'inidoneità dell'apparecchiatura ad effettuare in modo certo e preciso il rilevamento automatico della velocità. Il Giudice di Pace riteneva il telelaser, modello LTI 20-20, apparecchiatura non idonea ad effettuare in modo chiaro e accertabile la misurazione di velocità dei veicoli. 2. Parte ricorrente articola un unico motivo di ricorso col quale lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 345 del regolamento Codice della Strada. 3. Nessuna attività in questa sede ha svolto l'intimato. 4. Attivatasi procedura ex art. 375 CPC, il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale, concordando con il parere espresso nella nota di trasmissione, conclude con richiesta di accoglimento del ricorso. 5. Le conclusioni della Procura Generale possono essere accolte, in quanto il ricorso appare manifestamente fondato alla luce dell'ormai univoca giurisprudenza di legittimità in tema di utilizzazione del dispositivo denominato “telelaser 20-20”, conforme al modello omologato (provvedimento non sindacabile del giudice), da presumersi in condizioni di efficienza (a meno di prova contraria o di specifiche deduzioni dell'opponente), rispondente ai requisiti di cui agli articoli 142 del Codice della Strada e 345 del relativo regolamento e idoneo, con l'integrazione dei verbalizzanti ai fini della identificazione del veicolo apparso sul display, all'accertamento dell'eccesso di velocità. In tal senso Cass. 2007 n. 17754 ha affermato che: «non è necessario che l'apparecchio sia munito di dispositivo di documentazione fotografica ma solo che sia debitamente omologato e la velocità venga rilevata in modo chiaro ed accertabile mentre la concreta individuazione del veicolo rimane compito degli agenti di polizia accertatori, diretti ed unici gestori ex art. 12 cod. strada delle apparecchiature in questione». Di recente, poi, questa Corte (Cass. 2008 n. 1889), nuovamente affrontando la questione dell'idoneità delle apparecchiature di rilevazione di velocità telelaser con riferimento alla nuova disciplina introdotta dall'art 4 del DL 121 del 2002, ha affermato che: «In tema di accertamento della violazione dei limiti di velocità a mezzo di apparecchiature elettroniche, la rilevazione effettuata mediante telelaser, prevista dall'art. 142 Codice della strada e dall'art. 345 del d.P.R. n. 495 del 1992, deve ritenersi legittima, restando affidata all'organo di polizia stradale l'attestazione mediante verbalizzazione, assistita da fede privilegiata fino a querela di falso, della riferibilità della velocità al veicolo individuato mediante l'apparecchio. Tale sistema non è stato abrogato dall'art. 4 del d.l. n. 121 del 2002, convertito nella legge n. 168 del 2002 che prescrive la documentazione della violazione mediante sistemi fotografici, di ripresa video ed analoghi, atti ad accertare, anche in tempi successivi, le modalità di realizzazione dell'infrazione, in quanto questa ultima normativa è diretta a regolare la diversa ed ulteriore ipotesi dell'accertamento dell'illecito in un momento successivo a quello della commissione dell'infrazione ed in assenza dell'agente, sulla base della documentazione fotografica e video». In definitiva il quadro normativo indicato consente di affermare che l'articolo 142 del Codice della Strada si limita a prevedere che possono essere considerate fonti di prova le apparecchiature debitamente omologate, mentre l'articolo 345 del regolamento di esecuzione dispone che le suddette apparecchiature, la cui gestione è affidata direttamente agli organi designati ad effettuare il relativo accertamento, devono essere costruite in modo tale da raggiungere detto scopo, fissando la velocità in un dato momento in modo chiaro e accertabile, tutelando la riservatezza dell'utente, senza prevedere che della rilevazione debba necessariamente ed esclusivamente essere attestata la documentazione fotografica. Conseguentemente è legittima la rilevazione della velocità di un veicolo, effettuata a mezzo dell'apparecchiatura elettronica in considerazione, che, pur non rilasciando documentazione fotografica della avvenuta rilevazione nei confronti di un determinato veicolo, ne consente l'accertamento della velocità in un dato momento, restando affidata all'attestazione dell'organo designato la riferibilità della velocità proprio al veicolo dal medesimo organo individuato. 45 Il Giudice di Pace non si è attenuto a tali principi. Nel caso in questione non risulta contestato e provato il difettoso funzionamento dell'apparecchiatura. Il ricorso va accolto e il provvedimento impugnato cassato. Sussistendone i presupposti, ai sensi dell'art. 384 cpc, questa Corte può pronunciare sul merito, rigettando l'opposizione originariamente proposta. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, mentre per il giudizio di merito non vi è luogo a provvedere non avendo l'Amministrazione, rappresentata in quella sede da personale amministrativo, chiesto e documentato la refusione delle spese vive. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa senza rinvio il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, rigetta l'opposizione originariamente proposta dell'intimato. Condanna la parte intimata alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 400,00 euro per onorari oltre spese prenotate a debito e accessori come per legge. 46 CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE SECONDA Sentenza n. 1661 del 22/01/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE – VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA – ART 142- ECCESSO DI VELOCITA’ RILEVATO CON TACHIMETRO . L’inosservanza dei limiti di velocità può legittimamente essere acclarata anche con questo mezzo, dovendosi ritenere attendibili anche modalità di accertamento anche meramente deduttive, affidate al prudente apprezzamento del giudice. FATTO E DIRITTO M.C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe con cui il Giudice di Pace aveva rigettato l'opposizione dal medesimo proposta avverso l'ordinanza - ingiunzione emessa per violazione dell'art. 142 C.d.S., comma 9, e art. 146 C.d.S.. Il Giudice di Pace riteneva legittimo l'accertamento dell'eccesso di velocità effettuato sulla base del tachimetro della autovettura dei verbalizzanti che si erano lanciati all'inseguimento del trasgressore che, avendo attraversato ad elevata velocità l'incrocio nonostante il semaforo proiettasse luce rossa, non aveva consentito con il suo comportamento la contestazione immediata della violazione. Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale ha inviato richiesta scritta di rigetto del ricorso per manifesta infondatezza. Il ricorso è manifestamente infondato e va rigettato. Con il primo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell'art. 142 reg. esec. C.d.S., comma 6, e art. 345 reg. esec. C.d.S., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), censura la decisione gravata, secondo cui l'eccesso di velocità può essere accertato autonomamente dai verbalizzanti senza l'ausilio dei dispositivi elettronici, mentre la prova al riguardo deve essere fornita soltanto con le apparecchiature debitamente omologate. Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell'art. 200 C.d.S., censura la decisione laddove aveva ritenuto legittima la contestazione differita sull'erroneo presupposto della elevata velocità del veicolo accertata dai vigili. I motivi, essendo strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Le censure vanno disattese. Il disposto dell'art. 142 C.d.S., comma 6, (a mente del quale, per la determinazione dell'osservanza dei limiti di velocità, sono considerate fonti di prova "le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, nonchè le registrazioni del cronotachigrafo ed i documenti relativi ai percorsi autostradali") va interpretato nel senso che l'inosservanza dei detti limiti può legittimamente essere acclarata anche "aliunde", dovendosi ritenere del pari attendibili modalità di accertamento anche meramente deduttive, affidate al prudente apprezzamento del giudice (Cass. 6457/2000: 6777/1996; 1469/1988). Nella specie, è immune da vizi logico - giuridici ed è congruamente motivata la decisione impugnata che ha tratto la prova dell'eccesso di velocità dai rilevi compiuti in base alle risultanze del tachimetro dell'auto dei verbalizzanti che avevano proceduto all'inseguimento della vettura dell'opponente. Pertanto, proprio in presenza dell'elevata velocità correttamente accertata dai vigili (oltre 140 km/h), non era stata possibile la contestazione immediata della velocità secondo quanto al riguardo riferito nel verbale di contravvenzione a stregua delle prescrizioni dettate dall'art. 200 C.d.S., comma 1 bis, lett. a). Non va adottata alcuna statuizione in ordine alla regolamentazione delle spese relative alla presente fase, non avendo l'intimato svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. 47 SANZIONI ACCESSORIE CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE Sentenza n° 563 del 14/01/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE –VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA – ART 23 – PUBBLICITÀ ABUSIVA . E’ di giurisdizione e competenza del giudice ordinario l’azione proposta avverso i provvedimenti adottati da un Comune con i quali si ordina la rimozione di impianti pubblicitari abusivi lungo strade comunali emessi ai sensi dell'art. 23, comma 13 quater, del Codice della strada e SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso al Giudice di Pace di Roma ai sensi della L. n. 689 del 1981, la XXX chiedeva l'annullamento di sette determinazioni dirigenziali di rimozione di altrettanti impianti pubblicitari emesse dal Comune di Roma ai sensi dell'art. 23 C.d.S.,comma 13 quater. Adduceva l'opponente tra l'altro l'omessa rituale notifica delle determinazioni e la circostanza che i verbali di accertamento di violazione cui i provvedimenti di rimozione facevano riferimento erano stati Tempestivamente impugnati con ricorso al Prefetto ed erano divenuti inefficaci ai sensi dell'art. 204 C.d.S., comma 1 bis, per la mancata risposta di quest'ultimo nei termini di legge. Costituitosi, il Comune eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice adito sostenendo che gli atti impugnati non avevano natura di sanzione amministrativa. Con sentenza del 16 ottobre 2004 il Giudice di pace disattendeva l'eccezione del Comune e in accoglimento della domanda della XXXannullava le impugnate determinazioni,compensando tra le parti le spese del giudizio. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Roma riproponendo l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito. Resiste con controricorso la XXX. MOTIVI DELLA DECISIONE Ha eccepito in via preliminare la controricorrente l'inammissibilità e/o la nullità del ricorso per violazione dell'art. 125 c.p.c., e art. 366 c.p.c., n. 2, avendo il Comune richiesto nelle proprie conclusioni di cassare una sentenza, la n. 12988 del 10 marzo 2004, avente data e numerazione differente rispetto a quella resa inter partes, dando atto di averla depositata in copia autentica. L'eccezione va disattesa. Invero, avendo nella epigrafe del ricorso il Comune di Roma dato atto della impugnazione della sentenza del Giudice di Pace di Roma n. 38589, depositata in data 16 ottobre 2004, che è quella oggetto del presente giudizio, l'indicazione nelle conclusioni di una sentenza diversa deve ritenersi frutto di un mero errore di trascrizione non incidente sull'ammissibilità del gravame,tanto più che la sentenza depositata in copia autentica con il ricorso è proprio la n. 38589/04 del Giudice di Pace di Roma. Con i due motivi di ricorso,che possono essere esaminati congiuntamente, il Comune di Roma deduce, in sostanza, con riferimento al problema della giurisdizione, che: a) il provvedimento di cui all'art. 23 C.d.S., comma 13 quater, costituisce esercizio di potere di autotutela della P.A. con riferimento a beni demaniali, che il privato, titolare di un semplice interesse legittimo, può impugnare, secondo i principi generali, innanzi al giudice amministrativo; b) non opera la deroga prevista dall'art. 211 C.d.S., in quanto il provvedimento in questione non è connesso alla applicazione di una sanzione amministrativa. Ritiene il Collegio che tale impostazione non possa essere condivisa. E' decisiva la considerazione che l'art. 23 C.d.S., comma 11, prevede una sanzione amministrativa pecuniaria per "chiunque viola le disposizioni del presente articolo". E' evidente che anche la installazione di impianti pubblicitari su strade demaniali, se comporta la rimozione "senza indugio" ad opera del proprietario della strada in danno del proprietario di tali impianti pubblicitari, deve considerarsi vietata e quindi comporta anche la sanzione amministrativa di cui al comma 11 cit., anche se ciò non sia espressamente previsto, in considerazione del fatto che il comma 13 quater, è stato aggiunto successivamente. Diversamente opinando, si avrebbe la assurda conseguenza che la apposizione dei manufatti di cui all'art. 23 C.d.S., comma 1, lungo le strade o in vista di esse sarebbe soggetta a sanzione amministrativa e ad ulteriore (pesante) sanzione (comma 13 bis), nel caso di mancata ottemperanza alla diffida di rimozione, mentre l'apposizione degli stessi manufatti sulle strade (che costituisce un comportamento illegittimo di maggiore gravità) sarebbe sanzionata dalla sola rimozione a spese del contravventore (vedi Cass. S.U. n. 13230/07 ed altresì Cass. S.U. n. 11721/98 e n. 16129/2006). 48 Nè potrebbe sostenersi che il difetto di giurisdizione del giudice ordinario vada affermato con riferimento al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, come modificato dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, trattandosi di impugnazione di provvedimento in materia urbanistica. Non si verte,invero,nel caso di specie, in tema di uso del territorio, ma di godimento abusivo di beni demaniali, con riferimento al quale il legislatore detta una disciplina specifica. Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi infondata la tesi del difetto di giurisdizione del giudice ordinario. In definitiva il ricorso va rigettato, con condanna del Comune di Roma al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e condanna il Comune di Roma al pagamento,in favore della XXXPubblicità srl, delle spese del giudizio di cassazione che liquida nella complessiva somma di Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, con gli accessori di legge. Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2008. Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2009. 49 CORTE DI CASSAZIONE PENALE, SEZIONE QUARTA Sentenza n. 7307 del 29/01/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE – REATI AL CODICE DELLA STRADA - ARTT. 222 –223 CDS – Rapporto tra patteggiamento e sanzioni accessorie – L’applicazione della pena ( cd patteggiamento ex art. 444 cpp) comporta comunque l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, che deve essere disposta motivatamente, avendo riguardo alla personalità del reo ed alla gravità del sinistro . FATTO E DIRITTO T.M. ricorre per cassazione avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Catanzaro ha applicato la pena nei suoi confronti ex art. 444 c.p.p. per i reati di cui agli artt. 189 e 186 C.d.S.. Deduce l'eccessività della sanzione amministrativa accessoria. Il ricorso è inammissibile, per manifesta infondatezza. Va ricordato che, in effetti, la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida prevista per alcune violazioni del codice della strada non rientra negli accordi tra le parti che conducono all'applicazione concordata della pena ex art. 444 c.p.p., di qui l'obbligo per il giudice che deve applicare la sanzione accessoria di motivare il suo convincimento nei casi in cui si discosti significativamente da una misura vicina alla misura minima o media e si avvicini a quella massima o, addirittura, la applichi nella misura massima (di recente, Sezione 4, 23 settembre 2008, Materazzo). Ebbene, qui il giudicante ha dato ampia contezza dell'esercizio del potere discrezionale nell'ottica di quanto preteso dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 11 in relazione del resto a quanto anche previsto dall'art. 133 c.p., motivando la misura della durata della sanzione sia sulla gravità del sinistro, che sulla personalità del reo. E' motivazione ampiamente satisfattiva, anche laddove volesse accedersi alla tesi del ricorrente circa l'insussistenza del precedente penale "per rissa", su cui il giudicante ha basato il giudizio negativo sulla personalità del reo. Si tratta di circostanza fattuale meramente asserita e non documentata in ricorso ciò che impedisce qui di tenerne conto e comunque - per il principio di resistenza della motivazione - anche solo la gravità oggettiva del fatto sarebbe circostanza adeguata a giustificare la determinazione del giudicante. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende 50 CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE SECONDA – Sentenza n. 8801 del 06/02/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE – REATI AL CODICE DELLA STRADA - ART. 223 Rapporto tra patteggiamento e sanzioni accessorie - Con la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti deve essere disposta la sospensione del documento di guida a norma dell'art. 222 del vigente C.d.S., anche se la sanzione accessoria sia stata già disposta dal Prefetto OSSERVA Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città, in composizione monocratica, con la quale è stata ex art. 444 c.p.p., applicata nei confronti di M.T. la pena concordata tra le parti per i reati di guida in stato di ebbrezza alcolica, di fuga e di omissione di soccorso dopo incidente stradale ricollegabile al suo comportamento. Con il ricorso il ricorrente lamenta l'erronea applicazione della legge penale, per la ragione che il giudice a quo ha omesso di irrogare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, come previsto dall'art. 186 C.d.S., comma 2, e art. 189 C.d.S., comma 6. Osserva questa Corte che la doglianza è fondata. In materia di sanzione amministrativa accessoria della patente di guida si sono fissati dei principi giuridici che costituiscono ormai ius receptum e che di seguito si espongono. Mentre nell'imperio del vecchio codice della strada la sospensione della patente di guida era qualificata come pena accessoria nella rubrica dell'art. 80 ter, introdotto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 142, sulle modifiche al sistema penale, l'art. 222 del nuovo codice della strada le ha riconosciuto espressamente il carattere di sanzione amministrativa accessoria. Con la sentenza emessa ex art. 444 c.p.p., possono, quindi, essere applicate sanzioni amministrative accessorie, essendo il divieto, eccezionale, dell'art. 445 c.p.p., limitato alle pene accessorie ed alle misure di sicurezza diverse dalla confisca obbligatoria. Tali sanzioni, non integrando una pena accessoria, nè una misura di sicurezza, prescindono dall'accordo tra le parti (Cass. SS.UU. 27.5.1998, Bosio), tanto che la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 445 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, in caso di accoglimento della richiesta di patteggiamento, sia preclusa l'applicazione della misura della sospensione della patente di guida (C. Cost. 18.6.1997, n. 184; C. Cost. 5.2.1999, n. 25). Ne deriva che con la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti deve essere disposta la sospensione della patente di guida a norma dell'art. 222 nuovo C.d.S., persino se la detta sospensione sia stata già disposta dal Prefetto, posto che, una volta stabilita dal giudice la durata della sospensione, da questa dovrà, in sede esecutiva, detrarsi il periodo di tempo già scontato per effetto della sospensione ordinata dal Prefetto. Il giudice, inoltre, tenuto a disporre con la sentenza di applicazione della pena la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, a nulla rilevando che di questa non sia stata fatta menzione nella richiesta di patteggiamento. La detta sanzione, infatti, non può formare oggetto dell'accordo tra le parti (Sez. un. 8 maggio 1996, n 11, De Leo), che deve essere limitato alla pena, e consegue di diritto alla sollecitata pronuncia. Nè può affermarsi che dette sanzioni siano inapplicabili per il mancato accertamento della responsabilità: il giudice fa proprio l'accertamento, proveniente dalle parti, della fondatezza della "notitia criminis" o, meglio, della non esclusione di questa e vi contribuisce nel momento in cui ritiene che gli atti non siano tali da imporre - nonostante la richiesta e, quindi, il giudizio positivo o, se si vuole, non negativo sulla detta fondatezza - il proscioglimento nel merito dell'imputato. Quindi, l'accertamento deriva dalla contestazione del reato, collegato alla volontà dell'incolpato che, lungi dal contrastare tale contestazione, accetta le conseguenze sul piano penale ed è accertamento limitato, retto sull'accordo tra le parti e verificato dal giudice. Tale orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità ha ricevuto l'autorevole avallo della Cassazione a Sezioni Unite Penali (sent. 27 maggio 1998, n. 5, Bosio, già citata) e della Consulta, che ha rilevato che l'accertamento del reato cui consegue, secondo l'art. 222 C.d.S., la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida, va inteso, secondo il diritto vivente, come l'accertamento del fatto lesivo dell'interesse pubblico anche nell'ambito del procedimento di patteggiamento della pena di cui all'art. 444 c.p.p., concluso con una pronuncia equiparata a quella di condanna in base al seguente art. 445 c.p.p., comma 1, (Corte costituzionale, 5 febbraio 1999, n. 25, Corti). Sussistendo, pertanto, quell'accertamento del reato e della responsabilità nei sensi indicati e l'equiparazione della sentenza di patteggiamento a quella di condanna quando non sia diversamente stabilito, devesi concludere che correttamente il P.G. si è doluto della mancata irrogazione della sanzione amministrativa accessoria da parte del giudice a quo. Non ricorrono le condizioni per l'applicazione dell'art. 620 c.p.p., lett. L), spaziando la sanzione amministrativa tra un minimo ed un massimo, di tal che l'impugnata sentenza va annullata limitatamente all'omessa applicazione della 51 sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, con rinvio sul punto al Tribunale di Roma, altro magistrato, ai sensi dell'art. 623 c.p.p., lett. D). P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla mancata applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida e rinvia sul punto al Tribunale di Roma. 52 ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE TERZA – SENTENZA N. 316 DEL 09/01/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE –VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA – ART 58 - 193 cds- La copertura assicurativa ex art 1 L 990/1969, opera su un autogrù e comunque sempre, per il solo fatto che un veicolo si trovi su strada di uso pubblico o su area a questa equiparata in sosta, restando indifferente se durante la sosta essa operi o meno quale macchina operatrice. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La Enichem s.p.a. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Venezia, la Curatela del Fallimento della Costruzioni metalliche Specializzate C.M.S. di N. B. & Co. S.n.c. e la L. A. s.p.a., quale sua assicuratrice per la responsabilità civile di un'autogru, per sentirli condannare al risarcimento dei danni sofferti in occasione di un'operazione di sollevamento all'interno dello stabilimento di essa attrice in Marghera, nel corso della quale la gru, rovesciandosi, aveva investito con il suo braccio la rete di tubazioni collocata su una strada all'interno dello stabilimento, danneggiandoli, con conseguente determinazione del blocco dell'attività produttiva. Il Tribunale, nella resistenza alla domanda dei convenuti (la prima dei quali svolgeva domanda di garanzia verso la società assicuratrice) dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria nei confronti della Curatela perché di competenza del Tribunale in sede fallimentare e, pronunciando invece sull'azione diretta, in funzione della quale riteneva giustificata la proposizione della domanda pure nei confronti della Curatela, accoglieva la domanda risarcitoria nei confronti della società assicuratrice. La sentenza veniva appellata dal L. A. s.p.a. nei soli confronti della Enichem. L'appellata resisteva e la Corte d'Appello di Venezia ordinava l'integrazione del contraddittorio nei confronti della Curatela. Con sentenza del 5 aprile 2004, la Corte d'Appello di Venezia, per quello che ancora in questa sede interessa, sul presupposto che l'evento dannoso si era verificato “nel corso dell'esecuzione, mediante l'impiego dell'utensile montato su un veicolo della C.M.S., di un'operazione di sollevamento e, perciò, di un'attività che non aveva alcuna attinenza con la circolazione del veicolo”, ha ritenuto anzitutto che, pur essendo vero che, “ai fini dell'applicabilità della disciplina dell'assicurazione obbligatoria il concetto di circolazione va inteso, come osservato dal primo giudice, nella sua più ampia accezione, così da ricomprendervi anche la fase statica della sosta”, era “peraltro, altrettanto vero che in essa non possono farsi rientrare modi di utilizzazione del bene non aventi alcuna attinenza, nemmeno in senso lato, con la circolazione, quale l'impiego, nell'ambito di un'operazione industriale del meccanismo di sollevamento installato su una macchina operatrice”. A sostegno la Corte territoriale ha invocato Cass. n. 5146 del 1997, come relativa ad un caso analogo, pur avvertendo che essa era relativa ad operazione di scarico di un'autocisterna in una stazione di servizio. Ha, quindi, avvertito: “del resto, che nessuna attinenza l'operazione in questione avesse con la circolazione risultava manifesto dalla circostanza, rilevata dal primo giudice ma evidentemente non collocata nella giusta prospettiva, che l'utilizzazione in sicurezza del braccio della gru necessitava di un adeguato appoggio al suolo”. Ha, poi, soggiunto, che “ove a tanto avesse riflettuto, il primo giudice non avrebbe potuto fare a meno di pervenire alla conclusione che il fatto generativo del danno esulava dall'ambito dell'assicurazione obbligatoria e, conseguentemente negare che al danneggiato competesse l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore: in tal senso va senz'altro riformata la sentenza impugnata”. Sempre per quel che ancora interessa, la Corte veneziana osservava che “l'ulteriore motivo di impugnazione, incardinato sulla confutazione delle ragioni dal primo giudice poste a sostegno dell'affermazione dell'equiparabilità, ai fini dell'applicabilità della normativa sull'assicurazione obbligatoria, ad area pubblica del luogo teatro del sinistro, rimane logicamente superata ed assorbita”. 3. Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione in via principale, affidato a due motivi, la Syndial Attività Diversificate s.p.a. (già Enichem s.p.a.). Ha resistito con controricorso, nel quale ha anche articolato un motivo di ricorso incidentale, la s.p.a. L. A. s.p.a.. Non ha svolto attività difensiva il Fallimento Costruzioni Meccaniche Specializzate C.M.S. di N. B. & C. s.n.c.. Parte ricorrente ha depositato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE 53 1. Con il primo motivo di ricorso principale si lamenta “violazione dell'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. per falsa applicazione degli artt. 1 e 18 L. 24 dicembre 1969 n. 990 e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”. Vi si sostiene che la Corte d'Appello avrebbe reso motivazione contraddittoria, là dove da un lato avrebbe accolto la nozione di circolazione stradale in senso ampio, ricomprendendovi anche la sosta, e dall'altro avrebbe escluso che vi rientri il ribaltamento di un veicolo in sosta. Viceversa, il ribaltamento costituirebbe “evento dinamico che per ciò solo partecipa della circolazione stradale, indipendentemente dalle cause che possono averlo provocato”. Inoltre, si assume che di nessun pregio sarebbe l'argomentazione che l'autogru non sarebbe stata utilizzata nell'ambito della circolazione stradale ma in quello di un'operazione industriale del meccanismo di sollevamento: ciò perché i danni agli impianti della ricorrente non sarebbero stati “provocati dalla caduta del carico sospeso o da un errore di manovra del braccio della gru ovvero ancora da un suo cedimento strutturale durante l'esecuzione di quell'operazione industriale (...), ma dal ribaltamento dell'automezzo su cui la gru era installata. Ribaltamento dovuto alla mancanza di adeguato appoggio al suolo, ad una circostanza cioè che sicuramente attiene alle condizioni di sosta del veicolo e, quindi, alla sua circolazione”. Pertanto, ad avviso della ricorrente, “causa del danno è stata il ribaltamento del veicolo e non l'utilizzo della gru come tale”. Inoltre, andrebbe considerato che “il ribaltamento ha fatto sì che l'autoveicolo si spostasse sulla sede stradale occupandone un'area diversa da quella primitiva di sosta così concretando, anche in senso spaziale, un momento proprio della circolazione”. Il precedente di cui a Cass. n. 5146 del 1997 non sarebbe pertinente, perché, là dove ha ritenuto che nel concetto di circolazione debbono ricomprendersi tutti i movimenti e tutte le situazioni, anche di sosta, che rientrano nel normale utilizzo funzionale del veicolo, avrebbe affermato un principio che sarebbe applicabile al caso di specie, perché “non è dubbio che rientra nel normale utilizzo funzionale dell'autogru la sosta necessitata dall'effettuazione delle operazioni di sollevamento od abbassamento di un carico”. 1.1. Con il secondo motivo si denuncia “violazione dell'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. in relazione agli artt. 1 e 18 L. 24 dicembre 1969 n. 990 per falsa applicazione di legge ed omessa motivazione su un punto decisivo”. Il motivo, pur avendo ben presente che la Corte territoriale ha considerato assorbita la relativa questione, che era motivo di appello prospettato dalla società assicuratrice, sostiene che il sinistro sarebbe accaduto in un'area privata aperta ad un numero indeterminato di persone e come tale rientrante nel concetto di circolazione ai fini dell'assicurazione per la r.c.a.. 2. Con l'unico motivo di ricorso incidentale si denuncia “violazione dell'art. 360 n. 4 per violazione dell'art. 112 c.p.c.; omessa pronuncia su uno specifico punto oggetto del gravame d'appello” e ci si duole che la Corte veneziana non abbia provveduto sulla richiesta, formulata nell'atto di appello, di condanna alla restituzione di quanto corrisposto all'Enichem in esecuzione della sentenza di primo grado. 3. Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso incidentale a quello principale, in riferimento al quale è stato proposto. Il primo motivo del ricorso principale è fondato. Esso, pur essendo stato articolato anche ai sensi del n. 5 dell'art. 360 c.p.c., in realtà si connota esclusivamente come motivo riconducibile al n. 3 dell'art. 360. Infatti, non si pone alcuna censura afferente a vizio della motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo della ricostruzione della quaestio facti, ma si prospetta esclusivamente un vizio c.d. di omessa sussunzione della fattispecie concreta, per come pacificamente ricostruita, sotto la fattispecie astratta delle norme di cui si denuncia la violazione, cioè il concetto di circolazione di cui all'art. 1 della L. n. 990 del 1969 (applicabile nella specie ratione temporis), evocato, peraltro, come tale e non già quanto al termine di riferimento spaziale, cui si riferisce il secondo motivo. Ciò chiarito, va rilevato che la norma dell'art. 1 ora citata (ma non diversamente deve dirsi per quella dell'art. 122 del d.lgs. n. 209 del 2005), nell'individuare l'oggetto dell'assicurazione per la r.c.a. si esprime nel senso di correlare l'obbligo assicurativo all'essere stato il veicolo posto in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a questa equiparate. La norma impone all'interprete di individuare, come presupposti per la sua applicazione, da un lato la nozione di strada di uso pubblico ed area a questa equiparata e dall'altro la nozione di circolazione. Ma, nell'esegesi della norma, tali presupposti non debbono essere considerati atomisticamente, bensì in collegamento fra loro. Sotto tale profilo, poiché la sosta è pacificamente un momento della circolazione, tanto che viene regolata dal codice della strada come tale, non è revocabile in dubbio che un veicolo che si trovi in sosta, purché lo sia su strada di uso pubblico o area ad essa equiparata, deve ritenersi in circolazione. Ma lo è appunto se la sosta avviene in questi ambiti spaziali. La norma dell'art. 1, viceversa, non prevede come presupposto per l'obbligo assicurativo e, quindi, per l'operare della relativa garanzia, che il veicolo sia utilizzato in un certo modo piuttosto che in un altro. Ciò che può ritenersi necessario è che l'operatività della garanzia sia legata al mantenimento da parte del veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull'area ad essa parificata, delle caratteristiche che lo rendono tale sotto il 54 profilo concettuale e, quindi, in relazione alle sue funzionalità, sia sotto il profilo logico che sotto quello di eventuali previsioni normative. Ove l'uso che si compia del veicolo sia, pertanto, quello che secondo le sue caratteristiche esso può avere, ad integrare il presupposto per l'operatività della copertura assicurativa è sufficiente che quell'uso sia compiuto su strada di uso pubblico o su area equiparata. Conseguentemente, se l'uso avvenga mentre il veicolo trovasi in sosta, essendo la sosta da considerarsi come momento della circolazione, ai fini dell'operatività della copertura diventa decisivo accertare se la sosta sia avvenuta su strada di uso pubblico o su area equiparata. Da questi rilievi (che, evidentemente, inducono a dissentire dal precedente di questa Corte evocato dalla sentenza impugnata, cioè da Cass. n. 5146 del 1997; peraltro, di recente, in un ordine di idee implicitamente simile a quello qui sostenuto si veda, di recente, Cass. n. 8305 del 2008, secondo cui “Ai fini dell'applicabilità delle norme sull'assicurazione obbligatoria degli autoveicoli (ed in particolare di quelle sull'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore del responsabile) deve considerarsi in circolazione il veicolo fermo sulla pubblica via per operazioni di carico o scarico. (In applicazione del suddetto principio, la S.C., accogliendo il ricorso proposto, ha ritenuto applicabili gli istituti dell'assicurazione obbligatoria r.c.a. al danno patito da un operaio che, durante lo scarico di mattoni da un camion, aveva patito lo schiacciamento di una mano in conseguenza dell'abbassamento del cassone di carico del mezzo)”, emerge allora che il ragionamento seguito dalla Corte di Appello di Venezia per escludere che l'autogru fosse in circolazione al momento del sinistro non è corretto. È sufficiente osservare, una volta considerato che l'autogru trovatasi in sosta, cioè in una condizione astrattamente riconducibile alla nozione di circolazione (come, del resto, ammette anche la Corte territoriale), che l'uso che si faceva della stessa (quella che viene definita “un'operazione industriale del meccanismo di sollevamento installato su una macchina operatrice”), essendo quello corrispondente all'utilitas propria del veicolo, non può dirsi, come invece ha affermato la sentenza impugnata, un modo di utilizzazione non avente alcuna attinenza con la circolazione del bene. Questa affermazione suppone, infatti, che ai fini della ricorrenza o meno della circolazione venga in rilievo l'uso del veicolo in quanto tale. Il che, come si è detto non è. D'altro canto, è appena il caso di rilevarlo, nella specie l'uso che si faceva dell'autogru, indipendentemente dalla questione del se fossero stati attivati gli appoggi al suolo, che può rilevare solo al fine di individuare se l'uso era più o meno corretto, era proprio quello cui essa era funzionale, come c.d. macchina operatrice (vedi la nozione nell'art. 58 del C.d.S.). Dunque, anche sul piano della funzionalità sotto il profilo normativo l'autogru svolgeva una funzione propria della sua caratteristica di veicolo del tutto particolare. Non a caso l'art. 58 ora citato riferisce l'operatività delle c.d. macchine operatrici anche alla “strada”, quando dice che sono veicoli destinati ad operare anche su strada. Il motivo è, dunque, accolto e la sentenza cassata. Il giudice di rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “nell'art. 1 della l. n. 990 del 1969, il presupposto dell'operatività dell'obbligo assicurativo e della conseguente copertura è il trovarsi del veicolo su strada di uso pubblico o su area a questa equiparata in una condizione che sia riconducibile ad un momento della circolazione, ivi compresa anche la sosta, mentre non ha dignità di presupposto ulteriore la correlazione dell'uso del veicolo, secondo le potenzialità sue proprie, con le varie modalità con cui può atteggiarsi la circolazione. Ne discende che, quando il veicolo è un'autogru, ad integrare il presupposto di operatività della copertura assicurativa è sufficiente che essa si trovi in sosta su una strada di uso pubblico o su un'area ad essa equiparata, restando indifferente se durante la sosta essa operi o meno quale macchina operatrice”. La corte di rinvio, in conseguenza, dovrà astenersi dal considerare la copertura assicurativa inesistente per il fatto che il sinistro è accaduto durante le operazioni di sollevamento che la gru era funzionalmente abilitata a svolgere. 3.1. Venendo al secondo motivo, se ne deve rilevare la palese inammissibilità, atteso che la questione dell'essere avvenuto il sinistro su area equiparata alla strada di uso pubblico è stata dichiarata assorbita dalla Corte d'Appello, per effetto della soluzione della questione sull'essere esso avvenuto in occasione della circolazione dell'autogru. Se ne deve, pertanto, dichiarare l'inammissibilità per difetto del presupposto della soccombenza e, quindi, di interesse. Spetterà al giudice di rinvio, una volta considerato il principio di diritto sopra affermato, interrogarsi, al lume delle risultanze di fatto in atti, sul motivo di appello che aveva contestato che il sinistro fosse avvenuto su area equiparata ad una strada di uso pubblico. 3.2. Sul ricorso incidentale non è luogo a provvedere, atteso che la cassazione della sentenza in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, avrebbe fatto venir meno l'obbligo di restituzione scaturito dalla riforma della sentenza di primo grado. Il ricorso resta, dunque, assorbito. In ogni caso, ove non vi fosse stato tale assorbimento, su di esso non si sarebbe dovuta dichiarare cessata la materia del contendere, atteso che parte ricorrente ha allegato di avere provveduto alle restituzioni, ma la resistente l'ha contestato. 55 4. Conclusivamente, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Venezia, che deciderà in diversa composizione. Il secondo motivo del detto ricorso va dichiarato inammissibile. Il ricorso incidentale va dichiarato assorbito. Al giudice di rinvio può rimettersi la decisione sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il secondo. Dichiara assorbito il motivo di ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Venezia, che deciderà in diversa composizione 56 CASSAZIONE PENALE CORTE DI CASSAZIONE PENALE, SEZIONE QUARTA Sentenza 43313 del 28/10/2008 CIRCOLAZIONE STRADALE –REATI DEL CODICE DELLA STRADA– ART 186 . Guida in stato di ebbrezza da alcool (in vigenza del dl 117/2008) . Il sistema sanzionatorio previsto dal dl 117/2007 non precludeva al giudice di poter dimostrare l'esistenza dello stato di ebbrezza sulla base delle sole circostanze sintomatiche (principio del libero convincimento in assenza di prove legali. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo, sulla richiesta del pubblico ministero di emettere decreto di condanna, proscioglieva, a norma dell'art. 129 c.p.p., G.M. dalle contravvenzioni, commesse in (OMISSIS): - di guida sotto l'influenza dell'alcool (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2) perchè il fatto non sussiste (capo 1); - di rifiuto di sottoporsi al test alcolimetrico (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 7), perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato (capo 2). Con riguardo alla contravvenzione di cui al capo 1), il giudice giustificava la propria decisione affermando che le modifiche apportate alla citata disposizione dal D.L. 3 agosto 2007, n. 117 non consentivano più di provare lo stato di ebbrezza sulla sola base dei c.d. elementi sintomatici rilevati dagli agenti in sede di accertamento della violazione. 2. Avverso l'anzidetta sentenza, ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia, chiedendone l'annullamento e rilevando l'erronea interpretazione delle nuove disposizioni. DIRITTO MOTIVI DELLA DECISIONE 3. Il ricorso è fondato. 3.1. Prima delle disposizioni modificative introdotte dal D.L. 3 agosto 2007, n. 117, art. 5, il D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, la cui ultima versione era dovuta alla L. 1 agosto 2003, n. 214, di conversione del D.L. 27 giugno 2003, n. 151, era strutturato, per quanto qui interessa, nei termini seguenti. Il comma 1 sanciva il divieto di "guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche". La prima parte del comma 2 delineava la fattispecie incriminatrice di guida in stato di ebbrezza alcolica: chiunque violava il divieto (guidava, cioè, in stato di ebbrezza) era punito con le pene congiunte dell'arresto fino ad un mese e dell'ammenda da Euro 258,00 a Euro 1.032,00. Il comma 6 stabiliva che, qualora dall'accertamento fosse risultato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), l'interessato era da considerarsi in stato di ebbrezza ai fini dell'applicazione delle sanzioni, penali ed amministrative, di cui al sopra citato comma 2. La determinazione della soglia anzidetta va fatta risalire al D.L. 20 giugno 2002, n. 121, art. 3, convertito in L. 1 agosto 2002, n. 168; in precedenza (v. nel testo introdotto dal D.Lgs. 15 gennaio 2002, n. 9, art. 186, comma 5), il più elevato limite di 0,8 grammi per litro (g/l) era stabilito (e lo è tuttora per un difetto di coordinamento legislativo) dal regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada (D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 379). Questa Corte aveva, comunque, più volte avuto modo di affermare (cfr. Cass. S.U. 27 settembre 1995, Cirigliano, RV 203634; Cass. 4, 4 maggio 2004, Ciacci, RV 229966; Cass. 4, 9 giugno 2004, p.m. in proc. Massacesi, RV 229087) che lo stato di ebbrezza del conducente del veicolo poteva essere, ai fini della configurabilità della contravvenzione in esame, accertato e provato con qualsiasi mezzo, e non necessariamente, nè unicamente, mediante la strumentazione (il c.d. etilometro) e le procedure indicate nel menzionato D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 379. In particolare, per il principio del libero convincimento, per l'assenza di prove legali e per la necessità che la prova non dipenda dalla discrezionale volontà della parte interessata, il giudice poteva dimostrare l'esistenza dello stato di ebbrezza sulla base delle circostanze sintomatiche, desumibili in particolare dallo stato del soggetto (alterazione della deambulazione, difficoltà di movimento, eloquio sconnesso, alito vinoso, ecc.) e dalla condotta di guida (che i verbalizzanti hanno il compito di indicare nella notizia di reato, ai sensi dell'art. 347 c.p.p.: v. citato art. 379, comma 3). 3.2. Il D.L. 3 agosto 2007, n. 117, art. 5 ha - come si è detto - riscritto il D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, trasformando in illecito amministrativo il rifiuto di sottoporsi all'accertamento, ma non abolendo, neppur in parte, la fattispecie di guida in stato di ebbrezza ed inasprendone anzi l'apparato sanzionatorio. In particolare, le pene principali sono state differenziate in base alla gravità della violazione: 57 prima fascia: ammenda da Euro 500,00 a Euro 2000,00 e arresto fino ad un mese se il tasso alcolemico accertato è superiore a 0,5 grammi per litro e non superiore a 0,8 (la previsione dell'arresto è stata, poi, soppressa dalla Legge Conversione 2 ottobre 2007, n. 160 e la contravvenzione è, dunque, tornata ad essere oblabile, questa volta ai sensi dell'art. 162 c.p.); seconda fascia: ammenda da Euro 800,00 a Euro 3.200,00 ed arresto fino a tre mesi (elevato a sei mesi dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 4, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, convertito dalla L. 24 luglio 2008, n. 125) se il tasso alcolemico accertato è superiore a 0,8 grammi per litro e non superiore a 1,5 terza fascia: ammenda da Euro 1.500,00 a Euro 6.000,00 ed arresto fino a sei mesi (ora da tre mesi ad un anno per effetto dell'intervento dei provvedimenti legislativi da ultimo citati) se il tasso alcolemico accertato è superiore a 1,5 grammi per litro. 3.3. Le modificazioni anzidette hanno costretto dottrina e giurisprudenza a cimentarsi con alcune questioni interpretative, in particolare con la questione della natura giuridica delle tre ipotesi di nuovo conio e con il problema, strettamente collegato, sollevato dal ricorrente con l'impugnazione in esame. Come questa Corte ha già, seppur incidentalmente, avuto modo di affermare (cfr. ad esempio Cass. 4, 16 settembre 2008, Vergori; Cass. 4, 11 aprile 2008, P.G. in proc. Scanziani, non massimate), le tre "fasce" contravvenzionali sopra indicate integrano fattispecie autonome di reato. Non si è in presenza, in altre parole, di una fattispecie "base", quella di cui al D.Lgs. 15 gennaio 2002, n. 9, art. 186, comma 2, lett. a), e di circostanze aggravanti per il caso in cui il tasso alcolemico sia superiore ai limiti fissati alle lettere b) e c) del comma medesimo. E' sufficiente in proposito osservare, pur dovendosi ammettere che i criteri di identificazione delle circostanze rispetto alle fattispecie autonome di reato pongono di solito problemi interpretativi di complessa soluzione (si veda in proposito il rilevante sforzo di sistemazione della materia compiuto da Cass. S.U. 10 luglio 2002, p.m. in proc. Fedi), che può darsi per acquisito che, ai fini dell'individuazione di una circostanza, condizione necessaria, seppur non sufficiente, è che la stessa si caratterizzi per la presenza di elementi "specializzanti" rispetto alla fattispecie "base". Nel caso in esame, invece, è di tutta evidenza come non ricorra un rapporto di specialità tra le tre disposizioni. Esse, disposte - come si è visto - in ordine crescente di gravità, modellata sul tasso alcolemico accertato, sono, invero, caratterizzate da reciproca alternatività, quindi da un rapporto di incompatibilità. Si tratta, dunque, di fattispecie autonome di reato, destinate a non subire, come tali, il "gioco" del giudizio di bilanciamento tra opposte circostanze che potrebbe vanificare l'applicazione del più rigoroso trattamento sanzionatorio introdotto per le violazioni di maggiore entità. La conclusione sembra trovare conferma letterale anche nel riferimento, in relazione ad ognuna delle tre ipotesi, all'accertamento del "reato" quale presupposto perchè operi la conseguenza automatica della sospensione della patente di guida. 3.4. Ciò detto, non vi è ragione, tuttavia, di ritenere che il nuovo sistema sanzionatorio precluda oggi al giudice di poter dimostrare l'esistenza dello stato di ebbrezza sulla base delle circostanze sintomatiche sopra ricordate (v. 3.1). Le ragioni che legittimavano quell'orientamento interpretativo (principio del libero convincimento, assenza di prove legali e necessità che la prova non dipendesse dalla discrezionale volontà della parte interessata) non sono, invero, venute meno. Il tasso alcolemico è elemento costitutivo di ognuna delle tre fattispecie e, come tale, è suscettibile di accertamento secondo le regole che governano il sistema delle prove. Una volta ammesso che, in linea di principio, lo stato di ebbrezza può desumersi da elementi sintomatici, è agevolmente intuibile che, sul piano probatorio, la possibilità per il giudice di avvalersi, ai fini dell'affermazione della sussistenza dello stato di ebbrezza, delle sole circostanze sintomatiche riferite dagli agenti accertatori sarà il più delle volte logicamente da circoscriversi alla sola fattispecie meno grave, imponendosi per le ipotesi più gravi l'accertamento tecnico del livello di alcool nel sangue. Del tutto ingiustificata è, pertanto, la conclusione cui è pervenuto il Giudice per le indagini preliminari nella sentenza impugnata. 4. La decisione impugnata va, in conclusione, annullata senza rinvio, limitatamente al reato anzidetto, con trasmissione degli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 1) e dispone trasmettersi gli atti al Gip del Tribunale di Bergamo. Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2008. Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2008 58 CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE SECONDA– SENTENZA N. 3745 DEL 16/02/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE –VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA – ART 186 – Guida in stato di ebbrezza- Nel caso di rifiuto di sottoporsi all’alcool test, è legittimo decurtare venti punti di patente di guida, dieci per la violazione dell’articolo 186/2° e dici per quella del 7° comma, in quanto i due commi tutelano beni giuridici diversi, e tra le due fattispecie punite non si configura in questo caso il concorso apparente tra violazioni ( art 15 cp e art 8 L. 689/1981) Motivi della decisione 1. L'eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dall'Avvocatura dello Stato è infondata atteso che il ricorso risulta notificato sia al Ministero dell'Interno, parte nel giudizio a quo (presso l'Avvocatura Generale), che alla Prefettura di Verona, costituitasi in primo grado in rappresentanza del Ministero (cfr. intestazione della sentenza). 1.a. In ogni caso ogni (eventuale) nullità della notifica del ricorso (non meglio precisata nel controricorso) sarebbe sanata dalla costituzione in giudizio sia del Ministero che della Prefettura di Verona. 2. Quanto al merito, il Collegio osserva che i due motivi di ricorso (entrambi riguardanti l'ingiustizia della doppia decurtazione dei punti) possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro logicamente e funzionalmente connessi. 3. Innanzitutto non sussiste il preteso vizio di motivazione (lamentato nel secondo motivo) avendo il giudice fatto riferimento, per giustificare la propria decisione, al “prontuario allegato al codice della strada” (come si ammette nello stesso ricorso) ed emergendo dal complesso della (sia pure scarna) motivazione, la ratio decidendi in forza della quale il giudice a quo ha ritenuto che, per ciascuna delle diverse violazioni commesse dallo XXX, potesse - e dovesse - essere applicata una decurtazione di dieci punti. 4. La censura di violazione di legge (att. 186, c. 2 e 186, c. 7 nonché 126 C.d.S.), dedotta nel primo motivo, non è, ad avviso del Collegio, fondata per nessuno dei profili che la sorreggono. E precisamente: a) sul significato e la lettera della norma dell'art. 186 commi 2 e C.d.S., in combinato disposto con l'art. 126 stesso codice ed allegata tabella; b) sul confronto con le altre ipotesi previste dalla tabella; c) sulle finalità della norma che prevede la riduzione dei punti; d) sul concorso apparente di norme. 5. Il Collegio ritiene che, per ragioni logiche, occorra innanzitutto rilevare che nella specie non ricorre l'asserita ipotesi del concorso apparente di norme. 5.a. Trattasi di un istituto che, sia pure approfondito soprattutto dalla scienza penalistica, non può non riguardare anche la teoria generale del diritto e, in particolare, la materia della sanzioni amministrative, nella quale determinate condotte tipiche, assunte come illecite, sono sanzionate anziché dalle note pene previste per i delitti e le contravvenzioni, con la imposizione del pagamento di somme cui può conseguire anche l'applicazione di sanzioni accessorie (nel campo penalistico: pene accessorie). 6. Ebbene, secondo le teorie dottrinali più accreditate e la giurisprudenza prevalente, si ha concorso apparente di norme quando più leggi (penali o, comunque, sanzionatorie) regolano la stessa materia (art. 15 c.p.) dovendosi, per “stessa materia”, intendere la “stessa situazione di fatto”, e, più precisamente, quando lo stesso accadimento concreto, inteso come fatto storicamente determinato, possa integrare il contenuto descrittivo di diverse previsioni legislative astratte a carattere sanzionatorio. 7. In forza di ciò non può ritenersi sussistente il concorso apparente di norme nel caso in cui fatti (accadimenti) ipotizzati dalla fattispecie astratta siano diversi nella loro materialità oppure quando la norma che regola un fatto (accadimento) contenga una clausola di riserva (in genere del tipo: “salvo che il fatto non sia preveduto come reato o non costituisca più grave reato - nel nostro caso illecito - da altra disposizione di legge”) o, infine, se la norma che prevede una fattispecie di illecito faccia richiamo, solo quoad poenam (id est: quanto alla sanzione applicabile) ad altra norma prevedente diversa fattispecie. 8. Nel caso che ne occupa, il comma 2 dell'art. 186 del codice dalla strada prevede, come ipotesi astratta soggetta a sanzione, la condotta di colui che guida in stato di ebbrezza, mentre il comma 7 prevede la condotta di colui che, opportunamente invitato a sottoporvisi, rifiuti l'accertamento del tasso alcolemico. Non vi è alcun dubbio che le condotte previste dalle due ipotesi astratte siano diverse nel loro contenuto, sia fattuale che temporale, e che il comma 7, facendo salva l'ipotesi che il fatto costituisca più grave reato, richiami la norma del comma 2 solo quanto alle sanzioni. 59 9. Per quanto concerne, poi, le indicazioni della tabella allegata all'art. 126-bis C.d.S., il Collegio osserva che non è decisivo l'argomento secondo cui nella colonna indicante il punteggio 10 (da decurtare) siano previsti i commi 2 e 7, posto che: a) ciò si verifica anche negli altri casi in cui lo stesso punteggio (da decurtare) è previsto per ipotesi di illeciti diversi (si pensi all'art. 189 che prevede la decurtazione di 10 punti per l'ipotesi di cui al comma 5 secondo periodo, del C.d.S., costituente illecito amministrativo, e l'ipotesi del comma 6, costituente delitto; alla violazione dell'art. 172, che comporta la stessa decurtazione di punti per chi non fa uso delle cinture di sicurezza e per la condotta, indubbiamente diversa, di chi, pur facendone uso, ne altera il funzionamento; all'art. 174 c. 4 e 5; all'art. 191 che prevede l'obbligo per conducenti di fermarsi o arrestarsi in diverse situazioni di fatto). Solo nel caso in cui i punteggi siano diversi, vi è nella tabella l'indicazione di essi sotto diverse colonne a la previsione della (diversa) ipotesi sanzionatola, quando questa sia prevista nello stesso articolo); b) non sarebbe ragionevole applicare (come si pretende nella specie) la stessa decurtazione di punteggio a chi commetta due violazioni entrambi meritevoli di sanzione ed a chi commetta una sola delle violazioni accertate e previste nello stesso articolo. 10. Quanto alle finalità della normativa che ha introdotto la decurtazione dei punti, deve affermarsi il principio esattamente opposto a quello propugnato dal ricorrente secondo il quale si dovrebbe applicare sempre e solo la sanzione (unica) a quei comportamenti che creino pericolo alla circolazione e solo per le condotte che violino le disposizioni sul comportamento alla guida, così che sarebbe “incongruo sanzionare con la riduzione del punteggio il rifiuto di sottoporsi all'esame alcolimetrico, che non crea alcun pericolo per la sicurezza della circolazione e che sarebbe sottoposto a sanzione solo perché considerato dall'ordinamento come implicita ammissione dello stato di ebbrezza”. 10.a. Si tratta di argomenti che certamente non tengono conto del complesso delle norme del codice della strada alla cui violazione consegue la decurtazione del punteggio. Basti pensare alla violazione di obblighi tesi alla protezione del guidatore, come l'uso del casco e delle cinture, o alla fuga dopo un incidente con danni alle persone, che ha lo scopo di consentire l'identificazione del guidatore coinvolto e ne sanziona solo la condotta successiva all'incidente, che nessun pericolo arreca alla sicurezza della circolazione. È proprio quest'ultimo esempio che dimostra come il legislatore ha scelto di punire e comminare la decurtazione dei punti, anche per quelle (sole) condotte che impediscano l'accertamento dei fatti connessi alla (già avvenuta) violazione di una norma di comportamento nella guida, come quella di chi non si fermi dopo un incidente o che impedisca l'accertamento dello stato di ebbrezza alcoolica o sotto l'influenza di sostanze stupefacenti. La diversità dei beni giuridici tutelati dalle due ipotesi di guida in stato di ebbrezza e di rifiuto di sottoporsi all'accertamento conferma ancora una volta la diversità e l'autonomia delle singole ipotesi (nella specie delittuose) e, quindi, della ratio puniendi. 11. In buona sostanza, nel caso di plurime violazioni della legge e di concorso effettivo o reale (non apparente) di norme o di plurime violazioni della stessa norma, vige il principio generale del cumulo materiale (più azioni od omissioni) o formale (una sola azione od omissione) (sanciti, in materia penale dagli artt. 73 commi 1 e 3 e 81 c. 1 c.p.). Il cumulo materiale si esprime nel concetto tot crimina tot poenae e le conseguenze sanzionatorie possono essere attenuate nei soli casi previsti dal legislatore (concorso formale o continuazione). 12. La conferma di tali principi si rinviene, quanto alla materia della sanzioni amministrative in generale, nella legge fondamentale che le regola (art. 8 legge n. 689/81), e, proprio per il caso della decurtazione dei punti dalla patente, dall'art. 126, comma 1-bis del codice della strada che prevede la decurtazione nel massimo di 15 punti quando vengano accertate contemporaneamente più violazioni delle norme di cui a comma 1. Nel caso di specie la violazione di detta norma (art. 126, comma 1 bis C.d.S.) non venne denunziata al giudice di primo grado né lo è stata in questa sede e, in ogni caso, la disposizione non poteva - né può - essere applicata, per l'assorbente ragione che, per entrambe le violazioni accertate (artt. 186 commi 2 e 7 C.d.S.), è prevista la sospensione della patente di guida. 13. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente alle spese, liquidate in Euro 600,00 per onorario, oltre le spese prenotate a debito. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 600,00 per onorario, oltre le spese fisse e quelle prenotate a debito 60 61 CORTE DI CASSAZIONE PENALE , SEZIONE QUARTA Sentenza n. 18958 del 06/05/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE – REATI DEL CODICE DELLA STRADA: GUIDA IN STATO DI EBBREZZA – ART 186. La prova dello stato di ebbrezza del conducente dell'autoveicolo, , può essere provato e accertato con qualsiasi mezzo, e non necessariamente, attraverso la strumentazione e la procedura indicate nell'art. 379 del regolamento di attuazione ed esecuzione del codice della strada (c.d. etilometro). Con sentenza del 5/11/2007, il G.I.P. del Tribunale di Vigevano ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di XXX in ordine alla contravvenzione di guida in stato di ebbrezza alcolica perché il fatto non sussiste (capo A dell'imputazione) ed in ordine alla contravvenzione di rifiuto di sottoporsi all'accertamento alcolimetrico perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato (capo B). Ricorre per cassazione, limitatamente alla pronuncia di proscioglimento dall'imputazione sub A), il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Milano, censurando per violazione di legge la tesi propugnata in sentenza dal primo giudice, secondo la quale la recente introduzione di sanzioni differenziate a seconda del tasso alcolemico rilevato a carico del trasgressore, ad opera dell'art. 5 lettera a) del D.L. 3/8/2007 n. 117, non consentirebbe più di desumere lo stato di ebbrezza solo da elementi sintomatici esterni, onde, in caso di suo rifiuto di sottoporsi al test alcolimetrico, la condotta dell'imputato non sarebbe più sanzionabile penalmente, proprio per effetto dell'indeterminatezza del tasso alcolemico al quale rapportare la corrispondente sanzione. Il ricorso è fondato. La tesi sostenuta nella sentenza impugnata, per giustificare il proscioglimento dell'imputato dall'imputazione di guida in stato di ebbrezza alcolica, è giuridicamente infondata, conducendo essa al risultato aberrante di disapplicare sostanzialmente la legge nei confronti di coloro che trasgrediscano al precetto di cui all'art. 186, comma 2, del cod. strad. e, successivamente, rifiutino di sottoporsi al test alcolimetrico. Invero, la modifica introdotta dall'art. 5 lettera a) del D.L. 3/8/2007 n. 117 (poi, convertito con modificazioni con L. 2/10/2007 n. 160) in materia di guida in stato di ebbrezza, lungi dal depenalizzare una tale condotta, ha al contrario per lo più inasprito - in coerenza, del resto, alle intenzioni del legislatore di “incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione stradale” - il relativo trattamento sanzionatorio, graduandolo in relazione alla maggiore o minore gravità della violazione, la quale, quindi, è stata configurata in tre, per così dire, “fasce” di illiceità, differenziate in ragione della diversa consistenza del tasso alcolemico accertato, tuttavia mantenendo fermo il valore che delimita l'area di rilevanza penale a 0,5 grammi per litro. Le tre “fasce” di illiceità individuate dal legislatore sono state, in sintesi, così configurate: 1. prima fascia (lett. A): ammenda da 500 a 2000 euro, nei casi in cui il tasso alcolemico accertato è superiore a 0,5 grammi per litro e non superiore a 0,8. È d'uopo avvertire che la legge di conversione n. 160/2007 citata, avendo soppresso la previsione dell'arresto congiunta all'ammenda, ha reso oblabile la contravvenzione di “prima fascia”, con la conseguenza che la nuova più favorevole disposizione sanzionatoria, voluta dalla legge di conversione, entra nell'orbita dell'art. 2, comma 4, c.p., ed è, pertanto, destinata ad essere applicata ai procedimenti in corso in cui sia stato accertato il tasso alcolemico sopra indicato, nonché, per le ragioni di seguito precisate, nei casi in cui la prova dello stato di ebbrezza non sia fondata su accertamenti tecnici, perché non eseguiti a seguito di rifiuto del trasgressore o non ritualmente eseguiti. 2. seconda fascia (lett. B): ammenda da 800 a 3200 euro ed arresto fino a 3 mesi se il tasso alcolemico accertato è superiore a 0,8 grammi per litro e non superiore a 1,5. 3. terza fascia (lett. C): ammenda da 1500 a 6000 euro d arresto fino a 6 mesi se il tasso alcolemico accertato èsuperiore a 1,5 grammi per litro. Orbene, sul piano probatorio, la possibilità per il giudice di avvalersi, ai fini dell'affermazione della sussistenza dello stato di ebbrezza, delle sole circostanze sintomatiche riferite dagli agenti accertatori, sembra al Collegio - in coerenza all'intero sistema normativo nella materia de qua agitur - debba, pur a seguito della riformulazione dell'art. 186 cod. strad., circoscriversi alla sola fattispecie meno prave (quella di prima fascia, di cui alla lett. A) del comma 2 dell'art. 186 cod. strad.), imponendosi, invece, per le ipotesi più gravi (quelle di seconda e terza fascia) l'accertamento tecnico del livello effettivo di alcool nel sangue. Ne deriva che, nel caso di specie, il giudice di prime cure ha, discostandosi erroneamente dalla corretta interpretazione dell'art. 186 cod. strad., eluso sostanzialmente l'obbligo di motivazione in tema di prova dello stato di ebbrezza del conducente dell'autoveicolo, stato che, in conformità ai consolidati e tutt'ora operanti principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, può essere provato e accertato con qualsiasi mezzo, e non necessariamente, come sostiene il predetto giudice, attraverso la strumentazione e la procedura indicate nell'art. 379 del regolamento di attuazione ed esecuzione del codice della strada (c.d. etilometro). 62 Infatti, per il principio del libero convincimento, per l'assenza di prove legali e per la necessità che la prova non dipenda dalla discrezionalità dell'interessato, il giudice può desumere lo stato di alterazione psicofisica derivante dall'influenza dell'alcool da qualsiasi elemento sintomatico dell'ebbrezza (ad es. dall'alterazione della deambulazione, dall'eloquio sconnesso, dall'alito vinoso, etc.), così come può disattendere l'esito fornito dall'“etilometro” - ancorché risultante da due determinazioni del tasso alcolico concordanti ed effettuate a intervallo di cinque minuti - sempre che del suo convincimento fornisca motivazione logica ed esauriente. Dall'accoglimento del ricorso del P.G. consegue l'annullamento della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti al Tribunale di Vigevano, affinché ulteriormente proceda nei confronti dell'imputato in relazione al reato ascrittogli al capo A) della rubrica, uniformandosi ai principi giuridici sopra affermati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di guida in stato di ebbrezza alcoolica e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Vigevano, altro magistrato. 63 CORTE DI CASSAZIONE PENALE, SEZIONE QUARTA Sentenza 13831 del 30/03/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE –REATI DEL CODICE DELLA STRADA– ARTT 186- 213 . GUIDA IN STATO DI EBBREZZA – Il sequestro preventivo del veicolo fino all'esito del giudizio, data la confisca obbligatoria ex art. 186, comma 2, lett. c,., è disposto sempre che sussista il "fumus" del reato; la restituzione dello stesso, potrebbe produrre una situazione successiva di impossibilità a procedere in tal senso in caso di condanna. FATTO Con decreto del 2 luglio 2008 il G.I.P. presso il Tribunale di Milano disponeva, ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 2, il sequestro preventivo della vettura (OMISSIS) di proprietà di F.F.. Il G.I.P. dava atto del fatto che a seguito di un controllo, al F. era stato rilevato un tasso alcolemico di 1,90 g/l, cosicchè lo stesso era indagato del reato di guida in stato di ebbrezza; osservava ancora il G.I.P che detta norma, come modificata dalla novella del 2008, ed avuto riguardo al livello del tasso alcolemico riscontrato nell'organismo del F., prevedeva la confisca del veicolo se appartenente allo stesso autore del reato: di tal che il sequestro doveva essere disposto in funzione della successiva confisca. Avverso detto provvedimento presentava istanza di riesame il F., contestando l'esistenza stessa del "fumus" del reato posto che, a suo avviso, in mancanza delle due prove strumentali previste per legge, il fatto sarebbe al più riconducibile nell'ambito di applicazione dell'ipotesi di cui alla fascia a) dell'art. 186 C.d.S., comma 2, per la quale non è prevista la confisca del veicolo. Il Tribunale di Milano - in funzione di giudice del riesame - dichiarava inammissibile il gravame. Quanto alla configurabilità del reato contestato, il Tribunale riteneva sussistente il "fumus" richiamando le circostanze evidenziate nel provvedimento di sequestro quali desumibili dal verbale di contestazione: in particolare, l'esito dell'esame alcolimetrico e le condizioni soggettive del F. al momento del controllo quali direttamente descritte dagli operanti ed espressamente indicate come causa impeditiva dell'ultimazione del test attraverso l'espletamento della seconda prova. Detto giudice, riteneva esservi peraltro carenza dell'attualità di interesse dell'indagato ad ottenere una pronuncia del Tribunale stesso trattandosi di res soggetta a confisca obbligatoria ex art. 240 c.p., comma 2; sottolineava il Tribunale che l'effetto restitutorio - anche a seguito dell'eventuale accertamento dell'illegittimità del decreto di sequestro gravato - doveva ritenersi impedito dal disposto dell'art. 324 c.p.p., comma 7, che precluderebbe, anche a seguito di annullamento del decreto di sequestro, la restituzione dei beni soggetti a confisca obbligatoria ai sensi dell'art. 240 c.p., comma 2. Conclusivamente, evidenziava il Tribunale che non poteva che prendersi atto dell'impossibilità di restituzione ai sensi dell'art. 324 c.p.p., comma 7, e, quindi, della carenza di interesse a una pronuncia sull'impugnazione che, in ogni caso, mai avrebbe potuto determinare la restituzione nel procedimento incidentale. Ricorre per cassazione il F., tramite il difensore, deducendo violazione di legge sull'asserito rilievo della esistenza dell'interesse al riesame, e, conseguentemente, alla restituzione del veicolo, posto che, a suo avviso, sarebbe insussistente il presupposto stesso del sequestro, e cioè la ipotizzabilità, anche in astratto, del reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), tenuto conto della mancanza della seconda prova con l'etilometro. DIRITTO Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito enunciate. Mette conto premettere che erroneamente il Tribunale ha dichiarato l'inammissibilità della domanda di riesame. Stabilisce, invero, l'art. 324 c.p.p., comma 7, che la revoca del provvedimento di sequestro non può essere disposta "nei casi indicati nell'art. 240 c.p., comma 2". Si tratta dei casi riguardanti le "cose che costituiscono il prezzo del reato" e quelle "la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali" costituisca reato; di queste cose è sempre ordinata la confisca obbligatoria (del secondo gruppo di esse "anche se non è stata pronunciata condanna"). Richiamandosi a detta disposizione il Tribunale ha - come si è visto - affermato la carenza di interesse del F., dichiarando l'inammissibilità della sua domanda. Sennonchè il veicolo alla guida del quale il soggetto sia sorpreso in stato di ebbrezza non è riconducibile ad alcuna di dette categorie di cose. Ne deriva che la disposizione dell'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), là dove contempla che sia sempre disposta, con la sentenza di condanna o con quella di applicazione della pena a richiesta delle parti, la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato "ai sensi dell'art. 240 c.p., comma 2", richiama quest'ultima disposizione non con l'intenzione di affermare che il caso disciplinato rientri tra quelli che detta disposizione contempla, ma semplicemente al fine di rimarcare l'obbligatorietà della confisca, sempre che il veicolo non appartenga a persona estranea al reato e che sia stata pronunciata sentenza di condanna o di patteggiamento. 64 In assenza di una norma siffatta il veicolo con il quale è commessa la contravvenzione in esame (o quella di rifiuto all'accertamento di cui all'art. 186, comma 7), andrebbe ricondotto, seguendo le linee tracciate dall'art. 240 c.p., nel novero delle cose, indicate nel primo comma di detto articolo, soggette a confisca facoltativa. La confisca è, invece, obbligatoria proprio perchè così ha voluto, in deroga all'art. 240 c.p., il legislatore del codice della strada, ma, come si è detto, è rispondente alla ratio legis interpretare il richiamo, contenuto nell'art. 186, all'art. 240 c.p., comma 2, non come riferimento alla natura ed alle caratteristiche delle cose ivi elencate, bensì nel senso della previsione della obbligatorietà della confisca per il veicolo condotto da soggetto in stato di ebbrezza ai sensi dell'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c, (ovvero da soggetto che si è rifiutato di sottoporsi all'accertamento): il veicolo non è ex se una res tale da non poter restare in circolazione prescindendo dal soggetto che ne aveva la disponibilità e dall'esito del giudizio, ma una res da considerarsi pericolosa solo in relazione a quel soggetto trovato in (grave) stato di ebbrezza (o che si è rifiutato di sottoporsi all'accertamento in tal modo impedendo di fatto il controllo delle sue condizioni di idoneità alla guida), ed ovviamente all'esito dell'accertamento giudiziale della attribuibilità di quel fatto-reato al soggetto cui è stata sottratta la disponibilità della res con il sequestro. Siffatta interpretazione, tra l'altro, si pone assolutamente in sintonia con i principi che le Sezioni Unite di questa Corte enunciarono allorquando furono chiamate ad esaminare una analoga questione con riferimento alla confisca prevista dall'art. 722 c.p. ("è sempre ordinata la confisca") per il denaro esposto nel gioco d'azzardo e per gli arnesi od oggetti ad esso destinati; nella circostanza, le Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 5 del 25/03/1993 Cc. - dep. 23/04/1993 - Rv. 193120, imp. Carlea ed altri), sottolineando che l'art. 722 c.p., prevede un caso di confisca obbligatoria in seguito a condanna, hanno affermato che, conseguentemente, "l'avverbio sempre non sta a significare che la misura deve essere disposta anche nel caso di proscioglimento e in particolare nel caso di estinzione del reato", ed hanno altresì precisato che nei casi dell'art. 240 c.p., comma 1, e comma 2, n. 1, come in quello dell'art. 722 c.p., essendo richiesta la condanna, non può essere disposta la confisca se il reato è estinto, mentre a una diversa conclusione deve pervenirsi nel caso dell'art. 240 c.p., comma 2, n. 2, che impone la confisca anche nel caso di proscioglimento". Tornando alla questione concernente la confisca prevista dall'art. 186 C.d.S., appare evidente dunque che, fino all'esito del giudizio, e sempre che sussista il "fumus" del reato, non può essere disposta la restituzione del veicolo, posto che, a voler ritenere consentita la restituzione dello stesso, potrebbe verificarsi una situazione di impossibilità di confisca della "res", in caso di condanna (o di applicazione della pena), non potendo certo escludersi che il soggetto interessato, una volta ottenuta la restituzione del veicolo, ceda poi a terzi, nelle more del giudizio e prima della sentenza di condanna (o di applicazione della pena), il veicolo stesso: d'altra parte non è neanche prevista la confisca per equivalente. Ciò premesso, in sede di riesame di decreto di sequestro preventivo di un veicolo in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza ex art. 186 C.d.S., comma 2, lett. C), (o di rifiuto di sottoporsi al test strumentale), deve dunque attribuirsi rilievo alla configurabilità - vale a dire al "fumus", trattandosi della fase cautelare - del reato che, nel caso di condanna (o applicazione della pena), comporta la confisca del veicolo: ed invero, nel caso di insussistenza del "fumus", ed alla luce delle precisazioni di cui sopra, non potrebbe in alcun modo escludersi l'interesse (attuale e concreto) del soggetto, privato del bene, alla restituzione della "res". Orbene, nel caso in esame l'impugnato provvedimento non presenta alcun vizio motivazionale laddove è stato ritenuto astrattamente configurabile il reato contestato al F., avendo il Tribunale espressamente richiamato l'esito della prima prova dell'alcoltest e le condizioni in cui si presentava il F. al momento del controllo, ritenute addirittura impeditive della seconda prova strumentale. Detta situazione deve ritenersi certamente idonea, nella fase cautelare, a sorreggere un giudizio di configurabilità del reato, spettando poi al giudice della cognizione la piena valutazione, nel merito ed ai fini dell'affermazione di colpevolezza, della situazione fattuale, descritta dal verbalizzante, e del mancato espletamento della seconda prova dell'accertamento strumentale. Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 65 CORTE DI CASSAZIONE PENALE, SEZIONE QUARTA Sentenza 4118 del 28/01/2009 CIRCOLAZIONE STRADALE –REATI DAL CODICE DELLA STRADA - OMICIDIO COLPOSO - ART 589 C.P. e 186 CDS - Aggravante del dolo eventuale e prova dello stato di ebbrezza. E’ legittimo utilizzare i risultati del prelievo ematico effettuato, secondo i normali protocolli medici di pronto soccorso, per dimostrare lo stato di ebbrezza del conducente di un veicolo e condannarlo per omicidio colposo aggravato per essersi posto alla guida l'abituale nonostante l’ abuso abituale di alcolici provocando la morte di una persona. Fatto e diritto XXX ricorre contro la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza di primo grado che lo aveva condannato, concesse le circostanze attenuanti generiche subvalenti rispetto alle aggravanti contestate, alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione, giorni venti di arresto ed euro 715 di ammenda nonché alla sanzione amministrativa di euro 1500, oltre al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, per i reati di omicidio colposo plurimo conseguente ad incidente stradale (a seguito dell'incidente erano deceduti quattro giovani, che viaggiavano a bordo di tre ciclomotori ed un quinto aveva riportato lesioni personali gravissime), aggravato altresì dalla previsione dell'evento ex art. 61, n. 3, c.p., resistenza continuata a pubblico ufficiale e guida in stato di ebbrezza, commessi il 23 aprile 2007. Sui motivi di appello, diretti a sostenere l'inutilizzabilità degli accertamenti ematici eseguiti presso la struttura ospedaliera, la Corte di merito richiamava l'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte secondo il quale, ai fini della configurabilità della contravvenzione della guida in stato di ebbrezza, è utilizzabile anche il referto medico relativo al ricovero in ospedale a seguito di incidente stradale, trattandosi di un documento che, a norma dell'art. 234 c.p.p., può valere come prova per il principio del libero convincimento e per l'assenza di prove legali. Allo stesso fine veniva altresì fatto riferimento alla deposizione testimoniale della titolare del bar, dal quale l'XXX era uscito la sera in cui avvenne l'incidente. In merito alle contestazioni svolte sulla valutazione compiuta dal giudice di primo grado in ordine allo stato di ubriachezza abituale dell'imputato, i giudici di appello richiamavano, oltre alle testimonianze dei gestori del bar della zona frequentati dal ricorrente, anche gli esiti della consulenza medico legale, che attestavano un abuso di sostanze alcoliche negli ultimi otto mesi precedenti l'incidente e livelli di transaminasi e bilirubina che confermavano un danno epatico iniziale da statosi epatica da alcol. Sull'aggravante ex art. 61, n. 3, c.p., la sentenza evidenziava il comportamento incosciente ed altamente negligente dell'XXX, il quale, nonostante fosse in grave stato di ebbrezza (nel sangue era stato rinvenuto un valore di mg 285/dl pari a circa sei volte il limite consentito) si era posto alla guida del mezzo, così prevedendo la possibilità di eventuali incidenti ma facendo affidamento [mal riposto evidentemente] sulla propria abilità al fine di evitarli. Avverso la sentenza, propone ricorso l'XXX, che articola distinti motivi di doglianza, nessuno dei quali merita accoglimento, per le ragioni di seguito esposte. In primo luogo, reitera l'eccezione di inutilizzabilità degli accertamenti ematici svolti presso la struttura ospedaliera, in assenza del consenso dell'imputato. In proposito si sostiene che il riferimento operato dai giudici alle condizioni fisiche dell'XXX era del tutto generico e contrastante con la documentazione in atti da cui emergevano, al contrario, buone condizioni generali del soggetto. Lamenta altresì la carenza di motivazione con riferimento alle conclusioni raggiunte dai giudici di merito circa lo stato di ubriachezza dell'imputato la sera dell'incidente, fondato sulla deposizione di una teste che non aveva effettuato nessun riconoscimento diretto dell'imputato. Analoga censura viene svolta in merito alla valutazione compiuta dai giudici di merito sullo stato di ubriachezza abituale, posto a fondamento della contestata aggravante della previsione dell'evento. Sotto tale ultimo profilo si sostiene che il giudice di appello non avrebbe fornito adeguate risposte alle censure articolate sul rilievo della mancanza di univocità delle testimonianze assunte in merito all'uso abituale di sostanze alcoliche da parte dell'XXX e l'assenza di ogni riconoscimento diretto da parte dei testimoni. Quanto agli accertamenti medici relativi a tale abitualità, la Corte di merito non avrebbe tenuto conto dei rilievi difensivi circa l'asserita genericità del dato privilegiato (i valori di bilirubina) dal sanitario del carcere - che si assume sprovvisto di competenza specifica - e la correttezza del metodo adottato per siffatto accertamento. Quanto all'aggravante della previsione dell'evento si sostiene che, proprio la ritenuta ubriachezza abituale dell'XXX, unitamente al dato negativo dell'assenza di precedenti specifici, doveva portare a concludere per la ragionevole convinzione del medesimo di poter guidare senza problemi. Inoltre, nonostante la ritenuta previsione dell'evento, non era stata applicata la continuazione tra omicidio colposo e la guida in stato di ebbrezza. Infine, quanto al trattamento sanzionatorio, si contesta la severità del trattamento sanzionatorio, che non avrebbe tenuto conto che la condotta del ricorrente andava collocata nell'ambito socio-culturale di riferimento, del quale 66 contraddittoriamente dava atto la stessa sentenza quando faceva riferimento alla radicata abitudine dell'intera comunità nomade di intrattenersi a bere nei locali pubblici del luogo. Inoltre, i giudici di appello non avrebbero tenuto conto della condotta susseguente al reato, pure prevista dall'art. 133 c.p. come elemento di valutazione, tenuta dall'imputato e documentata dalla difesa , che dimostrava la cessazione dell'assunzione di alcolici, come pure il dato emergente dagli atti che lo stesso non si era dato alla fuga dopo l'incidente, pur avendone avuto la possibilità. Nessuna delle censure proposte può trovare accoglimento. Quanto alla questione relativa all'utilizzabilità del prelievo ematico va ricordato il pacifico assunto interpretativo secondo cui, ai fini dell'accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, i risultati del prelievo ematico che sia stato effettuato, secondo i normali protocolli medici di pronto soccorso, durante il ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito dell'incidente stradale sono utilizzabili, nei confronti dell'imputato, per l'accertamento del reato, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica e restando irrilevante, ai fini dell'utilizzabilità processuale, la mancanza del consenso. Secondo tale prospettazione, piuttosto, solo il prelievo ematico effettuato, in assenza di consenso, non nell'ambito di un protocollo medico di pronto soccorso - e dunque non necessario a fini sanitari - sarebbe inutilizzabile ex art. 191 c.p.p. per violazione del principio costituzionale che tutela l'inviolabilità della persona (art. 13 Cost.) (cfr., da ultimo, Sezione IV, 21 settembre 2007, Saltari). Qui, in vero, si verte nell'ambito della prima ipotesi, con conseguente piena utilizzabilità degli esiti del prelievo a fini probatori dello stato di alterazione. Per il resto, laddove soprattutto si contesta il compendio probatorio utilizzato a supporto del ritenuto stato di alterazione, la doglianza è finanche inammissibile, laddove finisce con il proporre un sindacato di merito, da effettuare inaccettabilmente in sede di legittimità, sull'apprezzamento dei mezzi di prova, che compete al giudice di merito e che questi, peraltro, ha qui sviluppato in modo esaustivo e ampiamente logico, sì che le contestazioni operate in ricorso si risolvono solo in una diversa, opinabile lettura degli elementi indiziari. Infatti, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorché munite, in tesi, di eguale crisma di logicità, giacché, con riferimento al sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Quanto detto vale ovviamente anche in relazione agli argomenti utilizzati dal giudice di merito per ritenere dimostrata l'abitualità dello stato di alterazione da abuso di alcolici. Inaccoglibili sono le censure articolate a proposito della colpa con previsione. Infatti, quanto al contestato riconoscimento della colpa con previsione, il ricorrente prospetta, a supporto della censura, proprio una situazione di fatto che costituisce il proprium della aggravante, giacché è proprio l'abituale condizione di alterazione da abuso di alcolici che è stata ritenuta, non infondatamente, dimostrativa di quella malaccorta considerazione delle circostanze di fatto che hanno portato il prevenuto a porsi alla guida del mezzo in condizioni alterate senza considerare i rischi possibili di verificazione di un evento quale quello verificatosi. Neppure può censurarsi il mancato riconoscimento della continuazione, anche prescindendo dal rilievo che trattasi di questione che non sembra neppure essere stata devoluta al giudice di appello. Infatti, se è pur vero che l'unicità del disegno criminoso non è incompatibile con quella particolare figura di colpa che è la colpa con previsione, da ciò non discende alcun automatismo applicativo, presupponendo appunto l'attenta e rigorosa dimostrazione dell'unitarietà del disegno criminoso, la quale, come è noto, può essere ravvisata soltanto quando la decisione di commettere i vari reati sia stata presa dall'agente in un momento precedente la consumazione del primo e sia estesa a tutti gli altri, già programmati nelle loro linee generali. A ben vedere, la pretesa del ricorrente vorrebbe evocare, rispetto a tale questione, un atteggiamento psicologico assimilabile al dolo eventuale, piuttosto che alla colpa con previsione. In realtà, la doglianza è inaccoglibile con considerazione tout court assorbente, perché, sul punto, è oltremodo generica, perché si limita assertivamente a pretendere l'applicazione della continuazione, senza nulla dire sulle ragioni della pretesa sussistenza dei relativi presupposti. Anche la doglianza sul trattamento sanzionatorio non può essere accolta. Basta considerare che, come è noto, la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittali rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, qualora il giudice abbia adempiuto all'obbligo di motivazione, in ordine al quale è satisfattivo il richiamo, non illogicamente effettuato, ai parametri di riferimento oggettivi e soggettivi di cui all'art. 133 c.p. Ciò che qui il giudicante ha ampiamente sviluppato, valorizzando negativamente la gravità definita “immane” delle circostanze che hanno cagionato l'evento e le conseguenze definite “devastanti” della criminale condotta dell'imputato. È motivazione non inconferente rispetto all'obiettività della vicenda, che non può certo essere qui sindacata. Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (v. sentenza Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del medesimo al pagamento delle spese del procedimento e di una somma, che congruamente si 67 determina in mille euro, in favore della Cassa delle ammende, oltre alla rifusione delle spese del giudizio in favore delle costituite parti civili. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende; condanna altresì il ricorrente a rifondere alle parti civili le spese del giudizio.( omissis) 68 CORTE DI CASSAZIONE PENALE, SEZIONE QUARTA Sentenza 9991 del 6/02/2008 CIRCOLAZIONE STRADALE –REATI DEL CODICE DELLA STRADA– ARTT 186- 187 . GUIDA IN STATO DI EBBREZZA DA ALCOOL –in tema di guida in stato di ebbrezza di un motociclo per la conduzione del quale non è richiesta la patente, non può essere applicata la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida Con sentenza del 25/6/2007 il Tribunale di Trieste ha applicato su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p. a D. M. la pena di giorni quattordici di arresto ed Euro 500,00 di ammenda, ha sostituito la pena detentiva applicata con quella di Euro 532,00 di ammenda ed ha inflitto all'imputato la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di mesi due, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2 perchè guidava un ciclomotore Piaggio in stato di ebbrezza in conseguenza di bevande alcoliche. Il D. propone ricorso per Cassazione avverso detta sentenza lamentando nullità ex art. 606 c.p.p., lett. b) per inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 186 C.d.S., comma 2 in relazione all'art. 116 c.p.p.. In particolare il ricorrente lamenta l'illegittima applicazione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida nella fattispecie in cui il veicolo guidato in stato di ebbrezza era un ciclomotore Piaggio per la guida del quale non è necessaria la patente di guida. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è fondato. E invero assorbente e decisivo il rilievo che per condurre il ciclomotore in oggetto non era richiesta la abilitazione alla guida, ed è noto (Cass. Sez. Un. 30/01/2002 n. 12136, Cass. 16/12/2005 n. 45669 e, in precedenza, Cass. 13/07/2001 n. 35121) che, in tema di guida in stato di ebbrezza di un motociclo per la conduzione del quale non è richiesta la patente, non può essere applicata la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, che discenda per legge da illeciti posti in essere con violazione delle norme sulla circolazione stradale, a chi li abbia commessi conducendo veicoli per la cui guida non sia richiesta alcuna abilitazione, atteso che non sussiste, in tal caso, alcun collegamento diretto tra il mezzo con il quale il reato è stato commesso e l'abuso dell'autorizzazione amministrativa, in conseguenza del quale va applicata la sanzione accessoria; può comunque rilevarsi anche che (Cass. 17/03/1999 n. 867) la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, prevista per il reato di guida in stato di ebbrezza o di alterazione fisica o psichica correlata con l'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, non può essere disposta, per ineseguibilità derivante da mancanza dell'oggetto, quando il condannato non risulti titolare di patente. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio limitatamente alla statuizione - che va qui eliminata - relativa alla applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida dell'imputato. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quarta Penale, annulla la sentenza impugnata limitatamente alla disposta applicazione amministrativa della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida; sanzione che elimina. 69 70 71