SAGGI
YAEL ADLER
LA PELLE FELICE
Cos’è, cosa la nutre e
perché ci dice chi siamo
Traduzione di
FRANZ REINDERS
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www.illibraio.it
In copertina: progetto grafico di Mauro de Toffol / theWorldofDOT
Traduzione dal tedesco di
Franz Reinders
Titolo originale dell’opera:
Haut Nah
© 2016 Droemer Verlag. An imprint of Verlagsgruppe
Droemer Knaur GmbH & Co. KG, München
through Giuliana Bernardo Literary Agent
ISBN 978-88-11-14621-6
© 2016, Garzanti S.r.l., Milano
Gruppo editoriale Mauri Spagnol
Prima edizione digitale: ottobre 2016
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
LA PELLE FELICE
A Noah e Liam
PREFAZIONE
COME LEGGERE I SEGNI SULLA PELLE?
Si estende su appena due metri quadrati e avvolge tutto
ciò che ci portiamo dentro. La pelle è il nostro legame con
il mondo esterno. La nostra antenna. Trasmette e riceve, e
nutre i nostri sensi. È un oggetto del desiderio, la nostra
«frontiera», un recipiente affascinante che racchiude la nostra vita. La pelle è anche un biotopo gigantesco in cui vivono batteri, funghi, virus e parassiti.
Il linguaggio rivela l’importanza che la nostra pelle riveste per noi. Ci sono giorni in cui «non ci sentiamo bene nella nostra pelle»; qualche volta «non si sta più nella pelle»;
sul lavoro bisogna «avere la pelle dura»; a volte c’è chi «ci
leva la pelle» con le sue critiche o abbiamo «i nervi a fior di
pelle»; a qualcuno, guardando un grosso ragno, viene «la
pelle d’oca» o diventa «tutto pallido». In situazioni drammatiche si può avere paura di «lasciarci la pelle» e si è felici quando si riesce «a riportare la pelle a casa». Eppure sono pochi a sapere che cosa sia davvero la nostra pelle, come funzioni e soprattutto quanti e quali compiti essenziali
svolga per noi.
In primo luogo, la nostra pelle ci protegge come un muro di mattoni ricoperto da uno strato di acidi che tiene lontani agenti patogeni, veleni e allergeni. Allo stesso tempo
funge da impianto d’aria condizionata per il nostro corpo:
grazie a essa non ci surriscaldiamo, non ci raffreddiamo
troppo ed evitiamo un’eccessiva evaporazione che porterebbe alla disidratazione.
Per proteggerci da tutti questi pericoli, la pelle è continuamente in contatto con il nostro ambiente: misura la
temperatura, espelle ogni sorta di liquidi e secreti, assorbe
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la luce e la trasforma in calore. Con le sue cellule sensibili,
con i suoi peli sottili, ma anche con più o meno 2500 sensori presenti in ogni centimetro quadrato dei nostri polpastrelli, la nostra pelle controlla se fuori c’è vento, se fa freddo, se è secco, verifica se un oggetto è ruvido o liscio, duro
o morbido, tagliente o smussato. E, stando alle ricerche più
recenti, la nostra pelle è perfino capace di percepire suoni
e odori.
Ma c’è molto di più. Attraverso la pelle entriamo in contatto non solo con il nostro ambiente ma anche con altre
persone. Sapevate che i messaggi della nostra pelle sono
determinanti per la scelta del nostro partner? Il sapore
della pelle varia da persona a persona, e il profumo di
ognuno attira soltanto chi va bene per lui. La natura vuole che il nostro patrimonio genetico si mescoli il più possibile perché la nostra prole sia sana e robusta. Quando si
incontrano due diversi tipi di pelle e vengono generati dei
figli, la differenza promette una vantaggiosa miscela di geni. Questo fatto implica perfino un messaggio politico: la
pelle non conosce razzismo, essa cerca proprio la diversità
genetica.
Si può discutere sulla questione di quale sia l’organo genitale più grande dell’uomo: il cervello, perché inventa e
coltiva immagini e fantasie e perché crea il desiderio, oppure la pelle che sentiamo nell’amore, che contempliamo eccitati e che nel sesso si modifica sensibilmente? Nessuna eccitazione senza pelle nuda. Nessun desiderio senza pelle.
Nessun contatto fisico senza contatto con la pelle. Idee bollenti ci fanno venire la pelle d’oca in tutto il corpo. Perfino
il feticismo usa i simboli della pelle: lattice, pelo e cuoio
rimpiazzano eroticamente la pelle.
Capiamo subito che parlando di pelle ci si imbatte in tutta una serie di tabù. Tra questi tabù per molti di noi c’è la
nudità – la visibilità delle parti intime e l’imbarazzo invisibile dell’intimità – ma anche il fatto che la pelle può produrre a volte un gran bell’odore e, altre volte, una gran bella puzza, per non parlare delle imperfezioni, dei buchi, delle secrezioni e dei difetti. In poche parole, molte delle co-
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se di cui non amiamo parlare e che forse troviamo ripugnanti vengono dalla pelle: la forfora, il cerume, i brufoli,
il sebo, il sudore, la puzza dei piedi e così via.
Anche la questione delle malattie veneree non rientra tra
i nostri argomenti preferiti, soprattutto quando bisogna capire come le abbiamo contratte. I dermatologi sono anche
specialisti di «venereologia», termine che deriva dal nome
di Venere, la dea dell’amore. E quest’ultima trasmette all’uomo non solo il piacere, ma pure la sifilide, la gonorrea,
le verruche veneree, l’herpes, l’epatite o l’HIV: malattie che
per la maggior parte diventano visibili sulla pelle e che da
lì si diffondono nel corpo.
Per noi dermatologi questi fenomeni non sono affatto ripugnanti, anzi, li troviamo addirittura affascinanti. Le nostre riflessioni e analisi si appoggiano moltissimo sui sensi:
osserviamo, grattiamo, schiacciamo, sentiamo gli odori. La
conformazione, la consistenza e l’odore di una malattia
della pelle ci aiutano infatti a smascherare il «malfattore»
che l’ha provocata.
I dermatologi di un tempo usavano termini graziosi ed
eleganti per definire alcune condizioni dermatologiche
che in realtà sono fastidiose e poco estetiche, così riassumevano brufoli, macchie, pustole e croste sotto il termine «efflorescenza», ovvero «fioritura della pelle». Le emorragie
nelle gambe tra il ginocchio e il piede in presenza di vene
varicose – la cosiddetta «porpora cutanea» – sono raccolte
dai medici tedeschi sotto il nome di «purpura jaune d’ocre»,
cioè sangue diffuso a puntini color giallo e ocra, dando alla cosa un tocco di eleganza francese. Determinati tumori
vascolari rossi sono per noi «angiomi ciliegia». Sulla pelle
possiamo trovare «macchie di vino» e per i dermatologi tedeschi certe voglie cutanee color marrone chiaro sono «café au lait», macchie caffellatte.
Quando poi la pelle è secca al punto da screpolarsi, parliamo di un eczema «craquelé»: in questi casi infatti la pelle
assomiglia un po’ al «craquelé», ossia alle screpolature dei
colori negli affreschi di Michelangelo nella volta della Cappella Sistina, a Roma, che narrano la creazione del mondo
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e di un Adamo nudo e muscoloso che tende il dito indice
cercando di raggiungere Dio perché dal dito di Lui scocchi
la scintilla che gli dia la vita.
A volte i colleghi chirurghi e internisti ridono di noi dermatologi, definendoci «medici della superficie», per non
dire «superficiali». Hanno torto, ovviamente. Andiamo infatti molto in profondità, proprio come lo fa la pelle che
non comunica soltanto con il nostro ambiente e con altre
persone ma pure con il nostro mondo interno. C’è uno
scambio intenso tra la pelle e il nostro sistema nervoso e
immunitario. E l’aspetto della nostra pelle dipende in gran
parte da ciò che accade dentro di noi: come ci nutriamo,
ma anche come stiamo moralmente.
La pelle è lo specchio della nostra anima, è lo schermo su
cui si proiettano le storie del nostro intimo, le storie dell’inconscio. Come grandi investigatori criminali indaghiamo
con passione sugli indizi presenti sulla pelle. Questi segni ci
portano a volte negli strati profondi del corpo: di colpo scopriamo che la pelle parla di una difficoltà psicologica, di
stress, di una mancanza di equilibrio psichico, oppure dei
nostri organi e delle nostre abitudini alimentari.
Le rughe parlano di tristezza e di gioia, le cicatrici raccontano le ferite, una mimica fortemente modificata con il Botox
mostra la paura della vecchiaia, la pelle d’oca parla di paura o
di piacere, alcuni brufoli di un eccessivo consumo di latte,
zucchero e farina raffinata. Il sovrappeso provoca infezioni
nelle pieghe della pelle e una pelle secca e sudata può indicare problemi della tiroide. La pelle è come un grande archivio
pieno di segni e di indizi, alcuni ben visibili e altri nascosti.
Chi è capace di leggere queste tracce scoprirà con stupore come il visibile conduca spesso all’invisibile.
La nostra pelle è un organo affascinante, l’organo più
grande che abbiamo. È un capolavoro! Questo libro vuole
aiutare a comprendere meglio la nostra pelle e i suoi segni,
e quindi a comprendere meglio noi stessi. Scopriremo insieme il fascino di questo organo: lo sentirete subito, a pelle!
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PRIMA PARTE
Nel parcheggio sotterraneo, ovvero:
gli strati della nostra pelle
Immaginate la nostra pelle come un edificio a tre piani
che però non si eleva sopra il suolo ma che è costruito sotto terra, un po’ come un parcheggio sotterraneo. Da fuori
ne vediamo il tetto, lo strato corneo, su cui batte il sole. Possiamo immaginare che questo strato è realizzato in un materiale molto resistente e trasparente, un po’ come il vetro
latteo. Perciò solo alcuni raggi UV penetrano nel primo piano, l’epidermide, e raggiungono perfino il secondo, il derma. Il terzo piano sotterraneo è semibuio. Ed ecco l’aspetto affascinante di questa costruzione: a ogni piano, in ogni
strato della pelle, si trovano indizi e tracce particolari che
rivelano le nostre condizioni.
Non perdiamo altro tempo allora e diamo inizio alla nostra passeggiata nel tratto principale di questo edificio.
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1. PRIMO PIANO SOTTERRANEO.
L’EPIDERMIDE, OVVERO: VIVERE PER... MORIRE
Ed eccoci arrivati alla cosiddetta epidermide. L’epidermide (dal greco epidermís, composto di epí, «sopra» e dérma,
«pelle») è lo strato superiore della pelle, quello che possiamo vedere e sentire direttamente. Nella maggior parte dei
casi il suo spessore non supera i 0,05-0,1 millimetri, eppure
da sola l’epidermide sostiene eroicamente la barriera protettiva e il mantello acido protettivo della pelle. Sotto l’effetto di una pressione forte e continua, può ispessirsi, arrivando, per esempio nelle piante dei piedi, a formare callosità spesse più di due millimetri. Essa svolge alcune funzioni protettive essenziali verso l’esterno e verso l’interno: respinge sostanze chimiche, veleni e allergeni, ci difende da
attacchi biologici contro ogni sorta di agenti patogeni, si
oppone a eventi meccanici, un po’ come lo strato antigraffio di un telefono cellulare.
Se guardiamo l’epidermide con una lente d’ingrandimento, riconosciamo numerose linee sottili che la percorrono in diverse direzioni, formando dei piccoli campi che
assomigliano a figure geometriche come rombi, trapezi e
altri poligoni. Questo particolare disegno ricorda un po’
un terreno agricolo con campi di grano, prati e terre arate,
visti dall’alto.
Se la osserviamo in sezione, invece, ci accorgiamo che
questo strato di pelle non è un terreno tutto piatto, ma piuttosto collinoso: vi si alternano altipiani e profondi dirupi.
Nelle valli crescono i peli e sui crinali sfociano le ghiandole sudoripare. Nel mezzo di questo paesaggio si trovano
anche le ghiandole sebacee, i cui sbocchi si vedono benissimo nella pelle del viso: si tratta dei pori.
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Questo disegno a piccoli «campi» si riconosce particolarmente bene sulla schiena, sulle nocche della mano e nella
piega del gomito, mentre i palmi delle mani e le piante dei
piedi presentano un disegno diverso. I medici tedeschi definiscono questa parte dell’epidermide Leistenhaut, ovvero
«pelle a listelli». Il palmo della mano è percorso da piccoli
solchi paralleli, un po’ come un campo appena arato, che
formano un rilievo diverso in ciascun individuo. Tale unicità aiuta a identificare le persone, per esempio attraverso le
famose impronte digitali.
Ma perché l’epidermide si dà tanta pena per provvedere
le mani e i piedi di un altro tipo di pelle? La risposta è semplice: la pelle caratteristica del palmo della mano e della
pianta del piede è più robusta, il che rappresenta un grande vantaggio quando bisogna camminare, tastare o afferrare qualcosa. Questo specifico tipo di pelle è inoltre privo di
peli e di ghiandole sebacee. In compenso dispone di un
maggior numero di ghiandole sudoripare.
Non pensate: «Uffa, che noia... le mani sudate e i piedi
che puzzano!». Non è privo di senso che l’evoluzione abbia
prodotto questi fenomeni. Il sudore della pelle produce un
effetto «antiscivolo», per cui è più facile fuggire con i piedi
sudati quando spunta un orso dietro l’angolo. Per i nostri
antenati, il sudore dei piedi era essenziale per mettersi in
salvo e, quando ce n’era bisogno, le mani sudate – che aderiscono meglio al tronco di un albero – aiutavano ad arrampicarsi più in fretta.
Può suonare strano, ma il nostro corpo e la nostra pelle
abitano nella rude età della pietra, quando eravamo costantemente minacciati da animali selvaggi. Il fatto che poi abbiamo sostituito la steppa con la giungla delle metropoli è
stato un atto arbitrario, che non era stato previsto.
Pietra su pietra: la barriera protettiva della pelle
Tra i diversi compiti dell’epidermide, forse il più importante è quello di respingere gli intrusi provenienti dal-
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l’esterno. Essa svolge questo incarico formando uno strato
robusto che chiamiamo barriera protettiva della pelle.
Come nasce questo muro?
Guardiamo la struttura dell’epidermide con più attenzione. Essa si compone di quattro strati di cellule: uno strato di «cellule neonate», uno di «cellule adolescenti», uno di
«cellule adulte» e, infine, uno strato di cellule morte. Tutte
le cellule dell’epidermide iniziano la loro vita come «cellule neonate». Nel giro di quattro settimane, da queste cellule si formano tutti gli altri tipi di cellule fino allo strato protettivo vero e proprio che si colloca più in alto. Nel corso
della loro vita, le cellule dell’epidermide migrano dunque
dall’interno verso l’esterno.
Ma procediamo con ordine: lo strato che sostiene il livello zero è una membrana ondulatoria e stabile. Su di essa si
collocano in una prima fase le cellule «neonate», disposte
allegramente in fila. Queste cellule poi maturano per diventare «adolescenti» e formano lo strato spinoso dell’epidermide. In passato, gli studiosi dei tessuti dell’organismo,
volendo osservare queste cellule al microscopio, le mettevano prima di tutto sotto formalina per operare, secondo le
abitudini dell’epoca, una stabilizzazione del tessuto stesso.
In questo modo, le cellule si contraevano e rimanevano collegate soltanto tramite alcuni fili piccoli e rigidi. Questo
procedimento dava loro un aspetto spinoso che in qualche
modo faceva pensare a un incrocio tra una stella marina e
un riccio di mare.
Le cellule dello strato spinoso hanno un compito essenziale: producono una cocciuta proteina che va sotto il nome di cheratina, fondamentale per lo strato corneo. Perciò,
nel gergo specialistico, le cellule dello strato spinoso si chiamano anche cheratinociti. Non solo i capelli e le unghie sono formati da sostanze cornee: come vedremo a breve, queste sostanze sono essenziali anche per la robustezza della
barriera protettiva della pelle.
Intanto le cellule continuano a maturare e, nella terza fase della loro vita, entrano a far parte dello strato granuloso,
diventando simili ad «adulti» che si affacciano al mondo
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del lavoro. Qui le cellule dell’epidermide raggiungono il
più alto livello di produttività generando grandi quantità di
granuli che contengono grasso, cheratina e altre proteine.
Al termine di una vita professionale piena di soddisfazioni,
compiono il passo decisivo per la costruzione del «muro».
Come? Semplicemente morendo. Ma non è certo un
evento per cui rattristarsi.
Quando le cellule dello strato granuloso muoiono, infatti, diventano lamelle cornee e formano così una barriera
protettiva contro il mondo esterno. Le cellule morte si riconoscono dal fatto che hanno perso il loro nucleo. Senza nucleo la cellula non può lavorare, non ha più alcun metabolismo, non può più maturare ulteriormente, e questo perché il nucleo contiene tutto il DNA umano e gestisce tutta la
vita nelle cellule e nell’organismo. Nello strato corneo non
ci sono più nuclei; è tutto privo di vita, morto.
Osservando le cellule morte al microscopio, si può notare che assomigliano a piccoli mattoni. Sono minuscole, ma
molto robuste perché sono fatte di cheratina dura (ovvero
di una sostanza cornea). Queste lamelle cornee, piccole,
solide e morte, sono immerse in una sostanza simile alla
malta. Questa «malta» crea un solido legame tra i «mattoni» e respinge i corpi estranei che altrimenti potrebbero
approfittare di qualche lacuna per entrare nel corpo. Ecco
perché questo strato può essere paragonato a un muro fatto con mattoni e malta.
La «malta» è costituita dal contenuto dei granuli presenti nelle cellule dello strato granuloso. Quando le cellule
dello strato granuloso muoiono, i granuli fanno uscire la loro eredità che comprende proteine e grassi preziosi. Di certo vi sarete imbattuti in una delle tante pubblicità che reclamizzano benefiche creme alle ceramidi. Queste creme cercano di imitare i grassi protettivi della nostra pelle, ma prima che corriate al più vicino negozio di cosmetici sappiate
che finora l’obiettivo di ricostruire per filo e per segno questa meraviglia della pelle non è stato raggiunto da nessun
ricercatore e meno che mai dai produttori di creme. Ci riesce davvero soltanto il nostro corpo.
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Ma che cosa succede quando la barriera protettiva subisce qualche danno e si creano delle lacune? In questo caso
si presentano degli intrusi – allergeni, agenti patogeni e sostanze chimiche – che approfittano delle crepe nel muro e
nella malta per raggiungere gli strati profondi della nostra
pelle. Come se ciò non bastasse, il corpo non riesce più a
trattenere tutti i liquidi presenti nei suoi tessuti e pertanto
l’organismo ne perde rapidamente e in gran quantità.
Il risultato è che la nostra pelle si disidrata e diventa corrugata e grinzosa. Quando si perdono grassi e umidità, la
pelle appare pallida, incartapecorita e spesso comincia a
prudere. Se ci va proprio male, compare un brutto eczema
da disidratazione, con crepe «craquelé», e se ci va ancora
peggio si aggiunge una bella allergia. In primissimo luogo
dobbiamo dunque mantenere in funzione la barriera dello
strato corneo e delle sue cellule morte e, quando questo
strato viene danneggiato, dobbiamo almeno cercare di ripararlo. Vedremo in seguito i metodi migliori per farlo.
La forfora
Avete presente i cani da mantrailing ? Sono cani adeguatamente addestrati per cercare le persone scomparse di cui
riescono a seguirne le tracce perché il loro olfatto percepisce gli aromi delle cellule epiteliali disperse. Se io mi presentassi davanti a voi e vi chiedessi se ho la forfora, voi probabilmente mi direste di no, perché non ci sono puntini
bianchi visibili sulla mia giacchetta nera. Ma la verità è che
tutti perdiamo in continuazione delle piccole cellule provenienti dallo strato corneo, cellule che non servono più e
che cedono il posto a nuove lamelle cornee. Ognuno di
noi, a contarle tutte, ha più o meno 40.000 lamelle cornee
pronte a staccarsi: 40.000 al minuto! Le stime dei diversi ricercatori variano e arrivano a ipotizzare una perdita fino a
10 grammi al giorno.
Che cosa accade di preciso durante questo processo?
Le cellule del nostro strato corneo hanno vissuto un’esi-
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stenza gratificante. Dopo un periodo di maturazione durato quattro settimane sono morte con successo, poi sono rimaste per un po’ di tempo nell’organismo; come piccoli
mattoni hanno fatto funzionare la barriera protettiva della
pelle per poi staccarsi a una a una dal nostro corpo. Quando tutto va bene, cadono in maniera impercettibile senza
che l’occhio umano le avverta.
Guai, però, se ci troviamo dinanzi una persona con la forfora ben visibile! In questo caso ci sentiamo in imbarazzo e
non la consideriamo per niente attraente, bensì antiestetica. Un colletto pieno di forfora è segno che qualcosa non
va. A volte le cellule affiorate in superficie sono semplicemente troppe, giungono troppo veloci e soprattutto senza
ritegno.
Nel tramestio tumultuoso di crescita e morte delle cellule può capitare che alcune cellule vive dello strato spinoso
saltino a piè pari la fase dello strato granuloso e migrino direttamente nello strato corneo. È un po’ come se una persona saltasse la pubertà in cui dovrebbe maturare e staccarsi dai genitori. Quando i cheratinociti non hanno il tempo
necessario per maturare non imparano a staccarsi dalla loro «casa» e non procedono composti verso l’autonomia, il
che diventa un problema per la barriera protettiva della
pelle perché le cellule ancora provviste di un nucleo non
sono adatte a essere utilizzate come «mattoni» della barriera protettiva. Come se non bastasse, queste cellule non hanno neppure prodotto la «malta», né hanno avuto il tempo
di morire con calma, per cui rimangono appiccicate alle loro compagne di strada. Non possono piovere in modo discreto dal nostro corpo, ma formano dei grumi che, quando si staccano, si portano dietro le compagne, che queste
vogliano partire o no. Solo quando mille cellule dello strato corneo sono incollate tra di loro il nostro occhio riesce
a percepirle come forfora.
La forfora nasce soprattutto da infiammazioni dell’epidermide che si chiamano eczemi. Per leggera che possa essere, ogni infiammazione dell’epidermide provoca un’accelerazione nel distaccamento delle cellule. Il corpo infatti
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vuole liberarsi di qualcosa – un’irritazione, un allergene,
un agente patogeno o un problema di disidratazione – e la
pelle crede di poter rilasciare più rapidamente questo peso
se accelera il ricambio delle cellule. In presenza di eczemi
e di psoriasi, la migrazione delle cellule attraverso l’epidermide si compie più o meno in cinque giorni, mentre in
condizioni normali impiega quattro settimane. La forfora
visibile indica sempre uno stato quasi patologico che, di
norma, prima o poi rientra da sé e che, in alternativa, dev’essere invece trattato da un medico.
Accanto agli eczemi allergici e infiammati esiste anche
un eczema grasso con forfora grassa che, in presenza di un
eccesso di sebo, può far proliferare alcuni lieviti presenti
nei pori. Questi lieviti, infatti, amano il sebo e se lo mangiano, producendo poi determinate sostanze che irritano la
pelle, la quale a sua volta reagisce – come sempre in maniera un po’ ingenua – producendo la forfora.
Per fortuna si tratta di un fungo non contagioso: vive nei
nostri pori e diventa aggressivo soltanto quando mangia
troppo sebo. Ha anche un bel nome che fa pensare ai draghi
delle favola: Malassezia furfur. Per incatenare questo drago il
dermatologo avveduto deve prima di tutto stabilire se si tratta di forfora secca o grassa, perciò ne analizza il colore e il
comportamento: bianco e polveroso significa «forfora secca», giallo e appiccicoso vuol dire «forfora grassa». Schiacciata tra le dita, la forfora grassa lascia una pellicola oleosa.
Gli eczemi grassi colpiscono soprattutto gli uomini.
Quando vengono nel mio ambulatorio rimangono spesso
irremovibili se dico: «Questo non è un eczema secco. Al
contrario, è un eczema grasso». «No, dottoressa!» assicurano. «Ho una pelle secchissima. Mi si desquama sempre ai
lati del naso, in testa e sotto le sopracciglia e a volte perfino nelle orecchie.»
«E lei che cosa fa per risolvere il problema?»
«Be’, prendo il vasetto di crema di mia moglie, sa, il “trattamento nutriente per la notte, per le pelli mature a partire dai quarant’anni”, me la spalmo sulle parti secche e la
mattina dopo è già sparito tutto!»
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E, ovviamente, il rossore rimane, dico tra me. Infatti, la
vera causa del problema – l’eccessiva produzione di sebo –
non viene eliminata. L’eczema grasso, detto anche eczema
seborroico, si forma quando le ghiandole sebacee sono grandi e producono quindi molto grasso: in testa, nelle orecchie e nella «zona T», ovvero sulla fronte, sotto le sopracciglia e nell’area del naso. Il termine «seborrea» può essere
compreso in analogia con la parola «diarrea»: la seborrea è
un’eccessiva evacuazione di sebo. Il suffisso «-rea» viene dal
verbo greco réo che significa «scorrere»: scorre troppo sebo. Chi combatte la forfora e la desquamazione con creme
grasse, le rende più morbide e carica sulla pelle e sui pori
un ulteriore eccesso di grassi. Malassezia esulta e l’infiammazione della pelle peggiora anche se la crema fa scomparire per qualche ora la forfora e la desquamazione. In questi casi, il grasso è proprio da evitare: la forfora e la desquamazione non sono sempre secche. Un dermatologo consiglierà piuttosto una terapia antinfiammatoria e contro i lieviti in eccesso, proponendo shampoo e balsami poveri o
privi di grassi e, nei casi più gravi, delle compresse che frenano la produzione di sebo.
L’acidità del film idrolipidico cutaneo e il microbioma
Una bella donna, fresca e curata, accarezza con le lunghe
unghie la sua pelle liscia e vellutata. Una soave voce fuori
campo descrive un sapone che salvaguarda l’acidità del
film idrolipidico della sua pelle. Ma può un sapone fare
tanto? E che cos’è questo film idrolipidico acido che funge
da manto protettivo della pelle?
Se ponessimo la domanda non agli autori della pubblicità
ma a un tecnico di laboratorio chimico, questi ci spiegherebbe che gli acidi hanno un pH basso, che può andare da 1 a
2, mentre una base ha un pH di 11-14. Un pH di 7 è neutro,
valore che può essere trovato per esempio nell’acqua.
Ecco qualche ulteriore esempio: l’acido di una batteria,
assai caustico e pericoloso, è pari a 1; segue subito dopo
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l’acido gastrico che presenta un pH di 1-1,5. Il nostro stomaco è mirabilmente protetto contro i suoi effetti caustici
perché riesce a difendersi dall’attacco acido con una membrana mucosa e l’emissione di una sostanza basica. Il pH
del succo di limone si aggira intorno a 2,4 e quello dell’aceto è di 2,5. La vagina ha un pH di 3,8-4,5 mentre la superficie della pelle dell’uomo ha un pH di 4,7-5,5. Con un valore compreso tra 6,5 e 7,4 la saliva umana è già leggermente alcalina. Il sapone liquido ha un pH di 9-11 e la soda caustica, la madre di tutte le soluzioni alcaline, ha un pH che
si aggira intorno a 14.
Vediamo dunque che la nostra pelle non è «caustica», ma
piuttosto «acida». Molti acidi presenti su di essa sono prodotti finali del metabolismo, scarti che derivano dalle cellule dello strato corneo, dal sebo della pelle e dal nostro sudore. Quest’ultimo contiene acido lattico e «acidi della
frutta», noti perché l’industria cosmetica ne pubblicizza
l’uso per creme adatte a peeling leggeri. Gli acidi si collocano sullo strato corneo che costituisce il nostro «muro di
mattoni»: in questa posizione abbassano il pH e, per di più,
trattengono l’acqua accumulando così l’umidità necessaria
per idratare lo strato superiore della pelle. Perciò si chiamano anche Natural Moisturizing Factors (NMF), ovvero fattori naturalmente idratanti, un altro fenomeno che l’industria cosmetica vuole disperatamente imitare quando ci
propone delle creme idratanti.
Il pH della pelle è importante per molti organismi che vivono su di essa. In effetti la nostra pelle è un ambiente parecchio ostile e non è certo il luogo ideale per «limonare»,
festeggiare o farsi le coccole. Qui ci sono scontri di piazza.
Clan rivali e bande di virus, di funghi e di acari e centinaia
o migliaia di tipi di batteri si danno battaglia e si tengono
in scacco. Tutti questi esseri vanno sotto il nome di «microbioma». Il microbioma umano si è formato nel corso di milioni di anni ed è costituito dall’insieme di tutti i microrganismi presenti sul e nel nostro corpo: sulla pelle, in bocca,
nella zona genitale e anale nonché nell’intestino. Solo una
cellula su quattro del corpo umano è umana, il resto, ovve-
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ro il 75 per cento delle cellule, è un insieme di ospiti che
popolano le aree interne ed esterne del nostro corpo. Su
ogni essere umano vive una quantità gigantesca di batteri:
in termini numerici rappresenta all’incirca mille volte l’intera popolazione umana mondiale.
La ricerca scientifica ha raccolto molte informazioni sui
microrganismi dell’intestino, ma appare sempre più evidente che spesso, in questo ambito, la pelle sorpassa di
gran lunga l’intestino. Di norma gli ospiti microbiomici
della nostra pelle non provocano tumulti perché i clan si
controllano a vicenda ed evitano che uno di loro prenda il
sopravvento. La pelle ospita il microbioma, e gli acidi vi garantiscono un buon clima e terreni fertili.
Ogni centimetro quadrato della nostra pelle accoglie diversi milioni di ospiti che vi si fermano a lungo o a breve
termine. In compenso, il microbioma sorveglia le porte. Esso produce infatti delle armi difensive contro gli invasori
pericolosi, fabbricando una specie particolare di antibiotici. In stretta collaborazione con altre sostanze difensive dell’organismo umano, il microbioma occupa un ruolo centrale nella nostra difesa e funge addirittura da insegnante
del sistema immunitario. È impressionante! Senza il microbioma saremmo un debole accumulo di cellule perlopiù
inermi. I clan dei microbi garantiscono inoltre che il sistema immunitario attacchi soltanto gli intrusi cattivi, e non
per esempio un clan di microbi educati che godono del diritto di residenza e di ospitalità.
Abbiamo quindi estremo bisogno del nostro microbioma. E il film idrolipidico cutaneo fornisce, in qualità di
manto protettivo acido, un terreno ideale per dare nutrimento a questi ospiti ben disposti. Purtroppo la nostra igiene, la cura del corpo, i medicinali, i vestiti, i vaccini, i disinfettanti, gli antibiotici, l’alimentazione, i raggi ultravioletti
e tanti altri fattori modificano in continuazione la base di
sostentamento del microbioma, e quando ci laviamo le mani sortiamo un effetto collaterale: massacriamo alcuni microbi importanti. Sia detto per inciso che i parti cesarei attualmente in crescita turbano la formazione di un micro-
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