Indice Introduzione Non sono certamente poche le difficoltà che s’incontrano quando si vuole realizzare un lavoro, il più possibile ordinato, della storia della scuola e delle istituzioni formative degli ultimi dieci anni. Si tratta di conciliare l’esigenza di una visione d’insieme che tracci le linee essenziali dell’ultimo decennio attraverso cui s’è venuto costituendo l’attuale sistema scolastico e più in generale quello educativo del nostro Paese, con la complessità degli eventi e dei problemi con cui deve fare i conti una ricostruzione attenta non solo a cogliere il nesso tra storia delle idee e storia delle istituzioni educative, ma anche a considerare l’una e l’altra nelle loro molteplici interazioni con il contesto sociale e politico, vale a dire con l’economia, la vita della gente, i modi di essere e di pensare. È, infatti, acquisizione corrente che una storia della scuola e delle istituzioni educative non possa fondarsi sul solo approccio pedagogico; la storia della politica scolastica, dei provvedimenti legislativi e della loro effettiva attuazione chiama in causa, insieme con la storia della cultura e delle idee pedagogiche anche quella degli interessi politici, sociali, economici e culturali che alla fine ne determinano il successo o il fallimento. Dal 1830 al 2000 In via esemplificativa, è forse giusto accennare a tutto ciò che è accaduto prima dell’ultimo decennio. L’ostilità con cui i gruppi più reazionari della società italiana considerarono, subito dopo l’Unità d’Italia, una politica scolastica moderata impegnata nella diffusione di un’istruzione non tanto come strumento di emancipazione delle classi popolari quanto piuttosto come un modo per ottenere quel minimo di amalgama sociale indispensabile a garantire la vita del nuovo Stato, trova la sua spiegazione nel quadro delle politiche scolastiche negli Stati preunitari italiani, ed in rapporto non certo alle varie spinte rinnovatrici manifestatesi nel Regno di Sardegna, nel Lombardo – Veneto e nel Granducato di Toscana durante la prima metà dell’Ottocento, ma alla politica dei governanti nello Stato pontificio e nel Regno delle Due Sicilie, caratterizzata da una sostanziale diffidenza per qualsiasi idea di ammodernamento del sistema scolastico. Un analogo primato della politica, quale momento dell’elaborazione della risposta che i ceti dirigenti riescono a dare alle esigenze di sviluppo della società, emerge in tutti i momenti cruciali della storia del nostro Paese: basti pensare alle vicende che portarono, durante il ventennio fascista, alla Riforma Gentile ed alle successive politiche di riforme. Un altro snodo cruciale della politica scolastica italiana parte dalla fine degli anni cinquanta, quelli che sono stati definiti delle “pedagogie della guerra fredda”1, per giungere alla stagione delle riforme degli anni sessanta ed a quelle delle utopie, nel decennio successivo, fiorite intorno al tema dell’educazione come fattore decisivo per il cambiamento della società. Tema, questo, tuttora resistente, anche se tradotto in nuove utopie, più razionali e più creative ad un tempo, ma capaci di avviare un processo di tipo integrativo tra scuola e territorio. L’Unità d’Italia porta con se note questioni sociali, economiche, di politica istituzionale 1 G. Cives, L’educazione in Italia. Figure e problemi. 2 cui la classe dirigente doveva porre rimedio; è così anche per le vicende legate al mondo della scuola: dalla legge Casati (1859), nata in Piemonte ed estesa all’intero territorio nazionale, ai numerosi tentativi, a cavallo fra i due secoli, di riforma del sistema scolastico. Poi, come spesso avviene in prossimità dei grandi conflitti armati, le questioni della pubblica istruzione si sfocano, perdendo progressivamente consistenza, mettendo in evidenza le urgenze di carattere bellico militare. Con il ritorno alla normalità, riaffiorano anche le problematiche legate all’impalcatura del sistema formativo italiano. È, tuttavia, soltanto la neonata dittatura fascista a considerare seriamente l’esigenza di riordinare il sistema scolastico: in regime di pieni poteri, dettati ufficialmente dall’urgenza delle riforme, è affidata al Ministro Giovanni Gentile (1923) la stesura di quella riforma che, con alterne vicende e poi limitatamente solo ad alcune parti, ha sopravvissuto fino alle porte del 2000. Di riforme che abbracciano l’intero sistema scolastico si continuerà a ragionare, a fare e disfare. Tuttavia importanti questioni, dall’obbligo scolastico alla scuola media unica, hanno impegnato costantemente la classe politica ed il mondo della cultura. È il caso, ad esempio, del tormentato iter che condusse alla definitiva unificazione del grado medio inferiore dell’istruzione: tentata, alla vigilia del secondo conflitto mondiale dal Ministro Giuseppe Bottai (1939), accantonata, ampiamente ridiscussa tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, la vicenda della scuola media unica, obbligatoria ed uguale per tutti, si conclude nel 1962 con la sua definitiva attuazione. Sono questi gli anni che preparano l’esplosione della contestazione (1968) che, trovando uniti nella lotta gli studenti e la classe operaia, coinvolgerà, direttamente ed indirettamente, le istituzioni scolastiche, il corpo insegnante, l’intera impalcatura del sistema formativo2. Questa ventata di rinnovamento contribuirà a concretizzare, durante gli anni 70, l’idea di un mutato concetto di educazione e di formazione: dall’educazione permanente a quella degli adulti, dalla ricerca sul territorio alla dimensione locale dell’educazione, dalla collegialità alla sperimentazione, solo per citarne alcuni. Oggi la storia s’intreccia al presente tramutandosi in cronaca con la probabilità di rivoluzionare lo scenario futuro dell’educazione, della formazione, della funzione della scuola e dell’extrascuola, e non solo: si fa strada e si materializza, attraverso l’idea della società educante3 , l’immagine di un uomo costantemente in tensione verso una formazione globale, una formazione che diventa lifelong learning. Questa prospettiva è ormai centrale nella definizione delle politiche di istruzione e formazione: la capacità di apprendere lungo il corso di tutta la vita e il riconoscimento del continuo arricchimento di saperi, conoscenze e competenze, che l’esperienza di vita e di lavoro determina, consentono agli individui, entro i contesti e le reti sociali di riferimento, di far fronte alle trasformazioni strutturali in atto e di garantire, nello stesso tempo, esercizio dei diritti di cittadinanza e partecipazione consapevole ai processi di inclusione sociale, culturale e professionale. 2 3 D. Bertoni Jovine, La scuola Italiana dal 1870 ai giorni nostri, Editori riuniti, Roma. G. Cives, La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni, La nuova Italia, Firenze, 1990. 3 Capitolo 1 Una scuola che cambia Le società diventano complesse via via che arricchiscono la propria cultura, moltiplicano le occupazioni produttive, passano dalla pastorizia all’agricoltura, dall’artigianato all’industria, dagli scambi fra i vicini ai commerci, e via dicendo, ed hanno quindi bisogno in modo più stabile ed efficiente le funzioni fondamentali su cui si regge la vita associata: un governo che operi secondo leggi studiate da specialisti, discusse e decise da assemblee elettive applicate da funzionari; attività produttive variegate svolte con strumenti e macchine efficienti, sostenute da un sistema finanziario, attivate da tecnici e specialisti, mezzi e sistemi di comunicazioni permanenti ed adeguati, servizi organizzati per la tutela della salute, e così via. Tutto ciò richiede lo sviluppo di conoscenze scientifiche e tecniche sempre più numerose, difficili da padroneggiare che, a loro volta, danno luogo a necessarie specializzazioni. In società di questo tipo, è necessario possedere un gran numero di conoscenze generali ed una certa quantità di altre conoscenze e abilità particolari necessarie per svolgere un’attività specifica. Nessun bambino riuscirebbe da solo a crescere e a farsi strada in una società complessa senza guide capaci di fornirgli la cultura necessaria. Le scuole diventano sempre più numerose, durano sempre più a lungo, si differenziano sempre di più negli obiettivi finali, e richiedono insegnanti sempre più specializzati. Ma chi frequenta queste scuole? Originariamente esse avevano carattere privato ed erano destinate alle classi dirigenti, cioè ai pochi che volevano e potevano primeggiare nella società controllandone le istituzioni. Il resto della popolazione si limitava ad apprendere quel tanto che bastava per vivere in famiglia e nel vicinato, per svolgere lavori da imparare con la pratica. Il successivo sviluppo delle scuole fu il risultato di due fenomeni concomitanti: l’aumento delle occupazioni che richiedevano lavoratori sempre più numerosi e preparati a svolgerli, dall’altro lato le lotte sociali che assicuravano alle classi popolari una cultura sempre più diffusa e più ricca a difesa dei loro diritti civili e politici. Così la scuola è diventata un po’ alla volta obbligatoria per tutti, e per un tempo sempre più lungo. La storia della scuola Conoscere la storia della scuola del nostro Paese significa ricostruire, di riflesso, la storia della società italiana, almeno dal momento in cui essa incomincia ad acquistare la coscienza di essere una nazione; vuol dire seguire lo sviluppo e la diffusione di tale coscienza dalla classi dirigenti a tutto il popolo; scoprire come le classi dirigenti di siano regolati per aprire le scuole alle classi popolari; e come quest’ultime, attraverso la scuola, abbiano acquistato la coscienza dei propri diritti civili e politici, sia la cultura necessaria ad affermarsi economicamente e socialmente nell’ambito della società nazionale. La storia della scuola non riflette solo la storia politica sociale e politico di un popolo, ma tiene conto anche del processo scientifico e tecnologico, della vita letteraria, morale, artistica, religiosa, dei principi del diritto, del cambiare dei costumi, del persistere e del mutare dei valori che orientano i rapporti tra le persone ed i popoli. Deve rendere conto di come valori quali la pace, la tolleranza, la libertà e l’uguaglianza di tutte le persone senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinione politiche, si sono venuti diffondendo nel mondo ed ispirano i rapporti internazionali e le istituzioni del nostro e di altri Paesi. Per far ciò essa deve avere una struttura interna articolata in modo da rispondere alle esigenze sociali e culturali della popolazione infantile e giovanile cui si rivolge. La storia del sistema scolastico italiano è abbastanza complicata dal punto di vista organizzativo. 4 La scuola consiste soprattutto nei suoi alunni, nei contenuti culturali che vengono loro trasmessi e nell’insegnanti che devono mettere gli alunni in grado di impadronirsene. Quanto agli alunni, si è già detto che essi non sono stati accolti dalla scuola tutti insieme e tutti allo stesso modo. Quelli provenienti dalle famiglie delle classi dirigenti hanno subito avuto a disposizione la scuola di cui avevano bisogno per continuare ad essere, a loro volta, classe dirigente. Gli alunni provenienti dalle classi popolari hanno avuto solo a disposizione la scuola elementare ed in seguito scuole meno lunghe e meno costose che aprivano la via solo al lavoro dei campi, ai mestieri artigianali, al lavoro nelle fabbriche; per la piccola borghesia si sono sviluppate le scuole tecniche. C’è voluto molto tempo perché diritti e possibilità fossero uguali per tutti, anche se oggi esistono le prove che tali diritti vengano riconosciuti solo formalmente: molti ragazzi non vanno a scuola, è il fenomeno dell’evasione scolastica, mentre molti l’abbandonano prima della fine, ovvero il fenomeno della dispersione scolastica. Una scuola riesce ad essere davvero tale solo quando è capace di eliminare o almeno ridurre drasticamente questi fenomeni. E in ciò consiste il suo aspetto più importante, cioè l’aspetto didattico. La cultura fornita dalla scuola risponde a progetti educativi formulati dallo Stato attraverso i programmi didattici, che propongono i fini dell’educazione ed i contenuti culturali necessari a realizzarli e qualche volta forniscono anche indicazioni di merito. I programmi di solito servono di base e di orientamento agli editori di testi scolastici ed ai produttori di altri materiali didattici. Sempre più frequenti sono anche le riviste specializzate, che forniscono a loro volta orientamenti e materiali di vari tipo, ricavati sia dalle indicazioni dei vari programmi sia dalla letteratura pedagogica e didattica. Con questa letteratura si entra nel campo della formazione degli insegnanti e del loro aggiornamento professionale. Questo è uno degli aspetti fondamentali della storia della scuola, poiché nell’ambito del sistema scolastico gli insegnanti svolgono una funzione essenziale, sebbene la loro storia sia quella di una classe di professionisti generalmente maltrattata sia dal punto di vista della formazione culturale e professionale, sia da quello dei riconoscimenti morali e materiali: soprattutto dal punto di vista economico gli insegnanti sono stati agli ultimi posti tra le professioni di interesse pubblico. Questo dispregio di un lavoro così importante è la conseguenza di una falsa concezione dell’educazione, per la quale si crede che chiunque sia in grado di educare: tanto che, ciò è avvenuto non senza buone ragioni, poiché per secoli gli insegnanti sono diventati tali solo dando prova di una certa cultura, ritenuta sufficiente ad impartire i riducenti delle conoscenze, leggere, scrivere e far di conto, ritenendo una preparazione specialistica superflua. Solo molto lentamente e faticosamente gli sviluppi della pedagogia, della didattica, della psicologia e della sociologia, dell’educazione e di altre ricerche scientifiche concernenti la progettazione e la valutazione del rendimento degli alunni, hanno fatto capire la differenza tra l’educazione familiare la quale serve a porre le basi della personalità ma richiede l’assimilazione da parte dei bambini dei comportamenti dei familiari ed in primo luogo dei genitori e l’educazione scolastica, nella quale in un tempo necessariamente limitato ogni insegnante deve trattare con un numero variabile ma sempre alto di alunni, riuscendo ad ottenere da ognuno di essi un rendimento culturale soddisfacente. La “crisi della scuola” di cui da sempre si parla è la conseguenza dello scarso interesse della società alla formazione di insegnanti davvero competenti, ossia padroni di una didattica davvero efficace.4 La storia dell’educazione fa dunque da fondo alla storia della scuola. Come si diceva all’inizio, la scuola è un’istituzione che nasce nelle società più complesse che non possono più contare sul fatto che i bambini e gli adolescenti assimilano casualmente per il semplice fatto di viverci in mezzo, la cultura necessaria per essere elementi validi della società futura. Perciò la storia dell’educazione è assai più lunga e più ampia della storia della scuola. Tuttavia la scuola dipende 4 J. Bowen, Storia dell’educazione occidentale, Arnoldo Mondadori, Milano, 1985. 5 per la sua storia anche da quello del progresso culturale del Paese. Chi entra nella scuola oggi ne ha un’idea che risale a quella che se ne fece frequentandola da studente. Ma la prospettiva degli studenti investe soltanto alcuni dei suoi aspetti, e soprattutto non tiene conto delle origini dell’istituzione in cui si entra e si lavora ogni giorno. Dagli studenti è frequente sentir dire che la scuola serve a poco o a nulla, ed è comprensibile che ciò accada quando essa non si fa percepire come una realtà necessaria. La maggior parte degli adulti conserva della scuola l’immagine che ne aveva da studente, buona o cattiva a seconda dall’esperienza vissuta, ma non immagina che molte delle difficoltà e delle delusioni incontrate siano dipese dalla poca professionalità degli insegnanti: perché l’idea che l’insegnate sia un professionista ed un tecnico ancora non appartiene alla nostra cultura. Anche molti fra gli insegnanti più anziani partecipano di questa ignoranza perché la loro formazione non ha avuto nulla di professionistico. È vero anche che ognuno di noi conosce insegnanti che sono meri mestieranti e svolgono da dilettanti e senza passione la propria professione: non per nulla spesso la scuola è, come si è detto, un’occupazione di seconda scelta. Tuttavia, se si vuole entrare nella scuola con l’intento di lavorare seriamente, oggi non è più possibile professare una simile idea; ed è propria il tipo del mestierante dilettante che una seria formazione professionale intende eliminare impegnando gli aspiranti insegnanti in una formazione che dovrebbe servire a selezionarli adeguatamente. La storia della scuola dovrebbe chiarire anche, fra l’altro, l’evoluzione della figura dell’insegnante, in quanto, problema politico non si può comprendere la scuola senza sapere da dove viene come istituzione e quali vicende politiche ha attraversato. Pur prescindendo dal fatto che attraverso la storia della scuola anche il progresso sociale e civile della nazioni appare più chiaro, essa può aiutarci a capire alcune “questioni” che hanno profondamente caratterizzato la vita politica e sociale del nostro Paese. Avere un’idea di come la scuola pubblica sia nata e sia andata crescendo, significa comprendere i problemi che essa ha dovuto o cercato di risolvere, problemi che ancora oggi, con modalità differenti, si ripresentano. Per esempio: da qualche tempo si parla dell’autonomia scolastica, e la s’interpreta, tra l’altro, anche nel senso che la scuola può essere lasciata dalla Stato alle regioni e da queste agli enti locali; è che le scuole in definitiva possono amministrarsi e programmare da sole il proprio lavoro. Se si conosce la storia della scuola italiana, ci si potrà chiedere se sia davvero il caso che questo accada, visto che le scuole elementari quando erano comunali funzionavano, in molte parti del Paese, poco o nulla; ci si potrà anche chiedere che se è vero che la scuola dovrebbe educare i futuri cittadini italiani ad un minimo di valori ideali comuni, e la nostra scuola ha svolto più o meno bene questo compito, sarà possibile alle regioni sostituirsi allo Stato nell’organizzare un tale insegnamento? E poi, quale pratiche e quali tradizioni hanno le regioni in campo scolastico? L’organizzazione della scuola5 è tutt’altro che compito facile, e da essa dipende per certi aspetti importanti, tutta la sua attività. Stando così e cose, è ovvio che la storia della scuola non dovrebbe insegnare solo gli insegnanti; essi devono viverci dentro e devono quindi sapere quel che occorre a chiunque che, assumendo un lavoro, non può essere sicuro di farlo bene se non conosce la ragione di certi modi di concepirlo, di organizzarlo, di valutarlo. E devono anche sapere quanto è cambiata la scuola da quella che una volta li vide studenti. Ma la storia della scuola dovrebbe essere bene conosciuta anche da ogni cittadino che, in ultima analisi, è chiamato a decidere direttamente o attraverso i suoi rappresentanti, le sorti della scuola in un mondo in continua trasformazione. 5 http://eur-lex.europa. eu./it/treaties/dat/11992M/htm/11992-M.html. 6 BIBLIOGRAFIA G. Cives, L’educazione in Italia. Figure e problemi. D. Bertoni Jovine, La scuola Italiana dal 1870 ai giorni nostri, Editori riuniti, Roma. G. Cives, La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni, La nuova Italia, Firenze, 1990. J. Bowen, Storia dell’educazione occidentale, Arnoldo Mondadori, Milano, 1985. SITOGRAFIA http://eur-lex.europa. eu./it/treaties/dat/11992M/htm/11992-M.html. 7