Corso formativo Praticanti Consulenti del lavoro ELEMENTI DI DIRITTO DI FAMIGLIA Aspetti civilistici e fiscali Bolzano, lì 18/03/2016 Relatori: Dott. Anton Steiner e Dott. Egon Gerhard Schenk SOMMARIO pagina Parentela ed affinità……………………………………………..……………02 Separazione e comunione dei beni……………………………………….…..06 Impresa famigliare e coniugale……………………………………………….10 Il patto famigliare…………………………………………………..…………16 La successione…………………………………………………………….…..18 Il testamento…………………………………………………………………..34 La donazione……………………………………………………………….....46 La dichiarazione di successione e gli adempimenti successivi…….…….......53 Successione e rapporto di lavoro……………………………………….……62 © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 1 PARENTELA – AFFINITA’ Fondamentale per la comprensione del diritto di famiglia è la conoscenza dei rapporti che intercorrono tra i vari membri della famiglia. Con il matrimonio, considerato come origine della famiglia dal punto di vista legale, oltre al rapporto di coniugio tra gli sposi, si vengono a creare altri rapporti, la parentela e l'affinità. Cominciamo con la parentela. parentela (art. 74 c.c.) indica il vincolo tra le persone che discendono dallo stesso stipite Sono parenti, quindi, il padre ed il figlio, il nonno ed il nipote, i fratelli, i cugini, se hanno uno stipite in comune e così via. Il testo dell'art. 74 è però stato modificato dalla l. 219\2012 che ha precisato il concetto di parentela come vediamo nella tabella che segue. La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta parentela (art. 74 all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui e' avvenuta al di c.c.) fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti Con la modifica dell'art. 74, quindi, si è voluta far cessare ogni possibile discriminazione tra diverse "categorie" di figli, considerandoli, quindi, tutti allo stesso modo. Aver accertato che tra diverse persone esiste un rapporto di parentela non è, però, sufficiente. Vedremo che in numerose occasioni (soprattutto in caso di eredità) è indispensabile accertare anche il grado di parentela, accertare, cioè, chi sono i parenti più "vicini" e più "lontani". Per l'accertamento del grado di parentela ci soccorre l'art. 76 del codice civile. Questo distingue due linee di parentela, la linea retta e quella collaterale. linea retta (persone che discendono l'una dall'altra) nella linea retta si contano altrettanti gradi quante sono le generazioni, escluso lo stipite © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 2 Padre e figlio, quindi, sono parenti di primo grado, nonno e nipote sono parenti di secondo grado (nonno + padre + nipote = 3 - nonno <stipite,che non si conta>= 2°) linea collaterale (persone che non nella linea collaterale i gradi si computano dalle generazioni, discendono l'una salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo dall'altra ma discendendo all'atro parente, sempre restando escluso lo stipite hanno uno stipite in comune) I primi cugini, quindi, sono parenti di quarto grado ( dal figlio al padre (2) dal padre al nonno (3) dal nonno al figlio (4) dal figlio al nipote (5) - il nonno <stipite comune> = 4°). Secondo l'art. 77 c.c. la parentela non ha effetti giuridici oltre il sesto grado, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati. Ancora sulla parentela ricordiamo che i fratelli sono indicati dal codice in maniera diversa secondo che abbiano in comune solo il padre o solo la madre o entrambi. Si indicano, infatti come: fratelli germani fratelli consanguinei fratelli uterini quando sono figli dello stesso padre e della stessa madre quando sono figli dello stesso padre ma di madri diverse quando sono figli della stessa madre ma di padri diversi PROSPETTO PARENTI FINO AL IV GRADO ED AFFINI Parenti Parenti FINO AL II in linea in linea retta GRADO Gradi collaterale I - Genitori - Figli II - Nonni - Nipoti (figli dei figli) __________ - Fratelli e sorelle © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 3 Affini - Suoceri - Generi e nuore - Cognati III IV - Bisnonni - Bisnipoti (figli dei nipoti da parte dei figli) - Zii (fratelli e sorelle dei genitori) - Nipoti (figli di fratelli e sorelle) ___________ ___________ - Cugini - Pronipoti (figli di nipoti da parte di fratelli e sorella) - Prozii (fratelli e sorelle dei nonni) ___________ In base agli artt. 74,75 e seguenti del Codice Civile si precisa che: - la parentela è il rapporto giuridico che intercorre tra persone che discendono da uno stesso stipite e sono quindi legate tra loro da un vincolo di consanguineità; - l’affinità è il vincolo tra il coniuge e i parenti dell’altro coniuge. Si precisa inoltre che i coniugi (legati da rapporto di coniugio, ossia di matrimonio), non sono né parenti né affini. Semplice metodo di calcolo Viene qui illustrato un semplice metodo pratico per calcolare qualsiasi grado di parentela tra due persone A e B. Si disegni uno schema (come il seguente per il caso di due fratelli) partendo da A e B (nel nostro esempio i due fratelli) fino a risalire all'antenato comune (per i due fratelli l'antenato comune è il padre). Schema per il calcolo del grado di parentela nel caso dei fratelli (2º grado) © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 4 Il numero dei segmenti disegnati per passare da A a B è il grado di parentela (nel nostro caso 2: un segmento dal fratello A al padre e un altro dal padre al fratello B). Altri esempi: Schema per il calcolo del grado di parentela tra cugini (4º grado) Schema per il calcolo del grado di parentela tra nonno e pronipote (3º grado) affinità (art. 78 è il vincolo che lega il coniuge con i parenti dell'atro coniuge c.c.) Il calcolo dei gradi di affinità è speculare rispetto a quello di parentela. Secondo l'art. 78 c.c., infatti: " Nella linea e nel grado in cui taluno è parente d'uno dei coniugi, egli è affine dell'altro coniuge". La moglie di mio fratello, quindi, è mia affine di secondo grado, visto che io sono parente di secondo grado con mio fratello. Gli affini dei coniugi, però, non sono affini anche tra loro; la moglie di mio fratello è, quindi, mia affine ma non è affine anche a mia moglie. L'affinità non cessa con la morte di uno dei coniugi, ma tra affini non esistono diritti ereditari © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 5 COMUNIONE E SEPARAZIONE DEI BENI Il regime patrimoniale coniugale, nel diritto italiano (o secondario) è l'insieme delle norme del codice civile italiano che disciplinano i criteri di distribuzione tra i coniugi della ricchezza acquisita durante il matrimonio. Questi criteri sono fondamentalmente due: • • comunione legale; separazione dei beni. Il regime patrimoniale coniugale di comunione dei beni è il regime che opera nel caso in cui non sia diversamente stabilito dagli sposi (tramite convenzione matrimoniale). Le norme del regime patrimoniale coniugale sono quindi norme dispositive (derogabili). La comunione dei beni è il risultato di un accordo tra due o più individui che mettono a disposizione i propri beni costituendo un patrimonio comune, godendone equamente dei frutti e partecipando solidalmente alle spese. Nel diritto privato italiano con l'espressione comunione dei beni si intende il regime patrimoniale legale della famiglia, vale a dire il regime patrimoniale che si applica automaticamente in mancanza di diverse pattuizioni da parte dei coniugi. Riforma del diritto di famiglia La scelta per la comunione dei beni è stata operata dal legislatore con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha mantenuto, per tutti i matrimoni contratti dopo il 20 settembre 1975 l'applicabilità, in mancanza di contraria pattuizione, del regime della comunione dei beni. Precedentemente al 1975 ai matrimoni si applicava esclusivamente la separazione dei beni. Per tali matrimoni la legge di riforma del diritto di famiglia ha disposto un periodo di tempo transitorio (fino al 15 gennaio 1978) entro il quale ciascuno dei coniugi, anche con atto reso unilateralmente dinanzi al notaio del luogo del contratto matrimonio, avrebbe potuto dichiarare di non voler aderire al nuovo regime, rimanendo pertanto in regime di separazione dei beni. Entro lo stesso termine (15 gennaio 1978) i coniugi possono convenire che i beni acquistati anteriormente alla data del 20 settembre 1975 siano assoggettati al regime della comunione, salvi i diritti dei terzi. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 6 Beni della comunione La comunione dei beni non è, a dispetto del nome, una comunione di tutti i beni. Occorre quindi distinguere ciò che rientra nella comunione (beni della comunione) e ciò che invece non vi rientra e appartiene dunque esclusivamente a un coniuge o all'altro (beni personali dei coniugi). Sono beni della comunione: • • • • • gli acquisti compiuti dai coniugi insieme o separatamente in costanza di matrimonio, eccezione fatta per i beni personali. le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, gli utili e gli incrementi di quelle appartenenti a uno dei coniugi prima del matrimonio ma gestite da entrambi. i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati al momento dello scioglimento della comunione. i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se non siano stati consumati al momento dello scioglimento della comunione. i beni destinati dall'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi dopo il matrimonio se sussistono al momento dello scioglimento della comunione. Sono invece beni personali e non rientrano in comunione: • • • • • • i beni di cui ciascuno dei coniugi era titolare (proprietà o altro diritto reale parziario) prima del matrimonio i beni acquisiti durante il matrimonio per donazione o successione, a meno che nella donazione o successione non sia specificato che essi sono attribuiti alla comunione. i beni di uso strettamente personale di ciascuno dei coniugi e i loro accessori. i beni strumentali all'esercizio della professione. i beni ottenuti a titolo di risarcimento per danni. i beni acquistati con il prezzo di alienazione dei beni personali, purché ciò sia dichiarato espressamente nell'atto di disposizione. Occorre precisare che in materia di assegni di mantenimento e diritti economici del coniuge separato o divorziato, qualsiasi proprietà rileva ai fini del reddito, compresi i beni personali che non rientrano in comunione dei beni, e può essere oggetto di azione giudiziale volta al recupero del credito: se il coniuge non paga l'assegno alimentare all'altro coniuge per sé e per i figli di cui è affidatario, il credito alimentare che viene così a crearsi può essere soddisfatto con il pignoramento di qualsiasi proprietà del coniuge debitore, quale è la casa parentale ereditata dai © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 7 genitori anche dopo vari anni di matrimonio (e sicuramente fuori dal regime di comunione), e a tal fine non ha alcuna importanza se nell'immobile stesso sia avvenuta una qualche forma di convivenza o coabitazione fra i due coniugi. Stessa considerazione a favore del coniuge affidatario dei figli (anche in caso di affido condiviso): se i coniugi vivevano in una casa presa in affitto prima della separazione senza un immobile di proprietà, e il reddito dell'uno non è più sufficiente a pagare a quello affidatario alimenti e il canone di affitto, il giudice può disporre che il coniuge affidatario dei minori abbia l'usufrutto (non la nuda proprietà) dell'unico immobile disponibile, sebbene si tratti della casa parentale che l'altro ha ereditato dai propri genitori - e che è del tutto sua, fuori dalla comunione patrimoniale- perché questi possa andarvi a vivere coi figli, in base agli stessi criteri e poteri con cui decide che uno dei due genitori deve abbandonare la casa coniugale familiare per assegnarla all'altro affidatario, sia che questa era cointestata (in comunione dei beni) che di proprietà esclusiva di uno dei due, e con un eventuale nuovo convivenza more-uxorio di cui l'altro coniuge ha l'onere della prova per chiedere la revoca dell'assegnazione art. 155-quater c.c. e riottenere il diritto al pieno godimento dell'immobile, revoca che non è automatica e invece dipende da uno specifico giudizio di conformità rispetto all'interesse del minore (Corte Costituzionale 30 luglio 2008 n.308). Regole di amministrazione Il codice civile italiano distingue gli atti di ordinaria amministrazione dagli atti di straordinaria amministrazione. I primi possono essere compiuti disgiuntamente da ciascuno dei coniugi. I secondi devono essere compiuti congiuntamente dai due coniugi. Scioglimento della comunione L'art. 191 del codice civile stabilisce lo scioglimento della comunione dei beni nei casi in cui: • • • • • • sia stata dichiarata l'assenza o la morte presunta di uno dei coniugi. sia stato annullato il matrimonio o eccepita la sua nullità vi sia stato lo scioglimento del matrimonio per morte di uno dei coniugi o per divorzio, ovvero in caso di separazione personale, giudiziale o consensuale. Nel caso di separazione personale, una eventuale successiva riconciliazione dei coniugi non ripristina la comunione dei beni. in caso di separazione giudiziale dei beni pronunciata in caso di interdizione o inabilitazione o di cattiva amministrazione della comunione. nel caso in cui i coniugi abbiano scelto un regime diverso. nel caso di fallimento di uno dei coniugi. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 8 La separazione dei beni, secondo la legge italiana è un regime patrimoniale coniugale, cioè un criterio di distribuzione tra i coniugi della ricchezza acquisita durante il matrimonio. Nel regime di separazione dei beni ogni coniuge è titolare esclusivo dei beni acquisiti durante il matrimonio. Tale convenzione deve essere stipulata per atto pubblico sotto pena di nullità (art.162 c.c.). La scelta del regime di separazione dei beni può essere fatta dai coniugi: • • • al momento della celebrazione del matrimonio. Rendendo apposita dichiarazione al celebrante (Ufficiale di stato civile, Parroco o altro ministro del culto); prima del matrimonio, con appropriata convenzione stipulata davanti a un notaio; dopo il matrimonio, con convenzione stipulata davanti a un notaio. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 9 L’IMPRESA FAMILIARE Le norme del codice civile e in quelle del diritto tributario L’impresa familiare è un’impresa individuale collaborazione dei familiari dell’imprenditore. caratterizzata dalla Il codice civile richiede la presenza di requisiti ben precisi affinché sia configurabile l’ipotesi dell’impresa familiare: ciò sia in merito al tipo dell’opera prestata, sia al concetto di familiare. La nozione di impresa familiare sotto il profilo civilistico e sotto quello fiscale non sono del tutto simili, come vedremo in seguito. L’istituto dell’impresa familiare è disciplinato nell'art. 230-bis del codice civile. Secondo tale articolo si può parlare di impresa familiare quando il familiare presta la sua attività di lavoro in modo continuativo nell’impresa o nella famiglia. Il lavoro prestato dal familiare, quindi, deve essere continuativo il che esclude che si possa parlare di impresa familiare nel caso in cui il familiare presti la propria attività di lavoro in modo occasionale nell'impresa o nella famiglia. Invece, per il codice civile, è indifferente che l'attività di lavoro del familiare sia svolta all’interno dell’azienda o all’interno della famiglia. Va rilevato, però, che in entrambi i casi si può parlare di impresa familiare solamente se non è configurabile un diverso tipo di rapporto, come ad esempio nel caso di rapporto di lavoro subordinato. Per quanto concerne il concetto di familiare con questa espressione si intendono: il coniuge, i parenti entro il terzo grado (ad esempio: figli, genitori, fratelli, nonni, ecc..) e gli affini entro il secondo grado (ad esempio: suoceri, nuore, generi, cognati). © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 10 Il familiare che partecipa all’impresa familiare ha una serie di diritti. Essi possono essere distinti in diritti di natura economica ed altri diritti. I diritti di natura economica riconosciuti al familiare sono: • il diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia; • il diritto a partecipare agli utili dell’impresa familiare, ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento. Il tutto in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato. Gli altri diritti, diversi da quelli di natura economica, riconosciuti al familiare sono: • il diritto di intervenire nelle decisioni relative l’impiego degli utili e degli incrementi del patrimonio aziendale; • il diritto di partecipare alle decisioni relative alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa; • il diritto di essere preferiti a terzi in caso di cessione dell’azienda; • il diritto di prelazione in caso di divisione ereditaria. Nonostante il legislatore abbia previsto la possibilità dei familiari di intervenire su alcune decisioni relative alla vita dell’impresa, non ha voluto prevedere un’azienda gestita da più persone. Infatti l'impresa familiare è sempre un’impresa individuale, nella quale le decisioni sono prese dall’imprenditore che rimane anche l’unico che assume il rischio derivante dall’esercizio dell’impresa. Infatti, in caso di insolvenza dell'impresa l'unico soggetto passibile di fallimento rimane l'imprenditore. Questa conclusione è sottolineata dal fatto che la disposizione di legge prevede una partecipazione agli utili dei familiari, ma non una partecipazione alle perdite. Questo vuol dire che nei confronti dei terzi, l’impresa familiare rimane un'impresa individuale e la sua disciplina ha soprattutto come finalità quella di garantire ai familiari, che prestano il loro lavoro nell'impresa o nella famiglia, la possibilità di intervenire nelle scelte aziendali in caso di situazioni di straordinaria amministrazione, legate a momenti particolari della vita dell’impresa che si ripercuotono spesso anche sulla vita della famiglia. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 11 L’impresa familiare, inoltre, è un istituto ben diverso rispetto all’impresa coniugale, detta anche cogestita. Quest’ultima è, infatti, un’azienda condotta da entrambi i coniugi, i quali assumono ambedue la qualifica di imprenditori, prendono insieme le decisioni inerenti l’impresa e partecipano nella stessa misura agli utili e alle perdite dell’azienda, e quindi, sono entrambi passibili di fallimento. In parte diversa è la disciplina fiscale dell’impresa familiare: come spesso accade il fisco richiede dei requisiti maggiori rispetto alla norma civilistica. Così il lavoro del collaboratore all’interno dell’azienda deve essere non solo continuativo, come richiede il codice civile, ma anche prevalente. Questo significa che l’attività di collaboratore nell’impresa familiare deve prevalere su qualsiasi altra attività lavorativa. Quindi non possono essere collaboratori coloro che svolgono in modo continuativo attività di lavoro dipendente, autonomo o d‘impresa, mentre possono esserlo i pensionati. Altra restrizione prevista dalla normativa fiscale è che il lavoro dei collaboratori deve essere prestato nell’impresa familiare: non ha valore ai fini fiscali il lavoro prestato nella famiglia. Anche secondo le norme fiscali, come per quelle civilistiche, la partecipazione al reddito deve essere proporzionale alla qualità e alla quantità del lavoro prestato nell’impresa dal collaboratore, ma il fisco aggiunge che le quote spettanti a tutti i collaboratori non possono in ogni caso superare, ai fini fiscali, il 49% degli utili conseguiti dall’impresa. Ovvero almeno il 51% di tale reddito deve restare assegnato all’imprenditore. Mentre l’unico responsabile delle perdite, come prevede anche la normativa civilistica, è il titolare dell’impresa familiare. In fine va ricordato che condizione essenziale per assegnare il reddito d’impresa ai familiari è che prima dell’inizio del periodo d’imposta sia stipulato un atto pubblico o una scrittura privata autenticata da cui risulti il nome di tutti i collaboratori, firmato da questi ultimi e dall’imprenditore. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 12 ATTO COSTITUTIVO IMPRESA FAMILIARE Il sottoscritto ............................................. nato a ............................................. il............................... domiciliato in .................................................. ......................................................................................... via..........................................................n............, Codice fiscale................................................................. titolare dell’attività di..................................... in......................................................via............................... n............ dichiara ai fini del D.P.R. 917 del 22.12.1986, Art. 5 che la predetta impresa, con effetto dal giorno.................... è costituita con i sotto indicati familiari, in forma di impresa familiare. Familiari: ................................................... nato a............................. il............................... codice fiscale grado parentela col titolare .................................................. nato a............................. il............................... codice fiscale grado parentela col titolare ................................................... nato a............................. il............................... codice fiscale grado parentela col titolare con riferimento al D.L. 19.12.1984 n. 853 conv. Con L. 17.2.1985 n.17 le quote di partecipazione agli utili potranno annualmente variare in proporzione alla quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato in modo continuativo e prevalente, con un minimo del 51% degli utili riservato al titolare. A quanto oggi convenuto i sottoscritti attribuiscono validità fino al........................................................... (oppure attribuiscono validità anche per gli anni successivi fino a nuovo atto di revoca.) Data Firma del titolare e di tutti i collaboratori © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 13 L’IMPRESA CONIUGALE Le caratteristiche dell'azienda coniugale L'azienda coniugale è disciplinata dall'art.177 del Codice civile. Esso stabilisce che costituiscono oggetto della comunione legale tra i coniugi le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio. Mentre l'art.178 del Codice civile stabilisce che i beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell'impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa. Possiamo dire, quindi, che l'azienda coniugale o impresa coniugale è un'impresa gestita da entrambi i coniugi: questo, infatti, è l'aspetto caratteristico di questo tipo di azienda. Se tale requisito sussiste si può parlare di azienda coniugale sia nel caso in cui essa è stata costituita dopo il matrimonio che nel caso in cui sia stata costituita prima del matrimonio. Quindi, in tutti i casi di matrimoni contratti dopo il 20/09/1975 (data di entrata in vigore delle norme relative al nuovo diritto di famiglia), all'impresa costituita dopo il matrimonio e gestita da entrambi i coniugi si applica il regime di comunione legale, comunione che si estende anche agli utili e agli incrementi, salvo che i coniugi non optino per una convenzione diversa dalla comunione legale (ad esempio scelgono di essere nel regime di separazione dei beni). Se, invece, l'azienda è stata costituita da uno solo dei coniugi prima del matrimonio e, successivamente al matrimonio è gestita da entrambi i coniugi, la comunione concerne solamente gli utili e gli incrementi successivi al matrimonio e non la proprietà dell'azienda stessa. Ricapitolando: La comunione riguarda a) Azienda costituita dopo il matrimonio e gestita da entrambi i coniugi: • Azienda • Utili • Incrementi b) Azienda costituita prima del matrimonio da uno solo dei coniugi e gestita da entrambi i coniugi • Utili • Incrementi © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 14 La gestione dell'azienda coniugale spetta ad entrambi i coniugi ma, come previsto dall'art.182 del Codice civile, uno dei coniugi può essere delegato dall'altro al compimento di tutti gli atti necessari all'attività dell'impresa. Aspetti fiscali - la tassazione del reddito prodotto dall'azienda coniugale. L'azienda coniugale può essere costituita come una società nella quale i soci sono i due coniugi. In questo caso valgono le regole proprie delle società. In caso contrario l'utile conseguito dall'azienda va ripartito tra i soci al 50%. Tuttavia, i coniugi possono stabilire delle quote diverse in apposite convenzioni matrimoniali stipulate per atto pubblico a pena di nullità. Nel caso in cui l'azienda coniugale non è gestita in forma societaria, il titolare dell'azienda dichiara il reddito d'impresa nel modello Unico utilizzando il quadro F (se l'impresa è in contabilità ordinaria) o G (se l'impresa è in contabilità semplificata). Egli, inoltre, deve indicare la quota di utile spettante all'altro coniuge. L'altro coniuge deve indicare il proprio reddito compilando il quadro H (redditi da partecipazione) della propria dichiarazione. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 15 IL PATTO DI FAMIGLIA Il patto di famiglia è un istituto giuridico introdotto attraverso la Legge 14 febbraio 2006 n. 55, la quale lo ha disciplinato prevedendo un apposito capo, il V-bis, nell'ambito del titolo IV del libro II nel codice civile. Le norme che lo concernono espressamente sono gli artt. numerati da 768-bis a 768-octies del codice civile. Nozione e genesi dell'istituto La nozione elaborata dal legislatore, all'art. 768-bis, lo descrive come un contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, la propria azienda ad uno o più discendenti. Con il patto di famiglia si possono trasferire anche, in tutto o in parte, partecipazioni societarie. Prima dell'intervento legislativo, tra gli operatori del diritto e dell'economia era sempre più invalsa la considerazione che la disciplina delle successioni in Italia apparisse rigida nell'applicazione, oltre che inadeguata allorché fosse in considerazione la necessità per l'imprenditore di trasferire un'azienda ai propri discendenti. Circostanza quest'ultima assai frequente, essendo il tessuto produttivo italiano in gran parte costituito da aziende familiari.[1] La recente normativa ha recepito tali esigenze, sempre più avvertite nel contesto economico e sociale, agevolando il ricambio generazionale nell'azienda, dapprima fortemente limitato dal generale divieto di patti successori di cui all'art. 458 cod. civ. Tale ultimo articolo è stato, peraltro, modificato nella sua parte iniziale, proprio per disciplinare la deroga parziale a tale divieto e per l'inevitabile esigenza di coordinamento normativo alla luce della nuova disciplina. La novità legislativa ha mutato in sostanza lo scenario di riferimento, consentendo ora all'imprenditore di assicurare il trasferimento del bene produttivo (azienda), salvaguardando al tempo stesso l'unità familiare. Il patto di famiglia è dunque il contratto – tipico, ossia disciplinato nei suoi contenuti dalla legge - con cui l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, la propria azienda o le proprie partecipazioni societarie a uno o più tra i suoi discendenti. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 16 Trattasi di un atto ‘inter vivos’, con effetti traslativi immediati dell'azienda, la cui particolare disciplina si discosta vistosamente dalle regole generali successorie. A pena di nullità, il contratto va stipulato nella forma di atto pubblico (art. 768-ter cod. civ.), previsione che tende ad assicurare un consenso tendenzialmente più informato di tutti i partecipanti. I partecipanti al patto, oltre ovviamente all'imprenditore disponente, devono necessariamente essere il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari se, al momento della stipulazione del patto, si aprisse la successione dell'imprenditore: art. 768-quater, primo comma cod. civ. Gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto - ossia tutti coloro che al momento della sottoscrizione del patto sarebbero legittimari rispetto all'imprenditore - con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote di legittima o in natura (art. 768-quater, secondo comma cod. civ.). V'è poi una seconda ipotesi, che può essere ricavata analizzando il terzo comma del medesimo articolo da ultimo citato: che il soddisfacimento degli altri legittimari avvenga mediante altri beni assegnati dal disponente stesso. Detti beni in tal caso sono imputati alle quote di legittima loro spettanti. È fatta salva la possibilità che i partecipanti al patto non assegnatari dell'azienda rinunzino, in tutto o in parte, alla liquidazione della somma corrispondente al valore delle quote loro spettanti (art. 768-quater secondo comma cod. civ.). Vizi, impugnativa e controversie Il patto di famiglia può essere impugnato per vizi del consenso (art. 768-quinquies cod. civ.) e la suddetta azione si prescrive nel termine di un anno. Il patto di famiglia può essere sciolto o per mutuo consenso, tramite la stipulazione di un nuovo contratto avente le medesime caratteristiche e prevedente la partecipazione delle medesime parti che conclusero il primo patto, ovvero mediante recesso, se la facoltà di recedere fu espressamente prevista nel patto stesso. La dichiarazione di recesso è destinata alle controparti contrattuali e deve essere certificata da notaio (art. 768-septies cod. civ.). Ove si verificasse che il coniuge o altri legittimari siano stati pretermessi dalla stipulazione del patto essi potranno, all'apertura della successione dell'imprenditore disponente, chiedere ai beneficiari del patto il pagamento della somma pari al valore delle quote di legittima loro corrispondenti, maggiorata degli interessi legali (art. 768-sexies cod. civ.). La norma finale dell'art. 768-octies cod. civ. prevede che le controversie relative alle disposizioni sul patto di famiglia vadano preliminarmente devolute agli organismi di conciliazione previsti dall'articolo 38 del D. Lgs.vo 17.1.2003 n. 5. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 17 LA SUCCESSIONE La successione si apre al momento della morte (art. 456 c.c.) e mira ad assicurare la continuità dei rapporti attivi e passivi già facenti capo al de cuius. La Costituzione all’art. 42, comma 4, afferma che “la legge stabilisce le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”. Come vedremo in seguito, la successione testamentaria è quella dettata dalla volontà del de cuius mediante disposizioni scritte nel testamento, mentre la successione legittima è quella disposta dalla legge quando non vi sia un testamento o quando esso non contempli l’intero asse ereditario, di modo che alcuni beni risultano non assegnati. Nell’ambito poi della successione legittima si inserisce quella dello Stato quando il defunto non ha fatto testamento e non ha parenti entro il sesto grado. La successione ha dunque la funzione di tutelare la famiglia e di garantire la permanenza del patrimonio all’interno della cerchia familiare. Con riferimento a taluni familiari (i c.d. legittimari) si parla poi di successione necessaria in quanto essi devono ricevere una data quota del patrimonio del de cuius fissata per legge anche contro la volontà del defunto. Gli eredi legittimari sono: il coniuge, figli legittimi, naturali, legittimati, adottivi, e in assenza di figli gli ascendenti legittimi. Per cui se il de cuius fa testamento può disporre, se ha degli eredi legittimari, solo di una parte del proprio patrimonio (la c.d. quota disponibile), mentre l’altra parte (la c.d. quota di riserva) spetta necessariamente ai legittimari. Qualora il de cuius non rispetti tale disposizione i legittimari possono agire con un’azione giudiziaria (detta azione di riduzione) per reintegrare la quota di riserva lesa. Ai fini di stabilire qual è il patrimonio del de cuius su cui va calcolata la quota di riserva si deve tenere conto non solo di quanto lasciato al momento della morte ma anche di quanto donato in vita. Se il de cuius non fa testamento si apre la successione legittima. È la legge a fissare l’ordine con cui i vari parenti fino al sesto grado vengono chiamati a succedere e le quote in cui succedono. Anche nell’ipotesi di successione legittima può sorgere il problema della tutela dei legittimari in quanto la lesione della quota di riserva può essere avvenuta, anche in assenza di © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 18 testamento, a seguito delle donazioni fatte in vita. In assenza di testamento e di parenti entro il sesto grado succede lo Stato. Quindi, la successione può essere testamentaria (se il de cuius ha fatto testamento) o legittima (se manca il testamento). La successione poi può essere a titolo universale (si succede nella totalità dei rapporti facenti capo al defunto) o a titolo particolare (si succede nel singolo rapporto individuato dal de cuius nel testamento). Nell’ambito della successione mortis causa si deve fare la distinzione tra successione a titolo universale e successione a titolo particolare. Eredità e legato. Eredità e legato. La prima fa acquistare la qualità di erede che succede in tutti i rapporti, attivi e passivi (in universum ius), del de cuius. L’istituzione di erede non può mai mancare in quanto è la tessa legge che sopperisce, in caso di successione legittima, se non vi ha provveduto il defunto. Il legato, invece, può essere disposto solo da defunto attraverso il testamento, salvo i casi di legato ex lege, e implica la successione del legatario solo in quel singolo rapporto indicato espressamente dal de cuius. Capire se una disposizione sia stata prevista a titolo di erede o di legato non si desume dalla terminologia usata dal testatore ma da criterio oggettivi: l’erede è chiamato a succedere nella universalità dei beni o in una quota di essi (la metà, un terzo), mentre al legatario è attribuito un bene singolo. Comunque l’indicazione di determinati beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota per patrimonio. Mentre l’erede risponde di tutti i debiti del defunto anche al di là del valore dell’attivo, il legatario risponde solo delle obbligazioni discendenti dal singolo rapporto in cui succede e mai al di là del valore dei beni ricevuti. Per tale motivo il legato si acquista automaticamente, al momento della morte del de cuius, senza la necessità della sua accettazione; al contrario l’acquisto della qualità di erede è subordinato alla accettazione che può anche avvenire con beneficio di inventario al fine di limitare la responsabilità patrimoniale al valore dei beni lasciati dal de cuius. Inoltre, mentre la successione a titolo universale è esclusiva della successione mortis causa, la successione a titolo particolare si ravvisa anche in ogni trasferimento tra vivi. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 19 L’art 458 c.c. afferma la nullità di ogni atto di disposizione o di rinunzia ai diritti su una successione non ancora aperta. Patti successori, il divieto dei patti. Il divieto dei patti successori. Questi atti sono chiamati “patti successori” e possono essere: – istitutivi, quando si dispone della propria successione al di fuori del tepatti successoristamento, pretendendo di creare così accanto alla vocazione testamentaria e legale una specie di vocazione contrattuale; – dispositivi, quando si vuole disporre di diritti che possono spettare su una successione futura; – rinunciativi, quando si rinuncia a diritti che possono spettare su una successione prima dell’apertura della stessa successione. Il chiamato all’eredità è la persona a cui l’eredità è offerta. Qualora il chiamato non sia nel possesso dei beni è possibile che non subentri immediatamente poiché egli ha 10 anni di tempo per accettare l’eredità e in tal caso viene nominato un curatore dell’eredità giacente. Come vengono regolamentati i rapporti pendenti nel periodo che va dall’apertura della successione all’accettazione dell’eredità? In tale periodo di tempo il chiamato all’eredità ha interesse a che la situazione di fatto esistente al momento dell’apertura della successione rimanga inalterata. Per tale motivo egli può esercitare le azioni possessorie, compiere atti conservativi, di vigilanza, di amministrazione temporanea e può farsi autorizzare dall’autorità giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio. Il chiamato all’eredità, solo se è nel possesso dei beni ereditari, ha l’onere di formare l’inventario entro tre mesi (rinnovabili) a garanzia dei terzi (art. 485 c.c.). Inoltre, durante la formazione dell’inventario, ha la facoltà di rappresentare l’eredità qualora sia convenuta in giudizio; se, invece, non intende comparire, l’autorità giudiziaria provvede alla nomina di un curatore dell’eredità con il solo scopo di rappresentarla in giudizio. Si parla di eredità giacente quando, apertasi la successione, il chiamato all’eredità non è stato identificato oppure il chiamato non ha ancora accettato l’eredità e non sia nel possesso dei beni (cosicché ha 10 anni per decidere se accettare). Allora su istanza delle persone interessate (un legatario, un creditore, un chiamato all’eredità di grado successivo) o d’ufficio, il giudice del luogo ove si è aperta la successione provvede alla © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 20 nomina di un curatore dell’eredità che cessa dalle sue funzioni nel momento in cui avviene l’accettazione dell’eredità. Se i chiamati all’eredità sono più di uno allora il primo che accetta amministrerà l’intera eredità. Il curatore dell’eredità giacente rappresenta un semplice amministratore del patrimonio ereditario e come tale è tenuto a procedere all’inventario dell’eredità, ad amministrarla, nonché a rendere conto della propria amministrazione. Il pagamento dei debiti ereditari e dei legati può essere fatto dal curatore previa autorizzazione del giudice a meno che alcuni creditori o legati non facciano opposizione; in tal caso si dovrà procedere alla liquidazione dell’eredità dettate dall’art. 498 e ss del c.c. Capacità di succedere. Hanno la capacità di succedere tutti coloro che sono nati al tempo dell’apertura della successione, coloro che sono stati concepiti al tempo della successione ( si presume concepito in tale tempo chi è nato entro 300 giorni dalla morte del de cuius) e in caso di successione testamentaria anche i figli non ancora concepiti di persona vivente al tempo della morte del testatore. L’indegnità Viceversa, può accadere che un soggetto, benché chiamato a succedere, sia escluso dalla successione. È il caso dell’indegnità. È indegno di succedere chi abbia posto in essere uno dei comportamenti previsti dall’art. 463: però in tal caso l’indegno comunque acquista dopo l’apertura della successione ciò che gli spetta, ma deve restituirlo qualora chi abbia interesse alla condanna dell’indegno promuovi un’azione giudiziaria (azione che si prescrive in 10 anni dall’apertura della successione) che accerti tramite sentenza l’indegnità. L’indegno deve restituire insieme ai beni anche i frutti percepiti dopo l’apertura della successione. I casi di indegnità si raggruppano in due categorie: 1) Casi penalmente rilevanti: – Omicidio e tentato omicidio nei confronti del de cuius e dei suoi eredi legittimari; – denunzie calunniose nei confronti degli stessi soggetti per pretesi reati punibili con l’ergastolo o con la reclusione non inferiore a 3 anni; – testimonianza false in giudizi penali per i reati di cui sopra intentati nei confronti del de cuius e suoi eredi. 2) Casi rilevanti in sede civile: © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 21 – attentato alla libertà di testare, consistente nell’indurre il de cuius , con dolo o violenza, a fare, revocare, mutare un testamento, o ancora nell’alterare egli stesso il testamento o formandone uno falso. Il de cuius può anche riabilitare, ossia perdonare, l’indegno mediante una dichiarazione contenuta in un atto pubblico o in un testamento posteriore al comportamento dell’indegno. Accettazione dell’eredità. In genere la qualità di erede si acquista mediante l’accettazione, espressa o tacita, i cui effetti retroagiscono al momento in cui si è aperta la successione. In alcuni casi, invece, l’acquisto della qualità di erede avviene ex lege, anche contro la volontà del chiamato all’eredità. Vediamo quali sono: – quando il chiamato ha sottratto o nascosto beni spettanti all’eredità stessa; in tal caso non può rinunciare all’eredità; – quando l’erede, che è nel possesso dei beni ereditari, deve fare l’inventario dei beni entro 3 mesi (prorogabili per altri tre mesi) ma non lo fa; in tal caso trascorso il termine ultimo per la redazione dell’inventario il chiamato è considerato erede puro e semplice. L’accettazione espressa L’accettazione è espressa “quando, in un atto pubblico o in una scrittura privata, il chiamato all’eredità ha dichiarato di accettarla oppure ha assunto il titolo di erede. Inoltre è nulla la dichiarazione di accettare sotto condizione o a termine.” Infatti il nostro ordinamento prevede che una “volta eredi si è sempre eredi” (semel heres, sempre heres) per cui non può apporsi un termine finale all’accettazione così come l’accettazione non può essere revocata. Infine, “è nulla la dichiarazione di accettazione parziale di eredità”; ciò perché con l’accettazione non si acquista quel bene o quella data quota di patrimonio, ma la qualità di erede che è unitaria e indivisibile. L’accettazione tacita L’accettazione è tacita quando “il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”. Di conseguenza ciò che importa ai fini dell’accettazione tacita è l’animus del chiamato che compie un dato atto e non la natura dell’atto compiuto. Esiste una ricca casistica di fattispecie di accettazione tacita che può risultare: – da una dichiarazione, ad esempio da un’iscrizione di ipoteca o da una vendita riguardante il bene ereditato; © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 22 – da un comportamento consistente ad esempio nel pagamento di un debito ereditario con denaro prelevato dall’asse ereditario; – dall’inizio di un’azione giudiziaria consistente nella domanda di divisione ereditaria o nell’impugnazione di disposizioni testamentarie ecc. Il diritto di accettare si prescrive in 10 anni nel caso in cui il chiamato non sia nel possesso dei beni o di parte di essi; in caso contrario si osserva quanto disposto dall’art. 485 c.c., ossia tre mesi o sei se il termine è prorogato. Coloro che vi abbiano interesse possono esperire un’azione giudiziaria (l’actio interrogatoria) affinché il giudice fissi al chiamato (non nel possesso dei beni e che ha 10 anni di tempo per decidere se accettare) un termine entro il quale dichiari di accettare o di rinunciare all’eredità. Trascorso tale termine senza che il chiamato abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare. Il chiamato, non nel possesso dei beni ereditari, perde il diritto di accettare anche quando abbia formato l’inventario senza però precederlo dalla dichiarazione di successione e non accetta entro i successivi 40 giorni. Il termine per l’accettazione decorre dal giorno dell’apertura della successione. L’impugnazione dell’accettazione L’accettazione dell’eredità può essere impugnata qualora sia l’effetto di violenza o dolo. In tal caso l’azione si prescrive in 5 anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo. Il chiamato all’eredità può decidere di accettare con beneficio di inventario se vuole limitare la sua responsabilità entro i limiti di valore del patrimonio relitto (è l’attivo lasciato del de cuius) del de cuius. Accettazione con beneficio dell’inventario. Come si accetta? L’accettazione con beneficio di inventario si effettua mediante dichiarazione ricevuta da un notaio o cancelliere del tribunale territorialmente competente ed è inserita nel registro delle successioni. Tale dichiarazione dev’essere poi trascritta presso la conservatoria del luogo in cui si è aperta la successione. La trascrizione di cui sopra va eseguita anche se nell’eredità non vi siano beni immobili ed è unica anche se gli immobili sono una pluralità. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 23 L’inventario va formato entro 3 mesi rinnovabili una sola volta per altri 3 mesi (totale 6 mesi). A questo punto va distinto il caso in cui chi faccia l’inventario sia o meno nel possesso dei beni. Il chiamato nel possesso dei beni ha l’obbligo di formare l’inventario indipendentemente e a prescindere dall’accettazione con beneficio di inventario in quanto proprio perché nel possesso dei beni vi è la necessità di garantire i creditori da un lato e dall’altro quello di evitare che i beni ereditari e quelli personali del chiamato possano confondersi. Se il chiamato non osserva il termine trimestrale (rinnovabile) allora si considera erede puro e semplice anche contro la sua volontà. Una volta formato l’inventario nel termine di legge, il chiamato, se non ha già manifestato la sua volontà di accettare con beneficio di inventario, deve decidere entro i successivi 40 giorni. Scaduti questi, il chiamato è libero di accettare con o senza beneficio di inventario o di rinunciare. Se tace è considerato erede puro e semplice. Qualora, invece, il chiamato non sia nel possesso dei beni ha 10 anni di tempo per decidere se accettare con beneficio di inventario, accettare senza beneficio di inventario o rinunciare. Per cui se decide di accettare con beneficio di inventario allora da quel momento decorrono i 3 mesi per formare l’inventario, trascorso il quale invano egli sarà considerato erede puro e semplice. Se, al contrario, decide di procedere prima all’inventario, avrà poi 40 giorni da quando esso sarà formato per accettare: in difetto egli decadrà dal relativo diritto. Qualora al chiamato non nel possesso dei beni venga fissata dal giudice un termine per l’accettazione ed egli voglia accettare con beneficio, dovrà provvedere alla formazione dell’inventario entro il termine così fissato. Se fa la dichiarazione ma non fa l’inventario sarà considerato erede puro e semplice, mentre se forma l’inventario ma non fa la dichiarazione non potrà acquistare la qualità di erede. Una volta formato l’inventario l’effetto è quello di tener distinto il patrimonio del de cuius da quello dell’erede; gli altri effetti: – non si crea confusione tra i beni del defunto e quelli dell’erede; – l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti. Per cui pur essendo lui succeduti in tutti i rapporti del de cuius, attivi e passivi, vede limitata la sua responsabilità ai soli beni pervenutigli, cioè al solo attivo; – i creditori dell’eredità e i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fonte ai creditori dell’erede. Tale effetto può però venir meno in caso di decadenza dal beneficio di inventario o in caso di rinuncia ad esso. L’erede che accetta con beneficio di inventario deve anche pensare al soddisfacimento dei creditori e dei legatari; egli può agire in tre modi: – trascorso un mese dall’inserzione della dichiarazione dell’erede (con cui accetta con beneficio di inventario) nel registro delle successioni senza che i creditori e legatari si oppongano, l’erede può procedere al pagamento dei creditori man mano che essi si presentano; – se i creditori e legatari si oppongono o se l’erede stesso non intende accettazione beneficio inventario procedere ad una liquidazione individuale si apre quella concorsuale. L’erede, con l’assistenza di un notaio e con il controllo del giudice, invita creditori e legatari a presentare le dichiarazioni di credito, dopo procede alla liquidazione dell’attivo e alla formazione della graduatoria dei crediti; © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 24 – se l’erede non vuole occuparsi della liquidazione può rilasciare tutti i beni ereditati a creditori e legatari. Tale dichiarazione va annotata sul registro delle successioni e trascritta (nella conservatoria del luogo ove si trovano gli immobili ereditati). Essa comporta che l’erede non può più disporre di tali beni. Operata la trascrizione, il giudice nominerà un curatore perché provveda alla liquidazione concorsuale. L’istituto del beneficio di inventario da un lato garantisce i creditori e i legatari, dall’altro garantisce l’erede dal rischio di dover rispondere dei debiti ereditari oltre il valore dei beni. Per tale motivo la legge prevede che le eredità devolute a minori e interdetti, minori emancipati e inabilitati, nonché quelle devolute a persone giuridiche diverse dalle società, possano essere accettate solo con beneficio di inventario. Abbiamo detto che in genere l’erede accetta l’eredità con beneficio di inventario quando nell’eredità le passività superano le attività. Eredità e separazione dei beni. In tal modo egli si protegge in quanto non risponderà mai oltre l’attivo ereditario per i debiti contratti dal de cuius e proteggerà anche i creditori del defunto che non dovranno concorrere con i creditori personali dell’erede sull’attivo dell’eredità. Per cui se l’erede ha già molti debiti personali e l’eredità si presenta attiva, accetterà semplicemente, senza beneficio di inventario, con grave danno dei creditori dell’eredità e dei legatari che dovranno concorrere con i tanti creditori personali dell’erede. I creditori possono, per tutelare le proprie ragioni, esercitare la separazione dei beni del defunto e soddisfarsi su beni separati con preferenza dei creditori dell’erede. Con la separazione si ottiene un risultato simile al beneficio di inventario solo che: in caso di accettazione beneficiata i creditori dell’eredità e i legatari non possono soddisfarsi sui beni personali dell’erede mentre i creditori personali dell’erede possono aggredire i beni ereditari solo in via sussidiaria; nel caso di separazione ,invece, i creditori dell’eredità e i legatari possono soddisfarsi anche sui beni personali dell’erede così come i creditori personali di costui possono aggredire i beni dell’eredità, ma sempre in via sussidiaria rispetto agli altri creditori e legatari. Altra differenza è la seguente: il beneficio di inventario tiene distinti il patrimonio dell’erede da quello del de cuius e crea all’interno di quest’ultimo due categorie distinte, quella dei creditori dell’eredità e legatari e quella dei creditori personali dell’erede; invece la separazione non tiene distinti i due patrimoni ma separa all’interno del patrimonio ereditario singoli beni a vantaggio di quei creditori e legatari che hanno attuato la separazione; per cui distingue all’interno del patrimonio ereditario tra creditori separatisti e non separatisti. La separazione va chiesta mediante domanda giudiziale entro 3 mesi dall’apertura della successione. Una volta chiesta la separazione bisogna distinguere il caso in cui il patrimonio non separato sia capiente o meno. I creditori che non hanno chiesto la separazione possono soddisfarsi solo sul patrimonio non separato e in più in concorso con i creditori personali dell’erede. Per cui se anche tale patrimonio non separato è capiente, può darsi che essi possano rimanere insoddisfatti per via del concorso con i creditori personali. Questo è il prezzo che devono pagare per non aver voluto chiedere la separazione. Solo in questo caso i creditori e legatari non separatisti possono concorrere con coloro che hanno esercitato la separazione. Ciò accade nell’ipotesi in cui tutti i beni siano stati già separati non potendosi in tal caso ipotizzare un concorso con i creditori dell’erede. Se, invece, una parte del patrimonio non era stata separata e il suo valore non era comunque sufficiente a soddisfare i non separatisti, allora il valore della parte non separata si aggiunge al valore dei beni separati. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 25 Per ciò che concerne il rapporto tra i creditori e i legatari, i primi prevalgono sui secondi. L’unica ipotesi in cui i legatari prevalgono sui creditori è quella dei legatari separatisti in conflitto con creditori non separatisti negligenti che, pur essendo il patrimonio del de cuius capiente, non hanno esercitato la separazione. Con l’accettazione dell’eredità si acquista la qualità di erede. Petizione ereditaria Quest’ultimo ha a disposizione una particolare azione, la petizione ereditaria, con cui può chiedere il riconoscimento della qualità di erede contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza alcun titolo, al fine di vedersi restituire tali beni (art. 533 c.c.). Quindi, l’azione di petizione ereditaria può essere esperita sia: – contro chi pretende di essere egli stesso erede e quindi legittimato a possedere i beni per tale motivo; in tal caso l’erede che agisce con l’azione deve provare unicamente l’esistenza di una valida vocazione a suo favore e la valida accettazione (per cui se ad esempio un erede legittimo contesta ad un erede testamentario la sua qualità in quanto ritiene che il testamento sia invalido, deve dare la prova della validità del testamento). – contro chi possiede i beni ereditari senza contestare la qualità di erede; in tal caso l’erede si deve limitare a provare che il bene posseduto dal terzo fa parte dell’asse ereditario. Si tratta di un’azione volta ad accertare la qualità di erede o l’appartenenza del bene all’asse ereditario; la restituzione del bene è solo un effetto secondario conseguente all’accertamento della qualità. L’azione di petizione ereditaria si presenta molto simile all’azione di rivendica con cui però ha in comune solo il risultato finale, ossia la restituzione del bene. Cosa succede se chi possiede a titolo di erede o anche senza titolo aliena i beni a terzi prima di essere convenuto con l’azione di petizione ereditaria. In tal caso l’erede può anche agire contro i terzi. Ma bisogna fare delle precisazioni. Infatti, se una persona ha acquistato da persona che si dichiara e che appare come erede, ma non lo è (erede apparente), in tal caso sono fatti salvi i diritti dei terzi che abbiano acquistato a titolo oneroso e provino la loro buona fede. Se i terzi abbiano acquistato dall’erede apparente un bene immobile o un bene mobile registrato, sono fatti salvi i diritti da loro acquistati qualora dimostrino di essere stati in buona fede e abbiano trascritto il relativo acquisto. Qualora l’erede vero non riesce a recuperare il bene trasferito ai terzi allora può rivalersi sul possessore alienante (l’erede apparente che possieda i beni). Anche in tal caso si fa una distinzione: – se il possessore che ha alienato i beni era possessore in buona fede (lo è chi ha acquistato il possesso dei beni ritenendo per errore di essere erede), è obbligato a restituire all’erede il prezzo o il corrispettivo ricevuto. – Se, invece, il possessore era in mala fede e ha alienato in mala fede, deve risarcire all’erede vero l’intero danno da lui subito. Il chiamato all’eredità può anche decidere di non accettare la delazione e rinunciare all’eredità attraverso una dichiarazione unilaterale non recettizia ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale territorialmente competente. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 26 Rinuncia all’eredità. La rinunzia non può riguardare i legati e le donazioni fatte in vita dal de cuius al rinunziante. Tale dichiarazione viene poi inserita nel registro delle successioni. Come l’accettazione anche la rinuncia ha effetto retroattivo a far data dall’apertura della successione. La rinunzia può essere fatta in qualsiasi momento dopo l’apertura della successione e fino a quando è possibile accettare. E’ anche possibile che il chiamato dapprima rinunzi all’eredità e poi accetti, sempre che non sia ancora intervenuta l’accettazione di un altro dei chiamati all’eredità e sempre che non sia decorso il termine prescrizionale per accettare. La rinunzia è nulla se è fatta sotto condizione o a termine o solo per una parte dell’eredità e può essere impugnata solo per violenza e dolo. Qualora il rinunziante abbia dei creditori personali e a seguito di delazione rinunzi all’eredità, benché senza frode, a danno dei suo creditori, questi possono farsi autorizzare dal giudice, entro 5 anni dalla rinunzia, ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante al fine di soddisfarsi sui beni ereditari fino a concorrenza dei loro crediti. A questo punto se, da un lato, il rinunziante non ha accettato l’eredità questa sarà entrata a far parte del patrimonio dell’erede subentrato al suo posto che si vedrà aggrediti tali beni dai creditori del rinunziante. Per cui si ritiene che l’erede subentrato possa evitare l’esecuzione dei beni entrati nel suo patrimonio offrendo il valore dei beni oppure rilasciando i beni ai creditori o ancora estinguendo direttamente i debiti del rinunziante per poi rivalersi nei suoi confronti. Il legato è disposto di solito dal testatore, ma alcune rare volte anche dalla legge. Legato testamentario: come si acquista il legato. Legato testamentario: come si acquista il legato. Tra i casi di legato ex lege: l’assegno vitalizio spettante ai figli naturali non riconoscibili e l’assegno periodico a carico dell’eredità a cui ha diritto il coniuge divorziato che stia in stato di bisogno in caso di morte dell’ex coniuge obbligato. Il legato si acquista automaticamente senza bisogno di accettazione, salva la facoltà di rinunziare. Non è previsto un termine per la rinunzia che deve essere comunque fatta nel termine prescrizionale a meno che l’autorità giudiziaria, su istanza di una persona interessata, non fissi un termine trascorso il quale il legatario perde il diritto di rinunziare. Una volta rinunziato al legato non è più possibile cambiare idea, ossia rinunziarvi. Inoltre, il legatario, a differenza dell’erede, risponde delle obbligazioni del de cuius nei limiti del valore della cosa legata. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 27 In caso di successione testamentaria le regole sulla delazione successiva sono molto complicate rispetto alla successione legittima. Delazione successiva Abbiamo visto che all’apertura della successione la delazione individua il chiamato all’eredità per vocazione testamentaria o legale. Se però il chiamato non può o non vuole accettare bisogna stabilire chi subentra al suo posto. In caso di successione testamentaria si segue questo iter: – se il testatore ha previsto un sostituto nel caso in cui il chiamato o il legatario non possa o non voglia succedere, si fa luogo alla sostituzione ordinaria. Il testatore può prevedere anche una scala di sostituti che subentreranno eventualmente l’uno all’altro in ordine progressivo. Se il testatore non ha previsto un sostituto bisogna verificare se è possibile applicare il meccanismo della rappresentazione. La rappresentazione fa subentrare all’infinito i discendenti legittimi o naturali (detti rappresentanti) nel luogo e nel grado del loro ascendente (il rappresentato) che non può o non vuole accettare a condizione che questi sia figlio legittimo, legittimato, adottivo o naturale del defunto ovvero suo fratello o sorella. In pratica la rappresentazione opera entro il doppio grado di parentela, ossia a favore dei discendenti legittimi e naturali dei figli e fratelli del defunto. In caso di legato, il meccanismo della rappresentazione incontra il limite del legato di usufrutto o di altro diritto personale disposto dal de cuius e del legato ex lege avente ad oggetto un assegno vitalizio (in tali casi la rappresentazione non opera perché trattasi di diritti personali nella cui titolarità non può subentrare chiunque). – Se non vi sono i presupposti per la rappresentazione si applicano le regole sull’accrescimento. Il meccanismo consiste nell’accrescersi della quota del chiamato che non può o non vuole accettare a favore di quella degli altri chiamati che abbiano accettato. L’accrescimento opera quando più eredi sono stati istituiti con uno stesso testamento nell’universalità dei beni, senza determinazioni di parti o in parti uguali. L’acquisto per accrescimento avviene di diritto senza che sia necessaria l’accettazione. In conseguenza si subentra non solo nei diritti ma anche negli obblighi facenti capo al chiamato o al legatario mancante. – Se non ha luogo l’accrescimento la porzione dell’eredità mancante si devolve agli eredi legittimi, mentre la porzione del legatario mancante va all’onerato. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 28 La quota di riserva Gli eredi legittimari sono: – – – – il coniuge; i figli legittimi, legittimati e adottivi; i figli naturali; gli ascendenti legittimi, in assenza di figli. Inoltre, a favore dei discendenti dei figli legittimi o naturali che vengono alla successione in luogo di questi la legge attribuisce gli stessi diritti sulla quota di riserva (c.d. rappresentazione). Entità della quota di riserva La quota di riserva varia a seconda della categoria di legittimario e in caso di concorso con altri legittimari. Ai figli: se il genitore lascia un solo figlio a lui spetta la metà del patrimonio. Se vi sono più figli a loro spettano i 2/3 del patrimonio da diversi in parti uguali tra tutti i figli. Agli ascendenti: se il de cuius non ha figli, ma solo ascendenti legittimi, a loro spetta un terzo del patrimonio. Se vi sono più ascendenti la quota è ripartita tra gli stessi. Al coniuge: al coniuge spetta la metà del patrimonio dell’altro coniuge. Inoltre, a lui sono anche riservati i diritti di abitazione sulla casa di residenza e i diritti di uso sui mobili, se di proprietà del de cuius o comuni. Quest’ultimi diritti gravano sulla quota disponibile e se questa non è sufficiente sulla quota di riserva del coniuge. Le ipotesi di concorso sono due, quella dei figli con il coniuge e quella del coniuge con gli ascendenti. Concorso tra figli e coniuge: Se il de cuius lascia il coniuge e un solo figlio, allora a quest’ultimo spetta 1/3 e al coniuge ugualmente 1/3. Se il de cuius lascia più figli allora ad essi spetta complessivamente (in parti uguali) la metà del patrimonio, mentre al coniuge 1/4. Concorso tra ascendenti e coniuge: se il de cuius non ha figli, ma solo ascendenti legittimi e il coniuge, a quest’ultimo è riservata la metà del patrimonio, mentre agli ascendenti 1/4. Se gli ascendenti sono più di uno la quota loro spettante è tra loro ripartita. Al coniuge separato al quale non sia stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato. Se, invece, vi è stato addebito al coniuge spetta solo un assegno vitalizio se al © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 29 momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge defunto. La quota di riserva deve sempre pervenire ai legittimari anche contro la volontà del de cuius, il quale inoltre non può imporre pesi o condizioni sulla quota stessa. Per poter determinare la quota disponibile (di cui il defunto può disporre liberamente) e la quota di riserva (riservata ai legittimari) si forma una massa di tutti i beni appartenenti al de cuius al tempo della morte (si considerano anche le donazioni fatte in vita) togliendone il passivo, ossia i debiti. Dopo averli riuniti tutti fittiziamente (si parla di riunione fittizia in quanto si tratta di fare una semplice operazione matematica) si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre. La prova dell’appartenenza dei beni al de cuius e del loro valore deve essere data dal legittimario che voglia controllare la congruità di quanto ricevuto o voglia stabilire quanto avrebbe dovuto ricevere. Può accadere che detratti i debiti, il passivo sia superiore all’attivo, per cui la quota di legittima va calcolata solo sulle donazioni che potrebbero in tal modo essere ridotte. Facciamo un esempio pratico: Immaginiamo che il de cuius abbia due figli e che in vita abbia donato ad un solo figlio beni per un valore di 200. Alla sua morte il defunto lascia per testamento 1000 ripartito in tal modo: 300 ad un figlio, 300 all’altro figlio, 400 ad un’associazione. I debiti ammontano a 200. Per vedere se la disposizione a favore dell’associazione è stata mantenuta nei limiti della quota disponibile, togliamo dunque dal valore di tutti i beni i debiti per cui si avrà 1000-200=800; poi si aggiunge la donazione di 200 e si ottiene 1000. Dato che ai figli spettano i 2/3 del patrimonio a titolo di quota di riserva e cioè 666 (ossia 333 a ogni figlio), la quota disponibile è di 333 e pertanto la disposizione fatta all’associazione (essendo di 400) è lesiva. A questo punto entra in gioco la donazione di 200 fatta dal da cuius a uno dei due figli, dovendo verificare se la lesione sia anche nei suoi confronti. Se la donazione era stata fatta al figlio senza esonero da imputazione all’asse ereditario significa che essa era stata fatta in conto di legittima; in quest’ultimo caso la donazione va imputata all’eredità e allora la lesione non sussiste (in quanto la quota è di 333 e il figlio ha ricevuto in donazione anche 200; per cui è sufficiente che riceva altre 133 per arrivare a 333, mentre ne ha ricevuto 300). Si tratterà di reintegrare solo la quota di riserva dell’altro figlio che ha ricevuto solo 300, senza donazione, e che avendo invece diritto a 333 dovrà avere altri 33. L’azione di riduzione. L’azione di riduzione è un’azione che spetta al legittimario nel caso in cui non abbia ricevuto nulla oppure che abbia ricevuto per testamento o si trovi a succedere per successione legittima in una quota di beni inferiore a quella che gli spetta per legge. Tale lesione può essere stata cagionata dal defunto sia con disposizioni testamentarie che con atto tra vivi, come donazioni e liberalità. L’art. 560 c.c prevede che l’azione di riduzione consiste nell’attribuire al legittimario i beni in natura necessari a reintegrare la sua quota lesa. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 30 In pratica, in presenza di successione testamentaria la riduzione consiste nel separare la parte del bene che serve per integrare la quota riservata. Se ciò non è possibile allora il bene viene attribuito integralmente all’eredità o a chi ha subito la riduzione con pagamento dei dovuti conguagli. I beni immobili e quelli mobili registrati vengono restituiti al legittimario liberi da pesi e ipoteche, nonché da ogni diritto reale e personale di godimento e di garanzia. In caso di successione legittima l’art 553 c.c., nel concorso di legittimari con altri successori non legittimari, le porzioni che spetterebbero a questi ultimi si riducono proporzionalmente nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari. Per cui si procederà prima a ridimensionare le quote dei successori non legittimari (riducendo i beni loro spettanti o le loro quote) per poi passare a ridurre eventuali disposizioni testamentarie (se il defunto ha disposto in parte dei suoi beni con testamento) e infine le donazioni. In caso di disposizioni lesive della quota di riserva si procede prima alla riduzione delle disposizioni testamentarie e poi alla riduzione delle donazioni in quanto le prime, essendo mortis causa, hanno effetto in un momento successivo (ossi all’apertura della successione che segna anche il momento in cui si procede alla riunione fittizia). Le disposizioni testamentarie vengono ridotte proporzionalmente (in proporzione a quanto ricevuto al fine di mantenere intatte le proporzioni volute dal defunto) senza distinzione tra eredi e legatari a meno che il de cuius non abbia dichiarato (nel testamento) che una disposizione deve avere effetto con preferenza rispetto alle altre. Poi si procede a ridurre le donazioni valide. Se la donazione è nulla il legittimario può agire con l’azione di nullità che ha come conseguenza quella di far rientrare il bene donato nell’asse ereditario, avvantaggiando così tutti gli eredi( l’azione di riduzione, invece, mira solo a far dichiarare l’inefficacia delle donazioni o delle disposizioni testamentarie nei confronti del legittimario; solo quest’ultimo potrà procedere poi alla reintegrazione della propria quota, mentre la donazione rimarrà efficace nei confronti di ogni altro soggetto, anche del legittimario che non ha agito in riduzione). Le donazioni si riducono ad iniziare dall’ultima e risalendo via via a quelle precedenti nel tempo in quanto si presume che l’ultima donazione effettuata dal de cuius sia quella lesiva. Facciamo un esempio: se il defunto ha in vita un patrimonio pari a 1000 e fa prima una donazione di 100 e poi un’altra di 500, morendo subito dopo, e lasciando all’unico figlio un patrimonio di 400 si avrà la seguente situazione: al relictum di 400 (che spetta al figlio) si devono togliere i debiti (supponiamo in tal caso pari a zero) e si sommano le donazioni pari a 600. Si avrà dunque 1000. Poiché all’unico figlio spetta la metà del patrimonio, ossia 500, ne deriva che la quota del figlio ricevuta per testamento è lesiva in quanto è stata di soli 400. Di conseguenza egli potrà agire in riduzione nei confronti dell’ultima donazione (di 500) per recuperare 100. Saranno salve l’ultima donazione per il restante di 400 e la precedente di 100. L’azione di riduzione si prescrive nel termine di 10 anni decorrenti dalla morte del de cuius. L’azione di riduzione e restituzione. Una volta intrapresa l’azione di riduzione si può rinunciare ad essa senza particolari formalità (la rinuncia all’azione di riduzione si può desumere anche da comportamenti concludenti) e ciò comporta che le donazioni e le disposizioni testamentarie lesive diventano definitivamente inattaccabili. L’azione di riduzione può essere intrapresa dai legittimari, dai loro eredi ed aventi causa (in quanto tale diritto si trasmette mortis causa ed inter vivos ), nonché dai creditori ereditari quando il legittimario ha accettato senza beneficio di inventario. L’azione di riduzione può essere esperita solo nei confronti dei legatari, dei donatari e degli eredi in quanto destinatari dell’assegnazione del defunto lesiva della quota di riserva. Una volta accertata la lesione e dichiarato inefficace l’atto di conferimento si procederà alla restituzione dei beni oppure al conguaglio in denaro. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 31 Nel caso in cui i convenuti con l’azione di riduzione hanno già alienato a terzi i beni il legittimario può, con la sentenza che dichiara la lesione e l’inefficacia del relativo atto di conferimento, agire nei confronti dei terzi acquirenti per ottenere la restituzione dei beni. L’azione di restituzione è disciplinata dall’art. 563 c.c.: il legittimario deve per prima aggredire il patrimonio del soggetto convenuto con l’azione di riduzione (che ha alienato il bene) per verificare se può rivalersi in toto su tale patrimonio. In caso negativo può agire per la restituzione nei confronti dei terzi acquirenti. Tutela dei terzi acquirenti Gli acquirenti di beni immobili possono perdere il bene acquistato a seguito dell’esperimento da parte del legittimario dell’azione di riduzione tranne che nel caso di seguito indicato. Infatti, se la trascrizione della domanda di riduzione è eseguita dopo 10 anni dall’apertura della successione, la sentenza che l’accoglie non pregiudica i terzi che hanno acquistato a titolo oneroso in base ad un atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda di riduzione. Per cui chi intende acquistare un bene da un donatario deve stare bene attento: se acquista prima che siano trascorsi 10 anni dalla morte del de cuius rischia di perdere tutto di fronte all’azione di riduzione del legittimario leso, se invece acquista dopo prevale sempre ché che abbia provveduto a trascrivere l’atto di acquisto prima della trascrizione dell’azione di riduzione. Il terzo acquirente che soccombe all’azione di riduzione può liberarsi dall’obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l’equivalente in denaro (art. 563, co 3, c.c.). Irrecuperabilità del bene Può accadere che il bene non sia recuperabile per causa imputabile al convenuto in riduzione (e non per cause di forza maggiore), per causa imputabile ai suoi aventi causa o perché il bene è stato alienato a terzi e l’atto di acquisto non sia attaccabile ed in più che il legittimario non possa neanche rifarsi sul patrimonio del convenuto in riduzione. In tutti questi casi il valore dei beni non recuperati viene detratta dalla massa ereditaria. La ratio di tale disposizione consiste nel trovare un equo contemperamento sottraendo dalla massa ereditaria il valore della donazione con la conseguenza di ridurre in tal modo sia la quota di riserva che quella disponibile (ponendo a carico sia del legittimario che dei donatari la perdita patrimoniale). In questa maniera il legittimario potrà rivolgersi anche contro i donatori precedenti ma per un importo inferiore. L’azione di riduzione si prescrive nel termine di 10 anni decorrenti dalla morte del de cuius. L’art. 564 c.c. prevede, quanto alle condizioni per esercitare l’azione di riduzione, che il legittimario che non ha accettato con beneficio di inventario non può chiedere la riduzione delle donazioni e dei legati, a meno che le donazioni ed i legati siano stati fatti a persone chiamate come coeredi (sebbene abbiano rinunciato all’eredità). L’azione di riduzione. L’azione di riduzione. Le condizioni dell’azione. L’azione di riduzione. Le condizioni dell’azione. Questa disposizione non si applica all’erede che ha accettato col beneficio d’inventario e che ne è decaduto. Lo scopo della norma è quella di tutelare i donatari e legatari estranei i quali per poter riuscire a verificare se vi sia stata un’eventuale lesione, necessitano di un inventario che specifichi l’esatta consistenza dei beni ereditari. Per tale motivo l’accettazione beneficiata non è, invece, richiesta quando legatari e donatari siano anche coeredi in quanto si presumi che gli stessi, in quanto successori a titolo universale, conoscano esattamente l’entità del patrimonio senza dover procedere all’inventario. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 32 Altra condizione è quella per cui il legittimario che chiede la riduzione ha l’obbligo di imputare alla sua quota di legittima le donazioni ed i legati ricevuti, a meno che non ne sia stato espressamente dispensato. Il legittimario che succede per rappresentazione deve anche imputare le donazioni e i legati fatti, senza espressa dispensa, al suo ascendente. La dispensa in ogni caso non ha effetto a danno dei donatari anteriori. Nel caso in cui, poi, il legittimario rinunzi all’eredità può, sulla sua quota disponibile, ritenere le donazioni o conseguire i legati. Per cui la rinunzia all’eredità non comporta rinunzia alle donazioni ricevute in vita, sebbene esse devono sempre intendersi come fatte in conto di legittima. Qualora il relictum, ossia tutti i beni facenti parte del patrimonio del de cuius, è superiore ai debiti ereditari non vi sono problemi nei rapporti tra i legittimari e i creditori del defunto in quanto quest’ultimi verranno soddisfatti. Legittimari e creditori. Legittimari e creditori. Se, al contrario, l’eredità è passiva può nascere un conflitto tra i creditori dell’eredità e i legittimari in presenza di donazioni fatte in vita dal de cuius a terzi estranei. Infatti, in tal caso i legittimari agiranno in riduzione per reintegrare la propria quota lesa e i creditori possono pretendere di rivalersi anch’essi sulle donazioni. I creditori ereditari possono agire contro le donazioni con l’azione revocatoria sempre che non sia decorso il termine di 5 anni. Nel conflitto con il legittimario che vuole agire con l’zione di riduzione si ritiene che prevalga l’azione revocatoria. Se l’azione revocatoria è prescritta rimane la possibilità di agire con l’azione di riduzione; però, i creditori del de cuius non possono chiedere la riduzione se il legittimario avente diritto alla riduzione ha accettato con beneficio di inventario © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 33 © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 34 Successione testamentaria Il codice civile all’art. 587 definisce il testamento come atto revocabile con il quale taluno dispone per dopo la propria morte di tutte le proprie sostanze o di parte di esse. Forma testamento Le disposizioni di carattere non patrimoniale, ossia le espressioni sentimentali e simili, possono essere contenute nel testamento ed hanno efficacia, anche se la sua finalità è essenzialmente patrimoniale. Le disposizioni testamentarie possono essere a carattere universale attribuendo la qualità di erede se comprendono la totalità o una quota soltanto dei beni del testatore; oppure possono essere a carattere particolare, attribuendo invece la qualità di legatario. Ma qual è la differenza fra erede e legatario? Mentre l’erede risponde dei debiti dell’asse ereditario pro quota, il legatario non ne risponde mai. Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore (art 602 c.c.). La sottoscrizione deve essere apposta alla fine delle disposizioni ed è valida anche se non contiene il nome e cognome, purché la firma permetta di riconoscere con certezza la persona del testatore. La data deve contenere l’indicazione del giorno, mese, anno che possono espressi in qualsiasi modo purché tutti e tre gli elementi siano individuabili con certezza. L’eventuale prova della falsità della data è consentita solo quando bisogna giudicare della capacità del testatore, della priorità di data fra più testamenti. In tutti gli altri casi la sicurezza della non esattezza della data non inficia in alcun modo il testamento olografo. Il testamento pubblico è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni (art. 603 c.c.). Il testatore, alla presenza dei testimoni, dichiara al notaio la sua volontà che viene redatta in forma scritta dal pubblico ufficiale che alla fine ne dà lettura al testatore, indicando con precisione la data del ricevimento, il luogo e l’ora. Il testamento è sottoscritto oltre che dal notaio e dal testatore anche dai due testimoni. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 35 Nel caso in cui il testatore non possa firmare ne deve dichiarare la causa e il notaio ne deve dare atto prima della lettura del documento. Se, inoltre, il testatore è anche incapace di leggere è necessaria la presenza di quattro testimoni. Se, poi, il testatore si esprime in una lingua straniera che il notaio non è in grado di comprendere è indispensabile la presenza di un interprete. Il testamento segreto può essere scritto sia dal testatore che da un terzo. Nel primo caso deve essere sottoscritto alla fine delle disposizioni, mentre se è scritto in tutto o in parte da altri o mediante l’ausilio di mezzi meccanici deve contenere la sottoscrizione del testatore su ciascun foglio, unito o separato. Il testatore che sa leggere ma non sa scrivere o che non ha potuto firmare deve dichiarare al notaio che riceve il testamento segreto di averlo letto, specificando la causa che gli ha impedito di firmare; di tutto ciò si deve far menzione nell’atto di ricevimento. Chi non sa o non può leggere, come il cieco, non può fare testamento segreto. Altre importanti adempimenti da seguire sono le seguenti: – la carta che contiene le disposizioni testamentarie deve essere sigillata con un’impronta di modo che non si possa aprire senza rompere il sigillo; – il testatore, alla presenza di sue testimoni, presenta personalmente al notaio il documento sigillato oppure lo stesso viene sigillato dal notaio alla presenza dei testimoni e con la dichiarazione del testatore che quel documento rappresenta il suo testamento; inoltre, se il testatore è muto o sordomuto deve scrivere tale dichiarazione indicando anche di aver letto il testamento nel caso in cui questo sia stato scritto da altri; – Sul documento che il testatore consegna al notaio o su altro foglio predisposto dal notaio stesso e da lui sigillato si deve scrivere l’atto di ricevimento che testimonia la consegna, la dichiarazione del testatore, l’impronta del sigillo e l’assistenza dei testimoni. L’atto deve essere sottoscritto dal notaio, dal testatore, dai testimoni. Se il testatore non può sottoscrivere l’atto di consegna si segue la regola prevista per il testamento pubblico. Il codice civile contempla tre ipotesi di testamenti speciali: quelli scritti in occasione di malattie contagiose o di calamità pubbliche o infortuni, quelli redatti durante la navigazione marittima o aerea e quelli redatti da militari. Testamenti speciali: malattie contagiose, calamità pubbliche o infortuni. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 36 Le forme speciali di testamento sono quelle previste per circostanze eccezionali; tali testamenti, detti speciali, sono ricevuti da soggetti diversi dal notaio con formalità semplificate e hanno un’efficacia temporanea. Testamenti speciali: le forme speciali di testamento. Ai sensi dell’art 609 c.c. se il testatore si trova in un luogo in cui vi sia una malattia reputata contagiosa o per causa di pubblica calamità o d’infortunio, il testamento è valido se ricevuto da un notaio, dal giudice di pace del luogo, dal sindaco o da un ministro di culto; è comunque sempre necessaria la presenza di due testimoni che abbiano un’età non inferiore a sedici anni. Così, durante un viaggio a bordo di un aereo o di una nave il testamento può essere ricevuto dal comandante, mentre il testamento del comandante può essere ricevuto da colui che lo segue immediatamente in ordine di servizio. Il testamento testamenti dei militari e delle persone facenti parte delle forze armate in guerra e che si trovano in zona di operazioni belliche o prigionieri o si trovano in luoghi dove sono interrotte le comunicazioni, può essere ricevuto da un ufficiale, da un cappellano militare, da un ufficiale della croce rossa alla presenza di due testimoni. Il testamento deve essere poi trasmesso tempestivamente al quartiere generale e da questo al Ministero competente, che ne ordina il deposito nell’archivio notarile del luogo del domicilio o dell’ultima residenza del testatore. I testamenti speciali devono essere sottoscritti dal testatore, dalla persona che lo ha ricevuto e dai testimoni. Se il testatore o i testimoni non possono sottoscrivere, si deve indicare il motivo che ha reso impossibile la sottoscrizione. Inoltre, i testamenti speciali perdono in ogni caso efficacia una volta trascorsi tre mesi dalla normalizzazione degli eventi quando il testatore è nuovamente in grado di preparare un testamento nelle forme ordinarie. I testamenti speciali sono nulli quando manca la redazione in forma scritta della dichiarazione del testatore ovvero la sottoscrizione della persona autorizzata a riceverla o del testatore. In caso di altri difetti di forma la sanzione è quella dell’annullabilità del testamento sottoposta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento in cui è stata data esecuzione alla volontà testamentaria. Il testamento internazionale è disciplinato dalla legge n. 387 del 29 novembre 1990 con cui l’Italia ha aderito alla Convenzione di Washington (1973) che ha istituito una legge uniforme sulla forma di un testamento internazionale. Per cui il testamento di un italiano o di uno straniero è valido sul piano formale qualunque sia il luogo dove è stato redatto, la situazione dei beni, la residenza del testatore, purché sia scritto, in qualunque lingua, a mano, anche da terzi, o con altro procedimento. Inoltre, il testatore deve dichiarare in presenza di due testimoni e della persona abilitata a ricevere il testamento (per il territorio nazionale è il notaio, mentre all’estero un agente diplomatico o consolare) che il documento è il suo testamento e che egli ne conosce il contenuto, sottoscrivendolo poi o, se già apposta, riconoscendo la firma ovvero indicando i motivi dell’eventuale impossibilità a firmare. I testimoni e la persona abilitata non devono necessariamente conoscerne il contenuto, ma devono sottoscrivere il testamento in presenza del testatore. Ciascuna delle sottoscrizioni deve essere apposta in calce e se il testamento si compone di più fogli, ciascuno deve essere firmato dal testatore. La data del testamento coincide con quella della firma apposta dalla persona abilitata alla fine del testamento stesso. Infine la persona abilitata a ricevere il testamento redige un attestato in cui si dà atto dell’osservanza degli obblighi formali previsti dalla legge. Una copia di tale attestato viene consegnata dalla persona abilitata al testatore. Il testamento internazionale rappresenta, in conclusione, una via intermedia tra un testamento pubblico e uno segreto. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 37 La capacità del testatore. Per tale motivo è necessario che egli abbia la piena capacità di agire nonché la capacità di intendere e di volere. Di conseguenza non possono fare testamento i minori, gli interdetti e gli incapaci naturali. Per stabilire se il testamento sia valido bisogna avere come riferimento il momento in qui esso è stato redatto. Se, dunque, il testatore redige testamento e in un momento successivo viene dichiarato interdetto il testamento è valido ed efficace, mentre se la redazione è avvenuta quando la dichiarazione di interdizione era già pendente allora il testamento è invalido (così come rimane invalido anche se il testatore ritorna in un secondo momento pienamente capace). Molto più difficile è stabilire l’incapacità naturale del testatore al momento della redazione del testamento. La prova dell’incapacità deve essere molto rigorosa e tale da aver potuto legittimare una pronuncia di interdizione e non di semplice inabilitazione che invece permette di fare testamento. Poiché l’interdizione legale non comporta anche l’incapacità di intendere, egli può fare validamente testamento. Sono nulle le disposizioni testamentarie a favore del tutore e del protutore se redatte dopo la nomina di questo (o del protutore che sostituiva il tutore) e prima che sia stato approvato il conto. Questo non vale nel caso in cui il tutore o del protutore sia ascendente, discendente, fratello, sorella o coniuge del testatore; in tali casi il testamento è comunque valido. Sono, altresì, nulle le disposizioni a favore del notaio o di altro ufficiale che ha ricevuto il testamento pubblico, o quelle fatte a favore dei testimoni o dell’interprete intervenuti al testamento medesimo. Altri soggetti che non possono succedere: colui che ha scritto il testamento segreto e il notaio a cui il testamento segreto è stato consegnato in plico non sigillato. Infine sono nulle le disposizioni testamentarie fatte sotto nome d’interposta persona. Si reputano per persone interposte il padre, la madre, i discendenti e il coniuge della persona incapace. Il testamento può essere impugnato da chiunque vi abbia l’interesse qualora vi sia stato un vizio della volontà, ossia qualora sia stato redatto a seguito di errore, di violenza o di dolo (art. 624 c.c.). Impugnazione testamento: i vizi della volontà. Impugnazione testamento Tra i vizi della volontà particolare rilevanza è riconosciuta all’errore sul motivo che è causa di annullamento della disposizione testamentaria quando ricorrono due presupposti: quando il motivo risulta dal testamento, anche se non in maniera espressa, e quando il motivo è il solo che ha spinto il testatore a quella data disposizione. In caso di erronea indicazione dell’erede o del legatario o della cosa che forma oggetto della disposizione, il testamento è comunque valido quando dal contesto delle disposizioni testamentarie o altrimenti risulta in modo non equivoco quale persona il testatore voleva effettivamente nominare o a quale cosa il testatore si riferiva. Se il motivo ha indotto il testatore a disporre in un determinato modo è un motivo illecito, esso rende nulla la disposizione testamentaria quando tale motivo illecito risulta dal testamento ed è il solo che ha spinto il testatore a disporre. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 38 Non è consentito agire in giudizio per accertare che le disposizioni fatte a favore di persona dichiarata nel testamento ( il c.d. istituito apparente) sono solo apparenti e che in realtà riguardano altra persona, anche se espressioni del testamento possono indicare o far supporre che si tratta di persona interposta. Tuttavia la persona dichiarata nel testamento, se ha spontaneamente eseguito la disposizione fiduciaria trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può agire per la ripetizione a meno che la persona non sia un incapace. Perché sia abbia la disposizione fiduciaria è necessario che l’istituito apparente sia a conoscenza della volontà del de cuius e voglia attuarla. Per cui si avrà così un doppio trasferimento: dal de cuius alla persona interposta (mortis causa) e da quest’ultima alla persona che il defunto voleva effettivamente beneficiare (inter vivos). È nulla qualsiasi disposizione fatta a favore di una persona in modo da non poter essere determinata. Il codice esclude che il de cuius possa rimettere all’arbitrio di un terzo l’indicazione dell’erede o del legatario, ma permette che un terzo possa scegliere la persona del legatario tra più persone indicate dal testatore stesso. Se il terzo non può o non vuole scegliere, la scelta è fatta con decreto del presidente del tribunale del luogo dove si è aperta la successione (art. 631 c.c.) Il codice prevede la possibilità di poter disporre a favore dei poveri, esprimendosi in modo generico, ossia senza che sia necessario determinare l’uso o il pubblico istituto a cui beneficio sono fatte le disposizioni. In tal caso il testamento si intende fatto in favore dei poveri del luogo in cui il testatore aveva il domicilio al tempo della sua morte, e i beni sono devoluti all’ente comunale di assistenza. Il testatore può altresì disporre a favore dell’anima; in tal caso le disposizioni sono valide se siano determinati i beni o possa essere determinata la somma da impiegarsi a tale fine. Si ritiene che legittimato a esigere la prestazione fatta a favore dell’anima sia il parroco del luogo. Il testatore nel redigere il proprio testamento può anche decidere di apporvi una condizione, un termine o un onere. La condizione consiste in un evento futuro e incerto al verificarsi del quale è subordinata efficacia delle disposizioni sottopostevi oppure al contrario la cessazione degli effetti. Si è visto negli articoli precedenti che il testatore non può apporre pesi o condizioni sulla quota di legittima (riservata ai legittimari), di conseguenza essa può riguardare solo la parte disponibile. La condizione può essere sospensiva o risolutiva. Per ciò che concerne la prima, quando l’erede è istituito sotto condizione sospensiva egli ha solo un’aspettativa di delazione (chiamata all’eredità) che avverrà nel momento in cui si avverrà la condizione. Esempio: istituisco mio erede Marco a condizione che al momento della mia morte si sia già laureato) In caso di condizione risolutiva, invece, la delazione è immediata, ossia gli effetti del testamento si verificano con l’apertura della successione; però il verificarsi della condizione risolutiva fa venir meno, con effetti retroattivi, l’istituzione di erede o il legato. Le condizioni impossibili o illecite perché contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume, si considerano come non apposte a meno che non risulti dal testamento che la condizione è stato l’unico motivo che ha spinto il testatore a fare testamento; in tal caso è viziata l’intera disposizione testamentaria. In linea di principio si può dire che la condizione non può e non deve essere il mezzo per imporre ad un erede o al legatario il compimento di attività illecite o che possono ledere la libertà personale oltre ogni tollerabilità (si pensi alla condizione di pretendere l’iscrizione ad un dato partito politico, o ancora di prendere i voti sacri, di impedire il matrimonio). © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 39 Un particolare tipo di condizione è quella sospensiva potestativa; essa fa sì che il chiamato acquisterà la qualità di erede o il legato solo se deciderà di far avverare la condizione, quindi l’acquisto della qualità o meno di erede dipende dalla sua volontà. Però egli non potrà aspettare troppo a lungo prima di decidere se far avverare la condizione, tant’è che il codice prevede che se il testatore non gli ha dato un termine le persone interessate potranno rivolgersi al giudice perché fissi loro detto termine. Il testatore non può apporre un termine, che si considera come non apposto, alla istituzione di erede e ciò in base al principio “semel heres sempre heres”, ossia per l’erede a titolo universale la delazione è immediata e una volta diventato erede sarà sempre erede. Non è ammesso istituire eredi “a termine”. Ciò non vale per il legatario che succede a titolo particolare. Il testatore può legittimamente istituire un legato a termine. Si tratta di un peso imposto all’erede o al legatario che grava Successione testamentaria sulla loro persona e non sui loro beni. In pratica è un’obbligazione il cui contenuto il defunto è libero di scegliere. Si ritiene che il modus sia concesso al testatore, insieme alla condizione, al fine di dare vincolatività ai propri desideri (si pensi all’obbligo di celebrare ogni anno una cerimonia pubblica in suo nome). A volte risulta difficile capire se il de cuius abbia inteso disporre un modus o condizionare l’istituzione ereditaria o il legato. Per cui si può dire che il modus obbliga ad una data prestazione senza però incidere, sospendendone l’efficacia, sulla disposizione testamentaria; inoltre, il modus pone sempre a carico dell’erede o del legatario la prestazione. Il modus illecito o impossibile si considera come non apposto, al pari della condizione; se, tuttavia, è stato l’unico motivo che ha spinto il testatore a disporre, rende nulla l’intera disposizione testamentaria. L’inadempimento del modus può portare qualsiasi persona interessata ad agire per costringere l’onerato ad adempiere. Revoca testamento. Il testamento può essere revocato fino al momento della morte del testatore ( art 679 c.c.) attraverso una dichiarazione o con comportamento concludente. Nel primo caso si parla di revoca espressa che può farsi solo mediante la redazione di un nuovo testamento o con atto ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni in cui il testatore dichiara di revocare in tutto o in parte il testamento anteriore (art. 680 c.c.). Il nuovo testamento può essere fatto con qualunque delle forme previste dalla legge e non dovrà per forza contenere nuove disposizioni ma potrà limitarsi a revocare tutto il testamento anteriore (aprendo così la strada alla successione legittima revoca testamento) o singole disposizioni precedenti. La revoca per comportamenti concludenti consiste nel fatto che la legge ricollega a determinate situazioni o azioni l’effetto revocatorio, ma bisogna distinguere: – Così un testamento posteriore che non revoca espressamente quello precedente ha l’effetto di annullare le vecchie disposizioni che sono in contrasto o incompatibili con le nuove (art. 682 c.c.); © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 40 – Il testamento olografo distrutto, lacerato o cancellato in tutto o in parte si considera revocato a meno che non si dimostri che ciò è accaduto per opera di terzi o per errore del testatore (art. 684 c.c.); – Quando il testatore aliena la cosa legata o la trasforma in modo da farle perdere la primitiva denominazione il legato si considera revocato anche se la cosa poi torna di proprietà del testatore o se l’alienazione è annullabile per vizi diversi da quelli del consenso. Se il testatore vuole trasformare il legato di cosa propria in legato di cosa altrui ha l’obbligo di dichiararlo per iscritto (686 c.c.); – La legge prevede un caso di revoca di diritto delle disposizioni a titolo di erede o di legato fatte dal testatore che al tempo non aveva figli o ignorava di averne, qualora nel primo caso sopravvengano figli o, nel secondo, il testatore proceda a legittimazioni, adozioni o riconoscimenti di figli naturali (art. 687 c.c.). Il testamento è annullabile per vizi della volontà, per incapacità di disporre per testamento, per vizi formali non determinanti. L’azione per far valere la nullità del testamento può essere esperita da chiunque vi abbia interesse e si prescrive in cinque anni che decorrono dal giorno in cui si è avuta notizia del dolo, violenza o errore oppure dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie. Il testamento è nullo in presenza di gravi vizi di forma che fanno dubitare che il testamento provenga dalla persona del de cuius, si pensi: – alla mancanza della sottoscrizione in caso di testamento olografo; – alla mancanza delle forme prescritte per il testamento segreto; – alla mancanza della redazione per iscritto, da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore o della sottoscrizione o del notaio o del testatore, in caso di testamento pubblico). In tutti questi casi è nullo l’intero testamento. In tutti gli altri casi la nullità colpisce solo le singole disposizioni, lasciando valide le altre. Si pensi: – al motivo illecito che rende nulla la singola disposizione testamentaria, quando risulta che sia stato il solo motivo che ha determinato il testatore a disporre; – alle disposizioni fatte a favore di persone incapaci a succedere; è il caso di quelle fatte dalla persona sottoposta a tutela in favore del tutore, esse sono nulle se fatte dopo la nomina di questo e prima che sia approvato il conto o sia estinta l’azione per il rendimento del conto medesimo. Lo stesso vale per il protutore; – alle disposizioni fatte a favore di persona incerta, ossia indicata in modo da non poter essere determinata; © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 41 – alle disposizioni testamentarie contenenti condizioni impossibili o contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume; esse si considerano come non apposte, salvo quanto è stabilito dall’art. 626. In materia di legato, è nullo quello di cosa altrui (ossia dell’onerato o di un terzo), salva diversa volontà del de cuius. Conferma del testamento nullo La nullità del testamento o della singola disposizione può essere superata mediante la conferma o l’esecuzione volontaria delle disposizioni (art. 590 c.c.). Infatti, la nullità non può essere fatta valere da chi, conoscendone la causa di nullità, ha dopo la morte del testatore confermato la disposizione o ha dato ad essa volontaria esecuzione. In caso di successione testamentaria si segue questo iter: – se il testatore ha previsto un sostituto nel caso in cui il chiamato o il legatario non possa o non voglia succedere, si fa luogo alla sostituzione ordinaria. Il testatore può prevedere anche una scala di sostituti che subentreranno eventualmente l’uno all’altro in ordine progressivo. Se il testatore non ha previsto un sostituto bisogna verificare se è possibile applicare il meccanismo della rappresentazione. La rappresentazione fa subentrare all’infinito i discendenti legittimi o naturali (detti rappresentanti) nel luogo e nel grado del loro ascendente (il rappresentato) che non può o non vuole accettare a condizione che questi sia figlio legittimo, legittimato, adottivo o naturale del defunto ovvero suo fratello o sorella. In pratica la rappresentazione opera entro il doppio grado di parentela, ossia a favore dei discendenti legittimi e naturali dei figli e fratelli del defunto. In caso di legato, il meccanismo della rappresentazione incontra il limite del legato di usufrutto o di altro diritto personale disposto dal de cuius e del legato ex lege avente ad oggetto una assegno vitalizio (in tali casi la rappresentazione non opera perché trattasi di diritti personali nella cui titolarità non può subentrare chiunque). Delazione successiva – Se non vi sono i presupposti per la rappresentazione si applicano le regole sull’accrescimento. Il meccanismo consiste nell’accrescersi della quota del chiamato che non può o non vuole accettare a favore di quella degli altri chiamati che abbiano accettato. L’accrescimento opera quando più eredi sono stati istituiti con uno stesso testamento nell’universalità dei beni, senza determinazioni di parti o in parti uguali. L’acquisto per accrescimento avviene di diritto senza che sia necessaria l’accettazione. In conseguenza si subentra non solo nei diritti ma anche negli obblighi facenti capo al chiamato o al legatario mancante. – Se non ha luogo l’accrescimento la porzione dell’eredità mancante si devolve agli eredi legittimi, mentre la porzione del legatario mancante va all’onerato. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 42 Il fenomeno della sostituzione fedecommissaria si inserisce nell’ambito della delazione successiva. Successione eredi: la sostituzione fedecommissaria. Successione eredi: la sostituzione fedecommissaria. È una sostituzione prevista dal defunto, non nel caso in cui l’istituito non possa o non voglia succedere, quanto per il momento della morte di quest’ultimo, quindi per dopo che egli ha accettato la delazione. Facciamo un esempio di sostituzione fedecommissaria: si pensi al testatore che istituisce erede o legatario Tizio con l’obbligo di conservare il patrimonio che andrà, alla morte di Tizio, a Caio, indipendentemente dalla volontà positiva o contraria di Tizio. Dunque, Caio succederà direttamente al testatore originario che ha disposto la sostituzione fedecommissaria. L’istituto della sostituzione fedecommissaria può essere previsto solo nei confronti dell’intero patrimonio ed esclusivamente se l’istituito è interdetto, figlio, discendente o coniuge del testatore. Inoltre, colui che subentra nel patrimonio alla morte dell’istituito può essere solo la persona o l’ente che ha avuto cura dell’interdetto stesso. Per cui più esattamente si parla di fedecommesso assistenziale. La disciplina si estende anche al minore di età che si trovi in condizioni di abituale infermità di mente tali da far presumere la successiva pronuncia di interdizione che deve seguire entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. Se ciò non avviene la sostituzione è priva di effetto. Una volta che l’interdetto venga meno il sostituito succede non all’istituito (interdetto) ma all’originario de cuius . Se poi il sostituito non possa o non voglia accettare non opera la delazione successiva a vantaggio dei suoi successibili, ma ha luogo la successione legittima dell’interdetto. Poteri dell’istituito L’istituito ha solo il godimento e la libera amministrazione dei beni che formano oggetto della sostituzione, può compiere innovazioni e stare in giudizio e può alienare i beni solo in caso di utilità evidente e previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria (lo stesso vale per l’iscrizione di ipoteche). Si può dire che la figura del fedecommesso è simile a quella dell’usufruttuario. Le norme sul fedecommesso si applicano anche ai legati. Se il de cuius vuole che venga controllata la corretta attuazione delle sue volontà può nominare un esecutore testamentario o più esecutori (art. 700 c.c.). L’esecutore testamentario può essere anche un suo erede o legatario di particolare fiducia. Se l’esecutore testamentario accetta mediante una dichiarazione scritta resa nella cancelleria del giudice di pace e annotata nel registro delle successioni, egli dovrà amministrare la massa ereditaria chiedendo il possesso all’erede per non più di un anno. L’autorità giudiziaria può, però, prolungare la durata per un altro anno qualora ve ne sia la necessità e sentiti gli eredi. L’amministrazione avviene a nome dell’esecutore testamentario, ma gli effetti degli atti ricadono sulla sfera patrimoniale dell’erede. Per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione, invece, è necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. In generale si può dire che l’amministrazione dell’esecutore testamentario è volta ad attuare la volontà del de cuius, come l’adempimento dei legati o l’alienazione di immobili il cui ricavato dividere tra i vari chiamati. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 43 Quando manca in tutto in parte una disposizione testamentaria si apre la successione legittima che pertanto può anche convivere con quella testamentaria La successione legittima si ha anche qualora la disposizione testamentaria, pur esistendo, sia nulla o annullata. Quando si apre la successione legittima l’eredità si devolve agli eredi legittimi: – al coniuge; – ai discendenti legittimi e naturali; – agli ascendenti legittimi; – ai collaterali; – ai parenti entro il sesto grado; – ai fratelli e sorelle naturali; – allo Stato. La legge stabilisce l’ordine di chiamata e le quote in caso di concorso con il coniuge. Per cui, per primi saranno chiamati i figli e i loro discendenti, tutti in parti uguali. Se, però, insieme ai figli concorre il coniuge a questi spetta la metà del patrimonio se il figlio è uno (a questi va l’altra metà del patrimonio. Mentre, se i figli sono più di uno allora al coniuge spetta 1/3 del patrimonio e ai figli i 2/3. Se il defunto non ha lasciato figli, il patrimonio si devolve ai genitori o agli ascendenti, e ai fratelli e sorelle (i fratelli e sorelle unilaterali prendono la metà della quota che spetta ai fratelli e sorelle germani nati dagli stessi genitori). In caso essi concorrano con il coniuge a questi vanno i 2/3 del patrimonio. In mancanza di figli, di genitori o di ascendenti, di fratelli e sorelle, al coniuge si devolve l’intera eredità. Se mancano il coniuge, figli, genitori o ascendenti, fratelli e sorelle, succedono i parenti entro il sesto grado ad iniziare da quello di grado più vicino. Dopo di che succedono i fratelli e le sorelle. Qualora il de cuius non abbia parenti entro il sesto grado l’eredità di devolve di diritto allo Stato. La successione dello Stato è disciplinata dall’articolo 586 del codice civile e prevede la devoluzione dell’eredità allo Stato nell’ipotesi in cui il de cuius, morto lasciando testamento, non abbia eredi legittimi fino al sesto grado. In tal caso l’acquisto opera di diritto e non può essere oggetto di rinunzia da parte dello Stato che deve accettare con beneficio di inventario. Lo Stato risponde dei debiti ereditari e dei legati nei limiti del valore dei beni acquistati. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 44 © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 45 LA DONAZIONE La donazione è il negozio giuridico col quale una parte, il donante, intenzionalmente arricchisce l'altra, il donatario, disponendo di un proprio diritto - o obbligandosi a disporne - senza conseguire un corrispettivo. Ai sensi dell'art. 769 del codice civile, la donazione è un contratto: infatti per il suo perfezionamento serve l'incontro delle dichiarazioni di entrambe le parti. Il codice del 1865 definiva la donazione come atto unilaterale e la accostava pertanto al testamento. Da un lato troviamo la manifestazione di volontà di una parte di arricchire l'altra parte senza corrispettivo, dall'altro lato troviamo la volontà del donatario di accettare l'arricchimento; trova qui piena applicazione la regola secondo cui invito beneficium non datur, in origine posta a presidio di una assoluta intangibilità della sfera giuridica di ogni individuo e ora - nell'attuale ordinamento - rilevante solo nei limiti in cui il beneficio non rechi oneri o obblighi con sé (si pensi alla donazione di un edificio e ai connessi oneri di manutenzione). Secondo alcune tesi, pur essendo la donazione un contratto, è inammissibile un preliminare di donazione, vista la sua spontaneità, infatti sarebbe esclusa da un contratto volto a creare l'obbligo di concludere una donazione. A ciò si è obiettato che la spontaneità dell'attribuzione verrebbe anticipata dal contratto preliminare, non per questo elisa, sì che la sequenza preliminare di donazione/atto definitivo di attribuzione continuerebbe a soddisfare i requisiti di cui all'art. 769 C.C. Eguale contrasto accompagna la sorte della promessa di donazione. Inoltre, non rientra nella categoria delle "donazioni" il negozio di dotazione delle fondazioni, costituito per atto inter vivos. Funzione (causa) della donazione Il contratto di donazione sorge allo scopo di arricchire un altro soggetto: quindi elementi della donazione sono lo spirito di liberalità e l'arricchimento. Lo spirito di liberalità (animus donandi) è, secondo la dottrina maggioritaria, la causa del contratto, la quale, anche per la donazione, va distinta dai motivi, i quali per regola generale restano al di fuori della convenzione. Arduo è, invece, definire siffatto spirito di liberalità in quanto la dottrina e la giurisprudenza, pur condividendo la tesi che in esso risieda la causa del negozio in parola, offrono di esso molteplici descrizioni. In via generale per spirito di liberalità può intendersi l'intento altruistico di beneficiare il donatario. Di ciò un'eco negli atti notarili, soprattutto di qualche decennio or sono, ove il donatario dichiara di accettare "con animo grato", quale volontà correlata all'intento altruistico del donante. Altre tesi, di tipo oggettivistico, ritengono invece che la funzione della donazione consista unicamente nell'attribuire un proprio bene ad altri senza conseguire un corrispettivo. Lo spirito di liberalità, preteso dall'art. 769 C.C., non atterrebbe alla causa del negozio, ma servirebbe solo a colorare l'intenzionalità dell'attribuzione non bilanciata economicamente dal corrispettivo. È donazione anche l'arricchimento remuneratorio, cioè quello fatto per riconoscenza, a fronte dei meriti del donatario o per speciale remunerazione (art. 770 C.C.). © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 46 A differenza di quella ordinaria, la donazione remuneratoria è irrevocabile e non obbliga il donatario a prestare gli alimenti al donante; comporta invece, a carico del donatario, la garanzia dei vizi per l'evizione. Non è donazione la liberalità attuata in considerazione dei servizi resi al donatario, se non eccede i limiti di una stretta proporzionalità, né la liberalità d'uso. L'arricchimento L'arricchimento è l'incremento del patrimonio del donatario e, come visto, si può realizzare disponendo a favore di questi di un diritto oppure obbligandosi a una prestazione di dare (cosiddetta donazione obbligatoria). Si discute se tale nozione debba essere intesa in senso economico, oppure esclusivamente giuridico, quale attribuzione di un diritto. Accogliendo la prima tesi, maggioritaria, ne deriva che, in ordine alla donazione modale, il modus non può, al momento del perfezionamento dell'atto, essere di valore tale da depauperare per intero il valore della donazione. La donazione è un negozio a titolo gratuito, vista l'assenza di un corrispettivo: si consideri però come sia essenziale, per potersi parlare di donazione, che il donante si privi di un proprio bene (depauperamento); una prestazione d'opera senza compenso importa un mancato guadagno, non una diminuzione del patrimonio di chi esegue l'opera. Donazione indiretta Lo scopo di arricchire una persona si può raggiungere anche indirettamente, avvalendosi di atti che hanno una causa diversa. In tali casi si parla spesso di donazione indiretta: il caso più frequente è quello della vendita di una cosa a un prezzo inferiore al suo valore (negotium mixtum cum donatione): tali negozi attuano sia la causa di scambio, sia quella donativa. Rientrano tra le donazioni indirette anche i seguenti casi: il pagamento di un debito altrui (il genitore che paga un debito del figlio), la remissione del debito (il creditore cancella un debito al suo debitore), il procurare l'acquisto di un bene a un terzo o, intervenendo all'atto di acquisto per pagare il relativo prezzo, o fornendo al terzo il denaro necessario per l'acquisto, o apponendo al contratto di acquisto una clausola che comporti l'intestazione del bene a favore del terzo che si intende beneficiare (contratto a favore del terzo). Oltre alla sproporzione oggettiva fra le due prestazioni, serve che questa sproporzione sia voluta dalla parte che la subisce, allo scopo di dar vita a una liberalità. Questo fine è necessario che sia noto alla controparte. La donazione indiretta non soggiace a tutte le norme in tema di donazione, ma soltanto ad alcune, soprattutto quelle in tema di riduzione e collazione. Non necessita della forma pubblica. Per una parte della dottrina[1], la donazione indiretta rientra fra i negozi indiretti. Va in ogni caso distinta dalla donazione simulata: • • nella donazione indiretta il negozio apparente è quello effettivamente voluto, in quanto non c'è differenza fra volontà e dichiarazione; nella donazione simulata, invece, il contratto apparente non corrisponde alla reale volontà delle parti, che fanno assumere la parvenza di un negozio oneroso alla loro volontà di stipulare un contratto gratuito. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 47 Requisiti e disciplina La "capacità di donare" è regolata dai principi generali: non possono donare i minori, gli interdetti, gli inabilitati, gli incapaci naturali. Parziale eccezione è prevista per le donazioni obnuziali (ovvero, quelle fatte a causa di matrimonio): sono valide se fatte con l'assistenza di chi esercita la potestà (o la tutela o la curatela) le donazioni fatte nel contratto di matrimonio dal minore o dall'inabilitato. Le persone giuridiche possono donare se così è previsto nello statuto o nell'atto costitutivo, e nei limiti di tali discipline. La donazione è un atto personale del donante: perciò, la scelta del donatario o dell'oggetto della donazione deve essere frutto dell’esclusiva volontà del donante, quindi non è una decisione che può essere rimessa al rappresentante. Perciò, è nullo il mandato a donare quando attribuisce ad altri proprio la facoltà di operare le anzidette scelte (articolo 778). È invece possibile rimettere al mandatario la scelta fra determinate categorie di persone o la scelta dell'oggetto della donazione fra più cose comunque indicate dal donante. In questi casi, dato che la donazione richiede la forma per atto pubblico, visto l'articolo 1392 in tema di forma della procura, la stessa forma sarà richiesta anche per la procura a donare. Circa la "capacità di ricevere per donazione", c'è parallelismo con la normativa a tal riguardo adottata per il testamento. Così, il figlio di una persona vivente al tempo della donazione, anche se ancora non concepito, può ricevere; analogamente, possono ricevere le persone giuridiche (al riguardo non è più richiesta l'autorizzazione amministrativa all'accettazione, essendo stato abrogato l'articolo 17 del Codice civile). Si può donare anche a favore di un ente non riconosciuto, senza che l'efficacia della donazione sia più subordinata alla richiesta di riconoscimento (sono stati abrogati, infatti, gli articoli 600 e 786 c.c.). È ammessa la donazione a favore di figli naturali non riconoscibili e, dopo l'intervento della Corte Costituzionale che ha giudicato illegittimo l'articolo 781, sono ammissibili anche le donazioni tra coniugi. Non è invece ammessa la donazione a favore del tutore (o del protutore) dell'incapace. Oggetto della donazione L'oggetto della donazione non può essere un bene futuro (art. 771 c.c.), mentre può essere costituito da tutti i beni presenti nel patrimonio (infatti, l'obbligo del donatario di prestare gli alimenti al donante supplisce adeguatamente lo stato di bisogno in cui quest'ultimo viene a trovarsi). In quest'ultima ipotesi (donazione universale) si fa riferimento ai singoli beni che compongono il patrimonio, essendo esclusa l'indeterminatezza dell'oggetto della donazione. Per quanto riguarda la donazione dell'azienda, invece, si deve fare riferimento, ai fini della determinazione dell'oggetto della donazione, non solo al valore dei beni che compongono l'azienda, bensì anche al valore dell'avviamento; l'azienda non è infatti concepibile come semplice insieme dei beni attraverso i quali l'imprenditore esercita l'impresa: questo insieme non sarebbe "azienda" se non si tenesse conto della sua potenzialità produttiva, peraltro connessa alle qualità personali dell'imprenditore. Non è ammissibile, dato il divieto di donare beni futuri, la donazione di beni altrui. Secondo Andrea Torrente, la donazione di bene altrui, © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 48 sebbene sia nulla per mancanza di un elemento essenziale del contratto, costituisce comunque titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà (di beni mobili) ai sensi dell'art. 1153 c.c. Se oggetto della donazione è una universalità patrimoniale, non si applica il divieto dell'art. 771 ai beni che si aggiungono all'universalità successivamente al perfezionamento del contratto di donazione, dal momento che questi beni rientrano nel concetto di unità funzionale o ideologica che è appunto tipico dell'universalità. Se un contratto di donazione ha ad oggetto sia beni presenti che beni futuri, la donazione è nulla soltanto rispetto a questi ultimi. La forma della donazione Circa la forma, la donazione richiede sempre l'atto pubblico a pena di nullità (art. 782 c.c.), sia quando ha per oggetto immobili sia mobili, alla presenza di due testimoni. La ratio è far riflettere il donante sulla gravità della scelta che compie (tanto è vero che questa forma solenne non è richiesta per le donazioni di modico valore aventi ad oggetto beni mobili: la modicità va valutata anche in base alle condizioni del donante). Quando la donazione ha per oggetto beni mobili, l'atto deve contenere la specificazione del loro valore. Il valore dei beni mobili può risultare anche da nota a parte, purché sottoscritta dalle parti e dal notaio. Non è necessaria l'indicazione di eventuali pertinenze incluse nella donazione. Se oggetto della donazione è una universitas, secondo la dottrina maggioritaria è sufficiente indicarne il valore complessivo. Se oggetto della donazione è l'azienda, posta la rilevanza dell'avviamento, la specificazione dei beni che la compongono appare superflua: secondo Andrea Torrente conviene infatti specificare complessivamente il valore dell'azienda, incluso il valore di avviamento. Anche gli elementi accidentali devono risultare dall'atto pubblico. La donazione può avere per oggetto la nuda proprietà con riserva di usufrutto a vantaggio del donante. La legge notarile impone la presenza di due testimoni; se l'accettazione della donazione non avviene contestualmente alla formulazione dell'offerta, deve pervenire al donante nelle forme della notificazione previste dal codice di procedura civile. Non è prevista la presenza dei testimoni per l'accettazione, se questa non è contestuale alla formulazione dell'offerta. La donazione si perfeziona con l'accettazione. Fino al perfezionamento, è ammessa la revoca dell'offerta; è altresì ammessa la revoca tempestiva dell'accettazione, che costituisce certamente un atto recettizio. È ammessa l'irrevocabilità convenzionale dell'offerta. La donazione di beni di modico valore (donazione manuale) è valida anche se manca l'atto pubblico (art. 783 c.c.): in questa ipotesi, infatti, la donazione si perfeziona con la effettiva tradizione del bene. Fuori del caso di dolo del donante, la dottrina si è posta la questione circa la tutela dell'affidamento del donatario con riferimento alla buona fede del donante: secondo Andrea Torrente, posto che la donazione, anche se modale, non è un contratto a prestazioni corrispettive, il donatario non ha alcun interesse negativo alla stipula del contratto in quanto non è tenuto ad attività esecutive anticipate. Ne consegue l'impossibilità di configurare una colpa in contrahendo a carico del donante. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 49 Elementi accidentali del contratto La donazione può essere sottoposta a condizione. La condizione può essere sospensiva o risolutiva. Esempio di donazione sottoposta a condizione sospensiva è la donazione obnuziale. Altra condizione che può afferire alla donazione è quella di reversibilità: è una condizione risolutiva, con la quale si stabilisce che i beni tornino al donante se il donatario o i suoi discendenti muoiano prima del donante. Il patto di reversibilità (art. 791 c.c.) deve risultare dal contratto e deve riguardare solamente il donante: il patto di reversibilità a favore di un terzo si considera non apposto. Se si verifica la condizione risolutiva di cui al patto di reversibilità, i beni oggetto di donazione devono tornare al donante con l'eccezione dei beni acquistati a titolo originario (cioè per usucapione). La donazione obnuziale Sottoposta a condizione sospensiva mista è la donazione fatta con riguardo a un futuro matrimonio (obnuziale, art. 785 c.c.). In tal caso, poi, la donazione non è un contratto ma un atto unilaterale, quindi non è necessaria l'accettazione del donatario. La condizione è la celebrazione del matrimonio: la nullità del matrimonio fa cessare gli effetti della donazione con efficacia retroattiva (la separazione personale e il divorzio sono dunque irrilevanti, bensì rileva solo l'annullamento, ex art. 785, comma 2), eccezion fatta per il matrimonio putativo (lo scopo dell'eccezione è la tutela dei figli nati durante il matrimonio putativo). La donazione modale È possibile gravare la donazione con un modus: esso limiterà l'arricchimento del donatario imponendogli l'esecuzione di una prestazione a vantaggio del donante o di soggetti terzi (art. 793 del codice civile). Il modus non può impoverire del tutto il vantaggio attribuito dalla donazione, altrimenti ne resterebbe travolta la stessa funzione del contratto qui in disamina; l'onere, infine, non è un corrispettivo dell'attribuzione (la donazione non è un contratto a prestazioni corrispettive). In caso di inadempimento dell'onere per causa imputabile al donatario-debitore, il donante può agire per la risoluzione del contratto soltanto se la risoluzione è prevista nel contratto stesso; si tratta di un'ipotesi di impugnazione di negozio giuridico per una sopravvenuta circostanza. È esclusa la possibilità del risarcimento dei danni a favore del donante. Se invece l'inadempimento dell'onere dipende da causa non imputabile al donatario-debitore, si ha semplicemente estinzione dell'obbligazione modale. In concreto può non essere agevole determinare, di là dalle espressioni adoperate dalle parti, se il modus ridonda in un vero e proprio corrispettivo. Ipotesi di incerta qualificazione possono determinarsi quando la prestazione imposta al donatario sia comunque economicamente significativa: la corrispettività dovrebbe in ogni caso escludersi quando le due prestazioni hanno valori irriducibili l'uno all'altro, pur considerando le oscillazioni del mercato per la determinazione del valore di ognuna. Le parti, possono tuttavia apporre la clausola di risoluzione della donazione per l'eventualità che il modus rimanga inadempiuto. In questo caso appare difficile negare (ma per una parte della dottrina questa conclusione non è condivisibile) che la donazione preveda prestazioni corrispettive tra loro: ne consegue che in simili ipotesi potrebbe ricorrere un negotium mixtum cum donatione. Secondo Torrente è necessario fare © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 50 riferimento non tanto all'entità dell'onere quanto piuttosto all'intenzione delle parti: se lo scopo che si intende realizzare mediante l'onere è preminente rispetto allo scopo di donazione, è evidente che non si è di fronte a una donazione, bensì a un altro negozio le cui norme specifiche dovranno materialmente prevalere su quelle della donazione, a prescindere dalla via formale scelta dalle parti. Inadempimento del contratto Vista la gratuità del contratto, l'inadempimento del donante è regolato meno duramente rispetto a quello del comune debitore: il donante inadempiente risponde per dolo o colpa grave (art. 789 c.c.). Analogamente la garanzia per l'evizione, per poter funzionare, deve essere espressamente promessa, altrimenti il donante risponde solo se è in dolo o, a prescindere dall'elemento soggettivo della responsabilità, se si tratta di donazione modale o rimuneratoria. In queste due ultime ipotesi, infatti, la legge impone la garanzia per l'evizione (art. 797 n. 3 c.c.): questa è dovuta fino alla concorrenza dell'ammontare degli oneri o dell'entità delle prestazioni ricevute dal donante. Il donante risponde dei vizi della cosa solo in caso di apposito patto o di dolo. Invalidità La disciplina dell'invalidità della donazione è più affine a quella del testamento che a quella del contratto. Così, come per il testamento, l'errore rende annullabile la donazione se il motivo risulta dall'atto ed è stato il solo che ha indotto a compiere la liberalità (art. 787 c.c.). Nelle norme generali, invece, il motivo illecito rileva quando ha avuto valore determinante ed esclusivo, ed è comune a entrambe le parti. Per donazione e testamento il codice è meno rigoroso, quindi è necessario che il motivo illecito (contrario a norme imperative, ordine pubblico o al buon costume) abbia avuto rilevanza esclusiva e determinante, ma non serve che sia comune a entrambe le parti: basta che risulti dall'atto (art. 788 c.c.). La disciplina dell'invalidità della donazione per motivo determinante illecito ha massima importanza con riferimento alla donazione rimuneratoria: questa sarà invalida quando la rimunerazione è riferita a un fatto illecito (es: rimunerazione per omicidio). Sono in ogni caso punite come reato le remunerazioni a pubblici ufficiali e impiegati anche se riferite a atti di ufficio già compiuti (artt. 318 e 320 c.p.). Anche per la donazione, come per il testamento, la nullità è sanabile e suscettibile di conferma, in deroga al generale divieto. L'art. 799 c.c. dispone che, indipendentemente dalla causa di nullità della donazione, gli eredi o gli aventi causa del donante non possono far valere la nullità di cui erano a conoscenza se, dopo la morte del donante, confermano la donazione o vi danno volontaria esecuzione. La conferma costituisce un separato negozio giuridico che è dunque sottoposto alle norme in materia di negozi giuridici: essa non potrà quindi essere illecita. L'originaria illiceità della donazione non travolge la successiva conferma: secondo la dottrina maggioritaria, l'unico aspetto di illiceità della donazione che sopravvivrebbe alla morte del donante sarebbe quello relativo al buon costume (ma questa deduzione è divenuta teoricamente meno forte dopo l'abolizione dell'art. 31 delle preleggi). Per chi, come Andrea Torrente, aderisce a questa interpretazione sistematica, il contrasto di uno degli elementi della donazione con il buon costume impedirebbe comunque la © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 51 successiva conferma. Un atto di donazione può essere impugnato dagli eredi entro dieci anni dalla morte del donante. Revoca La donazione, come ogni contratto, può sciogliersi solo per le cause previste dalla legge. In due casi ne è ammessa la revoca: ingratitudine del donatario e sopravvenienza di figli. La revoca non è ammessa per le donazioni obnuziali e quelle remuneratorie. La revoca è frutto di un'iniziativa unilaterale del donante, che ha infatti il diritto potestativo di togliere efficacia alla donazione nei casi previsti. Diverso è il caso dell'azione revocatoria, la quale richiede la frode ai creditori, i quali sono i soli legittimati ad agire. La sentenza che pronuncia la revocazione condanna il donatario alla restituzione dei beni: non pregiudica i terzi che hanno acquistato diritti sulla cosa donata prima della proposizione della domanda, fatti salvi gli effetti della trascrizione della domanda stessa. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 52 ADEMPIMENTI IN SEGUITO ALLA MORTE DI UNA PERSONA La successione relativa ad una persona fisica si apre nel giorno della sua morte e nel luogo del suo ultimo domicilio. • Comunicazione dei Comuni Il Comune provvede di comunicare automaticamente il decesso agli enti previdenziali • Rapporti con le banche Le banche chiudono automaticamente tutti i rapporti in essere con il defunto. • Pubblicazione dell’eventuale testamento Testamento olografo: chiunque è in possesso di un testamento olografo deve presentarlo a un notaio per la pubblicazione Testamento segreto o pubblico: la pubblicazione avviene dal notaio avuto la notizia della morte del testatore o su richiesta di chiunque possa avere interesse In ambedue i casi il notaio deve dare notizia della pubblicazione agli eredi e legatari dei quali conosce il domicilio o la residenza. Il notaio trasmette poi il testamento, dopo la registrazione, alle autorità competenti (Tribunale). La nullità del testamento può essere sanato mediante conferma (espressa o tacita) delle disposizioni testamentarie. • Accettazione o rinuncia all’eredità © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 53 • Apertura delle cassette di sicurezza L’apertura avviene in presenza di un notaio o in presenza di un funzionario dell’Agenzia delle Entrate. • Dichiarazione di successione La dichiarazione di successione deve essere presentata entro 12 mesi dal decesso. Non sussiste obbligo di presentare la dichiarazione di successione se - l’eredità è devoluta al coniuge e ai parenti di linea retta del defunto - l’attivo ereditario non supera l’importo di € 100.000,00 - l’asse ereditaria non comprende immobili. • Richiesta del Certificato di eredità Il Certificato di eredità viene rilasciato, su istanza degli interessati, da parte del Tribunale e certifica lo stato di erede (e le relative quote spettanti) e/o lo stato di legatario. Il certificato di eredità serve comunque per le trascrizioni degli immobili al libro fondiario. • Divisione della comunione ereditaria Il Comune provvede di comunicare automaticamente il decesso agli enti previdenziali © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 54 LA DICHIARAZIONE DI SUCCESSIONE FRONTISPIZIO E PRIMA PAGINA - dati anagrafici del defunto - asse ereditaria - firma del dichiarante - albero genealogico - documenti allegati Certificato di morte Stato di famiglia storico Copia testamento Dichiarazione sostitutiva Estratti tavolari Estratti catastali Dichiarazione delle banche QUADRO A - dati degli eredi e legatari QUADRO B1 immobili e diritti reali immobiliari – vanno indicati i valori catastali rivaluti © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 55 Per la prima casa Per tutti gli altri fabbricati appartenenti ai gruppi catastali A,C (escluse A/10 e C/1) Per i fabbricati del gruppo B Per i fabbricati A/10 e D Per i fabbricati C1 ed E Per i terreni non edificabili (agricoli e non) rendita catastale non rivalutata x 115,5 rendita catastale non rivalutata x 126 rendita catastale non rivalutata x 176,40 rendita catastale non rivalutata x 63 rendita catastale non rivalutata x 42,84 reddito dominicale non rivalutato x 112,50 Prospetto dei coefficienti per la determinazione dei diritti di usufrutto a vita e delle rendite (o pensioni) vitalizie calcolate al saggio di interesse legale del 0,20% Anno di riferimento: Età Usufruttuario da 0 a 20 da 21 a 30 da 31 a 40 da 41 a 45 da 46 a 50 da 51 a 53 da 54 a 56 da 57 a 60 da 61 a 63 da 64 a 66 da 67 a 69 da 70 a 72 da 73 a 75 da 76 a 78 da 79 a 82 da 83 a 86 da 87 a 92 da 93 a 99 Coefficiente 475,00 450,00 425,00 400,00 375,00 350,00 325,00 300,00 275,00 250,00 225,00 200,00 175,00 150,00 125,00 100,00 75,00 50,00 2016 % Usufrutto % Nuda Proprietà 95,00 5,00 90,00 10,00 85,00 15,00 80,00 20,00 75,00 25,00 70,00 30,00 65,00 35,00 60,00 40,00 55,00 45,00 50,00 50,00 45,00 55,00 40,00 60,00 35,00 65,00 30,00 70,00 25,00 75,00 20,00 80,00 15,00 85,00 10,00 90,00 © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 56 QUADRO B2 - azioni - titoli - quote di partecipazione non quotate – va indicato il valore contabile QUADRO B3 - aziende (ditte individuali) QUADRO B5 - beni trasferiti a titolo oneroso negli ultimi sei mesi QUADRO C - donazioni e liberalità effettuate dal defunto agli eredi e legatari QUADRO D - passività BENI NON DA DICHIARARE • • • • • • Aziende trasferite con patto di famiglia Veicoli iscritti al PRA Assicurazioni sulla vita Riunione dell’usufrutto alla nuda proprietà, in seguito al decesso dell’usufruttuario Crediti derivanti dal rapporto di lavoro del defunto Denaro, gioielli e mobilia (vengono valutati forfetariamente al 10 % del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario) © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 57 LIQUIDAZIONE DELL’IMPOSTA DI SUCCESSIONE La liquidazione dell’imposta di successione avviene a cura dell’Agenzia delle Entrate. Il pagamento deve avvenire entro 60 gg dalla notifica. Si può chiedere la rateizzazione per un periodo massimo di 5 anni. La autorizzazione alla rateizzazione è subordinata alla presentazione di idonea garanzia (ipoteca, fideiussione bancaria, ecc.). L’imposta di successione viene calcolato applicando le seguenti aliquote e franchigie ALIQUOTE 4% 4% 6% EREDE o LEGATARIO FRANCHIGIA per ciascun beneficiario • coniuge • parenti in linea retta • portatore di handicap grave L.(104/1992) • fratelli e sorelle • altri parenti fino al 4° grado 6% • affini in linea retta • affini in linea collaterale fino al 3° grado 8% • altri soggetti © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 58 € 1.000.000 € 1.500.00 € 100.000 L’AUTOLIQUIDAZIONE DELLE IMPOSTE CATASTALI E IPOTECARIE L’imposta catastale e ipotecaria devono essere autoliquidate e pagate prima della presentazione della dichiarazione di successione. A tale fine bisogna allegare alla dichiarazione di successione il prospetto di calcolo e copia del Mod. F23 © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 59 © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 60 DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA DI ATTO DI NOTARIETA’ (per uso successione) All’ Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di _____________________ Ufficio Territoriale di _______________________ OGGETTO: Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà Il/la sottoscritto/a _______________________________ nato/a a _________________________________ Prov. _____ il _____ / ______ / ____________ e residente a ______________________________________ Prov. _______ via/piazza __________________________________________________ n. ______________ Tel. ________________ codice fiscale _________________________________, Consapevole delle sanzioni penali, nel caso di dichiarazioni non veritiere, di formazione o uso di atti falsi richiamate dall’ art. 76 del citato d.p.r. DICHIARA Che in data _____ / _____ / ________________ a ________________________________ prov. _________ è deceduto/a il/la sig./ra _________________________________________ nato/a il ________ / _______ / _____________ a _______________________________________________ prov. ________ codice fiscale ____________________________________________________, la cui ultima residenza era nel Comune di ______________________________________________ prov. ______________ senza lasciare disposizioni testamentarie, e che pertanto, oltre a me dichiarante, risultano eredi legittimi i signori (cognome e nome) (codice fiscale) (data e luogo di (grado di parentela) nascita) Dichiaro di essere informato, ai sensi e per gli effetti di cui all’ art. 13 del d.lgs. 196/2003, che i dati personali raccolti saranno trattati, anche con strumenti informatici, esclusivamente nell’ ambito del procedimento per il quale la presente dichiarazione viene resa e che potrò accedere ai dati che mi riguardano chiedendone la correzione, l’ integrazione e, ricorrendone gli estremi, la cancellazione o il blocco. ______________________________________, ________ _______________________________________ (Luogo e data) (Firma)1 1 Firmare dinanzi all’impiegato addetto oppure se presentata da altra persona, inviata per posta o via fax, allegare fotocopia di un documento di riconoscimento valido ovvero autenticare la sottoscrizione © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 61 LA MORTE DEL LAVORATORE Adempimenti del datore di lavoro Art. 2122 CC - Indennità in caso di morte In caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità indicate dagli artt. 2118 e 2120 devono corrispondersi al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado. La ripartizione delle indennità, se non vi è accordo tra gli aventi diritto, deve farsi secondo il bisogno di ciascuno. In mancanza delle persone indicate nel primo comma, le indennità sono attribuite secondo le norme della successione legittima. T.F.R. e indennità sostitutiva del preavviso A norma dell’art. 2122 del CC il TFR e l’Indennità sostitutiva del preavviso vengono acquisiti dagli aventi diritto come diritto proprio e non come diritto successorio. Pertanto il datore di lavoro non può compensare eventuali crediti con le indennità. Hanno diritto a percepire il TFR e l’indennità di preavviso - il coniuge - ai figli - ai parenti entro il 3. grado ed affini entro il 2. grado, se questi vivevano a carico del dipendente. In mancanza di queste persone, le somme sono suddiviso secondo le disposizioni testamentarie (C.Cost. 19/01/1972 n. 8) o, in difetto, sulla base della successione legittima. Al coniuge divorziato 1. non passato a nuove nozze e 2. titolare di un’assegno di divorzio spetta il 40 % dell’indennità totale riferibili agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio (art. 12-bis c. 2 Legge 898/70) © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 62 Il datore di lavoro deve assegnare le somme agli aventi diritto in base ad accordi preventivi tra i medesimi o, in difetto, in base alla decisione del giudice che ripartisce le somme secondo il bisogno di ciascuno. I beneficiari devono presentare al datore di lavoro i seguenti documenti: - stato di famiglia storico - certificato di morte del lavoratore - atto notorio che attesti lo stato di convivenza di parenti ed affini - copia del testamento e, in caso di successione legittima, atto notorio - delibera del giudice tutelare nel caso di presenza di figli minori. Trattamento previdenziale e fiscale delle indennità Il T.F.R. è esenti da contributi previdenziali. Le ritenute sono effettuate in base al specifico sistema di tassazione separata. Adempimenti del datore di lavoro Per le indennità di cui all’art. 2122 CC il datore di lavoro predisporrà un cedolino (LUL) apposito intestato al defunto. La tassazione avviene in capo al defunto. Ricevuto la documentazione necessario predisporrà un cedolino per ogni avente diritto pagando a ciascuno la percentuale di spettanza. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 63 Gli altri compensi maturati e non pagati Agli eredi devono essere corrisposti i normali compensi maturati dal lavoratore, vale a dire la retribuzione dell’ultimo mese, i ratei delle mensilità aggiuntive nonché l’indennità per ferie, permessi e ROL non godute. I beneficiari devono presentare al datore di lavoro i seguenti documenti: - stato di famiglia storico - certificato di morte del lavoratore - atto notorio che attesti lo stato lo stato di erede - copia del testamento e, in caso di successione legittima, atto notorio - delibera del giudice tutelare nel caso di presenza di figli minori. Trattamento previdenziale e fiscale delle indennità I summenzionati compensi sono soggette ai contributi previdenziali con i criteri ordinari e per competenza. Le imposte sono a carico degli aventi diritto. Il regime di tassazione da applicare agli eredi è quello della tassazione separata. Adempimenti del datore di lavoro Il datore di lavoro predisporrà un cedolino (LUL) per il mese del decesso, esclusivamente per il calcolo dei contributi previdenziali. Azzererà su tale cedolini l’imponibile fiscale, le ritenute e il netto da pagare. La tassazione avviene in capo agli eredi. Pertanto il datore di lavoro, una volta ricevuto la documentazione summenzionata predisporrà per ogni erede un cedolini applicando alla quota spettante le imposte. Trattandosi di tassazione separata, nella maggior parte dei casi, si applicherà l’aliquota minima del 23 %. © Dott. Egon Gerhard Schenk – Via Winkel, 8 – 39012 Merano 64