volontariato e pianificazione sociale di zona: la partecipazione

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Studi e ricerche
Studi e ricerche
Temi&Strumenti
I
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Ministero della Solidarietà Sociale
VOLONTARIATO E PIANIFICAZIONE SOCIALE DI ZONA: LA PARTECIPAZIONE
l presente volume intende illustrare i risultati di un’indagine dell’Isfol che si inquadra
in un ambito tematico fra i più dibattuti degli ultimi decenni quale la capacità del
“volontariato” di svolgere un ruolo appropriato ed efficace nel quadro delle policy locali. Il nuovo assetto prevede formule di integrazione degli interventi a livello territoriale che fanno ampio richiamo alla collaborazione tra una diversificata gamma di attori.
Al centro di tutto il processo di riforma la Legge quadro 328 e i Piani Sociali di Zona che
hanno rappresentato nella quasi totalità dei casi lo strumento adottato per realizzare la
programmazione territoriale.
Le Organizzazioni di volontariato, in quanto forme organizzative associative, sono perfettamente inseribili tra quei soggetti intermedi ritenuti importanti per la declinazione della sussidiarietà orizzontale e pertanto si sono trovate ad essere pienamente coinvolte
nel processo di riforma. Esse rappresentano forme di capitale sociale, da coinvolgere
ad hoc sul versante delle relazioni proprie della società civile, ovvero suscettibile di attivarsi in un quadro più strutturato, anche in base all’azione regolatrice esercitata dalla Pubblica Amministrazione, nel cui ambito si inserisce pienamente la pianificazione sociale di
zona. La loro presenza è quindi essenziale per una lettura della realtà territoriale di riferimento, soprattutto nei termini dei bisogni emergenti. Ciò che viene richiesto al volontariato è di attingere al proprio patrimonio di conoscenze degli utenti dei servizi e di trasferirlo nell’ambito del processo di programmazione affinché questa sia più aderente ai
reali bisogni della cittadinanza e contribuisca a fornire risposte adeguate.
In sintesi, dalla ricerca emerge come l’applicazione della Legge 328/00, e in particolare il ruolo del volontariato nella partecipazione, sia assimilabile ad un cantiere di cui si
vedono le fondamenta, ma si può solo immaginare la struttura. Il perché della fatica
con la quale le OdV si vanno integrando all’interno del processo della pianificazione
territoriale, fatte salve le specificità regionali di attuazione, sembra potersi ricollegare
ad entrambi i soggetti partecipanti. Da un lato il volontariato arriva alla collaborazione
e alla coprogettazione attraverso un percorso di adesione progressiva in cui il livello e la
qualità della presenza cambiano secondo variabili strutturali (e non solo) tipiche delle varie organizzazioni, e dall’altro le Istituzioni aprono alla partecipazione con aspettative
articolate che spesso finiscono per creare percorsi filtro.
Temi&Strumenti
Osservatorio Nazionale per il Volontariato
Divisione III Volontariato
Direzione Generale Volontariato
Associazionismo e Formazioni sociali
VOLONTARIATO
E PIANIFICAZIONE
SOCIALE DI ZONA:
LA PARTECIPAZIONE
INDAGINE PILOTA SUL VOLONTARIATO
ISBN 978-88-543-0030-6
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788854 300309
Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori
Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori
Temi&Strumenti
Studi e ricerche
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ISBN 978-88-543-0030-6
L’Isfol, Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, è stato istituito con D.P.R. n. 478 del 30 giugno 1973, e riconosciuto Ente di ricerca con Decreto legislativo n. 419 del 29 ottobre 1999; ha
sede in Roma ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero del Lavoro e
della Previdenza sociale. L’Istituto opera in base al nuovo Statuto approvato con D.P.C.M. del 19 marzo 2003 ed al nuovo assetto organizzativo approvato con delibera del Consiglio di Amministrazione n. 12 del
6.10.2004.
Svolge attività di studio, ricerca, sperimentazione, documentazione,
informazione e valutazione nel campo della formazione, delle politiche
sociali e del lavoro, al fine di contribuire alla crescita dell’occupazione,
al miglioramento delle risorse umane, all’inclusione sociale ed allo sviluppo locale. Fornisce consulenza tecnico-scientifica al Ministero del
Lavoro e delle Previdenza Sociale e ad altri Ministeri, alle Regioni,
Province autonome e agli Enti locali, alle Istituzioni nazionali pubbliche
e private. Svolge incarichi che gli vengono attribuiti dal Parlamento e fa
parte del Sistema statistico nazionale.
Svolge anche il ruolo di struttura di assistenza tecnica per le azioni di
sistema del Fondo sociale europeo, è Agenzia Nazionale per il programma comunitario Leonardo da Vinci, Centro Nazionale Europass, Struttura
nazionale di supporto all’iniziativa comunitaria Equal.
Presidente
Sergio Trevisanato
Direttore Generale
Giovanni Principe
La collana “Temi&Strumenti” – articolata in Studi e Ricerche, Percorsi,
Politiche comunitarie – presenta i risultati delle attività di ricerca dell’Isfol sui
temi di competenza istituzionale, al fine di diffondere le conoscenze, sviluppare il dibattito, contribuire all’innovazione e la qualificazione dei sistemi di
riferimento.
La collana “Temi&Strumenti” è curata da Isabella Pitoni, responsabile Ufficio
Comunicazione Istituzionale Isfol.
2006 – ISFOL
Via G. B. Morgagni, 33
00161 Roma
Tel. 06445901
http://www.isfol.it
Ministero della Solidarietà Sociale
Osservatorio Nazionale per il Volontariato
Divisione III Volontariato
Direzione Generale Volontariato
Associazionismo e Formazioni sociali
ISFOL
VOLONTARIATO
E PIANIFICAZIONE
SOCIALE DI ZONA:
LA PARTECIPAZIONE
INDAGINE PILOTA SUL VOLONTARIATO
ISFOL EDITORE
Il volume raccoglie i risultati di una ricerca curata dall’Area “Risorse strutturali
ed umane dei sistemi formativi” dell’Isfol nell’ambito del progetto “Indagine pilota sul volontariato” promosso e finanziato a valere su risorse
dell’Osservatorio Nazionale per il Volontariato (Legge 266/91) – Ministero
della Solidarietà Sociale – Direzione Generale per il Volontariato,
l’Associazionismo e le Formazioni Sociali.
La ricerca è stata condotta da Elena Caramelli, Giancarlo Cursi, Marco
Marucci, Germana Monaldi, con la collaborazione della Società BBJ Consult
Ag - rappresentanza italiana per la parte relativa alla rilevazione ed analisi dei
dati.
Il volume è a cura di Elena Caramelli e Claudia Montedoro.
Sono autori del volume:
Cecilia Donaggio (prefazione),
Rita Graziano e Sabina Polidori (introduzione),
Pietro Checcucci e Giancarlo Cursi (capitolo 1),
Francesco Gaudio e Marco Marucci (capitolo 2),
Pietro Checcucci e Germana Monaldi (capitolo 3),
Giancarlo Cursi, Germana Monaldi e Annalisa Turchini (capitolo 4),
Elena Caramelli, Pietro Checcucci e Annalisa Turchini (capitolo 5).
Coordinamento editoriale della collana “Temi & Strumenti”:
Piero Buccione e Aurelia Tirelli.
Con la collaborazione di: Paola Piras.
INDICE
pag.
Prefazione
7
Introduzione: presentazione della ricerca
11
Cap. 1 Contesto della ricerca
1.1 Scenario normativo ed evoluzione del campo di indagine
1.2 Evoluzione sociale del volontariato in Italia (passaggio dalla
rivendicazione dei diritti alla responsabilità
civile del volontariato)
1.2.1 Una cittadinanza espressa per gradi
1.2.2 Nella storia
1.2.3 Oggi
1.3 Partecipazione e nuovo welfare nel quadro della riforma
degli assetti istituzionali
1.3.1 Il contesto europeo delle politiche sociali
1.3.2 L’avvento del paradigma dell’esclusione sociale
1.3.3 Il tentativo di riforma del sistema dei servizi sociali
e la lotta all’esclusione sociale
1.3.4 Problemi aperti e prospettive
15
15
Cap. 2 Il disegno della ricerca e nota metodologica
2.1 La definizione delle fasi di indagine
2.2 Strategie di rilevazione e strumenti
2.3 Elaborazione ed analisi delle informazioni
e principali acquisizioni
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25
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Cap. 3
Risultati della ricerca: la partecipazione delle Organizzazioni
di volontariato alla programmazione territoriale
fra sussidiarietà verticale e orizzontale
45
3.1 Attori pubblici e società civile nella cornice della sussidiarietà
45
5
INDICE
pag.
3.2 Territori e profilo delle Organizzazioni di volontariato
3.3 Le Organizzazioni di volontariato a confronto con le esigenze
delle comunità locali
3.4 La rete delle relazioni e i precedenti alla programmazione
territoriale
Cap. 4 La qualità della partecipazione
4.1 La partecipazione al processo di pianificazione sociale di zona:
le fasi del percorso
4.2 Preparazione e avvio del percorso:
strumenti e criteri di collaborazione tra gli attori territoriali
4.3 Attuazione e gestione della programmazione sociale:
il contributo delle Organizzazioni di volontariato
4.4 Gli effetti dell’esperienza di partecipazione
sulle Organizzazioni di volontariato
4.5 Le ricadute della programmazione sociale
sulle relazioni tra gli attori locali
4.6 L’impegno della partecipazione:
problematiche e utilità percepita
4.6.1 I tavoli tematici
4.6.2 Le problematiche
4.6.3 Gli sviluppi
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Cap. 5 Conclusioni
5.1 Dimensioni delle organizzazioni e spettro di intervento
5.2 La percezione del posizionamento nell’ambito della
programmazione territoriale
5.3 Problemi aperti e prospettive
5.4 Considerazioni di insieme
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100
103
Appendice
Allegato A – Tabelle di frequenza
Allegato B - Strumenti: Questionario di rilevazione
Allegato C - Strumenti: Scheda dati di raffronto
Allegato D - Elenco delle organizzazioni presenti ai focus group
Allegato E - Elenco delle OdV sottoposte al questionario
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107
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135
137
Bibliografia
141
6
95
95
PREFAZIONE
La Legge 328 del 2000, per la realizzazione del sistema integrato di interventi e politiche sociali, ha rappresentato da subito un riferimento
normativo per rilanciare la programmazione delle politiche sociali a livello locale. Punto di forza è stata l’adozione del metodo della pianificazione, che si poneva l’obiettivo di disegnare il sistema integrato di interventi e servizi sociali, di definire i livelli essenziali, di assicurarne la fruizione alle persone e alle famiglie, di valorizzare gli apporti che le diverse soggettività, individuate dalla stessa Legge, avrebbero potuto fornire.
Una delle più importanti innovazioni contenute nella Legge è stata indubbiamente l’istituzione dei Piani di zona, i quali sono di norma
adottati attraverso un accordo di programma e, secondo quanto stabilisce la Legge, all’art. 19, sono destinati a: (a) favorire la formazione di
sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili, stimolando in particolare le risorse locali di solidarietà
e di auto-aiuto, nonché a responsabilizzare i cittadini nella programmazione e nella verifica dei servizi; (b) qualificare la spesa, attivando risorse, anche finanziarie, derivate dalle forme di concertazione […]; (c)
definire criteri di ripartizione della spesa a carico di ciascun Comune,
delle aziende unità sanitarie locali e degli altri soggetti firmatari dell’accordo, prevedendo anche risorse vincolate per il raggiungimento di
particolari obiettivi; (d) prevedere iniziative di formazione e di aggiornamento degli operatori finalizzate a realizzare progetti di sviluppo
dei servizi”. All’accordo di programma che definisce il Piano di zona,
“per assicurare l’adeguato coordinamento delle risorse umane e finanziarie”, partecipano i Comuni di un ambito territoriale, solitamente definito dalle Regioni sulla base dei confini dei distretti sanitari esistenti,
e le organizzazioni del Terzo settore che, “attraverso l’accreditamento o
7
PREFAZIONE
specifiche forme di concertazione concorrono, anche con proprie risorse, alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali previsto nel piano”.
I Piani di zona contribuiscono, quindi, in maniera significativa a
qualificare le politiche sociali a livello locale tramite opportune capacità, reti di socialità, mobilitazione condivisa, sinergica concertazione e
programmazione calata sul territorio.
La programmazione sociale locale è un’occasione straordinaria per
qualificare i servizi presenti sul territorio, riconoscere e rilevare le esigenze espresse ed inespresse e programmare modelli efficaci di sviluppo del benessere e delle capacità dei cittadini.
I Piani di zona, quindi, possono essere strumenti importanti per
mobilitare risorse aggiuntive, pubbliche e private e per rispondere alle
esigenze sociali più urgenti, dal bisogno di integrazione sociale alla carenza di servizi per le povertà estreme.
In tale scenario le organizzazioni coinvolte nelle politiche sociali individuano gli obiettivi e definiscono gli strumenti e la tempistica dei
servizi sociali nell’ottica di contribuire a rispondere meglio alle istanze
della comunità.
Questa indagine, che vuole indagare sul supporto del volontariato
alla programmazione concertata dei Piani di zona, vuole essere sia
un’occasione di riflessione collettiva, ma anche, più ambiziosamente,
vuole essere un piccolo strumento di ausilio a quanti, nell’ambito delle politiche sociali, sono oggi impegnati nella definizione dei nuovi
Piani di zona.
Lo strumento dei tavoli di concertazione con il Terzo settore, da occasione saltuaria in vista della stesura del piano di zona, sta diventando una prassi quando nell’arco dell’anno l’Amministrazione Comunale
e il Terzo settore dialogano, ragionano insieme sulle necessità e sulle
priorità dei servizi da porre in essere e da potenziare, garantendo partecipazione e trasparenza.
Questo metodo della “concertazione continua” dovrà trovare una
sempre più puntuale applicazione nel prossimo futuro, infatti la concertazione con il Terzo settore riguarda soprattutto la definizione di
obiettivi strategici, strumenti realizzativi e di individuazione delle risorse necessarie all’attuazione del piano.
La maggiore interazione tra i soggetti, nel rispetto dei ruoli e delle specifiche funzioni, può essere garanzia di maggior tutela dei cittadini, in particolare quelli più deboli che, spesso, non sono in grado di soddisfare autonomamente i propri bisogni e di formulare domande pertinenti ai servizi.
8
PREFAZIONE
Vorrei ribadire l’importanza e la necessità di raccontarsi e di raccontare le esperienze di programmazione sociale realizzate sul territorio,
per mettere in luce i punti di forza e di debolezza, le potenzialità e i
vincoli esistenti, per restituire una fotografia dell’esistente e andare
verso la direzione giusta. Lo pongo come un invito, a tutti i soggetti
coinvolti nella programmazione sociale, a dare valore alla propria
esperienza, nelle sue contraddizioni e difficoltà, per renderla pubblica e
promuovere così importanti segnali di miglioramento.
Lo sforzo da fare è oggi quello di mobilitare e fare cooperare gli attori, promuovendo la conoscenza e avvicinando le aspettative, le esperienze e i punti di vista di tutti gli attori, tramite anche un monitoraggio
critico reciproco e continuo. Di fatto i Piani di zona sono uno strumento della comunità e bisogna far leva soprattutto sugli aspetti relazionali, sull’interazione e sulla concertazione, perché lo strumento risulti
partecipato, integrato, contestualizzato e condiviso.
E’ questa la strada per valorizzare le soggettività presenti nella comunità, le diverse risorse attivabili, le specifiche vocazioni, i fattori di
sviluppo locali.
I Piani di zona devono portare al superamento di visioni parziali e
riduttive, che hanno portato a considerare i cittadini e i gruppi esclusivamente come destinatari di interventi e servizi. Essi rappresentano
l’occasione per promuovere una piena cittadinanza sociale, in cui il tema dell’esigibilità dei diritti sanciti viene coniugato con quello dei doveri inderogabili di solidarietà e della partecipazione responsabile.
Il Sottosegretario di Stato
Dr.ssa Cecilia Donaggio
9
INTRODUZIONE
I risultati dell’indagine presentata in questo volume, dal titolo
Volontariato e pianificazione sociale di zona: la partecipazione” testimoniano la forte attenzione che l’Osservatorio Nazionale per il
Volontariato1 - rivolge alla Legge “per la realizzazione del sistema integrato di interventi e politiche sociali” – n. 328 dell’8 novembre 2000 che ridisegna lo stato sociale e definisce il nuovo sistema di interventi
e servizi sociali, il cosiddetto welfare delle persone, delle famiglie e
delle politiche sociali.
Con questa indagine pilota si vuole conoscere il ruolo che le organizzazioni di volontariato rivestono nella programmazione territoriale, dato che la Legge porta al pieno riconoscimento del Terzo settore come
soggetto politico coinvolto nella difficile sfida dell’integrazione (art. 5,
Legge 328/2000).
Integrazione è la parola chiave della normativa: “integrazione fra”
ambito “sociale e sanitario, pubblico e privato sociale, fra mondo del lavoro e della formazione, fra enti e professionalità”.
Duplice è l’obiettivo infatti di tale apparato normativo:
- promuovere una più elevata qualità della vita.
- garantire la presenza su tutto il territorio di servizi e prestazioni essenziali (art. 22, comma 4).
Il compito fondamentale degli Enti Locali e delle Regioni è quello di
coinvolgere e favorire la collaborazione sinergica, partecipata e condivisa tra volontariato, operatori, forze sociali, le IPAB e i patronati riformati.
Il ruolo del mondo della solidarietà è decisivo, perché lo Stato intende coinvolgere il volontariato e il terzo settore sia nella progettazione sia nella realizzazione dei servizi, mantenendo sempre la propria
precipua responsabilità.
1 Incardinato nella Divisione III Volontariato – Direzione Generale per il Volontariato,
l’Associazionismo e le Formazioni Sociali – Ministero della solidarietà sociale.
11
INTRODUZIONE
Per tale motivo l’Osservatorio Nazionale per il Volontariato, ha voluto realizzare tale indagine, per approfondire come si muove questo recente fenomeno in un contesto di grande dinamicità, per coglierne
specificità e caratteristiche distintive, attraverso la conoscenza di ciò
che il volontariato italiano è riuscito a costruire, in sé e attorno a sé,
nel contesto dell’elaborazione delle politiche sociali a partire dagli
spazi di partecipazione e di condivisione allo sviluppo dei Piani di zona.
L’ipotesi della ricerca è nata proprio in riferimento alla molteplice
identità del volontariato, ovvero come la duplice identità di soggetto
organizzato e allo stesso tempo spontaneistico, e, quindi, per rilevare e
voler conoscere il suo ruolo ed impatto sia nella fase di rilevazione del
bisogno della comunità e sia, come conseguenza necessaria, nella pianificazione degli interventi sociali e sulle ricadute interne ed esterne
alle organizzazioni e ai piccoli gruppi, ponendo l’attenzione anche sulla relativa domanda formativa che emerge da tale processo.
L’indagine focalizza la sua attenzione sul ruolo del volontariato nelle attività di progettazione sociale, al fine di ricostruire l’approccio del volontariato nell’elaborazione delle politiche sociali, effettuando al contempo una valutazione dell’impatto della normativa, dal punto di vista
della concertazione attuata e degli aspetti organizzativi e strumentali.
L’indagine è stata realizzata dall’Isfol con la collaborazione del
Comitato di indirizzo, nominato dall’Osservatorio Nazionale per il
Volontariato così composto: Renato Frisanco (Fondazione Italiana del
Volontariato), Maria Grazia Dente (Presidente del Movimento Italiano del
Volontariato), Giancarlo Cursi (Caritas Italiana), Andrea Tieghi (Avis
Nazionale), Claudia Montedoro ed Elena Carmelli (Isfol), con il coordinamento della Divisione III Volontariato – Ministero della solidarietà
sociale.
L’indagine è strutturata in cinque capitoli.
- Nel primo capitolo, “Contesto della ricerca”, si propone un breve
excursus storico sull’evoluzione sociale del volontariato in Italia,
con un richiamo allo scenario normativo e al contesto europeo
delle attuali politiche sociali. Viene inoltre affrontato il tema della
partecipazione nel nuovo welfare dei servizi sociali.
- Nel secondo capitolo viene descritto “Il disegno della ricerca”, con
esplicitazione degli obiettivi del lavoro e modalità di rilevazione dei
dati. Si ribadisce l’approccio esplorativo-pilota, nonché conoscitivo
dell’indagine, con finalità prevalentemente di tipo descrittivo.
12
INTRODUZIONE
La rilevazione ha fatto ricorso a tecniche quantitative, con approfondimenti qualitativi su tematiche specifiche.
Sono state complessivamente esaminate 83 organizzazioni di volontariato, afferenti alle tre circoscrizioni geografiche (nord, centro,
mezzogiorno), con riferimento a 12 province (Lecco, Padova,
Bologna, Lucca, Pisa, Terni, Salerno, Cosenza, Palermo).
- Il terzo capitolo “La partecipazione delle organizzazioni di volontariato alla programmazione territoriale fra sussidiarietà verticale e
orizzontale”, affronta il tema della dimensione della sussidiarietà
nelle amministrazioni locali, considerati luoghi strategici di sperimentazione di modelli decisionali innovativi.
Viene, inoltre, tracciato il profilo delle associazioni di volontariato
che hanno partecipato all’indagine, le quali sono radicate in territori con tassi di incremento nel numero di associazioni e numeri
medi di esse sulla popolazione residente, differenti tra di loro. Le associazioni intervistate sono operanti prevalentemente nei settori
dell’accompagnamento, consulenza, sostegno ed assistenza sociale e culturale.
- Il quarto capitolo “La qualità della partecipazione” commenta e
sintetizza alcuni risultati principali emersi dalla ricerca e, sulla base
di una serie di questioni, offre una sintetica comparazione dei casi.
Si delineano le fasi del percorso della partecipazioni delle associazioni al processo di pianificazione sociale di zona, evidenziando le caratteristiche distintive delle iniziative di preparazione e le attività
svolte all’interno dei partenariati presenti. Interessante è verificare la
ricaduta dell’esperienza di partecipazione sulle Organizzazioni di
volontariato al termine della programmazione concertata. Da ciò risulta come le organizzazioni rappresentino soggetti in grado di percepire e valutare gli effetti della programmazione partecipata, in
grado di cogliere con sensibilità i mutamenti presenti nel contesto
sociale di riferimento.
- Il quinto capitolo conclude la ricerca con una serie di riflessioni e
prospettive future sul tema oggetto di indagine, prefigurando
nuovi percorsi e ambiti di approfondimento ulteriore.
Il percorso delle Organizzazioni di volontariato si presenta, in una
visione di insieme, ricco di molteplici sfumature, sia rispetto agli incontri di concertazione e progettuali, sia nel rapporto con le altre organiz13
INTRODUZIONE
zazioni e con gli Enti istituzionali preposti, con un grande investimento
in termini di risorse e tempi.
Risulta evidente come l’ingresso di una molteplicità di soggetti,
pubblici, privati e appartenenti al Terzo settore, nel processo di programmazione degli interventi locali, rappresenta sicuramente l’acquisizione più significativa degli ultimi anni.
Il percorso di ricerca deve comunque essere approfondito e continuare su direttrici ampie: le relazioni tra le variabili vanno approfondite, così come va esteso il campione di analisi. Dato il numero limitato
dei casi esaminati, i risultati dell’indagine devono essere considerati in
modo tendenziale, in quanto non esaustivi e rappresentativi del complesso contesto nazionale di riferimento.
Si auspica per il futuro un’integrazione cognitiva dell’indagine, partendo
dagli aspetti emersi, tramite un campione più ampio e rappresentativo del
fenomeno in oggetto.
Le suggestioni emergenti costituiscono il percorso da seguire e da implementare, al fine di avere uno strumento conoscitivo valido e realistico.
Cogliamo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione della presente indagine permettendo di ricostruire le interessanti esperienze riportate nel rapporto e che ci hanno
offerto chiavi di lettura e suggerimenti per il futuro.
Rita Graziano
Dirigente Divisione III
Volontariato Ministero della
solidarietà sociale
14
Sabina Polidori
Responsabile della
Segreteria Tecnica dell’Osservatorio
Nazionale per il Volontariato
CAPITOLO 1
CONTESTO DELLA RICERCA
1.1 Scenario normativo e evoluzione del campo di indagine
L’indagine si inquadra in un ambito tematico fra i più dibattuti degli
ultimi decenni nel nostro Paese, inerente la propensione e capacità
del “fenomeno volontariato” di svolgere un ruolo appropriato ed efficace nel quadro delle policy locali orientate alla soddisfazione dei bisogni
sociali emergenti in un dato territorio. Si tratta di una questione complessa e di enorme interesse al contempo, che si inserisce a pieno titolo in
un panorama di riflessioni particolarmente ricco ed articolato poiché
chiama in causa due rilevanti (e complementari) filoni di analisi: (a) la
crescente inadeguatezza di un modello di welfare fondato sul ruolo
tendenzialmente esclusivo dello Stato a fronte (b) di una pluralizzazione e proliferazione di nuovi e più complessi bisogni – e l’incremento
delle sacche di disagio ed esclusione – connessi allo sviluppo ed alla
modernizzazione sociale. Soprattutto a partire dalla metà degli anni
Ottanta – quando, cioè, si acutizza la crisi del Welfare State - in Italia si
registra una progressiva espansione del fenomeno del volontariato,
cui si associa una contemporanea tendenza alla specializzazione e
professionalizzazione nonché una maggiore attenzione verso gli
aspetti organizzativi e gestionali. Molte di queste realtà assumeranno
nel tempo un ruolo sempre più significativo, strutturando relazioni
gradualmente più strette con le Istituzioni Pubbliche nell’erogazione
di servizi e prestazioni alla collettività.
Tuttavia, il cosiddetto “volontariato” si caratterizza fin da subito come
un insieme di realtà estremamente eterogeneo; il termine stesso risulta spesso abusato e non privo di ambiguità e sfumature. L’accezione,
cioè, designa iniziative sovente molto diverse fra loro, e quindi non
uniformabili in modelli o tipologie unitarie: il volontariato si configura come un arcipelago complesso e multiforme rispetto ad una serie di ele15
CAPITOLO 1
Scenario
normativo e
evoluzione del
campo di
indagine
menti quali, ad esempio: le finalità, i settori di intervento, la struttura
organizzativa, le figure professionali, e così via.
La Legge quadro sul volontariato n. 266 dell’11 agosto 1991 è un riferimento obbligato per identificare e circoscrivere il fenomeno: l’attività di volontariato – secondo tale normativa - è “quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il
volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”. Pertanto, assumendo tale definizione, il lavoro di ricerca ha riguardato prevalentemente le Organizzazioni di volontariato (OdV) che rispondono ai requisiti stabiliti dalla suddetta
Legge (in particolare relativamente ai primi tre articoli2).
La Legge quadro del 1991 è al contempo un primo importante passo in chiave di legittimazione politica e sociale del fenomeno. Essa, infatti, da un lato riconosce il valore sociale e la funzione dell’attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo e dall’altro individua le Organizzazioni di volontariato come risor2 Articolo 1 (Finalità e oggetto della legge) 1. la Repubblica italiana riconosce il valore sociale
e la funzione dell’attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto originale
per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuato dallo Stato,
dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali; 2. La presente
Legge stabilisce i principi cui le regioni e le province autonome devono attenersi nel disciplinare
i rapporti fra le Istituzioni Pubbliche e le organizzazioni di volontariato nonché i criteri cui debbono uniformarsi le amministrazioni statali e gli enti locali nei medesimi rapporti.
Articolo 2 (Attività di volontariato) 1. Ai fini della presente Legge per attività di volontariato
deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione
di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà; 2. L’attività del volontariato non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le
spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle
organizzazioni stesse; 3. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto
di lavoro subordinato o autonome e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte.
Articolo 3 (Organizzazioni di volontariato) 1. È considerato organizzazione di volontariato
ogni organismo liberamente costituito al fine di svolgere l’attività di cui all’articolo 2, che si avvalga in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri
aderenti; 2. Le organizzazioni di volontariato possono assumere la forma giuridica che ritengono
più adeguata al perseguimento dei loro fini, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico; 3. Negli accordi degli aderenti, nell’atto costitutivo o nello statuto, oltre a quanto disposto dal
codice civile per le diverse forme giuridiche che l’organizzazione assume, devono essere espressamente previsti l’assenza di fini di lucro, la democraticità della struttura, l’elettività e la gratuità delle cariche associative nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri di ammissione e di esclusione e di questi ultimi, i loro obblighi e diritti. Devono essere altresì stabiliti l’obbligo di formazione del bilancio, dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti, nonché le modalità di approvazione dello stesso da parte dell’assemblea degli aderenti; 4. Le organizzazioni di volontariato possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure occorrenti a qualificare o specializzare l’attività da esse svolta; 5. Le organizzazioni svolgono le attività di
volontariato mediante strutture proprie o, nelle forme e nei modi previsti dalla legge, nell’ambito
di strutture pubbliche o con queste convenzionate.
16
CONTESTO DELLA RICERCA
sa strategica per un sistema di welfare in grado di rispondere ai diversificati e complessi bisogni sociali. Più in generale, le politiche degli
anni ‘90 pongono le Organizzazioni di volontariato al centro di importanti scelte, in particolar modo in ambito sociale e sanitario: se ne riconosce un più significativo “ruolo pubblico” e se ne incentiva il coinvolgimento nella “produzione” delle politiche tramite la creazione di apposite consulte e coordinamenti. Il volontariato - ed il Terzo settore in generale - vengono sempre più considerati attori delle politiche, soggetti
con cui le Istituzioni Pubbliche devono incrementare rapporti di consultazione e scambio di esperienze sia nella fase di progettazione che
in quella di realizzazione e valutazione delle politiche.
L’art. 12, comma 1, lettera d) della Legge n. 266 del 1991 e la Legge
n. 285 del 1997 riguardante le “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”3 segnano il passo in
questo processo di cambiamento nella relazione tra pubblico e privato,
così come la successiva produzione normativa in materia di sanità e di
servizi sociali.
Pertanto, si può correttamente affermare che negli ultimi anni, in
diversi settori (sanità, servizi sociali, ambiente e protezione civile, immigrazione, minori, handicap… ), si sia verificato un sensibile rafforzamento del ruolo complessivo del volontariato nei processi di regolazione sociale. In particolare, ai fini specifici dell’indagine preme sottolineare come la Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato
di interventi e servizi sociali (n. 328 dell’8 novembre 2000) porta al
pieno riconoscimento del Terzo settore nel suo complesso come soggetto politico vocato ad una partecipazione attiva alla programmazione
dei welfare locali, alla realizzazione di interventi e servizi in grado di rispondere più efficacemente alle necessità dei singoli territori, che le
Regioni e le amministrazioni locali debbono coinvolgere (rispettandone le peculiarità culturali ed etiche).
Le riforme attuate nelle politiche pubbliche chiamano direttamente
in causa le Organizzazioni di volontariato proprio per i valori insiti nell’azione volontaria; valori che permettono di erogare servizi con una particolare attenzione alla dimensione relazionale ed umana con l’utente,
ma anche per la sua capacità di attivare coinvolgimento, partecipazione, responsabilità, controllo diretto e diffuso da parte dei cittadini. In definitiva - in una società caratterizzata da complesse e rapide trasformazioni che inducono nuove forme di disagio e di bisogni, in cui aumen3 Tale legge, infatti, obbligando ad una coprogettualità tra soggetti pubblici e soggetti privati
nonprofit, impone il superamento della “cultura della delega” che ha caratterizzato i rapporti tra
questi soggetti gli anni precedenti.
17
Scenario
normativo e
evoluzione del
campo di
indagine
CAPITOLO 1
Scenario
normativo e
evoluzione del
campo di
indagine
ta il livello delle disuguaglianze, con una crescente eterogeneità etnica,
linguistica, religiosa e culturale, con la necessità di riuscire a conciliare
l’attaccamento individuale alla propria identità territoriale ed alle proprie
radici locali ed il sapersi muovere quotidianamente in una dimensione
globale - le risorse solidali presenti nelle comunità locali vanno assumendo sempre maggiore rilevanza. Le OdV - che nell’erogare servizi mobilitano la partecipazione dei cittadini, informano e sensibilizzano sui problemi e bisogni, creano relazioni di fiducia e reciprocità, rafforzano i legami ed il senso di appartenenza alla comunità - costituiscono una risorsa essenziale che non deve perdere la propria identità culturale e valoriale, quanto – piuttosto - rafforzarsi nel confronto, nel dialogo e nella relazione con gli altri attori sociali del territorio.
Proprio in ragione di ciò, studiare il mondo del volontariato, i modelli
organizzativi, le tipologie di azione messe in campo, le reti di relazione costruite con le istituzioni e la società, i bisogni, le difficoltà e le richieste, costituisce un passaggio essenziale per consentire la valorizzazione di una
risorsa particolarmente significativa per il rafforzamento e lo sviluppo della qualità della vita e la valorizzazione delle opportunità di inclusione.
E’ questa l’ispirazione di fondo che ha guidato l’ideazione e la realizzazione del lavoro di ricerca, che ha inteso affinare il bagaglio di conoscenze disponibili su un fenomeno tuttora molto dinamico, al fine di coglierne alcune specificità evolutive in uno scenario di politiche di welfare modificate. Più in particolare, l’indagine si è concentrata – identificandolo come oggetto precipuo della ricerca - sul ruolo del volontariato nelle nuove dinamiche di progettazione sociale determinate in base alla
Legge 328/00 dall’attuazione nei territori dei Piani di zona.
Lo scopo è di conoscere, seppur parzialmente, aspetti di una realtà
complessa e dinamica che potrebbero essere approfonditi attraverso
una metodologia quantitativa più rappresentativa, ovvero inserendo
tra le unità di analisi un numero più significativo di associazioni di volontariato.
Tutto ciò per sottolineare l’importanza che ha la ricostruzione e
l’approccio prevalente del volontariato nel contesto dell’elaborazione
delle politiche sociali locali a partire dagli spazi di partecipazione allo sviluppo ed implementazione dei Piani di zona indicati dalla normativa
in oggetto. Si tratta, com’è intuibile, di un aspetto particolarmente significativo per effettuare una valutazione dell’impatto della normativa,
sia sul versante delle pratiche concertative nella pianificazione sociale
territoriale, sia per ciò che concerne gli assetti organizzativi ed i fabbisogni di competenze degli individui che si identificano ed operano in tali
organizzazioni.
18
CONTESTO DELLA RICERCA
1.2 Evoluzione sociale del volontariato in Italia (dalla rivendicazione
dei diritti alla responsabilità civile)
Quale modello fondamentale dell’azione positiva e responsabile dell’individuo che effettua spontaneamente e gratuitamente mediante prestazioni personali a favore di altri individui, ovvero di interessi collettivi degni di tutela da parte della comunità, il volontariato rappresenta l’espressione più immediata della primigenia vocazione sociale dell’uomo, derivante dall’originaria identificazione
del singolo con le formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità e dal conseguente vincolo di appartenenza attiva che lega l’individuo alla comunità degli uomini. Esso è, in altre parole, la più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, per il quale la
persona è chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un’autorità, ma per libera e spontanea espressione
della profonda socialità che caratterizza la persona stessa. Si tratta
di un principio che, comportando l’originaria connotazione dell’uomo uti socius, è posto dalla Costituzione tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, tanto da essere solennemente riconosciuto e
garantito, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, dall’art. 2 della
Carta costituzionale come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente.
Quindici anni fa, con sentenza 75/92, la Corte Costituzionale così identificava il valore sociale dell’azione volontaria e lo speciale contributo “fondativo” dei volontari rispetto alla esistenza stessa della vita sociale di un
paese e del suo quadro civile e istituzionale.
La valenza civile del volontariato verrà, 8 anni più tardi, evidenziata dal
nuovo assetto costituzionale italiano definito dagli artt. 117-118 attribuendo una valenza integrativa dello stesso pubblico assetto istituzionale a ciò che i volontari operano a favore di interessi di comune utilità.
In quanto impegnato in prima persona su problemi non direttamente propri, ma che, in quanto gravanti su altre persone, il volontariato percepisce come propri del contesto umano e sociale di cui si sente “parte responsabile”, diviene testimone attivo della costruzione compartecipata del sodalizio umano del proprio tempo. Testimone, in sintesi, della comune vocazione umana alla cittadinanza solidale e responsabile,
espressa in modo genuino e creativo attraverso la dinamica del dono.
19
CAPITOLO 1
1.2.1 Una cittadinanza espressa per gradi
La dinamica ricorrente che sottostà alle sempre più numerose e diversificate esperienze di volontariato si esprime generalmente attraverso uno
sviluppo della coscienza sociale che passa per alcuni gradi progressivi.
La solidarietà diretta verso una determinata condizione di disagio è
infatti, di solito, il punto di partenza di un cammino di maturazione che
può portare a nuove consapevolezze. Una prima ed importante evidenza si configura, tranne che in casi particolari, intorno alla soglia alta e composita di investimento richiesta dal bisogno e dalla volontà di dare ad
esso risposte efficaci, durature e soddisfacenti. Quasi sempre, cioè, diviene palese, per il volontario, che le risposte migliori, e più sostenibili
possano essere espresse e gestite da “più volontari” ben coesi tra loro
e, ove possibile, cooperanti con altre figure e professionalità. Il volto della solidarietà appare perciò “sociale” e richiede la capacità di saper riconoscere, contattare, valorizzare e coinvolgere i diversi apporti che la solidarietà richiede. Ma l’interazione fra i diversi partners nelle iniziative solidali non può che portare ad una maggiore consapevolezza circa il bisogno di risposte non più solo episodiche e dispendiose che, alla lunga, esauriscono le riserve di possibili aiuti e di solidarietà diffusa, bensì
sistematiche, durature e risolutive. Si cerca di individuare ciò che, a monte dello svilupparsi di un problema, lo genera e lo alimenta per agire in
modo mirato alla reale sua soluzione.
È a questo stadio di comprensione che il volontario comincia a percepire un livello di consapevolezza su ciò che genera il disagio, sulle dinamiche sociali, economiche e istituzionali che concorrono al nascere
e all’espandersi di una condizione di disagio, tale da suscitare in esso un
senso crescente di responsabilità verso i propri possibili apporti a tali dinamiche e verso la propria possibilità di evitare questi apporti e di adoperarsi perché altrettanto facciano gli altri: l’attenzione ai propri comportamenti andrà a incidere sul proprio stile di vita individuale e familiare;
quella verso gli altri lo porterà alla costruzione della giustizia sociale.4
Giunto a questo grado di maturazione il volontario sente che il problema o disagio dell’altro non è un incidente di diversità o di cattiva sorte
individuale, ma è il risultato di fattori che possono essere modificati da
impegni sociali convergenti e, quindi, è un problema gravante sulla propria collettività: rispondervi è una doverosa incombenza per chiunque
senta di dovere e poter incidere sulla qualità della vita della propria gente e del proprio territorio, assumendo anche le istanze di chi non è in
4 Carlo Borzaga, Azione volontaria e processi di trasformazione del settore nonprofit, Franco
Angeli, Milano, 2000.
20
CONTESTO DELLA RICERCA
grado di rispondere, in quanto più gravemente penalizzato dal disagio.
Questi volontari, pertanto, oltre ad assumersi il carico dei diversi
problemi che gravano sulle storie dei loro concittadini, percependoli
come problemi propri e della propria collettività, sviluppano e praticano una crescente cittadinanza responsabile, costituendo così un riferimento affidabile per gli altri membri della propria comunità civile.
1.2.2 Nella storia
Questo sviluppo della coscienza sociale, che accompagna ogni genuina e leale esperienza di solidarietà, condiziona pure le attenzioni e gli
obiettivi che i volontari si pongono di fronte alle diverse condizioni di disagio che intendono affrontare.
Infatti, da sempre nella storia della solidarietà fra gli uomini, le forme
più immediate e spontanee di aiuto gratuito a favore di terzi sono fortemente connotate dall’impegno individuale in gran parte auto-diretto
anche quando praticato assieme ad altre persone.
Le più diffuse modalità di questo volontariato sono state, e tuttora sono, quelle del dono di propri beni e del proprio tempo e competenze,
fino ai casi estremi del dono volontario della vita, l’accoglienza dell’altro estraneo alla propria famiglia o alla propria cerchia, il supporto alla
debolezza o allo svantaggio di un’altra persona, la difesa di persone
esposte all’ingiustizia o alla prepotenza, l’accompagnamento alla solitudine di altri, etc.
La coscienza di un bisogno più complesso e più tenace ad essere rimosso ha invece suscitato forme sempre più diversificate di aiuto volontario esercitate in gruppi organizzati di “volontari” che, a seconda dei contesti, delle culture e dei problemi hanno assunto le forme dei sodalizi per
la protezione civile di altre collettività nelle calamità, delle confraternite di misericordia e di assistenza nelle epidemie, delle truppe di coscritti nelle lotte di liberazione di altri popoli da regimi oppressivi, dei gruppi e delle Organizzazioni di volontariato per la promozione ed il riscatto di persone svantaggiate o emarginate, o per il recupero di danni ambientali o dei patrimoni culturali a vantaggio di intere collettività.
È soprattutto nel contesto di queste ultime forme aggregate del volontariato che sono andate via via emergendo nuove tipologie di impegno volontario associato, fortemente connotate dal perseguimento degli obiettivi di giustizia sociale e di cittadinanza attiva espressa su vari piani a partire da specifici approcci.5
5 Ugo Ascoli, Sergio Pasquinelli (a cura di), Il welfare mix. Stato sociale e terzo settore, Franco
Angeli, Milano, 1993.
21
Una cittadinanza
espressa per
gradi
CAPITOLO 1
Nella storia
Così, a partire dall’impegno sull’inclusione sociale di persone svantaggiate si sono sviluppate forme di volontariato maggiormente determinate alla difesa dei diritti ed al perseguimento di pari opportunità
per tutti i cittadini; a partire dall’impegno per l’inserimento sociale e la
valorizzazione di persone e famiglie di altre culture sono nate organizzazioni per la promozione dell’intercultura e la responsabilità civile rispetto ai processi della globalizzazione; a partire dall’impegno per accompagnare i processi di sviluppo di altri popoli si sono sviluppate
Organizzazioni di volontariato per l’educazione dei consumi e degli stili vita responsabili; a partire dall’autopromozione delle persone in età attiva post-lavorativa sono nate iniziative di volontariato per la trasmissione di competenze e l’accompagnamento a persone coinvolte in
percorsi di inserimento sociale. Questi diversi sviluppi sono solo alcuni
indicatori di un processo di crescita della responsabilità civile che continua ad investire le esperienze ordinarie del volontariato esaltandone
la funzione di “matrice efficace di cittadinanza responsabile” espressa,
in partenza, in diverse forme e successivamente affluente ad un piano
di sensibilità estesa a più ampio raggio.
L’approfondimento della natura del disagio resta comunque il punto di
partenza per la maggior parte delle esperienze di volontariato che maturano in sé un percorso di sviluppo della coscienza e dell’impegno sociale.
Si tratta di un processo che caratterizza lo sviluppo storico del volontariato nel nostro paese dal dopoguerra ad oggi.
Il volontariato degli anni della ricostruzione post-bellica era infatti
un volontariato di primo intervento, di pronto soccorso e di somministrazione di generi di prima necessità.
Dopo i primi anni della ricostruzione, con il riavvio del mercato del lavoro, molte situazioni di disagio furono in parte assorbite, lasciando
maggiormente in evidenza forme di disagio non più solo economiche
ma anche legate a menomazioni, devianza, abbandono, che stimolarono i volontari a passare da un intervento occasionale e temporaneo
a forme di presa in carico e di sostegno delle carenze altrui e che assunsero la connotazione prevalente di interventi assistenziali. La conseguente trasformazione degli interventi pubblici e privati nel tempo in
moduli quasi interamente assistenziali degenerò nella logica degli interventi assistenzialistici che, nel caso dell’intervento pubblico, si connotavano come affidamento alle “istituzioni totale” oppure come erogazione in modo continuativo di sussidi, mentre nel caso del volontariato si
svilupparono come elargizione continuativa di sussidi alimentari (pacchi dono), visite a domicilio, assistenza ospedaliera, accompagnamento dei portatori di handicap.
22
CONTESTO DELLA RICERCA
Le forme assistenziali andarono poi soggette, sul finire degli anni settanta a critiche interne ed esterne al mondo del volontariato, concernenti da una parte la limitatezza di un intervento incapace di fare emergere
le persone disagiate dalla loro condizione di dipendenza, molto spesso anzi accentuata dall’assistenza, e dall’altra generante atteggiamenti di deresponsabilizzazione da parte degli enti pubblici preposti all’intervento sociale (volontariato come alibi della latitanza istituzionale). Da sinistra, inoltre, si vedeva nell’atteggiamento assistenzialista del volontariato l’assorbimento delle legittime tensioni degli svantaggiati e degli esclusi della società, così da sedare quella pur necessaria e giusta protesta che forse avrebbe potuto mettere le Istituzioni davanti alle proprie responsabilità (volontariato come sedativo sociale). Anche la riflessione del mondo cattolico era
maturata verso la necessità di rimuovere le cause personali, strutturali e
culturali del disagio, col passaggio dall’assistenzialismo alla promozione
umana. Il volontariato, nelle sue esperienze più avanzate, comincia da allora a puntare verso l’organizzazione di servizi promozionali e verso la rimozione delle cause istituzionali e delle ingiustizie sociali. 6
Per circa venti anni, fra gli anni settanta e gli anni novanta, quasi la
metà delle organizzazioni del volontariato italiano si sono confrontate
con questi due tipi di impegno conseguendo anche apprezzabili risultati nel rapporto con le Istituzioni Pubbliche nazionali e gli enti locali interessati all’intervento sociale.
Particolare tappa di questo percorso è rappresentata dalla promulgazione della Legge 266/91 che regola i rapporti fra volontariato e
Istituzioni Pubbliche, al sommo di una sequenza di riconoscimenti ottenuti all’interno di diversi precedenti dispositivi legislativi.
La Legge quadro, accompagnata da una diffusa normativa regionale, ha messo in moto un denso vissuto interattivo fra volontariato e
Istituzioni Pubbliche, rispetto al quale si è costituita, attraverso e oltre l’agire dei Centri di Servizi per il Volontariato7 e dei meccanismi di rappresentanza, una fitta trama di contatti e di relative strutture di supporto.8
6 Jone L. Pearce, Volontariato - motivazioni e comportamenti nelle organizzazioni di lavoro
volontario, Raffaello Cortina editore, Milano, 1997.
7 I Centri di Servizi per il Volontariato (CSV) sono organismi previsti dall’articolo 15 della
Legge 266/91. Sono finanziati in ogni Regione da un fondo speciale alimentato da versamenti di
quote obbligatorie da parte di fondazioni bancarie. I fondi sono amministrati da Comitati di
Gestione. Il Decreto Ministeriale dell’8 ottobre 1997 specifica alcune delle prestazioni mediante le
quali i Centri di Servizio perseguono lo scopo di sostenere e qualificare l’attività di volontariato
stabilendo che esse siano erogate sotto forma di servizi. In particolare, secondo la norma, i Centri
di Servizio: a) approntano strumenti ed iniziative per la crescita della cultura della solidarietà, la promozione di nuove iniziative di volontariato ed il rafforzamento di quelle esistenti; b) offrono consulenza e assistenza qualificata, nonché strumenti per la progettazione, l’avvio e la realizzazione
di specifiche attività; c) assumono iniziative di formazione e qualificazione degli aderenti alle organizzazioni di volontariato; d) offrono notizie, informazioni, documentazioni e dati sulle attività
di volontariato.
8 Ugo Ascoli, Ralph M. Kramer (a cura di), Volontariato e stato sociale, Edizioni Lavoro,
Roma, 1987.
23
Nella storia
CAPITOLO 1
Nella storia
Esito positivo di questa interazione può essere considerato il ruolo previsto per il volontariato all’interno del dispositivo legislativo messo a punto, sotto forma di Legge quadro, per il riordino del sistema dei servizi sociali, sanitari e assistenziali pubblici, noto come Legge quadro 328 del
2000.
Questo ruolo, successivamente sancito implicitamente, dalla riforma del
capo V della costituzione agli artt. 117-118, sempre nel 2000, riconosce il
valore di funzione pubblica, in rapporto di sussidiarietà con le Istituzioni dello Stato, all’azione volontaria prestata per finalità di interesse generale.
E’ proprio in oggetto di questa Legge, successivamente adottata in vario modo dalle regioni contestualmente all’attribuzione della materia
esclusiva in ordine alla legislazione sociale rispetto allo Stato, che vengono richiesti al volontariato nuovi spazi e impegni di collaborazione e
di corresponsabilità nella progettazione sociale degli Enti Locali per i rispettivi territori che sono oggetto della presente indagine.
1.2.3 Oggi
Nell’ultimo decennio questo processo ha maturato espressioni e percorsi molteplici determinati dall’espansione delle aree di intervento e dei
piani di interlocuzione con i diversi soggetti istituzionali.
E’ sempre più evidente, fra i volontari, che una nuova frontiera della
solidarietà risieda proprio nella solidarietà stessa, nei servizi e nelle
Istituzioni Pubbliche e private impegnate nel sociale. L’umanizzazione dei
servizi rischia infatti di subire esclusione proprio da parte di chi è preposto ad agire contro l’esclusione.9
Nel contempo, il processo di modificazione e di adeguamento interculturale apre un cantiere che, pur oneroso rispetto all’impegno già offerto dai volontari, arricchisce la qualità e l’autenticità dei servizi e la storia personale di ogni volontario formando per la società cittadini capaci di accompagnare la crescita culturale del Paese.
Dal personale uso dei propri mezzi o immobili a quello di ampie strutture da parte di comunità locali, è oggi in atto, fra i volontari, una rilettura e una rivalutazione dei criteri di gestione e di uso a favore dei servizi di solidarietà e di pubblica utilità connotato dalla versatilità degli usi
di beni spesso assegnati a usi limitati e limitanti. Sarebbe limitante se solo a partire da questi aspetti anche in Italia si sviluppasse la prospettiva della responsabilità sociale delle imprese.
Di fronte alle crescenti sacche di povertà, ai flussi di immigrazione generati dall’impoverimento di grandi regioni del mondo e alla deprivazione e devastazione delle condizioni ambientali, il volontariato, che da alcuni decenni opera a valle e a monte del disagio sociale, coglie sempre
9
24
Ota De Leonardis, In un diverso welfare: sogni e incubi, Feltrinelli, Milano, 1998.
CONTESTO DELLA RICERCA
più gli effetti distruttivi della corrente logica ed economica dei consumi.
Rispetto ad essa molte frange di impegno civile e volontario, capillarmente passanti per ambiti di vita quotidiana e familiare ed estesi ai campi
di impegno sociale, stanno sperimentando altre esperienze di consumo
e di valorizzazione delle catene di produzione e di distribuzione dei prodotti. Tali esperienze vanno anch’esse trasformando le ordinarie prassi
del servizio e della cooperazione locale e planetaria. Su esse, come sempre in modo pionieristico, diverse realtà del volontariato stanno costruendo nuovi modelli e nuove strutture sociali.
Come pure l’incontro e la relazione con persone di altre appartenenze religiose e altre categorie sociali, favorisce l’arricchimento nella diversità, la riflessione sulle interdipendenze, sulle derive della globalizzazione, sul senso di responsabilità, sui percorsi per la costruzione della pace e la gestione dei conflitti.
In questi ultimi anni infine, di fronte all’esito spesso deludente del rifiuto da parte della comunità di soggetti socialmente recuperati, il volontariato si trova di fronte ad una nuova necessaria integrazione dei suoi
obiettivi. Nessun intervento promozionale infatti può oggi avere esiti apprezzabili se non è accompagnato da un impegno per la rimozione delle cause culturali del disagio (per esempio: razzismo, rifiuto del diverso,
etc.), attraverso la sensibilizzazione ed il coinvolgimento delle comunità locali, peraltro elementi indispensabili anche per il dialogo-confronto con le Istituzioni Pubbliche ed i loro responsabili politici10.
Pertanto, gli spazi offerti alla partecipazione dei cittadini alla pianificazione sociale, trovano nel volontariato, oltre che un soggetto autorevole e indispensabile, anche un mondo ultimamente molto interessato a mettere in circolo fra i cittadini i tratti vitali di quella cultura della responsabilità, nata dall’incontro quotidiano con le contraddizioni e i disagi di un sistema in rapido cambiamento, che può costituire il tessuto
più affidabile per costituire i tratti fondanti della nuova società civile11.
1.3 Partecipazione e nuovo welfare nel quadro della riforma degli assetti costituzionali
1.3.1 Il contesto europeo delle politiche sociali
La riforma del welfare prefigurata dalla Legge 328/2000 si è inserita nel solco tracciato dal processo di revisione delle priorità di sviluppo
10 Giorgio Vittadini (a cura di), Liberi di scegliere: dal welfare state alla welfare society. ETAS
Libri, Milano, 2003.
11 Giorgio Vittadini (a cura di), S. Zaninelli [et al.], Sussidiarietà: la riforma possibile, ETAS
Libri, Milano, 1998.
25
Oggi
CAPITOLO 1
Il contesto
europeo delle
politiche sociali
sociale ed economico avviatosi a livello europeo negli anni immediatamente precedenti12. Il Consiglio europeo di Berlino del 24 e 25 marzo
1999 aveva approvato il pacchetto “Agenda 2000”, contenente le prospettive finanziarie per il periodo 2000-2006 e il progetto di regolamentazione concernente gli aiuti strutturali, la politica agricola comune e gli strumenti di preadesione dei paesi candidati all’allargamento. Com’è noto,
Agenda 2000 individuava con precisione le tre sfide che la UE avrebbe
dovuto affrontare negli anni seguenti: l’allargamento dell’Unione a paesi che contano globalmente 105 milioni di abitanti, ma il cui reddito medio per abitante era appena un terzo della media dei quindici Stati membri; la disciplina finanziaria necessaria per realizzare con successo l’unione economica e monetaria; l’accresciuta concorrenza causata dalla
“mondializzazione” dell’economia, che rende necessario aiutare le regioni svantaggiate e i gruppi sociali più deboli sul mercato del lavoro a
trarre vantaggio dalle nuove opportunità di sviluppo.
A partire da quel momento la finalità generale della politica di coesione sociale ed economica della UE ha accentuato gli aspetti tesi a ridurre le disparità economiche e sociali fra le regioni europee e fra i loro abitanti. In questo ambito il passaggio alla programmazione 2000-2006
metteva chiaramente in evidenza ciò che, con l’allargamento a 27 Stati
membri, sarebbe divenuto una inderogabile necessità e cioè come
fosse necessario che l’intervento dell’Unione sostenesse i fattori in grado di promuovere la competitività globale e di contribuire a ridurre i profondi squilibri che caratterizzano il suo territorio, vale a dire gli investimenti nel capitale materiale ed umano13. In particolare in termini di cittadinanza, l’azione del Fondo sociale europeo negli assi A14 e B15 ha in
questi anni affiancato le politiche nazionali finalizzate a rafforzare e ad
ampliare il “diritto all’occupabilità” dei gruppi individuati, nel senso del
loro essere in condizione di cogliere opportunità provenienti da mercati del lavoro che dimostrino una domanda significativa, magari in concorrenza con segmenti più forti della forza lavoro16.
12 Pietro Checcucci, La politica di coesione europea e le nuove forme della cittadinanza, in
“Europa e Mezzogiorno”, n. 49, settembre 2003.
13 Ibidem.
14 Obiettivo globale - Contribuire all’occupabilità dei soggetti in età lavorativa. Asse A: Sviluppo e promozione di politiche attive del mercato del lavoro per combattere e prevenire la
disoccupazione, evitare a donne e uomini la disoccupazione di lunga durata, agevolare il reinserimento dei disoccupati di lunga durata nel mercato del lavoro e sostenere l’inserimento nella vita professionale dei giovani e di coloro, uomini e donne, che si reinseriscono nel mercato del lavoro. Obiettivi specifici 1: prevenzione della disoccupazione di giovani e adulti e inserimento e
reinserimento dei disoccupati di lunga durata.
15 Obiettivo globale - Promuovere l’integrazione nel mercato del lavoro delle persone esposte al rischio di esclusione sociale. Asse B: promozione di pari opportunità per tutti nell’accesso
al mercato del lavoro, con particolare attenzione per le persone che rischiano l’esclusione sociale. Obiettivi specifici 2: favorire il primo inserimento lavorativo o il reinserimento di soggetti a rischio di esclusione sociale.
16 Pietro Checcucci, La politica di coesione europea e le nuove forme della cittadinanza, in
“Europa e Mezzogiorno”, n. 49, settembre 2003.
26
CONTESTO DELLA RICERCA
Il legame essenziale fra il rafforzamento economico dell’Europa e quello del suo modello sociale, messo in evidenza dal Vertice di Lisbona che
aveva inaugurato la Strategia Europea per l’Occupazione, veniva ulteriormente declinato nell’Agenda Sociale, presentata dalla Commissione nel
giugno del 200017. La finalità dell’Agenda non era quella di armonizzare le politiche sociali degli Stati membri, ma quella di permettere l’adozione di un set di obiettivi europei comuni, parallelamente all’innalzamento del livello di coordinamento delle politiche sociali nel quadro della costruzione del mercato unico e dell’adozione dell’Euro.
Gli ambiti nei quali stimolare l’innovazione delle policy degli Stati
membri venivano individuati nella piena occupazione; nella qualità
del lavoro, nella qualità della politica sociale e nella qualità delle relazioni industriali18. Agire sul livello qualitativo della politica sociale doveva a sua volta significare mantenere alto il livello della protezione
sociale; predisporre servizi sociali efficaci accessibili a tutti; dare a tutti
pari opportunità e garantire i diritti sociali fondamentali. Buona occupazione e politiche sociali efficaci venivano giudicate essenziali per stimolare la produttività del sistema economico e facilitare l’adattamento
al cambiamento da parte della forza lavoro, oltre che per facilitare la
transizione alla cosiddetta economia della conoscenza19.
Gli obiettivi appropriati ai fini della lotta contro la povertà e l’esclusione sociale, adottati dal Consiglio nell’ottobre 2000 e successivamente approvati dal Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000
hanno costituito la base dei primi Piani nazionali d’azione per il biennio
2001 – 2003 che hanno a loro volta contribuito alla stesura della relazione congiunta Consiglio/Commissione sull’inclusione sociale presentata al Consiglio europeo di Laeken del dicembre 2001. L’orizzonte
strategico dell’UE di una maggiore coesione sociale nell’Unione da
raggiungere tra il 2001 e il 2010 poteva considerarsi aperto.
Sono questi gli anni nel corso dei quali, come anticipato da numerosi autori sin dalla metà degli anni ’90, l’applicazione del paradigma
della partnership agli interventi locali volti a contrastare l’esclusione
sociale si consolida ulteriormente, diventando via via per l’Unione
Europea e i suoi Stati membri una vera e propria ortodossia20.
17 European Commission, Communication from the Commission to the Council, the
European Parliament, the Economic and Social Committee and the Committee of the Regions –
Social Policy Agenda, COM(2000) 379 final, Brussels 28.6.2000.
18 Ibidem.
19 Ibidem.
20 Si veda per tutti l’interessante discussione in Mike Geddes, Tackling Social Exclusion in the
European Union? The Limits to the New Orthodoxy of Local Partnership, International Journal of
Urban and Regional Research, 24.4, December 2000.
27
Il contesto
europeo delle
politiche sociali
CAPITOLO 1
Il contesto
europeo delle
politiche sociali
Il processo di unificazione economica e politica dell’Unione
Europea ha delineato nel tempo un ordine politico policentrico con
competenze divise e condivise fra Stati membri e Istituzioni comunitarie21. Alla creazione di uno spazio economico sovranazionale (il mercato unico)22 si è affiancata via via quella di uno spazio politico-istituzionale esteso al di là dai confini nazionali degli Stati membri. In questo
quadro, il principio di sussidiarietà verticale ha richiesto recentemente
in sede europea, una approfondita rivisitazione così come segnalato
nel testo, La governance europea. Un libro bianco, soprattutto laddove suggeriva di sostituire il modello lineare delle politiche adottate ed
imposte dall’alto con un “circolo virtuoso sul feedback e sulla partecipazione” a tutti i livelli23.
Sulla scorta di queste trasformazioni si è affermato a livello di
Comunità europea, almeno a partire dagli ultimi quindici anni, il legame sempre più stretto fra policy locali e processo di costruzione di
partneship di attori24. Attraverso le filiere della programmazione dei
vari Fondi, tale approccio è divenuto gradualmente una koinè estesa
anche in Italia a livello nazionale e locale. Poche ma ben definite sono
le caratteristiche, ovvero le virtù che gli approcci di programmazioni
basati sull’utilizzo delle partnership dimostrano di possedere, a detta
dei loro epigoni25.
In primo luogo la partnership consente di connettere in reti coordinate e cooperative attori, gruppi sociali e Istituzioni. Il risultato di metodo è (o dovrebbe essere) l’integrazione fra livello delle policy e livello
delle competenze settoriali, in vista della valorizzazione delle risorse di
autogoverno presenti nelle comunità locali26.
In secondo luogo, accanto alla cornice cooperativa, emerge un approccio negoziale all’azione pubblica, una apertura esplicita alla contrattazione tra portatori d’interessi diversi. In questo secondo caso il
valore aggiunto è (o dovrebbe essere) rappresentato dalla visibilità e
dunque dalla messa sotto controllo pubblico delle pratiche negoziali
stesse e del peso esercitato dagli interessi economici e privati nella definizione e nell’implementazione delle politiche pubbliche27. Il concet21 Andreas Føllesdal, Citizenship: European and Global, ARENA Working paper 01/22, 2001, p. 4.
22 L’adozione della moneta unica rappresenta probabilmente l’esempio più chiaro, oltre che
il più vicino alla vita quotidiana del cittadino dell’Unione.
23 Commissione della Comunità Europea, La governance europea. Un libro bianco,
Bruxelles, 5.8.2001, COM(2001) 428 definitivo/2.
24 Lavinia Bifulco, Ota de Leonardis, Partecipazione/Partnership, testo reperibile all’indirizzo
www.sociologiadip.unimib.it/mastersqs/dida2/dida2.htm.
25 Ibidem.
26 Ibidem.
27 Ibidem.
28
CONTESTO DELLA RICERCA
to di partecipazione della società civile si fa più concreto, incrociandosi con l’esigenza della scoperta e dello sfruttamento del capitale sociale disponibile, mentre si amplia e si diversifica orizzontalmente la sfera
di legittimazione delle scelte locali, oltre l’asse top down tipico del government28.
L’applicazione del paradigma della partnership agli interventi locali
volti a contrastare l’esclusione sociale è diventata quindi per l’Unione
Europea e i suoi Stati membri una scelta quasi obbligata, le cui ragioni
risiedono in due delle caratteristiche essenziali dei processi di partnership attivati in tale ambito29:
• il coinvolgimento degli stessi soggetti esclusi come partner attivi, se
non alla pari, all’interno delle procedure di governo degli interventi;
• la costituzione dei processi di partnership intesi quali arene idonee
a sviluppare il coinvolgimento delle reti civiche e delle risorse di capitale sociale, connettendo comunità e organizzazioni di comunità
con le organizzazioni del settore pubblico e di quello privato.
1.3.2 L’avvento del paradigma dell’esclusione sociale
A monte dell’adozione di una strategia europea orientata a favorire
l’armonizzazione di sviluppo economico e coesione sociale possiamo
trovare quello che in letteratura viene definito il passaggio dal paradigma della povertà a quello dell’esclusione30. In accordo a quanto enunciato nel Quarto Programma Quadro della Commissione europea, per
esclusione sociale si deve intendere una:
“disintegrazione e una frammentazione delle relazioni sociali e
quindi una perdita di coesione sociale. Per individui appartenenti a
particolari gruppi, l’esclusione sociale rappresenta un processo
progressivo di marginalizzazione che conduce alla deprivazione
economica e a varie forme di svantaggio sociale e culturale.”31
L’approdo a un simile paradigma, databile a livello europeo a partire dalla seconda metà degli anni ’80, ha significato l’integrazione delle
analisi basate prevalentemente sulle modalità di distribuzione delle risorse, con la considerazione degli aspetti relazionali connessi alla distri28 Ibidem. Significativamente Bifulco e de Leonardis parlano a tale proposito di democratizzazione dell’Amministrazione.
29 I due punti si riferiscono alla citazione di Putnam operata da Geddes all’interno del suo testo, p. 793.
30 Pedro Barata, Social esclusion in Europe. Survey of literature, Laidlaw Foundation,
February 2000.
31 Citato in Pedro Barata, p. 4, cit., traduzione nostra.
29
Il contesto
europeo delle
politiche sociali
CAPITOLO 1
L’avvento del
paradigma
dell’esclusione
sociale
buzione asimmetrica del potere, nel quadro del processo di marginalizzazione32. La più attenta considerazione degli aspetti socioculturali di tale processo induce infatti ad adottare modelli esplicativi multidimensionali dello svantaggio, in grado di fare riferimento, oltre che al reddito, a
fattori quali la salute, il livello di istruzione, la possibilità di accesso ai servizi, la qualità della vita o la stessa autonomia di condotta33.
In questo modo il focus dell’analisi si sposta dalle traiettorie individuali di ingresso o uscita dalla povertà al sistema di relazioni che, nell’ambito di una determinata struttura sociale, determina il verificarsi e il
perpetuarsi di processi di marginalizzazione di individui e gruppi. In
questo modo ad essere messo sotto osservazione non è la maggiore o
minore eguaglianza nel raggiungimento delle mete sociali, ma la stessa libertà di godere dei diritti di cittadinanza. Ciò, in quanto la compromissione della partecipazione alla vita della società di individui o gruppi viene letta come la violazione delle caratteristiche basilari della cittadinanza politica e sociale come è venuta delineandosi nelle moderne
democrazie del welfare34.
L’implicazione dell’adozione di un simile paradigma per l’elaborazione di interventi operativi è duplice35:
• da un lato la responsabilità della situazione di marginalizzazione non
può più essere ascritto alle caratteristiche sociali originarie di individui o gruppi, bensì a particolari sistemi di relazione nell’ambito della struttura sociale; ciò giustifica la richiesta di assunzione di impegno da parte della comunità sociale nel suo complesso, al fine di mettere in condizione tutti di accedere ai diritti di cittadinanza;
• dall’altro, la considerazione della multidimensionalità del processo
di marginalizzazione porta alla ribalta la diversità delle caratteristiche dei destinatari degli interventi, sia in termini di condizioni di
partenza, sia in quelli di collocazione dei punti di accesso alle opportunità, lungo il ciclo di vita individuale.
32
33
34
Ibidem, pp. 4-5.
Ibidem.
Ibidem. Il concetto di cittadinanza, dal punto di vista sociologico, definisce uno status che
permette l’accesso a determinati diritti e poteri. In generale i diritti civili comprendono la libertà di
parola e l’uguaglianza di fronte alla legge; i diritti politici includono il diritto di voto e di organizzarsi politicamente; i diritti socioeconomici si estendono alla sicurezza sociale e al welfare economico. Più in particolare, i sociologi sottolineano come l’estensione di diritti socioeconomici quali il diritto di associazione sindacale, la contrattazione collettiva e la crescita dello stato sociale debbano essere considerati di grande significato nell’ambito del processo di integrazione delle classi
lavoratrici nello Stato democratico contemporaneo. Da un punto di vista sociologico la cittadinanza consente l’esercizio dei diritti sopra ricordati, grazie all’interazione dell’attore
individuale/cittadino con le varie articolazioni del sistema interorganizzativo pubblico/privato
deputato a consentire l’esercizio stesso (istituzioni rappresentative, sindacati, partiti, servizi sociali ecc.). Si veda in particolare N. Abercrombie, S.Hill, B.Turner, Dictionary of Sociology, Penguin
Books, Harmondsworth, 1984 p. 37.
35 Ibidem.
30
CONTESTO DELLA RICERCA
L’affermarsi a livello europeo del paradigma dell’esclusione sociale e
la diffusione di quella che è stata definita da alcuni l’ortodossia dell’approccio di partnership ha contribuito a far si che le sperimentazioni attuate in questo ambito venissero viste come altrettante vie per ottenere un ampliamento dei confini dell’esercizio dei diritti propri della
cittadinanza. Alcuni autori definiscono queste sperimentazioni - in accordo ad un filone di riflessione già aperto dagli anni ’80 – come segnali del passaggio da democrazie di contenuto a democrazie di processo, ovverosia da modalità di realizzazione delle politiche pubbliche
fondate sulla legittimità dell’uguaglianza istituzionale delle condizioni sociali (contenuto democratico) a modalità basate sull’influenza partecipativa nel processo decisionale sociale da parte del cittadino utente
(processo democratico)36.
1.3.3 Il tentativo di riforma del sistema dei servizi sociali e la lotta
all’esclusione sociale
In Italia, la riforma del Titolo V della Costituzione ha conferito alle
Regioni la titolarità originaria di una serie di funzioni, senza peraltro risolvere compiutamente le problematiche del rapporto con i livelli sub
regionali37. La stessa riforma ha definitivamente legittimato la titolarità
delle Regioni ad interagire con le Istituzioni europee in tutta una serie
di ambiti, scavalcando di fatto la mediazione dell’Amministrazione
centrale e dello stesso Parlamento. Una situazione di questo tipo è
stata sempre più spesso definita in termini di “policentrismo amministrativo”. In tale ambito le relazioni fra i vari soggetti si trasformano, passando da assetti descrivibili in termini di decentramento, a modalità di
reciproco rapportarsi basate sempre più sul coordinamento di tipo negoziale, o concertato, o interattivo38.
Quella presa in Italia è una delle direzioni possibili con le quali la
rete delle organizzazioni appartenenti al sistema pubblico ha cercato
di attrezzarsi per rispondere alla crescita di complessità delle sfide ambientali, intendendo con questo termine l’insieme dei bisogni manifestati da una società sempre più complessa e articolata e la domanda
di efficienza proveniente da un sistema economico sempre più esposto
alla sfida della globalizzazione. In questo caso la soluzione sembra
aver prodotto, però, anche un aumento della complessità cui fare
36 Richard Saltman, Casten von Otter, Saggi sulla teoria della competizione pubblica nel settore della sanità, Formez, Roma, 1991, pp. 56-57.
37 Sebastiano Fadda, “Governance territoriale” e progetti integrati, Formez, Roma, 2003, pp.
15-16.
38 Ibidem.
31
L’avvento del
paradigma
dell’esclusione
sociale
CAPITOLO 1
Il tentativo di
riforma del
sistema dei servizi
sociali e la lotta
all’esclusione
sociale
fronte. Ciò, unitamente all’influenza esercitata dalla programmazione
dei Fondi comunitari, ha favorito la rapida crescita di attenzione nei
confronti degli approcci partecipativi e di partnership, che nell’ambito
degli interventi per l’inclusione sociale hanno ricevuto dall’avvento
della programmazione sociale di zona, la loro definitiva legittimazione39.
Immediatamente prima della riforma costituzionale, la definizione
del nuovo assetto delle politiche sociali era stata messa a punto dalla
Legge quadro 8 novembre 2000, n. 328, per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. I principi generali di tale sistema perseguivano le finalità di garantire qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione, riduzione delle situazioni di disagio, nonché
il diritto alle prestazioni e ai servizi spettanti a tutti i cittadini. Di particolare rilevanza, relativamente all’oggetto del presente rapporto, è l’inserimento fin dai Principi generali della suddetta Legge del mandato a
Enti Locali, Regioni e Stato di riconoscere e agevolare, fra gli altri, il
ruolo delle Organizzazioni di volontariato degli altri enti del Terzo settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, così come della promozione della partecipazione attiva dei cittadini, del contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti
per il raggiungimento dei fini istituzionali della stessa norma.
Nel quadro del disegno riformatore contenuto nella Legge quadro
per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, la
programmazione sociale territoriale rappresentava uno degli snodi essenziali per l’avvio di un processo di innovazione e cambiamento dell’offerta di servizi al cittadino40. E’ infatti proprio nell’ambito dell’elaborazione della pianificazione sociale di zona che doveva giocarsi la capacità dei decisori locali di operare per la riorganizzazione dell’offerta di
servizi, orientandola in direzione degli effettivi bisogni sociali e prevedendo una seria valutazione della qualità delle prestazioni erogate. A riguardo, la programmazione sociale doveva contribuire al ridisegno dei
sistemi locali di welfare costituendosi come l’asse principale per l’attivazione dei processi di partnership con gli attori istituzionali e sociali
latamente intesi, nonché per il coinvolgimento dei cittadini nella definizione dei problemi e nella coprogettazione degli interventi41.
All’indomani della riforma costituzionale alle Regioni veniva conferita la potestà legislativa in materia di servizi sociali, con il limite esclusi39 Legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali”.
40 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ISFOL, Impatto delle politiche sociali. Il
Monitoraggio dei Piani Sociali di Zona, ISFOL, Roma, febbraio 2004.
41 Ibidem.
32
CONTESTO DELLA RICERCA
vo del rispetto della Costituzione, dell’ordinamento comunitario europeo e degli obblighi internazionali42. Allo Stato rimaneva il compito di legiferare in via esclusiva sui livelli essenziali delle prestazioni al fine di
garantire su tutto il territorio nazionale il rispetto dei diritti civili e sociali. La nascita, se vogliamo, surrettizia di quello che taluni definiscono
un vero e proprio federalismo sociale non ha tuttavia determinato sic et
simpliciter il superamento del disegno di riforma, almeno non per
quanto attiene il processo di programmazione degli interventi.
Resa ormai impossibile la predisposizione di un Piano sociale nazionale, è interessante rilevare come la programmazione regionale abbia presentato in questi anni un profilo sostanzialmente omogeneo,
stante la somiglianza fra le varie Regioni relativamente a scelte e modalità operative individuate per attuarle43. A tutto il 2005, infatti, quasi
tutte le Regioni avevano elaborato un Piano sociale regionale, pur in
presenza di tempi di attuazione differenziati. Allo stesso modo tutte le
Regioni risultavano avere adottato linee guida per sostenere la programmazione territoriale e facilitare l’elaborazione dei piani e quasi
tutte avevano elaborato indirizzi per la gestione associata del sistema dei
servizi44.
I Piani sociali di zona hanno rappresentato nella quasi totalità dei casi lo strumento adottato per realizzare la programmazione territoriale.
Uniche eccezioni sono state rappresentate dalla Toscana, che dando
vita alla Società della Salute45 ha adottato il Piano Integrato della
Salute quale strumento unitario di programmazione di zona; e la
Sardegna, dove i Piani Locali Unitari Sociali (PLUS) sostituiranno i
programmi comunali di intervento e prevedranno la partecipazione
dell’azienda Usl, l’adesione delle Istituzioni Pubbliche e la contrattazione di programma con i soggetti privati coinvolti nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali46. Diverso è stato peraltro
l’approccio con il quale gli Amministratori regionali hanno inteso fornire le linee guida alla programmazione territoriale. Stando alle analisi condotte Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si va infatti
da modalità definite “vincolanti”, che hanno definito dettagliatamente
42 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Percorsi regionali per il governo delle politiche sociali: scelte organizzative a confronto, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Roma,
gennaio 2006.
43 Ibidem.
44 Ibidem. L’Emilia Romagna e la Campania avevano adottato gli orientamenti regionali attraverso linee guida. In Calabria le linee guida per l’elaborazione dei Piani territoriali sarebbero dovute essere diffuse dopo l’avvio del Piano Regionale.
45 Atto di indirizzo regionale per l’avvio della sperimentazione delle società della Salute.
Del.Cons.Reg. n. 155/2003.
46 Ibidem.
33
Il tentativo di
riforma del
sistema dei servizi
sociali e la lotta
all’esclusione
sociale
CAPITOLO 1
Il tentativo di
riforma del
sistema dei servizi
sociali e la lotta
all’esclusione
sociale
specifici aspetti ritenuti di importanza prioritaria (modalità di coordinamento, livelli di integrazione zone - comuni ecc.), ad approcci aperti
alla “ricezione dal basso” delle informazioni da inserire nel piano regionale; dalla preferenza assegnata al processo di delega e alla salvaguardia dell’autonomia degli altri livelli amministrativi, fino alla cosiddetta modalità “orientante”, che indica la propensione ad indicare
scelte possibili senza vincolare le zone ad adottarle47.
Ulteriormente variegato e frammentario si presenta il quadro laddove si tenti di considerare la rilevanza data ai processi di partnership e
partecipazione nel quadro della programmazione territoriale. Già le
analisi condotte sulla prima tornata di Piani in alcune zone del Paese
segnalavano quasi ovunque l’avvenuta attivazione di momenti concertativi in funzione dell’alimentazione del processo di programmazione. Tali momenti venivano descritti nei documenti di programmazione con analiticità e coerenza informativa48, in un numero rilevante dei
casi esaminati (33%).
Secondo i dati raccolti all’epoca, oltre il 62% dei Piani esaminati
descriveva tavoli di confronto e discussione con rappresentati della
società civile, accanto ad incontri di consultazione e audizione sociale
aperti a tutti gli attori pubblici e non operanti sul territorio. In oltre,
nel 71% dei casi esaminati i Piani di quella tornata mettevano in evidenza l’attivazione di funzioni di coprogettazione che coinvolgevano
il Terzo settore nel processo di programmazione di zona. Tale funzione veniva effettivamente descritta come partecipazione attiva del privato sociale alla definizione e realizzazione delle politiche sociali locali solo in poco più della metà dei casi. Significativamente ancora inferiore appariva a tale proposito la percentuale di casi di confronto
con la cittadinanza (30%)49.
1.3.4 Problemi aperti e prospettive
L’approvazione della 328 e il successivo avvio della pianificazione
sociale di zona hanno di fatto rappresentato, sia pur all’interno del
mutato quadro costituzionale, la risposta alle due sfide lanciate a livello europeo, attorno alle quali abbiamo precedentemente argomentato:
il mutamento nella definizione sociologica di esclusione e la valorizza47 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Strategie di integrazione nella costruzione
delle zone sociali. La progettazione delle zone ed i loro Piano: un’analisi di casi, Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali, Roma, gennaio 2006.
48 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ISFOL, Impatto delle politiche sociali. Il
Monitoraggio dei Piani Sociali di Zona, cit.
49 Ibidem.
34
CONTESTO DELLA RICERCA
zione degli approcci partecipativi e di partnership nella elaborazione e
realizzazione di interventi.
In Europa, come nel nostro Paese le analisi e gli esercizi di valutazione condotti nell’ambito degli interventi finanziati dai Fondi strutturali, come in altri contesti di policy, segnalano come risultino però ancora aperte le questioni già formulate dai ricercatori negli anni passati,
relativamente all’impatto effettivo delle esperienze di partnership sui
fenomeni di esclusione sociale50. Tali questioni possono essere riassunte nel modo seguente51:
• quale sia l’effettiva capacità dimostrata dalle partnership come
forme di connessione interorganizzativa e di rimodulazione del
processo di governo;
• quale sia l’effettiva capacità da esse dimostrata di incorporare e
orchestrare interessi chiave locali e sovralocali, al fine di perseguire obiettivi di interesse comunitario locale;
• quale sia l’ampiezza e la rilevanza dei risultati attribuibili alla partnership come elemento distintivo di nuove modalità di governo locale.
E’ nell’ambito delle risposte possibili a tali domande che la rilevanza assunta dalle Organizzazioni di volontariato nei processi di programmazione territoriale introdotti dalla Legge 328/2000 può quindi, a
nostro giudizio, essere correttamente valutata.
Le ricerche condotte sia sui Piani sociali di zona che su altre esperienze di partnership suggeriscono di distinguere le prassi effettivamente
partecipative dalle varie modalità di concertazione e consultazione. Il
discrimine può in particolare essere tracciato considerando il grado di
responsabilizzazione dei cittadini e il punto del processo decisionale
in corrispondenza del quale si collocano le scelte condivise (dipingendo il processo decisionale stesso come una sorta di continuum che vada dalla condivisione fra gli attori della semplice analisi dei problemi, fino alla messa in comune di risorse aggiuntive per operare)52.
Molti segnali indicano peraltro che la presenza di percorsi di programmazione che prevedono la concertazione, intesa come codecisione e coprogettazione allargata ad una platea di organizzazioni di secondo livello, può finire per esaurire le richieste di partecipazione53. In
50 Mike Geddes, Tackling Social Exclusion in the European Unione? The Limits to the New
Orthodoxy of Local Partnership, cit.
51 Ibidem. Si veda anche Ministero della Solidarietà Sociale, ISFOL, I modelli della governance sociale: i percorsi della partecipazione attiva, ISFOL, ottobre 2006 (Bozza).
52 Ministero della Solidarietà Sociale, ISFOL, I modelli della governance sociale: i percorsi
della partecipazione attiva, cit.
53 Ibidem. I cittadini potrebbero in tale contesto sentirsi appagati dall’essere rappresentati da
gruppi già organizzati, fino al punto di limitare le richieste di partecipazione diretta.
35
CAPITOLO 1
Problemi aperti e
prospettive
questo quadro, il ruolo di promozione sociale della cittadinanza che
costituisce ormai una acquisizione matura del volontariato potrebbe
effettivamente favorire l’evolversi di circoli virtuosi di rafforzamento e
creazione di capitale sociale, ben al di là dei processi di negoziazione
lobbystica che spesso caratterizzano la programmazione territoriale.
36
CAPITOLO 2
IL DISEGNO DELLA
RICERCA E NOTA
METODOLOGICA
2.1 La definizione delle fasi di indagine
In funzione del quadro delineato, l’indagine ha adottato un approccio esplorativo-pilota con finalità prevalenti di tipo descrittivo.
Sul piano operativo, a valle di una prima fase di approfondimento
bibliografico e documentale - orientata ad una contestualizzazione
dell’oggetto della ricerca nello scenario storico-sociale di riferimento si è passati alla realizzazione di un’indagine sul campo che ha riguardato specifici territori campione nell’ambito dei quali sono stati esaminati 83 casi di organizzazioni aventi caratteristiche coerenti con le
finalità del lavoro. La rilevazione è stata realizzata facendo ricorso prevalentemente a tecniche quantitative, integrate da alcuni approfondimenti di tipo qualitativo in relazione ad elementi di particolare interesse rispetto all’oggetto d’indagine.
Il disegno della ricerca si è, così, articolato in alcuni passaggi sequenziali caratterizzati da specifiche esigenze conoscitive ed operative.
Inoltre - in considerazione della novità, complessità ed articolazione
territoriale dell’iniziativa - si è ritenuto opportuno costituire un
Comitato di Indirizzo, composto da responsabili del Ministero della
Solidarietà Sociale (DG Volontariato), da esperti del mondo del volontariato e da ricercatori dell’Isfol, che si è riunito periodicamente
per coordinare lo staff di ricerca e monitorare il piano d’indagine.
In una prima fase, si è provveduto ad effettuare un inquadramento
preliminare dello scenario di riferimento ed a raccogliere una serie di
informazioni funzionali alla selezione dei casi di studio. Tale passaggio si è concretizzato, come accennato, nella realizzazione di un’analisi bibliografico-documentale e della normativa di settore. Particolare
attenzione è stata riservata ad approfondimenti sulle prime applicazioni della Legge quadro 328/00, nonché ai cambiamenti apportati in
37
CAPITOLO 2
La definizione
delle fasi di
indagine
materia dalla modifica al Titolo V della Costituzione in relazione al
ruolo del volontariato e del Terzo settore. Ciò ha consentito di focalizzare con maggiore precisione le aree problematiche di interesse della
ricerca e di finalizzare la messa a punto degli strumenti di rilevazione.
In una fase successiva è stata effettuata un’ampia ricognizione dei
dati di fonte secondaria disponibili in relazione all’oggetto d’indagine.
E’ stato, così, possibile concentrare l’attenzione su alcune banche dati54 che hanno consentito di stratificare l’universo di riferimento in
rapporto ai livelli di attuazione dei Piani di zona ed al relativo grado di
coinvolgimento diretto delle OdV, sia in fase progettuale che di implementazione. Su questa base, l’individuazione delle aree campione
e delle singole unità di analisi è stata effettuata applicando procedure
di tipo ragionato in base al doppio criterio della collocazione geografica e del grado di partecipazione delle OdV rispetto ai dettami della
328/00. Sul piano territoriale, si è deciso di concentrare l’attenzione
su realtà locali afferenti alle tre circoscrizioni geografiche (nord, centro,
mezzogiorno), anche per verificare se, ed eventualmente in quale misura, questa variabile potesse incidere sulla propensione ad attivare
percorsi di programmazione locale partecipati e concertati previo
coinvolgimento attivo del mondo del volontariato. A questo livello,
l’unità di analisi è stata identificata nel comprensorio amministrativo
della Provincia; in base alle acquisizioni ottenute dall’analisi dei dati
secondari, si è deciso di concentrare l’attenzione complessivamente
su 9 Province (poi salite a 12)55 equamente suddivise sul piano circoscrizionale; in particolare:
- nord: Lecco, Padova, Bologna;
- centro: Lucca, Pisa, Terni;
- mezzogiorno: Salerno, Cosenza, Palermo (cui si sono successivamente aggiunte Agrigento, Caltanisetta e Trapani).
I territori prescelti presentano livelli differenziati di applicazione
della normativa di riferimento, e ciò ha fornito spunti significativi rispetto agli interessi della ricerca. In alcuni casi si è in presenza di
un’esperienza pluriennale di programmazione (Pisa e Lucca; in parti54 In particolare: Osservatorio nazionale per il volontariato – Divisione III Volontariato –
Direzione Generale Volontariato, associazionismo e Formazioni Sociali - Ministero della
Solidarietà Sociale – banca dati FIVOL; dati Istat; precedenti indagini Isfol.
55 In fase di predisposizione del disegno d’indagine la provincia di Palermo era stata individuata come caso d’esame per la regione Sicilia. In fase attuativa, tuttavia, si è deciso di allargare la rilevazione alle province di Agrigento, Caltanissetta e Trapani. Ciò in quanto nel palermitano risultavano pochissime associazioni di volontariato con esperienze pregresse di partecipazione attiva
alla programmazione ed attuazione dei Piani di zona. Il CESVOP ha dunque segnalato altre realtà, fuori Palermo, che invece avevano lavorato con le istituzioni locali sulla 328/2000.
38
IL DISEGNO DELLA RICERCA E NOTA METODOLOGICA
colare a Pisa è avvenuto il passaggio al Piano Integrato di Salute attraverso la costituzione in via sperimentale del consorzio pubblico della
Società della Salute della zona pisana); in altri, si tratta del secondo
ciclo di programmazione del piano di zona (Bologna, Lecco); a Terni similmente ai comprensori zonali di Padova, Salerno e Palermo,
Agrigento, Caltanisetta e Trapani - si registra la prima esperienza di
programmazione. Cosenza è una realtà molto attiva in termini di disponibilità e preparazione delle Organizzazioni di volontariato a dare
un contributo alla programmazione delle politiche sociali, benché la
Regione Calabria non abbia ancora pienamente recepito ed applicato
i dettami della 328 /200056.
All’interno di tali contesti, hanno aderito alla rilevazione complessivamente 83 organizzazioni di volontariato, di cui: 10 situate a Lecco,
7 a Padova, 12 a Bologna, 10 a Lucca, 8 a Pisa, 6 a Terni, 11 a Salerno,
6 a Cosenza, nonché complessivamente 13 nelle quattro province siciliane.
2.2 Strategie di rilevazione e strumenti
La definizione delle strategie di ricerca e la predisposizione dei relativi strumenti di rilevazione è stata effettuata in una fase successiva, in
base ai risultati dell’indagine di sfondo e da quanto emerso nell’ambito di alcuni focus realizzati con il coinvolgimento di esperti del settore
e referenti chiave del mondo del volontariato. Per l’organizzazione e
gestione di tali incontri sono stati coinvolti i Centri Servizi per il
Volontariato locali (rete CSV-net), i quali hanno favorito il coinvolgimento nell’iniziativa dei principali attori della pianificazione zonale, afferenti al mondo del volontariato e del Terzo settore, inseriti nelle rispettive aree di competenza57. La griglia dei temi-guida dei focus
group si incentrava sui seguenti aspetti inerenti l’oggetto della ricerca:
• modalità di convocazione delle OdV;
• partecipazione durante le fasi di preparazione ai tavoli e di programmazione degli interventi;
56 E’ utile ricordare che le Regioni del Centro Nord coinvolte nell’indagine sono quelle in cui la
Legge 328 è stata prontamente recepita ed in alcuni casi anticipata dai sistemi di welfare regionali.
D’altro canto sia la Regione Campania, in misura maggiore, che la Regione Sicilia sono le aree del meridione d’Italia in cui il recepimento delle riforma si è ugualmente contraddistinto per una maggiore
sistematicità, in un scenario complessivamente caratterizzato da un più incerto procedere.
57 Unica eccezione è rappresentata da Pisa dove ci si è avvalsi della neonata ‘Società della
Salute’, consorzio pubblico di ASL e comuni della Toscana che gestisce di fatto i rapporti tra Enti che
operano nell’ambito dell’assistenza socio-sanitaria e le amministrazioni pubbliche nella predisposizione del Piano Sanitario Regionale 2005-2007.
39
La definizione
delle fasi di
indagine
CAPITOLO 2
• attuazione del Piano;
• ricadute interne all’organizzazione ed esterne (formazione di reti
ed effetti sul territorio);
• eventuali consigli e suggerimenti.
Strategie di
rilevazione e
strumenti
Le informazioni emerse a valle del ciclo di incontri hanno messo in trasparenza elementi funzionali alla predisposizione di un questionario
semi-strutturato (cfr. Allegato B) con risposte prevalentemente precodificate, cui si è fatto ricorso nella successiva rilevazione sul campo presso
le organizzazioni selezionate58. Tale attività ha rappresentato il momento centrale e saliente dell’intera iniziativa. Come corollario, è stata predisposta una scheda di rilevazione (cfr. Allegato C) relativa al contesto zonale di riferimento di ciascun caso esaminato, per meglio contestualizzare le informazioni relative alle OdV nelle specificità locali.
Il questionario è stato somministrato attraverso intervista diretta da
parte di uno staff di intervistatori precedentemente addestrati59. Ciò ha
consentito di attivare procedure di controllo di qualità dei dati in fase di
rilevazione, riducendo considerevolmente quei tipici errori e/o distorsioni derivanti da una inadeguata comprensione degli item da parte degli
intervistati. Questi ultimi sono stati individuati nei referenti delle varie organizzazioni che hanno seguito direttamente le fasi di programmazione previste dall’applicazione della Legge 328, quanto meno in uno dei
cicli di pianificazione. Al contempo, tale procedura ha consentito di
raccogliere “in situazione” commenti, spunti ed osservazioni congruenti e rilevanti rispetto all’oggetto d’indagine.
2.3 Elaborazione ed analisi delle informazioni e principali
acquisizioni
Le informazioni raccolte sono state successivamente trasferite in un
data set informatizzato in funzione della successiva elaborazione ed
58
Tale strumento si compone delle seguenti cinque sezioni tematiche:
A - “Anagrafica dell’organizzazione”: dati oggettivi riguardanti dimensioni e caratteristiche
dell’OdV.
B - “Convocazione”: modalità ed eventuale preparazione/formazione agli incontri.
C - “Partecipazione alla preparazione del Piano di zona”: tipo di incontri e livello di rappresentanza e di partecipazione.
D - “Partecipazione all’attuazione del Piano”: eventuale gestione dei progetti pianificati.
E - “Ricadute”: cambiamenti percepiti/osservati su organizzazione interna, formazione di reti,
impatto sul territorio.
59 La somministrazione dei questionari è stata effettuata, prevalentemente, presso le sedi dei
Centri Servizi Volontariato territorialmente competenti.
40
IL DISEGNO DELLA RICERCA E NOTA METODOLOGICA
analisi dei dati. Il piano di elaborazione si è conformato ad una serie di
ipotesi e chiavi interpretative congruenti con le finalità del lavoro di ricerca, in certa misura affinate in fase di realizzazione dell’indagine.
L’elaborazione ed analisi dei dati si è ispirata complessivamente ad un
approccio di carattere esplorativo, che ha teso ad evidenziare modelli ricorrenti e peculiarità anche di carattere locale relativamente alle caratteristiche ed al ruolo del volontariato nell’attuazione dei Piani di zona
previsti dalla 328/00. In ragione della oggettiva limitatezza dei casi
esaminati, le acquisizioni vanno intese in termini del tutto preliminari e
tendenziali; pertanto, non esaustivi della prevedibile complessità del
quadro nazionale considerato nel suo complesso. I risultati, tuttavia,
forniscono alcune rilevanti suggestioni ed indicazioni operative per ulteriori ed auspicabili approfondimenti del tema, a partire soprattutto
da una base campionaria più ampia e rappresentativa del fenomeno.
L’approccio esplorativo all’analisi dei risultati ha contemplato una prima fase di elaborazione bivariata che (con ricorso all’indice V di Cramér)
ha inteso sondare l’intensità delle relazioni esistenti fra alcune dimensioni chiave contemplate nel questionario. Da questo punto di vista, si è
potuta rilevare una sostanziale assenza di connessioni fra alcune variabili che – quanto meno sul piano ipotetico – potevano essere considerate
reciprocamente influenti. Fra le altre cose, è stato possibile riscontrare
una relazione debole o del tutto inesistente fra la “classe dimensionale”
e “l’ampiezza del territorio di riferimento” delle OdV, analogamente al
rapporto riscontrato fra la “propensione ad aderire a consorzi o reti” e la
“gestione di servizi in convenzione con istituzioni locali”.
In definitiva, ciò sembrerebbe suggerire che determinati comportamenti organizzativi delle OdV possano non essere significativamente
influenzati da rilevanti aspetti di ordine strutturale e/o culturale. Ciò,
tuttavia, fatta eccezione per un elemento che – al contrario – è apparso fortemente caratterizzante l’agire organizzativo delle realtà esaminate: l’offerta di servizi prevalente dell’organizzazione si è caratterizzato fin da subito come un fattore con elevato potere discriminante. Da
questo punto di vista, ricorrendo alla tecnica dell’analisi fattoriale (in
particolare, all’analisi delle Corrispondenze Multiple) è stato possibile individuare due componenti distinte e ben identificate nel campione,
relative rispettivamente alle OdV caratterizzate soprattutto da prestazioni afferenti alla sfera consulenziale ed educativa da quelle maggiormente impegnate nella sfera assistenziale, sociosanitaria ed educativa.
Ciò ha suggerito di procedere ad una clusterizzazione delle OdV, allo
scopo di osservare le modalità di aggregazione dei casi di studio in
rapporto alle peculiarità strutturali ed ai comportamenti organizzativi. In
41
Elaborazione ed
analisi delle
informazioni e
principali
acquisizioni
CAPITOLO 2
Elaborazione ed
analisi delle
informazioni e
principali
acquisizioni
particolare, l’applicazione della cluster analisys ha consentito di circoscrivere tre gruppi di OdV piuttosto omogenei internamente e reciprocamente differenziati, identificati in ragione della caratterizzazione delle prestazioni offerte:
• organizzazioni ad ampio spettro di intervento, che include quelle
OdV caratterizzate da una tipologia di servizi ampia e trasversale,
in cui spiccano le seguenti prestazioni: assistenza sociale; assistenza socio-culturale; prevenzione; promozione/difesa dei diritti
civili e in misura minore formazione professionale e servizi igienico-sanitari;
• organizzazioni ad impegno specifico su consulenza, orientamento
e formazione, le quali erogano principalmente prestazioni nel
campo dell’assistenza socio-culturale, dell’education, oltre che di
ricerca e studio;
• organizzazioni ad impegno specifico di tipo assistenziale-sanitario e socio-culturale, ossia quelle realtà del volontariato che svolgono prevalentemente attività di assistenza socio-sanitaria e culturale, mentre risultano marginalmente impegnate sul versante dell’education.
L’elaborazione ed analisi dei dati ha così inteso sondare tutte le potenzialità euristiche connesse alle specificità della vocazione operativa
delle OdV. A questo proposito, si è proceduto ad una caratterizzazione
dei cluster, inizialmente in base ad una serie di variabili strutturali60, ed
in seconda battuta in rapporto ad alcuni indicatori di sintesi appositamente elaborati per quanto concerne aspetti connessi alla partecipazione, alle reti di relazione ed agli outcome dei Piani di zona61.
In una fase successiva, anche alla luce dei risultati ottenuti per questa via, l’approccio di carattere esplorativo ha contemplato la definizione di due ulteriori piani di elaborazione. Inizialmente, ci si è posti
l’obiettivo di individuare raggruppamenti di OdV caratterizzati da alcu60 In particolare: collocazione geografica; numero di volontari impiegati; estensione territoriale del raggio di azione; gestione servizi in convenzione con le istituzioni prima del Piano; realizzazione servizi dopo la promulgazione del Piano.
61 In particolare: Impatto su tessuto sociale (item: “Secondo voi, come ha inciso l’esperienza
generale della pianificazione zonale nel vostro territorio, riguardo ai seguenti aspetti: Qualità della vita e Disagio sociale”); Impatto su civismo e partecipazione (“Secondo voi, come ha inciso
l’esperienza generale della pianificazione zonale nel vostro territorio, riguardo ai seguenti aspetti:
Valorizzazione delle risorse locali e Cultura locale della cittadinanza”); Conoscenza Terzo settore e altre Istituzioni (“A seguito della partecipazione ai Piani di zona, è migliorata la vostra conoscenza rispetto a: soggetti del Terzo settore e Istituzioni Locali”); Conoscenza volontariato e problematiche locali (“A seguito della partecipazione ai Piani di zona, è migliorata la vostra conoscenza rispetto a: volontariato e problematiche specifiche del territorio”); Impatto su organizzazione interna a seguito della partecipazione ai PdZ (A seguito della partecipazione al piano la vostra
organizzazione ha rilevato: migliore organizzazione).
42
IL DISEGNO DELLA RICERCA E NOTA METODOLOGICA
ni fattori di particolare interesse ai fini dell’indagine62. Lo scopo, in altri
termini, era di individuare eventuali gruppi di OdV che avessero caratteristiche comuni in aggiunta alle variabili connesse alla caratterizzazione operativa. Tuttavia questo passaggio non ha prodotto risultati significativi, nel senso che non si sono riscontrati raggruppamenti con
comportamenti uniformi in base ad elementi diversi da quelli precedentemente riscontrati.
In base a tale acquisizione, si è infine effettuata un’analisi descrittiva incentrata sull’appartenenza territoriale, allo scopo di rilevare eventuali peculiarità del comparto – ivi comprese le forme di partecipazione alla programmazione locale – in base all’area geografica di riferimento63. I risultati hanno permesso di approfondire alcune caratterizzazioni circoscrizionali delle OdV, nonché temi di interesse comune.
Coerentemente con le finalità del lavoro, un approfondimento particolare è stato riservato alle dimensioni ed alle esperienze delle organizzazioni in oggetto per ciò che concerne le specifiche fasi della concertazione zonale. Utilizzando quattro blocchi di variabili rappresentate dalle
specifiche domande rivolte al processo partecipativo, con opportuni
incroci con le variabili identificative del profilo operativo ed organizzativo, l’analisi è stata portata su un piano valutativo dei processi stessi
della partecipazione. In particolare sono state osservate le dimensioni
dei livelli di partecipazione generale e quelli relativi ai contesti operativi di area, nonché le problematiche emerse durante il percorso partecipativo e le operazioni relative alla messa a punto della rappresentanza
(tipo e livello di partecipazione, criticità, tipo di rappresentanza).
Rispetto alle variabili indicative dei contesti operativi ed organizzativi,
sono state invece utilizzate - selezionando fra le valorizzazioni più significative espresse dalle OdV intervistate - quelle delle aree di intervento, del numero degli aderenti, della disponibilità di organi o apparati organizzativi interni e del raggio di azione nel servizio.
Le risultanze più consistenti, previa accurata ponderazione, sono
state utilizzate per lo sviluppo di un’analisi che si propone alla stregua
di un preliminare approccio valutativo di questo specifico processo di
partecipazione.
62 In particolare: Modalità di partecipazione alla programmazione/attuazione dei Piani;
Predisposizione agli incontri; Numero di volontari; Soddisfazione/Problematicità.
63 In particolare, è stata posta l’attenzione sulle seguenti variabili: numero di volontari impiegati; anno di nascita (età) dell’organizzazione; organizzazione interna (organi gestionali e amministrativi); estensione territoriale – raggio d’azione; appartenenza a reti o consorzi; tipo di registro
d’appartenenza; presenza/assenza di convenzioni con enti precedenti ai PdZ gestione di servizi in
convenzione con istituzioni locali prima del Piano di zona; sovvenzioni pubbliche o private.
43
Elaborazione ed
analisi delle
informazioni e
principali
acquisizioni
CAPITOLO 3
RISULTATI DELLA RICERCA:
LA PARTECIPAZIONE
DELLE ORGANIZZAZIONI
DI VOLONTARIATO
ALLA PROGRAMMAZIONE
TERRITORIALE
FRA SUSSIDIARIETÀ
VERTICALE E ORIZZONTALE
3.1 Attori pubblici e società civile nella cornice della sussidiarietà
La programmazione territoriale, posta dal legislatore come uno dei
pilastri per la costruzione di un nuovo sistema di welfare in grado di
coniugare insieme universalità di approccio e selettività degli interventi, traspone il superamento del modello accentrato e gerarchico del
government anche all’interno delle politiche sociali. Anche in questo
ambito, quindi, le Amministrazioni locali diventano i luoghi per la sperimentazione di modelli di decisione pubblica innovativi64 fondati su
forme di interazione e di collaborazione tra gli attori. Parametro di riferimento essenziale per l’azione pubblica rinnovata diviene sempre più
il principio di sussidiarietà65.
Com’è noto, il campo di applicazione del principio di sussidiarietà riguarda i rapporti tra Stato e società e si articola su diversi livelli: 1. non
faccia lo Stato ciò che i cittadini possono fare da soli; 2. lo Stato deve in64 Annalisa Turchini, Il ruolo e la funzione della sussidiarietà nei nuovi modelli di governance
sociale: alcuni casi di studio, in “Osservatorio ISFOL”, Anno XXVII, N. 1-2 gennaio – aprile 2006.
65 Ibidem. Il principio di sussidiarietà nasce nell’800 e trova le sue prime formulazioni nell’ordinamento canonico con l’affermazione di “illeicità nel sottrarre agli individui la possibilità di
adempiere singolarmente ai propri bisogni a favore dell’adempimento da parte della comunità o
comunque di una maggiore e più alta società” (Dall’Enciclica Quadragesimo Anno di Pio XI). La dottrina sociale della chiesa ne fa uno dei suoi elementi strategici finalizzati a valorizzare la funzione
dei cosiddetti “corpi intermedi”, come ad esempio la famiglia, a fronte dell’intervento dello Stato.
Dal diritto canonico il principio interessa anche gli ordinamenti statali fino ad arrivare all’ordinamento comunitario con specifico riferimento al Trattato di Maastricht in cui viene esplicitamente
richiamato. (Art. 3B del Trattato ratificato in Italia con Legge 3 novembre 1992 n. 454).
45
CAPITOLO 3
Attori pubblici e
società civile nella
cornice della
sussidiarietà
tervenire solo quando i singoli ed i gruppi non sono in grado di farcela
da soli; 3. quando è necessario l’intervento del soggetto pubblico, esso
deve essere portato al livello più vicino al cittadino e soltanto qualora
esso non corrisponda al proprio mandato è consentito salire di grado
fino ad arrivare allo Stato centrale. Una delle principali implicazioni derivanti dai fondamenti sussidiari risiede nell’importanza accordata all’intervento degli “aggregati” più prossimi all’individuo di quanto lo
possa essere lo Stato. Si sancisce con ciò, da un lato la centralità della cultura della responsabilità individuale e dall’altro la funzione di promozione da parte dello Stato allo sviluppo di “soggetti intermedi”66.
In questa cornice di riferimento i criteri di distribuzione delle competenze tra Stato ed autonomie locali vengono ridiscussi alla luce della dimensione verticale della sussidiarietà. L’oggetto di questa messa in discussione è rappresentato dal trasferimento di potere decisionale alle Istituzioni
più a contatto con i cittadini, con particolare riguardo a servizi o interventi che li riguardano direttamente. Diversamente, la dimensione orizzontale della sussidiarietà rappresenta il paradigma ordinatore dei rapporti tra
Stato, formazioni sociali ed individui e si realizza attraverso l’affidamento
a soggetti privati o comunque esterni all’organizzazione pubblica, di attività afferenti quest’ultima67. Essa travalica dunque i confini delle competenze dei diversi livelli di governo ed anche quelli del decentramento amministrativo, per integrare una serie di soggetti e corpi intermedi nell’erogazione di beni e servizi di interesse comune.
Le due dimensioni della sussidiarietà (verticale e orizzontale) delimitano l’arena di gioco degli attori, pubblici e appartenenti alla società civile, chiamati in causa per intervenire, tra gli altri, anche nell’ambito delle politiche sociali. All’interno di questo spazio si incrociano le coordinate che
consentono di valutare effettivamente “il perseguimento di finalità d’interesse collettivo” richiamato dalla Costituzione: da un lato il principio regolatore del bene comune che lo Stato (e la Pubblica Amministrazione in generale) è tenuto a garantire; dall’altro l’incrociarsi dei fini solidaristici
(propri ad esempio delle organizzazioni del Terzo settore o del singolo
cittadino) con il movimento delle forze del mercato.
66
67
Ibidem.
Nel nostro Paese una delle principali attuazioni di sussidiarietà verticale è rintracciabile
nella Legge Bassanini (n. 59 del 1997) ed in altra normativa (n. 142 del 1990), in cui si dà spazio
alla costruzione di rapporti sussidiari tra Comuni, Comunità montane, Province e Regioni, affermando la centralità del ruolo delle prime due e l’affidamento all’amministrazione centrale di funzioni
di raccordo e valorizzazione del collegamento tra tutti i livelli. Per quanto attiene invece la sussidiarietà orizzontale un accenno viene fatto nella Costituzione ed in particolare nel nuovo art. 118,
comma 4 che recita “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale
sulla base del principio di sussidiarietà”.
46
RISULTATI DELLA RICERCA
Nella dimensione verticale la sussidiarietà afferma una prospettiva in
cui l’ordine gerarchico viene invertito: lo Stato centrale “libera” spazi a
beneficio delle autonomie locali, affermando di fatto un approccio volto alla “prossimità” dei governanti con i governati. Viceversa quando si
guarda al versante della sussidiarietà orizzontale, intervengono meccanismi complessi che attengono la programmazione e la realizzazione
di interventi strutturati volti a perseguire finalità di interesse comune
con il concorso di più attori, pubblici e non. Allorché la realizzazione di
tali interventi venga intestata ad organizzazioni “intermedie” che hanno
una propria distintiva connotazione e collocazione spaziale è necessario rendere trasparente il conseguimento delle finalità collettive attraverso un chiaro intervento regolatore del soggetto pubblico.
La programmazione territoriale rappresenta, a questo riguardo, lo strumento individuato per governare questa complessa costellazione di principi, finalità e interessi, evitando il prevalere delle spinte particolaristiche.
3.2 Territori e profilo delle Organizzazioni di volontariato
Le Organizzazioni di volontariato, in quanto forme organizzative associative, sono da sempre state incluse dai sociologi nell’insieme di
quei soggetti intermedi ritenuti elementi essenziali per la declinazione
della sussidiarietà orizzontale. Esse rappresentano in tal senso forme
di capitale sociale, volta per volta mobilitabile sul versante delle relazioni proprie della società civile, ovvero suscettibile di attivarsi in un
quadro più strutturato, anche in base all’azione regolatrice esercitata
dalla Pubblica Amministrazione, nel cui ambito si può includere anche
la pianificazione sociale di zona68.
La loro presenza o assenza e il rapporto da esse intessuto con le realtà territoriali di riferimento, in termini di lettura dei bisogni e di attività messe in campo, viene in quest’ottica a rappresentare il primo necessario punto di vista dal quale interpretare le informazioni desunte dalla ricerca.
68 Davide La Valle, Capitale sociale in Italia: l’andamento della partecipazione associativa, in
“Inchiesta”n. 139, gennaio-marzo 2003. Seguendo la definizione di Putnam, riportata da La Valle,
le associazioni rappresenterebbero capitale sociale in quanto costituirebbero reti di relazioni fiduciarie più articolate e affidabili rispetto all’interazione frutto della familiarità e conoscenza personale. Esse sarebbero produttrici quindi di insiemi di relazioni capaci di estendere le possibilità
della cooperazione sociale. Da questo punto di vista, aggiungiamo, costituirebbero un supporto essenziale di una cittadinanza definita come processo di inclusione sociale multidimensionale, in
accordo a quanto argomentato nel capitolo 2. Infine, esse rappresentano un pool di risorse mobilitabile nell’ambito della programmazione territoriale, allo stesso titolo di altri segmenti del
Terzo settore.
47
Attori pubblici e
società civile nella
cornice della
sussidiarietà
CAPITOLO 3
Territori e profilo
delle
Organizzazioni di
volontariato
La popolazione raggiunta dall’indagine è costituita da 83
Organizzazioni di volontariato, di cui 10 presenti a Lecco, 7 a Padova, 12
a Bologna, 10 a Lucca, 8 a Pisa, 6 a Terni, 11 a Salerno, 6 a Cosenza e
13 complessive in provincia di Palermo, Agrigento, Caltanisetta e Trapani.
In particolare Bologna, Lucca e Lecco69 hanno già sperimentato due
cicli di programmazione, mentre tutte le altre, tranne Cosenza, hanno
concluso il primo (a Terni è stata concessa una proroga ed è ancora in
atto la prima programmazione).
A Cosenza la programmazione zonale è stata lungamente predisposta con incontri informativo-organizzativi, ma non è mai cominciata per mancato recepimento della Legge quadro 328/2000 da parte
della Regione Calabria70.
In Toscana ricordiamo l’esperienza singolare del Piano Integrato di
Salute che ha dato vita nella zona pisana al consorzio pubblico della
“Società della Salute”, un esempio di possibile gestione pubblico-privata dei servizi sociali ancora sperimentale ma già in fase di assestamento giuridico ed amministrativo.
Le organizzazioni che hanno partecipato alla ricerca appartengono a
territori che, negli anni per i quali sono disponibili informazioni confrontabili a livello nazionale, presentano tassi di incremento nel numero di associazioni e numeri medi di queste ultime sulla popolazione
residente, abbastanza differenziati tra loro71.
Nelle aree dove è stata realizzata l’indagine si può osservare come,
anche in presenza di tassi di incremento percentuale superiori alla
media nazionale e a quelli delle Regioni del Centro-nord, le aree meridionali continuino a presentare, su entrambi i versanti, un numero
medio di Organizzazioni di volontariato ogni 10.000 abitanti, di gran
lunga inferiore (Grafico 1).
Nello stesso periodo non si riscontravano a livello nazionale differenze altrettanto grandi relativamente al numero medio di volontari appartenenti alle singole organizzazioni. Al 2003, infatti, nelle ripartizioni
settentrionali erano presenti rispettivamente il 31,5% dei volontari italiani nel Nord-est e il 28,4 nel Nord-ovest. Le stesse percentuali per il
69 E’ utile ricordare che le Regioni del Centro Nord coinvolte nell’indagine sono quelle in cui la
Legge 328 è stata prontamente recepita ed in alcuni casi anticipata dai sistemi di welfare regionali.
D’altro canto sia la Regione Campania, in misura maggiore, che la Regione Sicilia sono le aree del meridione d’Italia in cui il recepimento delle riforma si è ugualmente contraddistinto per una maggiore
sistematicità, in un scenario complessivamente caratterizzato da un più incerto procedere.
70 Tale valutazione è stata operata dal Centro Servizi per il Volontariato di Cosenza in occasione di alcuni contatti intercorsi per la somministrazione dei questionari, oltre che da alcuni esperti dell’Osservatorio nazionale del volontariato.
71 ISTAT, Le organizzazioni di volontariato in Italia. Anno 2003, ISTAT, “Statistiche in breve”, 14
ottobre 2005.
48
RISULTATI DELLA RICERCA
Grafico 1. Organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali al 31
dicembre per Regione - Anno 2003. Variazioni % 2001-2003 e organizzazioni
per 10.000 abitanti
35
7
30
6
25
5
20
4
15
3
10
2
5
1
0
0
a
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Var. % 2001/2003
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N
z
o
N
Me
Organizzazioni per 10.000 ab.
Fonte: Elaborazione Isfol su dati Istat.
Centro e il Mezzogiorno erano invece del 21,4 e del 18,7. A fronte di ciò
il numero medio di volontari, era di 39 nelle aree settentrionali (uguale alla media nazionale), di ben 44 al Centro e di 35 al Sud.
Le dimensioni relative al numero di volontari risultavano, nelle sole
aree dell’indagine, proporzionalmente simili, fatto salvo per la posizione assunta dall’Umbria (Grafico 2).
Mentre infatti il numero di volontari totale per Regione declinava, procedendo verso l’area meridionale, non così avveniva per il numero
medio di volontari per organizzazione, a dimostrazione di un dimensionamento delle OdV sostanzialmente simile.
Se, sulla base dei dati ISTAT, mettiamo a confronto il numero di associazioni presenti per 10.000 abitanti e il numero medio di volontari presenti per organizzazione, possiamo osservare con maggiore chiarezza l’esistenza di uno spartiacque che separa le aree settentrionali da quelle meridionali (Grafico 3). Le seconde, infatti, si trovavano, almeno fino al 2003,
molto distanziate dalle prime in termini di numero di OdV presenti ogni
10.000 abitanti, così come anche dalla media considerata a livello nazionale. Meno evidente risultava la differenziazione in termini di numero medio di volontari rilevati all’epoca per ogni organizzazione, dato che in questo caso le Regioni considerate venivano a trovarsi abbastanza vicine al49
Territori e profilo
delle
Organizzazioni di
volontariato
CAPITOLO 3
Grafico 2. Organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali al 31
dicembre per Regione - Anno 2003. Volontari e numero medio di volontari per
organizzazione per regione
160.000
60
140.000
50
120.000
40
100.000
80.000
30
60.000
20
40.000
10
20.000
ia
Um
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0
ia
0
Lo
Territori e profilo
delle
Organizzazioni di
volontariato
Tot. Volontari
Num. Medio
Fonte: Elaborazione Isfol su dati Istat.
Grafico 3. Organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali al 31
dicembre per Regione - Anno 2003. Associazioni presenti per 10.000 abitanti
e numero medio di volontari presenti per organizzazione.
60
Toscana
50
Campania
40
Calabria Lombardia
ITALIA
E. Romagna
Sicilia
30
Veneto
Umbria
20
10
0
0
1
Fonte: Elaborazione Isfol su dati Istat.
50
2
3
4
5
6
7
RISULTATI DELLA RICERCA
la media nazionale, con le opposte eccezioni della Toscana e dell’Umbria.
In pratica, dato che in accordo ai dati ISTAT la concentrazione delle organizzazioni e dei volontari seguono più o meno lo stesso percorso,
emerge abbastanza chiaramente che organizzazioni di dimensioni
comparabili si trovano, soprattutto nel Mezzogiorno, ad agire in un
ambiente per così dire più rarefatto (popolato cioè da meno organizzazioni e meno volontari). Questo fenomeno probabilmente determina,
a fronte di una domanda sociale di dimensioni e contenuto per molti
versi analogo, guardando alle dimensioni delle comunità considerate,
una capacità di attivazione di reti di capitale sociale e di risorse per l’inclusione proporzionalmente inferiore.
Nella maggior parte dei casi, le organizzazioni che hanno partecipato all’indagine hanno tra 1 e 30 volontari in organico, in particolare il
29,3% delle organizzazioni riferiscono di avere da 1 a 10 volontari
presso la propria sede e il 35,4% di esse da 11 a 30. Quelle con un
maggior numero di volontari, vale a dire da 51 a 100 e oltre, rappresentano una quota più contenuta, pari al 20,8%. Accorpando alcune
delle classi considerate, in modo da rendere comparabili queste informazioni con quelle ISTAT relative al 2003, vediamo che il collettivo dell’indagine si presenta più equamente distribuito (Grafico 4).
Grafico 4. Organizzazioni di volontariato partecipanti all’indagine e iscritte nei
registri regionali al 31 dicembre per Regione - Anno 2006 e 2003. Volontari
per organizzazione (v. %).
50
40
Da 1 a 10
30
Da 11 a 30
20
Oltre 31
10
0
ISFOL
ISTAT 2003
Fonte: Dati Isfol ed elaborazione Isfol su dati Istat.
Rispetto al dato nazionale registrato nel 2003, il collettivo presenta una sovrarappresentazione della classe da 1 a 10 volontari ed una
analoga di quella oltre i 31. Per quanto riguarda invece la classe intermedia da 11 a 30, essa appare marcatamente sottorappresentata rispetto al dato nazionale, che nel 2003 arrivava a superare il 43%.
51
Territori e profilo
delle
Organizzazioni di
volontariato
CAPITOLO 3
Territori e profilo
delle
Organizzazioni di
volontariato
La caratterizzazione del collettivo di indagine appare quindi marcata dalla presenza di organizzazioni di piccole dimensioni, in maniera
analoga al dato nazionale. Organizzazioni di questo tipo, come confermano le risposte fornite, sono dotate di una struttura relativa agli organi statutari non molto articolata, caratterizzata nella maggior parte dei
casi dalla presenza di un presidente (96% dei casi) ed un consiglio direttivo (90,6%). In misura minore si riscontra la presenza di un’assemblea elettiva (76% dei casi), mentre in maniera significativa una figura
qualificabile come Direttore o Segretario generale è attiva solo nel
31,8% delle associazioni.
Si tratta di scelte organizzative e di governo che probabilmente rispecchiano, da un lato le ridotte dimensioni osservate in termini di numero di volontari impegnati e dall’altro la minore necessità di dotarsi di articolazioni organizzative che più nettamente separino livello di governo politico e livello
manageriale; probabilmente in forza del ridotto raggio di intervento.
La stessa analisi del raggio di intervento territoriale fornisce a riguardo una conferma (Grafico 5).
Grafico 5. Estensione territoriale abituale dell’organizzazione (v. %)
80,0%
70,0%
60,0%
50,0%
40,0%
30,0%
20,0%
10,0%
0,0%
locale
regionale
nazionale
internazionale
Fonte: Dati Isfol.
Oltre il 72% delle OdV coinvolte nell’indagine dichiara infatti che il
proprio abituale raggio di intervento si colloca all’interno della dimensione locale. Le quote di risposta relative alle altre dimensioni risultano
invece di gran lunga distanziate, dato che la dimensione regionale viene dichiarata nel 12% dei casi, quella nazionale quasi nel 10% e il livello internazionale coinvolge solo poco più del 7.
52
RISULTATI DELLA RICERCA
Il 65% delle organizzazioni intervistate è comunque associata a reti e
consorzi. La dimensione di rete caratterizza quindi probabilmente la sfera di azione della maggior parte delle OdV con un raggio di azione locale, anche se resta cospicuo il gruppo che non appartiene ad alcuna organizzazione ombrello. La dimensione cooperativa dell’agire è comunque in
crescita soprattutto se confrontata alla modalità operativa, separata e
autarchica, tipica delle Organizzazioni di volontariato negli anni 70.72
3.3 Le Organizzazioni di volontariato a confronto con le esigenze
delle comunità locali
Se, come è stato argomentato nel capitolo precedente, il graduale ma
inesorabile affermarsi degli approcci di partnership ha contribuito a determinare l’affermarsi di una cornice cooperativa e di un approccio negoziale all’azione pubblica, anche nel campo delle politiche sociali, allora risulta evidente che la contrattazione tra portatori d’interessi diversi diviene il primo degli ambiti all’interno del quale descrivere le modalità del confronto fra le OdV e le altre tipologie di attori, pubblici e non73.
Gli attori pubblici, in qualità di promotori e gestori di progetti e piani locali, sono soprattutto interessati a coordinare il processo in modo
tale da ottenere il sostegno sulle decisioni finali e, allo stesso tempo, accrescere la credibilità sulle funzioni che essi svolgono. All’interno di questa prima categoria, che racchiude i portatori di interessi generali, convivono diverse figure professionali: il politico; il funzionario; il manager
sanitario; il tecnico con competenze specialistiche connesse agli specifici ambiti di intervento e infine, l’esperto cui può essere demandato il
compito di progettare e gestire la procedura finalizzata a facilitare la partecipazione della società civile alla elaborazione di un Piano sociale.
I gruppi di interesse sono portatori di interessi privati che possono essere distinti in economici o diffusi. Nel primo caso, è possibile fare un’ulteriore distinzione tra attori che, difendendo «interessi imprenditoriali ma72 Renato Frisanco, Un fenomeno con tanti più e qualche campanello d’allarme, in Ministero
della Solidarietà Sociale, Rapporto Biennale sul Volontariato in Italia - 2005, Roma, novembre 2006.
73 In sociologia per interesse si deve intendere un orientamento, atteggiamento, disposizione
complessa di un soggetto individuale o collettivo in relazione ad un oggetto o uno stato di cose la
cui acquisizione o realizzazione - o conservazione – esso giudica idoneo a migliorare o difendere
la sua situazione, sulla base di una valutazione della propria situazione attuale comparata a quella di altri soggetti (gruppi di riferimento) ed alla possibilità che essa si modifichi autonomamente
nel futuro. Rientrano in tale disposizione: a) la focalizzazione dell’attenzione del soggetto su determinati oggetti o stati , tra altri presenti o possibili; b) la scelta più o meno consapevole e razionale di un oggetto o stato a preferenza di altri; c) l’intenzione o la spinta ad agire per acquisire l’oggetto o realizzare (o conservare) lo stato di cose preferito. Così in Luciano Gallino, Dizionario di
Sociologia, Utet, Torino, 1983.
53
Territori e profilo
delle
Organizzazioni di
volontariato
CAPITOLO 3
Le Organizzazioni
di volontariato a
confronto con le
esigenze delle
comunità locali
turi, finalizzati ad associare fattori di produzione per produrre merci o servizi, innovazione, profitto ed accumulazione», hanno «la capacità di esprimersi e di svolgere un ruolo forte» nei processi decisionali, e gli altri che
posono genericamente cercare di trarre un vantaggio economico dalle
scelte di programmazione74. Nel secondo caso, invece, i soggetti sono costituiti da comitati o da organizzazioni già insediate nel territorio, che hanno obiettivi e interessi specifici, possiedono risorse economiche e/o conoscitive sufficienti per perseguirli e possono in qualche modo influenzare l’esito del processo.
I cittadini, infine, comprendono tutti quei soggetti su cui ricadono gli
effetti positivi e negativi delle decisioni prese in sede di pianificazione.
Le modalità della loro partecipazione possono comprendere il voto alle elezioni amministrative o in occasione di referendum pro o contro la
realizzazione di determinate politiche o interventi75, ovvero la possibilità di aggregarsi in una delle diverse organizzazioni che si mobilitano a
favore degli interessi locali (comitati cittadini, associazioni di quartiere,
organizzazioni profit e non profit ecc.).
Le organizzazioni istituzionalmente riconosciute e le associazioni volontarie si inseriscono a buon titolo fra i gruppi di interesse. Esse, essendo già
radicate nel contesto, spesso da prima dell’avvio della pianificazione territoriale, si presentano, almeno inizialmente, come soggetti neutrali che
costituiscono una importante risorsa al fine di promuovere la partecipazione e ottimi interlocutori per le istituzioni, grazie alla loro conoscenza dei
bisogni della comunità e alla connessione con il territorio.
Sulla base di queste argomentazioni si può ipotizzare che la partecipazione delle OdV alla pianificazione sociale di zona risulti strettamente connessa al sistema di compatibilità riscontrabile fra gli interessi espressi dalle stesse organizzazioni e i cosiddetti interessi generali, così come
letti e formalizzati dal decisore pubblico di livello locale.
Volendo ottenere una proiezione quantitativa, sia pur rozza, di questi interessi nell’ambito delle politiche sociali, si può ricorrere ad esempio alla distribuzione della spesa sociale (Grafico 6).
Le differenze riscontrabili nella distribuzione delle quote di spesa sociale assegnate dai Comuni ai vari target possono in questa chiave rappresentare altrettante proxy di quelle che effettivamente i decisori pubblici locali afferenti alle aree dell’indagine giudicano essere le reali
priorità di intervento. Confrontando queste informazioni con le aree di
intervento segnalate dalle Organizzazioni di volontariato intervistate emer74
75
Enrico Salzano, Fondamenti di urbanistica, Laterza, Bari, 2003, pp. 287-289.
Ecosfera, Le ragioni della partecipazione nei processi di trasformazione urbana: i costi
dell’esclusione di alcuni attori locali, Comune di Roma, USPEL, 2001.
54
RISULTATI DELLA RICERCA
Grafico 6. Spesa per interventi e servizi sociali dei Comuni singoli e associati per
area di utenza e regione relativa all’indagine – Anno 2003 (v. %)
ITALIA
Sicilia
Calabria
Campania
Umbria
Toscana
Emilia - Romagna
Veneto
Lombardia
0%
20%
40%
60%
80%
Famiglie e minori
Anziani
Disabili
Disagio adulti
Immigrati
Dipendenze
100%
Multiutenze
Fonte: Elaborazione Isfol su dati Istat.
Grafico 7. Aree di intervento delle Organizzazioni di volontariato coinvolte
nell’indagine (v. %)
Cultura
Salute fisica
Salute mentale
Cooperazione e sviluppo
Ambiente
Famiglia
Infanzia e adolescenza
Disabilità
Anziani
Immigrazione
Grave emarginazione
Dipendenze
Carcere e devianza
Indigenza
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
Fonte: Dati Isfol.
55
Le Organizzazioni
di volontariato a
confronto con le
esigenze delle
comunità locali
CAPITOLO 3
Le Organizzazioni
di volontariato a
confronto con le
esigenze delle
comunità locali
gono sia evidenti isomorfismi, che interessanti differenze (Grafico 7)76.
In primo luogo l’andamento delle due distribuzioni può essere considerato simile, nel senso che, come la percentuale di spesa sociale
declina significativamente mano a mano che si passa dal settore famiglia e minori, sino a giungere alle dipendenze; così la percentuale di
OdV che dichiarano di essere attive in specifici ambiti decresce seguendo grosso modo lo stesso ordine.
In secondo luogo occorre sottolineare che, mentre il secondo posto
nella distribuzione della spesa sociale è stabilmente occupato dalla
categoria degli anziani, non così è per le OdV, che risultano impegnate
in maniera prioritaria con il target dei disabili (42% dei casi) e solo in terza battuta segnalano gli anziani, staccando questa categoria di ben
sette punti percentuali. Le due distribuzioni iniziano ad assumere caratteristiche abbastanza diverse passando a considerare l’immigrazione.
In questo caso, a fronte di una media nazionale di spesa sociale di poco più del 2%, ben il 29% delle organizzazioni intervistate dichiara di essere attiva nel settore. Non si riscontrano peraltro differenze significative di comportamento in relazione alle singole Regioni.
In terzo luogo, la percentuale di organizzazioni che si dichiarano impegnate nelle altre aree del disagio, comprese le dipendenze, resta comunque abbastanza alta, a dimostrare un ampio ventaglio di impegno
della maggior parte di esse. A fronte di ciò la spesa sociale dei Comuni, singoli o associati, diminuisce drasticamente passando dall’area disabili a
quella del disagio, con la sola eccezione della Calabria che, ovviamente,
non poteva influenzare eccessivamente la media nazionale.
Infine, cospicue risultano le percentuali di organizzazioni che si dichiarano attive in ambiti non immediatamente inscrivibili tra quelli di interesse per la pianificazione territoriale sociale, ma comunque degne di attenzione in un’ottica più generale di promozione dell’inclusione e della sostenibilità sociale dello sviluppo territoriale.
I servizi tipicamente offerti dalle organizzazioni sono di accompagnamento, consulenza, sostegno e assistenza sociale e culturale (Grafico 8).
Una volta sottoposte ad analisi fattoriale le variabili relative ad i servizi offerti, sono emerse due macro tipologie: una di tipo assistenziale
sociosanitario, che fa riferimento ai mestieri del welfare tradizionale,
ed una seconda maggiormente orientata al versante consulenziale, di
promozione dei diritti, educativo, ricreativo e di studio e ricerca, legato
76 Nel ricordare che si stanno confrontando fra loro grandezze di natura assolutamente diversa, si intende chiarire che lo scopo di tale confronto non è ovviamente quello di sottoporre a verifica statistica una serie di ipotesi, ma unicamente illustrativo e finalizzato a suggerire ulteriori
approfondimenti. Si precisa altresì che, dato il numero ridotto di casi non è stato possibile operare una lettura disaggregata per Regione o area geografica.
56
RISULTATI DELLA RICERCA
Grafico 8. Prestazioni offerte dalle Organizzazioni di volontariato coinvolte
nell’indagine Isfol (v. %)
Assistenza sociale
Assistenza socio-culturale
Consulenza
Prevenzione
Educazione – insegnamento – istruzione
Formazione Professionale
Ricerca, studio
Promozione/difesa di diritti civili
Servizio igienico-sanitari persone
Assistenza sanitaria
Assistenza domiciliare
Riabilitazione
Allestimento di documentazione
Educazione alla mondialità
Reinserimento
Rieducazione
Assistenza legale
Cure Sanitarie
Assistenza morale-religiosa
Accompagnamento
Discernimento – valutazione casi personali
Intrattenimento
Difesa civica di individui o gruppi
Prestazioni tecniche
Ascolto telefonico
Trasporto malati
Prestazioni specialistico professionali
Soccorso
Servizio di lavanderia-guardaroba
Assistenza domestica
Servizio Farmaceutico
Servizi mensa
Patronato-segretariato sociale
58,00%
54,30%
39,50%
38,30%
38,30%
35,80%
34,60%
33,30%
32,10%
28,40%
27,20%
24,70%
23,50%
22,20%
22,20%
22,20%
22,20%
19,80%
19,80%
19,80%
17,30%
17,30%
16,00%
16,00%
16,00%
14,80%
14,80%
13,60%
12,30%
12,30%
11,10%
7,40%
6,20%
0,00%
10,00%
20,00%
30,00%
40,00%
50,00%
60,00%
70,00%
Fonte: Dati Isfol.
ai temi della cittadinanza, dell’ambiente, della cultura e della formazione degli adulti. Tali servizi comportano per le organizzazioni un contatto diretto con l’utenza sia sul versante dell’assistenza che su quello a
vocazione promozionale.
Se il confronto fra andamento della spesa sociale dei territori interessati, ambiti di intervento e servizi offerti dalle OdV consente di ipotizzare un certo isomorfismo fra le priorità individuate dagli Enti Locali e gli
interessi delle organizzazioni, l’esame delle risposte relative alle forme
di collaborazione preesistenti al Piano sociale di zona permette di formulare ulteriori considerazioni.
A riguardo poco meno del 52% delle OdV intervistate ha dichiarato
di aver gestito servizi in convenzione con le istituzioni locali, prima dell’avvio della programmazione territoriale. Prendendo invece in considerazione le fonti di finanziamento dichiarate dalle stesse organizzazioni, vediamo che ben il 91% di esse ha dichiarato di aver ricevuto
contributi, corrispettivi per prestazioni o comunque finanziamenti
pubblici di varia natura, anche se non necessariamente provenienti so57
Le Organizzazioni
di volontariato a
confronto con le
esigenze delle
comunità locali
CAPITOLO 3
Le Organizzazioni
di volontariato a
confronto con le
esigenze delle
comunità locali
lo da Istituzioni di livello locale. La corrispondente quota di soggetti finanziati da privati allo stesso titolo è peraltro risultata significativamente elevata, arrivando a rappresentare il 77% dei casi esaminati.
Il fatto che siano pochissime, fra quelle intervistate, le organizzazioni non iscritte ad alcun registro (3,6%) confermerebbe lo sforzo da
parte delle OdV di inserirsi all’interno della rete di funzionamento del sistema di welfare di comunità, latamente inteso. La maggior parte di
esse risulta peraltro iscritta al registro del volontariato (86,7%), mentre molto più contenute risultano le percentuali relative al registro di
protezione civile (8,4%) e a quello sanitario (4,8%).
Dato che l’iscrizione ai registri regionali del volontariato è, com’è
noto, condizione necessaria per accedere ai contributi pubblici, per stipulare convenzioni con la pubblica amministrazione e per beneficiare
delle agevolazioni fiscali, è chiaro che essa rappresenta la duplice manifestazione di interesse sia nei confronti dello sforzo di reperire risorse per le proprie attività, sia in relazione all’opportunità di collaborare
con le istituzioni negli ambiti di interesse prioritario delle associazioni.
Circa il 50% delle organizzazioni raggiunte dall’indagine è nato nel
periodo che va dal 1990 ad oggi, in buona parte, cioè, successivamente all’istituzione dei registri regionali del volontariato. Questo dato
sembra in linea con il trend incrementale che emerge dal Rapporto
Biennale sul Volontariato in Italia, del 2005, oltre che con i dati ISTAT. A
partire dal 1991, e sempre più intensamente negli anni successivi, si
confermerebbe la nascita di nuove organizzazioni, legate a esperienze
di respiro culturale, partecipazione e cittadinanza attiva, oltre ai tradizionali ambiti di intervento sanitario e sociale. Ciò confermerebbe ulteriormente la spinta a rispondere ai bisogni sociali individuati ricomprendendo la propria azione nella cornice più ampia e articolata degli
interessi generali della comunità.
3.4 La rete delle relazioni e i precedenti alla programmazione territoriale
L’esame delle informazioni disponibili sull’articolazione organizzativa,
gli ambiti di attività e la rete di relazione delle OdV intervistate autorizza
ad ipotizzare un sistema di interessi articolato e suscettibile di inserirsi
costruttivamente nel quadro del processo della pianificazione territoriale.
Le organizzazioni coinvolte non dipendono esclusivamente dal finanziamento pubblico, dato che come si è visto agiscono anche attraverso forme di finanziamento privato (progetti, donazioni ecc.). Esse vedono tut58
RISULTATI DELLA RICERCA
tavia nel soggetto pubblico un interlocutore costante del loro operare. In
tal modo si caratterizzano per essere sempre più “istituzionali” e sempre
meno di volontariato puro e radicale, tipico dei decenni trascorsi.
E’ qui rappresentata quella grande fetta di volontariato, in crescita
negli ultimi anni, come evidenziato dagli osservatori del fenomeno,
che interviene diffusamente sul territorio in proprio o per delega
dell’Istituzione, fornendo servizi ad un’utenza diretta e rappresentandone i bisogni nelle sedi istituzionali. Ed è in virtù di tale prossimità
con i cittadini utenti dei servizi e del patrimonio relazionale acquisito
che il volontariato è chiamato a entrare nei processi decisionali delle
politiche e a cooperare con l’insieme degli attori pubblici e privati del territorio, nell’ambito di un sistema che si vuole “integrato” di servizi ed
interventi sociali77.
Più della metà delle organizzazioni raggiunte dall’indagine risulta
gestire servizi in convenzione con l’Istituzione Locale già prima della
partecipazione alla programmazione di Piano78. In questo caso il rapporto intercorso con l’Ente Pubblico permette all’organizzazione di
connotarsi con una serie di attributi che le Istituzioni Pubbliche ritengono indispensabili per l’eventuale affidamento di servizi (si pensi ad
esempio all’applicazione della Legge 285/1997). L’esperienza maturata in questo modo viene a rappresentare un banco di prova relativamente alla possibilità di giocare un ruolo attivo nella pianificazione sociale di zona, anche riguardo alle competenze relazionali messe in gioco sia con i soggetti pubblici che con il Terzo settore. Competenze che,
in organizzazioni caratterizzate sovente da una dimensione medio piccola non possono essere date per scontate.
Se è certamente vero che l’esperienza della pianificazione di zona non
può che accrescere la propensione all’incontro, allo scambio e al lavoro
di rete perché offre occasioni di confronto che sono giudicate arricchenti79
ed il confronto tra organizzazioni ha una funzione di stimolo ed è utile al
lavoro di rete80, occorre comprendere che il sistema di relazioni pregresse
che caratterizza l’azione locale delle OdV rappresenta, come dimostrato
da altre ricerche, un fattore da tenere in attenta considerazione.
Anche se le organizzazioni come quelle prese in esame rappresentano una quota significativa del capitale sociale mobilitabile dalla pianificazione territoriale, l’esercizio effettivo di un ruolo nell’ambito della
77
78
Lavinia Bifulco, (a cura di ), Il genius loci del welfare, Officina Edizioni, 2003.
Spesso si tratta di servizi cosiddetti di welfare “leggero” così come previsto dalla Legge
266/1991, in contrapposizione a quelli “pesanti”, impegnativi in termini di gestione e risorse a
cura dell’impresa sociale.
79 Focus group di Lecco.
80 Focus group di Pisa.
59
La rete delle
relazioni e i
precedenti alla
programmazione
territoriale
CAPITOLO 3
La rete delle
relazioni e i
precedenti alla
programmazione
territoriale
rete delle sussidiarietà orizzontale viene facilitato infatti dal sussistere di
altre due momenti. In primo luogo, come è stato sottolineato, la convergenza del sistema di interessi espresso dalle OdV deve risultare effettivo rispetto ai bisogni sociali giudicati prioritari in sede locale. Tale convergenza può esprimersi al massimo grado laddove siano risultate effettivamente realizzate esperienze di confronto e collaborazione su specifici temi e/o servizi erogati a vantaggio della collettività.
In secondo luogo, proprio la realizzazione di tali esperienze di confronto e collaborazione contribuiscono a soddisfare quella che autori
come Simon giudicano una precondizione essenziale nella predisposizione di progetti di intervento sociale, vale a dire l’affermazione di una
visione condivisa fra tutti i soggetti coinvolti nel progetto stesso in merito al problema sul quale si va ad intervenire81.
Questo argomento verrà approfondito nel capitolo successivo e
nelle conclusioni, nel momento in cui verranno passate in rassegna le
informazioni raccolte in merito alla percezione dei risultati della partecipazione delle OdV coinvolte al processo di pianificazione sociale.
81
60
Herbert Simon, Le scienze dell’artificiale, Il Mulino, Bologna 1988, soprattutto pp. 178 e 179.
CAPITOLO 4
LA QUALITÀ
DELLA PARTECIPAZIONE
4.1 La partecipazione al processo di pianificazione sociale di zona:
le fasi del percorso
Il proliferare di formule di partecipazione e di procedure decisionali “aperte”, spesso non coincide con l’allargamento degli spazi e dei
termini della partecipazione attiva.
In tal senso il mutamento delle forme di governo non deve essere interpretato soltanto dallo spostamento dei luoghi decisionali dal centro
alla periferia quanto piuttosto deve essere valutato rispetto all’effettivo
capovolgimento di procedure che dall’alto posizionano verso il basso,
la costruzione delle politiche d’intervento82.
La richiesta proveniente “dal basso”, di una maggiore democraticità
nei processi di decisione, è stata parzialmente accolta con l’introduzione
di forme di partecipazione che insistono prevalentemente sull’informazione e sulla consultazione degli attori interessati. Molto spesso tali formule si rivelano prevalentemente finalizzate a costruire ed accrescere il
consenso su decisioni già assunte in precedenza, piuttosto che mirare al
coinvolgimento attivo dei gruppi di rappresentanza (nonché degli stessi
individui)83. Le teorie che pongono al centro del tema della partecipazione esclusivamente la disponibilità degli attori istituzionali a mettere a disposizione spazi e luoghi atti ad aprire il confronto con soggetti sociali84,
di per sé non preposti a tale funzione, si sta via via arricchendo di nuovi
82 Annalisa Turchini (a cura di) “Comunità locali e processi di governance. Attori collettivi ed
istituzioni nella costruzione del welfare territoriale”. Su www.isfol.it
83 La pianificazione partecipativa: teorie e tecniche. Un esempio di integrazione di diversi
strumenti: GiCoMo. Di C. Rinzafri da www.eddyburg.it
84 Alberto Magnaghi (a cura di), (2003), “Processi partecipativi, politiche e progetti condivisi
in un’ottica di sviluppo locale autosostenibile”, Documento di lavoro dell’Unità di Ricerca di
Firenze: “Atlanti valutativi di progetti partecipati per lo sviluppo locale autosostenibile: La Carta
del nuovo Municipio”; Ricerca nazionale finanziata dal Ministero dell’Università e della Ricerca
Scientifica (MIUR):
“Sviluppo di Comunità e partecipazione” http://www.unifi.it/lapei/partecipazionetext.htm
61
CAPITOLO 4
La partecipazione
al processo di
pianificazione
sociale di zona: le
fasi del percorso
elementi di valutazione. Finché il modello dell’allargamento dei processi
decisionali era in fase di consolidamento, è stato sufficiente rilevare la
volontà di cooptazione di nuovi attori nei processi, per validare un processo come di “tipo partecipativo”. Passata la fase iniziale si tende sempre
più ad analizzare la qualità effettiva dei percorsi di collaborazione85. Il
concetto di partecipazione viene quindi articolato in specifici fattori e
analizzato attraverso più dimensioni. Il fenomeno dell’allargamento
dei processi decisionali sta pertanto assumendo un profilo sempre più
multifattoriale e multidimensionale. Per attendere a ciò è necessario
operare sulla base di categorie partecipative opportunamente legate
alla specificità del processo in cui vengono inserite. È quindi necessario
fare chiarezza su quali siano le modalità operative e le condizioni che
rendono la partecipazione alle decisioni pubbliche effettivamente tale.
In altre parole non è sufficiente rilevare le caratteristiche della partecipazione delle OdV alla programmazione sociale di zona, quanto
piuttosto è cruciale comprendere quali siano stati i termini della collaborazione, a che cosa abbiano effettivamente contribuito e soprattutto
quanto del processo decisionale sia stato messo concretamente a disposizione degli organismi.
Non è la stessa cosa dire che le OdV hanno partecipato alla fase di
progettazione di massima degli interventi piuttosto che a quella di
dettaglio. Così come non possono essere posti sullo stesso piano gli
strumenti utilizzati per favorire la partecipazione dei diversi attori.
A seconda della diversa composizione delle formule adottate e dei
piani a cui è stata proposta ed accolta la collaborazione, si profilano livelli d’intervento partecipativo assolutamente dissimili per qualità ed
importanza dei contributi. Inoltre per ciascuna fase del processo di
programmazione (in particolare redazione del PdZ e sua attuazione)86
è importante esaminare gli stili ed i modelli di partecipazione adottati87.
Proprio perché non tutte le fasi hanno uno stesso peso sia in relazione
alla determinazione delle finalità degli interventi (la fissazione degli
obiettivi è sicuramente più centrale rispetto ad esempio all’analisi dei
problemi) sia per ciò che attiene la messa in gioco degli spazi decisionali. Per ciascun momento della programmazione/progettazione possono essere utilizzate formule diverse di partecipazione che, a seconda
degli interessi in campo, rendono più o meno agibili e fruibili i contenuti e gli spazi della stessa compartecipazione. Questo avviene sia a livel85
86
Giulio Borrelli (a cura di), Governance, Libreria Dante e Descartes, Napoli 2004.
AA.VV, La partecipazione dell’impresa sociale: esperienze di programmazione negoziata,
Prospettive sociali e sanitarie, n. 22/2003 - Tav. 1.
87 Ibidem da rapporto Governance.
62
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
lo quantitativo, relativamente alla numerosità dei momenti d’incontro
e di collaborazione, sia a livello qualitativo in riferimento agli strumenti propri della partecipazione88.
L’analisi della partecipazione delle OdV alla programmazione territoriale non può quindi fare a meno di considerare l’insieme di questi
elementi. Alla luce di ciò le ipotesi guida sulla qualità della collaborazione non possono prescindere dall’analisi dei contenuti, delle modalità ma
soprattutto dal posizionamento strategico a cui la partecipazione è
stata proposta e accolta. In sostanza, il coinvolgimento è avvenuto a
monte dei processi di programmazione oppure a valle. E’ stato costante in tutte le fasi oppure ha visto porre in opera stili e contenuti diversi
a seconda della posta in gioco. Interessa cioè fasi specifiche e meno
importanti a livello decisionale oppure interessa l’intero percorso
eventualmente anche con momenti di follow-up.
Tali quesiti aprono il varco al profilarsi di diverse tipologie di partecipazione diversamente composte anche sulla base dalle relazioni e dagli effetti che queste producono sui sistemi di potere istituzionali già esistenti. È il livello delle ricadute percepito e misurato dalle OdV che in questo
caso rappresentano una parte attiva del territorio e non solo un soggetto del partenariato. Trovandosi quindi nella posizione per poter valutare,
attraverso relazioni successive al esperienza di collaborazione, l’efficacia
o meno di un’avvenuta ripartizione degli spazi decisionali89.
Al riguardo è opportuno porre sullo sfondo anche il background partecipativo preesistente alle esperienze di collaborazione in questione, al
fine di comprendere meglio il livello di democrazia istituzionale acquisito e praticato dagli attori territoriali. Anche se questo aspetto è stato toccato soltanto marginalmente dalla ricerca attraverso i focus gruop, è comunque opportuno, almeno a livello teorico, esaminarne le implicazioni.
Generalmente in contesti dove non si rileva la presenza di consolidate procedure democratiche e partecipative da parte delle istituzioni
locali unitamente ad una scarsa presenza di soggetti associativi o più
in generale del Terzo settore, la partecipazione avviene secondo modalità molto informali e tende ad essere piuttosto selettiva delle opinioni e degli attori.
Diversamente in territori in cui sono già in essere procedure partecipative democratiche consolidate e mature, supportate magari dalla presenza di un vivace tessuto associativo e cooperativo, è facile individuare
88 Roland L. Warren, The Interorganizational Field As a Focus of Investigation, “Administrative
Science Quarterly”, December 12, 1967, p. 404.
89 Luigi Bobbio, I progetti territoriali come processi di montaggio, in IRES, Istituto ricerche
economico–sociali del Piemonte, Cento progetti cinque anni dopo: l’attuazione dei principali
progetti di trasformazione urbana e territoriale in Piemonte, Rosenberg & Sellier, Torino, 1995.
63
La partecipazione
al processo di
pianificazione
sociale di zona: le
fasi del percorso
CAPITOLO 4
La partecipazione
al processo di
pianificazione
sociale di zona: le
fasi del percorso
tipologie di partecipazione abbastanza inclusive e strutturate. In questa seconda accezione il problema che si presenta piuttosto frequentemente è
asciugare la partecipazione dalla caratterizzazione di lobbystica90.
In questi casi la collaborazione a livello istituzionale si propone finalità di avvicinamento ai cittadini attraverso una rappresentazione
equilibrata di tutti gli interessi in campo. Nei casi di migliori pratiche il
tentativo è quello di effettuare una sorta di “ridemocratizzazione della
democrazia” attraverso il “perseguimento dell’interesse collettivo” raggiunto e potenzialmente ottenibile grazie alla oculata composizione
del partenariato e ad un ascolto “totale ” delle posizioni e delle istanze
presentate da ciascuno.
Un indicatore del raggiungimento di tale livello è dato dal mettere in
luce e dare voce soprattutto a quegli interessi “scarsamente rappresentati” o addirittura “non rappresentati”.
Infine, la qualità della partecipazione è determinata in larga misura
dal grado di responsabilizzazione affidato, percepito e speso dalle organizzazioni stesse. Mentre la sfera dell’affidamento delle responsabilità
ricade nella competenza del soggetto responsabile dei PdZ di ripartire
ruoli e funzioni tra gli attori, per quanto riguarda invece l’ambito della
percezione e dell’acquisizione degli stessi ruoli, entrano diversamente
in gioco variabili e propensioni che riguardano unicamente le OdV.
Non sempre all’affidamento di un ruolo corrisponde una responsabile acquisizione del medesimo così come organizzazioni potenzialmente pronte a coprire determinati ruoli all’interno del partenariato ne vengono ufficialmente investite91. Tali disallineamenti tra affidamento e acquisizione di responsabilità possono essere in gran parte determinati
dalla volontà effettiva di intraprendere e realizzare concretamente uno
spostamento degli equilibri di potere. Molto spesso tale livello non viene interessato dalla programmazione di zona che si ferma ad un livello
più superficiale lasciando così intonsi i pregressi equilibri e limitandosi a
mettere in gioco aspetti di carattere esclusivamente concertativi.
90 Jürgen Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, vol. I, Il Mulino, Bologna, 1986.
91 Iolanda Romano, “L’azione partecipata tra retorica e sorpresa”, in Pasqui G. (a cura di), La co-
struzione del locale nelle politiche pubbliche del territorio, Istituto universitario di architettura,
Dipartimento di analisi economica e sociale del territorio, Venezia, 1998.
64
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
4.2 Preparazione e avvio del percorso: strumenti e criteri di
collaborazione tra gli attori territoriali
Il momento di avvio ufficiale del partenariato è facilmente individuabile con la convocazione delle organizzazioni, che segna pertanto lo
start up del processo di programmazione. Sebbene, come si ricordava
poco sopra, un aspetto molto importante delle relazioni tra gli attori
all’interno dell’esperienza di collaborazione, è determinato dai rapporti esistenti prima dell’avvio degli interventi, le modalità, i tempi e gli
strumenti di cui si è avvalsi nella fase di inizio del partenariato sono di
grande interesse. È infatti dalle modalità operative di avvio delle esperienze di collaborazione che è possibile comprendere le dinamiche
che si andranno a strutturare nel corso del processo nonché è fattibile
evincere i termini dell’effettivo contributo richiesto alle organizzazioni.
Inoltre tali elementi sono essenziali per comprendere alcune caratteristiche centrali del processo del tipo: livello di formalizzazione, chiarezza, trasparenza e soprattutto grado di inclusività degli interessi presenti nel partenariato. Sono proprio questi criteri che segnano il confine di
effettiva discontinuità con il precedente stile di programmazione degli
interventi sociali e attorno ai quali si possono ravvisare i segnali per
l’avvio di nuove modalità di coinvolgimento degli attori locali così come
disposto dall’articolo 19 della Legge 32892.
Un momento importante è rappresentato dalle azioni di sensibilizzazione e informazione avviate prima del processo di programmazione.
Nello specifico per “preparazione” alla partecipazione, ci si riferisce a
tutte quelle iniziative formative di parte istituzionale o di auto formazione attraverso i CSV o delle stesse organizzazioni o singoli operatori finalizzate alla conoscenza della Legge 328 e del nuovo percorso di programmazione: iniziative informative, seminari di studio, momenti assembleari, incontri con esperti e referenti delle istituzioni.
Il 56,6,% degli intervistati dichiara di non essere stato invitato ad
iniziative preparatorie in fase di programmazione (cfr Allegato A, Tab.
33). Il rimanente 36,1% dichiara di essere stato invitato (6 soggetti
non hanno risposto a questa domanda). Tra le iniziative preparatorie
erogate, quelle più ricorrenti sono state di tipo informativo (40,6%). In
questo caso, tuttavia, è importante sottolineare che hanno risposto solamente 26 soggetti sugli 83 della popolazione campionaria raggiunta
(di cui 41 non hanno partecipato in ogni caso a iniziative di alcun ti92 L’articolo 19 della Legge 328 non dà infatti indicazioni sulla metodologia da utilizzare per l’elaborazione del Piano ed ogni regione ha seguito percorsi caratterizzati da un’ampia autonomia
nell’elaborazione di linee guida, indicazioni metodologiche e priorità specifiche.
65
CAPITOLO 4
Preparazione e
avvio del
percorso:
strumenti e criteri
di collaborazione
tra gli attori
territoriali
po). Nello specifico, le attività formative si sono svolte prima dell’avvio
del piano (14 casi su 26); in 3 casi durante la programmazione. Infine
in 9 casi si sono svolte in entrambi i momenti. Gli altri tipi di iniziative
hanno avuto un’incidenza molto bassa: tra queste, gli incontri con
esperti e/o referenti istituzionali si sono verificati in 16 casi.
Dai dati emerge con chiarezza quanto poco sia stato curato l’aspetto di sensibilizzazione degli attori. Al riguardo è importante sottolineare che le azioni preparatorie hanno un significativo effetto sulla responsabilizzazione delle organizzazioni. Queste attraverso l’acquisizione di informazioni precise e dettagliate circa il contesto partecipativo
che intraprenderanno, riescono ad interiorizzare più facilmente gli
obiettivi strategici del percorso da cui ne consegue una maggiore consapevolezza nella gestione del proprio ruolo.
Le iniziative di preparazione (Grafico 9) sono state organizzate prevalentemente su iniziativa autonoma (33,3%) o da organizzazioni di
secondo livello (Centri di servizio per il Volontariato in particolare) che
hanno contribuito alla preparazione delle iniziative nel 30% dei casi.
Entrambe le modalità rappresentano comunque formule di auto organizzazione della formazione sostenute per giunta da un 23,3% di
eventi organizzati direttamente dalle OdV. L’Ente Pubblico locale ha
marcato una presenza nel 33,3% dei casi. In ciò si rispecchia una tendenza alla polarizzazione tra impulso istituzionale (l’ente che si fa carico) e l’auto formazione del volontariato.
Grafico 9. Soggetti che hanno curato le iniziative preparazione (v. %*)
Enti Pubblici locali
Altre organizzazioni del Terzo settore
Apposita organizzazione costituita da
enti del Terzo settore (CSV)
Organizzazione di volontariato
Autonomamente
0
5
10
15
20
25
(*) Il totale è superiore a 100 in quanto potevano essere date risposte multiple.
Fonte: Dati Isfol.
66
30
35
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
Ciascuna delle fasi salienti del processo di programmazione oltre
che essere indagata a livello quantitativo è stata esplorata in modo
qualitativo attraverso specifici focus group. Al riguardo i focus group,
hanno rappresentato un importante momento per comprendere meglio i fenomeni. Attraverso questo strumento si è voluto ripercorrere
con le OdV, al di là della difformità e della molteplicità delle soluzioni
tecniche adottate nei percorsi programmatori e di progettazione partecipata con il volontariato (assemblee, tavoli tecnici, tavoli tematici e di coprogettazione, coordinamenti e consulte), alcuni momenti che sembravano comuni a tutti: tra questi quello della convocazione da parte
dell’Ente Locale, a seguire la partecipazione alla programmazione in
forme ampie o progressivamente ristrette (sia per gli aspetti squisitamente tecnici che politici), ed infine la fase di attuazione della gestione
dei servizi e degli interventi programmati, incluse le esperienze di monitoraggio e di valutazione del piano. Se tale ricostruzione poteva da una
parte peccare di una eccessiva genericità, sacrificando la diversità delle
esperienze, dei momenti e degli strumenti di partecipazione elaborati, restituiva al tempo stesso la sostanza di un percorso che nasceva per valorizzare e accrescere le forme di sussidiarietà esistenti a livello locale
ed integrarle in un’ottica sistemica che vede l’Ente Locale quale soggetto focale in obiettivi di promozione sociale della comunità. La maggiore
o minore enfasi posta sugli aspetti informativi, consultivi, propositivi e
deliberativi dei luoghi della partecipazione, allargati o ristretti, voleva
ugualmente evidenziare il ruolo che il volontariato si riconosce nell’esercizio di tale processo. Per quanto attiene il momento di preparazione al Piano dal focus group di Lecco si è compreso che la presenza di
momenti formativi di preparazione ha fatto emergere necessità conoscitive più approfondite e che quindi la comprensione della Legge 328
non è un bagaglio sufficiente per intraprendere il percorso di partecipazione. Manca infatti una preparazione specifica su “come instaurare
rapporti con le Istituzioni” come far fronte alle difficoltà di relazionarsi
con la molteplicità degli interlocutori istituzionali (politici, tecnici, amministrativi) e con gli altri soggetti del Terzo settore. È proprio il funzionamento del fitto reticolo di relazioni organizzative che il processo di riforma vuole alimentare a dover essere appreso dagli attori del volontariato. Se ogni sistema di welfare è infatti un “ordine relazionale”93 che, attraverso l’attivazione della collettività, progetta e implementa interventi
nei confronti di chi è portatore di bisogno, il disagio espresso dalle organizzazioni “in tale ordine” è il segnale della necessità di un suo ripensa93 Pierpaolo Donati, La qualità sociale del welfare relazione introduttiva al Convengo internazionale “La Qualità del welfare”, Riva del Garda, 9/10/11 novembre 2006.
67
Preparazione e
avvio del
percorso:
strumenti e criteri
di collaborazione
tra gli attori
territoriali
CAPITOLO 4
Preparazione e
avvio del
percorso:
strumenti e criteri
di collaborazione
tra gli attori
territoriali
mento e di una possibile riconfigurazione. Avere pari dignità di interlocuzione, essere messi in condizione di partecipare attivamente, impegnarsi nello studio e nella formazione, sono alcune delle richieste
espresse dalle organizzazioni nella consapevolezza che occorre una volontà politica reale affinché tali condizioni si sviluppino.
Per quanto attiene, invece, la fase di avvio del processo di collaborazione, dall’elaborazione delle informazioni raccolte emerge che, la
maggior parte delle organizzazioni incluse nel campione (81,9%) sono state raggiunte da almeno una convocazione. Questo dato è chiara
espressione di quanto sia consistente il coinvolgimento delle OdV nella programmazione di zona, da parte delle istituzioni competenti.
Dall’analisi delle modalità di convocazione emergono più in particolare le specifiche formule adottate: nella maggior parte dei casi le
convocazioni sono avvenute attraverso canali formali di tipo scritto, infatti, ricadono in questa tipologia ben l’81% dei casi (Tabella 1). Molto
meno frequenti le modalità a carattere informale in particolare: le convocazioni telefoniche totalizzano un valore del 11,1% mentre il passaparola tra organizzazioni raggiunge complessivamente un valore di
poco superiore al 14%. Solo in misura molto ridotta la convocazione
ha riguardato specifici target di organizzazioni (per es. solo quelle
iscritte al registro del volontariato).
Da quanto detto è chiara la volontà da parte degli Enti Locali di voler intrattenere con le OdV rapporti e di farlo soprattutto con una valenza formale. Ciò può essere interpretato in diverso modo: mentre da
un lato testimonia sicuramente la volontà delle istituzioni a voler ufficializzare la presenza delle organizzazioni nulla dice sulla capacità concreta di volerne condividere spazi decisionali. Anzi un’eccessiva formalizzazione, soprattutto nelle fasi iniziali, può essere sintomatica di necessità di carattere squisitamente istituzionale – come richiesto dai dettami della L. 328 - di verbalizzare la presenza degli attori, senza per questo sancirne un’entrata effettiva nel gruppo di partenariato.
Tabella 1. Modalità di convocazione
Modalità di convocazione
Valori assoluti
In forma scritta da parte dell’Ente
51
Telefonicamente da parte dell’Ente
7
Per passaparola tra OdV
4
Per passaparola tra organizzazioni di Terzo settore
5
Dal Centro Servizi per il Volontariato
4
Val % (*)
81,0
11,1
6,3
7,9
6,3
(*) Il totale è superiore a 100 in quanto potevano essere date risposte multiple.
Fonte: Dati Isfol.
68
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
Come si legge dal Grafico 10 il grado di inclusione delle OdV del
territorio risulta essere piuttosto contenuto, soltanto il 18,8%, almeno
da quanto risulta alle stesse OdV. Diversamente piuttosto elevato il
grado di allargamento alle organizzazioni del Terzo settore che raggiunge il valore del 62,5%. Un dato molto interessante si rileva dall’item relativo all’estensione delle convocazioni a tutte gli organismi
convenzionati con gli Enti Pubblici che presenta un valore del 10,9%.
L’importanza di questa informazione è data dal fatto che evidentemente la fornitura di servizi da parte delle organizzazioni all’Ente
Locale non ha rappresentato un canale privilegiato di accesso al partenariato. Le relazione tra i soggetti hanno comunque avuto un peso significativo nella composizione del gruppo di partner visto che nel
20,3% di casi l’Ente Pubblico ha selezionato accuratamente le OdV
destinatarie di convocazione.
Grafico 10. Estensione delle convocazioni alle altre organizzazioni (percentuali *)
A poche ODV selezionate dall'Ente
Pubblico
Convocazione estesa a tutte le org.
iscritte ad altri registri
Convocazione estesa a tutte le org.
convenzionate con Enti Pubblici
Convocazione estesa a tutte le OdV
iscritte al registro regionale del
Convocazione estesa a tutte le OdV del
territorio
Convocazione estesa a tutte le org. del
Terzo settore
0
10
20
30
40
50
60
70
(*) Il totale è superiore a 100 in quanto potevano essere date risposte multiple
Fonte: Dati Isfol.
In considerazione dell’importanza dell’argomento il tema della convocazione è stato ampiamente dibattuto nel corso dei focus group94.
L’avvio della programmazione di zona poteva essere accompagnato da
94 La partecipazione da parte dell’organizzazione alla processo di programmazione era condizione necessaria alla somministrazione del questionario. Ai focus group sono state presenti, pur
in misura numericamente ridotta, anche organizzazioni che per vari motivi non hanno partecipato alla programmazione.
69
Preparazione e
avvio del
percorso:
strumenti e criteri
di collaborazione
tra gli attori
territoriali
CAPITOLO 4
Preparazione e
avvio del
percorso:
strumenti e criteri
di collaborazione
tra gli attori
territoriali
iniziative preparatorie ed eventualmente formative, finalizzate alla presentazione del percorso, al fine di garantire a tutte le organizzazioni conoscenza e strumenti indispensabili per una partecipazione consapevole.
In particolare nel lavoro dei focus group è emerso che molto spesso risultano convocate solo le grandi organizzazioni o quelle che avevano già una precedente collaborazione con le Istituzioni. Questo dato,
anche se a livello qualitativo, conferma ampiamente le ipotesi di lettura proposte che vedono centrali i rapporti tra le singole organizzazioni
e l’Ente Locale. Al riguardo, da una lettura più approfondita delle informazioni emerge che, in realtà non si tratta di grandi organizzazioni
bensì di organismi ancorati a reti e network nazionali. Questo particolare è un’ulteriore conferma e misura di quanto la dimensione relazionale degli organismi agisca sulla promozione e affermazione degli interessi e delle mission. La dimensione di rete probabilmente ingrandisce
gli orizzonti e la portata degli obiettivi organizzativi con effetto quasi
prevaricante rispetto all’isolamento delle piccole organizzazioni non
affiliate ad alcun network. Sembra così essere penalizzato il contributo
di queste ultime che si caratterizzano comunque per interventi diffusi sul
territorio e progetti in favore di situazioni di marginalità. In assenza di forme di raccordo e rappresentanza comune, l’occupazione di ampi spazi
programmatori da parte delle “grandi” organizzazioni, finisce quindi
per creare divisioni e paradossalmente forme di “emarginazione” nello
stesso mondo della solidarietà organizzata.
4.3 Attuazione e gestione della programmazione sociale: il
contributo delle Organizzazioni di volontariato
Nel momento in cui ci si sposta verso le fasi core della programmazione di zona, come nel caso della partecipazione alla messa a punto del
Piano, si delineano con maggiore chiarezza gli apporti e gli spazi effettivi accordati alle OdV. Centrale al riguardo risulta essere l’analisi delle
attività a cui hanno partecipato gli organismi di volontariato. Come si
legge dalla Tabella 2 la quasi totalità delle organizzazioni hanno partecipato alle fase di preparazione del PdZ date dall’analisi di bisogni e
dalla mappatura delle risorse disponibili, modalità che raggiunge il valore del 92,3%. Molto meno consistente la collaborazione ai momenti
più centrali e strategici del processo di collaborazione quali l’elaborazione delle priorità d’intervento a cui dichiarano di aver partecipato poco
più della metà delle OdV (56,9%). Un valore leggermente superiore si
rileva nel caso di attività riguardanti l’elaborazione di proposte d’inter70
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
vento, modalità, questa che presenta un valore di 69,2%. Molto scarsa
infine l’operatività delle OdV che nel caso di redazione di documenti
dichiarano di aver partecipato nelle percentuale del 27,7 dei casi.
Queste informazioni sostengono abbastanza il quadro sopra delineato
di una possibile partecipazione di carattere prevalentemente formale
delle OdV. Ad una massiccia collaborazione richiesta per momenti
piuttosto interlocutori, dati ad esempio dalla mappatura dei problemi e
dei bisogni, corrisponde un impegno reale molto contenuto misurato
dalla quantità di lavoro di produzione realizzato dagli organismi (elaborazione di documenti). Ciò che viene richiesto al volontariato è, in
buona sostanza, di attingere al proprio patrimonio di conoscenze degli
utenti dei servizi e di trasferirlo nell’ambito del processo di programmazione affinché essa sia più aderente ai reali bisogni della cittadinanza e contribuisca a fornire risposte adeguate.
L’area decisionale più importante data dalla scelta delle priorità e
degli interventi rappresenta una zona grigia nella quale si rileva certo una
significativa presenza degli OdV che non sembra però caratterizzarsi
qualitativamente su particolari livelli di performance, come confermato dal dato sulla produzione di materiali e proposte.
Tabella 2. Attività svolte all’interno del partenariato
Tipologia di attività
Analisi dei bisogni e mappatura delle risorse
Elaborazioni delle priorità
Elaborazioni di proposte intervento
Elaborazioni di piattaforme /o documenti
Valori assoluti
60
37
45
18
Val % (*)
92,3
56,9
69,2
27,7
(*) Il totale è superiore a 100 in quanto potevano essere date risposte multiple.
Fonte: Dati Isfol.
Altro elemento determinante per comprendere il ruolo e la funzione
delle OdV nella programmazione di zona, è sicuramente rappresentato dalla tipologia di partecipazione espressa dagli organismi (Tabella
3). I dati raccolti sono relativi alla percezione delle stesse sull’argomento. Nel 23,4% dei casi il giudizio è assolutamente negativo in considerazione di un ruolo passivo. La modalità più gettonata è rappresentata dal 31,9% di organismi secondo i quali la funzione delle OdV si
è caratterizzata per la propositività, mentre il 30,4% dichiara di aver
avuto un ruolo di tipo consultivo. In certa misura le OdV percepiscono
una funzione vicina all’area più bassa della scala della partecipazione95
95 Sherry R. Arnstein, A ladder of citizen partecipation, in “Journal of American Institute of
Planners”, 1969.
71
Attuazione e
gestione della
programmazione
sociale: il
contributo delle
Organizzazioni di
volontariato
CAPITOLO 4
Attuazione e
gestione della
programmazione
sociale: il
contributo delle
Organizzazioni di
volontariato
prossima cioè alle posizioni di consultazione informazione (37 organismi su 69 esprimono questa posizione)96. A posizionarsi al centro della scala un consistente numero di organismi (22) mentre in cima alla
scala (livelli della condivisione e della democrazia allargata)97 la porzione più esigua (10). Quanto detto delinea abbastanza i margini interpretativi della funzione svolta dalle OdV nella pianificazione sociale:
mentre da un lato si rileva un ampio ricorso alla loro capacità propositiva, alla loro esperienza e conoscenza delle tematiche, dall’altro è in
via di consolidamento un ruolo più ancorato alle messa a punto di
strategie di scelta vere e proprie. Un cammino è stato intrapreso, è forse necessario acquisire e rielaborare gli strumenti ed i mezzi più idonei per migliorare la performance.
Tabella 3. Tipologia di partecipazione al PdZ secondo le OdV
Tipologia di partecipazione
Passiva
Consultiva
Propositiva
Elaborativa
Determinante
Totale
Valori assoluti
16
21
22
9
1
69
Val % (*)
23,2
30,4
31,9
13,1
1,4
100
(*) Il totale è superiore a 100 in quanto potevano essere date risposte multiple.
Fonte: Dati Isfol.
Rispetto agli strumenti (Grafico 11), le organizzazioni intervistate
dichiarano che in fase di programmazione hanno partecipato principalmente ad Assemblee informative (65,8%). Sono generalmente assemblee in cui lo strumento del Piano di zona (in alcuni casi anche la
Legge 328) e il percorso di programmazione vengono formalmente
presentati alle organizzazioni. In tali assemblee non è richiesto apparentemente alcun contributo se non la presenza, l’ascolto e la presa
d’atto da parte delle organizzazioni. Si tratta di una forma di partecipazione richiesta al volontariato legata alla comunicazione di informazioni, ma priva di qualsiasi confronto sui contenuti, potenzialmente carica
invece di marketing istituzionale. Seguono le Assemblee consultive,
con richiesta di parere da parte dell’ente (46,1%) e quelle elaborative,
con accoglimento di proposte sempre da parte dell’ente (42,1%).
Anche in questo la tipologia di partecipazione richiesta alle OdV assume un profilo piuttosto basso come confermato dal valore della modalità “Assemblee a carattere decisionale” che ha totalizzato una percen96 Ibidem
97 Ibidem
72
pag. 219.
pag. 224.
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
tuale di appena il 10,5% dei casi. Ampi spazi vengono invece accordati al volontariato nel quadro più generale della consultazione e dell’informazione che poco hanno a che vedere con le ben più complesse
forme di partecipazione attiva. Riguardo invece alle modalità di collaborazione si rileva un ampio ricorso a Tavoli tematici o riunioni ristrette
che assumono una diversa connotazione a seconda dei contenuti in
discussione. Anche in questo caso è ampia la partecipazione degli
OdV a Tavoli a carattere informativo (35,5%) e consultivo (31,6%). Un
dato piuttosto interessante si rileva nella partecipazione a Tavoli finalizzati all’elaborazione di proposte che totalizza il valore più alto con il
40,8% dei casi. Ancora una volta molto ristretti i margini di apertura
verso spazi decisionali effettivi, solo il 10,5%.
Grafico 11. Strumenti e modalità di partecipazione (v. % *)
Tavoli tematici o riunioni ristrette
decisionali
Tavoli tematici o riunioni ristrette
propositive elaborative
Tavoli tematici o riunioni ristrette
consultive
Tavoli tematici o riunioni ristrette
informative
Assemblee decisionali
Assemblee elaborative
Assemblee consultive
Assemblee informative
0
10
20
30
40
50
60
70
(*) Il totale è superiore a 100 in quanto potevano essere date risposte multiple.
Fonte: Dati Isfol.
Anche gli aspetti della partecipazione alla messa del PdZ sono stati
affrontati nei focus group. L’analisi del materiale raccolto nel corso dei
focus conferma la residualità degli aspetti decisionali: l’apporto del
mondo della solidarietà organizzata sembra fermarsi a ruoli più formali che sostanziali. Il quadro è quello di una programmazione già stabi73
Attuazione e
gestione della
programmazione
sociale: il
contributo delle
Organizzazioni di
volontariato
CAPITOLO 4
Attuazione e
gestione della
programmazione
sociale: il
contributo delle
Organizzazioni di
volontariato
lita a monte di decisioni già prese sulle quali è richiesta una pubblica “ratifica”. Ciò nonostante le Organizzazioni di volontariato apprezzano il
riconoscimento del ruolo loro affidato. Tale ruolo è molto incentrato
su apporti relativi alla lettura dei bisogni, alla mappatura delle risorse e
dei servizi esistenti, oltre all’individuazione di alcune priorità di intervento, non visibili a livello istituzionale. I contributi forniti in questi ambiti sono ampiamente valorizzati dalle OdV che ne riconoscono l’importanza e senza i quali la programmazione territoriale, così come
concepita dalla Legge di riforma, perderebbe slancio e sostanza. Ma
l’aspettativa generata dal processo di programmazione fa nascere anche
una riflessione sul significato della partecipazione e sulle sue modalità
di espressione e realizzazione.
Si avverte l’aleatorietà del percorso così come si è sviluppato ed al
tempo stesso la sua necessità: “Il Terzo settore sta crescendo. Non gli si
chiede solo di erogare servizi ma di partecipare alla governance del
sistema”98. Manca però l’individuazione di luoghi e strumenti, di regole, di significati condivisi. La partecipazione non può ridursi al semplice
“proceduralismo” della macchina amministrativa senza connotarsi per
una reale dimensione partecipativa. D’altra parte anche il mondo della
solidarietà organizzata non si considera esente da critiche. In alcuni
casi infatti esso privilegia il tradizionale approccio di interlocuzione diretta con l’Ente Pubblico e la presentazione di una “lista della spesa”99,
a scapito di un effettiva progettualità comune. È questa una modalità
perdente “un po’ indotta, un po’ accettata”100 dal volontariato, che presta il fianco ad una visione strumentale del suo contributo alla programmazione sociale, privilegiando l’antica funzione di supplenza e
contenimento dei costi. Il binomio servizi contro finanziamenti in assenza di una progettualità condivisa, meglio definita dai partecipanti
dei focus “mutuo adattamento”101 fa sì che, al suo riemergere, lo strumento del Piano sia svuotato di significato e perda credibilità.
Sul fronte della stabilità partecipativa delle OdV alla programmazione è stata esplorata la tipologia d’incarico utilizzata. Il 74,7% di organizzazioni nomina un rappresentante stabile a fronte di un 7,2% di enti che si caratterizzano per una presenza occasionale (Tabella 4).
Questo denota una significativa volontà da parte delle OdV ad investire nella programmazione territoriale.
98
99
Focus group di Lecco.
Focus group di Lucca.
100 Ibidem.
101 Costanzo Ranci, Le sfide del welfare locale. Problemi di coesione sociale e nuovi stili di
governance reperibile sul sito www.lps.polimi.it
74
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
Attuazione e
gestione della
programmazione
sociale: il
contributo delle
Organizzazioni di
volontariato
Tabella 4. Nomina di rappresentati all’interno dell’organizzazione
Tipologia d’incarichi
Rappresentante incaricato stabilmente
Rappresentante incaricato di volta in volta
Non risponde
Totale
Valori assoluti
62
6
15
83
Val % (*)
74,7
7,2
16,9
100
% Valide
91,2
8,8
100
Fonte: Dati Isfol.
L’ipotesi è confermata dai dati relativi alla richiesta di riscontri ai
rappresentanti incaricati circa l’andamento dei lavori all’interno del
partenariato. Nella maggior parte dei casi (63,9%) sono state attivate occasioni di incontro e di riflessione su questo tema all’interno dell’organizzazione e nel 65,1% dei casi i rappresentanti nominati sono stati
chiamati ad aggiornare sull’avanzamento dei lavori. Al riguardo le informazioni che provengono dai focus gruop sottolineano che i numerosi impegni in cui le Organizzazioni di volontariato si vedono progressivamente coinvolte comportano un allargamento degli spazi di partecipazione al proprio interno e un processo di delega maggiore: “prima
era solo il presidente a girare”102 . L’investimento che il volontariato fa
sulla partecipazione stimola quindi fortemente il processo di crescita e
la formazione dei propri componenti103.
Inoltre il 36,1% delle organizzazioni dichiara che i rappresentanti
incaricati hanno ricoperto funzioni di portavoce per conto di altre organizzazioni. In alcuni casi (16) sono stati organizzati momenti di confronto con altre organizzazioni. Ma a giudizio degli intervistati la rappresentanza è stata poco incisiva (38 casi), per 15 ha inciso abbastanza e soltanto per 9 organizzazioni è stata molto incisiva. Sempre per la
stessa cifra questa non ha influito per nulla.
Il tema della rappresentanza (Tabella 5), della funzione e del peso
che questa assume è molto sentito dal volontariato, al punto che tra coloro che provvedono a organizzare forme di rappresentanza il 49,4%
percepisce il proprio ruolo come funzionale all’insieme delle OdV.
Questo presupporrebbe un superamento della presentazione di “interessi meramente organizzativi” per arrivare ad una visione molto ampia di
interesse collettivo. In tal senso anche le specificità dell’utenza verrebbero superate per attendere ad una affermazione “comune e generalistica”
di utilità collettiva. La rappresentanza unitaria e il superamento delle visioni “particolaristiche” hanno comunque una buona fetta di scettici (28
102
103
Focus group di Pisa.
Ibidem.
75
CAPITOLO 4
Attuazione e
gestione della
programmazione
sociale: il
contributo delle
Organizzazioni di
volontariato
organizzazioni) che esprimono completa sfiducia nella rappresentazione di interessi super partes e tendono viceversa a privilegiare un approccio che pone al centro gli interessi delle singole organizzazioni.
Tabella 5. Rappresentanza della istanze
Carattere delle istanze
Della generalità delle organizzazioni
Della propria organizzazione
Non risponde
Totale
Valori assoluti
41
21
21
83
Val %
49,4
25,3
25,3
100
% Valide
66,1
33,9
100
Fonte: Dati Isfol.
Sul tema dalle informazioni rese nei focus group sembra prevalere
l’approccio particolaristico fatto di diffidenze reciproche, competitività e
gelosie di mestiere, oltre a difficoltà di rapporto del volontariato con
gli organismi di Terzo settore. Queste ultime strutturalmente più forti e
attrezzate rappresentano per il volontariato una concorrenza “sleale”
ai tavoli di programmazione, soprattutto quando non viene chiarita la
specificità dell’apporto che ciascuno è tenuto a dare. Emerge così tutta
l’ambiguità, insita nello stesso processo di programmazione, data dalla necessità di gestire servizi che si è contribuito a programmare, fino al
palese equivoco: “ci dicevano sempre che non c’erano soldi quindi
per noi era importante partecipare per ottenere i finanziamenti”104.
4.4 Gli effetti dell’esperienza di partecipazione sulle Organizzazioni
di volontariato
La partecipazione alle diverse fasi della programmazione sociale
posta in essere dalle OdV, ha delle inevitabili ricadute sull’organizzazione interna degli stessi organismi così come sugli equilibri e sull’assetto delle relazioni tra gli attori locali. Tali effetti devono inevitabilmente
essere valutati e letti alla luce di più fattori. Primo tra tutti il raggiungimento o meno degli obiettivi posti dal nuovo scenario normativo di riforma della programmazione sociale. Da ciò è facilmente deducibile il
livello qualitativo dello stessa pianificazione sociale. Come ricordato,
le esperienze di partecipazione esaminate hanno volutamente sullo
sfondo una programmazione territoriale di livello medio-alto che in alcuni casi tocca l’eccellenza. È allora possibile addentrarsi nell’analisi
104
76
Focus group di Padova.
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
degli effetti potendo contare su un buon livello di raggiungimento dei
principali obiettivi.
Teoricamente è possibile presupporre che effetti positivi siano direttamente proporzionali alla centralità avuta dalle OdV nelle diverse
fasi di realizzazione del processo di pianificazione. Laddove quindi si
presenti un significativo impegno ed un ruolo attivo in tutte le fasi del
processo, si presuppone possano esserci importanti ricadute soprattutto sul fronte degli effetti interni alle organizzazioni. Diversamente,
ricadute marginali si presuppone siano legate ad un ruolo residuale
(del tipo consultivo-informativo più volte citato).
Per quanto riguarda invece la capacità delle OdV di valutare gli impatti della programmazione sul territorio, è importante connettere tale
opportunità con la capacità propria dei singoli organismi di porsi in relazione attiva con il sistema locale. Nonostante la posizione strategica
dei soggetti del volontariato dia questa possibilità a ciascun organismo, intervengono molti fattori capaci di drenare una corretta e obiettiva lettura dei contesti. Tra questi certamente, la dimensione organizzativa, la tipologia di target e i settori d’intervento.
Dall’analisi delle informazioni raccolte su tali aspetti le OdV intervistate, pur avendo investito energie e risorse nella pianificazione sociale hanno preso parte alle fasi di attuazione del PdZ, soltanto per una
parte contenuta del campione d’indagine (Tabella 6).
In particolare, solo il 43,4% delle organizzazioni hanno continuato la
collaborazione con incontri successivi alla fase di progettazione, a
fronte di poco meno della metà degli organismi interessati (49,4%)
che ha partecipato esclusivamente alle fasi di stesura dello stesso.
Questo dato conferma un coinvolgimento delle OdV all’interno della
programmazione territoriale fortemente incentrato su contributi afferenti alla definizione dei fabbisogni. Evidentemente al volontariato
non viene ancora riconosciuto un ruolo effettivo nella realizzazione e
gestione dei servizi.
Tabella 6. Partecipazione a incontri successivi dopo la stesura del piano
Nessun incontro
Si
Non risponde
Totale
Valori assoluti
36
41
6
83
Val %
43,4
49,4
7,2
100
% Valide
46,8
53,2
100
Fonte: Dati Isfol.
77
Gli effetti
dell’esperienza di
partecipazione
sulle
Organizzazioni di
volontariato
CAPITOLO 4
Gli effetti
dell’esperienza di
partecipazione
sulle
Organizzazioni di
volontariato
Tra le organizzazioni interessate alle fasi post-progettazione il profilo della partecipazione sembra essere piuttosto basso (Grafico 12). Il
55,2% dichiara di aver proseguito la collaborazione a livello esclusivamente informativo e il 69% in occasione del monitoraggio del Piano.
Poco consistente l’adesione a momenti di verifica sulle attività programmate (20,7%) e ancor meno a occasioni di programmazione intermedia per lo sviluppo di nuove fasi o per la riformulazione del Piano
stesso (10,3%). Infine, solo il 30,1% delle organizzazioni dichiara di
aver realizzato o dover realizzare specifiche attività o progetti inseriti
nel Piano. La scarsità dei fondi o la loro drastica riduzione sembra aver
minato105 il processo di programmazione, soprattutto in relazione agli
aspetti di attuazione degli interventi. Inoltre, i tempi lunghi del percorso di programmazione non si conciliano facilmente con le urgenze
dell’operatività che caratterizza il vissuto della maggior parte delle organizzazioni. Queste ultime si nutrono di un orizzonte ideale che privilegia la dimensione del fare e fatica a trovare nell’ambito della programmazione una giusta modulazione. Infine, la scarsa chiarezza sull’ammontare delle risorse finanziarie disponibili e la loro progressiva riduzione contribuisce al sospetto di scrivere “libri dei sogni”106.
Grafico 12. Tipologia di attività svolte nelle fasi post progettazione (v. % *)
Riformulazione del Piano
Momenti di verifica
Monitoraggio dello svolgimento del Piano
Informazioni sullo stato dell'arte
Altro
0
10
20
30
40
50
60
(*) Il totale è superiore a 100 in quanto potevano essere date risposte multiple.
Fonte: Dati Isfol.
105 Focus group di Lecco
106 Focus group Lecco.
78
e Salerno
70
80
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
Nonostante il profilo della partecipazione sia collocabile ad un livello prossimo alla consultazione, il processo di partecipazione ha comunque indotto interessanti percezioni di crescita in una significativa parte
delle organizzazioni intervistate. Un numero consistente di organizzazioni, circa un terzo, dichiara di aver percepito importanti ricadute positive sulla vita dell’organizzazione stessa e sulla crescita dei suoi aderenti volontari. Tale percezione cambia invece radicalmente se lo sguardo si
allarga alle ricadute sul territorio e la collettività che appaiono scarse.
Le segnalazioni più importanti (Grafico 13) riguardano in particolare
i miglioramenti nella conoscenza dei quadri istituzionali pubblici del
territorio, a partire da quelli inerenti le Istituzioni preposte alla programmazione di zona. Il 42,2% degli organismi sostiene infatti di aver
percepito un miglioramento nella conoscenza del quadro istituzionale a
seguito dell’esperienza di partecipazione intrapresa. Tale evidenza sottolinea che, nonostante le diverse difficoltà dichiarate proprio nella comunicazione, nell’interazione e nella collaborazione con l’Ente Locale
durante le fasi della programmazione, è comunque cresciuta la conoscenza del sistema pubblico da parte di un volontariato abitualmente
assorbito dal rapporto diretto con i destinatari dei propri interventi e
più raramente coinvolto in rapporti strutturali e continuativi di collaborazione in rete con le strutture pubbliche di servizio socio-sanitario assistenziale.
Anche se una significativa porzione di OdV giudica positivamente
l’esperienza, resta sempre un’area grigia rappresentata da un 6% di
loro che ne hanno un giudizio negativo, seguita da un consistente
33,7% che considerano la stessa conoscenza invariata. A quest’ultimo
gruppo si ipotizza appartengano quelle organizzazioni, che avendo
con l’Ente Pubblico rapporti precedenti all’esperienza della partecipazione alla programmazione, possedevano già un quadro istituzionale
chiaro. In alcuni territori, laddove la cooperazione negli interventi cresce
molto lentamente, gli eventi connessi alla partecipazione e alla pianificazione sociale di contro, possono aver costituito una spinta significativa ad una migliore interazione fra i due sistemi.
Altro dato significativo e correlato al precedente riguarda la percezione da parte di un 32,5% di organizzazioni circa la crescita del senso
di cittadinanza dei volontari (Grafico 13). Si tratta di un indicatore delle potenzialità, spesso percepite ma poco documentate, di esprimere significativi profili di responsabilità civile nell’azione volontaria. In questo caso le OdV possono contare su una sorta di “riscontro interno”
avendo la possibilità di misurare l’aumento del senso di cittadinanza
dei propri appartenenti secondo modalità di coinvolgimento dell’inte79
Gli effetti
dell’esperienza di
partecipazione
sulle
Organizzazioni di
volontariato
CAPITOLO 4
Gli effetti
dell’esperienza di
partecipazione
sulle
Organizzazioni di
volontariato
Grafico 13. Ricadute a seguito della partecipazione alla pianificazione zonale
(V. % *)
Budget a disposizione dopo l’esperienza di partecipazione
Numero di operatori remunerati dopo l’esperienza di partecipazione
Numero volontari dopo l’esperienza di partecipazione
Tempi d’impegno richiesti dopo l’esperienza di partecipazione
Qualificazione degli operatori dopo l’esperienza di partecipazione
Qualità delle prestazioni erogate dopo l’esperienza di partecipazione
Motivazioni dei volontari dopo l’esperienza di partecipazione
Partecipazione dei membri dopo l’esperienza di partecipazione
Comunicazione interna dopo l’esperienza di partecipazione
Migliore organizzazione dopo l’esperienza di partecipazione
Senso di cittadinanza dei volontari dopo l’esperienza di partecipazione
Conoscenza del quadro istituzionale di riferimento dopo l’esperienza di
partecipazione
0
Non risponde
10
Diminuzione
20
Invariato
30
40
50
60
70
80
Aumento
(*) Il totale è superiore a 100 in quanto potevano essere date risposte multiple.
Fonte: Dati Isfol.
ra organizzazione. Il contatto e la partnership con l’Ente Pubblico può
accrescere ed amplificare gli aspetti di responsabilizzazione e cittadinanza dell’agire volontario nella misura in cui il volontario riesce con
successo a trasferire il proprio patrimonio di conoscenza ed esperienze
e farne strumento che orienti le politiche.
Per quanto attiene la percezione di miglioramenti nei piani e nei criteri organizzativi delle rispettive realtà di appartenenza la situazione si
presenta più sfumata. Soltanto il 22,9% rileva dei miglioramenti a fronte di un consiste 56,6% che non rileva nessun significativo mutamento.
Il dato è in un certo senso sorprendente rispetto ai diversi segnali di
carenze organizzative emersi nella descrizione di tutto il processo e
spesso attribuiti sia all’ente promotore che al difficile processo della
rappresentanza. Eppure le diseconomie organizzative sembrano sussistere continuando a rappresentare probabilmente uno dei nodi cruciali del processo di programmazione. In tal senso le OdV percepiscono il proprio percorso di crescita organizzativa interna, come lambito
80
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
soltanto dall’esperienza di partecipazione. Ciò fa presupporre sia necessario un consolidamento delle pratiche partecipative per poter attendere ad un effettivo livello di sviluppo. Sul piano delle difficoltà organizzative attribuite all’Ente promotore della pianificazione sociale,
ha probabilmente inciso il profilo partecipativo prestato dagli organismi. I livelli di informazione e consultazione non sono stati sufficienti a
consolidare la propria posizione all’interno del complesso reticolo di
relazioni e di procedure.
Sul piano della comunicazione interna l’impatto sulle organizzazioni sembra essere più positivo. Il 26,5% giudica ci siano stati dei miglioramenti a seguito della partecipazione all’esperienza di pianificazione sociale, sempre però diluito da un 56,6% che non ha alcun riscontro in merito. Al riguardo si ipotizza che la numerosità e la complessità di rapporti con cui le organizzazioni sono venute a contatto possano aver
funzionato da “camera di compensazione” rispetto alla problematiche
di comunicazione interna. Oltre ad una funzione drenante rispetto ai
conflitti interni all’organizzazione, il contesto partecipativo può aver
rappresentato inoltre, un luogo per l’acquisizione di nuove pratiche e
strumenti di comunicazione. Il tutto ha comunque inciso proficuamente sia sull’aumento dei flussi comunicativi interni alle singole OdV
sia rispetto alla creazione di occasioni di confronto e discussione con le
altre organizzazioni del territorio.
Decisamente più ridotto l’impatto sulla partecipazione dei membri.
Non si rileva infatti in modo significativo un aumento della partecipazione interna con percentuali del 16,9%, ampiamente superato da un
65,1% di organismi che percepiscono la situazione come invariata.
Questo può in qualche modo essere spiegato dalle specifiche modalità di partecipazione attuate dalle singole OdV. Nella maggior parte dei
casi questa è stata limitata a poche persone fisiche (si ricordi che la
gran parte ha nominato membri stabili). Mentre ciò ha sicuramente
influito positivamente sulla stabilità della partecipazione non ha però saputo scatenare quell’effetto di trascinamento potenzialmente ottenibile da una partecipazione diffusa e casuale.
Tale ipotesi è confermata dal dato relativo all’aumento delle motivazioni dei volontari a seguito della partecipazione al PdZ. Soltanto
una quota contenuta di organizzazioni ritiene che esista una relazione
tra i due fattori (22,9%) a fronte di un considerevole 57,8% di organismi
che non notano nessuna differenza rispetto alla situazione pregressa.
Nonostante ciò, una percentuale più consistente percepisce un
miglioramento della qualità delle prestazioni erogate (26,5%) affiancata da poco più della metà delle organizzazioni che non rilevano al81
Gli effetti
dell’esperienza di
partecipazione
sulle
Organizzazioni di
volontariato
CAPITOLO 4
Gli effetti
dell’esperienza di
partecipazione
sulle
Organizzazioni di
volontariato
cun cambiamento su questo versante (54,2%). Tale dato è probabilmente da porre in relazione con il significativo aumento del senso di
cittadinanza dei volontari (32,5%). Viste le peculiarità dell’azione dei volontari questo finisce per avere degli effetti anche sulla qualità delle
loro prestazioni.
A conferma di questa ipotesi le informazioni relative alla qualificazione degli operatori. La percezione di miglioramenti in tal senso è più
bassa della precedente (22,9%). Evidentemente quindi gli effetti di incremento della qualità non sono determinati tanto da una maggiore
qualificazione professionale degli operatori quanto piuttosto da una
loro capacità di mettersi più in gioco.
Viceversa crescono diffusamente i tempi d’impegno richiesti ai volontari. Il 43,4% delle OdV dichiara infatti di aver rilevato un aumento degli impegni orari dei volontari. Sulla valutazione di questo dato occorre
però fare molta attenzione. Man mano che le organizzazioni crescono
e consolidano la propria mission sia rispetto agli utenti che verso il territorio, è conseguenza naturale che ci sia un incremento dei tempi di
lavoro per i propri componenti. Al riguardo è da considerare con cautela la relazione posta tra i due fattori. Non si può certo negare che gestire un maggior numero di relazioni territoriali tra cui quella molto impegnativa con l’Ente Locale, determini la necessità di più disponibilità di
tempo. È però necessario ponderare questo fattore alla luce del naturale incremento dei tempi di lavoro determinato dalla crescita organizzativa delle singole OdV, dopo un periodo di assestamento dei propri interventi. Non è detto poi che questi due elementi non siano andati di pari passo. Ovvero la partecipazione di ciascuna OdV al percorso di programmazione ha probabilmente coinciso con un momento di maturazione della stessa magari in via di ulteriore consolidamento.
Nonostante la crescita degli impegni lavorativi, non corrisponde un
aumento del numero di volontari. Soltanto il 15,7% delle organizzazioni rileva un potenziamento numerico delle risorse umane a fronte del
64% circa che non osserva alcuna variazione. Il problema del tempo e
delle risorse umane e finanziarie, insieme alla necessità di un accompagnamento attraverso percorsi formativi appropriati sembra essere nodale rispetto alla reale possibilità per il volontariato di partecipare e “contare”107. La partecipazione richiede infatti tempo, apprendimento e risorse108. Questo sembra quindi essere un altro dei nodi focali che la
partecipazione alla pianificazione di zona non ha quasi intaccato.
107 Focus group
108 Ibidem.
82
di Lecco, Padova e Pisa.
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
Così come non aumenta il numero complessivo dei volontari altrettanto si osserva rispetto allo specifico ambito dei volontari che percepiscono emolumenti economici. Al riguardo la partecipazione sembra
aver interessato questo ambito in misura ancora minore. Soltanto il
4,6% di OdV sostiene di aver notato un aumento di questo particolare
profilo di operatori, dato ampiamente commentato dal 71,1% di sostanziale invarianza. Al pari di quanto sostenuto per il contesto più generale dei volontari, il problema delle risorse umane impegnate nella
realizzazione delle attività non è stato significativamente toccato dall’incremento delle relazioni e dal profilo di maggiore centralità territoriale delle OdV.
Tanto più che le condizioni di budget delle organizzazioni non
avrebbero consentito un incremento in tal senso. Infatti ben il 13,3%
ritiene ci sia stata una diminuizione delle risorse economiche dopo
l’esperienza di partecipazione e soltanto uno scarso 11% rileva un aumento. Tale dicotomia in parte si spiega con l’articolazione dei progetti inseriti all’interno del PdZ. Quest’ultimo ha la funzione di assorbire al
suo interno la maggior parte degli interventi sociali a livello territoriale.
Pertanto, tutte le organizzazioni che non hanno avuto un ruolo di gestione di specifiche attività o interi progetti (si ricorda che le OdV in tale situazione sono il 59% sul totale) hanno indubbiamente risentito delle
minore quantità di finanziamenti in circolazione. La percentuale di coloro che hanno avuto accesso alla implementazione degli interventi
previsti nel PdZ (10,8% dichiarano siano aumentate le risorse a fronte
di un 30% di organizzazioni che sostengono di aver preso parte alla
realizzazione del Piano) sembrerebbe poter ipotizzare che l’impegno
profuso dalle OdV nell’attuazione degli interventi non sia stato sostenuto da altrettante risorse sul piano economico.
4.5 Le ricadute della programmazione sociale sulle relazioni tra gli
attori locali
Gli effetti dell’esperienza di collaborazione non esistono ovviamente soltanto a livello delle singole organizzazioni. In considerazione della portata e dei contenuti dati dal nuovo assetto della programmazione
sociale questa non manca di riverberarsi sul complesso delle relazioni
tra gli attori locali. Le OdV rappresentano in tal senso, soggetti privilegiati nel percepire, valutare e dare conto degli effetti della programmazione partecipata. Il volontariato infatti, potendo contare su relazioni dirette e constanti con ampie e diversificate fasce di utenza, riesce a co83
Gli effetti
dell’esperienza di
partecipazione
sulle
Organizzazioni di
volontariato
CAPITOLO 4
Le ricadute della
programmazione
sociale sulle
relazioni tra gli
attori locali
gliere agevolmente i mutamenti in atto nel contesto sociale. Anche il
ruolo, la funzione e la particolare posizione degli stessi volontari a cavallo tra l’impegno sociale e una dimensione di cittadinanza attiva, li
rende particolarmente recettivi nel valutare il complesso sistema di relazioni al centro del quali sono posti.
Al riguardo è interessante notare che ben il 73,8% degli organismi rileva un miglioramento nella percezione dei bisogni sociali del territorio
ed una generalizzata crescita dei rapporti tra gli attori territoriali
(Grafico 14). Il 73,8% osserva miglioramenti con le organizzazioni soggetti del Terzo settore, il 44,3% con gli enti privati e il 55,7% direttamente con l’Ente Pubblico locale. Molto significativa anche la crescita dei
rapporti con le altre Organizzazioni di volontariato indicate nel 63,9% di
casi.
Grafico 14. Ambiti di miglioramento a seguito dell’esperienza di partecipazione
(v. %*)
Ha risposto a tutte le modalità
Offerta dei servizi sul territorio
Rapporti con altre realtà di
volontariato
Rapporti con Enti e Istituzioni
Locali Pubblici
Rapporti con Enti e Istituzioni
Locali Privati
Rilevazione problemi/bisogni
sociali del territorio
Rapporti con realtà del Terzo settore
0
10
20
30
40
50
60
70
80
(*) Il totale è superiore a 100 in quanto potevano essere date risposte multiple.
Fonte: Dati Isfol.
Dai dati a disposizione sembra quindi che il confronto con le altre
organizzazioni ed enti comporta un accrescimento del sapere dei singoli e l’elaborazione di una visione più articolata dei bisogni e delle dinamiche del territorio. Solo in seconda battuta, compaiono segnali di
crescita con gli enti del territorio e più in generale con le diverse realtà
operanti a livello locale.
Per quanto concerne le ricadute innovative (Tabella 7), l’opinione
degli intervistati delinea una situazione non priva di contraddizioni. Se
da un lato sono aumentati i contatti tra i soggetti del territorio, la reci84
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
proca conoscenza e le comunicazioni tra Istituzioni e Enti (10,8%) con
un significativo aumento di atti formali (12%); dall’altro non si rilevano
altri cambiamenti sostanziali. Le percentuali più alte vengono infatti riscontrate tra i non risponde (25,3%) e coloro che non rilevano nessun
effetto innovativo (18,1%). Sembra quindi esserci una frattura tra
l’ambito dei generici “miglioramenti” e quello più specifico “dell’innovazione”. Mentre dal contatto con gli altri soggetti territoriali se ne traggono spunti per l’ampliamento di nuove opportunità di relazione,
sembrerebbe che queste non vengano colte altrettanto efficacemente
allorquando si tratta di consolidarle strutturalmente.
Tabella 7. Ricadute innovative sui soggetti del territorio
Tipologia di ricaduta
Valori assoluti
Attivazione di un tavolo di concertazione
3
e analisi dei fabbisogni
Migliore comunicazione tra OdV
4
Migliore comunicazione tra Enti e Istituzioni
9
Nascita di nuove strutture
6
Nessuna
15
Migliore partecipazione dei cittadini
2
Conoscenza di nuove realtà
9
Da verificare
3
Attivazione di nuovi protocolli d’intesa
10
Non so
1
Non risponde
21
Totale
83
Val %
3,6
% Valide
4,8
4,8
10,8
7,2
18,1
2,4
10,8
3,6
12,0
1,2
25,3
100
6,5
14,5
9,7
24,2
3,2
14,5
4,8
16,1
1,6
100
Fonte: Dati Isfol.
Più indicativo il dato inerente la crescita delle relazioni con il resto
del volontariato (Grafico 15). Le organizzazioni che indicano un aumento della comunicazione tra le OdV sono l’88,7% seguite dal 64,2%
che riscontrano un crescita dei collegamenti ed infine il 35,8% che percepisce un incremento delle reti di coordinamento. Sebbene il dato di
crescita dei collegamenti sia meno consistente rispetto a quello della
comunicazione, ciò denota tuttavia, che sulla base di una migliore comunicazione cresce inevitabilmente anche il piano dei collegamenti.
La ridotta presenza di organismi che segnalano uno sviluppo dei
piani di coordinamento è altrettanto un indicatore di un processo
che, grazie alla maggiore frequentazione fra OdV, arriva anche a interessare i livelli più alti e significativi dell’integrazione fra soggetti.
Meno rassicuranti sono, per concludere, le indicazioni delle OdV
intervistate circa le ricadute innovative da esse percepite nella vita del
territorio interessato dalla pianificazione sociale. I dati più apprezzati so85
Le ricadute della
programmazione
sociale sulle
relazioni tra gli
attori locali
CAPITOLO 4
Le ricadute della
programmazione
sociale sulle
relazioni tra gli
attori locali
Grafico 15. Crescita dei rapporti tra OdV dopo la partecipazione al PdZ
Coordinamenti
Comunicazione
Collegamenti
Fonte: Dati Isfol.
no stati quelli relativi alla crescita della conoscenza e della comunicazione e della cooperazione fra le realtà del Terzo settore segnalate rispettivamente da non più di una decina di organizzazioni per ciascuna.
Meno frequente è la crescita della cultura locale della cittadinanza (cfr
Allegato A Tab. 27) e di una reale incidenza sul disagio sociale a seguito della programmazione stessa (cfr Allegato A Tab. 28). Altrettanto significativo il dato sulla assenza di ricadute positive indicato da circa un
quarto delle organizzazioni rispondenti.
In pratica, tali segnalazioni evidenziano una percezione non particolarmente positiva di ricaduta sul piano cittadino degli eventi legati
alla programmazione sociale: ne deriva uno scenario di grandi e faticose manovre attivate che lascia soltanto intravedere un’effettiva integrazione tra gli attori anche se la ristretta cerchia degli addetti al mestiere dimostra di aver beneficiato di misura.
Lapidario si rivela il giudizio sulle ricadute della programmazione sociale sulla qualità della vita locale: due terzi infatti delle organizzazioni rispondenti dichiarano che le ricadute sono state scarse (cfr Allegato A Tab. 29).
In sintesi, il processo di partecipazione alla programmazione sociale viene letto dalle OdV come un investimento faticoso seppure si riscontrino risultati apprezzabili sia all’interno degli stessi circuiti del volontariato sia rispetto al più ampio ambito del Terzo settore. Purtroppo
risultati meno evidenti vengono ravvisati nella più generale cittadinanza. Con l’eccezione di una ricaduta positiva sull’assetto istituzione (cfr
Allegato A Tab. 30) per oltre il 50% delle organizzazioni ed un contributo alla valorizzazione delle risorse locali (cfr Allegato A Tab. 31) per circa un terzo dei rispondenti.
86
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
Dal bilancio complessivo che le organizzazioni provano a tracciare
(Tabella 8) se ne trae un quadro comunque positivo. Il 33,7% ha infatti un
giudizio positivo seppure necessiti di margini di miglioramento.
Viceversa il 16,9% fa un bilancio negativo e il 6% si trova in una situazione di sospensione di giudizio similmente al 11% circa di quanti non rispondono. Significativo, invece, il dato relativo al 13,3% di coloro che
sottolineano la scarsa influenza decisionale avuta nel corso del processo.
Tabella 8. Bilancio complessivo dell’esperienza di partecipazione
Atteggiamenti
Negativo
Positivo/da migliorare
Discreta partecipazione tavoli tematici
Scarsa influenza decisionale
Maggiore attenzione alle istanze dell’utenza
Associazioni non in linea con le istituzioni
Utile allo sviluppo di reti
Da verificare
Difficoltà ad implementare quanto progettato
Positivo, ma conquistato con fatica
Non risponde
Totale
Valori assoluti
14
28
3
11
3
2
4
5
3
1
9
83
Val %
16,9
33,7
3,6
13,3
3,6
2,4
4,8
6,0
3,6
1,2
10,8
100
Fonte: Dati Isfol.
Al riguardo è importante valutare l’effettivo raggiungimento degli
obiettivi insiti nei Piani di zona. Mentre da un lato sembra essere stato intaccato il piano dell’integrazione degli attori, almeno per quanto riguarda
le reti di comunicazione e collegamento, altrettanto non sembra essersi
verificato sul fronte dell’effettiva integrazione tra gli interventi. I cittadini in
genere, e con loro i target della pianificazione, non hanno visibilmente risentito della cultura dell’integrazione così come soltanto scalfita risulta l’area
della ripartizione degli spazi decisionali.
Del forte investimento in energie e risorse fatto confluire nella pianificazione, il volontariato sembra averne beneficiato soprattutto sotto al
profilo relazionale e dell’integrazione territoriale. Le singole organizzazioni hanno fruito della programmazione come luogo di contatto e confronto più che come spazio di effettiva azione. Un’utile palestra per aprirsi al contesto locale e per mettere in gioco la propria volontà di conoscenza e crescita.
Viste le premesse e le risorse messe in campo da parte del volontariato, resta da chiedersi quanto della contenuta acquisizione di ruoli e funzioni decisionali sia dipeso dal funzionamento dei PdZ, quanto dalla preponderante centralità del Terzo settore e quanto da una difficoltà propria
a tutti i processi decisionali di conseguire una ripartizione degli spazi di
potere a favore di soggetti diversi dalle Istituzioni a ciò preposte.
87
Le ricadute della
programmazione
sociale sulle
relazioni tra gli
attori locali
CAPITOLO 4
4.6 L’impegno della partecipazione: problematiche e utilità percepita
Il processo di partecipazione delle OdV ai Piani di zona si manifesta
come un percorso faticoso, per nulla lineare, e soggetto ad una serie
di sollecitazioni che vale la pena di osservare attraverso la lettura prospettica di alcune importanti caratteristiche di questa vicenda che affiorano dall’analisi dei dati rilevati.
Sono quattro in particolare i paradigmi significativi, peraltro già
emersi nell’analisi sin qui descritta, che, confrontati nelle modalità con
le quali le OdV li hanno vissuti, nei differenti posizionamenti delle
stesse rispetto a ciascuno di essi ed a confronto con le loro caratteristiche operative ed organizzative, ci permettono di focalizzare bene le
principali direttrici su cui si è mossa questa significativa, quanto onerosa e spesso ingenerosa esperienza.
Si tratta cioè dei dati, piuttosto considerevoli sui livelli di incidenza
nella partecipazione, sulle modalità elaborative della pianificazione
cui le OdV hanno potuto prendere parte, sui diversi tipi di difficoltà
emersi durante tutta l’esperienza partecipativa e sulle modalità di rappresentanza espresse.
L’analisi incrociata di queste caratteristiche, e delle tipologie di organizzazioni che le esprimono, illumina in modo soddisfacente le dinamiche di questa vicenda di cittadinanza in cui il volontariato sociale,
ambientale e culturale si è speso al di là e al di fuori dei suoi usuali
campi di intervento e di servizio, affianco all’impegno invece già marcatamente civico del volontariato per la difesa dei diritti negati.
In tale prospettiva la prima caratteristica saliente si osserva nei piani di partecipazione alla pianificazione sociale cui le organizzazioni
hanno potuto accedere: da quello meramente informativo fino a quello decisionale. Un primo dato riguarda lo spazio e l’incidenza resi possibili alle OdV a seconda dei loro ambiti di impegno.
Appare infatti evidente che l’accesso alle fasi più impegnate della
partecipazione ha favorito di più le OdV impegnate con le aree familiari-adulte del disagio (anziani, famiglia, disabilità, salute) che non quelle del disagio grave (indigenza, devianza, disagio mentale) o altre.
Osservando la struttura organizzativa delle OdV appare che le organizzazioni con struttura più evoluta sul piano operativo (quelle con il
direttore) hanno avuto un ruolo più marcato nelle fasi elaborativo-decisionale rispetto a tutte le altre.(cfr Allegato A Tab. 16).
Il numero dei volontari delle OdV non sembra aver avuto un peso
discriminante nella loro partecipazione alla pianificazione sociale.
Indubbiamente, tenendo comunque in conto la ristrettezza del cam88
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
pione, le piccole organizzazioni (da pochi volontari fino a 30) sembrano proporzionalmente più presenti alle fasi elaborativa e decisionale
(cfr Allegato A Tab. 17), con corrispondente assenza delle grandi, ma
per il numero coinvolto il dato è solo indicativo.
Anche rispetto all’estensione territoriale dell’operatività delle OdV
intervistate, i dati non permettono di rilevare inferenze precise a causa del
ristretto numero di casi. Si evidenzia comunque un significativo spostamento di peso fra le organizzazioni che hanno un’operatività estesa
fuori dal territorio di appartenenza rispetto alla partecipazione nei livelli elaborativi (cfr Allegato A Tab. 12). In pratica queste organizzazioni,
nel loro complesso, sono relativamente più impegnate nelle fasi attive
della programmazione, altrettanto si rileva per le fasi decisionali, sebbene anche in questo caso il dato vada colto solo come tendenza.
Un dato importante, pur basato su un risultato di irrilevanza, emerge dall’analisi di incidenza delle iniziative di preparazione cui una parte cospicua di OdV intervistate ha partecipato. Su metà delle organizzazioni rispetto al totale delle intervistate, che hanno comunque usufruito di iniziative di preparazione, non si rilevano particolari significatività
rispetto alla loro collocazione nel processo di progettazione sociale
(cfr Allegato A Tab. 13). Questo non permette di evincere tratti critici rispetto alle iniziative di preparazione, ma resta comunque un dato indicativo rispetto al quadro generale della partecipazione del volontariato
in quanto, se essa si è rivelata faticosa e selettiva nei suoi livelli di coinvolgimento, ciò non appare attribuibile alla preparazione delle OdV.
Diversamente, rispetto alla fatica affrontata dalle Organizzazioni di
volontariato, pur confermandosi i problemi emersi intorno all’incompatibilità fra il tempo e il linguaggio dei volontari e degli operatori professionali della solidarietà, con particolare riferimento al settore pubblico, tuttavia si evidenzia una proporzionale crescita del disagio comunicativo al
crescere dei piani di partecipazione cui le OdV hanno potuto accedere.
In particolare, si rileva, a conferma del dato sul processo generale di
partecipazione, un maggior coinvolgimento nelle fasi elaborative-decisionali delle organizzazioni impegnate nelle aree del disagio familiare e
della condizione anziana, con punte significative anche fra quelle impegnate nell’indigenza e della devianza (cfr Allegato A Tab. 14).
4.6.1 I Tavoli tematici
Il processo di partecipazione alla pianificazione territoriale delle
Organizzazioni di volontariato assume naturalmente aspetti più interessanti e più rilevanti nel contesto di quella componente, comunque
89
L’impegno della
partecipazione:
problematiche e
utilità percepita
CAPITOLO 4
I Tavoli tematici
maggioritaria nel campione esaminato, che ha partecipato ai tavoli tematici convocati per l’analisi, l’elaborazione e la programmazione su
specifiche aree o dimensioni dell’intervento.
In questa specifica condizione infatti, come risulta dai focus group,
l’impegno, pur sussistendo una certa frammentarietà ed un profilo organizzativo non sempre adeguato, il volontariato ha avuto migliori opportunità di incidenza in condizioni di più apprezzabile continuità operativa che, in alcuni casi, si è protratta anche oltre le fasi di pianificazione nella cosiddetta fase applicativa della programmazione.
L’analisi dei vissuti delle OdV in questo specifico ambito di programmazione può pertanto risultare utile sia come riscontro delle osservazioni attribuite più in generale all’intero processo della programmazione,
sia per quanto attiene ad aree in cui le OdV, esercitandovi direttamente
il loro servizio, erano più autorevoli e più direttamente coinvolte.
Nel complesso, a questi tavoli, rispetto al dato generale della partecipazione, hanno partecipato meno le organizzazioni impegnate nelle
aree sanitarie e in quelle culturali, mentre la proporzione fra la partecipazione complessiva e quella delle OdV impegnate nelle altre aree resta abbastanza rispettata attorno al 60% (cfr Allegato A Tab. 14).
Nella specificità dei livelli elaborativi tematici appare ancora più evidente l’accesso ai piani elaborativo-decisionali delle OdV dotate di
struttura organizzativa più preordinata all’operatività.
Di fatto le organizzazioni che si dotano di strumenti di governo per
l’operatività compaiono in numero visibile fra quelle che accedono ai
processi decisionali.
Anche la consistenza numerica delle organizzazioni assume maggior
rilevanza rispetto alla partecipazione ai piani di progettazione sociale.
La continuità e la sistematicità tecnica, oltre che la competenza rispetto ad una specifica area di intervento, richiesta dai tavoli tematici di
progettazione, vede infatti un peso crescente delle OdV di maggior
consistenza numerica, soprattutto nella partecipazione a quei tavoli
che hanno avuto sbocchi elaborativi e decisionali.
Non risulta invece rilevante l’estensione territoriale dell’intervento
rispetto all’esperienza partecipativa per tavoli tematici di programmazione: unico dato utile in questo senso, e volendo anche controcorrente,
è quello relativo ad una leggera flessione di significatività rispetto ai tavoli da parte delle OdV che operano in area territoriale locale nei confronti di quelle che agiscono su contesti più estesi.
Così pure il dato relativo alla messa a punto di iniziative di preparazione finalizzate alla partecipazione, non rimanda particolari significatività rispetto alle OdV coinvolte nel lavoro ai tavoli tematici, fra queste in90
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
fatti, quelle che hanno usufruito di iniziative di formazione/preparazione sono relativamente molto poche rispetto alla media generale di
tutte le OdV intervistate.
Tra i fattori da tenere in conto, anche in base alle caratteristiche precedentemente osservate è la maggior richiesta, e relativa convocazione, di
quelle più legate alle aree socio-assistenziali o a quelle del disagio grave.
Per queste organizzazioni comunque, la partecipazione ai tavoli
tematici ha evidenziato relativamente ancor più difficoltà nella disponibilità del tempo di quanta ne abbiano segnalata le altre. Restano
poi numerose quelle che segnalano difficoltà sul piano comunicativo
con gli operatori pubblici ed interattivo con le altre componenti del
Terzo settore.
Le OdV che hanno partecipato ai tavoli con esito decisionale aggiungono spesso una difficoltà sui piani di preparazione rispetto alle
tematiche trattate.
4.6.2 Le problematiche
L’esperienza della partecipazione non ha risparmiato, come già in
precedenza evidenziato, una serie di difficoltà e di fatiche fra le quali
le Organizzazioni di volontariato hanno dovuto districarsi, in alcuni
casi senza particolare investimento, in altri con oneroso dispendio di
risorse.
Le diverse difficoltà individuate nei focus group sono state tutte segnalate dalla maggior parte delle organizzazioni intervistate.
L’analisi dettagliata delle problematiche emerse permette pertanto
di cogliere più a fondo lo stato di sviluppo di questo processo di partecipazione e di meglio stabilire quale siano stati i confini di efficacia
raggiunti.
Ai fini di un potenziamento o di un rilancio di questo processo sarà
infatti più conveniente partire proprio dalle strozzature alle quali sono
andate incontro le organizzazioni del volontariato con la già evidenziata dinamica di selezione fra quelle che in principio sono state informate e coinvolte e quelle, in numero molto più esiguo, che dopo le difficoltà varie ed i problemi di costruzione della rappresentanza, hanno
realmente preso parte ai processi decisionali ed attuativi della programmazione sociale nei territori.
Un primo dato utile in questo senso, emergente dall’approfondimento con le singole OdV, è che la difficoltà maggiormente segnalata
sta sui piani di comunicazione: un tipo di fatica che riguarda le modalità di corresponsabilizzazione dei membri della propria OdV da parte di
91
I Tavoli tematici
CAPITOLO 4
Le problematiche
chi era delegato ai tavoli di progettazione; la differenza di approccio e
di linguaggio rispetto ai temi della progettazione fra enti e organizzazione diverse; la difficile penetrazione delle soglie di consapevolezza da
parte della cittadinanza locale rispetto a quanto si andava elaborando o
alle istanze espresse dal volontariato a partire dal suo quotidiano incontro con i punti vivi del disagio e delle contraddizioni sociali (cfr
Allegato A Tab. 19).
In forma leggermente minore vengono comunque segnalate le problematiche dell’uso e della disponibilità dei tempi necessari, quelle di
comprensione di processi e quelle di adeguatezza della preparazione
nello svolgimento della progettazione.
Un’altra problematica ben raffigurata dalle OdV, alla quale hanno
dato un particolare peso quelle impegnate nelle situazioni di grave indigenza del nostro paese o di altri paesi in via di sviluppo, è quella dell’interazione con gli altri enti del territorio.
Si tratta, in questo caso, di un ulteriore riscontro della difficoltà di
reciproca valorizzazione sul campo e della lenta diffusione del paradigma dell’operatività in rete fra i diversi soggetti interessati.
Le problematiche interattive sono inoltre segnalate proprio da
quelle Organizzazioni di volontariato che sono più strutturate organizzativamente per la gestione delle attività sul campo. Dal momento che
tale segnalazione di difficoltà interattiva si riferisce al periodo compreso nelle fasi di progettazione sociale, se ne deduce una più alta soglia
di problemi interattivi con gli altri enti da parte di quelle organizzazioni
che denotano un maggior grado di competenze operative sul campo,
con una crescita correlata alla difficoltà interattiva al corrispondente
più alto grado di organizzazione nell’operatività.
Il problema dei tempi e degli orari inadeguati per la partecipazione
è stato invece segnalato maggiormente dalle organizzazioni che usufruiscono di quote di finanziamento derivanti prevalentemente da privati e che, in buona parte, operano sull’emarginazione grave.
Nel raffronto fra piccole e grandi Organizzazioni di volontariato c’è forte differenziazione nelle difficoltà incontrate, posizionando quindi la
dimensione dell’organizzazione fra le caratteristiche più discriminanti
fra i processi di partecipazione.
In particolare, le piccole organizzazioni hanno manifestato fatiche
ad interagire e a comprendersi con l’Ente Pubblico, mentre le grandi
formazioni hanno evidenziato maggiormente problemi di disponibilità
e adeguatezza dei tempi e di interazione con le altre realtà coinvolte
nella progettazione (cfr Allegato A Tab. 23).
Altra conferma delle difficoltà di interazione con l’Ente Pubblico pro92
LA QUALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
viene poi dalle organizzazioni che operano su aree territoriali più definite fino ad un massimo di estensione regionale, fattore che le renderebbe, in linea di principio, principali interlocutrici degli Enti Locali.
4.6.3 Gli sviluppi
Per una buona parte delle Organizzazioni di volontariato intervistate, l’esperienza della partecipazione alla pianificazione di zona ha rappresentato un percorso esteso a monte ed a valle dello specifico periodo di concertazione.
In questo tempo più esteso l’organizzazione stessa ed i suoi aderenti volontari hanno maturato esperienze e competenze sociali e civiche.
In pratica, tale esperienza ha rappresentato per tutti una scuola, più o
meno soddisfacente, di cittadinanza attiva, anche se in misura più o meno
intensa fra i volontari delegati e gli altri appartenenti alle organizzazioni.
La possibilità comunque di un coinvolgimento lungo nella partecipazione attiva ha investito pochissime realtà, soprattutto nel caso di un
coinvolgimento dalle fasi preparatorie a quelle esecutivo-consultive
durante l’applicazione del Piano di zona. Nel campione solo una organizzazione su 10 ha usufruito di tale esperienza.
Dai focus group organizzati nelle zone di rilevazione uno dei fattori
segnalati come più critici e faticosi, determinante per la continuità dell’impegno delle organizzazioni e per la qualità della concertazione e
della programmazione, è rappresentato dalle dinamiche di messa a
punto e di gestione della rappresentanza fra le diverse organizzazioni.
Si tratta di processi indispensabili per il funzionamento della programmazione ai suoi vari livelli, ma anche molto delicati per le relazioni e la coesione fra le componenti del Terzo settore che in essa sono state implicate.
In molti casi infatti l’allontanamento progressivo dalla concertazione
e più in generale dalla partecipazione è stato attribuito proprio al malfunzionamento della rappresentanza ed alle dinamiche conflittuali o
escludenti indotte dalla sua cattiva gestione.
Essendo peraltro questa una dimensione di backstage rispetto alla
scena diretta della concertazione progettuale, essa ha goduto di minori attenzioni dagli stessi organizzatori della programmazione.
Nel complesso, comunque, le forme di rappresentanza più usate
sono state quelle semplici della nomina dei rappresentanti ai tavoli di
livello superiore.
Un’attenzione particolare, rispetto al campione intervistato è emersa fra le organizzazioni impegnate nell’emarginazione grave e nella
devianza, ad accompagnare il ruolo dei rappresentanti con momenti
di studio o di convegno sui temi in questione.
93
Le problematiche
CAPITOLO 4
Gli sviluppi
Ugualmente, anche le organizzazioni connotate da assetti organizzativi più versati sui piani dell’operatività, hanno evidenziato l’interesse
ad accompagnare il ruolo dei rappresentanti con momenti di studio o
di convegno.
Da un’osservazione d’insieme quindi, il percorso della partecipazione delle Organizzazioni di volontariato si rivela, naturalmente a partire
dal campione osservato, come una vicenda densa di molte e varie sfumature, non solo sulla scena degli incontri di concertazione e di progetto, ma anche e soprattutto negli spazi elaborativi all’interno delle
organizzazioni di provenienza ed in quelli, spesso molto sofferti e faticosi, di interazione con le altre Organizzazioni di volontariato e del
Terzo settore in generale.
In generale, dando per attendibili le risposte fornite alle domande
sulla ricaduta positiva nella partecipazione, sia sul versante della vita
di volontariato che su quello dei rapporti con le altre organizzazioni
del Terzo settore e con i piani istituzionali preposti all’organizzazione
della progettazione o partecipanti alla stessa, si rileva un grande investimento di tempi, risorse e attenzioni.
Questo investimento, oltretutto spiccato anche sul piano emozionale, va ad impattare spazi e percorsi che poi si rivelano tortuosi, selettivi, ed in alcuni casi conflittuali o escludenti, sebbene comunque praticabili e valorizzabili per incidere in modo positivo sullo stato delle cose e su quanto viene programmato.
Si può pertanto riconoscere che le Organizzazioni di volontariato
intervistate, operando su un terreno non usuale rispetto al loro impegno
di servizio, hanno comunque espresso in questa opportunità offerta
dalla pianificazione sociale, un grado positivo di impegno che, pur
avendo fruttato in modi diversi e con costi diversi, evidenzia comunque l’alto contenuto sostanziale che il volontariato può trasmettere e
condividere alla messa a punto dei piani di sviluppo dei territori, a partire dalla progettazione sociale.
94
CAPITOLO 5
CONCLUSIONI
La lettura operata nei capitoli precedenti circa il ruolo interpretato
dalle Organizzazioni di volontariato nel quadro della programmazione
territoriale, prefigurata dalla riforma del sistema dei servizi sociali, acquista un senso più ampio se si prende in considerazione la relazione
complessa che lega la sussidiarietà allo sviluppo e al rafforzamento
delle reti di capitale sociale.
Come si è cercato di mostrare, la considerazione delle problematiche
inerenti i diritti fondamentali di cittadinanza alla luce del paradigma
dell’esclusione sociale trova, grazie alla Legge 328, l’ancoraggio al processo di rimessa in discussione delle filiere della sussidiarietà, sia in
senso verticale che orizzontale. L’ingresso e la permanenza di una pluralità di attori, pubblici, privati e appartenenti al Terzo settore, nell’ambito del processo di programmazione degli interventi locali costituisce
a tale proposito l’acquisizione maggiormente significativa dell’ultimo
sessennio.
Il carattere eminentemente descrittivo e percettivo delle informazioni raccolte dalla ricerca qui presentata consentono di suggerire, in
sede di conclusione, un percorso di lettura di sintesi di alcune delle caratteristiche che legano la sussidiarietà e il capitale sociale alle variabili strutturali proprie delle OdV. Ciò perché tali variabili sono suscettibili,
in accordo agli orientamenti reperibili in letteratura, di influenzare in
maniera significativa le modalità di partecipazione di queste stesse organizzazioni ai sistemi di relazione locali che comprendono e affiancano il processo di programmazione territoriale.
5.1. Dimensioni delle organizzazioni e spettro di intervento
Dato che il numero di casi considerati nell’ambito dell’indagine
Isfol non consente di operare elaborazioni particolarmente significative
95
CAPITOLO 5
Dimensioni delle
organizzazioni e
spettro di
intervento
disaggregando i dati per area geografica, in questo paragrafo si prenderanno in considerazione le implicazioni di quanto sinora argomentato,
facendo riferimento prevalentemente alle dimensioni delle organizzazioni esaminate e al grado di articolazione delle loro attività.
In questo e nel paragrafo successivo si farà uso di alcune elaborazioni effettuate a partire dall’analisi fattoriale effettuata sulla domanda a.7
(Che tipo di prestazioni offre la vostra associazione?). Come descritto
dettagliatamente nel capitolo metodologico da tale analisi erano emersi
due fattori rispettivamente raffiguranti le prestazioni nella sfera consulenziale ed educativa e le prestazioni nella sfera assistenziale, sociosanitaria ed educativa. Attraverso questi due fattori è stato possibile osservare il modo in cui i casi oggetto di studio si aggregavano, ottenendo quindi tre cluster in relazione ai quali, nei paragrafi seguenti verrà descritto il
comportamento di alcune variabili. In sostanza, dai risultati di questa
procedura è sembrato significativo enucleare tre gruppi di casi:
• gruppo 1 – organizzazioni ad ampio spettro di intervento (che
forniscono una tipologia di servizi ampia ed eterogenea);
• gruppo 2 – organizzazioni ad impegno specifico su consulenza,
orientamento e formazione;
• gruppo 3 – organizzazioni ad impegno specifico assistenziale-sanitario e socio-culturale.
Il primo gruppo è apparso quello numericamente più consistente
(56,6%), a fronte degli altri due che non hanno superato rispettivamente il 16% ed il 28% dei casi. Questo gruppo è apparso, differentemente dagli altri due, equamente distribuito fra i territori considerati e
con un numero di volontari molto al di sotto delle medie nazionali e di
area precedentemente considerate, poiché inclusi nelle due classi 1 –
10 e 11 – 30. Ciò appare tanto più significativo laddove si pensi che
nei due gruppi ad impegno specifico è stata notata una leggera tendenza ad avere strutture che coinvolgono un maggior numero di volontari (classe 51-100). La proporzione del primo gruppo sul totale si colloca peraltro abbastanza vicino a quanto riscontrato in sede nazionale
nel 2003, dove il peso complessivo delle OdV che avevano fino a 30
volontari era pari al 68,4% del totale.
Se prendiamo in considerazione l’estensione territoriale del raggio
d’azione dell’organizzazione, emerge come le organizzazioni ad ampio
spettro di intervento abbiano dichiarato di essere attive in larga prevalenza in una dimensione locale. A fronte di ciò le organizzazioni appartenenti agli altri due gruppi vedono una maggiore apertura alle dimensioni regionali, ma anche nazionale e internazionale.
96
CONCLUSIONI
In confronto ai due gruppi di organizzazioni ad impegno specifico, le
associazioni ad ampio spettro di intervento hanno avuto meno occasioni di gestire servizi in convenzione con Istituzioni Locali, prima dell’entrata in funzione del Piano di zona. Anche dopo la promulgazione del
piano, la maggior parte delle organizzazioni ad ampio spettro di intervento ha dichiarato di non partecipare alla gestione di specifiche attività o progetti inseriti nel piano stesso. Al contrario, è sembrata riconfermata la tendenza delle organizzazioni ad impegno specifico al gestire attività e progetti specifici.
Alla luce di queste informazioni il potenziale in termini di capitale
sociale delle OdV può essere valutato prendendo in considerazione il
rapporto tra le dimensioni medie delle organizzazioni e l’ampiezza
dello spettro di intervento. La maggior parte delle organizzazioni esaminate presenta, coerentemente col dato nazionale, un numero limitato
di volontari che gestiscono un ampio spettro di intervento. Una parte,
probabilmente consistente di queste organizzazioni potrebbe trovarsi inserita nel processo rilevato dall’Istat nel 2003, e cioè specializzazione
dei servizi offerti e parallela diminuzione delle dimensioni medie in
termini di volontari attivi.
Ciò potrebbe implicare che questo tipo di organizzazioni si troverebbero attualmente a gestire per i cittadini quote rilevanti di capitale sociale, in forza dell’ampiezza dello spettro di intervento, senza essere però
giunte a configurare in maniera sufficientemente stabile un assetto più
specialistico (anche in senso professionale) dei servizi offerti.
Se volessimo adottare una concettualizzazione di stampo sociologico, potremmo dire che si tratta di organizzazioni fra le quali potrebbero
coesistere tratti generalisti e tratti specialisti109. I tratti generalisti potrebbero continuare a sussistere in quanto utili a fronteggiare una domanda
sociale di inclusione e promozione sociale sempre più segmentata e diversificata; mentre i tratti specialistici corrisponderebbero all’esigenza
109 I concetti di specializzazione e generalismo vengono qui adottati facendo riferimento alle
definizioni usate da Hannan e Freeeman. Si vedano in particolare Hannan M. T., Freeman J., The
population ecology of organizations, in “American Journal of Sociology”, Volume 82, n. 5, March
1977 e Hannan M. T., Freeman J., Structural Inertia and Organizational Change, in “American
Sociological Review”, Volume 49, April 1984. In pratica, la differenza tra specialisti e generalisti risiede nel fatto che i primi massimizzano lo sfruttamento di un ambiente circoscritto (si specializzano, appunto), accettando il rischio implicito in un sostanziale mutamento dello stesso ambiente di riferimento, laddove i secondi realizzano uno sfruttamento meno intenso di una nicchia più
ampia, in cambio di una maggiore sicurezza. Il successo dell’una o dell’altra strategia sarebbe determinato dalle caratteristiche ambientali, nel senso che in ambienti caratterizzati da un passaggio molto frequente fra stati con caratteristiche molto diverse, le strategie specialistiche sembrerebbero avvantaggiate. In ambienti caratterizzati invece da un passaggio molto frequente fra stati molto simili e dal passaggio meno frequente fra stati molto diversi, o alternativamente, molto simili, dovrebbero avere più successo le strategie generaliste.
97
Dimensioni delle
organizzazioni e
spettro di
intervento
CAPITOLO 5
Dimensioni delle
organizzazioni e
spettro di
intervento
di massimizzare risorse via via più scarse, concentrando il ventaglio degli interventi e predisponendo l’organizzazione a reagire ad un ambiente caratterizzato da frequenti mutamenti, sia sul versante istituzionale
che su quello dei bisogni espressi dalla comunità locale.
Una qualche conferma sul persistere della coesistenza di generalismo e specializzazione potrebbe venire, da un lato dal minore impegno dichiarato sul fronte della gestione di servizi in convenzione, sia
prima che dopo l’approvazione del Piano sociale; dall’altro dall’estensione territoriale, in larga prevalenza locale, del raggio d’azione delle organizzazioni. Ci troveremmo in altre parole di fronte ad un cospicuo
gruppo di organizzazioni presenti abbastanza capillarmente all’interno
di reti sociali di livello locale, ma ancora non perfettamente attrezzate
a fornire risposte tecnicamente orientate a specifici problemi e poco
inclini ad assumere punti di vista sovraordinati alla dimensione dell’intervento quotidiano. Mentre la prima caratteristica le renderebbe ancora scarsamente attrattive nei confronti dell’Ente Locale, relativamente alla possibilità di affidamento di servizi, l’altra contribuirebbe a ostacolare l’instaurarsi di circuiti comunicativi stabili, in vista della condivisione dei problemi sociali da ritenersi prioritari.
5.2 La percezione del posizionamento nell’ambito della programmazione territoriale
L’analisi effettuata nel paragrafo precedente suggerisce che le variabili strutturali (dimensioni, spettro di intervento ecc.) siano suscettibili
di avere una ricaduta sulle dinamiche comunicative e relazionali messe in campo dalle OdV, sia in relazione alla dimensione della sussidiarietà verticale che a quella orizzontale. E’ sembrato quindi opportuno,
alla luce della medesima griglia di analisi, esaminare la percezione dichiarata dalle OdV relativamente agli esiti della pianificazione territoriale, in termini di impatto effettivo di questa sulle problematiche locali e di integrazione nella rete degli attori.
Innanzitutto il giudizio di impatto del Piano sulla qualità della vita
ed il disagio sociale viene formulato in termini medi da una analoga
proporzione di casi in tutti e tre i gruppi. Il giudizio positivo prevale in
proporzione nel gruppo di OdV impegnate in prevalenza nell’orientamento, consulenza e formazione, mentre quello negativo coinvolge il
40% del gruppo delle organizzazioni ad ampio spettro di intervento.
L’impatto sulla valorizzazione delle risorse locali e sulla cultura locale della cittadinanza presenta percezioni maggiormente differenziate.
98
CONCLUSIONI
Tutti e tre i gruppi si distribuiscono infatti in maniera quasi uniforme
lungo la scala di giudizio basso, medio e alto. A questo si affianca una
leggera prevalenza di giudizio negativo per il gruppo delle OdV impegnate nella sfera assistenziale, sanitaria e socioculturale.
Sul versante relazionale, le organizzazioni ad ampio spettro di intervento tendono a percepire un miglioramento della comunicazione
con soggetti appartenenti al Terzo settore e al sistema istituzionale.
Questa tendenza risulta meno evidente per le organizzazioni del terzo
gruppo (sfera assistenziale-sanitaria e socio-culturale) e ancor meno
per quelle della sfera consulenza, orientamento e formazione. A riguardo è possibile ritenere che tale differenziazione sia una conseguenza della natura organizzativa dei soggetti degli ultimi due gruppi i
quali, come emerge dall’esame delle variabili strutturali, disporrebbero
già di un consistente insieme di relazioni a livello istituzionale e associativo, di fatto preesistente al lancio della programmazione territoriale.
Le organizzazioni ad ampio spettro valutano anche positivamente
l’impatto della pianificazione territoriale relativamente all’ampliamento
della loro conoscenza della sfera del volontariato e delle problematiche specifiche del territorio, ma fra esse permane quasi un terzo che
fornisce a riguardo un giudizio negativo. Un profilo analogo caratterizza le risposte fornite dalle organizzazioni del terzo gruppo, mentre più
marcatamente spostato verso la dimensione medio-alta è il giudizio
espresso dalle OdV afferenti alla sfera della consulenza, orientamento
e formazione.
La percezione dell’impatto della partecipazione alla pianificazione
sulla vita della singola organizzazione fa infine emergere una polarizzazione tra le risposte fornite dalle organizzazioni ad ampio spettro di intervento e quelle ad impegno specifico, sia nella sfera consulenziale
sia assistenziale. Le organizzazioni ad ampio spettro di intervento denunciano in prevalenza o il peggioramento o l’invarianza delle condizioni organizzative, successivamente all’avvio della partecipazione alla pianificazione sociale di zona. Al contrario, le organizzazioni impegnate nella
sfera consulenziale e in quella assistenziale dichiarano un elevato tasso di invarianza, affiancato però da una discreta porzione che percepisce un miglioramento a seguito della partecipazione al Piano. Sembra
opportuno sottolineare che la distanza che separa in termini percentuali la percezione di miglioramento dalle altre è, nel gruppo ad ampio
spettro, significativamente superiore che negli altri due.
In conclusione è possibile ipotizzare, sia pur rimandando alla necessità di ulteriori approfondimenti conoscitivi, che la presenza di una
strategia operativa chiara e una forte caratterizzazione dell’attività or99
La percezione del
posizionamento
nell’ambito della
programmazione
territoriale
CAPITOLO 5
La percezione del
posizionamento
nell’ambito della
programmazione
territoriale
ganizzativa abbia prodotto una percezione tendenzialmente positiva
della programmazione territoriale e del suo impatto sociale ed organizzativo. Le organizzazioni cosiddette ad ampio spettro, quelle in altre
parole nelle quali più che in altre potrebbero coesistere tratti generalisti e specialisti, non sembrano invece aver percepito miglioramenti apprezzabili nella performance organizzativa, a seguito del loro ingresso
nel processo della pianificazione territoriale.
In maniera abbastanza significativa la loro valutazione appare positiva laddove si prendano in esame gli elementi della programmazione
di zona che possono aver contribuito ad un loro migliore posizionamento nell’ambito delle reti di comunicazione con gli altri attori, sia
appartenenti alla sfera delle Istituzioni che al Terzo settore. Questo potrebbe portare a formulare l’ipotesi che, almeno nei territori cui appartengono i casi esaminati, la realizzazione dei Piani sociali abbia permesso di strutturare e rendere maggiormente trasparente lo spazio
comunicativo pubblico deputato a definire le caratteristiche e le priorità inerenti i fenomeni di esclusione sociale.
Specularmente le organizzazioni più specializzate, che, in accordo
alle informazioni disponibili, sembrano essere anche quelle di più ampie dimensioni e con articolazioni di carattere almeno regionale, se
non nazionale, potrebbero aver utilizzato il proprio preesistente sistema
di relazioni interorganizzative, per rafforzare il proprio ruolo lungo le filiere orizzontali e verticali della sussidiarietà. In questo caso, ma i dati
elaborati consentono solo di formulare affermazioni come queste in
via del tutto ipotetica in vista di successive verifiche, lo scarso entusiasmo riguardo alle variabili di impatto organizzativo sarebbe giustificato
dal buon posizionamento di cui già esse godevano all’interno del reticolo locale. Ciò potrebbe parzialmente spiegare anche la scarsa polarizzazione relativamente alle variabili di impatto sulle dinamiche sociali e
culturali del territorio.
5.3 Problemi aperti e prospettive
Alla luce di quanto emerso dalla lettura dei dati dell’indagine,
emerge come l’applicazione della Legge 328/00, e in particolare il
ruolo del volontariato nella partecipazione, sia assimilabile ad un cantiere di cui si vedono le fondamenta, ma si può solo immaginare la
struttura.
Il perché della fatica con la quale le OdV si vanno integrando all’interno del processo della pianificazione territoriale, fatte salve le speci100
CONCLUSIONI
ficità regionali di attuazione, sembra potersi ricollegare ad entrambi i
soggetti partecipanti. Da un lato il volontariato arriva alla collaborazione e alla coprogettazione attraverso un percorso di adesione progressiva in cui il livello e la qualità della presenza cambiano secondo variabili strutturali (e non solo) tipiche delle varie organizzazioni, e dall’altro le
Istituzioni aprono alla partecipazione con aspettative articolate che
spesso finiscono per creare percorsi filtro. Ciò sembra evidente in quei
casi in cui le OdV si avvicinano alla pianificazione territoriale con
aspettative a volte contrastanti: in alcuni casi pare prendere il sopravvento il disincanto rispetto ad un dispositivo che non automaticamente
genera razionalizzazione e trasparenza; in altri sembra prevalere l’entusiasmo verso nuove possibilità e opportunità.
Di fronte ad una spinta moderata da parte delle Istituzioni a partecipare alla programmazione, gli operatori coinvolti segnalano in particolare tre fattori frenanti: una percezione di eccessiva complicazione dei
dispositivi messi in campo per attivare la partecipazione; la sensazione
della scarsa significatività nelle scelte prioritarie assunte dai Piani sociali di zona; il rischio che questi due fattori contribuiscano a rinforzare atteggiamenti di disaffezione alla “cosa pubblica” da parte dei cittadini.
I risultati commentati nel rapporto, pur fermandosi ad un livello descrittivo e non essendo rappresentativi dell’universo delle OdV, suggeriscono che la partecipazione al processo di pianificazione territoriale
possa risultare oneroso e a volte non praticabile proprio per le piccole
organizzazioni. Sono più spesso queste che lanciano segnali di disillusione e resa, anche se occorre ricordare che un senso di sfiducia e una
esplicita richiesta di spazio provengono anche dalle organizzazioni più
solide, maggiormente legate alle reti presenti sul territorio e alle altre organizzazioni del Terzo settore, caratterizzate da un rapporto con le
Istituzioni meno discontinuo.
Ciò è particolarmente degno di nota in quanto le piccole organizzazioni sono comunque ben radicate sul territorio e costituiscono un potenziale di capitale sociale e un insieme di risorse mobilitabile per l’inclusione e la promozione sociale, di entità non trascurabile110. Proprio
perché piccole nelle dimensioni e limitate quanto a livello di interconnessione con gli altri attori locali, regionali e sovraregionali, ad esse
viene di fatto riconosciuta una minore rappresentatività delle istanze
sociali. Ciò si riflette sulle modalità di interrelazione sia con le altre
110 È necessario considerare il duplice ruolo che il volontariato si trova a rivestire in questa
esperienza: da un lato esso si considera soggetto preposto alla individuazione e denuncia del disagio sociale e dall’altro è comunque attore di prestazioni e servizi agiti sul territorio, in risposta a
questi bisogni.
101
Problemi aperti e
prospettive
CAPITOLO 5
Problemi aperti e
prospettive
OdV, sia con le Istituzioni. La limitatezza del loro raggio di azione (non
in termini di ventaglio di problematiche affrontate, ma di volume di
utenza in senso stretto) fa sì, infine, che le opportunità di collaborazione con l’Ente Pubblico, in termini di risorse e di progettazione, restino
sporadiche e limitate nel tempo e nello spazio, rischiando quindi di
uscire dall’orizzonte della pianificazione locale.
È qui che si apre il problema del fare rete. Per evitare il rischio che permanga un divario di partecipazione tra organizzazioni diverse per dimensioni è infatti auspicabile che i soggetti più ampi e articolati assumano una sorta di funzione di tutoraggio e di servizio alla interconnessione reciproca. Le organizzazioni per così dire minori, a loro volta, dovranno sforzarsi di agire tali nuove opportunità in funzione dell’ampliamento e della sofisticazione delle proprie competenze e capacità
organizzative111.
La pianificazione territoriale introdotta dalla Legge 328/2000 ha
senz’altro favorito la costruzione ancora in corso, di un sistema di interventi e servizi sociali realmente integrato sul territorio. Sia pure nel mutato quadro costituzionale resta valida la finalità di affermare il principio
di universalità inteso come diritto del cittadino ad una prestazione regolare, continua, economica, fruibile in condizione di uguaglianza.
Giunti, ormai, in una fase sostanzialmente matura di attuazione essa
può divenire lo strumento principale per attuare un percorso di rilettura
del fabbisogno, nell’ambito di un nuovo sistema di welfare community,
basato sulla operativizzazione concreta di una sussidiarietà orizzontale che
valorizzi il contributo originale delle articolazioni della società civile.
Dalla ricerca (e in particolare dalle discussioni condotte nell’ambito dei
focus group) emerge un processo in cui il volontariato sembra comunque indirizzarsi verso una spontanea assunzione di responsabilità e intende proporsi come risorsa del territorio e come opportunità per il miglioramento del sistema dei servizi. Grazie a questa esperienza le OdV sembrano aver maturato competenze sociali e civiche che si connotano come scuola di cittadinanza attiva, a fronte di un forte investimento di tempo, risorse e attenzioni verso un’occasione di confronto e crescita.
Se si volessero estendere le conclusioni del rapporto a procedure di
analisi rivolte all’universo delle OdV occorrerebbe tenere presente che
le questioni principali restano quelle della qualità della partecipazione
(che è sembrata in alcuni casi più formale che sostanziale) e all’effettivo ruolo di coprogettazione e codecisione giocato dal volontariato.
111 I risultati dei focus group hanno messo in evidenza anche una forte richiesta da parte delle OdV di beneficiare di pari dignità di interlocuzione, anche in riferimento alle altre organizzazioni del Terzo settore, attraverso opportunità di partecipazione attiva e di formazione.
102
CONCLUSIONI
Un’attenzione particolare merita infine la posizione dei CSV, e nello
specifico, di come e quanto potrebbero riuscire ad essere centrali ed
efficaci nella formazione e promozione degli aspetti inerenti il rafforzamento della partecipazione delle OdV cosiddette minori alle reti locali
di attori pubblici e del Terzo settore.
5.4. Considerazioni di insieme
L’indagine si inquadra in un ambito tematico fra i più dibattuti degli
ultimi decenni quale la capacità del “volontariato” di svolgere un ruolo
appropriato ed efficace nel quadro delle policy locali. Il nuovo assetto
prevede formule di integrazione degli interventi a livello territoriale
che fanno ampio richiamo alla collaborazione tra una diversificata
gamma di attori.
Questo scenario ripropone vecchie e nuove problematiche. Da un lato ri-attualizza aree di indeterminatezza già note quali: (a) la crescente
inadeguatezza di un modello di welfare fondato sul ruolo tendenzialmente esclusivo dello Stato a fronte (b) di una pluralizzazione e proliferazione di nuovi e più complessi bisogni – e l’incremento delle sacche di disagio ed esclusione – connessi allo sviluppo ed alla modernizzazione sociale. Dall’altro presenta nuove questioni da affrontare date dal proliferare di formule di partecipazione e di procedure decisionali “aperte” che
spesso non coincidono con un effettivo allargamento degli spazi di decisione e diluiscono gli effetti della partecipazione territoriale.
Al centro di tutto il processo di riforma la Legge quadro 328 e i Piani
sociali di zona che hanno rappresentato nella quasi totalità dei casi lo
strumento adottato per realizzare la programmazione territoriale.
Con la programmazione territoriale, il legislatore pone uno dei pilastri per la costruzione di un nuovo sistema di welfare in grado di coniugare insieme universalità di approccio e selettività degli interventi,
traspone il superamento del modello accentrato e gerarchico del government anche all’interno delle politiche sociali. Anche in questo ambito, quindi, le Amministrazioni locali diventano i luoghi per la sperimentazione di modelli di decisione pubblica innovativi fondati su forme
di interazione e di collaborazione tra gli attori. Parametro di riferimento essenziale per l’azione pubblica rinnovata diviene sempre più il
principio di sussidiarietà.
Le Organizzazioni di volontariato, in quanto forme organizzative associative, sono perfettamente inseribili tra quei soggetti intermedi ritenuti importanti per la declinazione della sussidiarietà orizzontale e
pertanto si sono trovate ad essere pienamente coinvolte nel processo
103
Problemi aperti e
prospettive
CAPITOLO 5
Considerazioni di
insieme
di riforma. Esse rappresentano forme di capitale sociale, da coinvolgere ad hoc sul versante delle relazioni proprie della società civile, ovvero suscettibile di attivarsi in un quadro più strutturato, anche in base
all’azione regolatrice esercitata dalla Pubblica Amministrazione, nel
cui ambito si inserisce pienamente la pianificazione sociale di zona. La
loro presenza è quindi essenziale per una lettura della realtà territoriale di riferimento, soprattutto nei termini dei bisogni emergenti.
Il graduale ma inesorabile affermarsi dell’approccio di partnership
nel sottolineare la necessità di una cornice cooperativa e di un approccio negoziale all’azione pubblica, chiama in causa una serie di attori in
precedenza non interessati dal processo. Risulta allora evidente che il
nuovo quadro di policy si trova a dover ri-definire il panorama degli attori chiamando con ciò in causa una ri-contrattazione degli interessi in
campo e la ricerca di un equilibrio tra i diversi portatori degli stessi. In
tale contesto teorico si devono inquadrare l’azione e le modalità di
confronto fra le OdV e le altre tipologie di attori, pubblici e non.
Attualmente si tende sempre più ad analizzare la qualità effettiva
dei percorsi di collaborazione articolando il concetto in specifici fattori
e più dimensioni. Il fenomeno dell’allargamento dei processi decisionali assume pertanto un profilo multifattoriale e multidimensionale. Per attendere a ciò è necessario operare sulla base di categorie partecipative
opportunamente legate alla specificità del processo in cui vengono inserite. Obiettivo della ricerca è stato quindi fare chiarezza sulle modalità operative e sulle condizioni che hanno attualizzato la partecipazione
delle OdV alla programmazione di zona.
Al riguardo il livello di partecipazione delle OdV sembra caratterizzarsi per un profilo piuttosto formale. Ad esse è richiesta una massiccia
collaborazione nelle fasi interlocutorie del partenariato date ad esempio dalla mappatura dei problemi e dei bisogni. Tale coinvolgimento si
dirada abbastanza nel momento in cui si passa a “fasi di produzione” del
lavoro di partnership. Ciò che viene richiesto al volontariato è in buona
sostanza di attingere al proprio patrimonio di conoscenze degli utenti dei
servizi e di trasferirlo nell’ambito del processo di programmazione affinché essa sia più aderente ai reali bisogni della cittadinanza e contribuisca a fornire risposte adeguate.
L’area decisionale più importante data dalla scelta delle priorità e
degli interventi rappresenta una zona in ombra, nella quale si rileva
una significativa presenza delle OdV non caratterizzata però dalla richiesta di particolari livelli di performance.
La percezione delle OdV è che il proprio ruolo sia più prossimo alle
funzioni di consultazione e informazione che a quello di un completa
condivisione dell’intero processo di programmazione.
104
APPENDICE
Guida per la lettura delle tabelle
Per la lettura delle tabelle dalla n. 9 alla n. 26, si consideri che
ciascun valore assoluto (prima linea di ogni riga) può essere valutato
come percentuale di riga leggendo il valore indicato nella linea
sottostante, o come percentuale di colonna leggendo il valore indicato
nella seconda linea sottostante.
I totali delle righe e delle colonne non corrispondono alla somma
dei valori di riga e colonna, in quanto si tratta di domande a cui le
organizzazioni potevano dare riposte multiple.
Il 100% rappresenta la misura di riferimento presa per tutte le
percentuali indicate come totale delle risposte esaminate.
APPENDICE
ALLEGATO A
TABELLE DI FREQUENZA (Fonte: Dati Isfol)
Tabella 9. Tipo di partecipazione per settori di intervento
Partec. Assen.
Informative
Infanzia
Adolescenza
Partec. Assem.
Consultive
24
85,7%
49,0%
Disabilità
13
46,4%
37,1%
23
74,2%
46,9%
Anziani
40,8%
49,0%
Immigrazione
20,0%
32,7%
Salute mentale
42,9%
32,7%
Ambiente
34,7%
2
22,2%
9
14,1%
3
13,0%
23
35,9%
1
5,6%
18
28,1%
2
40,0%
0
5
7,8%
8
40,0%
4
20,0%
20
31,3%
25,0%
37,5%
21,9%
5,7%
12,5%
6,3%
10
50,0%
28,6%
4
44,4%
7
38,9%
2
40,0%
17
85,0%
14
21,9%
37,5%
22,9%
10,0%
Cultura
0
12,5%
12
52,2%
8
44,4%
5
100,0%
4
28,6%
12,5%
15
65,2%
16
88,9%
10
15,6%
12,5%
7
77,8%
16
69,6%
1
10,0%
12,5%
3,1%
20,0%
14,3%
Salute fisica
15
23,4%
1
10,0%
7
50,0%
7
77,8%
1
6,7%
37,5%
12,5%
11,4%
26,5%
Indigenza
17
26,6%
4
26,7%
4
40,0%
13
92,9%
3
17,6%
75,0%
18,8%
14,3%
20,4%
Emarginazione
30
46,9%
6
35,3%
5
33,3%
10
100,0%
6
20,0%
50,0%
46,9%
28,6%
28,6%
Carcere e
devianza
23
35,9%
15
50,0%
10
58,8%
14
93,3%
4
17,4%
0,0%
40,6%
42,9%
26,5%
Dipendenze
31
48,4%
13
56,5%
15
50,0%
13
76,5%
2
6,5%
50,0%
25,0%
42,9%
24
80,0%
28
43,8%
17
54,8%
15
65,2%
Totali di riga
4
14,3%
34,4%
53,1%
Partec. Assem.
Decisionali
11
39,3%
18
58,1%
20
87,0%
Famiglia
Partec. Assem.
Elaborative
25,0%
50,0%
segue
107
APPENDICE
segue: Tabella 9. Tipo di partecipazione per settori di intervento
Partec. Assen.
Informative
Cooperazione
Partec. Assem.
Consultive
9
100,0%
18,4%
Totali
di colonna
Partec. Assem.
Elaborative
3
33,3%
8,6%
4
44,4%
12,5%
49
76,6%
Partec. Assem.
Decisionali
2
22,2%
9
14,1%
25,0%
35
54,7%
Totali di riga
32
50,0%
8
64
12,5%
100,0%
Partec. Assem.
Decisionali
Totali di riga
Tabella 10. Tipo di partecipazione per livello di organizzazione
Partec. Assem.
Informative
Organi:
Presidente
Partec. Assem.
Consultive
49
76,6%
96,1%
Organi:
DirettoreSegretario
35
54,7%
97,2%
33,3%
9
42,9%
25,0%
76,5%
31
58,5%
86,1%
88,2%
34
56,7%
94,4%
Totali di colonna
77,3%
21
31,8%
6
11,3%
53
80,3%
8
13,3%
60
90,9%
100,0%
36
54,5%
4
19,0%
75,0%
30
50,0%
93,8%
51
64
97,0%
50,0%
26
49,1%
81,3%
45
75,0%
7
10,9%
87,5%
12
57,1%
37,5%
39
73,6%
Organi. Consiglio
Direttivo
31
48,4%
96,9%
17
81,0%
Organi:
Assemblea
Elettiva
Partec. Assem.
Elaborative
32
48,5%
8
12,1%
66
100,0%
Tabella 11. Tipo di partecipazione per numero di volontari
Da 1 a 10 vol. Da 11 a 30 vol Da 31 a 50 vol Da 51 a 100
vol
Partec. Assem.
Informative
16
31,4%
80,0%
Partec. Assem.
Consultive
79,2%
10
28,6%
50,0%
Partec. Assem.
Elaborative
15,0%
108
12,5%
2
3,9%
51
78,5%
1
2,9%
35
53,8%
1
3,2%
31
47,7%
0
8
12,3%
50,0%
3
9,7%
30,0%
2
25,0%
50,0%
0
22,2%
24
36,9%
40,0%
66,7%
Totali di riga
100,0%
4
11,4%
6
19,4%
3
37,5%
20
80,0%
88,9%
45,8%
8
15,7%
8
22,9%
11
35,5%
3
37,5%
30,8%
66,7%
50,0%
50,0%
6
11,8%
12
34,3%
10
32,3%
Partec. Assem.
Decisionali
Totali di
colonna
19
37,3%
Oltre 100 vol
9
13,8%
10
15,4%
2
3,1%
65
100,0%
APPENDICE
Tabella 12. Tipo di partecipazione per estensione territoriale dell’organizzazione
Terr. Locale
Partec. Assem.Informative
Terr.
Regionale
35
7
4
4
50
14,0%
8,0%
8,0%
76,9%
77,8%
80,0%
5
4
1
35
71,4%
14,3%
11,4%
2,9%
53,8%
55,6%
80,0%
25,0%
24
4
2
1
31
77,4%
12,9%
6,5%
3,2%
47,7%
51,1%
44,4%
Partec. Assem.Decisionali
40,0%
25,0%
3
2
2
42,9%
28,6%
28,6%
6,4%
22,2%
Totali di colonna
100,0%
25
53,2%
Partec. Assem. Elaborative
Totali di riga
Terr.
Internazionale
70,0%
74,5%
Partec. Assem.Consultive
Terr.
Nazionale
47
72,3%
7
10,8%
40,0%
9
13,8%
0
5
7,7%
4
65
6,2%
100,0%
Tabella 13. Iniziative di preparazione per tipo di partecipazione
Partec. Assem.
Informative
Incontri
Partec. Assem.
Consultive
9
69,2%
90,0%
Seminari
9
69,2%
90,0%
3
100,0%
30,0%
Assemblee
20,0%
30,0%
100,0%
1
7,7%
13
92,9%
50,0%
0
0
3
21,4%
1
50,0%
1
50,0%
0
2
14,3%
3
60,0%
1
20,0%
5
35,7%
14,3%
3
60,0%
30,0%
10
71,4%
7
53,8%
Totali di riga
1
33,3%
10,0%
3
60,0%
Totali di colonna
Partec. Assem.
Decisionali
10,0%
2
100,0%
Iniz. con esperti
Partec. Assem.
Elaborative
42,9%
10
71,4%
50,0%
7
50,0%
2
14,3%
14
100,0%
109
APPENDICE
Tabella 14. Tipo di partecipazione ai tavoli per settori di intervento
Tav.
Consultivi
Tav.
informativi
Infanzia Adolescenza
10
17
4
23
43,5%
73,9%
17,4%
42,6%
41,7%
12
4
23
52,2%
43,5%
52,2%
17,4%
42,6%
41,7%
11
5
23
65,2%
43,5%
47,8%
21,7%
42,6%
41,7%
21
5
29
34,5%
37,9%
72,4%
17,2%
53,7%
45,8%
11
3
15
40,0%
40,0%
73,3%
20,0%
27,8%
25,0%
6
2
11
63,6%
45,5%
54,5%
18,2%
20,4%
20,8%
4
2
7
57,1%
42,9%
57,1%
28,6%
13,0%
12,5%
110
12,9%
25,0%
3
4
5
1
9
33,3%
44,4%
55,6%
11,1%
16,7%
16,7%
16,1%
12,5%
2
5
4
2
8
25,0%
62,5%
50,0%
25,0%
14,8%
20,8%
12,9%
25,0%
9
11
9
3
16
56,3%
68,8%
56,3%
18,8%
29,6%
45,8%
29,0%
37,5%
8
7
9
1
16
50,0%
43,8%
56,3%
6,3%
29,6%
29,2%
29,0%
12,5%
3
2
2
75,0%
50,0%
50,0%
8,3%
6,5%
0
4
7,4%
0,0%
9
9
11
2
19
47,4%
47,4%
57,9%
10,5%
35,2%
37,5%
35,5%
25,0%
3
4
7
1
9
33,3%
44,4%
77,8%
11,1%
16,7%
16,7%
25
46,3%
25,0%
3
12,0%
Totali di colonna
19,4%
4
36,0%
Cooperazione e sviluppo
37,5%
5
12,0%
Cultura
35,5%
7
32,0%
Ambiente
62,5%
6
36,0%
Salute mentale
67,7%
6
8,0%
Salute fisica
62,5%
11
12,0%
Indigenza
35,5%
10
16,0%
Emarginazione
50,0%
10
28,0%
Carcere e devianza
38,7%
15
24,0%
Dipendenze
50,0%
10
40,0%
Immigrazione
54,8%
12
60,0%
Famiglia
Totali di riga
10
48,0%
Anziani
Tav.
Decisionali
43,5%
40,0%
Disabilità
Tav.
Elaborativi
22,6%
24
44,4%
12,5%
31
57,4%
8
14,8%
54
100,0%
APPENDICE
Tabella 15. Problemi riscontrati per tipo di partecipazione alle assemblee
Partec. Assem.
Informative
Diff.
Comprensione
Partec. Assem.
Consultive
15
71,4%
38,5%
Diff. Comunic.
Ente Pubb.
13
61,9%
41,9%
24
77,4%
61,5%
Probl. Interaz.
Con altri TS
53,6%
35,5%
51,3%
42,9%
58,1%
12
92,3%
30,8%
53,6%
25,8%
Totali di colonna
73,6
31
58,5%
2
8,7%
23
43,4%
1
3,6%
28
52,8%
2
15,4%
13
24,5%
33,3%
31
58,5
3
9,7%
16,7%
8
61,5%
28,6%
39
21
39,6%
33,3%
15
53,6%
8
61,5%
3
14,3%
50,0%
12
52,2%
18
64,3%
Totali di riga
50,0%
15
48,4%
11
47,8%
20
71,4%
Scarsa Preparaz.
46,4%
48,4%
43,6%
Partec. Assem.
Decisionali
13
61,9%
15
48,5%
17
73,9%
Diff. Fasce orarie
Partec. Assem.
Elaborative
28
52,8
6
53
11,3
100,0%
Tav. Decisionali
Totali di riga
Tabella 16. Partecipazione ai tavoli per livello organizzativo
Tav. informativi
Organi:
Presidente
tav. Consultivi
26
49,1%
96,3%
Organi:
DirettoreSegretario
Organi:
Assemblea
Elettiva
Organi:
Consiglio
Direttivo
23
43,4%
95,8%
9
52,9%
33,3%
36,7%
70,8%
92,6%
70,0%
95,8%
27
43,6
96,7%
17
30,9%
6
15,0%
40
72,7%
8
15,1%
53
96,4%
100,0%
30
54,5
3
17,6%
75,0%
29
54,7%
24
53
96,4%
37,5%
21
52,5%
23
43,4%
7
13,2%
87,5%
11
64,7%
17
42,5%
25
47,2%
49,1
93,3%
33,3%
66,7%
28
52,8%
8
47,1%
18
45,0%
Totali di colonna
Tav. Elaborativi
8
14,5
55
100,0%
111
APPENDICE
Tabella 17. Partecipazione ai tavoli per numero di volontari
Da 1 a 10 vol.
Tav. Informativi
Da 11 a 30 vol.
3
1
27
25,9%
40,7%
18,5%
11,1%
3,7%
48,2%
50,0%
100,0%
5
3
0
24
16,7%
50,0%
20,8%
12,5%
0,0%
42,9%
54,5%
62,5%
33,3%
0,0%
9
10
6
6
0
31
29,0%
32,3%
19,4%
19,4%
0,0%
55,4%
45,5%
75,0%
66,7%
0,0%
2
2
2
2
0
8
25,0%
25,0%
25,0%
25,0%
0,0%
14,3%
9,1%
25,0%
16
28,6%
33,3%
12
12,5%
Totali di colonna
62,5%
4
56,3%
Tav. Decisionali
Totali di riga
5
25,0%
Tav. Elaborativi
Da 51 a 100 vol. Oltre 100 vol.
11
43,8%
Tav. Consultivi
Da 31 a 50 vol.
7
22,2%
22
39,3%
0,0%
8
14,3%
9
16,1%
1
1,8%
56
100,0%
Tabella 18. Problemi riscontrati per tipo di partecipazione ai tavoli
Tav.
Consultivi
Tav.
informativi
Diff. Comprensione
7
9
2
19
36,8%
47,4%
10,5%
39,6%
33,3%
14
3
24
50,0%
41,7%
58,3%
12,5%
50,0%
47,6%
112
42,9%
8
10
1
20
55,0%
40,0%
50,0%
5,0%
41,7%
38,1%
38,5%
14,3%
10
10
13
4
23
43,5%
43,5%
56,5%
17,4%
47,9%
47,6%
50,0%
57,1%
6
5
9
3
13
46,2%
38,5%
69,2%
23,1%
27,1%
23,8%
23
47,9%
56,8%
11
26,1%
Totali di colonna
28,6%
10
43,5%
Scarsa Preparaz.
34,6%
12
47,8%
Diff. Fasce or arie
Totali di riga
9
52,2%
Probl. Interaz. Con altri TS
Tav.
Decisionali
47,4%
39,1%
Diff. Comunic.Ente Pubb.
Tav.
Elaborativi
34,6%
21
43,8%
42,9%
26
54,2%
7
14,6%
48
100,0%
APPENDICE
Tabella 19. Problemi riscontrati per settori di intervento
Diff.
Diff.
Comprensione Comunic.Ente
Pubb.
Infanzia A dole sce nza
17
15
11
6
28
60,7%
53,6%
39,3%
21,4%
44,4%
45,9%
16
8
27
40,7%
55,6%
44,4%
59,3%
29,6%
42,9%
40,5%
10
6
24
29,2%
50,0%
54,2%
41,7%
25,0%
38,1%
32,4%
15
10
34
35,3%
55,9%
47,1%
44,1%
29,4%
54,0%
51,4%
66,7%
6
6
5
17
41,2%
41,2%
35,3%
35,3%
29,4%
27,0%
18,9%
22,2%
20,0%
33,3%
2
8
6
5
4
13
15,4%
61,5%
46,2%
38,5%
30,8%
20,6%
21,6%
22,2%
16,7%
26,7%
4
6
5
5
4
11
36,4%
54,5%
45,5%
45,5%
36,4%
17,5%
16,2%
18,5%
16,7%
26,7%
5
7
5
5
6
13
38,5%
53,8%
38,5%
38,5%
46,2%
20,6%
18,9%
18,5%
16,7%
40,0%
2
2
4
4
3
9
22,2%
22,2%
44,4%
44,4%
33,3%
14,3%
5,4%
14,8%
13,3%
20,0%
7
13
12
11
5
23
30,4%
56,5%
52,2%
47,8%
21,7%
36,5%
35,1%
44,4%
36,7%
33,3%
4
13
8
4
5
17
23,5%
76,5%
47,1%
23,5%
29,4%
27,0%
35,1%
29,6%
13,3%
33,3%
2
2
2
2
1
5
40,0%
40,0%
40,0%
40,0%
20,0%
7,9%
5,4%
7,4%
6,7%
6,7%
7
14
12
8
5
22
31,8%
63,6%
54,5%
36,4%
22,7%
34,9%
37,8%
44,4%
26,7%
33,3%
4
4
5
3
2
10
40,0%
40,0%
50,0%
30,0%
20,0%
15,9%
17,4%
Totali di colonna
50,0%
7
30,4%
Cooper azione e sviluppo
59,3%
7
8,7%
Cultura
40,0%
16
17,4%
Ambiente
33,3%
19
30,4%
Salute mentale
48,1%
12
8,7%
Salute fisica
53,3%
13
21,7%
Indigenza
53,3%
12
17,4%
Emarginazione
44,4%
7
8,7%
Carcere e devianza
40,0%
12
30,4%
Dipe nde nze
36,7%
15
52,2%
Immigrazione
55,6%
11
30,4%
Famiglia
Totali di riga
Scarsa
Preparaz.
8
47,8%
Anziani
Diff. Fasce
orarie
28,6%
34,8%
Disabilità
Probl. Interaz.
Con altri TS
10,8%
18,5%
10,0%
13,3%
23
37
27
30
15
63
36,5%
58,7%
42,9%
47,6%
23,8%
100,0%
113
APPENDICE
Tabella 20. Problemi riscontrati per livello organizzativo
Diff.
Diff.
Comprensione Comunic.Ente
Pubb.
Organi: Pre side nte
Probl. Interaz.
Con altri TS
Diff. Fasce
orarie
23
36
26
31
12
62
58,1%
41,9%
50,0%
19,4%
96,9%
95,8%
97,3%
92,9%
96,9%
85,7%
5
11
13
9
6
22
22,7%
50,0%
59,1%
40,9%
27,3%
34,4%
20,8%
29,7%
Organi: Assemblea Elettiva
46,4%
28,1%
42,9%
19
28
20
27
10
50
38,0%
56,0%
40,0%
54,0%
20,0%
78,1%
79,2%
75,7%
Organi: Consiglio Direttivo
71,4%
84,4%
71,4%
21
34
26
31
14
60
35,0%
56,7%
43,3%
51,7%
23,3%
93,8%
87,5%
91,9%
Totali di colonna
92,9%
96,9%
100,0%
24
37
28
32
14
64
37,5%
57,8%
43,8%
50,0%
21,9%
100,0%
Tabella 21. Problemi riscontrati per tipi di finanziamenti
Contrib.
Pubblici
Diff. Comprensione
Contrib.
Privati
18
17
21
81,0%
34,4%
37,0%
30
23
33
90,9%
69,7%
54,1%
54,5%
Probl. Interaz. con altri TS
50,0%
25
19
27
92,6%
70,4%
44,3%
45,5%
Diff. Fasce or arie
41,3%
26
26
30
86,7%
86,7%
49,2%
47,3%
Scarsa Preparaz.
Totali di riga
85,7%
32,7%
Diff. Comunic. Ente Pubb.
56,5%
12
15
15
80,0%
100,0%
24,6%
21,8%
114
Totali di riga
37,1%
Organi: Direttore-Segretario
Totali di colonna
Scarsa
Preparaz.
32,6%
55
46
61
90,2%
75,4%
100,0%
APPENDICE
Tabella 22. Problemi riscontrati per numero di volontari
Da 1 a 10 vol.
Diff. Comprensione
Da 11 a 30
vol.
9
10
37,5%
41,7%
47,4%
Diff. Comunic. Ente Pubb.
Oltre 100 vol.
Da 51 a 100
vol.
0
41,7%
Totali di riga
4
1
24
16,7%
4,2%
37,5%
36,4%
33,3%
10
16
3
6
1
36
27,8%
44,4%
8,3%
16,7%
2,8%
56,3%
52,6%
66,7%
Probl. Interaz. c on altri TS
42,9%
54,5%
33,3%
8
9
4
7
28,6%
32,1%
14,3%
25,0%
42,1%
37,5%
Diff. Fasce or arie
57,1%
0
28
43,8%
63,6%
8
11
3
7
2
31
25,8%
35,5%
9,7%
22,6%
6,5%
48,4%
42,1%
45,8%
Scarsa Preparaz.
42,9%
63,6%
66,7%
4
6
1
3
1
15
26,7%
40,0%
6,7%
20,0%
6,7%
23,4%
21,1%
Totali di colonna
Da 31 a 50
vol.
25,0%
14,3%
27,3%
33,3%
19
24
7
11
3
64
29,7%
37,5%
10,9%
17,2%
4,7%
100,0%
Tabella 23. Problemi riscontrati per estensione dell’organizzazione
Terr.
Locale
Diff. Comprensione
Terr.
Regionale
3
3
2
25
12,0%
12,0%
8,0%
38,5%
37,5%
3
2
37
70,3%
16,2%
8,1%
5,4%
56,9%
75,0%
42,9%
40,0%
18
4
4
2
28
64,3%
14,3%
14,3%
7,1%
43,1%
50,0%
57,1%
40,0%
23
3
4
2
32
71,9%
9,4%
12,5%
6,3%
49,2%
37,5%
57,1%
40,0%
8
4
2
1
15
53,3%
26,7%
13,3%
6,7%
23,1%
17,8%
Totali di colonna
40,0%
6
51,1%
Scarsa Preparaz.
42,9%
26
40,0%
Diff. Fasce or arie
Totali di riga
17
57,8%
Probl. Interaz. con altri TS
Terr.
Internazionale
68,0%
37,8%
Diff. Comunic. Ente Pubb.
Terr.
Nazionale
50,0%
28,6%
20,0%
45
8
7
5
65
69,2%
12,3%
10,8%
7,7%
100,0%
115
APPENDICE
Tabella 24. Tipo di preparazione per partecipazione ad incontri successivi
Inf. Stato dei
lavori
Incontri
Verif. attuaz.
Monitor. dei
lavori
Totali di riga
Riformulaz.
Piani
4
4
2
1
5
80,0%
80,0%
40,0%
20,0%
71,4%
80,0%
80,0%
Seminar i
100,0%
1
1
50,0%
50,0%
20,0%
100,0%
0
0
2
28,6%
20,0%
Assem blee
0
1
0
0
1
14,3%
100,0%
20,0%
Iniz. con esperti
2
1
1
0
2
100,0%
50,0%
50,0%
0,0%
28,6%
40,0%
Totali di colonna
20,0%
5
71,4%
50,0%
0,0%
5
71,4%
2
28,6%
1
14,3%
7
100,0%
Tabella 25. Tipo di rappresentanza per settori di intervento
Nomina rappr.
volta per volta
Infanzia A dole sce nza
13
2
7
2
21
61,9%
9,5%
33,3%
9,5%
42,9%
43,3%
6
3
23
13,0%
65,2%
21,7%
26,1%
13,0%
46,9%
50,0%
62,5%
3
4
1
19
21,1%
63,2%
15,8%
21,1%
5,3%
38,8%
40,0%
37,5%
23,5%
14,3%
3
17
4
7
4
26
11,5%
65,4%
15,4%
26,9%
15,4%
53,1%
56,7%
50,0%
41,2%
57,1%
3
6
2
6
3
14
21,4%
42,9%
14,3%
42,9%
21,4%
28,6%
20,0%
25,0%
35,3%
42,9%
6
1
5
2
8
75,0%
12,5%
62,5%
25,0%
16,3%
12,5%
29,4%
28,6%
1
5
2
6
2
9
11,1%
55,6%
22,2%
66,7%
22,2%
18,4%
16,7%
16,7%
42,9%
12
20,0%
Emarginazione
35,3%
4
0
Carcere e devianza
28,6%
5
50,0%
Dipe nde nze
41,2%
15
50,0%
Immigrazione
25,0%
3
66,7%
Famiglia
Totali di riga
2
50,0%
Anziani
Richiesta
resoconti dai
rappr.
Incontri fra
realtà TS
9,5%
33,3%
Disabilità
Nomina rappr. Costituz.
Stabile
Org.ombrello
16,7%
25,0%
35,3%
28,6%
1
5
2
3
3
8
12,5%
62,5%
25,0%
37,5%
37,5%
16,3%
16,7%
25,0%
17,6%
42,9%
segue
116
APPENDICE
segue: Tabella 25. Tipo di rappresentanza per settori di intervento
Nomina rappr.
volta per volta
Indigenza
Nomina rappr. Costituz.
Stabile
Org.ombrello
Richiesta
resoconti dai
rappr.
Incontri fra
realtà TS
1
1
2
3
25,0%
25,0%
50,0%
75,0%
16,7%
3,3%
Salute fisica
25,0%
Totali di riga
0
4
8,2%
17,6%
2
11
3
5
2
15
13,3%
73,3%
20,0%
33,3%
13,3%
30,6%
33,3%
36,7%
Salute mentale
37,5%
29,4%
28,6%
1
11
1
3
3
12
8,3%
91,7%
8,3%
25,0%
25,0%
24,5%
16,7%
36,7%
Ambiente
12,5%
1
1
50,0%
50,0%
16,7%
17,6%
42,9%
0
0
0
2
4,1%
3,3%
Cultura
1
8
2
3
1
13
7,7%
61,5%
15,4%
23,1%
7,7%
26,5%
16,7%
26,7%
Cooper azione e sviluppo
25,0%
17,6%
14,3%
1
3
1
3
14,3%
42,9%
14,3%
42,9%
16,7%
Totali di colonna
10,0%
6
12,2%
12,5%
30
61,2%
0
7
14,3%
17,6%
8
16,3%
17
34,7%
7
14,3%
49
100,0%
Tabella 26. Tipo di rappresentanza per livelli organizzativi
Nomina rappr.
volta per volta
Organi: Pre side nte
Nomina rappr.
Stabile
6
100,0%
96,8%
8
49
16,3%
98,0%
93,8%
100,0%
15
1
14
7,1%
64,3%
28,6%
35,7%
7,1%
28,0%
29,0%
50,0%
31,3%
12,5%
4
24
8
13
7
39
10,3%
61,5%
20,5%
33,3%
17,9%
78,0%
77,4%
100,0%
81,3%
87,5%
5
31
8
13
8
47
10,6%
66,0%
17,0%
27,7%
17,0%
94,0%
100,0%
6
12,0%
100,0%
15
30,6%
4
83,3%
Totali di colonna
16,3%
Totali di riga
9
66,7%
Organi: Consiglio Direttivo
61,2%
Richiesta
resoconti dai
rappr.
1
16,7%
Organi: Assemblea Elettiva
Incontri fra
realtà TS
30 8
12,2%
Organi: Direttore-Segretario
Costituz.
Org.ombrello
100,0%
31
62,0%
81,3%
8
16,0%
100,0%
16
32,0%
8
16,0%
50
100,0%
117
APPENDICE
Tabella 27. Ricadute della programmazione sulla cultura locale della cittadinaza
Frequenze
Valide
Dato
Percent
Percent Valide
Positivamente
22
26,5
33,8
Scarsamente
42
50,6
64,6
Negativamente
1
65
18
1,2
78,3
21,7
1,5
100,0
83
100,0
Totale
Mancante
Totale
Tabella 28. Disagio sociale
Frequenze
Valide
Dato
Percent
Molto positivamente
Percent Valide
3
3,6
4,6
Positivamente
33
39,8
50,8
Scarsamente
29
65
18
34,9
78,3
21,7
44,6
100,0
83
100,0
Totale
Mancante
Totale
Tabella 29. Qualità della vita
Frequenze
Valide
Dato
Molto positivamente
Percent
Percent Valide
2
2,4
3,1
Positivamente
19
22,9
29,7
Scarsamente
41
49,4
64,1
Negativamente
2
64
19
2,4
77,1
22,9
3,1
100,0
83
100,0
Totale
Mancante
Totale
Tabella 30. Assetto istituzionale
Frequenze
Valide
Dato
Totale
118
Molto positivamente
Percent
Percent Valide
3
3,6
4,7
Positivamente
34
41,0
53,1
Scarsamente
24
28,9
37,5
Negativamente
3
64
19
3,6
77,1
22,9
4,7
100,0
83
100,0
Totale
Mancante
APPENDICE
Tabella 31. Valorizzazione delle risorse locali
Frequenze
Valide
Dato
Percent
Percent Valide
Molto positivamente
Positivamente
2
2,4
3,2
22
26,5
35,5
Scarsamente
35
42,2
56,5
Negativamente
3
62
21
3,6
74,7
25,3
4,8
100,0
83
100,0
Totale
Mancante
Totale
Tabella 32. Ricadute innovative sui propri servizi e attività
Tipologia di ricaduta
Nessuna
Sede di riferime nto
Aumento progettazione in re te con altre OdV
Miglior conoscenza della normativa
Aumento attività
Esper ienza maturata
Conoscenza dei linguaggi com uni
Verificare le ricadute
Valorizzazione delle OdV
Non so
Costituzioni nuove reti
Non r isponde
Totale
Valori
assoluti
Val %
% Valide
22
1
8
9
10
4
2
2
1
1
1
22
83
26,5
1,2
9,6
10,8
12,0
4,8
2,4
2,4
1,2
1,2
1,2
26,5
100
36,1
1,6
13,1
14,8
16,4
6,6
3,3
3,3
1,6
1,6
1,6
100
Tabella 33. Iniziative di preparazione alla partecipazione
Partecipazione ad iniziative
Val ass.
% sul totale
% valida
No
Si
Mancanti
Totale generale
47
30
6
83
56,6
36,1
7,2
100
61,0
39,0
100
Tabella 34. Organizzazioni convocate ad uno o più incontri per la preparazione del PdZ
Val ass.
% sul totale
% valida
No
Si
Convocazione
15
68
18,1
81,9
18,1
81,9
Totale generale
83
100,0%
100,0%
119
APPENDICE
Tabella 35. Incontri interni all’organizzazione per decidere come contribuire ai lavori
Valori assoluti
Val %
% Valide
No
Si
Non r isponde
16
53
14
19,3
63,9
16,9
23,2
76,8
Totale
83
100
100
Tabella 36. Richiesta ai rappresentanti di riscontri e rapporti sullo stato di avanzamento
Valori assoluti
Val %
% Valide
No
Si
Non r isponde
15
54
14
18,1
65,1
16,9
21,7
78,3
Totale
83
100
100
120
APPENDICE
ALLEGATO B
QUESTIONARIO DI RILEVAZIONE
A) ANAGRAFICA DELL’ORGANIZZAZIONE
a.1 Nome
__________________________________________________________________
a.2 Quando è nata la vostra organizzazione? (anno)
______
a.3 A quale registro siete iscritti? (più risposte possibili)
❑ Nessuno
❑ Volontariato
❑ Protezione civile
❑ Sanitario
❑ Altro:(SPECIFICARE)______________________________________________
a.4 Quanti volontari operano con continuità nella vostra organizzazione?
❑ Da 1 a 10
❑ Da 11 a 30
❑ Da 31 a 50
❑ Da 51 a 100
❑ Oltre 100
a.5 Quali sono le aree di intervento della vostra organizzazione? (più risposte possibili)
❑ Infanzia e adolescenza
❑ Disabilità
❑ Anziani
❑ Famiglia
❑ Immigrazione
❑ Dipendenze
❑ Carcere e devianza
❑ Grave emarginazione
❑ Indigenza
121
APPENDICE
❑ Salute fisica
❑ Salute mentale
❑ Ambiente
❑ Cultura
❑ Cooperazione allo sviluppo
❑ Altro:(SPECIFICARE)______________________________________________
a.6 Che tipo di estensione territoriale abituale ha la vostra organizzazione?
❑ Locale
❑ Regionale
❑ Nazionale
❑ Internazionale
a.7 Che tipo di prestazioni offre la vostra organizzazione? (più risposte possibili)
❑ Accompagnamento
❑ Assistenza domiciliare
❑ Assistenza domestica
❑ Assistenza sanitaria
❑ Assistenza sociale
❑ Assistenza legale
❑ Assistenza morale-religiosa
❑ Animazione socio-culturale
❑ Educazione - insegnamento - istruzione
❑ Intrattenimento
❑ Discernimento - valutazione casi personali
❑ Ascolto telefonico
❑ Consulenza
❑ Prevenzione
❑ Rieducazione
❑ Servizio farmaceutico
❑ Prestazioni tecniche
❑ Prestazioni specialistiche - professionali
❑ Riabilitazione
❑ Formazione professionale
❑ Reinserimento
❑ Cure sanitarie
❑ Trasporto malati
❑ Patronato - segretariato sociale
❑ Soccorso
❑ Servizio mensa
❑ Servizio di lavanderia-guardaroba
❑ Servizi igienico - sanitari per persone
❑ Promozione/difesa di diritti civili
❑ Difesa civica di individui o gruppi
❑ Ricerca, studio
122
APPENDICE
❑ Allestimento di documentazione
❑ Educazione alla mondialità
❑ Altro:(SPECIFICARE)______________________________________________
a.8 Quali organi/cariche sono presenti nella vostra organizzazione? (più risposte
possibili)
❑ Presidente
❑ Direttore / Segretario Generale
❑ Assemblea elettiva
❑ Consiglio Direttivo
❑ Altro:(SPECIFICARE)______________________________________________
a.9 La vostra organizzazione è socia di reti o consorzi?
❑ Si
❑ No
a.10 La vostra organizzazione riceve contributi, corrispettivi per prestazioni
(convenzioni/rimborso spese), finanziamenti di progetti o donazioni? (più risposte
possibili)
❑ pubblici
❑ privati
a.11 Avete gestito servizi in convenzione con le Istituzioni locali nella fase precedente
al Piano di zona?
❑ Si
❑ No
123
APPENDICE
B) CONVOCAZIONE
b.1 La vostra organizzazione è stata convocata ad uno o più incontri per la preparazione
del Piano di zona (L. 328/2000) ?
❑ Sì
❑ No
b.1.1 Se sì, come?
❑ In forma scritta da parte dell’Ente
❑ Telefonicamente da parte dell’Ente
❑ Per passaparola tra OdV
❑ Per passaparola tra organizzazioni di Terzo settore
❑ Dal Centro Servizi per il Volontariato
❑ Altro:(SPECIFICARE)______________________________________________
b.1.2 Se sì, quante volte con convocazione formale (forma scritta o telefonicamente)?
❑ Mai (l’abbiamo saputo e abbiamo partecipato autonomamente)
❑ Solo la prima volta (per le altre annotavamo le date)
❑ Solo alcune volte (per le altre annotavamo le date)
❑ Tutte le volte
❑ Altro: (SPECIFICARE)_____________________________________________
b.2 A vostra conoscenza la convocazione è stata estesa:
❑ A tutte le organizzazioni del Terzo settore del territorio
❑ A tutte le OdV del territorio
❑ Alle sole OdV iscritte al registro regionale del volontariato (L.266/91)
❑ Alle sole organizzazioni convenzionate con Enti Pubblici
❑ Alle organizzazioni iscritte ad altri registri (es. protezione civile, sanità)
❑ A poche OdV, a discrezione dell’Ente Pubblico
❑ Altro:
(SPECIFICARE)______________________________________________________
124
APPENDICE
C) PARTECIPAZIONE ALLA PREPARAZIONE DEL PIANO DI ZONA
c.1 Nel corso della programmazione avete partecipato a: (più risposte possibili)
❑ Assemblee informative (solo informazioni da parte dell’Ente)
❑ Assemblee consultive (con richiesta di parere da parte dell’Ente)
❑ Assemblee elaborative (con accoglimento di proposte da parte dell’Ente /
co-progettazione)
❑ Assemblee decisionali (con potere di approvazione sulle proposte di Piano)
❑ Tavoli tematici o riunioni ristrette informative
❑ Tavoli tematici o riunioni ristrette consultive
❑ Tavoli tematici o riunioni ristrette elaborative / propositive (co-progettazione)
❑ Tavoli tematici o riunioni ristrette decisionali
❑ Altro:
(SPECIFICARE)________________________________________________________
c.2 Nel corso della partecipazione alla programmazione avete avuto iniziative di
preparazione?
❑ Sì
❑ No
c.2.1 Se ci sono state, che tipo di iniziative? (prima e/o durante gli incontri)
PRIMA
DURANTE
Incontri informativi
❑
❑
Seminari di studio
❑
❑
Assemblee interne
❑
❑
Incontri con esperti e/o referenti istituzionali
❑
❑
Altro: (SPECIFICARE)____________________________
❑
❑
125
APPENDICE
c.2.2 Se si, su iniziativa di chi? (prima e/o durante gli incontri)
PRIMA
DURANTE
Autonomamente
❑
❑
Di una o più organizzazioni di volontariato
❑
❑
Di un’apposita organizzazione costituita da enti di
Terzo Settore e volontariato
❑
❑
Di altre organizzazioni del Terzo settore
❑
❑
Di enti pubblici locali:
(SPECIFICARE)_______________________
❑
❑
Altro: (SPECIFICARE)____________________________
❑
❑
c.3 Nel corso della partecipazione, all’interno della vostra organizzazione, avete:
❑ nominato/incaricato stabilmente uno o più rappresentanti della vostra
organizzazione
❑ nominato/incaricato volta per volta i rappresentanti della vostra
organizzazione
c.4 Un rappresentante della vostra organizzazione è stato incaricato di essere
portavoce anche di altre organizzazioni di volontariato?
❑ Sì
❑ No
c.5 Avete svolto incontri interni alla vostra organizzazione per decidere come contribuire
ai lavori?
❑ Sì
❑ No
c.6 Avete chiesto ai vostri rappresentanti, dopo aver partecipato agli incontri, dei
resoconti/rapporti sullo stato dei lavori?
❑ Sì
❑ No
126
APPENDICE
c.7 Nel corso della programmazione, assieme alle altre organizzazioni, avete:
❑ Nominato/incaricato volta per volta i rappresentanti
❑ Nominato/incaricato stabilmente uno o più rappresentanti ai tavoli di
programmazione
❑ Costituito un’apposita organizzazione ombrello per meglio incidere nella
programmazione
❑ Svolto incontri fra le vostre organizzazioni per decidere come contribuire ai
lavori
❑ Chiesto ai rappresentanti delle organizzazioni di volontariato dei
resoconti/rapporti sullo stato dei lavori
❑ Altro:
(SPECIFICARE)________________________________________________________
c.8 Quanto ha saputo incidere, nella fase di programmazione, la rappresentanza
incaricata?
❑ Poco
❑ Molto
c.9 Il rappresentante ha saputo far valere in prevalenza le istanze:
❑ Della generalità delle organizzazioni
❑ Della propria organizzazione
c.10 A quali tipologie di attività avete partecipato? (più risposte possibili)
❑ Analisi dei bisogni e/o dell’offerta di risorse
❑ Elaborazioni di priorità
❑ Elaborazioni di proposte di intervento
❑ Elaborazioni di piattaforme e/o documenti di programma
❑ Altro:
(SPECIFICARE)________________________________________________________
c.11 Secondo voi in che rapporto le organizzazioni di volontariato hanno partecipato
rispetto alle altre organizzazioni del Terzo settore attive nel territorio?
❑ 1 – 25 %
❑ 26 - 50 %
❑ 51 - 75 %
❑ 76 – 100 %
127
APPENDICE
c.12 Nel corso della partecipazione sono emersi i seguenti problemi: (più risposte
possibili)
❑ Difficoltà di comprensione di linguaggi tecnici
❑ Difficoltà di comunicazione con l’Ente Pubblico
❑ Difficoltà di interazione con le altre organizzazioni
❑ Difficoltà da parte dei volontari di essere presenti in determinate fasce
orarie
❑ Scarsa preparazione dei rappresentanti delle organizzazioni di volontariato
❑ Inadeguatezza tecnica dei referenti istituzionali di Piano
❑ Inadeguatezza organizzativa e gestionale dei referenti istituzionali di Piano
❑ Turn over dei referenti istituzionali di Piano
❑ Altro:
(SPECIFICARE)_________________________________________________________
c.13 Secondo voi la vostra partecipazione alla elaborazione del Piano è stata:
❑ Passiva (abbiamo solo ricevuto informazioni)
❑ Consultiva (abbiamo solo espresso pareri)
❑ Propositiva (abbiamo formulato alcune proposte)
❑ Elaborativa ( abbiamo partecipato alla messa a punto del piano)
❑ Determinante (partecipazione alle decisioni finali e applicative)
❑ Altro:
(SPECIFICARE)_________________________________________________________
c.14 Quali aspetti o parti del Piano di zona non sarebbero esistiti senza il contributo
del volontariato?
c.15 Date una vostra definizione di partecipazione alla programmazione delle politiche
sociali locali:
128
APPENDICE
D) ATTUAZIONE / partecipazione all’attuazione del Piano
d.1 Dopo la stesura del Piano, la vostra organizzazione ha partecipato a successivi
incontri?
❑ Sì
❑ No
d.1.1 Se sì, per quali dei seguenti tipi di attività? (più risposte possibili)
❑ Informazione sullo stato dell’opera o altre novità
❑ Monitoraggio dello svolgimento del Piano
❑ Momenti di verifica di attività programmate e svolte
❑ Riformulazione del Piano
❑ Altro
d.2 Dopo la promulgazione del Piano di zona la vostra organizzazione ha realizzato o
sta gestendo specifiche attività o progetti inseriti nel Piano stesso?
❑ Sì
❑ No
129
APPENDICE
E) RICADUTE
e.1 A seguito della partecipazione al Piano la vostra organizzazione, rispetto ai seguenti
aspetti, ha rilevato:
ASPETTI DI VITA
DELL’ORGANIZZAZIONE
Comunicazione interna
Partecipazione dei membri
interni
Motivazione dei volontari
Qualità delle prestazioni
erogate
Qualificazione operatori
Senso di cittadinanza dei
volontari
Conoscenza del quadro
istituzionale di riferimento
Budget a disposizione
Tempi di impegno richiesti
Migliore organizzazione
(organigramma più
strutturato, più trasparenza
delle prassi …)
Numero dei volontari
Numero di operatori
remunerati
Altro:______________________
__________________________
Altro:______________________
__________________________
130
AUMENTO
DIMINUZIONE
INVARIANZA
APPENDICE
e.2 A seguito della partecipazione ai Piani di zona, è migliorata la vostra conoscenza
rispetto a:
❑ Realtà del Terzo settore attive a livello locale
❑ Problemi/bisogni sociali del territorio
❑ Enti o istituzioni locali privati
❑ Enti o istituzioni locali pubblici
❑ Altre realtà di volontariato
❑ Offerta dei servizi sul territorio
❑ Altro:
(specificare)_________________________________________________________
e.3 Descrivete eventuali ricadute innovative sui soggetti e i contesti sopraelencati:
e.4 A seguito della partecipazione ai Piani di zona, i rapporti tra le organizzazioni di
volontariato locali sono cresciuti in quanto a: (più risposte possibili)
❑ Comunicazione
❑ Collegamenti
❑ Coordinamenti
e.5 Descrivete eventuali ricadute innovative sui vostri servizi e le vostre attività:
131
APPENDICE
e.6 Secondo voi, come ha inciso l’esperienza generale della pianificazione zonale nel
vostro territorio, riguardo ai seguenti aspetti:
molto
positivamente
positivamente
scarsamente negativamente
Assetto istituzionale
Disagio sociale
Cultura locale della
cittadinanza
Qualità della vita
Valorizzazione delle
risorse locali
Altro:_____________
__________________
Altro:_____________
__________________
e.7 Qual’è il bilancio finale della vostra partecipazione alla pianificazione di zona?
132
APPENDICE
ALLEGATO C
SCHEDA DATI DI RAFFRONTO
Zona:________________________
Anagrafica della zona:
N° comuni
N° di abitanti
Piano di Zona:
Anno prima attivazione (dopo il 2000)
Attuale numero progressivo del Piano
Data di promulgazione del Piano attuale
Data di avvio del Piano attuale
Durata del Piano
Budget a disposizione
Volontariato:
OdV iscritte nel Registro Regionale per il Volontariato
OdV individuate e convocate dall’Ufficio di Piano
133
APPENDICE
ALLEGATO D
ORGANIZZAZIONI PRESENTI AI FOCUS GROUP
NORD
Lecco
CSV - SoLeVol
MOVI Lombardia
AUSER Lombardia
Padova
AIMA EUGANEA ESTE ONLUS
Villaggio S.Antonio
MOVI Padova
MOVI Padova
Ass. Anziani a Casa
COSEP
ANFFAS
CENTRO
Lucca
Croceverde PA Lucca
ACAT
Ass.Don Franco Baroni
Soc.San Vincenzo de Paoli
ARCI
Gruppi Volontariato Vincenziano
Misericordia di Castelnuovo di Garfagnana
Gruppo Volontari Carcere
Croce Verde Lucca
Croce Verde Lucca
Perugia
AUSER
ARCAT
Ass.Perugina di Volontariato (CARITAS)
Pisa
Società della Salute
Società della Salute
Ass.Città Solidale
Ass. L’Alba auto-aiuto
AUSER
135
APPENDICE
AIED
AOPI (ass.oncologica pisana)
MEZZOGIORNO
Salerno
Ass.Italiana superfragile
CARITAS diocesana
CARITAS-ass. ipotenusa
AIL sezione Marco Tulimeri
Gruppo Insieme di Angri
ANTEAS (CISL)
CIF
Gruppo Logos onlus
MOVI Salerno
CSV: FEDERHAND - FISH Campania
136
APPENDICE
ALLEGATO E
ORGANIZZAZIONI SOTTOPOSTE A QUESTIONARIO
CENTRO
Lucca
AISM- assoc. Lucca
Associazione volontariato
CEIS Gruppo giovani Comunità
Centro nazionale per il volontariato
Confraternita di Misericordia di Diecimo
Consultorio La famiglia Ass Cristiana per la Famiglia
Croce verde
FASM Ass Famiglia per salute mentale
Giovani e cooperativa sociale
Gruppi volontari carcere
Pisa
Aism Pisa
Ass.ne ONLUS “Gruppo liberoArgentovivo”
Associazione “Cilla” ONLUS ente morale
Auser territoriale Pisa
Confraternita Misericordia Latignano
Coordinamento etico dei Carabinieri
Famiglia aperta
Pubblica Assistenza Cascina
Terni
Armonie di qualità diverse
Associazione Famiglie di disabili
Centro sociale Cesure - Ancescao
Cidis Onlus
Costruire per abbattere
SOS - Soccorso Opere Sociali
NORD
Bologna
Anzola Solidale ONLUSS
Arc En Ciel
Ass.Nazionale trapianti di rene
AUSER volontariato Bologna
137
APPENDICE
Casa famiglia dolce acqua
Comunità Marana-Thà
In cammino verso
La tenda di ABRHAM
Mosaico di solidarietà ONLUSS
Passo Passo Ass. territoriale per l’integrazione
SAT servizio tossicodipendenza S.Vitale
UNIVOC, Unione nazionale italiana volontari ciechi
Lecco
ALEG
ASS Club alcolisti in trattamento Lecco
Ass. Comunità il Gabbiano ONLUS
Ass. ne Genitori Amici degli Handicappati
ASVAP
Cda centro di ascolto caritas zona grigne mandello lario
La colombina
L’altra metà del cielo
Les Cultures
Psiche Lombarda(Lecco)
Padova
A.I.A.S associazione italiana assistenza
ANFFAS
Associazine italiana malattia dell’alzheimer Euganea
Associazione italiana zingari oggi (pd)
MATTEO 25,40
MO.VI Padova
Villaggio S.Antonio
MEZZOGIORNO
Cosenza
A.V.O Ass.ne Volontari Ospedalieri Lungro(cs)
Aism Cosenza
ARCAT Calabria Ass. reg. Club Alcolisti
Ass.Onlus Con Paola
Assoc di Volontariato GO’EL
Narcon Bruzio-ONLUS
Palermo
ADIM (Cittadinanza attiva)
Anglat - San Cataldo
ANPASS - Compobello Mazzara
Arci Ragazzi
Armonia Sociale ONLUS (Ag)
Associazione di Volontariato “Focus Group” ONLUS
138
APPENDICE
Auser - Marsala
Coop Sociale io per voi per io (Cl)
Masci 2 (Cl)
Misericordia Petrosino (Tp)
Misericordia -Valle D’olmo
Nuovo Orizonte
Salvatore Crispi
Salerno
Ass. Culturale Humus - ONLUS S.Cipriano picentino
Ass. Italiana Contro le leucemie-linfomi-mieloma (SA)
Ass.Ita.Amici del cuore
Ass.La tenda Centro di volontariato ONLUS
Caritas Diocesana
CIF centro italiano femminile
Confraternita Misericordia Salerno
Confraternita MIsericordia Siano(Sa)
Gruppo operativo INSIEME PER DIFENDERSI per difendersi dalle
droghe
Insieme per il sociale
Misericordia S.Giuseppe Moscati
139
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Isfol, Mobilità e trasparenza delle competenze acquisite: l’esperienza Europass
Formazione in Italia, Roma, Isfol, 2005 (Temi&Strumenti. Studi e ricerche; 2)
Isfol, Il Fondo Sociale Europeo 2000-2006. Quadro Comunitario di sostegno Ob.
3. Valutazione intermedia. 1° e 2° Parte, Roma, Isfol, 2005 (Temi&Strumenti.
Studi e ricerche; 3)
Isfol, Percorsi di orientamento. Indagine nazionale sulle buone pratiche, Roma,
Isfol, 2005 (Temi&Strumenti. Studi e ricerche; 4)
Isfol, Tra orientamento e auto-orientamento, tra formazione e auto-formazione, Roma, Isfol, 2005 (Temi&Strumenti. Studi e ricerche; 5)
Isfol, La qualità del lavoro, Roma, Isfol, 2005 (Temi&Strumenti. Studi e ricerche; 6)
Isfol, Passo alla Pratica. Una pratica Isfol di consulenza orientativa, Roma, Isfol,
2005 (Temi&Strumenti. Studi e ricerche; 7)
Isfol, Investire nella progettualità delle associazioni di promozione sociale.
Compendium progetti Legge 383/2000 triennio 2002-2004, Roma, Isfol, 2006
(Temi&Strumenti. Studi e ricerche; 8)
Isfol, Pensare al futuro. Una pratica di orientamento in gruppo, Roma, Isfol, 2005
(Temi&Strumenti. Studi e ricerche; 9)
Isfol, Accogliere e integrare. Esperienze Equal in tema di immigrazione, Roma,
Isfol, 2006 (Temi&Strumenti. Studi e ricerche; 10)
Isfol, Consulenza alla persona e counseling: ambiti di intervento, approcci, ruolo e competenze del counselor, Roma, Isfol, 2006 (Temi&Strumenti. Studi e
ricerche; 11)
Isfol, Istruzione e formazione professionale: verso la costruzione di nuovi scenari e nuove competenze per gli operatori del sistema, Roma, Isfol, 2006
(Temi&Strumenti. Studi e ricerche; 12)
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Finito di stampare marzo 2007