Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino

Il Dipartimento della sanità
e della socialità
e la Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
invitano alla conferenza
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002 - ore 08.30
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
www.ti.ch/salute
Interverranno
Patrizia Pesenti
Christian Marazzi
Angelica Lepori
Luciano Gallino
Béatrice Despland
Carlo Marazza
Presidente del Consiglio di Stato
SUPSI
SUPSI
Università di Torino
Université de Neuchâtel
Istituto delle assicurazioni sociali
Iscrizioni & Informazioni
Sezione sanitaria - 6500 Bellinzona
Fax 091 8253189 - e-mail [email protected] - http://www.ti.ch/salute
Repubblica e Cantone del Ticino
Dipartimento della sanità e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Programma
Ore 08:30
Accoglienza
Ore 09:00
Apertura
Maurizio Corti, giornalista RTSI
Ore 09:15
Introduzione
Patrizia Pesenti, Presidente del Consiglio di
Stato
Ore 09:30
Forme del lavoro e qualità della vita in
Ticino
Christian Marazzi e Angelica Lepori, Scuola
universitaria professionale della Svizzera
italiana
Ore 10:15
Lavoro
flessibile,
società
flessibile:
progetto
riformista
o
rischio
per
l'integrazione sociale?
Luciano Gallino, Università di Torino
Ore 10:45
Pausa
Ore 11:00
Nouvelles
modalités
de
travail
et
assurances sociales: cause de précarité ?
Béatrice Despland, Université de Neuchâtel
Ore 11:30
Lavoro e sicurezza sociale in Ticino
Carlo Marazza, Istituto delle assicurazioni
sociali
Ore 12:00
Discussione
Ore 12:20
Conclusioni
Maurizio Corti, giornalista RTSI
Ore 12:30
Chiusura
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Maurizio Corti
Giornalista presso la Televisione
Svizzera italiana, redazione TG
della
Non si può dire che questo secolo sia cominciato nel migliore dei modi rispetto alle
prospettive economiche, sociali, ambientali, dei rapporti fra i popoli. L'evoluzione
internazionale conosciuta nell'ultimo decennio e molti eventi di questi ultimi mesi registrati
anche nel nostro paese hanno fatto emergere nuove paure e insicurezze. La più ampia
autonomia consegnata al libero mercato ha generato anche traumi e disillusioni. Basti
scorrere copertine, titoli di quotidiani, riviste, giornali radio e tv per rendersi conto che
molti meccanismi si sono inceppati nel sistema economico prevalente.
Se i mezzi di comunicazione sono specchio - seppur non sempre fedele e imparziale della realtà che ci circonda, quel che ci viene trasmesso quotidianamente dai flussi di
informazione è un'immagine ricca di contraddizioni e interrogativi. Non solo per colpa
della deriva del giornalismo, ma anche perché gli avvenimenti, le notizie hanno saputo
superare anche l'immaginabile.
Attraverso alcuni esempi sui contenuti dei mezzi di informazione, si può interpretare il
disagio che vivono oggi molte società occidentali, Svizzera compresa.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Maurizio Corti - giornalista RTSI
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Lavoro
flessibile,
società
flessibile: progetto riformista o
rischio per l'integrazione sociale?
Patrizia Pesenti
Presidente del Consiglio di Stato
Direttore del Dipartimento della sanità e della
socialità
Inchiesta sugli effetti sociali della flessibilità del mercato del lavoro in
Ticino
Gentili Signore,
Egregi Signori,
sono particolarmente contenta di essere qui oggi per la presentazione e
discussione della ricerca sul tema “ Forme del lavoro e qualità della vita in
Ticino. Inchiesta sugli effetti della flessibilità del mercato del lavoro in Ticino”
realizzata dalla SUPSI su mandato del Dipartimento della sanità e della
socialità. In primo luogo vorrei ringraziare i due autori dell’inchiesta
Christian Marazzi e Angelica Lepori per l’ottimo lavoro svolto. Questo studio
si inserisce in un’ampia riflessione che il DSS ha avviato in questa legislatura.
Partendo dalla constatazione che il modo in cui lavoriamo sta rapidamente
cambiando, come responsabili della sanità e della socialità abbiamo voluto
vedere come le nuove forme di lavoro influiscono sulla salute delle persone e
quali effetti hanno sulle garanzie/sicurezza sociale.
Del primo tema (nuove forme di lavoro come determinanti della salute) ci
occuperemo ancora in modo più approfondito in una giornata, il 6 novembre
prossimo. Mentre oggi vogliamo approfondire la conoscenza degli effetti
delle nuove forme di lavoro sulla qualità della vita.
Personalmente devo molto a Charles Leadgeater, un ricercatore inglese che
già nel 1998 ha saputo mettere a fuoco e anticipare il tema del crescente
contrasto tra flessibilità e sicurezza sociale (The employee mutal,
Demos/Reed 1998).
A distanza di qualche anno quelle che sembravano anticipazioni e frutto di un
think tank molto attento, costituiscono una realtà evidente, sotto gli occhi di
tutti.
L’inchiesta di Christian Marazzi è una delle più complete e interessanti
realizzate a livello europeo e sul piano nazionale svizzero costituisce una
vera e propria novità nel panorama delle ricerche sinora compiute. Per la
prima volta è stata effettuata nel nostro paese un’inchiesta sui lavoratori
cosiddetti atipici, facendo emergere i loro vissuti, le loro preoccupazioni e le
loro aspettative attraverso delle interviste aperte. Si è così data la parola per
la prima volta a soggetti che di giorno in giorno sperimentano sulla loro pelle
la “rivoluzione silenziosa” in atto dei nuovi modi di lavorare caratterizzati da
ampie dosi di precarietà e flessibilità.
Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità
2
L’espressione “rivoluzione silenziosa” è più che appropriata. Negli anni ’90,
che sono stati anni di crisi economica, il numero di persone con un’attività
remunerata è rimasto più o meno stabile in Svizzera. E' cambiata invece la
composizione della popolazione attiva. E’ aumentato di molto il numero di
persone occupate a tempo parziale mentre sono diminuiti gli occupati a
tempo pieno.
Ma ciò che più colpisce è l’aumento delle cosiddette forme di lavoro atipiche
(lavoro a tempo determinato, su chiamata, in affitto svolto cioè con
l’intermediazione di agenzie di collocamento, ecc.). E' aumentato il numero di
lavoratori cosiddetti autonomi che si sono messi in proprio dopo aver perso il
lavoro ed essere stati in disoccupazione per un certo periodo. L’aumento del
numero di questi lavoratori riflette anche la politica delle grandi imprese che
esternalizzano funzioni precedentemente affidate ai loro personale salariato.
La ricerca è stata effettuata in un periodo di alta congiuntura e relativamente
bassa disoccupazione. Non sappiamo quale sarà la tendenza dei prossimi
anni considerate le previsioni di crescita vicine allo zero.
Queste tendenze in atto destabilizzano i piani e i progetti di vita degli
individui, determinano una discontinuità dei redditi. E , soprattutto, vengono
ridotte in misura importante le garanzie offerte dalle assicurazioni sociali,
ancora oggi basate sul modello del lavoro stabile (possibilmente addirittura
nella stessa ditta) e a tempo pieno. Per dirla in altre parole il nostro sistema di
sicurezza non regge una discontinuità troppo marcata.
Per questa ragione è importante rispondere a questi mutamenti con una
profonda innovazione delle politiche sociali tanto più che la Svizzera, stando
ad alcuni studi dell’Organizzazione della cooperazione e dello sviluppo
economico (OCSE) è uno dei paesi europei con il mercato del lavoro meno
regolamentato in termini di tutela dei lavoratori.
All'inizio della legislatura abbiamo fissato l'obiettivo di modernizzare le
garanzie sociali in risposta alla flessibilizzazione del mercato del lavoro.1
1
Cfr. Rapporto al Gran Consiglio sul secondo aggiornamento delle Linee direttive e del Piano finanziario 2000-2003 (ottobre 2001) scheda programmatica n. 2, misura 3, pag. 40: “L’innovazione dello Stato sociale consiste nel tradurre in positivo (in autonomia e in
libertà individuale) la flessibilizzazione implicita nella società del rischio…Si tratta di un compito nuovo con il quale lo Stato si trova
confrontato in un’epoca in cui l’imprevedibilità degli eventi riguarda la comunità intera, e non soltanto i più sfavoriti
Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità
3
Gli autori dello studio formulano alcune proposte operative e alcuni spunti di
riflessione al capitolo dell’innovazione delle politiche sociali. Nell’ottica dei
lavoratori atipici, il problema più serio con il quale si trovano confrontati
riguarda proprio l’assenza di tutele adeguate in termini di assicurazione
malattia, disoccupazione, previdenza professionale, periodi di vacanza ecc.
Accolgo quindi l'invito degli autori dell’inchiesta ad approfondire dal profilo
politico l'elaborazione di nuove forme di sicurezza sociale in risposta alla
maggiore flessibilità del mercato del lavoro.
Anche se occorre dire subito che le proposte e le piste di riflessione avanzate
dagli autori dell’inchiesta si possono realizzare soltanto modificando leggi a
livello federale (revisione della legge sul lavoro, del Codice delle obbligazioni
e ancora delle leggi sulle varie assicurazioni sociali). I margini di manovra
lasciati ai Cantoni sono più ridotti. Non per questo il Ticino intende rimanere
inattivo. Il nostro cantone ha dimostrato già in passato di saper proporre
soluzioni innovative in ambito sociale e sanitario. In un certo senso vogliamo
rimanere fedeli alla nostra tradizione di Cantone che sa anticipare.
Del resto non si può restare indifferenti e inattivi politicamente di fronte ad
un’evoluzione del mercato del lavoro in cui il precariato tende sempre più a
diffondersi. Se queste forme atipiche di lavoro, che negli anni ’90 hanno
conosciuto un forte incremento. In Ticino e in Svizzera, dovessero applicarsi
al 20-30 e più percento delle persone occupate, il mercato del lavoro
sarebbe rischioso per quasi tutti i lavoratori: gli uni perché sperimentano sulla
loro pelle le conseguenze della precarietà, gli altri perché lavorano con la
paura della precarietà.
Non possiamo dimenticare che dietro ad ogni lavoratore indipendente,
autonomo, in affitto o su chiamata vi è la quotidianità di molti uomini e donne
confrontati con l’insicurezza economica, l’impossibilità di attuare progetti
personali e familiari, di stringere amicizie stabili sul posto di lavoro, di
costruirsi una identità e una integrazione sociale attraverso il lavoro. Per dirla
in altre parole con l'impossibilità di vivere dignitosamente.
La flessibilità non è qualcosa di negativo a priori. Essa diventa però un
disagio se le sicurezze e le garanzie sociali che erano e sono ancorate al
lavoro stabile, vanno perdute con un lavoro precario o instabile. La flessibilità
va perciò regolamentata tanto in termini di garanzie sociali che di diritto del
lavoro che di tipologie della stessa flessibilità.
Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità
4
Compito della politica è quello di dare risposte collettive ai nuovi bisogni, alle
nuove emergenze e, nella misura del possibile, di anticipare i problemi. I
nuovi modi di lavorare richiedono nuove risposte. Lo studio di Christian
Marazzi e Angelica Lepori apre una prospettiva in questo senso che ha
sicuramente il merito di sollevare un’ampia discussione attorno a questo
tema.
Lo Stato sociale tradizionale, con le assicurazioni federali tradizionali, di basa
su un sistema di compensazioni per una disfunzione puntuale (malattia,
invalidità, disoccupazione, vecchiaia ecc.).Ma in contesto di precarietà
crescente, di accentuata disuguaglianza dei redditi e di frammentazione, lo
Stato sociale non può intervenire soltanto passivamente per indennizzare. Si
intravede sempre più la necessità di “personalizzare” gli strumenti di
intervento per dare risposte concrete e valide a problemi che sono specifici e
differenti.
Occorre perciò ridefinire la rete sociale, evitando forme paternalismo e
assistenzialismo per mettere il cittadino e i suoi bisogni al centro dell’azione
politica.
Vorrei terminare questo mio intervento con una citazione di Alain Touraine
che ben illustra la sfida che attende la politica sociale.
Sappiamo che esistono dei condizionamenti economici e che le risorse che si
possono distribuire non possono essere aumentate indipendentemente dalla
produzione e dalla produttività. Ma questa coscienza dei condizionamenti
economici deve essere completata e riequilibrata da una coscienza
altrettanto forte delle domande sociali , delle nuove forme possibili e
necessarie di partecipazione sociale . Emarginare queste categorie di
lavoratori in uno stato di inferiorità, è incompatibile con la democrazia, perché
la democrazia è malata quando una società nasconde a se stessa una parte
importante di questa realtà.2
Vi ringrazio della vostra attenzione.
Patrizia Pesenti
Consigliere di Stato
2
Alain Toraine, prefazione allo studio di Anne-Marie Guillemard, Le déclin du social, PUF, Paris, 1986, p. 16
Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità
5
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Sintesi della ricerca
Angelica Lepori
Ricercatrice presso il Dipartimetno di lavoro
sociale
della
Scuola
universitaria
professionale della Svizzera italiana
Christian Marazzi
Dottore in economia, docente e responsabile
della ricerca presso il Dipartimento di lavoro
sociale
della
Scuola
universitaria
professionale della Svizzera italiana
Forme del lavoro e qualità della vita
Sintesi
Su mandato del Dipartimento della sanità e della socialità (DSS), il Dipartimento di lavoro
sociale (DLS) della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI) ha
realizzato un’inchiesta sul rapporto tra le nuove forme del lavoro e la qualità della vita nel
cantone Ticino. Tale studio fa parte di una più vasta riflessione avviata dal DSS sui
determinanti economici della salute della popolazione ticinese. Le trasformazioni del
mercato del lavoro, infatti, possono generare effetti sulle condizioni esistenziali della
popolazione attiva che a loro volta si ripercuotono in ambiti sociali più vasti, dalla famiglia
alla società nel suo insieme.
Obiettivo principale della prima parte della ricerca è quello di far emergere il punto di vista
e il vissuto dei lavoratori “atipici” rispetto alla loro condizione professionale, analizzare
cosa pensano i lavoratori stessi della flessibilità e della precarietà 1.
Per svolgere l’indagine sono state individuate due categorie di lavoratori: i lavoratori
interinali e i neo indipendenti ai quali è stato inviato per posta un questionario a risposte
chiuse2.
Parallelamente ai questionari sono state svolte 21 interviste: 11 a persone che lavorano
attraverso le agenzie di collocamento privato, 10 a lavoratori indipendenti3.
Prima di procedere alla fase di inchiesta è stato necessario ricostruire il contesto nel
quale l’inchiesta stessa si è sviluppata e analizzare concretamente i mutamenti che
hanno toccato il mercato del lavoro a partire dagli anni ’90 in Svizzera e in Ticino.
1.
Il mercato del lavoro negli anni ‘90
I mutamenti avvenuti nel mercato del lavoro in Svizzera e in Ticino possono essere così
sintetizzati:
Il numero di persone occupate è rimasto in questi anni generalmente stabile, è però
cambiata la composizione di questa popolazione. In particolare per quanto riguarda i
lavoratori dipendenti sono aumentati coloro che sono occupati a tempo parziale e sono
invece diminuiti gli occupati a tempo pieno. Oggi in Svizzera il 30,7% delle persone
occupate lavora a tempo parziale, di questi lavoratori la stragrande maggioranza sono
donne. In Ticino i lavoratori a tempo parziale rappresentano circa il 20% del totale degli
occupati, il loro numero è in costante aumento negli ultimi dieci anni4.
1
L’intero rapporto di ricerca è disponibile presso il Dipartimento di Lavoro sociale della SUPSI.
Per i lavoratori interinali sono stati inviati 800 questionari a persone scelte a caso tra coloro che nel
2000 erano iscritte alla cassa di compensazione cantonale dell’AVS come lavoratori interinali o senza
un impiego duraturo sull’arco dell’anno. In totale sono rientrati 256 questionari di cui 244 ritenuti validi. Il
questionario per i lavoratori indipendenti è stato distribuito a un campione di 3000 persone scelte a
caso tra coloro che nel 2000 erano iscritte presso l’AVS come indipendenti. Si è inoltre deciso di
prendere in considerazione solo le persone che risultavano indipendenti al massimo da 5 anni (iscritte
quindi all’AVS come indipendenti al massimo dal 1995). In questo caso sono rientrati 1169 questionari
di cui 1152 validi.
3
Presso il Dipartimento di lavoro sociale della SUPSI sono disponibili le trascrizioni di tutte le interviste.
4
Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel,
2001 Per il Ticino i dati sono dell’Ufficio cantonale di statistica (USTAT)
2
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
1/15
35
128
30
126
124
25
122
20
120
118
15
116
10
114
112
5
persone in migliaia a
tempo pieno
persone in migliaia a tempo
parziale
Grafico 1
Evoluzione delle persone occupate a tempo pieno e a tempo parziale in Ticino dal
1991 al 2001
110
0
108
1995
1996
1997
tempo parziale
1998
1999
2000
tempo pieno
Fonte: USTAT, Bellinzona 2000
Sul mercato del lavoro sono presenti nuove figure professionali caratterizzate in genere
da ampie dosi di precarietà e flessibilità. I contratti a tempo indeterminato rimangono la
forma prevalente di impiego, anche se i contratti con durata determinata sono in aumento
(+11% dal 1996 al 2000) 5. Inoltre il numero di persone con impieghi atipici è aumentato
negli ultimi sei anni del 24% 6.
Una particolare forma di lavoro precario ha assunto in questi anni un’importanza
rilevante: il lavoro interinale 7. Nel 2000 le persone collocate in Svizzera attraverso le
agenzie di lavoro interinale erano 204.612, il loro numero negli ultimi cinque anni ha
subito un incremento del 96%. In Ticino le persone collocate temporaneamente tramite
agenzia erano nel 2000 4520 (+89% dal 1995 al 2000)8. I lavoratori interinali
rappresentano oltre il 5% di tutta la forza lavoro occupata, una percentuale notevolmente
superiore alla media dei paesi dell’Unione europea che si attesta attorno all’1,5%.
La maggioranza dei lavoratori interinali sono uomini e di nazionalità svizzera. Il numero di
donne impiegate in modo temporaneo è però aumentato più velocemente di quello degli
uomini. In questo senso è possibile prevedere una “femminilizzazione” del lavoro
interinale. Inoltre la percentuale di stranieri tra i lavoratori interinali è notevolmente più
alta di quella che si registra sul totale della manodopera occupata. Si può quindi
affermare che gli stranieri sono particolarmente toccati dal lavoro interinale e precario.
5
Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel,
2001
6
Secondo la definizione dell’Ufficio federale di statistica i lavoratori atipici sono coloro che hanno
almeno 2 impieghi.
7
Il lavoro interinale è quello svolto in un’azienda attraverso l’intermediazione di un’agenzia di
collocamento privato.
8
I dati provengono dalla pubblicazione del Segretariato di Stato all’economia (SECO), Placement et
location de service, SECO, Berna, 2001
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
2/15
250'000
5000
4500
200'000
4000
3500
150'000
3000
2500
100'000
2000
1500
50'000
1000
500
0
0
1995
1996
1997
temporanei in Ticino
1998
1999
persone occupate in modo temporaneo
in Ticino
persone occupate in modo temporanei
in Svizzera
Grafico 2
Evoluzione delle persone collocate in modo temporaneo dal 1995 al 2000
2000
temporanei in Svizzera
Fonte: SECO, Berna 2001
In Svizzera le agenzie di lavoro temporaneo nel 2000 hanno fornito prestazioni lavorative
per 84.788.276 ore di lavoro (l’equivalente di circa 45.000 posti di lavoro a tempo pieno),
in Ticino le ore di lavoro prestate hanno toccato quota 1.706.764 (l’equivalente di circa
900 impieghi a tempo pieno).
90'000
1'800
80'000
1'600
70'000
1'400
60'000
1'200
50'000
1'000
40'000
800
30'000
600
20'000
400
10'000
200
0
ore di lavoro in migliaia
in Ticino
ore di lavoro in migliaia
in Svizzera
Grafico 3
Ore di lavoro temporaneo effettuate dal 1995 al 2000 in Svizzera e in Ticino
0
1995
1996
1997
svizzera
1998
1999
2000
ticino
Fonte: SECO, Berna 2001
La flessibilità è entrata a far parte del vissuto anche di molti lavoratori,
indipendentemente dal loro rapporto di lavoro. Si calcola infatti che circa il 42% degli
occupati in Svizzera ha un orario di lavoro flessibile; il 5% lavora su chiamata (di questi il
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
3/15
60% non ha nessuna garanzia di orario settimanale); il 4,4% lavora regolarmente di notte
e l’8% è occupato regolarmente la domenica9.
Anche il numero di lavoratori indipendenti è in aumento (+49% dal 1991 al 2000) e oggi
questi rappresentano il 18% degli occupati in Svizzera. All’interno di questa categoria si
trovano figure professionali diverse, dall’imprenditore, al libero professionista, fino al
lavoratore autonomo. Più della metà degli indipendenti non ha dipendenti 10. Una buona
parte dei lavoratori autonomi si è messa in proprio dopo aver perso il lavoro e essere
stata in disoccupazione. Esiste anche tra gli indipendenti una percentuale non irrilevante
di persone che vivono in condizioni di precarietà e insicurezza.
Per quanto riguarda la disoccupazione si constata in linea generale che il lieve calo
registrato a partire dalla seconda metà degli anni ’90 sta per lasciare il posto ad un nuovo
incremento delle persone in cerca di un impiego11. Lo stesso discorso può essere fatto
per quel che riguarda le persone inoccupate recensite dall’Ufficio federale di statistica. Da
questi dati risulta inoltre che sono notevolmente aumentate le persone sottooccupate12.
L’Ufficio di Statistica sostiene che una persona su 10 non ha abbastanza lavoro, di
queste 101.000 sono inoccupate e 334.000 sono invece sottooccupate. In totale queste
persone rappresentano il 10,8% della popolazione attiva 13.
I mutamenti del mercato del lavoro hanno influenzato anche l’andamento del livello dei
salari. In generale, se si osservano i salari reali, si nota come questi siano
tendenzialmente rimasti stabili, se non addirittura diminuiti. Esistono chiaramente
differenze all’interno dei singoli settori economici e tra i diversi lavoratori. Rimane
comunque il fatto che oggi il 21% dei salariati svizzeri ha uno stipendio inferiore ai 3000
franchi netti e l’1,2% ha invece un salario superiore ai 10.000 franchi. Anche le forme di
remunerazione sono state direttamente toccate dalla flessibilità: in molti settori sono state
introdotte forme di remunerazione legate all’andamento dell’impresa o al merito del
dipendente 14.
Sul finire degli anni ’90 è poi emerso in modo evidente il fenomeno dei cosiddetti
“lavoratori poveri”, persone che pur avendo un impiego non raggiungono il minimo vitale.
Si calcola che in Svizzera i working poor siano 250.000, il 7,5% delle persone occupate.
L’emergere delle “nuove povertà” è legato ai processi di riorganizzazione del mercato del
lavoro. I lavoratori a tempo parziale, con orari flessibili e con contratti a tempo
determinato sono più a rischio di diventare “lavoratori poveri”. Particolarmente rilevante è
poi la quota di lavoratori indipendenti che sono poveri. Anche le interruzioni di carriera
possono rappresentare un elemento di caduta nella povertà. Si osserva poi che i nuovi
impiegati in una stessa azienda o funzione hanno più possibilità di diventare poveri
rispetto a coloro che vi lavorano da molto tempo15.
9
Ufficio federale di statistica (UST), Les femmes travaillent plus souvent dans des conditions atypiques
que les hommes, Neuchâtel, 2001; Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro
in Svizzera (Rifos), Neuchâtel, 2001
10
Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel,
2000
11
Segretariato di Stato all’economia (SECO), Le chômage en Suisse, Berna, 2001
12
Per persone sottooccupate si intende quei lavoratori che hanno un impiego a tempo parziale, ma
desidererebbero lavorare di più.
13
Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel,
2001
14
Ufficio federale di statistica (UST), Enquête suisse sur les salaires 1999, Neuchâtel, 1999; Ufficio
federale di statistica (UST), Differences de rémunéretion du travail très marquée selon les secteurs
économiques et les catégories salariés, Neuchâtel, 2001
15
Ufficio federale di statistica (UST), Working Poor in der Schweiz, Neuchâtel, 2002
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
4/15
E’ in questo quadro quindi che si inserisce l’inchiesta svolta in Ticino. Un contesto nel
quale la flessibilità del mercato del lavoro, in tutte le sue forme, ha assunto dimensioni
importanti, ponendo all’ordine del giorno nuove problematiche.
2.
Il lavoro flessibile in Ticino: un’indagine empirica tra i
lavoratori
2.1. lavoratori interinali: aspettando il futuro
Le caratteristiche del campione
Il campione è composto prevalentemente da uomini, di nazionalità svizzera, che si
collocano in una fascia di età che va dai 18 ai 35 anni e celibi.
La percentuale di donne non è trascurabile (21%). Tra di esse troviamo una quota più
importante rispetto agli uomini di persone sole (sia nubili che separate). E’ invece minore
la presenza di donne sposate. Anche le donne si collocano in maggioranza in una fascia
di età inferiore ai 35 anni.
Circa il 40% del campione è rappresentato da stranieri. Tra di essi è più alta la
percentuale di persone sposate e di età superiore ai 35 anni rispetto alla popolazione
svizzera. Per gli stranieri il lavoro interinale e precario è meno che per gli svizzeri una
soluzione transitoria.
Il campione presenta un grado di formazione particolarmente basso: la maggioranza ha
svolto unicamente un apprendistato (42%) e una buona parte (10% soprattutto gli uomini
e gli stranieri) non ha nessuna formazione dopo la scuola dell’obbligo.
Le donne dichiarano un livello di formazione più elevato (il 24% ha un diploma
universitario contro il 6% degli uomini).
Solo una minima parte (20%) delle persone intervistate ha affermato di avere avuto un
solo posto di lavoro negli ultimi tre anni, la maggioranza (32%) ha lavorato in più di tre
posti di lavoro.
Si tratta quindi di una popolazione caratterizzata dall’assenza del cosiddetto “posto fisso”.
Traiettorie professionali
I lavoratori precari passano facilmente da periodi di disoccupazione a periodi di impiego
(il 59% del campione dichiara di essere stato iscritto alla disoccupazione, una
percentuale che diventa del 65% tra coloro che lavorano tramite agenzie di collocamento
private). Per i lavoratori interinali le agenzie di collocamento sembrano diventare l’unico
mezzo utile per trovare un’occupazione.
Gli spostamenti di impiego, da un posto di lavoro all’altro, generano nei lavoratori stati
d’ansia e insicurezza. Questo è vero soprattutto per le persone più adulte e con una
famiglia a carico. Anche chi vive positivamente il lavoro temporaneo, in quanto permette
di avere a disposizione del tempo libero, pensa a questa forma di impiego unicamente
come una forma transitoria verso un collocamento più stabile nel mercato del lavoro.
La stragrande maggioranza non ha ancora un posto di lavoro fisso non per scelta, ma a
causa delle difficoltà riscontrate nel mercato del lavoro. In generale il posto fisso viene
ricercato perché garantisce uno stipendio regolare e prevede alcune garanzie sociali e
assicurative non presenti nel lavoro precario e interinale (previdenza professionale,
assicurazione infortuni, vacanze pagate, ecc.).
Tra le donne si constata un più alto grado di scelta del lavoro temporaneo e interinale, in
quanto queste forme di lavoro sembrano permettere una migliore gestione del lavoro
domestico e dei compiti famigliari. Il prezzo pagato per questa maggiore “libertà” viene
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
5/15
però generalmente considerato troppo alto. Il lavoro temporaneo viene visto come l’unica
soluzione per cercare di conciliare vita lavorativa e vita privata, non di certo la migliore.
Insicurezza e assenza di prospettive
L’insicurezza vissuta sul posto di lavoro influenza anche la vita privata: si constata in
generale una grande difficoltà a fare progetti a lungo termine, molte decisioni vengono
rimandate, senza però avere poi la certezza di poterle realizzare. L’elemento che
maggiormente preoccupa i lavoratori è proprio quello dell’incertezza rispetto al futuro.
Grafico 416
Aspetti più preoccupanti della situazione professionale
70%
62%
60%
50%
40%
26%
30%
20%
10%
12%
14%
24%
14%
8%
12%
7%
4%
11%
4%
1% 1%
0%
insicurezza per insicurezza per
il futuro
il futuro
pensionistico
scarse
possibilità di
guadagno
scarse
possibilità di
carriera e di
formazione
professionale
prima scelta
assenza di
un'adeguata
copertura
assicurativa
difficoltà a
organizzare la
propria vita
altro
seconda scelta
Per una fascia di persone il lavoro temporaneo rappresenta un’opportunità per continuare
a coltivare interessi personali o per poter gestire meglio il tempo libero. In generale però
anche questa categoria di lavoratori temporanei sottolinea come questa situazione venga
poi pagata a livello di garanzie sociali e di condizioni di vita e di lavoro. Per le persone
sposate o separate la gestione della vita sociale e/o famigliare è più complessa che per
le persone sole.
16
Agli interpellati è stato chiesto di indicare, tra le varie risposte possibili, le due più significative dando
un ordine di priorità. Nel grafico 5 si legge per esempio che il 62% ha indicato come prima
preoccupazione “l’insicurezza per il futuro” e il 26% ha indicato “scarse possibilità di guadagno” come
seconda preoccupazione.
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Sintesi della ricerca
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Grafico 517
Aspetti positivi del lavoro flessibile
40%
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
34%
29%
24%
22%
11%
14%13%
16% 15%
6% 7%
Possibilità di Possibilità di
Possibilità di
fare più
gestire meglio avere tempo
esperienze e
tempo di
per gestire la
apprendere lavoro e tempo
famiglia
più mestieri
libero
Possibilità di
avere tempo
per coltivare
interessi
personali
prima scelta
2%
Possibilità di Possibilità di
cambiare
conoscere più
spesso posto
persone
di lavoro
4% 3%
altro
seconda scelta
Un altro aspetto positivo del lavoro temporaneo sembra essere la possibilità di avere più
esperienze lavorative e poter poi quindi scegliere la strada da seguire (vedi grafico 6).
Questo è vero soprattutto per i giovani che non sanno ancora esattamente quale
professione intendono svolgere. A lungo andare però questa situazione può diventare
problematica: si iniziano molte professioni senza avere la possibilità di apprenderne una
veramente.
Una parte delle persone intervistate ha trovato un posto di lavoro stabile. Queste persone
mostrano un grado di soddisfazione e di sicurezza maggiore rispetto a chi invece
mantiene una collocazione precaria sul mercato del lavoro.
La possibilità di trovare un lavoro stabile è legata al tipo di formazione ricevuta (cresce
con l’aumentare del grado di formazione) e all’età (per le fasce di popolazione più alte è
più difficile uscire dalla precarietà).
Se per alcuni quindi il lavoro temporaneo può rappresentare una sorta di passaggio verso
un impiego fisso, per la maggior parte, soprattutto coloro che hanno già una situazione
sociale più difficile, è sempre più problematico uscire dalla precarietà del lavoro
temporaneo.
E’ interessante notare che le persone iscritte presso le agenzie di lavoro temporaneo
hanno meno possibilità degli altri di trovare un posto fisso. Il lavoro interinale quindi non
sembra essere una soluzione di passaggio a forme di lavoro più stabile.
Formazione e formazione continua: una questione centrale
Fondamentale sembra essere la questione della formazione: in generale le persone che
possiedono un livello di formazione più elevato riescono a vivere meglio il lavoro flessibile
e temporaneo e hanno accesso più facilmente a posti di lavoro più sicuri.
I lavoratori temporanei hanno difficoltà ad accedere alla formazione continua e a seguire
corsi di formazione (il 63% del campione non ha mai seguito un corso di formazione
professionale) e sono più spesso esclusi dalla presa di decisioni che riguardano lo
svolgimento del lavoro.
La situazione finanziaria
I lavoratori precari e interinali presentano redditi generalmente bassi e una situazione
finanziaria difficile.
17
Vedi nota 16, p.7
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
7/15
Grafico 6
Divisione dei redditi all’interno del campione
più di 8000 franchi
3%
tra 6000 e 8000
franchi
4%
tra 4000 e 6000
franchi
16%
tra 3000 e 4000
franchi
34%
tra 2000 e 3000
franchi
meno di 2000 franchi
0%
30%
13%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
Molti (67%) dichiarano di essere costretti a fare sacrifici per vivere e pochi sono coloro
che riescono ad accantonare regolarmente quote di risparmio. Risulta poi chiaramente
come l’affitto sia la spesa che maggiormente incide sul bilancio famigliare, seguito dalle
assicurazioni (cassa malati, ecc.) e dalle imposte.
La quasi totalità degli intervistati ammette di essere costretto a rinunciare ad alcune
spese, la maggior parte rinuncia alle vacanze. Una piccola parte (9%) sostiene di
risparmiare sulle cure mediche; si tratta di una minoranza ma comunque significativa dei
problemi che il lavoro precario può generare.
Le fasce di età più basse e quelle più alte presentano anche redditi inferiori. Le classi di
età intermedie (25-45 anni) mostrano una situazione finanziaria meno difficile.
Le persone sposate o separate lamentano una situazione finanziaria peggiore.
Il problema della rappresentanza
I lavoratori precari non sembrano sentirsi rappresentati dalle organizzazioni sindacali
tradizionali. Il tasso di iscritti a queste organizzazioni è relativamente alto (41%), ma la
stragrande maggioranza di questi (85%) dice di non impegnarsi nell’attività
dell’organizzazione a cui appartiene. Il tasso di sindacalizzazione relativamente alto tra i
lavoratori precari è dovuto anche alla gestione da parte del sindacato delle casse
disoccupazione. I lavoratori hanno una visione utilitaristica del sindacato, visto soprattutto
come ente che fornisce servizi, ma non come strumento di organizzazione.
I lavoratori interinali e precari intervistati mostrano però un alto interesse all’idea di creare
forme di organizzazione collettive. Una grande maggioranza (77%) ha infatti risposto
positivamente a una proposta di questo tipo.
Secondo questi lavoratori una simile organizzazione dovrebbe occuparsi soprattutto delle
questioni legate alle condizioni di lavoro, di salario e della formazione professionale.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
8/15
Grafico 718
Tematiche di cui dovrebbe occuparsi un’associazione dei lavoratori “precari”
60%
57%
50%
40%
40%
31%
30%
20%
18%
14%
15%
13%
10%
6%
4%
2%
0%
condizioni di lavoro
condizioni di salario
questioni assicurative e
organizzazione del
formazione profesionale
pensionistiche
tempo di lavoro e tempo
di vita
prima scelta
seconda scelta
2.2 I lavoratori indipendenti: tra scelta e necessità
Le caratteristiche del campione
La stragrande maggioranza degli indipendenti sono uomini (63%) e di nazionalità
svizzera (82%).
Il lavoro indipendente ha una dimensione famigliare: il 57% del campione è sposato, tale
percentuale è ancora più alta tra gli uomini (61%).
I lavoratori indipendenti si collocano prevalentemente nella fascia di età che va dai 25 ai
45 anni, i giovani (sotto i 25 anni) sono una minoranza (6%).
La maggioranza del campione ha una formazione di apprendista (42%), anche se una
buona parte (24%) ha una formazione universitaria. Le donne mostrano in questo caso
un livello di formazione minore. Una quota non trascurabile di lavoratori indipendenti
(10%) non ha nessuna formazione dopo la scuola dell’obbligo, tale percentuale è ancora
più alta (28%) tra la popolazione straniera.
Il grado di formazione determina poi in modo importante il tipo di attività autonoma e le
condizioni di lavoro delle singole persone: a formazioni più elevate corrispondono
generalmente condizioni di lavoro più soddisfacenti sia da un punto di vista generale che
da un punto di vista finanziario.
Profilo professionale e prospettive di lavoro
La maggior parte del campione (61%) non ha dipendenti a suo carico. Tra le persone che
invece dichiarano di avere dipendenti la maggioranza ne ha al massimo 4.
Edilizia, industria, commercio e informatica sono i settori dove prevalgono i lavoratori soli,
nell’attività legate al turismo prevalgono invece coloro che hanno dipendenti.
Le persone senza dipendenti mostrano una situazione professionale meno soddisfacente
e più difficile anche da un punto di vista finanziario. Rappresentano sicuramente una
componente specifica del lavoro indipendente alla quale è necessario dedicare
un’attenzione particolare.
18
Vedi nota 16, p.7
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
9/15
Il lavoro autonomo è spesso una scelta maturata dopo anni di permanenza come
dipendente nel mercato del lavoro. Il 25% del campione dice di essersi messo in proprio
per problemi sul posto di lavoro (perdita del lavoro, insicurezza, difficoltà a trovare un
lavoro).
Esiste un fenomeno di passaggio dalla disoccupazione al lavoro in proprio. Spesso questi
lavoratori sono anche quelli che mostrano maggiori difficoltà da un punto di vista del
reddito e delle prospettive professionali.
Condizioni di lavoro
I lavoratori indipendenti dichiarano ritmi e orari di lavoro particolarmente elevati: la
stragrande maggioranza lavora più di 42 ore alla settimana, c’è anche chi sostiene di
lavorare 60 ore o più alla settimana. Tra le donne una quota più importante lavora meno
di 42 ore alla settimana: anche nel lavoro indipendente quindi il tempo parziale è
appannaggio delle donne.
Grafico 8
Ore di lavoro settimanali
35%
30%
30%
27%
25%
19%
20%
16%
15%
8%
10%
5%
0%
meno di 42
42 ore
tra 42 e 50 ore
tra 50 ore e 60
più di 60
Il tempo di lavoro non è mai stabile e definito, ma è in generale irregolare (a periodi di
forte attività corrispondono periodi di relativa calma).
Questa situazione ha conseguenze importanti sulla gestione della vita sociale e
famigliare. In generale i lavoratori indipendenti lamentano serie difficoltà a conciliare
tempo di lavoro e tempo di vita.
I lavoratori autonomi mostrano un elevato grado di soddisfazione della loro situazione
professionale e lavorativa. Un grado di soddisfazione che dipende in parte dalle
condizioni di lavoro e di reddito, ma che rimane comunque alto anche in presenza di una
situazione professionale più precaria (reddito relativamente basso, ritmi di lavoro
stressanti, ecc.)
Questa grande soddisfazione viene attribuita soprattutto all’autonomia lavorativa e al fatto
di non dover dipendere da nessuno nell’esecuzione del proprio lavoro.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
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Grafico 919
Aspetti positivi della situazione professionale
80%
70%
70%
60%
50%
34%
40%
30%
20%
23%
14%
17%
14%
6%
10%
7%
5%
2%
1% 1%
2% 4%
0%
autonomia nel
lavoro
non dover
dipendere da
nessuno
assenza di
orari fissi
relazioni sociali possibilità di
intense
guadagno
importante
prima scelta
appartenenza
a una certa
categoria
sociale
altro
seconda scelta
Questa autonomia e libertà viene però pagata, soprattutto per alcuni, al prezzo di una
maggiore insicurezza sia dal profilo professionale e delle prospettive di lavoro che dal
profilo della sicurezza sociale.
Grafico 1020
Aspetti più preoccupanti della situazione professionale
40%
35%
34%
30%
28%
25%
20%
20%
15%
16%
12%
16%
14%15%
11%
10%
10%
7% 8%
5%
4% 5%
0%
incertezza
lavorativa
incertezza
pensionistica
difficoltà
burocratiche
reddito
insoddisfacente
prima scelta
19
20
ritardo nel
pagamento
delle fatture
copertura
assicurativa
inadeguata
altro
seconda scelta
Vedi nota 16, p.7
Vedi nota 16, p.7
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
11/15
Situazione finanziaria
Più della metà del campione ha un reddito lordo inferiore ai 4000 franchi al mese, il 10%
dichiara invece un reddito superiore agli 8000 franchi.
Grafico 11
Divisione dei redditi all’interno del campione
più di 8000 franchi
10%
tra 6000 e 8000
franchi
7%
tra 4000 e 6000
franchi
18%
tra 3000 e 4000
franchi
20%
tra 2000 e 3000
franchi
22%
meno di 2000 franchi
0%
23%
5%
10%
15%
20%
25%
Una buona parte delle persone intervistate lamenta difficoltà a livello finanziario e
sostiene di non riuscire a soddisfare tutti i suoi bisogni. Il 58% dice di non riuscire a vivere
senza fare sacrifici e il 90% dice di essere costretto a risparmiare sul alcune spese. La
maggioranza risparmia sulle vacanze, ma anche in questo caso un buon 9% dice di
risparmiare sulle cure mediche.
Formazione professionale
I lavoratori indipendenti, soprattutto coloro che non hanno dipendenti, mostrano grandi
difficoltà a seguire corsi di formazione e di aggiornamento professionale (il 50% dice di
non aver mai seguito un corso di formazione professionale e il 29% dice di averne seguiti
alcuni saltuariamente).
La possibilità di seguire corsi di formazione è legata al livello di formazione (più questo è
elevato più le persone riescono ad aggiornarsi con maggiore regolarità), all’età (la fascia
di età tra il 35 e i 45 anni ha più facilmente accesso a corsi di formazione) e al reddito
(per i redditi più bassi l’acceso ai corsi di formazione è più difficile)
Insicurezza e stato di salute
I lavoratori autonomi presentano alti gradi di stress, nervosismo e stanchezza. Il 41% si
dichiara infatti spesso nervoso e il 7% molto spesso; il 55% inoltre dice di sentirsi spesso
stanco e il 13% molto spesso. Infine il 45% si dichiara spesso stressato e il 10% molto
spesso.
Generalmente comunque questi lavoratori sembrano affrontare la situazione con grande
ottimismo e volontà, credendo fermamente nelle loro potenzialità e capacità.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
12/15
Tra i “lavoratori soli” il sentimento di insicurezza e di incertezza verso il futuro è
decisamente più alto.
Alcuni lavoratori indipendenti aspirano addirittura a tornare al lavoro dipendente in quanto
questo sembra garantire maggiori certezze soprattutto da un punto di vista finanziario e
delle assicurazioni sociali.
Forme di rappresentanza
Dall’inchiesta emerge in modo evidente l’assenza di rappresentanza degli interessi di
questi lavoratori che generalmente non si riconoscono nelle organizzazioni tradizionali
(solo il 10% è iscritto al sindacato e il 43% è iscritto ad una associazione professionale, di
questi solo il 30% si impegna nell’attività dell’associazione).
Le associazioni professionali destano l’interesse soprattutto degli indipendenti con
dipendenti: l’appartenenza a queste associazioni sembra avere un carattere per lo più
utilitarista e di gestione di determinati interessi imprenditoriali.
Una buona parte del campione (47%) si è però dichiarata favorevole alla creazione di
un’associazione comune di tutti i lavoratori indipendenti, a prescindere dal settore di
attività. Questa dovrebbe occuparsi prioritariamente di questioni legate alle difficoltà
burocratiche e alle imposte e in un secondo tempo delle condizioni vere e proprie di
lavoro.
L’universo dei lavoratori indipendenti è sicuramente più eterogeneo e composito di quello
dei lavoratori interinali. Si osserva una sorta di polarizzazione: da una parte lavoratori
indipendenti con una situazione professionale stabile, redditi medio-alti, una buona
formazione professionale e maggiori possibilità di formarsi durante la professione,
dall’altra lavoratori autonomi in posizioni più precarie, con una scarsa formazione
professionale e una scarsa possibilità di formarsi durante la professione e un livello di
reddito medio basso.
Questa distinzione crea differenze a livello della percezione della propria condizione e
delle reali condizioni di vita e di lavoro dei singoli.
Alcune problematiche, prime fra tutte quella del livello assicurativo, dei ritmi di lavoro e di
vita e della regolarità del reddito, coinvolgono però, anche se con modalità e dimensioni
diverse, la gran parte dei lavoratori indipendenti.
3.
Alcune proposte e spunti di riflessione
Il lavoro flessibile assume oggi diverse forme, anche molto diverse tra loro, e diventa
difficile distinguere in modo chiaro vantaggi e svantaggi di queste nuove forme di
impiego. Si può considerare in linea generale che gli aspetti negativi e i rischi riguardano
soprattutto le forme contrattuali, mentre quelli positivi si riferiscono al contenuto del
lavoro, anche se questo a volte viene a mancare per alcune delle forme del lavoro atipico
e per alcuni soggetti in particolare.
Nonostante queste distinzioni è possibile enumerare alcune problematiche che ruotano
attorno al lavoro flessibile e di individuare alcune piste possibili su cui lavorare.
1. Il lavoro flessibile e precario può generare difficoltà a programmare la propria vita
professionale e di conseguenza anche la propria vita privata. Qualsiasi progetto di
vita viene rimandato. Da questo punto di vista diventa fondamentale pensare a nuovi
modelli di gestione della flessibilità per evitare che la perdita del posto di lavoro generi
un’esclusione definitiva dal mercato del lavoro. Da qui potrebbe nascere l’idea della
creazione di istituzioni capaci di aiutare e sostenere il lavoratore nel passaggio da
una professione all’altra. Si tratterebbe quindi di riflettere alla creazione delle
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
13/15
cosiddette “agenzie del mutuo impiego” come strutture in grado di fornire servizi con
l’obiettivo di garantire una certa stabilità anche ai cosiddetti lavoratori “nomadi”.
2. Un secondo aspetto problematico del lavoro flessibile è quello della formazione
professionale e della difficoltà ad acquisire una professionalità da trasferire poi da un
datore di lavoro all’altro. In genere i lavori flessibili rendono difficile la costruzione di
una carriera professionale, lasciando gli individui in una costante situazione di
precarietà. Da questo punto di vista le agenzie del mutuo impiego potrebbero
intervenire per migliorare la formazione dei lavoratori e offrire, anche in questo senso,
servizi utili. Si potrebbe anche pensare all’introduzione di forme di certificazione delle
competenze trasferibili poi da un’azienda all’altra. Esiste comunque il problema di
capire quali sono i criteri su cui si deve basare questa certificazione delle competenze
e quali enti o istituzioni devono promuoverla.
Per quanto riguarda la formazione risulta per altro urgente una politica che sappia
colmare le lacune accumulate nella formazione di base, primo vero strumento di
“selezione” della manodopera.
3. Il lavoro flessibile produce anche una separazione tra il lavoratore e il suo posto di
lavoro. Il lavoratore atipico non ha più un luogo di lavoro, non possiede gli strumenti
del suo lavoro e non può avere relazioni stabili e durature con i colleghi. L’identità
sociale della persona non si crea più attraverso il lavoro e i soggetti fanno fatica a
dare una dimensione collettiva alla loro situazione professionale personale. Si tratta
quindi di ricreare strutture organizzative e associative nelle quali il lavoratore atipico
possa riconoscersi e tessere legami con altri lavoratori.
4. Anche la salute fisica e psicologica dei lavoratori può subire conseguenze, a volte
importanti, legate alle condizioni vere e proprie di impiego. Si dovrebbe pensare alla
creazione di centri di medicina del lavoro nei quali siano attive diverse figure
professionali (medici, psicologi, ricercatori, giuristi, ecc.) che possano intervenire su
casi singoli concreti e che allo stesso tempo possano svolgere un lavoro di
monitoraggio e di analisi dell’evoluzione del rapporto tra salute e lavoro.
5. I lavoratori flessibili sfuggono il più delle volte alla legislazione di tutela del lavoro e
sono privati di alcune garanzie sociali di cui godono i lavoratori “fissi”. Da questo
punto di vista si tratta di riflettere sulla possibilità di integrare anche i lavoratori atipici
all’interno delle norme del diritto del lavoro. Bisognerebbe anche sviluppare l’idea
della “responsabilità sociale dell’azienda”, inteso come approccio che stimoli le
aziende ad avere pratiche socialmente responsabili (misure per attirare lavoratori
qualificati, investimenti nella formazione, misure per garantire la salute e la sicurezza
dei dipendenti, ecc.). Si dovrebbe anche riflettere a forme di pagamento degli oneri
sociali per le imprese dipendenti dal grado di sicurezza del lavoro all’interno della
ditta, al tasso di licenziamenti e di turnover della manodopera.
Per quanto riguarda le assicurazioni sociali si pongono diverse questioni, in
particolare: la possibilità di dividere la categorie degli indipendenti da un punto di vista
giuridico in alcuni gruppi, sulla base ad esempio del reddito, del numero di
committenti, ecc. facendo in modo di garantire alla fascia più precaria una copertura
assicurativa più adeguata (si inserisce qui la questione dell’assicurazione
disoccupazione anche per una parte almeno dei lavoratori indipendenti); rivedere il
sistema di previdenza, delle assicurazioni incidenti, malattia e maternità, ecc.
6. Un intervento di politica sociale non può unicamente limitarsi a contenere le
conseguenze sociali legate alla flessibilità del lavoro, ma deve cercare anche di
contenere la tipologia della flessibilità. Questo obiettivo appare importante soprattutto
in vista di un prevedibile ulteriore aumento della forza lavoro precaria che
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
14/15
comporterebbe un aumento considerevole delle persone soggette ai rischi stessi della
flessibilità. Da questo punto di vista sarebbe importante avviare una riflessione sulla
Legge sul collocamento e il prestito del personale promuovendo l’introduzione di
alcune clausole di maggiore tutela dei lavoratori stessi (come ad esempio l’obbligo
per le agenzie di collocamento di rispettare tutti i contratti di lavoro e i regolamenti
delle aziende e non solo i contratti decretati di obbligatorietà generale) e misure di
controllo e di contenimento dell’utilizzo all’interno delle aziende del lavoro temporaneo
(vincoli all’utilizzo del lavoro temporaneo in alcuni settori, per tipo di professione o di
tempo, ecc.).
E’ utile comunque sottolineare come la flessibilità del lavoro può avere conseguenze e
effetti diversi a dipendenza dei sistemi di lavoro nei quali viene introdotta e a dipendenze
anche delle persone coinvolte (i giovani sotto il 25/30 anni, le persone sopra i 45 anni, le
donne, i lavoratori stranieri e le persone con un livello di formazione medio-basso
sembrano essere i soggetti che maggiormente soffrono la flessibilità del lavoro e per i
quali questa si trasforma molto spesso in precarietà non solo professionale, ma anche
esistenziale).
Nell’elaborazione di politiche sociali e dell’occupazione è quindi necessario tener
presente anche questa ultima considerazione e avere un’attenzione particolare verso i
soggetti che si vogliono coinvolgere.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
15/15
Christian Marazzi è nato nel 1951 a Lugano. Laureato in Scienze politiche
all'Università di Padova, ha studiato alla London School of Economics e ha
conseguito il dottorato in Scienze economiche alla City University di Londra. Dopo
aver insegnato all'Università di Padova, alla State University di New York e alle
Università di Losanna e di Ginevra, attualmente è docente presso al Scuola
universitaria della Svizzera italiana. E' autore di numerose pubblicazioni, tra cui Il
posto dei calzini (Edizioni Casagrande, Bellinzona, 1994), E il denaro va (Bollati
Boringhieri/Casagrande, 1998), Capitale e linguaggio (Derive/Approdi, 2002).
Angelica Lepori è nata nel 1971 a Lugano. Si è laureata in Scienze Politiche
all’Università di Bologna, con una tesi sulla storia dell’ex Unione Sovietica. Ha
lavorato come giornalista presso il settimanale Area e ha collaborato alle rubriche
360 e Micro Macro della TSI. Nel lavoro giornalistico ha concentrato il suo interesse
in particolare su problemi di ordine socio-economico.
Dal 2001 lavora presso il Dipartimento di Lavoro Sociale della SUPSI, dove svolge
attività di ricerca e di insegnamento.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Lavoro
flessibile,
società
flessibile: progetto riformista o
rischio per l'integrazione sociale?
Luciano Gallino
Direttore del Dipartimento di scienze
dell'educazione e della formazione presso
l'Università di Torino
Lavoro flessibile, società flessibile:
progetto riformista o rischio per l'integrazione sociale?
L’espressione “società flessibile”, collegata soprattutto al nome di Richard Sennett dopo
la pubblicazione di La corrosione del carattere. Le conseguenze personali del lavoro nel
nuovo capitalismo (1998), è entrata a far parte d’una serie ormai lunga di espressioni
che si sforzano di incapsulare in un aggettivo, un singolo predicato, l’essenza dei
mutamenti intervenuti da circa un quarto di secolo, con rapidità crescente, nelle società
avanzate. La prima di tale serie, in ordine di tempo, fu forse “società post-industriale”,
coniata dal sociologo statunitense Daniel Bell in un libro del 1973 e ancor oggi
largamente usata. Poi seguirono la “società dei media”; la “società post-moderna” di
Jean-François Lyotard (1979); la società “post-fordista”; la “società del rischio” di Ulrich
Beck (1986); la “società dell’informazione” cui si intitolava il rapporto d’un gruppo di alto
livello al Consiglio europeo (1994); la “società della conoscenza”; la “società delle reti” di
Manuel Castells (1996); la “società che impara” (learning society); “la società a giro di
orologio”, e varie altre. Tutte queste espressioni circolano oggi in libertà, spesso del tutto
avulse dal contesto o dalle intenzioni degli autori che le formularono.
Quando venga usata come sinonimo ultimo arrivato delle precedenti denominazioni,
“società flessibile” appare collocarsi sul loro stesso piano: un tentativo inefficace di
sintetizzare il non sintetizzabile. Tuttavia, se si cerca di valutare non il suo contenuto
sinonimico, bensì le parentele con le altre espressioni, da un lato, e dall’altro ciò che in
essa è insito senza che appaia ad esse ovviamente riconducibile, l’idea di “società
flessibile” comincia a manifestare un suo significato specifico. Stando a come la descrive
il suo idealtipo, insito nel progetto fatto proprio da una ampia corrente del riformismo
contemporaneo, la società flessibile è una società in cui sono cadute le rigide barriere
che fissavano un individuo per la vita ad una cerchia ristretta di rapporti sociali, di
identificazioni, di appartenenze. Favorisce l'indipendenza dell'individuo, l'autonomia
dell’azione come valore distintivo della modernità. Se la burocrazia era insieme la realtà e
la metafora della società discesa dalla rivoluzione industriale, le reti, con la loro
infrastruttura fisica e la loro sovrastruttura simbolica, sono la metafora e la realtà delle
società flessibile. E’ una società in cui tutti continuano la loro formazione intellettuale e
professionale per l’intero arco della vita. Informazione, conoscenza, competenza sono in
essa le risorse più pregiate.
Al contrario della società industriale, nella fattispecie fordista, dove ogni attività
produttiva si fermava (o si ferma) alle sei del pomeriggio, e alle cinque del pomeriggio
del venerdì, di modo che i quartieri degli uffici e le zone industriali si trasformano sino
all’inizio della settimana dopo in desolati deserti urbani, la società flessibile – informa
ancora il suo idealtipo - è perennemente attiva. In essa chiunque ha, in qualsiasi
momento, la possibilità di svolgere l’attività che desidera per sé o per i propri famigliari,
trovando agevolmente altri individui che compiono, e luoghi in cui si svolgono, le attività
di cui può avere bisogno. Lavoro e consumo, cultura e intrattenimento, esercizio sportivo
e rapporti con l’amministrazione pubblica: tutto è possibile per tutti 24 ore su 24, 7 giorni
su 7. Inoltre, sia per questo motivo, sia perché le imprese per prime sono diventate
flessibili, nella società flessibile ciascuno ha la possibilità di adattare le proprie condizioni
e tempi di lavoro alle sue esigenze e responsabilità familiari.
La società 7 x 24, come viene anche denominata alquanto aridamente la società
flessibile, trova un sostegno insostituibile nelle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (Tic). Senza Tic non sarebbe possibile coordinare unità produttive che
non si arrestano mai, e che debbono essere collegate in tempo reale con mille altre unità
distribuite nel mondo; né si potrebbe consultare il valore dei propri titoli in borsa alle 2 di
notte, od ottenere un certificato dall’Anagrafe comunale la domenica mattina, o
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino
1/6
acquistare un biglietto aereo o ferroviario online per un mezzo che partirà un’ora dopo.
Esiste dunque una parentela speciale tra la nozione di “società flessibile” e quella di
“società dell’informazione”.
Assumendo a riferimento i suddetti tratti idealtipici che ho cercato di riassumere, la
società flessibile non risulta ancora essere una realtà compiuta. Viene però presentata
come un progetto riformista che ha la caratteristica di venire delineato in termini quasi
identici sia da studiosi e politici neo-liberali, o liberisti, sia da studiosi e politici
socialdemocratici - ove si accetti per comodità di porre sotto questa comune etichetta i
laburisti di Blair, i socialisti francesi, i democratici di sinistra italiani e i socialdemocratici
tedeschi.
Nella teoria come nella prassi, tra lavoro flessibile e società flessibile intercorre un
rapporto dialettico. Sul piano della teoria la dialettica dei due termini appare scorrere
senza contraddizione alcuna. Secondo le innumeri forme che assume all’esterno e
all’interno dell’azienda – ragion per cui occorre sempre parlare distintamente di
flessibilità esterna o quantitativa, e di flessibilità interna o funzionale - il lavoro flessibile,
afferma la teoria ch’è alla base di questo progetto riformista, richiede una società
flessibile. A partire dai suoi tempi di vita. Occorre far crescere una società nella quale, in
primo luogo, gli orari giornalieri, settimanali, annuali dei trasporti pubblici, degli asili, dei
negozi, delle scuole, degli uffici della PA, siano compatibili con quelli d’una popolazione
di lavoratori d’ogni settore economico e livello professionale in quali, in numero senza
posa crescente, lavorano con orari giornalieri, settimanali, e annui estremamente
variabili.
Di là dalla flessibilizzazione di tutti i tempi sociali, all’organizzazione sociale si chiede di
assomigliare sempre di più all’organizzazione di un’impresa. Le imprese decentrano, si
frammentano in unità sempre più piccole e mutevoli, coordinate da reti di comunicazione
sempre più efficienti e capillari. L’organizzazione aziendale si appiattisce, diminuendo e
fluidificando i livelli gerarchici, generalizzando il lavoro di squadra, puntando ad
esternalizzare tutte le attività che non attengono alla sua missione primaria.
L’amministrazione pubblica – centrale e locale – il sistema educativo, il sistema sanitario,
le attività culturali, dovrebbero adottare il medesimo modello organizzativo, sostenuto
dalle stesse tecnologie.
Da parte sua il progetto d’una società flessibile comporta a titolo di pre-requisito la
massima diffusione del lavoro flessibile. Se un call center deve restare aperto 24 ore su
24, 7 giorni la settimana, pur in presenza di intense variazioni del numero delle chiamate
nel giorno, nella settimana, e nei mesi dell’anno, il suo gestore deve poter disporre di
un’ampia platea di lavoratori flessibili. Se una certa attività commerciale ha un picco nei
weekends, ma non in tutti i weekends, l’impresa che la offre ha bisogno di lavoratori
pronti a lavorare nei weekends, su chiamata, sapendo in anticipo che forse la settimana
dopo non saranno chiamati.
Ancora, se l’organizzazione statale, la scuola, il sistema sanitario debbono sapersi
efficacemente e rapidamente adattare ai mutamenti dell’ambiente economico, sociale e
culturale, sia nazionale che internazionale, pure i funzionari, gli insegnanti, i medici,
debbono rinunciare al posto fisso, al contratto a tempo indeterminato, come già hanno
sono stati indotti a fare quote crescenti di operai, impiegati, tecnici, quadri e dirigenti
dell’industria e dei servizi. La mobilità incessante da un processo all’altro deve essere
facilitata da processi di formazione permanente, estesi all’intero arco della vita, atti a
porre un individuo nelle condizioni di poter occupare, in sequenza, numerosi posti di
lavoro differenti, in differenti settori produttivi, di modo che la perdita di un lavoro sarà
seguita dal reperimento quasi immediato di un’altra occupazione.
Alla diffusione del lavoro flessibile, afferma la teoria alla base del progetto di società
flessibile, si oppongono le regole attinenti al mercato del lavoro costruite nei paesi
dell’Europa Occidentale nei primi quattro quinti del Novecento. Tali regole, prosegue la
teoria, corrispondevano ai bisogni della società industriale o fordista. In una società ed in
una economia post-indutriale e post-fordista, che presenta per di più una struttura
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino
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demografica profondamente mutata, esse sono diventate un vincolo allo sviluppo.
Pertanto vanno sostanzialmente affievolite, se non anzi, ovunque sia possibile, eliminate.
Le garanzie di continuare ad avere un lavoro non vanno più cercate nel protezionismo dei
sindacati, quanto nel possesso di conoscenze ed esperienze che mantengono elevato,
ad ogni età, il tasso di occupabilità dell’individuo.
Se questa è la teoria, sul piano della prassi le ricerche che sono state compiute di
recente in vari paesi europei – compresa quella presentata in questo convegno inducono invece a sospettare che la dialettica tra lavoro flessibile e società flessibile
abbia imboccato un corso diverso. Uno dei principali esiti della diffusione della flessibilità
del lavoro in Europa non sembra affatto essere lo sviluppo di una collettività di lavoratori
– ivi compresi operai e quadri, tecnici e dirigenti - che tende a diventare omogenea verso
l’alto in termini di reddito, di continuità dell’occupazione, di possesso di conoscenze. La
realtà che emerge dalle ricerche sul campo è invece caratterizzata da una forte
polarizzazione della massa dei lavoratori verso l’alto e verso il basso. Le disuguaglianze
socio-economiche, nelle loro molteplici dimensioni, crescono. La stratificazione delle
forze di lavoro assume in complesso una forma a clessidra. Per coloro che occupano la
parte alta di questa i salari sono elevati, la formazione è realmente continua,
l’occupazione è stabile. Tra i lavori osservabili entro questo strato, o gruppo di strati, si
trova la maggior quota dei migliori lavori flessibili che il post-fordismo abbia contribuito a
creare. Giacché esiste anche il lavoro flessibile di buona qualità. E’ il lavoro che favorisce
e permette la massima autonomia del soggetto; moltiplica le esperienze; apre di continuo
nuove prospettive professionali; assicura un reddito apprezzabile e un congruo
riconoscimento sociale; è attraente nel corso della sua esecuzione, quanto soddisfacente
al momento di verificarne le realizzazioni.
Nel complesso, si è qui dinanzi alle forze di lavoro che son definite dalla letteratura sul
moderno management il “nucleo centrale” delle “risorse umane”, formato in media da
meno di un terzo delle forze di lavoro a vario titolo occupate da un’impresa. Sono la
minoranza di persone su cui le imprese investono perché costituiscono la loro memoria
tecnica e organizzativa; la capacità innovatrice; la lealtà ai valori ed ai codici della cultura
aziendale. E’ importante che queste persone siano fedeli all’impresa – uno scopo che
con un termine, in verità inesistente nella lingua italiana, viene designato nel
management-speak con la frase “fidelizzazione dei dipendenti”.
Nella parte bassa della clessidra stanno gli altri lavoratori. E’ la massa – che si avvia a
superare mediamente i due terzi del totale delle forze di lavoro occupate da un’impresa –
che fluttua dentro e fuori dell’impresa motrice, da un sub-appaltatore all’altro, da uno
spezzone di lavoro ad un altro, legata ad un lavoro di volta in volta, e di momento in
momento, da una miriade di contratti: tranne quello di durata indeterminata a tempo
pieno, ormai riservato a chi occupa la parte alta della clessidra. Questi lavoratori
incarnano gli esiti della flessibilità contrattuale. Ma anche la qualità del lavoro che
svolgono è in prevalenza alquanto bassa. Accade infatti che alla maggioranza dei
componenti di questi strati siano affidati lavori, frammentati in mansioni, tra i peggiori che
il post-fordismo abbia contribuito a creare. Mansioni ripetitive, tuttora strutturate di fatto –
anche dove non esista più l’ufficio tempi e metodi – secondo i canoni ormai centenari del
taylorismo, quelle in cui si deve eseguire e non pensare, dove i cicli di operazione si
misurano a manciate di secondi, e il guadagno è strettamente commisurato alla quantità
di lavoro svolta in una data unità di tempo.
Sono, questi della parte inferiore della clessidra, della nuova stratificazione dei lavori e
dei lavoratori, uomini e donne sulle quali ogni singola impresa che le occupa non ha
alcun interesse ad investire in termini di formazione, dato che entro un breve periodo
esse lavoreranno per un’impresa differente. La società della conoscenza, per loro, è
un’espressione pressoché priva di significato. Una quota consistente di questi lavoratori,
anche quando lavorano gran parte dell’anno, corrono in permanenza il rischio di cadere
sotto la linea della povertà relativa – metà del reddito mediano pro-capite - se non anzi
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino
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della povertà assoluta, che viene collocata in genere tra il 40 e il 60% al di sotto della
suddetta linea.
Che cosa reca questo strato in espansione di lavoratori flessibili al progetto di una società
flessibile – uno strato che assomiglia assai poco a quello che il progetto stesso dà per
scontato che si sia formato, o si stia formando? E più in generale, come si concilia il
progetto in questione con una polarizzazione delle disuguaglianze di reddito, di
autonomia, di qualità del lavoro? Prima di tentare una risposta, occorre chiedersi quali
sono i criteri mediante i quali pensiamo di valutare la qualità di una simile società. Di
certo sappiamo che qualsiasi tipo di società può essere valutata secondo vari criteri
oggettivi, costruiti mediante appropriate indagini statistiche. In base, ad esempio, al suo
reddito medio pro-capite; al livello di vita; al suo indice di disuguaglianza, come l’indice di
Gini; al maggiore o minore tasso di violenza praticata all’interno tra i suoi componenti, o
esercitata da essa, in toto, verso l’esterno; al suo indice di sviluppo umano, sul tipo di
quello proposto dal programma dall’uguale denominazione delle Nazioni Unite, il cui
andamento in tutti i paesi del mondo viene pubblicato ogni anno in un apposito rapporto.
Ma v’è una qualità prioritaria, difficilmente riconducibile a indici oggettivi, che è la natura e
l’intensità della sua integrazione sociale. L’idea di integrazione è un concetto
fondamentale della teoria della società. L’analisi dei processi di integrazione rappresenta
la prosecuzione, sul terreno sociologico, della discussione del problema classico per la
filosofia politica dell’ordine sociale, inteso quale stabilità di relazioni tra individui e gruppi,
sociali etnici o religiosi che siano; ragionevole armonia tra differenti settori e livelli della
società; convivenza pacifica seppur in presenza di conflitti politici, economici e culturali.
Come ci ricorda con fin eccessiva solerzia la storia del XX secolo e dei primi anni del XXI,
l’integrazione sociale è un bene comune primario, tanto arduo da conseguire, quanto
facile da perdere. In una forma attenuata, e in genere senza alcun riferimento alle grandi
scuole sociologiche che lo hanno elaborato – penso alle opere di Emile Durkheim, Max
Weber, Talcott Parsons - il concetto di integrazione sociale è diventato da qualche anno
un elemento spesso ricorrente del dibattito politico, specie nel mondo francofono, sotto
l’etichetta di “coesione sociale”.
Affinché una società attinga, e mantenga nel tempo, un tasso di integrazione
soddisfacente per il maggior numero dei suoi componenti, è necessario sussistano alcuni
pre-requisiti. Il primo ha a che fare con il tempo, con la durata. Come ho avuto modo di
rilevare in altri lavori trattando dei costi umani della flessibilità, la costruzione di relazioni
sociali stabili tra individui e tra gruppi – ovvero tra individui che per tal via si integrano in
un gruppo - richiede del tempo. Necessita di incontri ripetuti, occasioni per conoscersi,
pratiche collaborative, forme organizzate di socialità. Per i lavoratori flessibili si tratta di
situazioni sempre più rare. Nelle organizzazioni “reingegnerizzate” si arriva ad ottenere
che su 100 lavoratori fisicamente presenti a un certo istante in un dato reparto meno di
un quarto siano dipendenti da quella data organizzazione, mentre gli altri tre quarti
sono dipendenti da una decina di aziende terze – fornitori o sub-appaltatori o sub-subappaltatori – oltre che lavoratori interinali, parasubordinati con contratti di breve durata,
consulenti di passaggio, apprendisti in formazione. In tale modello organizzativo non
esiste più il tempo necessario perché tra le persone che pure lavorano fianco a fianco si
stabilisca un legame sociale. Nelle organizzazioni ristrutturate per trarre i maggiori
vantaggi dalla flessibilità del lavoro, scompaiono anche, causa l’impossibilità materiale di
trovare chi possa parteciparvi, i gruppi sportivi, i centri culturali, le gite sociali – istituzioni
tradizionali che per generazioni hanno contribuito ad alimentare la socialità del lavoro, e
con ciò a sostenere il lavoro come fattore primario di integrazione sociale.
Un secondo pre-requisito dell’integrazione sociale è la presenza di una misura
significativa di ritualità. Come ricorda Sennett in un altro suo saggio, Work and Social
Inclusion (1999), “se l’antropologia ci ha insegnato qualcosa in merito a noi stessi, è che
il rituale è il cemento più forte della società, la chimica stessa alla base dei processi di
inclusione.” Caratteristico dei rituali è di essere gratuiti, intransitivi, irrazionali, privi di
giustificazione se non simbolica, oltre che identificati con uno spazio delimitato e fisso
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino
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nel tempo. Archetipo della ritualità sono ovviamente le tradizioni popolari, le processioni,
le feste del santo o dell’eroe locale, le liturgie dei culti religiosi, le pubbliche celebrazioni
della storia nazionale. Ma pertengono alla ritualità anche altre pratiche secolari. Pratiche,
ad esempio, in forza delle quali la domenica deve essere per obbligo un giorno di riposo,
anche se pochi rammentano che così è perché sta scritto nella Bibbia; il lavoro di una
persona costituisce un tempo e un luogo categoricamente diverso dal tempo libero come
da altri momenti della sua vita privata; la famiglia è tenuta a riunirsi ogni giorno attorno al
desco Nella società flessibile, di cui l’operare “a giro di orologio”, 7 x 24, è un elemento
quintessenziale, per le forme della ritualità tradizionali v’è sempre meno tempo
disponibile. Il tempo di lavoro si intreccia con gli altri tempi della vita sino a diventare da
essi inseparabili. Per molte persone il lavoro si svolge vuoi per ricorrente necessità, vuoi
per i vincoli formalmente posti dall’organizzazione flessibile, come quelli insiti nel modello
del “compito senza scrivania” (deskless job), nell’abitazione stessa, nelle sale d’aspetto
aeroportuali, in treno, in albergo, sull’autostrada. Anche sul piano del discorso l’idea della
festività, del giorno festivo uguale per tutti, viene etichettata come un feticcio da
rimuovere. Il lavoro tende a diventare un tempo senza confini e al tempo stesso un nonluogo, proprietà contrarie all’esercizio di ogni forma di ritualità.
Uno degli aspetti che ci sembrano più attraenti del progetto di società flessibile, quale ci
viene presentato, è l’importanza che esso attribuisce all’autonomia, all’emancipazione
dalle cerchie tradizionali, alla piena individualizzazione della persona, alla sua
indipendenza da ogni legame o appartenenza ascrittiva. Dopotutto, questi sono valori
intrinseci della modernità, del progetto moderno. La padronanza di sé fondata sulla
ragione - meglio non si potrebbe definire l’indipendenza - è un ideale che proviene da
Platone, ma che ha dovuto attendere più di venti secoli prima di essere avviato a
compimento dal progetto moderno. La società flessibile promette nulla meno, a ben
vedere, di portare a termine ciò che il progetto moderno ha avviato nei tre secoli
precedenti. Tuttavia, affinché l’indipendenza economica della persona, base della sua
indipendenza politica, non sia una chimera o un inganno, essa richiede un reddito
consistente e sicuro, un appropriato riconoscimento sociale (Anerkennung, per usare il
termine preferito da Habermas), un grado elevato di istruzione, e un tangibile potere
contrattuale nei confronti dell’impresa. Ora avviene che, tolto il loro sottile strato
superiore – sottile se commisurato ai milioni che possono così venire denominati - i
lavoratori flessibili sollecitati a incarnare l’ideale dell’indipendenza, della padronanza in
ogni senso di sé fondata sul libero esercizio della ragione, non appaiono disporre in
generale di tali elementi, ricerche empiriche alla mano, se non in misura minima.
Infine v’è la questione delle cosiddette società intermedie. L’integrazione dell’individuo
nella società non può avvenire, se non parzialmente, in modo diretto. All’integrazione
totale e diretta degli individui con i vertici del potere puntano solamente le società
autoritarie. In una società democratica matura occorre invece che l’individuo sia
primariamente integrato nella famiglia, nella comunità locale, in vari generi di
associazione; dopodiché sarà un’adeguata integrazione di queste nello spazio pubblico
globale ad assicurare all’individuo i benefici dell’ordine sociale – come pure a tutelarlo
dalle sue deviazioni. La società flessibile, di là dal velo ideologico che vorrebbe ritrarne le
veritiere fattezze nel mentre di fatto le maschera, non sembra particolarmente amica di
nessuna di queste società intermedie. Non lo è di fatto, perché la variabilità degli orari e
dei luoghi di lavoro, di istruzione, di tempo libero dei diversi componenti della famiglia e
della comunità locale porta inevitabilmente ad erogare il legame sociale tra di essi. Non lo
è nemmeno dal punto di vista teorico, perché essa codifica e legittima le delocalizzazioni
dell’impresa come della famiglia, il cennato lavoro senza luogo, l’abolizione del
radicamento territoriale di ogni attività sociale.
Quanto alle associazioni, il progetto di società flessibile – quale in concreto ci viene
presentato dal discorso politico-economico dominante - trae in concreto giovamento dalla
crisi della più antica di esse, la chiesa, nel mentre teorizza e persegue l’indebolimento, se
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino
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non anzi l’annullamento, della principale tra quelle che rimangono – il sindacato. Per la
società flessibile, il sindacato è l’epitome di tutti i suoi contrari: la rigidità burocratica; la
difesa dei diritti acquisiti per ascrizione e non per merito; una delle maggiori barriere che
si oppongono all’innovazione permanente di tutte le modalità dell’agire sociale. Esso
deve essere oggetto sia di un reciso contrasto ideologico, sia – come sta avvenendo in
Italia - di provvedimenti legislativi che rimuovano questo ultimo ostacolo a che l’individuo
sia inserito direttamente, senza mediazioni, nella rete delle reti. Affinché esso divenga,
con le parole di Niklas Luhmann, unicamente un nodo passivo dei flussi di
comunicazione, inconsapevole del senso reale dei messaggi che esso riceve e
ritrasmette, ad essi totalmente alieno.
La dialettica reale tra lavoro flessibile e società flessibile, quale emerge dalle ricerche sul
campo, non pare dunque condurre nessuno dei due elementi verso esiti particolarmente
promettenti per la qualità della vita e dell’organizzazione sociale. L’uno e l’altra
incorporano sicuramente elementi del progetto moderno - un progetto largamente
incompiuto – ai quali certo non vorremmo rinunciare. Nondimeno gli elementi che in essi
appaiono predominare al presente, esaltati negli ultimi decenni tanto dall’ideologia e
dall’economia neo-liberali quanto dalla pratica politica delle socialdemocrazie, ci
sembrano comportare un prezzo troppo elevato per potere accogliere insieme questi e
quelli. Io penso che dinanzi a tale situazione ambivalente si debba essere, al tempo
stesso, discriminanti quanto esigenti. Dobbiamo saper distinguere i costi umani della
flessibilità del lavoro e della società flessibile dai loro benefici, quanto esigere che i primi
non vengano, come suole, sottaciuti o sottovalutati in nome dei secondi.
Un compito arduo che tuttavia, se non vogliamo arrenderci al credo interessato per cui la
realtà del mondo globalizzato persegue comunque, ad onta dei nostri sforzi, un suo
indefettibile cammino, occorre affrontare combinando la tenacia del ricercatore con la
passione che ogni cittadino dovrebbe portare alla difesa di un bene comune essenziale.
Un bene qual è una società in cui la molteplicità degli interessi; delle culture; delle
condizioni di lavoro e di esistenza, trova una composizione armonica in forza di alcuni
ideali minimi di giustizia sociale, di uguaglianza, di diritti delle persone. Un insieme di
elementi costati all’Europa troppe fatiche, e troppe sofferenze, per pensare che si
possano o si debbano agevolmente alienare in nome di nuove forme di funzionamento
del sistema economico, pur nel riconoscimento che queste richiedono appropriate riforme
dell’organizzazione sociale.
(Torino, settembre 2002)
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino
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LUCIANO GALLINO
Chiamato a Ivrea da Adriano Olivetti, Luciano Gallino (Torino 1927) ha compiuto il
proprio apprendistato sociologico tra il 1956 e il 1970, come collaboratore e poi direttore
del centro di ricerche sociologiche di quella società, il primo del suo genere in Italia.
Conseguita la Libera Docenza in Sociologia nel 1964, nei due anni successivi è stato
Fellow Research Scientist presso il Center for Advanced Study in the Behavioral
Sciences di Stanford (CA). Dal 1965 al 1971 è stato professore incaricato presso la
Facoltà di Magistero e la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino. Dal 1971
è professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dello
stesso Ateneo. Tra il 1968 e il 1978 è stato direttore del locale Istituto di Sociologia, uno
dei primissimi costituiti nelle università italiane.
Ha fondato e presieduto dal 1987 al 1999 il Centro di Servizi Informatici e Telematici per
le Facoltà Umanistiche dell'Università di Torino, che sin dai primi anni '90 ha messo a
disposizione Internet a migliaia di studenti e docenti. Dal 1999 è Direttore del
Dipartimento di Scienze dell'Educazione e della Formazione. In tale ruolo ha promosso lo
sviluppo di un Centro di Eccellenza per lo studio della Formazione Aperta/Assistita in
Rete. Da tale iniziativa è derivato un nuovo corso di studi per la laurea triennale di I
livello, attivo dall’ottobre 2000, volto a formare “Esperti di formazione e comunicazione in
rete”
Dal 1979 al 1988 è stato presidente del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali, carica in
cui è succeduto a Luigi Firpo. Dal 1987 al 1992 ha rivestito la stessa carica
nell'Associazione Italiana di Sociologia. Dirige dal 1968 i "Quaderni di Sociologia", testata
trasmessagli da Nicola Abbagnano che li aveva fondati con Franco Ferrarotti nel 1951.
Tra il 1970 e il 1975 ha scritto sul "Giorno"; dal 1983 al 2001 ha collaborato alla
"Stampa". Al presente scrive per “La Repubblica”.
E' socio dell'Accademia delle Scienze di Torino, dell'Academia Europaea e
dell'Accademia Nazionale dei Lincei.
Opere principali
Progresso tecnologico ed evoluzione organizzativa negli stabilimenti Olivetti, 1945-1959,
Giuffré, Milano 1960; Personalità e industrializzazione, Loescher, Torino 1968; Indagini di
sociologia economica e industriale, Comunità, 2a ed., Milano 1972; Dizionario di
Sociologia, Utet, Torino 1978, 3a ed. 1993; La società. Un’introduzione sistemica alla
sociologia, Paravia, Torino 1980; Il lavoro e il suo doppio. Seconda occupazione e
politiche del lavoro in Italia, il Mulino, Bologna 1985, (con coll.); Informatica e qualità del
lavoro, Einaudi, 2a ed., Torino 1985; Della ingovernabilità. La società italiana tra
premoderno e neo-industriale, Comunità, Milano 1987; L’attore sociale. Biologia, cultura
e intelligenza artificiale, Einaudi, Torino 1987; L'incerta alleanza. Modelli di relazione tra
scienze umane e scienze della natura, Einaudi, Torino 1992; Manuale di Sociologia (con
coll.), Utet Libreria, 2a ed., Torino 1997; Se tre milioni vi sembran pochi. Sui modi per
combattere la disoccupazione in Italia, Einaudi, Torino 1998; Globalizzazione e
disuguaglianze, Laterza, 5a ed., Bari 2001; Il costo umano della flessibilità, Laterza, Bari
2001; L’impresa responsabile. Intervista su Adriano Olivetti, Comunità, Torino 2001.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Luciano Gallino - Università di Torino
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Nouvelles modalités de travail et
assurances sociales: cause de
précarité?
Béatrice Despland
Direttrice aggiunta dell'Istituto di diritto della
salute dell'Università di Neuchâtel
Nouvelles modalités de travail et assurances sociales:
cause de précarité?
Plan de l'exposé
1. Travail à temps partiel, contrat de travail à durée déterminée, travail sur appel, travail
indépendant:
•
•
Lacunes de couverture
Affiliation facultative: une utopie?
2. Maladie, maternité, accident, invalidité:
•
•
Définitions rigides?
Inventer une assurance "mal-être"?
3. La collaboration interninstitutionnelle (CII)
•
•
Les expériences en cours entre l'assurance-chômage, l'assurance-invalidité et
l'aide sociale
Un moyen de lutter contre l'exclusion
4. Le rôle du canton dans la lutte contre l'exclusion (sous l'angle du droit social)
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Béatrice Despland - Università di Neuchâtel
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Béatrice Despland est née en 1949. Elle est titulaire d'une licence es sciences de
l'éducation, d'une licence en droit et d'un diplôme d'études supérieures en droit, tous de
l'Université de Genève.
Elle a notamment été chargée de cours IDHEAP (Lausanne), a organisé le cours « les
questions féminines en Suisse » et s'est occupée d'enseignement relatif à la place de la
femme dans la sécurité sociale. Elle a également été secrétaire centrale de l'Union
Syndicale Suisse (USS), professeure en droit social à l'Ecole d'Etudes sociales et
pédagogiques et enseignante ponctuelle dans de nombreuses écoles supérieures,
universités et également pour des administrations.
En outre, elle est membre du groupe d'experts pour la révision de l'assurance-maladie,
de la Commission fédérale de coordination pour les questions familiales (viceprésidente), du comité de direction du Programme national de Recherche « problème de
l'Etat social (PNR 45) », du Conseil d'administration de la CNA (depuis janvier 2002), de
l'Institut Européen de la Sécurité sociale (Leuven, Belgique), présidente de la Conférence
des centres d'enseignement des domaines de la santé et du travail social (1998-2000),
du Conseil d'administration du Fonds de compensation de l'assurance-maternité
(Genève), et du Conseil d'administration du Fonds de compensation des allocations
familiales (Genève). Depuis novembre 2001, elle a la fonction de directrice-adjointe de
l'IDS à Neuchâtel.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Béatrice Despland - Università di Neuchâtel
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Lavoro e sicurezza sociale in
Ticino
Carlo Marazza
Direttore dell'Istituto delle assicurazioni
sociali, membro della Commissione federale
per le questioni femminili
Lavoro e sicurezza sociale in Ticino
1
2
3
4
INTRODUZIONE.......................................................................................................................................................... 1
RIFLESSIONI CRITICHE: COSA NON VA NEI NOSTRI SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE? ................. 1
2.1 CRISI D’EFFICACIA .................................................................................................................................................. 1
2.2 CRISI DI LEGITTIMITÀ ............................................................................................................................................... 2
I CAMBIAMENTI CHE INTERESSANO IL LAVORO INFLUENZANO LA SICUREZZA SOCIALE?.......... 3
3.1 LAVORO E SICUREZZA SOCIALE .............................................................................................................................. 3
3.1.1 Il sistema svizzero dei tre pilastri........................................................................................................ 4
3.1.2 Assicurazione contro la disoccupazione............................................................................................ 7
3.2 LAVORO E POVERTÀ ................................................................................................................................................ 8
3.3 LAVORO E FAMIGLIA................................................................................................................................................ 9
RIFLESSIONI CONCLUSIVE..................................................................................................................................10
4.1 ORIENTAMENTO SETTORIALE ................................................................................................................................10
4.2 ORIENTAMENTO MULTISETTORIALE (APPROCCIO SISTEMICO) ..............................................................................10
1
Introduzione
Lo studio Forme del lavoro e qualità della vita di Christian Marazzi e Angelica Lepori è
una bella occasione per cominciare a riflettere, sorretti da dati reali ed analisi serie, sulle
conseguenze dei cambiamenti del lavoro sul benessere delle persone, dei lavoratori. Le
domande principali che mi pongo, come uomo della sicurezza sociale che rappresenta in
termini quantitativi e finanziari la politica pubblica più importante almeno nei paesi
dell’Europa occidentale, sono in che misura:
• la sicurezza sociale si assume la responsabilità di includere o escludere i cittadini
e le cittadine dal proprio sistema;
• la sicurezza sociale è reattiva o propositiva nei confronti dei cambiamenti;
• la sicurezza sociale considera i cambiamenti del lavoro remunerato e non?
2
Riflessioni critiche: cosa non va nei nostri sistemi di sicurezza
sociale?
2.1
Crisi d’efficacia
La società del lavoro cambia se muta il lavoro. Sembra lapalissiano, ma constato che non
si è ancora molto consapevoli di questo, soprattutto fra le autorità federali, che hanno le
competenze maggiori in materia di sicurezza sociale. Ho l’impressione che ci sia troppo
distacco fra le autorità federali e la realtà. Penso ad esempio all’Ufficio federale delle
assicurazioni sociali e all’assicurazione per l’invalidità, o al Segretariato di Stato
dell’economia e alle procedure sempre più complesse inserite nell’assicurazione contro la
disoccupazione. Dovremmo invece usufruire e difendere i vantaggi del nostro
federalismo, soprattutto l’applicazione decentralizzata della sicurezza sociale1.
La ricerca, compresa quella sociale, è la premessa della conoscenza. È una funzione
iterativa importante per la sicurezza sociale. Per evitare che resti sterile, fine a se stessa,
è necessaria la collaborazione e la condivisione fra ricercatori e gestori, seguendo il
processo del lavoro in divenire. La collaborazione fra la Scuola universitaria e
professionale della svizzera italiana e l’Istituto delle assicurazioni sociali è stata la
condizione per svolgere un’analisi circoscritta alla nostra regione di lingua italiana che
meriterebbe la giusta attenzione a livello federale.
1
Un progetto denominato Cooperazione interistituzionale, voluto dalla Conferenza svizzera degli Uffici AI a Lugano alcuni
mesi fa, ha preso l’avvio in questi giorni
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
1/11
Constatiamo che l’istruzione e la formazione sono orientate soprattutto alla professione. Il
tempo libero è tempo libero dal lavoro, tempo di riposo per nuovo lavoro. La prestazione
di disoccupazione risponde alla mancanza temporanea di lavoro per motivi congiunturali.
La pensione d’invalidità o per infortunio si sostituisce al salario o al reddito in caso di
eventi esterni non prevedibili. La pensione di vecchiaia è la ricompensa per una vita di
lavoro.
Cominciamo a capire che la salute è influenzata in misura notevole dagli stili di vita e
dalle condizioni di lavoro (determinanti socioeconomici), ed in misura molto minore dai
determinanti sanitari (cure sanitarie).
Incominciamo a chiederci se l’educazione dovrebbe anche essere orientata allo sviluppo
del talento individuale e delle competenze necessarie per vivere in una società in
continua mutazione, di cui il lavoro è una componente essenziale.
Ci rendiamo conto che la qualità del lavoro è determinante per le famiglie ed influenza la
conciliazione con le attività familiari e la ripartizione dei ruoli fra genitori.
La povertà residua interessa una parte sempre più importante della popolazione e
raccoglie i disoccupati di lunga durata, i nuovi poveri (pensiamo al fenomeno dei working
poor), le famiglie. I problemi di salute interessano, in modo diverso rispetto al passato,
molte persone. Le difficoltà economiche del ceto medio, in particolare delle famiglie,
aumentano.
Il paradosso di questa realtà è la contrapposizione dei costi elevati della sicurezza
sociale e dei bisogni sociali non ancora soddisfatti. La crisi d’efficacia deriva dalla duplice
logica attuale dei sistemi di sicurezza sociale:
• da una parte protettrice, inclusiva, nella misura in cui prende a carico le categorie di
persone degne d’interesse (ad esempio i salariati con l’assicurazione contro la
disoccupazione o parte di essi2 con la previdenza professionale obbligatoria per i
regimi di tipo professionale),
• dall’altra avversatrice, esclusiva, nella misura in cui non consente l’accesso ad altre
categorie di persone (ad esempio con la previdenza professionale obbligatoria per
molti lavoratori atipici e tutti i lavoratori autonomi).
I problemi finanziari attuali con i quali è confrontata la sicurezza sociale derivano anche
dalle spese della protezione contro la disoccupazione, imputabili all’andamento
congiunturale e strutturale della nostra economia, e dai costi crescenti indotti dai
cambiamenti intervenuti a partire dagli anni ’90, che interessano il lavoro e che si
ripercuotono sui rami malattia ed invalidità 3.
Questa situazione determina una sicurezza sociale piuttosto reattiva e poco propositiva
nel rispondere ai nuovi bisogni.
2.2
Crisi di legittimità
La crisi economica influenza la legittimità della sicurezza sociale. Questa crisi ha
rafforzato negli ultimi anni il ruolo delle prestazioni selettive nella lotta alla povertà, anche
se le differenziazioni crescenti che caratterizzano le famiglie e gli individui
presuppongono un adeguamento della sicurezza sociale, affinché possa meglio
considerare le eterogeneità della nostra società attuale e futura.
Considerare questa via come panacea contro tutti i mali arrischierebbe di ridurre la
sicurezza sociale alla sola lotta contro l’esclusione dei poveri. In altri termini si ridurrebbe
2
Soprattutto i lavoratori tipici e tradizionali con un certo reddito
Le spese della sicurezza sociale sono progredite in modo autonomo rispetto al reddito nazionale o cantonale. Esse,
infatti, evolvono in maniera indipendente o addirittura inversa; pensiamo a quelle che derivano dal bisogno di consumo di
beni sanitari, oppure quelle che discendono dalle difficoltà economiche e dai grossi cambiamenti economici, che
impongono l’indennizzo a scadenze più o meno regolari dei disoccupati, e che esercitano un effetto indiretto su altri settori
come quello dell’invalidità
3
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
2/11
la sicurezza sociale ad una parte di una sola funzione: quella della garanzia di un reddito
di complemento4 selettivo. Dimenticheremmo di conseguenza l’importanza che riveste la
sicurezza sociale per tutta la popolazione e revocheremmo il contratto sociale che ci
lega. Il legame esistente fra il prelevamento dei contributi sulla massa reddituale, in
particolare salariale, e le prestazioni corrisposte è un caposaldo della popolarità e
dell’accettabilità politica della funzione sostitutiva della sicurezza sociale, che deriva dalla
tecnica assicurativa, dallo strumento necessario ad applicare i redditi sostitutivi 5. Gli
assicurati sono coscienti che pagano, almeno in buona misura, per la sicurezza sociale
che viene loro offerta. La selettività in sostituzione dell’universalità spingerebbe verso una
diminuzione della solidarietà, perché le fasce più agiate della popolazione sarebbero
sempre meno disposte a finanziarla.
Il richiamo alle prestazioni selettive, giustificato in determinate situazioni, se
corrispondesse alla soppressione del rapporto fra contributi e prestazioni, con il
passaggio alle sole prestazioni mirate finanziate tramite la fiscalità in modo non
contributivo, arrischierebbe di delegittimare la sicurezza sociale. Questo è un aspetto
fondamentale che va considerato nell’adeguamento della sicurezza sociale alle nuove
forme di lavoro ed alle attività socialmente rilevanti, di cui dobbiamo essere coscienti se
non vogliamo creare degli sconquassi nel rapporto fra sicurezza sociale e lavoro 6. Al
contrario, le prestazioni selettive sono legittime per lottare contro la povertà. Per le
famiglie bisognerà far capo ad entrambe le funzioni 7.
3
I cambiamenti che interessano il lavoro influenzano la sicurezza
sociale?
3.1
Lavoro e sicurezza sociale
La relazione attuale fra lavoro e sicurezza sociale, che ha condizionato tutto il
novecento,va rivista? È una domanda che dobbiamo porci, se pensiamo all’apparizione
delle nuove forme di lavoro, alla persistenza della disoccupazione strutturale, alla
precarietà, ai problemi crescenti con i quali sono confrontate le famiglie. Queste
importanti preoccupazioni della politica sociale contemporanea pongono in discussione
l’opportunità di mantenere il legame nei termini attuali. È quindi necessario ristudiare, per
poi adeguarlo, il rapporto fra lavoro e sicurezza sociale.
All’origine, la protezione (interessante il senso etimologico del termine) sociale era
ancorata al primato del lavoro, poi, con l’avvento della sicurezza sociale e la
ridistribuzione del reddito nazionale a favore dei cittadini si è verificata una rottura solo
apparente del legame8.
Anche in futuro continueranno ad esistere dei settori rilevanti consacrati specificatamente
alla protezione dei lavoratori, che necessitano l’appartenenza alla comunità del lavoro.
Sono interessati la protezione contro i rischi professionali, quella contro la
disoccupazione o i regimi complementari legali o convenzionali (soprattutto le indennità
giornaliere).
D’altra parte l’indagine della SUPSI sugli effetti sociali della flessibilità del mercato del
lavoro in Ticino dimostra e conferma l’aumento della precarietà imputabile ai lavori atipici.
4
Che completa un fabbisogno scoperto
Che sostituiscono un reddito precedente (ad esempio l’AVS)
Gli accrediti per compiti educativi e assistenziali, introdotti dal 1. gennaio 1997 con la decima revisione dell’AVS, sono un
riconoscimento dell’attività non retribuita, soprattutto delle donne, di cui possiamo essere fieri
7
L’introduzione a partire dal 1. luglio 1997 nel nostro cantone dell’assegno di prima infanzia è il riconoscimento dell’attività
familiare, della cura dei figli piccoli delle famiglie povere, tramite una prestazione selettiva
8
Guy Perrin, Sécurité sociale, Réalités sociales, Losanna, 1993
5
6
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
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L’adeguamento della sicurezza sociale alle nuove forme di lavoro (il lavoro interinale, il
lavoro su chiamata e temporaneo, il lavoro autonomo) deve perseguire, da un lato, la
protezione dei lavoratori e, dall’altro, la riduzione degli ostacoli che la sicurezza sociale
opporrebbe allo sviluppo di nuove forme di lavoro nell’interesse della promozione
dell’impiego e della valorizzazione dell’attività quale veicolo di cittadinanza (inserimento
professionale e/o sociale della persona). Un nuovo legame fra sicurezza sociale e lavoro,
che metta in risalto il lavoro non più come fonte del diritto alla prestazione sociale, bensì
come fine dell’intervento della sicurezza sociale alla quale dovrebbero essere subordinati
i regimi transitori d’indennizzo necessari all’inserimento ed al reinserimento professionale
è necessario. La mancanza di questo adeguamento costituisce la causa del trasferimento
dei casi e dei costi fra un settore e l’altro. L’assicurazione per l’invalidità è la più
penalizzata da questo stato di cose, al punto che oggi deve assumersi oltre all'andicap
sanitario, che le è proprio, pure quello sociale. Non riconoscerlo è un atto di ipocrisia
politica.
La protezione fondamentale 9 quanto agli obiettivi (diritti fondamentali e sociali ed obiettivi
sociali), che è anche di base quanto al grado d’intervento e che garantirebbe un diritto
minimo d’esistenza a tutti i cittadini deve essere adeguata ai cambiamenti. La protezione
fondamentale e di base, che non va confusa con il diritto al reddito minimo garantito (idea
ormai sorpassata in tutte le sue forme), è completata dalla protezione specifica e
complementare per i lavoratori, connessa quindi con l’esercizio di un’attività
professionale.
3.1.1 Il sistema svizzero dei tre pilastri
3.1.1.1 AVS: regime pensionistico universale 10
La sicurezza sociale dovrebbe garantire maggiore libertà agli individui nella scelta della
durata e della ripartizione del lavoro e dell’attività o della cessazione graduale del loro
lavoro. Una pensione parziale e progressiva, al posto di una pensione anticipata e ridotta
che poco influenza la riduzione della vita lavorativa, risponde meglio ad un bisogno reale
individuale e sentito da molti lavoratori salariati ed autonomi vicini al loro pensionamento
(l’11esima revisione AVS propone una prima embrionale proposta in questo senso). La
riduzione dell’età di pensionamento nei regimi pensionistici di vecchiaia non è lo
strumento appropriato per combattere gli effetti della disoccupazione dei lavoratori più
anziani.
La sicurezza sociale deve anche facilitare lo sviluppo di nuove interessanti forme di
lavoro 11, al fine di conciliare la dimensione economica dello sviluppo con quella sociale. A
questo proposito è interessante notare come all’AVS è stato conferito il compito di
decidere se un lavoratore possa affiliarsi come indipendente. Lo scopo di questo
intervento è tecnico12 e va ricollegato soprattutto alla previdenza professionale
obbligatoria. Infatti, nel nostro paese il passaggio da un’attività salariata ad una
autonoma consente il prelevamento dell’intero capitale versato dal lavoratore e dal datore
di lavoro all’istituto di previdenza13. All’AVS si è quindi assegnato il compito di controllare
ed arginare il fenomeno dell’aumento dei lavoratori indipendenti nell’interesse degli istituti
di previdenza (capitali versati agli assicuratori ed alle casse pensioni) e degli assicurati
9
La Svizzera con l’universalizzazione delle pensioni di vecchiaia e superstiti (dal 1948 con l’AVS), delle prestazioni reali e
finanziarie in caso d’invalidità (dal 1960 con la l’AI), alle quali bisogna aggiungere le prestazioni complementari all’AVS e
all’AI (dal 1966 con le PC), della garanzia delle cure mediche (dal 1996 con la LAMal), garantisce ad una buona parte della
popolazione, a tutti i pensionati superstiti invalidi e malati, una protezione fondamentale e di base
10
Che copre tutta la popolazione residente o che lavora nel nostro paese
11
Penso all’abbinamento fra lavoro parziale e sicuro e pensionamento parziale e sicuro o ai lavori autonomi
12
L’AVS, definisce chi rientra nel campo di applicazione dei regimi professionali (assicurazione contro la disoccupazione,
previdenza professionale, assegni familiari ordinari, assicurazione maternità in futuro, assicurazione contro gli infortuni e le
malattie professionali d’intesa con gli assicuratori interessati)
13
Prestazione di libero passaggio
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
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interessati (perdita della copertura assicurativa). Considerato il forte trasferimento
avvenuto nell’ultimo decennio dal lavoro dipendente a quello indipendente, al punto che
Marazzi e Lepori hanno accertato in base hai dati molto rappresentativi della Cassa
cantonale di compensazione AVS che i lavoratori autonomi rappresentano in Ticino il 18
% di tutti i lavoratori, mi chiedo se sia corretto affrontare il fenomeno ancora in questo
modo, frustrante per noi che dobbiamo applicare la normativa e per coloro che ricevono
una comunicazione negativa, o se non sia meglio trovare altre soluzioni. Evidentemente
ciò presuppone la presa di coscienza, in particolare in sede federale 14, dei cambiamenti
in atto e delle nuove tendenze che interessano il mercato del lavoro. Ben vengano gli
studi quali quello della SUPSI che dovrebbero aiutarci ad aprire gli occhi.
3.1.1.2 Assicurazione per l’invalidità 15
Qual è il rapporto fra l’assicurazione invalidità e la precarietà?
• Da una parte c’è l’invalidità classica, che prende a carico gli individui con un danno
alla salute che ha conseguenze economiche (andicap sanitario);
• dall’altra, c’è la nuova invalidità, che si accolla l’andicap sociale16.
La nuova invalidità è correlata con la precarietà.
Le nostre esperienze fatte con la reintegrazione professionale, traguardo principale
dell’AI17, mostrano tre livelli di precarietà:
o la precarietà del lavoro (lavori atipici) esercitato dalle persone interessate,
o la precarietà formativa e conoscitiva degli individui coinvolti,
o la precarietà della salute 18.
A proposito della precarietà del lavoro è opportuno richiamare le considerazione
contenute nello studio della SUPSI sulle nuove forme del lavoro.
La precarietà formativa e conoscitiva dipende dalle risorse personali e dalla situazione
personale e familiare. Le risorse personali sono la discriminante maggiore. Per gli
individui con sufficienti risorse personali, in particolare formative, l’AI costituisce una
svolta di vita che consente loro un’integrazione completa (sociale e professionale). Questi
assicurati sono consci dell’aiuto ricevuto e ci ringraziano. Gli altri individui, con scarse
risorse personali, che definisco i precari dei precari19, non riescono a beneficiare
dell’aiuto dell’AI, al punto che entrano, escono e rientrano continuamente
nell’assicurazione. Essi rappresentano un terzo di tutti i casi di reintegrazione assunti
dall’AI in Ticino. Quando momentaneamente non interagiscono con l’AI, lo fanno con altri
settori, dall’assicurazione disoccupazione all’assistenza sociale passando ogni tanto
anche dall’assicurazione malattie.
La precarietà della salute vede le malattie psichiche20 ed disturbi della personalità 21 in
forte aumento. Nel 1985 rappresentavano in Svizzera il 24% di tutte le malattie
invalidanti; nel 1999 rappresentavano il 35% e costituiscono il gruppo di malattie più
invalidante. Dal 1994 al 1999, sempre a li vello svizzero, i casi di rendita d’invalidità a
seguito di malattie psichiche sono aumentate del 7% all’anno, mentre quelli imputabili ai
disturbi della personalità sono cresciuti del 10,5% all’anno 22 23. È, inoltre, interessante
14
Il Parlamento federale ha ricevuto un messaggio del Consiglio federale che propone di allineare i criteri applicati dalla
sicurezza sociale e dalle autorità fiscali. Così si evita di affrontare il vero problema
15
Prestazione universale
16
Tramite i meccanismi assicurativi tipici dell’AI (danno alla salute, a seguito della precarietà, con conseguenze
economiche)
17
Speriamo che non diventi, via via, una chimera
18
Per l’AI il danno alla salute dev’essere oggettivabile
19
Per queste persone il danno alla salute è la punta dell’iceberg, che può aprire la porta dell’AI
20
Psicosi e nevrosi
21
Ad esempio disturbi psicogeni, neurosi, casi borderline, depressivi, ipocondriaci, psicosomatici
22
Non mi soffermo in considerazioni di salute pubblica, che meriterebbero un approfondimento
23
L’aumento medio di tutte le malattie è stato del 4,4% all’anno
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
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rilevare che la percentuale degli invalidi, per cause psichiche in generale, aumenta in
misura inversamente proporzionale al grado di formazione e alla professione esercitata.
In altre parole le persone semi qualificate o non qualificate sono le più toccate. Infine,
l’anno 2001 fra i nuovi casi di rendita per motivi psichici delle persone fra i 30 ed i 60 anni
mostra una presa a carico femminile maggiore rispetto a quella maschile. Il Ticino si situa
nella media svizzera.
Un aspetto che meriterebbe un approfondimento è la rinuncia da parte delle grandi
aziende (banche, assicurazioni, ex regie federali, grandi distributori) a quel ruolo sociale
al quale hanno dovuto o voluto rinunciare, trasferendo e caricando le figure per loro
problematiche sulle assicurazioni sociali. Come rispondere a questo ineluttabile
cambiamento?
3.1.1.3 Prestazioni complementari all’AVS ed all’AI 24
La povertà degli anziani, dei superstiti e degli invalidi è stata debellata dalla
Confederazione con l’AVS, l’AI e la legge sulle prestazioni complementari. Ciò costituisce
una delle grandi conquiste sociali svizzere del novecento. Le prestazioni complementari
rivestono un ruolo importante anche per i beneficiari di rendita d’invalidità, che a seguito
della loro situazione di precarietà che deriva dai lavori atipici, si vedono integrato il
minimo esistenziale. È interessante notare che in Ticino la voce di spesa di prestazione
individuale che aumenta di più è proprio quella delle PC-AI25. La risposta è perché
aumentano i casi AI. La domanda è perché aumentano i casi AI? Con riferimento a
quanto asserito prima per l’assicurazione invalidità, le prestazioni complementari all’AI
rafforzano questa tendenza; infatti, i casi PC-AI dovuti a malattie psichiche sono
aumentati nel nostro paese del 9,5% all’anno nel medesimo periodo, quelli a disturbi
della personalità al 13% 26. L’analisi di questi dati conferma l’aumento dei casi AI con
precarietà economica.
3.1.1.4 Previdenza professionale obbligatoria 27
La previdenza professionale obbligatoria è l’esempio svizzero migliore di come la
sicurezza sociale possa includere o escludere i cittadini. Questa assicurazione sociale è
orientata al lavoro salariato tradizionale, classico, e non atipico. Se si lavora per più datori
di lavoro e non si raggiunge un salario minimo equivalente a 24’780.- franchi all’anno per
il medesimo datore di lavoro non si entra nel campo di applicazione personale della legge
(LPP), detto diversamente non si è coperti.
Il Consiglio Nazionale ha quest’anno approvato delle importanti modifiche, nell’ambito
della prima revisione della LPP. Esso ha diminuito la quota di coordinamento che da
diritto alla previdenza professionale da fr. 24'780.- a fr. 18'585.-, ritenuto che bisognerà
sommare i redditi conseguiti presso più datori di lavoro. La revisione è ora al vaglio del
Consiglio degli Stati che la discuterà, assieme all’undicesima revisione dell’AVS, durante
la sessione invernale.
La precarizzazione del lavoro con l’aumento del lavoro autonomo è un ulteriore tema che
dovrebbe interessare la previdenza professionale obbligatoria.
In ogni caso il disinteressamento da parte della previdenza professionale per queste
casistiche comporterà il successivo intervento, al più tardi al momento del
raggiungimento dell’età AVS, da parte delle prestazioni complementari che sono
interamente finanziate dallo Stato.
24
Prestazioni selettive (redditi di complemento)
49 mio nel 2002, con un aumento medio del 7% negli ultimi 5 anni
L’aumento medio di tutte le malattie è stato del 7,9% all’anno
27
Regime parzialmente professionale
25
26
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
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6/11
3.1.2 Assicurazione contro la disoccupazione28
Qual è il rapporto fra l’assicurazione disoccupazione e la precarietà?
Ci sono dei fatti che mostrano bene la precarietà:
• la disoccupazione di lunga durata;
• il raggiungimento della fine del diritto alle indennità di disoccupazione;
• la situazione lavorativa di coloro che percepiscono contemporaneamente l’indennità di
disoccupazione ed un guadagno intermedio.
3.1.2.1 Disoccupazione di lunga durata
Sono disoccupati di lunga durata coloro che lo sono da più di un anno e che
percepiscono ancora l’indennità. Il seco elabora un indicatore, non conosciuto e molto
significativo rispetto ai soliti dati sulla disoccupazione divulgati regolarmente in modo
abbastanza acritico, l’indice di vulnerabilità. Cos'è? È quel indice che informa sulla
precarietà di un gruppo più ristretto rispetto ad un gruppo più vasto di popolazione.
Precarietà dei disoccupati di lunga durata
CH
Totale
Disoccupati iscritti
Disoccupati lunga durata
Indice di vulnerabilità (lunga
durata % disoccupati iscritti)
Media 12
mesi
Media 6 mesi
Media 12
mesi
Media 6 mesi
Media 12
mesi
Media 6 mesi
Agosto 2001luglio 2002
1. semestre
2002
Agosto 2001luglio 2002
1. semestre
2002
Agosto 2001luglio 2002
1. semestre
2002
83’531
92’370
10’667
10’751
1
1
Regioni
Svizzera
tedesca
50’721
57’205
4’513
4’568
0,70
0,69
Svizzera
romanda e
Ticino
32’810
35’165
6’155
6’183
1,47
1,51
Età
15-24 anni
12’886
14’061
496
499
0,30
0,31
25-49 anni
54’094
60’083
6’331
6’415
0,92
0,92
50 anni e più
16’552
18’226
3’840
3’837
1,82
1,81
Constatiamo che gli assicurati più vulnerabili, quindi anche più precari, sono i disoccupati
con 50 anni e più e quelli provenienti dalla Svizzera francese e dal Ticino.
La nazionalità ed il sesso non influiscono in misura rilevante sulla vulnerabilità. Se
raffrontiamo, invece, i disoccupati di lunga durata con la popolazione attiva, rileviamo che
le donne sono più vulnerabili rispetto agli uomini (indice di 1,26 rispetto a 0,85).
3.1.2.2 Disoccupati arrivati a fine diritto
La vulnerabilità è pure stata definita da uno studio del seco29 per i disoccupati che
raggiungono la fine del diritto alle indennità di disoccupazione.
28
29
Regime professionale
Arbeitslosigkeit in der Schweiz, Registrierte Stellensuchende und Arbeitslose, seco, Berna, 2001
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Precarietà dei disoccupati arrivati a fine diritto
Anno 2000
Disoccupati arrivati
a fine diritto
Proporzione rispetto
al totale dei
disoccupati
Popolazione attiva
Indicatore di
vulnerabilità
Svizzera
Totale
17’129
100%
3'621’716
1,00
Donne
8’632
50,4%
1'408’977
1,30
Uomini
8’497
49,6%
2'212’739
0,81
Svizzeri
9’175
53,6%
2'809’050
0,69
Stranieri
7’954
46,4%
812’666
2,07
15-24 anni
963
5,6%
661’061
0,31
25-49 anni
9’214
53,8%
2'176’781
0,89
6’952
40,6%
783’874
1,88
Svizzero tedeschi
50 anni e più
10’243
59,8%
2'611’140
0,83
Romandi e ticinesi
6’886
40,2%
1'010’576
1,44
139’428
1,73
Ticino
Ticino
1’144
6,7%
Con riferimento ai disoccupati arrivati a fine diritto rileviamo che i più vulnerabili sono le
donne, gli stranieri, coloro che hanno 50 anni e più e coloro che abitano in Ticino.
3.1.2.3 Disoccupati che percepiscono un guadagno intermedio
L’analisi di coloro che percepiscono un guadagno intermedio è molto interessante,
perché conferma in modo molto chiaro la precarizzazione del mercato del lavoro. Questa
categoria di disoccupati è rappresentativa e secondo i dati della Cassa cantonale di
assicurazione contro la disoccupazione costituisce approssimativamente un quarto
dell’intera categoria dei disoccupati indennizzati.
Precarietà dei disoccupati che percepiscono un guadagno intermedio
Svizzera
Totale
Percentuale
Ticino
Percentuale
51’615
100%
3’327
100%
Salario mensile
9’692
19%
1’050
31%
Salario orario e
settimanale fisso
6’492
12%
413
12%
35’431
69%
1’864
57%
Salario temporaneo
e su chiamata
In Ticino, durante il primo semestre di quest’anno, i rami professionali più toccati sono
stati quelli della consulenza e informatica (del quale fanno parte le agenzie di
collocamento), ristorazione e albergheria, commercio, servizi del personale, costruzione.
Il guadagno intermedio e mensile medio ammonta in Ticino a franchi 2'299.-. questo
reddito proprio è integrato dall’indennità di disoccupazione.
3.2
Lavoro e povertà
L’estensione a tutti della protezione fondamentale è pure garanzia di lotta alla povertà,
rischio non contemplato dagli attuali sistemi di sicurezza sociale. La lotta contro la
povertà contribuisce a modificare il legame tra sicurezza sociale e lavoro nella misura in
cui l’hanno dimostrato pure i regimi di protezione contro la disoccupazione. La
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
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disoccupazione di lunga durata 30 ed il fenomeno crescente dei lavoratori poveri sono
importanti motivi di povertà. La nuova povertà, imputabile a motivi economici, designa
infatti le vittime dei processi di precarizzazione, se confrontata alle forme anteriori di
marginalizzazione ed esclusione discendenti da cause personali e sociali.
A partire dagli anni 90’ sono apparsi sulla scena del mercato del lavoro i lavoratori poveri,
i cosiddetti working poor, che pur lavorando non riescono con il loro reddito a sopperire al
loro fabbisogno minimo. Quando parliamo di working poor pensiamo alla povertà; povertà
che discende non dalla mancanza di lavoro, bensì dalla precarietà del lavoro. Il
fenomeno crescente dei working poor è un motivo importante di povertà. Durante l’ultimo
decennio l’aumento della povertà è imputabile nella misura dei due terzi alla povertà
crescente delle persone con un lavoro. Il numero dei working poor è aumentato in modo
costante, soprattutto a causa dei cambiamenti che hanno, in parte, reso più instabile e
vulnerabile (meno sicuro) il mercato del lavoro. Lo studio Marazzi/Lepori conferma che le
cause principali di precarizzazione sono lo spostamento dall’attività salariata (dipendente)
a quella autonoma (indipendente), il lavoro interinale, il lavoro su chiamata e quello a
temporaneo, ai quali va aggiunto il lavoro nero.
Nel 1999 in Svizzera il 7,5% delle persone (molti capi famiglia) con un lavoro tra i 20 ed i
59 anni non ce la faceva a sbarcare il lunario con i propri mezzi (approssimativamente
meno di 2'500 franchi netti al mese per un’occupazione a tempo pieno). Il tasso che
interessa le donne è superiore e raggiunge il 9%. Ciò significava 250'000 economie
domestiche povere e 535'000 persone, fra cui molti bambini, interessate31. Il Ticino si
colloca nella media svizzera con 7'000 lavoratori poveri a cui fa capo un’economia
domestica. Il legame fra questa povertà, legata al lavoro, ed i processi di riorganizzazione
del mercato del lavoro è esplicito. Ciò pone dei seri ed importanti problemi sociali alla
collettività. Oltre alla precarietà economica, anche l’insicurezza e la forte flessibilità
richiesta dai a
l vori atipici sono fonte di tensione a livello familiare ed hanno delle
ripercussioni sulla salute. La conseguenza è la presa a carico dei bisogni, soprattutto
economici, ed il trasferimento dei costi sullo Stato: penso soprattutto all’assicurazione
invalidità, all’assistenza sociale ed all’assicurazione malattia.
Anche l’armonizzazione ed il coordinamento delle prestazioni sociali cantonali a carattere
finanziario 32, buona parte dei redditi di complemento (prestazioni selettive), approvata ed
adeguata dal Gran Consiglio nel giugno del 2000 e del 2002, permetterà, da un profilo
che interessa la sicurezza sociale, di rispondere a sua volta anche al problema dei
working poor.
3.3
Lavoro e famiglia
A questo proposito è opportuna la distinzione fra flessibilità, termine che oggi ha
purtroppo assunto la connotazione di parola valigia 33, concetto non falsificabile secondo
Karl Popper, e precarietà del mondo del lavoro. È anche nell’interesse della sicurezza
sociale facilitare la flessibilità (pensiamo alle famiglie ed al lavoro fisso a tempo parziale)
e rispondere con nuove modalità, che superano la vecchia assistenza sociale, alla
precarietà.
Alla povertà delle famiglie il nostro Cantone ha risposto in buona misura con la legge
sugli assegni di famiglia, con l’assegno integrativo e quello di prima infanzia,
recentemente consolidata ed adeguata dal Gran Consiglio con la prima revisione della
legge. Con questa legge il Ticino ha trasferito l’intervento a favore delle famiglie povere
dall’assistenza sociale all’assicurazione sociale. In questo modo siamo stati i primi ad
iniziare una vera e propria politica familiare in Svizzera. A livello federale acquista
sempre più peso l’idea che al fenomeno dei working poor si possa rispondere con delle
30
In questa occasione penso a coloro che hanno esaurito le indennità di disoccupazione o che non le hanno mai percepite
T. Bauer e E. Streuli, studio effettuato dallo studio Bass su mandato del Ufficio federale di statistica, 2001, Berna
Contemplata dalla nuova legge sull’armonizzazione e il coordinamento delle prestazioni sociali (Laps) del 5 giugno 2000
33
Luciano Gallino, Se tre milioni vi sembrano pochi, Einaudi, Torino, 1998, pag. 29
31
32
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
9/11
misure che discendono da due politiche pubbliche: la politica del mercato del lavoro e la
politica familiare. Il Ticino con la sua politica familiare ha pure risposto al problema dei
working poor, padri e madri di famiglia, ed ha risposto alla crescente femminilizzazione
della povertà, diminuendo il numero delle mamme povere. La prima revisione della legge
sugli assegni di famiglia, adegua la legge anche ai modi di lavorare ed introduce le
misure di appoggio 34 per le famiglie povere, che hanno lo scopo, soprattutto per le
mamme di conciliare l’attività familiare con quella professionale.
Comunque, più in generale, la centralità del lavoro, come fonte di reddito e di
integrazione sociale, presuppone per tutti i genitori, non solo quelli poveri, la ricerca di
una migliore compatibilità fra famiglia e professione. La partecipazione delle donne al
mercato del lavoro e l’accresciuta flessibilità del mondo del lavoro sollecitano nuove
risposte. Il nuovo disegno di legge per le famiglie, approvato dal Governo lo scorso 25
giugno, considera queste mutate esigenze.
4
Riflessioni conclusive
4.1
Orientamento settoriale
Le riflessioni fatte per la sicurezza sociale ci dimostrano che la dialettica sociale è quella
tra coloro che appartengono alla comunità economicamente e socialmente protetta
(inclusi) e coloro che vivono ai suoi margini o al di fuori di essa (esclusi). Il conflitto
attuale e futuro è quello tra coloro che beneficiano del benessere e coloro che ne sono in
parte (il problema da noi si pone soprattutto a questo livello) o totalmente esclusi. Uno
sviluppo durevole 35 che consideri le dimensioni, sociale economica ed ambientale dei
problemi e dei bisogni, è la premessa per risolvere questo conflitto.
L’attuale concezione (definita analitica) che condiziona l’approccio, ancora applicata nel
nostro paese, è molto settoriale. Diversi problemi del nostro sistema di sicurezza sociale
svizzero derivano, anche inconsapevolmente, da questo approccio, che non può che
essere reattivo36.
Ho l’impressione che l’UFAS si concentra sulla dimensione sociale ed il seco su quella
economica. Quella ambientale poi è negletta (un esempio: disoccupazione e mobilità).
Ciò incrementa la crisi di efficacia della sicurezza sociale.
4.2
Orientamento multisettoriale (approccio sistemico)
Affrontare i temi connessi con il lavoro e la povertà, il lavoro e la famiglia, il lavoro e la
formazione, il lavoro e la salute, le nuove forme di lavoro ed il mercato del lavoro, il diritto
del lavoro e la sicurezza sociale, significa uscire dalle logiche settoriali.
La lotta contro la povertà presuppone un complesso di diritti fondamentali che
garantiscano un minimo esistenziale37, le cure sanitarie e l’inserimento/reinserimento
professionale e sociale. Questa protezione fondamentale difetta ancora, a livello
svizzero, delle prestazioni familiari (nel senso di una loro universalizzazione) e di quella
di maternità 38.
34
Se il genitore che percepisce un assegno di prima infanzia esercita un’attività lavorativa può beneficiare del rimborso
delle spese di collocamento dei figli in un asilo nido riconosciuto ed autorizzato o presso una mamma diurna riconosciuta
35
Lo sviluppo durevole o sostenibile presuppone che il benessere sociale, ambientale ed economico possa essere
assic urato a lungo termine. L’equilibrio fra le tre dimensioni del benessere richiede un approccio sistemico
36
Per il Consiglio federale lo sviluppo durevole (o sostenibile) non è un’altra politica settoriale, bensì un principio regolativo
che deve essere integrato in tutte le politiche settoriali (rapporto del CF Strategia per uno sviluppo sostenibile 2002 del 27
marzo 2002
37
L’AVS con le PC e gli assegni familiari ticinesi di complemento (AFI ed API) sono gli esempi svizzeri migliori
38
L’iniziativa Triponex, approvata dal Consiglio Nazionale, propone un’assicurazione maternità per le madri salariate ed
indipendenti nell’ambito della legge sull’indennità per perdita di guadagno in caso di servizio militare e civile
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
10/11
A questa protezione si aggiunge quella specifica, che interessa i lavoratori; in particolare
l’indennità giornaliera in caso di malattia (legale o convenzionale), d’infortunio, di servizio
militare o civile, le prestazioni in caso d’infortunio o malattia professionale, la previdenza
professionale obbligatoria e facoltativa, l’assicurazione contro la disoccupazione. A
questo livello è importante riflettere sulle conseguenze delle nuove forme di lavoro. La
protezione specifica dei lavoratori autonomi (indipendenti), come pure quello
dell’adeguamento alle nuove forme di lavoro, sono temi che meritano risposte soprattutto
in sede federale. A livello cantonale c’è da chiedersi se non esistono i mezzi di manovra
per rispondere alla precarizzazione del lavoro, realizzando, con modalità da studiare,
delle strutture che sappiano orientare e sostenere il passaggio del lavoratore da
un’occupazione all’altra. Lo scopo sarebbe quello di garantire una certa stabilità, con tra
l’altro conseguenze positive anche sulla salute, anche ai lavoratori atipici. Anche il
reinserimento nel lavoro, importante per le assicurazioni federali disoccupazione ed
invalidità, potrebbe beneficiarne, con interessanti risvolti a livello cantonale. Inoltre, la
polarità fra prestazioni universali e selettive, che condiziona l’adeguamento del nostro
sistema di sicurezza sociale, è importante per uno Stato federale come la Svizzera, dove
è necessario suddividere i ruoli ed essere consci delle competenze39. L’adeguamento del
sistema, in particolare delle assicurazioni sociali40, è competenza della Confederazione;
le politiche selettive e mirate sono soprattutto di competenza dei cantoni.
Alle nuove forme di lavoro non corrispondono solo maggiori difficoltà nell’impiego, ma
anche un cambiamento dei valori sociali che sorreggono il lavoro e che influenzano la
sicurezza sociale. Il legame tra sicurezza sociale e lavoro deve essere quindi in parte
rivisto; il lavoro ha smesso di essere, almeno per la maggioranza, unicamente la fonte di
reddito più importante, per diventare anche un veicolo di realizzazione personale e di
inserimento sociale determinante. In questo senso il lavoro è connotato anche
socialmente e non solo economicamente, perché si configura come attività, attività
accanto ad altre (personali, familiari, culturali, sociali, di svago) 41.
L’adeguamento continuo e durevole della sicurezza sociale, non settoriale bensì
multisettoriale, è premessa di propositività nei confronti di tutti i cambiamenti, soprattutto
quelli che interessano il lavoro, e costituisce la leva più forte per migliorare la qualità di
vita dei cittadini 42, quindi pure dei lavoratori.
39
Nel nostro paese questo approccio deve pure considerare il federalismo
Le assicurazioni sociali rappresentano una tecnica utilizzata dalla sicurezza sociale per realizzare le proprie funzioni (ad
esempio i redditi sostitutivi)
41
Futuribles, Les valeurs des Européens, juillet-août 2002, numéro 277, Paris, pag. 63 e segg.
42
La concezione funzionale, nata in sede internazionale, fa dell’approccio multisettoriale la modalità di funzionamento del
sistema di sicurezza sociale moderno. I nostri sistemi di sicurezza sociale contemplano quattro funzioni, dette costitutive.
Sono la protezione e la promozione della salute, la garanzia di un reddito sociale sostitutivo del reddito professionale (ad
esempio le pensioni), la garanzia di un reddito sociale di complemento alle famiglie e a coloro che non sono in grado di
sopperire ai loro bisogni esistenziali con un reddito professionale o sostitutivo sufficiente, la protezione contro la
disoccupazione (prevenzione, reinserimento, indennizzo) che si estende alla valorizzazione delle risorse umane
(mantenimento e promozione dell’impiego). La prevenzione, il reinserimento sociale e professionale, la ricerca e l’azione
sociale coadiuvano le citate quattro funzioni (funzioni iterative).
40
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
11/11
Carlo Marazza è nato nel 1956. Ha conseguito la licenza di diritto presso l'Università di
Ginevra e sostenuto la pratica forense presso un noto studio legale di Chiasso e Lugano.
Sposato e padre di un figlio.
Giurista ed avvocato alle dipendenze dello Stato dal 1987 prima come capo del centro di
legislazione e documentazione, dal 1990 è direttore dell’Istituto delle assicurazioni sociali,
che attualmente conta 200 collaboratori, al quale fanno capo la Cassa cantonale di
compensazione AVS/AI/AIPG, con i compiti cantonali in materia di prestazioni
complementari e assicurazione malattia, la Cassa cantonale di assicurazione contro la
disoccupazione, la Cassa cantonale per gli assegni familiari e l’Ufficio cantonale
dell’assicurazione invalidità.
È attivo in diverse commissioni e gruppi federali sulle assicurazioni sociali, è stato vicepresidente della Conferenza svizzera delle casse cantonali di compensazione AVS.
È presidente della Commissione tripartita cantonale in materia di libera circolazione delle
persone a seguito dell’entrata in vigore degli accordi bilaterali con l’Unione europea ed è
membro della Commissione federale per le questioni femminili.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Maurizio Corti
Giornalista presso la Televisione
Svizzera italiana, redazione TG
della
Non si può dire che questo secolo sia cominciato nel migliore dei modi rispetto alle
prospettive economiche, sociali, ambientali, dei rapporti fra i popoli. L'evoluzione
internazionale conosciuta nell'ultimo decennio e molti eventi di questi ultimi mesi registrati
anche nel nostro paese hanno fatto emergere nuove paure e insicurezze. La più ampia
autonomia consegnata al libero mercato ha generato anche traumi e disillusioni. Basti
scorrere copertine, titoli di quotidiani, riviste, giornali radio e tv per rendersi conto che
molti meccanismi si sono inceppati nel sistema economico prevalente.
Se i mezzi di comunicazione sono specchio - seppur non sempre fedele e imparziale della realtà che ci circonda, quel che ci viene trasmesso quotidianamente dai flussi di
informazione è un'immagine ricca di contraddizioni e interrogativi. Non solo per colpa
della deriva del giornalismo, ma anche perché gli avvenimenti, le notizie hanno saputo
superare anche l'immaginabile.
Attraverso alcuni esempi sui contenuti dei mezzi di informazione, si può interpretare il
disagio che vivono oggi molte società occidentali, Svizzera compresa.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Maurizio Corti - giornalista RTSI
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Lavoro
flessibile,
società
flessibile: progetto riformista o
rischio per l'integrazione sociale?
Patrizia Pesenti
Presidente del Consiglio di Stato
Direttore del Dipartimento della sanità e della
socialità
Inchiesta sugli effetti sociali della flessibilità del mercato del lavoro in
Ticino
Gentili Signore,
Egregi Signori,
sono particolarmente contenta di essere qui oggi per la presentazione e
discussione della ricerca sul tema “ Forme del lavoro e qualità della vita in
Ticino. Inchiesta sugli effetti della flessibilità del mercato del lavoro in Ticino”
realizzata dalla SUPSI su mandato del Dipartimento della sanità e della
socialità. In primo luogo vorrei ringraziare i due autori dell’inchiesta
Christian Marazzi e Angelica Lepori per l’ottimo lavoro svolto. Questo studio
si inserisce in un’ampia riflessione che il DSS ha avviato in questa legislatura.
Partendo dalla constatazione che il modo in cui lavoriamo sta rapidamente
cambiando, come responsabili della sanità e della socialità abbiamo voluto
vedere come le nuove forme di lavoro influiscono sulla salute delle persone e
quali effetti hanno sulle garanzie/sicurezza sociale.
Del primo tema (nuove forme di lavoro come determinanti della salute) ci
occuperemo ancora in modo più approfondito in una giornata, il 6 novembre
prossimo. Mentre oggi vogliamo approfondire la conoscenza degli effetti
delle nuove forme di lavoro sulla qualità della vita.
Personalmente devo molto a Charles Leadgeater, un ricercatore inglese che
già nel 1998 ha saputo mettere a fuoco e anticipare il tema del crescente
contrasto tra flessibilità e sicurezza sociale (The employee mutal,
Demos/Reed 1998).
A distanza di qualche anno quelle che sembravano anticipazioni e frutto di un
think tank molto attento, costituiscono una realtà evidente, sotto gli occhi di
tutti.
L’inchiesta di Christian Marazzi è una delle più complete e interessanti
realizzate a livello europeo e sul piano nazionale svizzero costituisce una
vera e propria novità nel panorama delle ricerche sinora compiute. Per la
prima volta è stata effettuata nel nostro paese un’inchiesta sui lavoratori
cosiddetti atipici, facendo emergere i loro vissuti, le loro preoccupazioni e le
loro aspettative attraverso delle interviste aperte. Si è così data la parola per
la prima volta a soggetti che di giorno in giorno sperimentano sulla loro pelle
la “rivoluzione silenziosa” in atto dei nuovi modi di lavorare caratterizzati da
ampie dosi di precarietà e flessibilità.
Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità
2
L’espressione “rivoluzione silenziosa” è più che appropriata. Negli anni ’90,
che sono stati anni di crisi economica, il numero di persone con un’attività
remunerata è rimasto più o meno stabile in Svizzera. E' cambiata invece la
composizione della popolazione attiva. E’ aumentato di molto il numero di
persone occupate a tempo parziale mentre sono diminuiti gli occupati a
tempo pieno.
Ma ciò che più colpisce è l’aumento delle cosiddette forme di lavoro atipiche
(lavoro a tempo determinato, su chiamata, in affitto svolto cioè con
l’intermediazione di agenzie di collocamento, ecc.). E' aumentato il numero di
lavoratori cosiddetti autonomi che si sono messi in proprio dopo aver perso il
lavoro ed essere stati in disoccupazione per un certo periodo. L’aumento del
numero di questi lavoratori riflette anche la politica delle grandi imprese che
esternalizzano funzioni precedentemente affidate ai loro personale salariato.
La ricerca è stata effettuata in un periodo di alta congiuntura e relativamente
bassa disoccupazione. Non sappiamo quale sarà la tendenza dei prossimi
anni considerate le previsioni di crescita vicine allo zero.
Queste tendenze in atto destabilizzano i piani e i progetti di vita degli
individui, determinano una discontinuità dei redditi. E , soprattutto, vengono
ridotte in misura importante le garanzie offerte dalle assicurazioni sociali,
ancora oggi basate sul modello del lavoro stabile (possibilmente addirittura
nella stessa ditta) e a tempo pieno. Per dirla in altre parole il nostro sistema di
sicurezza non regge una discontinuità troppo marcata.
Per questa ragione è importante rispondere a questi mutamenti con una
profonda innovazione delle politiche sociali tanto più che la Svizzera, stando
ad alcuni studi dell’Organizzazione della cooperazione e dello sviluppo
economico (OCSE) è uno dei paesi europei con il mercato del lavoro meno
regolamentato in termini di tutela dei lavoratori.
All'inizio della legislatura abbiamo fissato l'obiettivo di modernizzare le
garanzie sociali in risposta alla flessibilizzazione del mercato del lavoro.1
1
Cfr. Rapporto al Gran Consiglio sul secondo aggiornamento delle Linee direttive e del Piano finanziario 2000-2003 (ottobre 2001) scheda programmatica n. 2, misura 3, pag. 40: “L’innovazione dello Stato sociale consiste nel tradurre in positivo (in autonomia e in
libertà individuale) la flessibilizzazione implicita nella società del rischio…Si tratta di un compito nuovo con il quale lo Stato si trova
confrontato in un’epoca in cui l’imprevedibilità degli eventi riguarda la comunità intera, e non soltanto i più sfavoriti
Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità
3
Gli autori dello studio formulano alcune proposte operative e alcuni spunti di
riflessione al capitolo dell’innovazione delle politiche sociali. Nell’ottica dei
lavoratori atipici, il problema più serio con il quale si trovano confrontati
riguarda proprio l’assenza di tutele adeguate in termini di assicurazione
malattia, disoccupazione, previdenza professionale, periodi di vacanza ecc.
Accolgo quindi l'invito degli autori dell’inchiesta ad approfondire dal profilo
politico l'elaborazione di nuove forme di sicurezza sociale in risposta alla
maggiore flessibilità del mercato del lavoro.
Anche se occorre dire subito che le proposte e le piste di riflessione avanzate
dagli autori dell’inchiesta si possono realizzare soltanto modificando leggi a
livello federale (revisione della legge sul lavoro, del Codice delle obbligazioni
e ancora delle leggi sulle varie assicurazioni sociali). I margini di manovra
lasciati ai Cantoni sono più ridotti. Non per questo il Ticino intende rimanere
inattivo. Il nostro cantone ha dimostrato già in passato di saper proporre
soluzioni innovative in ambito sociale e sanitario. In un certo senso vogliamo
rimanere fedeli alla nostra tradizione di Cantone che sa anticipare.
Del resto non si può restare indifferenti e inattivi politicamente di fronte ad
un’evoluzione del mercato del lavoro in cui il precariato tende sempre più a
diffondersi. Se queste forme atipiche di lavoro, che negli anni ’90 hanno
conosciuto un forte incremento. In Ticino e in Svizzera, dovessero applicarsi
al 20-30 e più percento delle persone occupate, il mercato del lavoro
sarebbe rischioso per quasi tutti i lavoratori: gli uni perché sperimentano sulla
loro pelle le conseguenze della precarietà, gli altri perché lavorano con la
paura della precarietà.
Non possiamo dimenticare che dietro ad ogni lavoratore indipendente,
autonomo, in affitto o su chiamata vi è la quotidianità di molti uomini e donne
confrontati con l’insicurezza economica, l’impossibilità di attuare progetti
personali e familiari, di stringere amicizie stabili sul posto di lavoro, di
costruirsi una identità e una integrazione sociale attraverso il lavoro. Per dirla
in altre parole con l'impossibilità di vivere dignitosamente.
La flessibilità non è qualcosa di negativo a priori. Essa diventa però un
disagio se le sicurezze e le garanzie sociali che erano e sono ancorate al
lavoro stabile, vanno perdute con un lavoro precario o instabile. La flessibilità
va perciò regolamentata tanto in termini di garanzie sociali che di diritto del
lavoro che di tipologie della stessa flessibilità.
Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità
4
Compito della politica è quello di dare risposte collettive ai nuovi bisogni, alle
nuove emergenze e, nella misura del possibile, di anticipare i problemi. I
nuovi modi di lavorare richiedono nuove risposte. Lo studio di Christian
Marazzi e Angelica Lepori apre una prospettiva in questo senso che ha
sicuramente il merito di sollevare un’ampia discussione attorno a questo
tema.
Lo Stato sociale tradizionale, con le assicurazioni federali tradizionali, di basa
su un sistema di compensazioni per una disfunzione puntuale (malattia,
invalidità, disoccupazione, vecchiaia ecc.).Ma in contesto di precarietà
crescente, di accentuata disuguaglianza dei redditi e di frammentazione, lo
Stato sociale non può intervenire soltanto passivamente per indennizzare. Si
intravede sempre più la necessità di “personalizzare” gli strumenti di
intervento per dare risposte concrete e valide a problemi che sono specifici e
differenti.
Occorre perciò ridefinire la rete sociale, evitando forme paternalismo e
assistenzialismo per mettere il cittadino e i suoi bisogni al centro dell’azione
politica.
Vorrei terminare questo mio intervento con una citazione di Alain Touraine
che ben illustra la sfida che attende la politica sociale.
Sappiamo che esistono dei condizionamenti economici e che le risorse che si
possono distribuire non possono essere aumentate indipendentemente dalla
produzione e dalla produttività. Ma questa coscienza dei condizionamenti
economici deve essere completata e riequilibrata da una coscienza
altrettanto forte delle domande sociali , delle nuove forme possibili e
necessarie di partecipazione sociale . Emarginare queste categorie di
lavoratori in uno stato di inferiorità, è incompatibile con la democrazia, perché
la democrazia è malata quando una società nasconde a se stessa una parte
importante di questa realtà.2
Vi ringrazio della vostra attenzione.
Patrizia Pesenti
Consigliere di Stato
2
Alain Toraine, prefazione allo studio di Anne-Marie Guillemard, Le déclin du social, PUF, Paris, 1986, p. 16
Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità
5
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Sintesi della ricerca
Angelica Lepori
Ricercatrice presso il Dipartimetno di lavoro
sociale
della
Scuola
universitaria
professionale della Svizzera italiana
Christian Marazzi
Dottore in economia, docente e responsabile
della ricerca presso il Dipartimento di lavoro
sociale
della
Scuola
universitaria
professionale della Svizzera italiana
Forme del lavoro e qualità della vita
Sintesi
Su mandato del Dipartimento della sanità e della socialità (DSS), il Dipartimento di lavoro
sociale (DLS) della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI) ha
realizzato un’inchiesta sul rapporto tra le nuove forme del lavoro e la qualità della vita nel
cantone Ticino. Tale studio fa parte di una più vasta riflessione avviata dal DSS sui
determinanti economici della salute della popolazione ticinese. Le trasformazioni del
mercato del lavoro, infatti, possono generare effetti sulle condizioni esistenziali della
popolazione attiva che a loro volta si ripercuotono in ambiti sociali più vasti, dalla famiglia
alla società nel suo insieme.
Obiettivo principale della prima parte della ricerca è quello di far emergere il punto di vista
e il vissuto dei lavoratori “atipici” rispetto alla loro condizione professionale, analizzare
cosa pensano i lavoratori stessi della flessibilità e della precarietà 1.
Per svolgere l’indagine sono state individuate due categorie di lavoratori: i lavoratori
interinali e i neo indipendenti ai quali è stato inviato per posta un questionario a risposte
chiuse2.
Parallelamente ai questionari sono state svolte 21 interviste: 11 a persone che lavorano
attraverso le agenzie di collocamento privato, 10 a lavoratori indipendenti3.
Prima di procedere alla fase di inchiesta è stato necessario ricostruire il contesto nel
quale l’inchiesta stessa si è sviluppata e analizzare concretamente i mutamenti che
hanno toccato il mercato del lavoro a partire dagli anni ’90 in Svizzera e in Ticino.
1.
Il mercato del lavoro negli anni ‘90
I mutamenti avvenuti nel mercato del lavoro in Svizzera e in Ticino possono essere così
sintetizzati:
Il numero di persone occupate è rimasto in questi anni generalmente stabile, è però
cambiata la composizione di questa popolazione. In particolare per quanto riguarda i
lavoratori dipendenti sono aumentati coloro che sono occupati a tempo parziale e sono
invece diminuiti gli occupati a tempo pieno. Oggi in Svizzera il 30,7% delle persone
occupate lavora a tempo parziale, di questi lavoratori la stragrande maggioranza sono
donne. In Ticino i lavoratori a tempo parziale rappresentano circa il 20% del totale degli
occupati, il loro numero è in costante aumento negli ultimi dieci anni4.
1
L’intero rapporto di ricerca è disponibile presso il Dipartimento di Lavoro sociale della SUPSI.
Per i lavoratori interinali sono stati inviati 800 questionari a persone scelte a caso tra coloro che nel
2000 erano iscritte alla cassa di compensazione cantonale dell’AVS come lavoratori interinali o senza
un impiego duraturo sull’arco dell’anno. In totale sono rientrati 256 questionari di cui 244 ritenuti validi. Il
questionario per i lavoratori indipendenti è stato distribuito a un campione di 3000 persone scelte a
caso tra coloro che nel 2000 erano iscritte presso l’AVS come indipendenti. Si è inoltre deciso di
prendere in considerazione solo le persone che risultavano indipendenti al massimo da 5 anni (iscritte
quindi all’AVS come indipendenti al massimo dal 1995). In questo caso sono rientrati 1169 questionari
di cui 1152 validi.
3
Presso il Dipartimento di lavoro sociale della SUPSI sono disponibili le trascrizioni di tutte le interviste.
4
Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel,
2001 Per il Ticino i dati sono dell’Ufficio cantonale di statistica (USTAT)
2
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
1/15
35
128
30
126
124
25
122
20
120
118
15
116
10
114
112
5
persone in migliaia a
tempo pieno
persone in migliaia a tempo
parziale
Grafico 1
Evoluzione delle persone occupate a tempo pieno e a tempo parziale in Ticino dal
1991 al 2001
110
0
108
1995
1996
1997
tempo parziale
1998
1999
2000
tempo pieno
Fonte: USTAT, Bellinzona 2000
Sul mercato del lavoro sono presenti nuove figure professionali caratterizzate in genere
da ampie dosi di precarietà e flessibilità. I contratti a tempo indeterminato rimangono la
forma prevalente di impiego, anche se i contratti con durata determinata sono in aumento
(+11% dal 1996 al 2000) 5. Inoltre il numero di persone con impieghi atipici è aumentato
negli ultimi sei anni del 24% 6.
Una particolare forma di lavoro precario ha assunto in questi anni un’importanza
rilevante: il lavoro interinale 7. Nel 2000 le persone collocate in Svizzera attraverso le
agenzie di lavoro interinale erano 204.612, il loro numero negli ultimi cinque anni ha
subito un incremento del 96%. In Ticino le persone collocate temporaneamente tramite
agenzia erano nel 2000 4520 (+89% dal 1995 al 2000)8. I lavoratori interinali
rappresentano oltre il 5% di tutta la forza lavoro occupata, una percentuale notevolmente
superiore alla media dei paesi dell’Unione europea che si attesta attorno all’1,5%.
La maggioranza dei lavoratori interinali sono uomini e di nazionalità svizzera. Il numero di
donne impiegate in modo temporaneo è però aumentato più velocemente di quello degli
uomini. In questo senso è possibile prevedere una “femminilizzazione” del lavoro
interinale. Inoltre la percentuale di stranieri tra i lavoratori interinali è notevolmente più
alta di quella che si registra sul totale della manodopera occupata. Si può quindi
affermare che gli stranieri sono particolarmente toccati dal lavoro interinale e precario.
5
Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel,
2001
6
Secondo la definizione dell’Ufficio federale di statistica i lavoratori atipici sono coloro che hanno
almeno 2 impieghi.
7
Il lavoro interinale è quello svolto in un’azienda attraverso l’intermediazione di un’agenzia di
collocamento privato.
8
I dati provengono dalla pubblicazione del Segretariato di Stato all’economia (SECO), Placement et
location de service, SECO, Berna, 2001
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
2/15
250'000
5000
4500
200'000
4000
3500
150'000
3000
2500
100'000
2000
1500
50'000
1000
500
0
0
1995
1996
1997
temporanei in Ticino
1998
1999
persone occupate in modo temporaneo
in Ticino
persone occupate in modo temporanei
in Svizzera
Grafico 2
Evoluzione delle persone collocate in modo temporaneo dal 1995 al 2000
2000
temporanei in Svizzera
Fonte: SECO, Berna 2001
In Svizzera le agenzie di lavoro temporaneo nel 2000 hanno fornito prestazioni lavorative
per 84.788.276 ore di lavoro (l’equivalente di circa 45.000 posti di lavoro a tempo pieno),
in Ticino le ore di lavoro prestate hanno toccato quota 1.706.764 (l’equivalente di circa
900 impieghi a tempo pieno).
90'000
1'800
80'000
1'600
70'000
1'400
60'000
1'200
50'000
1'000
40'000
800
30'000
600
20'000
400
10'000
200
0
ore di lavoro in migliaia
in Ticino
ore di lavoro in migliaia
in Svizzera
Grafico 3
Ore di lavoro temporaneo effettuate dal 1995 al 2000 in Svizzera e in Ticino
0
1995
1996
1997
svizzera
1998
1999
2000
ticino
Fonte: SECO, Berna 2001
La flessibilità è entrata a far parte del vissuto anche di molti lavoratori,
indipendentemente dal loro rapporto di lavoro. Si calcola infatti che circa il 42% degli
occupati in Svizzera ha un orario di lavoro flessibile; il 5% lavora su chiamata (di questi il
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
3/15
60% non ha nessuna garanzia di orario settimanale); il 4,4% lavora regolarmente di notte
e l’8% è occupato regolarmente la domenica9.
Anche il numero di lavoratori indipendenti è in aumento (+49% dal 1991 al 2000) e oggi
questi rappresentano il 18% degli occupati in Svizzera. All’interno di questa categoria si
trovano figure professionali diverse, dall’imprenditore, al libero professionista, fino al
lavoratore autonomo. Più della metà degli indipendenti non ha dipendenti 10. Una buona
parte dei lavoratori autonomi si è messa in proprio dopo aver perso il lavoro e essere
stata in disoccupazione. Esiste anche tra gli indipendenti una percentuale non irrilevante
di persone che vivono in condizioni di precarietà e insicurezza.
Per quanto riguarda la disoccupazione si constata in linea generale che il lieve calo
registrato a partire dalla seconda metà degli anni ’90 sta per lasciare il posto ad un nuovo
incremento delle persone in cerca di un impiego11. Lo stesso discorso può essere fatto
per quel che riguarda le persone inoccupate recensite dall’Ufficio federale di statistica. Da
questi dati risulta inoltre che sono notevolmente aumentate le persone sottooccupate12.
L’Ufficio di Statistica sostiene che una persona su 10 non ha abbastanza lavoro, di
queste 101.000 sono inoccupate e 334.000 sono invece sottooccupate. In totale queste
persone rappresentano il 10,8% della popolazione attiva 13.
I mutamenti del mercato del lavoro hanno influenzato anche l’andamento del livello dei
salari. In generale, se si osservano i salari reali, si nota come questi siano
tendenzialmente rimasti stabili, se non addirittura diminuiti. Esistono chiaramente
differenze all’interno dei singoli settori economici e tra i diversi lavoratori. Rimane
comunque il fatto che oggi il 21% dei salariati svizzeri ha uno stipendio inferiore ai 3000
franchi netti e l’1,2% ha invece un salario superiore ai 10.000 franchi. Anche le forme di
remunerazione sono state direttamente toccate dalla flessibilità: in molti settori sono state
introdotte forme di remunerazione legate all’andamento dell’impresa o al merito del
dipendente 14.
Sul finire degli anni ’90 è poi emerso in modo evidente il fenomeno dei cosiddetti
“lavoratori poveri”, persone che pur avendo un impiego non raggiungono il minimo vitale.
Si calcola che in Svizzera i working poor siano 250.000, il 7,5% delle persone occupate.
L’emergere delle “nuove povertà” è legato ai processi di riorganizzazione del mercato del
lavoro. I lavoratori a tempo parziale, con orari flessibili e con contratti a tempo
determinato sono più a rischio di diventare “lavoratori poveri”. Particolarmente rilevante è
poi la quota di lavoratori indipendenti che sono poveri. Anche le interruzioni di carriera
possono rappresentare un elemento di caduta nella povertà. Si osserva poi che i nuovi
impiegati in una stessa azienda o funzione hanno più possibilità di diventare poveri
rispetto a coloro che vi lavorano da molto tempo15.
9
Ufficio federale di statistica (UST), Les femmes travaillent plus souvent dans des conditions atypiques
que les hommes, Neuchâtel, 2001; Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro
in Svizzera (Rifos), Neuchâtel, 2001
10
Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel,
2000
11
Segretariato di Stato all’economia (SECO), Le chômage en Suisse, Berna, 2001
12
Per persone sottooccupate si intende quei lavoratori che hanno un impiego a tempo parziale, ma
desidererebbero lavorare di più.
13
Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel,
2001
14
Ufficio federale di statistica (UST), Enquête suisse sur les salaires 1999, Neuchâtel, 1999; Ufficio
federale di statistica (UST), Differences de rémunéretion du travail très marquée selon les secteurs
économiques et les catégories salariés, Neuchâtel, 2001
15
Ufficio federale di statistica (UST), Working Poor in der Schweiz, Neuchâtel, 2002
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
4/15
E’ in questo quadro quindi che si inserisce l’inchiesta svolta in Ticino. Un contesto nel
quale la flessibilità del mercato del lavoro, in tutte le sue forme, ha assunto dimensioni
importanti, ponendo all’ordine del giorno nuove problematiche.
2.
Il lavoro flessibile in Ticino: un’indagine empirica tra i
lavoratori
2.1. lavoratori interinali: aspettando il futuro
Le caratteristiche del campione
Il campione è composto prevalentemente da uomini, di nazionalità svizzera, che si
collocano in una fascia di età che va dai 18 ai 35 anni e celibi.
La percentuale di donne non è trascurabile (21%). Tra di esse troviamo una quota più
importante rispetto agli uomini di persone sole (sia nubili che separate). E’ invece minore
la presenza di donne sposate. Anche le donne si collocano in maggioranza in una fascia
di età inferiore ai 35 anni.
Circa il 40% del campione è rappresentato da stranieri. Tra di essi è più alta la
percentuale di persone sposate e di età superiore ai 35 anni rispetto alla popolazione
svizzera. Per gli stranieri il lavoro interinale e precario è meno che per gli svizzeri una
soluzione transitoria.
Il campione presenta un grado di formazione particolarmente basso: la maggioranza ha
svolto unicamente un apprendistato (42%) e una buona parte (10% soprattutto gli uomini
e gli stranieri) non ha nessuna formazione dopo la scuola dell’obbligo.
Le donne dichiarano un livello di formazione più elevato (il 24% ha un diploma
universitario contro il 6% degli uomini).
Solo una minima parte (20%) delle persone intervistate ha affermato di avere avuto un
solo posto di lavoro negli ultimi tre anni, la maggioranza (32%) ha lavorato in più di tre
posti di lavoro.
Si tratta quindi di una popolazione caratterizzata dall’assenza del cosiddetto “posto fisso”.
Traiettorie professionali
I lavoratori precari passano facilmente da periodi di disoccupazione a periodi di impiego
(il 59% del campione dichiara di essere stato iscritto alla disoccupazione, una
percentuale che diventa del 65% tra coloro che lavorano tramite agenzie di collocamento
private). Per i lavoratori interinali le agenzie di collocamento sembrano diventare l’unico
mezzo utile per trovare un’occupazione.
Gli spostamenti di impiego, da un posto di lavoro all’altro, generano nei lavoratori stati
d’ansia e insicurezza. Questo è vero soprattutto per le persone più adulte e con una
famiglia a carico. Anche chi vive positivamente il lavoro temporaneo, in quanto permette
di avere a disposizione del tempo libero, pensa a questa forma di impiego unicamente
come una forma transitoria verso un collocamento più stabile nel mercato del lavoro.
La stragrande maggioranza non ha ancora un posto di lavoro fisso non per scelta, ma a
causa delle difficoltà riscontrate nel mercato del lavoro. In generale il posto fisso viene
ricercato perché garantisce uno stipendio regolare e prevede alcune garanzie sociali e
assicurative non presenti nel lavoro precario e interinale (previdenza professionale,
assicurazione infortuni, vacanze pagate, ecc.).
Tra le donne si constata un più alto grado di scelta del lavoro temporaneo e interinale, in
quanto queste forme di lavoro sembrano permettere una migliore gestione del lavoro
domestico e dei compiti famigliari. Il prezzo pagato per questa maggiore “libertà” viene
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
5/15
però generalmente considerato troppo alto. Il lavoro temporaneo viene visto come l’unica
soluzione per cercare di conciliare vita lavorativa e vita privata, non di certo la migliore.
Insicurezza e assenza di prospettive
L’insicurezza vissuta sul posto di lavoro influenza anche la vita privata: si constata in
generale una grande difficoltà a fare progetti a lungo termine, molte decisioni vengono
rimandate, senza però avere poi la certezza di poterle realizzare. L’elemento che
maggiormente preoccupa i lavoratori è proprio quello dell’incertezza rispetto al futuro.
Grafico 416
Aspetti più preoccupanti della situazione professionale
70%
62%
60%
50%
40%
26%
30%
20%
10%
12%
14%
24%
14%
8%
12%
7%
4%
11%
4%
1% 1%
0%
insicurezza per insicurezza per
il futuro
il futuro
pensionistico
scarse
possibilità di
guadagno
scarse
possibilità di
carriera e di
formazione
professionale
prima scelta
assenza di
un'adeguata
copertura
assicurativa
difficoltà a
organizzare la
propria vita
altro
seconda scelta
Per una fascia di persone il lavoro temporaneo rappresenta un’opportunità per continuare
a coltivare interessi personali o per poter gestire meglio il tempo libero. In generale però
anche questa categoria di lavoratori temporanei sottolinea come questa situazione venga
poi pagata a livello di garanzie sociali e di condizioni di vita e di lavoro. Per le persone
sposate o separate la gestione della vita sociale e/o famigliare è più complessa che per
le persone sole.
16
Agli interpellati è stato chiesto di indicare, tra le varie risposte possibili, le due più significative dando
un ordine di priorità. Nel grafico 5 si legge per esempio che il 62% ha indicato come prima
preoccupazione “l’insicurezza per il futuro” e il 26% ha indicato “scarse possibilità di guadagno” come
seconda preoccupazione.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
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Grafico 517
Aspetti positivi del lavoro flessibile
40%
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
34%
29%
24%
22%
11%
14%13%
16% 15%
6% 7%
Possibilità di Possibilità di
Possibilità di
fare più
gestire meglio avere tempo
esperienze e
tempo di
per gestire la
apprendere lavoro e tempo
famiglia
più mestieri
libero
Possibilità di
avere tempo
per coltivare
interessi
personali
prima scelta
2%
Possibilità di Possibilità di
cambiare
conoscere più
spesso posto
persone
di lavoro
4% 3%
altro
seconda scelta
Un altro aspetto positivo del lavoro temporaneo sembra essere la possibilità di avere più
esperienze lavorative e poter poi quindi scegliere la strada da seguire (vedi grafico 6).
Questo è vero soprattutto per i giovani che non sanno ancora esattamente quale
professione intendono svolgere. A lungo andare però questa situazione può diventare
problematica: si iniziano molte professioni senza avere la possibilità di apprenderne una
veramente.
Una parte delle persone intervistate ha trovato un posto di lavoro stabile. Queste persone
mostrano un grado di soddisfazione e di sicurezza maggiore rispetto a chi invece
mantiene una collocazione precaria sul mercato del lavoro.
La possibilità di trovare un lavoro stabile è legata al tipo di formazione ricevuta (cresce
con l’aumentare del grado di formazione) e all’età (per le fasce di popolazione più alte è
più difficile uscire dalla precarietà).
Se per alcuni quindi il lavoro temporaneo può rappresentare una sorta di passaggio verso
un impiego fisso, per la maggior parte, soprattutto coloro che hanno già una situazione
sociale più difficile, è sempre più problematico uscire dalla precarietà del lavoro
temporaneo.
E’ interessante notare che le persone iscritte presso le agenzie di lavoro temporaneo
hanno meno possibilità degli altri di trovare un posto fisso. Il lavoro interinale quindi non
sembra essere una soluzione di passaggio a forme di lavoro più stabile.
Formazione e formazione continua: una questione centrale
Fondamentale sembra essere la questione della formazione: in generale le persone che
possiedono un livello di formazione più elevato riescono a vivere meglio il lavoro flessibile
e temporaneo e hanno accesso più facilmente a posti di lavoro più sicuri.
I lavoratori temporanei hanno difficoltà ad accedere alla formazione continua e a seguire
corsi di formazione (il 63% del campione non ha mai seguito un corso di formazione
professionale) e sono più spesso esclusi dalla presa di decisioni che riguardano lo
svolgimento del lavoro.
La situazione finanziaria
I lavoratori precari e interinali presentano redditi generalmente bassi e una situazione
finanziaria difficile.
17
Vedi nota 16, p.7
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
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Grafico 6
Divisione dei redditi all’interno del campione
più di 8000 franchi
3%
tra 6000 e 8000
franchi
4%
tra 4000 e 6000
franchi
16%
tra 3000 e 4000
franchi
34%
tra 2000 e 3000
franchi
meno di 2000 franchi
0%
30%
13%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
Molti (67%) dichiarano di essere costretti a fare sacrifici per vivere e pochi sono coloro
che riescono ad accantonare regolarmente quote di risparmio. Risulta poi chiaramente
come l’affitto sia la spesa che maggiormente incide sul bilancio famigliare, seguito dalle
assicurazioni (cassa malati, ecc.) e dalle imposte.
La quasi totalità degli intervistati ammette di essere costretto a rinunciare ad alcune
spese, la maggior parte rinuncia alle vacanze. Una piccola parte (9%) sostiene di
risparmiare sulle cure mediche; si tratta di una minoranza ma comunque significativa dei
problemi che il lavoro precario può generare.
Le fasce di età più basse e quelle più alte presentano anche redditi inferiori. Le classi di
età intermedie (25-45 anni) mostrano una situazione finanziaria meno difficile.
Le persone sposate o separate lamentano una situazione finanziaria peggiore.
Il problema della rappresentanza
I lavoratori precari non sembrano sentirsi rappresentati dalle organizzazioni sindacali
tradizionali. Il tasso di iscritti a queste organizzazioni è relativamente alto (41%), ma la
stragrande maggioranza di questi (85%) dice di non impegnarsi nell’attività
dell’organizzazione a cui appartiene. Il tasso di sindacalizzazione relativamente alto tra i
lavoratori precari è dovuto anche alla gestione da parte del sindacato delle casse
disoccupazione. I lavoratori hanno una visione utilitaristica del sindacato, visto soprattutto
come ente che fornisce servizi, ma non come strumento di organizzazione.
I lavoratori interinali e precari intervistati mostrano però un alto interesse all’idea di creare
forme di organizzazione collettive. Una grande maggioranza (77%) ha infatti risposto
positivamente a una proposta di questo tipo.
Secondo questi lavoratori una simile organizzazione dovrebbe occuparsi soprattutto delle
questioni legate alle condizioni di lavoro, di salario e della formazione professionale.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
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Grafico 718
Tematiche di cui dovrebbe occuparsi un’associazione dei lavoratori “precari”
60%
57%
50%
40%
40%
31%
30%
20%
18%
14%
15%
13%
10%
6%
4%
2%
0%
condizioni di lavoro
condizioni di salario
questioni assicurative e
organizzazione del
formazione profesionale
pensionistiche
tempo di lavoro e tempo
di vita
prima scelta
seconda scelta
2.2 I lavoratori indipendenti: tra scelta e necessità
Le caratteristiche del campione
La stragrande maggioranza degli indipendenti sono uomini (63%) e di nazionalità
svizzera (82%).
Il lavoro indipendente ha una dimensione famigliare: il 57% del campione è sposato, tale
percentuale è ancora più alta tra gli uomini (61%).
I lavoratori indipendenti si collocano prevalentemente nella fascia di età che va dai 25 ai
45 anni, i giovani (sotto i 25 anni) sono una minoranza (6%).
La maggioranza del campione ha una formazione di apprendista (42%), anche se una
buona parte (24%) ha una formazione universitaria. Le donne mostrano in questo caso
un livello di formazione minore. Una quota non trascurabile di lavoratori indipendenti
(10%) non ha nessuna formazione dopo la scuola dell’obbligo, tale percentuale è ancora
più alta (28%) tra la popolazione straniera.
Il grado di formazione determina poi in modo importante il tipo di attività autonoma e le
condizioni di lavoro delle singole persone: a formazioni più elevate corrispondono
generalmente condizioni di lavoro più soddisfacenti sia da un punto di vista generale che
da un punto di vista finanziario.
Profilo professionale e prospettive di lavoro
La maggior parte del campione (61%) non ha dipendenti a suo carico. Tra le persone che
invece dichiarano di avere dipendenti la maggioranza ne ha al massimo 4.
Edilizia, industria, commercio e informatica sono i settori dove prevalgono i lavoratori soli,
nell’attività legate al turismo prevalgono invece coloro che hanno dipendenti.
Le persone senza dipendenti mostrano una situazione professionale meno soddisfacente
e più difficile anche da un punto di vista finanziario. Rappresentano sicuramente una
componente specifica del lavoro indipendente alla quale è necessario dedicare
un’attenzione particolare.
18
Vedi nota 16, p.7
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
9/15
Il lavoro autonomo è spesso una scelta maturata dopo anni di permanenza come
dipendente nel mercato del lavoro. Il 25% del campione dice di essersi messo in proprio
per problemi sul posto di lavoro (perdita del lavoro, insicurezza, difficoltà a trovare un
lavoro).
Esiste un fenomeno di passaggio dalla disoccupazione al lavoro in proprio. Spesso questi
lavoratori sono anche quelli che mostrano maggiori difficoltà da un punto di vista del
reddito e delle prospettive professionali.
Condizioni di lavoro
I lavoratori indipendenti dichiarano ritmi e orari di lavoro particolarmente elevati: la
stragrande maggioranza lavora più di 42 ore alla settimana, c’è anche chi sostiene di
lavorare 60 ore o più alla settimana. Tra le donne una quota più importante lavora meno
di 42 ore alla settimana: anche nel lavoro indipendente quindi il tempo parziale è
appannaggio delle donne.
Grafico 8
Ore di lavoro settimanali
35%
30%
30%
27%
25%
19%
20%
16%
15%
8%
10%
5%
0%
meno di 42
42 ore
tra 42 e 50 ore
tra 50 ore e 60
più di 60
Il tempo di lavoro non è mai stabile e definito, ma è in generale irregolare (a periodi di
forte attività corrispondono periodi di relativa calma).
Questa situazione ha conseguenze importanti sulla gestione della vita sociale e
famigliare. In generale i lavoratori indipendenti lamentano serie difficoltà a conciliare
tempo di lavoro e tempo di vita.
I lavoratori autonomi mostrano un elevato grado di soddisfazione della loro situazione
professionale e lavorativa. Un grado di soddisfazione che dipende in parte dalle
condizioni di lavoro e di reddito, ma che rimane comunque alto anche in presenza di una
situazione professionale più precaria (reddito relativamente basso, ritmi di lavoro
stressanti, ecc.)
Questa grande soddisfazione viene attribuita soprattutto all’autonomia lavorativa e al fatto
di non dover dipendere da nessuno nell’esecuzione del proprio lavoro.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
10/15
Grafico 919
Aspetti positivi della situazione professionale
80%
70%
70%
60%
50%
34%
40%
30%
20%
23%
14%
17%
14%
6%
10%
7%
5%
2%
1% 1%
2% 4%
0%
autonomia nel
lavoro
non dover
dipendere da
nessuno
assenza di
orari fissi
relazioni sociali possibilità di
intense
guadagno
importante
prima scelta
appartenenza
a una certa
categoria
sociale
altro
seconda scelta
Questa autonomia e libertà viene però pagata, soprattutto per alcuni, al prezzo di una
maggiore insicurezza sia dal profilo professionale e delle prospettive di lavoro che dal
profilo della sicurezza sociale.
Grafico 1020
Aspetti più preoccupanti della situazione professionale
40%
35%
34%
30%
28%
25%
20%
20%
15%
16%
12%
16%
14%15%
11%
10%
10%
7% 8%
5%
4% 5%
0%
incertezza
lavorativa
incertezza
pensionistica
difficoltà
burocratiche
reddito
insoddisfacente
prima scelta
19
20
ritardo nel
pagamento
delle fatture
copertura
assicurativa
inadeguata
altro
seconda scelta
Vedi nota 16, p.7
Vedi nota 16, p.7
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Situazione finanziaria
Più della metà del campione ha un reddito lordo inferiore ai 4000 franchi al mese, il 10%
dichiara invece un reddito superiore agli 8000 franchi.
Grafico 11
Divisione dei redditi all’interno del campione
più di 8000 franchi
10%
tra 6000 e 8000
franchi
7%
tra 4000 e 6000
franchi
18%
tra 3000 e 4000
franchi
20%
tra 2000 e 3000
franchi
22%
meno di 2000 franchi
0%
23%
5%
10%
15%
20%
25%
Una buona parte delle persone intervistate lamenta difficoltà a livello finanziario e
sostiene di non riuscire a soddisfare tutti i suoi bisogni. Il 58% dice di non riuscire a vivere
senza fare sacrifici e il 90% dice di essere costretto a risparmiare sul alcune spese. La
maggioranza risparmia sulle vacanze, ma anche in questo caso un buon 9% dice di
risparmiare sulle cure mediche.
Formazione professionale
I lavoratori indipendenti, soprattutto coloro che non hanno dipendenti, mostrano grandi
difficoltà a seguire corsi di formazione e di aggiornamento professionale (il 50% dice di
non aver mai seguito un corso di formazione professionale e il 29% dice di averne seguiti
alcuni saltuariamente).
La possibilità di seguire corsi di formazione è legata al livello di formazione (più questo è
elevato più le persone riescono ad aggiornarsi con maggiore regolarità), all’età (la fascia
di età tra il 35 e i 45 anni ha più facilmente accesso a corsi di formazione) e al reddito
(per i redditi più bassi l’acceso ai corsi di formazione è più difficile)
Insicurezza e stato di salute
I lavoratori autonomi presentano alti gradi di stress, nervosismo e stanchezza. Il 41% si
dichiara infatti spesso nervoso e il 7% molto spesso; il 55% inoltre dice di sentirsi spesso
stanco e il 13% molto spesso. Infine il 45% si dichiara spesso stressato e il 10% molto
spesso.
Generalmente comunque questi lavoratori sembrano affrontare la situazione con grande
ottimismo e volontà, credendo fermamente nelle loro potenzialità e capacità.
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Sintesi della ricerca
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Tra i “lavoratori soli” il sentimento di insicurezza e di incertezza verso il futuro è
decisamente più alto.
Alcuni lavoratori indipendenti aspirano addirittura a tornare al lavoro dipendente in quanto
questo sembra garantire maggiori certezze soprattutto da un punto di vista finanziario e
delle assicurazioni sociali.
Forme di rappresentanza
Dall’inchiesta emerge in modo evidente l’assenza di rappresentanza degli interessi di
questi lavoratori che generalmente non si riconoscono nelle organizzazioni tradizionali
(solo il 10% è iscritto al sindacato e il 43% è iscritto ad una associazione professionale, di
questi solo il 30% si impegna nell’attività dell’associazione).
Le associazioni professionali destano l’interesse soprattutto degli indipendenti con
dipendenti: l’appartenenza a queste associazioni sembra avere un carattere per lo più
utilitarista e di gestione di determinati interessi imprenditoriali.
Una buona parte del campione (47%) si è però dichiarata favorevole alla creazione di
un’associazione comune di tutti i lavoratori indipendenti, a prescindere dal settore di
attività. Questa dovrebbe occuparsi prioritariamente di questioni legate alle difficoltà
burocratiche e alle imposte e in un secondo tempo delle condizioni vere e proprie di
lavoro.
L’universo dei lavoratori indipendenti è sicuramente più eterogeneo e composito di quello
dei lavoratori interinali. Si osserva una sorta di polarizzazione: da una parte lavoratori
indipendenti con una situazione professionale stabile, redditi medio-alti, una buona
formazione professionale e maggiori possibilità di formarsi durante la professione,
dall’altra lavoratori autonomi in posizioni più precarie, con una scarsa formazione
professionale e una scarsa possibilità di formarsi durante la professione e un livello di
reddito medio basso.
Questa distinzione crea differenze a livello della percezione della propria condizione e
delle reali condizioni di vita e di lavoro dei singoli.
Alcune problematiche, prime fra tutte quella del livello assicurativo, dei ritmi di lavoro e di
vita e della regolarità del reddito, coinvolgono però, anche se con modalità e dimensioni
diverse, la gran parte dei lavoratori indipendenti.
3.
Alcune proposte e spunti di riflessione
Il lavoro flessibile assume oggi diverse forme, anche molto diverse tra loro, e diventa
difficile distinguere in modo chiaro vantaggi e svantaggi di queste nuove forme di
impiego. Si può considerare in linea generale che gli aspetti negativi e i rischi riguardano
soprattutto le forme contrattuali, mentre quelli positivi si riferiscono al contenuto del
lavoro, anche se questo a volte viene a mancare per alcune delle forme del lavoro atipico
e per alcuni soggetti in particolare.
Nonostante queste distinzioni è possibile enumerare alcune problematiche che ruotano
attorno al lavoro flessibile e di individuare alcune piste possibili su cui lavorare.
1. Il lavoro flessibile e precario può generare difficoltà a programmare la propria vita
professionale e di conseguenza anche la propria vita privata. Qualsiasi progetto di
vita viene rimandato. Da questo punto di vista diventa fondamentale pensare a nuovi
modelli di gestione della flessibilità per evitare che la perdita del posto di lavoro generi
un’esclusione definitiva dal mercato del lavoro. Da qui potrebbe nascere l’idea della
creazione di istituzioni capaci di aiutare e sostenere il lavoratore nel passaggio da
una professione all’altra. Si tratterebbe quindi di riflettere alla creazione delle
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cosiddette “agenzie del mutuo impiego” come strutture in grado di fornire servizi con
l’obiettivo di garantire una certa stabilità anche ai cosiddetti lavoratori “nomadi”.
2. Un secondo aspetto problematico del lavoro flessibile è quello della formazione
professionale e della difficoltà ad acquisire una professionalità da trasferire poi da un
datore di lavoro all’altro. In genere i lavori flessibili rendono difficile la costruzione di
una carriera professionale, lasciando gli individui in una costante situazione di
precarietà. Da questo punto di vista le agenzie del mutuo impiego potrebbero
intervenire per migliorare la formazione dei lavoratori e offrire, anche in questo senso,
servizi utili. Si potrebbe anche pensare all’introduzione di forme di certificazione delle
competenze trasferibili poi da un’azienda all’altra. Esiste comunque il problema di
capire quali sono i criteri su cui si deve basare questa certificazione delle competenze
e quali enti o istituzioni devono promuoverla.
Per quanto riguarda la formazione risulta per altro urgente una politica che sappia
colmare le lacune accumulate nella formazione di base, primo vero strumento di
“selezione” della manodopera.
3. Il lavoro flessibile produce anche una separazione tra il lavoratore e il suo posto di
lavoro. Il lavoratore atipico non ha più un luogo di lavoro, non possiede gli strumenti
del suo lavoro e non può avere relazioni stabili e durature con i colleghi. L’identità
sociale della persona non si crea più attraverso il lavoro e i soggetti fanno fatica a
dare una dimensione collettiva alla loro situazione professionale personale. Si tratta
quindi di ricreare strutture organizzative e associative nelle quali il lavoratore atipico
possa riconoscersi e tessere legami con altri lavoratori.
4. Anche la salute fisica e psicologica dei lavoratori può subire conseguenze, a volte
importanti, legate alle condizioni vere e proprie di impiego. Si dovrebbe pensare alla
creazione di centri di medicina del lavoro nei quali siano attive diverse figure
professionali (medici, psicologi, ricercatori, giuristi, ecc.) che possano intervenire su
casi singoli concreti e che allo stesso tempo possano svolgere un lavoro di
monitoraggio e di analisi dell’evoluzione del rapporto tra salute e lavoro.
5. I lavoratori flessibili sfuggono il più delle volte alla legislazione di tutela del lavoro e
sono privati di alcune garanzie sociali di cui godono i lavoratori “fissi”. Da questo
punto di vista si tratta di riflettere sulla possibilità di integrare anche i lavoratori atipici
all’interno delle norme del diritto del lavoro. Bisognerebbe anche sviluppare l’idea
della “responsabilità sociale dell’azienda”, inteso come approccio che stimoli le
aziende ad avere pratiche socialmente responsabili (misure per attirare lavoratori
qualificati, investimenti nella formazione, misure per garantire la salute e la sicurezza
dei dipendenti, ecc.). Si dovrebbe anche riflettere a forme di pagamento degli oneri
sociali per le imprese dipendenti dal grado di sicurezza del lavoro all’interno della
ditta, al tasso di licenziamenti e di turnover della manodopera.
Per quanto riguarda le assicurazioni sociali si pongono diverse questioni, in
particolare: la possibilità di dividere la categorie degli indipendenti da un punto di vista
giuridico in alcuni gruppi, sulla base ad esempio del reddito, del numero di
committenti, ecc. facendo in modo di garantire alla fascia più precaria una copertura
assicurativa più adeguata (si inserisce qui la questione dell’assicurazione
disoccupazione anche per una parte almeno dei lavoratori indipendenti); rivedere il
sistema di previdenza, delle assicurazioni incidenti, malattia e maternità, ecc.
6. Un intervento di politica sociale non può unicamente limitarsi a contenere le
conseguenze sociali legate alla flessibilità del lavoro, ma deve cercare anche di
contenere la tipologia della flessibilità. Questo obiettivo appare importante soprattutto
in vista di un prevedibile ulteriore aumento della forza lavoro precaria che
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comporterebbe un aumento considerevole delle persone soggette ai rischi stessi della
flessibilità. Da questo punto di vista sarebbe importante avviare una riflessione sulla
Legge sul collocamento e il prestito del personale promuovendo l’introduzione di
alcune clausole di maggiore tutela dei lavoratori stessi (come ad esempio l’obbligo
per le agenzie di collocamento di rispettare tutti i contratti di lavoro e i regolamenti
delle aziende e non solo i contratti decretati di obbligatorietà generale) e misure di
controllo e di contenimento dell’utilizzo all’interno delle aziende del lavoro temporaneo
(vincoli all’utilizzo del lavoro temporaneo in alcuni settori, per tipo di professione o di
tempo, ecc.).
E’ utile comunque sottolineare come la flessibilità del lavoro può avere conseguenze e
effetti diversi a dipendenza dei sistemi di lavoro nei quali viene introdotta e a dipendenze
anche delle persone coinvolte (i giovani sotto il 25/30 anni, le persone sopra i 45 anni, le
donne, i lavoratori stranieri e le persone con un livello di formazione medio-basso
sembrano essere i soggetti che maggiormente soffrono la flessibilità del lavoro e per i
quali questa si trasforma molto spesso in precarietà non solo professionale, ma anche
esistenziale).
Nell’elaborazione di politiche sociali e dell’occupazione è quindi necessario tener
presente anche questa ultima considerazione e avere un’attenzione particolare verso i
soggetti che si vogliono coinvolgere.
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Sintesi della ricerca
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Christian Marazzi è nato nel 1951 a Lugano. Laureato in Scienze politiche
all'Università di Padova, ha studiato alla London School of Economics e ha
conseguito il dottorato in Scienze economiche alla City University di Londra. Dopo
aver insegnato all'Università di Padova, alla State University di New York e alle
Università di Losanna e di Ginevra, attualmente è docente presso al Scuola
universitaria della Svizzera italiana. E' autore di numerose pubblicazioni, tra cui Il
posto dei calzini (Edizioni Casagrande, Bellinzona, 1994), E il denaro va (Bollati
Boringhieri/Casagrande, 1998), Capitale e linguaggio (Derive/Approdi, 2002).
Angelica Lepori è nata nel 1971 a Lugano. Si è laureata in Scienze Politiche
all’Università di Bologna, con una tesi sulla storia dell’ex Unione Sovietica. Ha
lavorato come giornalista presso il settimanale Area e ha collaborato alle rubriche
360 e Micro Macro della TSI. Nel lavoro giornalistico ha concentrato il suo interesse
in particolare su problemi di ordine socio-economico.
Dal 2001 lavora presso il Dipartimento di Lavoro Sociale della SUPSI, dove svolge
attività di ricerca e di insegnamento.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Sintesi della ricerca
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Lavoro
flessibile,
società
flessibile: progetto riformista o
rischio per l'integrazione sociale?
Luciano Gallino
Direttore del Dipartimento di scienze
dell'educazione e della formazione presso
l'Università di Torino
Lavoro flessibile, società flessibile:
progetto riformista o rischio per l'integrazione sociale?
L’espressione “società flessibile”, collegata soprattutto al nome di Richard Sennett dopo
la pubblicazione di La corrosione del carattere. Le conseguenze personali del lavoro nel
nuovo capitalismo (1998), è entrata a far parte d’una serie ormai lunga di espressioni
che si sforzano di incapsulare in un aggettivo, un singolo predicato, l’essenza dei
mutamenti intervenuti da circa un quarto di secolo, con rapidità crescente, nelle società
avanzate. La prima di tale serie, in ordine di tempo, fu forse “società post-industriale”,
coniata dal sociologo statunitense Daniel Bell in un libro del 1973 e ancor oggi
largamente usata. Poi seguirono la “società dei media”; la “società post-moderna” di
Jean-François Lyotard (1979); la società “post-fordista”; la “società del rischio” di Ulrich
Beck (1986); la “società dell’informazione” cui si intitolava il rapporto d’un gruppo di alto
livello al Consiglio europeo (1994); la “società della conoscenza”; la “società delle reti” di
Manuel Castells (1996); la “società che impara” (learning society); “la società a giro di
orologio”, e varie altre. Tutte queste espressioni circolano oggi in libertà, spesso del tutto
avulse dal contesto o dalle intenzioni degli autori che le formularono.
Quando venga usata come sinonimo ultimo arrivato delle precedenti denominazioni,
“società flessibile” appare collocarsi sul loro stesso piano: un tentativo inefficace di
sintetizzare il non sintetizzabile. Tuttavia, se si cerca di valutare non il suo contenuto
sinonimico, bensì le parentele con le altre espressioni, da un lato, e dall’altro ciò che in
essa è insito senza che appaia ad esse ovviamente riconducibile, l’idea di “società
flessibile” comincia a manifestare un suo significato specifico. Stando a come la descrive
il suo idealtipo, insito nel progetto fatto proprio da una ampia corrente del riformismo
contemporaneo, la società flessibile è una società in cui sono cadute le rigide barriere
che fissavano un individuo per la vita ad una cerchia ristretta di rapporti sociali, di
identificazioni, di appartenenze. Favorisce l'indipendenza dell'individuo, l'autonomia
dell’azione come valore distintivo della modernità. Se la burocrazia era insieme la realtà e
la metafora della società discesa dalla rivoluzione industriale, le reti, con la loro
infrastruttura fisica e la loro sovrastruttura simbolica, sono la metafora e la realtà delle
società flessibile. E’ una società in cui tutti continuano la loro formazione intellettuale e
professionale per l’intero arco della vita. Informazione, conoscenza, competenza sono in
essa le risorse più pregiate.
Al contrario della società industriale, nella fattispecie fordista, dove ogni attività
produttiva si fermava (o si ferma) alle sei del pomeriggio, e alle cinque del pomeriggio
del venerdì, di modo che i quartieri degli uffici e le zone industriali si trasformano sino
all’inizio della settimana dopo in desolati deserti urbani, la società flessibile – informa
ancora il suo idealtipo - è perennemente attiva. In essa chiunque ha, in qualsiasi
momento, la possibilità di svolgere l’attività che desidera per sé o per i propri famigliari,
trovando agevolmente altri individui che compiono, e luoghi in cui si svolgono, le attività
di cui può avere bisogno. Lavoro e consumo, cultura e intrattenimento, esercizio sportivo
e rapporti con l’amministrazione pubblica: tutto è possibile per tutti 24 ore su 24, 7 giorni
su 7. Inoltre, sia per questo motivo, sia perché le imprese per prime sono diventate
flessibili, nella società flessibile ciascuno ha la possibilità di adattare le proprie condizioni
e tempi di lavoro alle sue esigenze e responsabilità familiari.
La società 7 x 24, come viene anche denominata alquanto aridamente la società
flessibile, trova un sostegno insostituibile nelle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (Tic). Senza Tic non sarebbe possibile coordinare unità produttive che
non si arrestano mai, e che debbono essere collegate in tempo reale con mille altre unità
distribuite nel mondo; né si potrebbe consultare il valore dei propri titoli in borsa alle 2 di
notte, od ottenere un certificato dall’Anagrafe comunale la domenica mattina, o
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Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino
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acquistare un biglietto aereo o ferroviario online per un mezzo che partirà un’ora dopo.
Esiste dunque una parentela speciale tra la nozione di “società flessibile” e quella di
“società dell’informazione”.
Assumendo a riferimento i suddetti tratti idealtipici che ho cercato di riassumere, la
società flessibile non risulta ancora essere una realtà compiuta. Viene però presentata
come un progetto riformista che ha la caratteristica di venire delineato in termini quasi
identici sia da studiosi e politici neo-liberali, o liberisti, sia da studiosi e politici
socialdemocratici - ove si accetti per comodità di porre sotto questa comune etichetta i
laburisti di Blair, i socialisti francesi, i democratici di sinistra italiani e i socialdemocratici
tedeschi.
Nella teoria come nella prassi, tra lavoro flessibile e società flessibile intercorre un
rapporto dialettico. Sul piano della teoria la dialettica dei due termini appare scorrere
senza contraddizione alcuna. Secondo le innumeri forme che assume all’esterno e
all’interno dell’azienda – ragion per cui occorre sempre parlare distintamente di
flessibilità esterna o quantitativa, e di flessibilità interna o funzionale - il lavoro flessibile,
afferma la teoria ch’è alla base di questo progetto riformista, richiede una società
flessibile. A partire dai suoi tempi di vita. Occorre far crescere una società nella quale, in
primo luogo, gli orari giornalieri, settimanali, annuali dei trasporti pubblici, degli asili, dei
negozi, delle scuole, degli uffici della PA, siano compatibili con quelli d’una popolazione
di lavoratori d’ogni settore economico e livello professionale in quali, in numero senza
posa crescente, lavorano con orari giornalieri, settimanali, e annui estremamente
variabili.
Di là dalla flessibilizzazione di tutti i tempi sociali, all’organizzazione sociale si chiede di
assomigliare sempre di più all’organizzazione di un’impresa. Le imprese decentrano, si
frammentano in unità sempre più piccole e mutevoli, coordinate da reti di comunicazione
sempre più efficienti e capillari. L’organizzazione aziendale si appiattisce, diminuendo e
fluidificando i livelli gerarchici, generalizzando il lavoro di squadra, puntando ad
esternalizzare tutte le attività che non attengono alla sua missione primaria.
L’amministrazione pubblica – centrale e locale – il sistema educativo, il sistema sanitario,
le attività culturali, dovrebbero adottare il medesimo modello organizzativo, sostenuto
dalle stesse tecnologie.
Da parte sua il progetto d’una società flessibile comporta a titolo di pre-requisito la
massima diffusione del lavoro flessibile. Se un call center deve restare aperto 24 ore su
24, 7 giorni la settimana, pur in presenza di intense variazioni del numero delle chiamate
nel giorno, nella settimana, e nei mesi dell’anno, il suo gestore deve poter disporre di
un’ampia platea di lavoratori flessibili. Se una certa attività commerciale ha un picco nei
weekends, ma non in tutti i weekends, l’impresa che la offre ha bisogno di lavoratori
pronti a lavorare nei weekends, su chiamata, sapendo in anticipo che forse la settimana
dopo non saranno chiamati.
Ancora, se l’organizzazione statale, la scuola, il sistema sanitario debbono sapersi
efficacemente e rapidamente adattare ai mutamenti dell’ambiente economico, sociale e
culturale, sia nazionale che internazionale, pure i funzionari, gli insegnanti, i medici,
debbono rinunciare al posto fisso, al contratto a tempo indeterminato, come già hanno
sono stati indotti a fare quote crescenti di operai, impiegati, tecnici, quadri e dirigenti
dell’industria e dei servizi. La mobilità incessante da un processo all’altro deve essere
facilitata da processi di formazione permanente, estesi all’intero arco della vita, atti a
porre un individuo nelle condizioni di poter occupare, in sequenza, numerosi posti di
lavoro differenti, in differenti settori produttivi, di modo che la perdita di un lavoro sarà
seguita dal reperimento quasi immediato di un’altra occupazione.
Alla diffusione del lavoro flessibile, afferma la teoria alla base del progetto di società
flessibile, si oppongono le regole attinenti al mercato del lavoro costruite nei paesi
dell’Europa Occidentale nei primi quattro quinti del Novecento. Tali regole, prosegue la
teoria, corrispondevano ai bisogni della società industriale o fordista. In una società ed in
una economia post-indutriale e post-fordista, che presenta per di più una struttura
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demografica profondamente mutata, esse sono diventate un vincolo allo sviluppo.
Pertanto vanno sostanzialmente affievolite, se non anzi, ovunque sia possibile, eliminate.
Le garanzie di continuare ad avere un lavoro non vanno più cercate nel protezionismo dei
sindacati, quanto nel possesso di conoscenze ed esperienze che mantengono elevato,
ad ogni età, il tasso di occupabilità dell’individuo.
Se questa è la teoria, sul piano della prassi le ricerche che sono state compiute di
recente in vari paesi europei – compresa quella presentata in questo convegno inducono invece a sospettare che la dialettica tra lavoro flessibile e società flessibile
abbia imboccato un corso diverso. Uno dei principali esiti della diffusione della flessibilità
del lavoro in Europa non sembra affatto essere lo sviluppo di una collettività di lavoratori
– ivi compresi operai e quadri, tecnici e dirigenti - che tende a diventare omogenea verso
l’alto in termini di reddito, di continuità dell’occupazione, di possesso di conoscenze. La
realtà che emerge dalle ricerche sul campo è invece caratterizzata da una forte
polarizzazione della massa dei lavoratori verso l’alto e verso il basso. Le disuguaglianze
socio-economiche, nelle loro molteplici dimensioni, crescono. La stratificazione delle
forze di lavoro assume in complesso una forma a clessidra. Per coloro che occupano la
parte alta di questa i salari sono elevati, la formazione è realmente continua,
l’occupazione è stabile. Tra i lavori osservabili entro questo strato, o gruppo di strati, si
trova la maggior quota dei migliori lavori flessibili che il post-fordismo abbia contribuito a
creare. Giacché esiste anche il lavoro flessibile di buona qualità. E’ il lavoro che favorisce
e permette la massima autonomia del soggetto; moltiplica le esperienze; apre di continuo
nuove prospettive professionali; assicura un reddito apprezzabile e un congruo
riconoscimento sociale; è attraente nel corso della sua esecuzione, quanto soddisfacente
al momento di verificarne le realizzazioni.
Nel complesso, si è qui dinanzi alle forze di lavoro che son definite dalla letteratura sul
moderno management il “nucleo centrale” delle “risorse umane”, formato in media da
meno di un terzo delle forze di lavoro a vario titolo occupate da un’impresa. Sono la
minoranza di persone su cui le imprese investono perché costituiscono la loro memoria
tecnica e organizzativa; la capacità innovatrice; la lealtà ai valori ed ai codici della cultura
aziendale. E’ importante che queste persone siano fedeli all’impresa – uno scopo che
con un termine, in verità inesistente nella lingua italiana, viene designato nel
management-speak con la frase “fidelizzazione dei dipendenti”.
Nella parte bassa della clessidra stanno gli altri lavoratori. E’ la massa – che si avvia a
superare mediamente i due terzi del totale delle forze di lavoro occupate da un’impresa –
che fluttua dentro e fuori dell’impresa motrice, da un sub-appaltatore all’altro, da uno
spezzone di lavoro ad un altro, legata ad un lavoro di volta in volta, e di momento in
momento, da una miriade di contratti: tranne quello di durata indeterminata a tempo
pieno, ormai riservato a chi occupa la parte alta della clessidra. Questi lavoratori
incarnano gli esiti della flessibilità contrattuale. Ma anche la qualità del lavoro che
svolgono è in prevalenza alquanto bassa. Accade infatti che alla maggioranza dei
componenti di questi strati siano affidati lavori, frammentati in mansioni, tra i peggiori che
il post-fordismo abbia contribuito a creare. Mansioni ripetitive, tuttora strutturate di fatto –
anche dove non esista più l’ufficio tempi e metodi – secondo i canoni ormai centenari del
taylorismo, quelle in cui si deve eseguire e non pensare, dove i cicli di operazione si
misurano a manciate di secondi, e il guadagno è strettamente commisurato alla quantità
di lavoro svolta in una data unità di tempo.
Sono, questi della parte inferiore della clessidra, della nuova stratificazione dei lavori e
dei lavoratori, uomini e donne sulle quali ogni singola impresa che le occupa non ha
alcun interesse ad investire in termini di formazione, dato che entro un breve periodo
esse lavoreranno per un’impresa differente. La società della conoscenza, per loro, è
un’espressione pressoché priva di significato. Una quota consistente di questi lavoratori,
anche quando lavorano gran parte dell’anno, corrono in permanenza il rischio di cadere
sotto la linea della povertà relativa – metà del reddito mediano pro-capite - se non anzi
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della povertà assoluta, che viene collocata in genere tra il 40 e il 60% al di sotto della
suddetta linea.
Che cosa reca questo strato in espansione di lavoratori flessibili al progetto di una società
flessibile – uno strato che assomiglia assai poco a quello che il progetto stesso dà per
scontato che si sia formato, o si stia formando? E più in generale, come si concilia il
progetto in questione con una polarizzazione delle disuguaglianze di reddito, di
autonomia, di qualità del lavoro? Prima di tentare una risposta, occorre chiedersi quali
sono i criteri mediante i quali pensiamo di valutare la qualità di una simile società. Di
certo sappiamo che qualsiasi tipo di società può essere valutata secondo vari criteri
oggettivi, costruiti mediante appropriate indagini statistiche. In base, ad esempio, al suo
reddito medio pro-capite; al livello di vita; al suo indice di disuguaglianza, come l’indice di
Gini; al maggiore o minore tasso di violenza praticata all’interno tra i suoi componenti, o
esercitata da essa, in toto, verso l’esterno; al suo indice di sviluppo umano, sul tipo di
quello proposto dal programma dall’uguale denominazione delle Nazioni Unite, il cui
andamento in tutti i paesi del mondo viene pubblicato ogni anno in un apposito rapporto.
Ma v’è una qualità prioritaria, difficilmente riconducibile a indici oggettivi, che è la natura e
l’intensità della sua integrazione sociale. L’idea di integrazione è un concetto
fondamentale della teoria della società. L’analisi dei processi di integrazione rappresenta
la prosecuzione, sul terreno sociologico, della discussione del problema classico per la
filosofia politica dell’ordine sociale, inteso quale stabilità di relazioni tra individui e gruppi,
sociali etnici o religiosi che siano; ragionevole armonia tra differenti settori e livelli della
società; convivenza pacifica seppur in presenza di conflitti politici, economici e culturali.
Come ci ricorda con fin eccessiva solerzia la storia del XX secolo e dei primi anni del XXI,
l’integrazione sociale è un bene comune primario, tanto arduo da conseguire, quanto
facile da perdere. In una forma attenuata, e in genere senza alcun riferimento alle grandi
scuole sociologiche che lo hanno elaborato – penso alle opere di Emile Durkheim, Max
Weber, Talcott Parsons - il concetto di integrazione sociale è diventato da qualche anno
un elemento spesso ricorrente del dibattito politico, specie nel mondo francofono, sotto
l’etichetta di “coesione sociale”.
Affinché una società attinga, e mantenga nel tempo, un tasso di integrazione
soddisfacente per il maggior numero dei suoi componenti, è necessario sussistano alcuni
pre-requisiti. Il primo ha a che fare con il tempo, con la durata. Come ho avuto modo di
rilevare in altri lavori trattando dei costi umani della flessibilità, la costruzione di relazioni
sociali stabili tra individui e tra gruppi – ovvero tra individui che per tal via si integrano in
un gruppo - richiede del tempo. Necessita di incontri ripetuti, occasioni per conoscersi,
pratiche collaborative, forme organizzate di socialità. Per i lavoratori flessibili si tratta di
situazioni sempre più rare. Nelle organizzazioni “reingegnerizzate” si arriva ad ottenere
che su 100 lavoratori fisicamente presenti a un certo istante in un dato reparto meno di
un quarto siano dipendenti da quella data organizzazione, mentre gli altri tre quarti
sono dipendenti da una decina di aziende terze – fornitori o sub-appaltatori o sub-subappaltatori – oltre che lavoratori interinali, parasubordinati con contratti di breve durata,
consulenti di passaggio, apprendisti in formazione. In tale modello organizzativo non
esiste più il tempo necessario perché tra le persone che pure lavorano fianco a fianco si
stabilisca un legame sociale. Nelle organizzazioni ristrutturate per trarre i maggiori
vantaggi dalla flessibilità del lavoro, scompaiono anche, causa l’impossibilità materiale di
trovare chi possa parteciparvi, i gruppi sportivi, i centri culturali, le gite sociali – istituzioni
tradizionali che per generazioni hanno contribuito ad alimentare la socialità del lavoro, e
con ciò a sostenere il lavoro come fattore primario di integrazione sociale.
Un secondo pre-requisito dell’integrazione sociale è la presenza di una misura
significativa di ritualità. Come ricorda Sennett in un altro suo saggio, Work and Social
Inclusion (1999), “se l’antropologia ci ha insegnato qualcosa in merito a noi stessi, è che
il rituale è il cemento più forte della società, la chimica stessa alla base dei processi di
inclusione.” Caratteristico dei rituali è di essere gratuiti, intransitivi, irrazionali, privi di
giustificazione se non simbolica, oltre che identificati con uno spazio delimitato e fisso
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
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nel tempo. Archetipo della ritualità sono ovviamente le tradizioni popolari, le processioni,
le feste del santo o dell’eroe locale, le liturgie dei culti religiosi, le pubbliche celebrazioni
della storia nazionale. Ma pertengono alla ritualità anche altre pratiche secolari. Pratiche,
ad esempio, in forza delle quali la domenica deve essere per obbligo un giorno di riposo,
anche se pochi rammentano che così è perché sta scritto nella Bibbia; il lavoro di una
persona costituisce un tempo e un luogo categoricamente diverso dal tempo libero come
da altri momenti della sua vita privata; la famiglia è tenuta a riunirsi ogni giorno attorno al
desco Nella società flessibile, di cui l’operare “a giro di orologio”, 7 x 24, è un elemento
quintessenziale, per le forme della ritualità tradizionali v’è sempre meno tempo
disponibile. Il tempo di lavoro si intreccia con gli altri tempi della vita sino a diventare da
essi inseparabili. Per molte persone il lavoro si svolge vuoi per ricorrente necessità, vuoi
per i vincoli formalmente posti dall’organizzazione flessibile, come quelli insiti nel modello
del “compito senza scrivania” (deskless job), nell’abitazione stessa, nelle sale d’aspetto
aeroportuali, in treno, in albergo, sull’autostrada. Anche sul piano del discorso l’idea della
festività, del giorno festivo uguale per tutti, viene etichettata come un feticcio da
rimuovere. Il lavoro tende a diventare un tempo senza confini e al tempo stesso un nonluogo, proprietà contrarie all’esercizio di ogni forma di ritualità.
Uno degli aspetti che ci sembrano più attraenti del progetto di società flessibile, quale ci
viene presentato, è l’importanza che esso attribuisce all’autonomia, all’emancipazione
dalle cerchie tradizionali, alla piena individualizzazione della persona, alla sua
indipendenza da ogni legame o appartenenza ascrittiva. Dopotutto, questi sono valori
intrinseci della modernità, del progetto moderno. La padronanza di sé fondata sulla
ragione - meglio non si potrebbe definire l’indipendenza - è un ideale che proviene da
Platone, ma che ha dovuto attendere più di venti secoli prima di essere avviato a
compimento dal progetto moderno. La società flessibile promette nulla meno, a ben
vedere, di portare a termine ciò che il progetto moderno ha avviato nei tre secoli
precedenti. Tuttavia, affinché l’indipendenza economica della persona, base della sua
indipendenza politica, non sia una chimera o un inganno, essa richiede un reddito
consistente e sicuro, un appropriato riconoscimento sociale (Anerkennung, per usare il
termine preferito da Habermas), un grado elevato di istruzione, e un tangibile potere
contrattuale nei confronti dell’impresa. Ora avviene che, tolto il loro sottile strato
superiore – sottile se commisurato ai milioni che possono così venire denominati - i
lavoratori flessibili sollecitati a incarnare l’ideale dell’indipendenza, della padronanza in
ogni senso di sé fondata sul libero esercizio della ragione, non appaiono disporre in
generale di tali elementi, ricerche empiriche alla mano, se non in misura minima.
Infine v’è la questione delle cosiddette società intermedie. L’integrazione dell’individuo
nella società non può avvenire, se non parzialmente, in modo diretto. All’integrazione
totale e diretta degli individui con i vertici del potere puntano solamente le società
autoritarie. In una società democratica matura occorre invece che l’individuo sia
primariamente integrato nella famiglia, nella comunità locale, in vari generi di
associazione; dopodiché sarà un’adeguata integrazione di queste nello spazio pubblico
globale ad assicurare all’individuo i benefici dell’ordine sociale – come pure a tutelarlo
dalle sue deviazioni. La società flessibile, di là dal velo ideologico che vorrebbe ritrarne le
veritiere fattezze nel mentre di fatto le maschera, non sembra particolarmente amica di
nessuna di queste società intermedie. Non lo è di fatto, perché la variabilità degli orari e
dei luoghi di lavoro, di istruzione, di tempo libero dei diversi componenti della famiglia e
della comunità locale porta inevitabilmente ad erogare il legame sociale tra di essi. Non lo
è nemmeno dal punto di vista teorico, perché essa codifica e legittima le delocalizzazioni
dell’impresa come della famiglia, il cennato lavoro senza luogo, l’abolizione del
radicamento territoriale di ogni attività sociale.
Quanto alle associazioni, il progetto di società flessibile – quale in concreto ci viene
presentato dal discorso politico-economico dominante - trae in concreto giovamento dalla
crisi della più antica di esse, la chiesa, nel mentre teorizza e persegue l’indebolimento, se
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
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non anzi l’annullamento, della principale tra quelle che rimangono – il sindacato. Per la
società flessibile, il sindacato è l’epitome di tutti i suoi contrari: la rigidità burocratica; la
difesa dei diritti acquisiti per ascrizione e non per merito; una delle maggiori barriere che
si oppongono all’innovazione permanente di tutte le modalità dell’agire sociale. Esso
deve essere oggetto sia di un reciso contrasto ideologico, sia – come sta avvenendo in
Italia - di provvedimenti legislativi che rimuovano questo ultimo ostacolo a che l’individuo
sia inserito direttamente, senza mediazioni, nella rete delle reti. Affinché esso divenga,
con le parole di Niklas Luhmann, unicamente un nodo passivo dei flussi di
comunicazione, inconsapevole del senso reale dei messaggi che esso riceve e
ritrasmette, ad essi totalmente alieno.
La dialettica reale tra lavoro flessibile e società flessibile, quale emerge dalle ricerche sul
campo, non pare dunque condurre nessuno dei due elementi verso esiti particolarmente
promettenti per la qualità della vita e dell’organizzazione sociale. L’uno e l’altra
incorporano sicuramente elementi del progetto moderno - un progetto largamente
incompiuto – ai quali certo non vorremmo rinunciare. Nondimeno gli elementi che in essi
appaiono predominare al presente, esaltati negli ultimi decenni tanto dall’ideologia e
dall’economia neo-liberali quanto dalla pratica politica delle socialdemocrazie, ci
sembrano comportare un prezzo troppo elevato per potere accogliere insieme questi e
quelli. Io penso che dinanzi a tale situazione ambivalente si debba essere, al tempo
stesso, discriminanti quanto esigenti. Dobbiamo saper distinguere i costi umani della
flessibilità del lavoro e della società flessibile dai loro benefici, quanto esigere che i primi
non vengano, come suole, sottaciuti o sottovalutati in nome dei secondi.
Un compito arduo che tuttavia, se non vogliamo arrenderci al credo interessato per cui la
realtà del mondo globalizzato persegue comunque, ad onta dei nostri sforzi, un suo
indefettibile cammino, occorre affrontare combinando la tenacia del ricercatore con la
passione che ogni cittadino dovrebbe portare alla difesa di un bene comune essenziale.
Un bene qual è una società in cui la molteplicità degli interessi; delle culture; delle
condizioni di lavoro e di esistenza, trova una composizione armonica in forza di alcuni
ideali minimi di giustizia sociale, di uguaglianza, di diritti delle persone. Un insieme di
elementi costati all’Europa troppe fatiche, e troppe sofferenze, per pensare che si
possano o si debbano agevolmente alienare in nome di nuove forme di funzionamento
del sistema economico, pur nel riconoscimento che queste richiedono appropriate riforme
dell’organizzazione sociale.
(Torino, settembre 2002)
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino
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LUCIANO GALLINO
Chiamato a Ivrea da Adriano Olivetti, Luciano Gallino (Torino 1927) ha compiuto il
proprio apprendistato sociologico tra il 1956 e il 1970, come collaboratore e poi direttore
del centro di ricerche sociologiche di quella società, il primo del suo genere in Italia.
Conseguita la Libera Docenza in Sociologia nel 1964, nei due anni successivi è stato
Fellow Research Scientist presso il Center for Advanced Study in the Behavioral
Sciences di Stanford (CA). Dal 1965 al 1971 è stato professore incaricato presso la
Facoltà di Magistero e la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino. Dal 1971
è professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dello
stesso Ateneo. Tra il 1968 e il 1978 è stato direttore del locale Istituto di Sociologia, uno
dei primissimi costituiti nelle università italiane.
Ha fondato e presieduto dal 1987 al 1999 il Centro di Servizi Informatici e Telematici per
le Facoltà Umanistiche dell'Università di Torino, che sin dai primi anni '90 ha messo a
disposizione Internet a migliaia di studenti e docenti. Dal 1999 è Direttore del
Dipartimento di Scienze dell'Educazione e della Formazione. In tale ruolo ha promosso lo
sviluppo di un Centro di Eccellenza per lo studio della Formazione Aperta/Assistita in
Rete. Da tale iniziativa è derivato un nuovo corso di studi per la laurea triennale di I
livello, attivo dall’ottobre 2000, volto a formare “Esperti di formazione e comunicazione in
rete”
Dal 1979 al 1988 è stato presidente del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali, carica in
cui è succeduto a Luigi Firpo. Dal 1987 al 1992 ha rivestito la stessa carica
nell'Associazione Italiana di Sociologia. Dirige dal 1968 i "Quaderni di Sociologia", testata
trasmessagli da Nicola Abbagnano che li aveva fondati con Franco Ferrarotti nel 1951.
Tra il 1970 e il 1975 ha scritto sul "Giorno"; dal 1983 al 2001 ha collaborato alla
"Stampa". Al presente scrive per “La Repubblica”.
E' socio dell'Accademia delle Scienze di Torino, dell'Academia Europaea e
dell'Accademia Nazionale dei Lincei.
Opere principali
Progresso tecnologico ed evoluzione organizzativa negli stabilimenti Olivetti, 1945-1959,
Giuffré, Milano 1960; Personalità e industrializzazione, Loescher, Torino 1968; Indagini di
sociologia economica e industriale, Comunità, 2a ed., Milano 1972; Dizionario di
Sociologia, Utet, Torino 1978, 3a ed. 1993; La società. Un’introduzione sistemica alla
sociologia, Paravia, Torino 1980; Il lavoro e il suo doppio. Seconda occupazione e
politiche del lavoro in Italia, il Mulino, Bologna 1985, (con coll.); Informatica e qualità del
lavoro, Einaudi, 2a ed., Torino 1985; Della ingovernabilità. La società italiana tra
premoderno e neo-industriale, Comunità, Milano 1987; L’attore sociale. Biologia, cultura
e intelligenza artificiale, Einaudi, Torino 1987; L'incerta alleanza. Modelli di relazione tra
scienze umane e scienze della natura, Einaudi, Torino 1992; Manuale di Sociologia (con
coll.), Utet Libreria, 2a ed., Torino 1997; Se tre milioni vi sembran pochi. Sui modi per
combattere la disoccupazione in Italia, Einaudi, Torino 1998; Globalizzazione e
disuguaglianze, Laterza, 5a ed., Bari 2001; Il costo umano della flessibilità, Laterza, Bari
2001; L’impresa responsabile. Intervista su Adriano Olivetti, Comunità, Torino 2001.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Luciano Gallino - Università di Torino
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Nouvelles modalités de travail et
assurances sociales: cause de
précarité?
Béatrice Despland
Direttrice aggiunta dell'Istituto di diritto della
salute dell'Università di Neuchâtel
Nouvelles modalités de travail et assurances sociales:
cause de précarité?
Plan de l'exposé
1. Travail à temps partiel, contrat de travail à durée déterminée, travail sur appel, travail
indépendant:
•
•
Lacunes de couverture
Affiliation facultative: une utopie?
2. Maladie, maternité, accident, invalidité:
•
•
Définitions rigides?
Inventer une assurance "mal-être"?
3. La collaboration interninstitutionnelle (CII)
•
•
Les expériences en cours entre l'assurance-chômage, l'assurance-invalidité et
l'aide sociale
Un moyen de lutter contre l'exclusion
4. Le rôle du canton dans la lutte contre l'exclusion (sous l'angle du droit social)
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Béatrice Despland - Università di Neuchâtel
1/1
Béatrice Despland est née en 1949. Elle est titulaire d'une licence es sciences de
l'éducation, d'une licence en droit et d'un diplôme d'études supérieures en droit, tous de
l'Université de Genève.
Elle a notamment été chargée de cours IDHEAP (Lausanne), a organisé le cours « les
questions féminines en Suisse » et s'est occupée d'enseignement relatif à la place de la
femme dans la sécurité sociale. Elle a également été secrétaire centrale de l'Union
Syndicale Suisse (USS), professeure en droit social à l'Ecole d'Etudes sociales et
pédagogiques et enseignante ponctuelle dans de nombreuses écoles supérieures,
universités et également pour des administrations.
En outre, elle est membre du groupe d'experts pour la révision de l'assurance-maladie,
de la Commission fédérale de coordination pour les questions familiales (viceprésidente), du comité de direction du Programme national de Recherche « problème de
l'Etat social (PNR 45) », du Conseil d'administration de la CNA (depuis janvier 2002), de
l'Institut Européen de la Sécurité sociale (Leuven, Belgique), présidente de la Conférence
des centres d'enseignement des domaines de la santé et du travail social (1998-2000),
du Conseil d'administration du Fonds de compensation de l'assurance-maternité
(Genève), et du Conseil d'administration du Fonds de compensation des allocations
familiales (Genève). Depuis novembre 2001, elle a la fonction de directrice-adjointe de
l'IDS à Neuchâtel.
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Béatrice Despland - Università di Neuchâtel
Repubblica e Cantone Ticino
Dipartimento della sanità
e della socialità
Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana
Forme del lavoro
e qualità della vita
in Ticino
Venerdì, 18 ottobre 2002
Università della Svizzera italiana
Sala polivalente, Lugano
Lavoro e sicurezza sociale in
Ticino
Carlo Marazza
Direttore dell'Istituto delle assicurazioni
sociali, membro della Commissione federale
per le questioni femminili
Lavoro e sicurezza sociale in Ticino
1
2
3
4
INTRODUZIONE.......................................................................................................................................................... 1
RIFLESSIONI CRITICHE: COSA NON VA NEI NOSTRI SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE? ................. 1
2.1 CRISI D’EFFICACIA .................................................................................................................................................. 1
2.2 CRISI DI LEGITTIMITÀ ............................................................................................................................................... 2
I CAMBIAMENTI CHE INTERESSANO IL LAVORO INFLUENZANO LA SICUREZZA SOCIALE?.......... 3
3.1 LAVORO E SICUREZZA SOCIALE .............................................................................................................................. 3
3.1.1 Il sistema svizzero dei tre pilastri........................................................................................................ 4
3.1.2 Assicurazione contro la disoccupazione............................................................................................ 7
3.2 LAVORO E POVERTÀ ................................................................................................................................................ 8
3.3 LAVORO E FAMIGLIA................................................................................................................................................ 9
RIFLESSIONI CONCLUSIVE..................................................................................................................................10
4.1 ORIENTAMENTO SETTORIALE ................................................................................................................................10
4.2 ORIENTAMENTO MULTISETTORIALE (APPROCCIO SISTEMICO) ..............................................................................10
1
Introduzione
Lo studio Forme del lavoro e qualità della vita di Christian Marazzi e Angelica Lepori è
una bella occasione per cominciare a riflettere, sorretti da dati reali ed analisi serie, sulle
conseguenze dei cambiamenti del lavoro sul benessere delle persone, dei lavoratori. Le
domande principali che mi pongo, come uomo della sicurezza sociale che rappresenta in
termini quantitativi e finanziari la politica pubblica più importante almeno nei paesi
dell’Europa occidentale, sono in che misura:
• la sicurezza sociale si assume la responsabilità di includere o escludere i cittadini
e le cittadine dal proprio sistema;
• la sicurezza sociale è reattiva o propositiva nei confronti dei cambiamenti;
• la sicurezza sociale considera i cambiamenti del lavoro remunerato e non?
2
Riflessioni critiche: cosa non va nei nostri sistemi di sicurezza
sociale?
2.1
Crisi d’efficacia
La società del lavoro cambia se muta il lavoro. Sembra lapalissiano, ma constato che non
si è ancora molto consapevoli di questo, soprattutto fra le autorità federali, che hanno le
competenze maggiori in materia di sicurezza sociale. Ho l’impressione che ci sia troppo
distacco fra le autorità federali e la realtà. Penso ad esempio all’Ufficio federale delle
assicurazioni sociali e all’assicurazione per l’invalidità, o al Segretariato di Stato
dell’economia e alle procedure sempre più complesse inserite nell’assicurazione contro la
disoccupazione. Dovremmo invece usufruire e difendere i vantaggi del nostro
federalismo, soprattutto l’applicazione decentralizzata della sicurezza sociale1.
La ricerca, compresa quella sociale, è la premessa della conoscenza. È una funzione
iterativa importante per la sicurezza sociale. Per evitare che resti sterile, fine a se stessa,
è necessaria la collaborazione e la condivisione fra ricercatori e gestori, seguendo il
processo del lavoro in divenire. La collaborazione fra la Scuola universitaria e
professionale della svizzera italiana e l’Istituto delle assicurazioni sociali è stata la
condizione per svolgere un’analisi circoscritta alla nostra regione di lingua italiana che
meriterebbe la giusta attenzione a livello federale.
1
Un progetto denominato Cooperazione interistituzionale, voluto dalla Conferenza svizzera degli Uffici AI a Lugano alcuni
mesi fa, ha preso l’avvio in questi giorni
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
1/11
Constatiamo che l’istruzione e la formazione sono orientate soprattutto alla professione. Il
tempo libero è tempo libero dal lavoro, tempo di riposo per nuovo lavoro. La prestazione
di disoccupazione risponde alla mancanza temporanea di lavoro per motivi congiunturali.
La pensione d’invalidità o per infortunio si sostituisce al salario o al reddito in caso di
eventi esterni non prevedibili. La pensione di vecchiaia è la ricompensa per una vita di
lavoro.
Cominciamo a capire che la salute è influenzata in misura notevole dagli stili di vita e
dalle condizioni di lavoro (determinanti socioeconomici), ed in misura molto minore dai
determinanti sanitari (cure sanitarie).
Incominciamo a chiederci se l’educazione dovrebbe anche essere orientata allo sviluppo
del talento individuale e delle competenze necessarie per vivere in una società in
continua mutazione, di cui il lavoro è una componente essenziale.
Ci rendiamo conto che la qualità del lavoro è determinante per le famiglie ed influenza la
conciliazione con le attività familiari e la ripartizione dei ruoli fra genitori.
La povertà residua interessa una parte sempre più importante della popolazione e
raccoglie i disoccupati di lunga durata, i nuovi poveri (pensiamo al fenomeno dei working
poor), le famiglie. I problemi di salute interessano, in modo diverso rispetto al passato,
molte persone. Le difficoltà economiche del ceto medio, in particolare delle famiglie,
aumentano.
Il paradosso di questa realtà è la contrapposizione dei costi elevati della sicurezza
sociale e dei bisogni sociali non ancora soddisfatti. La crisi d’efficacia deriva dalla duplice
logica attuale dei sistemi di sicurezza sociale:
• da una parte protettrice, inclusiva, nella misura in cui prende a carico le categorie di
persone degne d’interesse (ad esempio i salariati con l’assicurazione contro la
disoccupazione o parte di essi2 con la previdenza professionale obbligatoria per i
regimi di tipo professionale),
• dall’altra avversatrice, esclusiva, nella misura in cui non consente l’accesso ad altre
categorie di persone (ad esempio con la previdenza professionale obbligatoria per
molti lavoratori atipici e tutti i lavoratori autonomi).
I problemi finanziari attuali con i quali è confrontata la sicurezza sociale derivano anche
dalle spese della protezione contro la disoccupazione, imputabili all’andamento
congiunturale e strutturale della nostra economia, e dai costi crescenti indotti dai
cambiamenti intervenuti a partire dagli anni ’90, che interessano il lavoro e che si
ripercuotono sui rami malattia ed invalidità 3.
Questa situazione determina una sicurezza sociale piuttosto reattiva e poco propositiva
nel rispondere ai nuovi bisogni.
2.2
Crisi di legittimità
La crisi economica influenza la legittimità della sicurezza sociale. Questa crisi ha
rafforzato negli ultimi anni il ruolo delle prestazioni selettive nella lotta alla povertà, anche
se le differenziazioni crescenti che caratterizzano le famiglie e gli individui
presuppongono un adeguamento della sicurezza sociale, affinché possa meglio
considerare le eterogeneità della nostra società attuale e futura.
Considerare questa via come panacea contro tutti i mali arrischierebbe di ridurre la
sicurezza sociale alla sola lotta contro l’esclusione dei poveri. In altri termini si ridurrebbe
2
Soprattutto i lavoratori tipici e tradizionali con un certo reddito
Le spese della sicurezza sociale sono progredite in modo autonomo rispetto al reddito nazionale o cantonale. Esse,
infatti, evolvono in maniera indipendente o addirittura inversa; pensiamo a quelle che derivano dal bisogno di consumo di
beni sanitari, oppure quelle che discendono dalle difficoltà economiche e dai grossi cambiamenti economici, che
impongono l’indennizzo a scadenze più o meno regolari dei disoccupati, e che esercitano un effetto indiretto su altri settori
come quello dell’invalidità
3
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
2/11
la sicurezza sociale ad una parte di una sola funzione: quella della garanzia di un reddito
di complemento4 selettivo. Dimenticheremmo di conseguenza l’importanza che riveste la
sicurezza sociale per tutta la popolazione e revocheremmo il contratto sociale che ci
lega. Il legame esistente fra il prelevamento dei contributi sulla massa reddituale, in
particolare salariale, e le prestazioni corrisposte è un caposaldo della popolarità e
dell’accettabilità politica della funzione sostitutiva della sicurezza sociale, che deriva dalla
tecnica assicurativa, dallo strumento necessario ad applicare i redditi sostitutivi 5. Gli
assicurati sono coscienti che pagano, almeno in buona misura, per la sicurezza sociale
che viene loro offerta. La selettività in sostituzione dell’universalità spingerebbe verso una
diminuzione della solidarietà, perché le fasce più agiate della popolazione sarebbero
sempre meno disposte a finanziarla.
Il richiamo alle prestazioni selettive, giustificato in determinate situazioni, se
corrispondesse alla soppressione del rapporto fra contributi e prestazioni, con il
passaggio alle sole prestazioni mirate finanziate tramite la fiscalità in modo non
contributivo, arrischierebbe di delegittimare la sicurezza sociale. Questo è un aspetto
fondamentale che va considerato nell’adeguamento della sicurezza sociale alle nuove
forme di lavoro ed alle attività socialmente rilevanti, di cui dobbiamo essere coscienti se
non vogliamo creare degli sconquassi nel rapporto fra sicurezza sociale e lavoro 6. Al
contrario, le prestazioni selettive sono legittime per lottare contro la povertà. Per le
famiglie bisognerà far capo ad entrambe le funzioni 7.
3
I cambiamenti che interessano il lavoro influenzano la sicurezza
sociale?
3.1
Lavoro e sicurezza sociale
La relazione attuale fra lavoro e sicurezza sociale, che ha condizionato tutto il
novecento,va rivista? È una domanda che dobbiamo porci, se pensiamo all’apparizione
delle nuove forme di lavoro, alla persistenza della disoccupazione strutturale, alla
precarietà, ai problemi crescenti con i quali sono confrontate le famiglie. Queste
importanti preoccupazioni della politica sociale contemporanea pongono in discussione
l’opportunità di mantenere il legame nei termini attuali. È quindi necessario ristudiare, per
poi adeguarlo, il rapporto fra lavoro e sicurezza sociale.
All’origine, la protezione (interessante il senso etimologico del termine) sociale era
ancorata al primato del lavoro, poi, con l’avvento della sicurezza sociale e la
ridistribuzione del reddito nazionale a favore dei cittadini si è verificata una rottura solo
apparente del legame8.
Anche in futuro continueranno ad esistere dei settori rilevanti consacrati specificatamente
alla protezione dei lavoratori, che necessitano l’appartenenza alla comunità del lavoro.
Sono interessati la protezione contro i rischi professionali, quella contro la
disoccupazione o i regimi complementari legali o convenzionali (soprattutto le indennità
giornaliere).
D’altra parte l’indagine della SUPSI sugli effetti sociali della flessibilità del mercato del
lavoro in Ticino dimostra e conferma l’aumento della precarietà imputabile ai lavori atipici.
4
Che completa un fabbisogno scoperto
Che sostituiscono un reddito precedente (ad esempio l’AVS)
Gli accrediti per compiti educativi e assistenziali, introdotti dal 1. gennaio 1997 con la decima revisione dell’AVS, sono un
riconoscimento dell’attività non retribuita, soprattutto delle donne, di cui possiamo essere fieri
7
L’introduzione a partire dal 1. luglio 1997 nel nostro cantone dell’assegno di prima infanzia è il riconoscimento dell’attività
familiare, della cura dei figli piccoli delle famiglie povere, tramite una prestazione selettiva
8
Guy Perrin, Sécurité sociale, Réalités sociales, Losanna, 1993
5
6
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
3/11
L’adeguamento della sicurezza sociale alle nuove forme di lavoro (il lavoro interinale, il
lavoro su chiamata e temporaneo, il lavoro autonomo) deve perseguire, da un lato, la
protezione dei lavoratori e, dall’altro, la riduzione degli ostacoli che la sicurezza sociale
opporrebbe allo sviluppo di nuove forme di lavoro nell’interesse della promozione
dell’impiego e della valorizzazione dell’attività quale veicolo di cittadinanza (inserimento
professionale e/o sociale della persona). Un nuovo legame fra sicurezza sociale e lavoro,
che metta in risalto il lavoro non più come fonte del diritto alla prestazione sociale, bensì
come fine dell’intervento della sicurezza sociale alla quale dovrebbero essere subordinati
i regimi transitori d’indennizzo necessari all’inserimento ed al reinserimento professionale
è necessario. La mancanza di questo adeguamento costituisce la causa del trasferimento
dei casi e dei costi fra un settore e l’altro. L’assicurazione per l’invalidità è la più
penalizzata da questo stato di cose, al punto che oggi deve assumersi oltre all'andicap
sanitario, che le è proprio, pure quello sociale. Non riconoscerlo è un atto di ipocrisia
politica.
La protezione fondamentale 9 quanto agli obiettivi (diritti fondamentali e sociali ed obiettivi
sociali), che è anche di base quanto al grado d’intervento e che garantirebbe un diritto
minimo d’esistenza a tutti i cittadini deve essere adeguata ai cambiamenti. La protezione
fondamentale e di base, che non va confusa con il diritto al reddito minimo garantito (idea
ormai sorpassata in tutte le sue forme), è completata dalla protezione specifica e
complementare per i lavoratori, connessa quindi con l’esercizio di un’attività
professionale.
3.1.1 Il sistema svizzero dei tre pilastri
3.1.1.1 AVS: regime pensionistico universale 10
La sicurezza sociale dovrebbe garantire maggiore libertà agli individui nella scelta della
durata e della ripartizione del lavoro e dell’attività o della cessazione graduale del loro
lavoro. Una pensione parziale e progressiva, al posto di una pensione anticipata e ridotta
che poco influenza la riduzione della vita lavorativa, risponde meglio ad un bisogno reale
individuale e sentito da molti lavoratori salariati ed autonomi vicini al loro pensionamento
(l’11esima revisione AVS propone una prima embrionale proposta in questo senso). La
riduzione dell’età di pensionamento nei regimi pensionistici di vecchiaia non è lo
strumento appropriato per combattere gli effetti della disoccupazione dei lavoratori più
anziani.
La sicurezza sociale deve anche facilitare lo sviluppo di nuove interessanti forme di
lavoro 11, al fine di conciliare la dimensione economica dello sviluppo con quella sociale. A
questo proposito è interessante notare come all’AVS è stato conferito il compito di
decidere se un lavoratore possa affiliarsi come indipendente. Lo scopo di questo
intervento è tecnico12 e va ricollegato soprattutto alla previdenza professionale
obbligatoria. Infatti, nel nostro paese il passaggio da un’attività salariata ad una
autonoma consente il prelevamento dell’intero capitale versato dal lavoratore e dal datore
di lavoro all’istituto di previdenza13. All’AVS si è quindi assegnato il compito di controllare
ed arginare il fenomeno dell’aumento dei lavoratori indipendenti nell’interesse degli istituti
di previdenza (capitali versati agli assicuratori ed alle casse pensioni) e degli assicurati
9
La Svizzera con l’universalizzazione delle pensioni di vecchiaia e superstiti (dal 1948 con l’AVS), delle prestazioni reali e
finanziarie in caso d’invalidità (dal 1960 con la l’AI), alle quali bisogna aggiungere le prestazioni complementari all’AVS e
all’AI (dal 1966 con le PC), della garanzia delle cure mediche (dal 1996 con la LAMal), garantisce ad una buona parte della
popolazione, a tutti i pensionati superstiti invalidi e malati, una protezione fondamentale e di base
10
Che copre tutta la popolazione residente o che lavora nel nostro paese
11
Penso all’abbinamento fra lavoro parziale e sicuro e pensionamento parziale e sicuro o ai lavori autonomi
12
L’AVS, definisce chi rientra nel campo di applicazione dei regimi professionali (assicurazione contro la disoccupazione,
previdenza professionale, assegni familiari ordinari, assicurazione maternità in futuro, assicurazione contro gli infortuni e le
malattie professionali d’intesa con gli assicuratori interessati)
13
Prestazione di libero passaggio
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
4/11
interessati (perdita della copertura assicurativa). Considerato il forte trasferimento
avvenuto nell’ultimo decennio dal lavoro dipendente a quello indipendente, al punto che
Marazzi e Lepori hanno accertato in base hai dati molto rappresentativi della Cassa
cantonale di compensazione AVS che i lavoratori autonomi rappresentano in Ticino il 18
% di tutti i lavoratori, mi chiedo se sia corretto affrontare il fenomeno ancora in questo
modo, frustrante per noi che dobbiamo applicare la normativa e per coloro che ricevono
una comunicazione negativa, o se non sia meglio trovare altre soluzioni. Evidentemente
ciò presuppone la presa di coscienza, in particolare in sede federale 14, dei cambiamenti
in atto e delle nuove tendenze che interessano il mercato del lavoro. Ben vengano gli
studi quali quello della SUPSI che dovrebbero aiutarci ad aprire gli occhi.
3.1.1.2 Assicurazione per l’invalidità 15
Qual è il rapporto fra l’assicurazione invalidità e la precarietà?
• Da una parte c’è l’invalidità classica, che prende a carico gli individui con un danno
alla salute che ha conseguenze economiche (andicap sanitario);
• dall’altra, c’è la nuova invalidità, che si accolla l’andicap sociale16.
La nuova invalidità è correlata con la precarietà.
Le nostre esperienze fatte con la reintegrazione professionale, traguardo principale
dell’AI17, mostrano tre livelli di precarietà:
o la precarietà del lavoro (lavori atipici) esercitato dalle persone interessate,
o la precarietà formativa e conoscitiva degli individui coinvolti,
o la precarietà della salute 18.
A proposito della precarietà del lavoro è opportuno richiamare le considerazione
contenute nello studio della SUPSI sulle nuove forme del lavoro.
La precarietà formativa e conoscitiva dipende dalle risorse personali e dalla situazione
personale e familiare. Le risorse personali sono la discriminante maggiore. Per gli
individui con sufficienti risorse personali, in particolare formative, l’AI costituisce una
svolta di vita che consente loro un’integrazione completa (sociale e professionale). Questi
assicurati sono consci dell’aiuto ricevuto e ci ringraziano. Gli altri individui, con scarse
risorse personali, che definisco i precari dei precari19, non riescono a beneficiare
dell’aiuto dell’AI, al punto che entrano, escono e rientrano continuamente
nell’assicurazione. Essi rappresentano un terzo di tutti i casi di reintegrazione assunti
dall’AI in Ticino. Quando momentaneamente non interagiscono con l’AI, lo fanno con altri
settori, dall’assicurazione disoccupazione all’assistenza sociale passando ogni tanto
anche dall’assicurazione malattie.
La precarietà della salute vede le malattie psichiche20 ed disturbi della personalità 21 in
forte aumento. Nel 1985 rappresentavano in Svizzera il 24% di tutte le malattie
invalidanti; nel 1999 rappresentavano il 35% e costituiscono il gruppo di malattie più
invalidante. Dal 1994 al 1999, sempre a li vello svizzero, i casi di rendita d’invalidità a
seguito di malattie psichiche sono aumentate del 7% all’anno, mentre quelli imputabili ai
disturbi della personalità sono cresciuti del 10,5% all’anno 22 23. È, inoltre, interessante
14
Il Parlamento federale ha ricevuto un messaggio del Consiglio federale che propone di allineare i criteri applicati dalla
sicurezza sociale e dalle autorità fiscali. Così si evita di affrontare il vero problema
15
Prestazione universale
16
Tramite i meccanismi assicurativi tipici dell’AI (danno alla salute, a seguito della precarietà, con conseguenze
economiche)
17
Speriamo che non diventi, via via, una chimera
18
Per l’AI il danno alla salute dev’essere oggettivabile
19
Per queste persone il danno alla salute è la punta dell’iceberg, che può aprire la porta dell’AI
20
Psicosi e nevrosi
21
Ad esempio disturbi psicogeni, neurosi, casi borderline, depressivi, ipocondriaci, psicosomatici
22
Non mi soffermo in considerazioni di salute pubblica, che meriterebbero un approfondimento
23
L’aumento medio di tutte le malattie è stato del 4,4% all’anno
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
5/11
rilevare che la percentuale degli invalidi, per cause psichiche in generale, aumenta in
misura inversamente proporzionale al grado di formazione e alla professione esercitata.
In altre parole le persone semi qualificate o non qualificate sono le più toccate. Infine,
l’anno 2001 fra i nuovi casi di rendita per motivi psichici delle persone fra i 30 ed i 60 anni
mostra una presa a carico femminile maggiore rispetto a quella maschile. Il Ticino si situa
nella media svizzera.
Un aspetto che meriterebbe un approfondimento è la rinuncia da parte delle grandi
aziende (banche, assicurazioni, ex regie federali, grandi distributori) a quel ruolo sociale
al quale hanno dovuto o voluto rinunciare, trasferendo e caricando le figure per loro
problematiche sulle assicurazioni sociali. Come rispondere a questo ineluttabile
cambiamento?
3.1.1.3 Prestazioni complementari all’AVS ed all’AI 24
La povertà degli anziani, dei superstiti e degli invalidi è stata debellata dalla
Confederazione con l’AVS, l’AI e la legge sulle prestazioni complementari. Ciò costituisce
una delle grandi conquiste sociali svizzere del novecento. Le prestazioni complementari
rivestono un ruolo importante anche per i beneficiari di rendita d’invalidità, che a seguito
della loro situazione di precarietà che deriva dai lavori atipici, si vedono integrato il
minimo esistenziale. È interessante notare che in Ticino la voce di spesa di prestazione
individuale che aumenta di più è proprio quella delle PC-AI25. La risposta è perché
aumentano i casi AI. La domanda è perché aumentano i casi AI? Con riferimento a
quanto asserito prima per l’assicurazione invalidità, le prestazioni complementari all’AI
rafforzano questa tendenza; infatti, i casi PC-AI dovuti a malattie psichiche sono
aumentati nel nostro paese del 9,5% all’anno nel medesimo periodo, quelli a disturbi
della personalità al 13% 26. L’analisi di questi dati conferma l’aumento dei casi AI con
precarietà economica.
3.1.1.4 Previdenza professionale obbligatoria 27
La previdenza professionale obbligatoria è l’esempio svizzero migliore di come la
sicurezza sociale possa includere o escludere i cittadini. Questa assicurazione sociale è
orientata al lavoro salariato tradizionale, classico, e non atipico. Se si lavora per più datori
di lavoro e non si raggiunge un salario minimo equivalente a 24’780.- franchi all’anno per
il medesimo datore di lavoro non si entra nel campo di applicazione personale della legge
(LPP), detto diversamente non si è coperti.
Il Consiglio Nazionale ha quest’anno approvato delle importanti modifiche, nell’ambito
della prima revisione della LPP. Esso ha diminuito la quota di coordinamento che da
diritto alla previdenza professionale da fr. 24'780.- a fr. 18'585.-, ritenuto che bisognerà
sommare i redditi conseguiti presso più datori di lavoro. La revisione è ora al vaglio del
Consiglio degli Stati che la discuterà, assieme all’undicesima revisione dell’AVS, durante
la sessione invernale.
La precarizzazione del lavoro con l’aumento del lavoro autonomo è un ulteriore tema che
dovrebbe interessare la previdenza professionale obbligatoria.
In ogni caso il disinteressamento da parte della previdenza professionale per queste
casistiche comporterà il successivo intervento, al più tardi al momento del
raggiungimento dell’età AVS, da parte delle prestazioni complementari che sono
interamente finanziate dallo Stato.
24
Prestazioni selettive (redditi di complemento)
49 mio nel 2002, con un aumento medio del 7% negli ultimi 5 anni
L’aumento medio di tutte le malattie è stato del 7,9% all’anno
27
Regime parzialmente professionale
25
26
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
6/11
3.1.2 Assicurazione contro la disoccupazione28
Qual è il rapporto fra l’assicurazione disoccupazione e la precarietà?
Ci sono dei fatti che mostrano bene la precarietà:
• la disoccupazione di lunga durata;
• il raggiungimento della fine del diritto alle indennità di disoccupazione;
• la situazione lavorativa di coloro che percepiscono contemporaneamente l’indennità di
disoccupazione ed un guadagno intermedio.
3.1.2.1 Disoccupazione di lunga durata
Sono disoccupati di lunga durata coloro che lo sono da più di un anno e che
percepiscono ancora l’indennità. Il seco elabora un indicatore, non conosciuto e molto
significativo rispetto ai soliti dati sulla disoccupazione divulgati regolarmente in modo
abbastanza acritico, l’indice di vulnerabilità. Cos'è? È quel indice che informa sulla
precarietà di un gruppo più ristretto rispetto ad un gruppo più vasto di popolazione.
Precarietà dei disoccupati di lunga durata
CH
Totale
Disoccupati iscritti
Disoccupati lunga durata
Indice di vulnerabilità (lunga
durata % disoccupati iscritti)
Media 12
mesi
Media 6 mesi
Media 12
mesi
Media 6 mesi
Media 12
mesi
Media 6 mesi
Agosto 2001luglio 2002
1. semestre
2002
Agosto 2001luglio 2002
1. semestre
2002
Agosto 2001luglio 2002
1. semestre
2002
83’531
92’370
10’667
10’751
1
1
Regioni
Svizzera
tedesca
50’721
57’205
4’513
4’568
0,70
0,69
Svizzera
romanda e
Ticino
32’810
35’165
6’155
6’183
1,47
1,51
Età
15-24 anni
12’886
14’061
496
499
0,30
0,31
25-49 anni
54’094
60’083
6’331
6’415
0,92
0,92
50 anni e più
16’552
18’226
3’840
3’837
1,82
1,81
Constatiamo che gli assicurati più vulnerabili, quindi anche più precari, sono i disoccupati
con 50 anni e più e quelli provenienti dalla Svizzera francese e dal Ticino.
La nazionalità ed il sesso non influiscono in misura rilevante sulla vulnerabilità. Se
raffrontiamo, invece, i disoccupati di lunga durata con la popolazione attiva, rileviamo che
le donne sono più vulnerabili rispetto agli uomini (indice di 1,26 rispetto a 0,85).
3.1.2.2 Disoccupati arrivati a fine diritto
La vulnerabilità è pure stata definita da uno studio del seco29 per i disoccupati che
raggiungono la fine del diritto alle indennità di disoccupazione.
28
29
Regime professionale
Arbeitslosigkeit in der Schweiz, Registrierte Stellensuchende und Arbeitslose, seco, Berna, 2001
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona
7/11
Precarietà dei disoccupati arrivati a fine diritto
Anno 2000
Disoccupati arrivati
a fine diritto
Proporzione rispetto
al totale dei
disoccupati
Popolazione attiva
Indicatore di
vulnerabilità
Svizzera
Totale
17’129
100%
3'621’716
1,00
Donne
8’632
50,4%
1'408’977
1,30
Uomini
8’497
49,6%
2'212’739
0,81
Svizzeri
9’175
53,6%
2'809’050
0,69
Stranieri
7’954
46,4%
812’666
2,07
15-24 anni
963
5,6%
661’061
0,31
25-49 anni
9’214
53,8%
2'176’781
0,89
6’952
40,6%
783’874
1,88
Svizzero tedeschi
50 anni e più
10’243
59,8%
2'611’140
0,83
Romandi e ticinesi
6’886
40,2%
1'010’576
1,44
139’428
1,73
Ticino
Ticino
1’144
6,7%
Con riferimento ai disoccupati arrivati a fine diritto rileviamo che i più vulnerabili sono le
donne, gli stranieri, coloro che hanno 50 anni e più e coloro che abitano in Ticino.
3.1.2.3 Disoccupati che percepiscono un guadagno intermedio
L’analisi di coloro che percepiscono un guadagno intermedio è molto interessante,
perché conferma in modo molto chiaro la precarizzazione del mercato del lavoro. Questa
categoria di disoccupati è rappresentativa e secondo i dati della Cassa cantonale di
assicurazione contro la disoccupazione costituisce approssimativamente un quarto
dell’intera categoria dei disoccupati indennizzati.
Precarietà dei disoccupati che percepiscono un guadagno intermedio
Svizzera
Totale
Percentuale
Ticino
Percentuale
51’615
100%
3’327
100%
Salario mensile
9’692
19%
1’050
31%
Salario orario e
settimanale fisso
6’492
12%
413
12%
35’431
69%
1’864
57%
Salario temporaneo
e su chiamata
In Ticino, durante il primo semestre di quest’anno, i rami professionali più toccati sono
stati quelli della consulenza e informatica (del quale fanno parte le agenzie di
collocamento), ristorazione e albergheria, commercio, servizi del personale, costruzione.
Il guadagno intermedio e mensile medio ammonta in Ticino a franchi 2'299.-. questo
reddito proprio è integrato dall’indennità di disoccupazione.
3.2
Lavoro e povertà
L’estensione a tutti della protezione fondamentale è pure garanzia di lotta alla povertà,
rischio non contemplato dagli attuali sistemi di sicurezza sociale. La lotta contro la
povertà contribuisce a modificare il legame tra sicurezza sociale e lavoro nella misura in
cui l’hanno dimostrato pure i regimi di protezione contro la disoccupazione. La
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
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disoccupazione di lunga durata 30 ed il fenomeno crescente dei lavoratori poveri sono
importanti motivi di povertà. La nuova povertà, imputabile a motivi economici, designa
infatti le vittime dei processi di precarizzazione, se confrontata alle forme anteriori di
marginalizzazione ed esclusione discendenti da cause personali e sociali.
A partire dagli anni 90’ sono apparsi sulla scena del mercato del lavoro i lavoratori poveri,
i cosiddetti working poor, che pur lavorando non riescono con il loro reddito a sopperire al
loro fabbisogno minimo. Quando parliamo di working poor pensiamo alla povertà; povertà
che discende non dalla mancanza di lavoro, bensì dalla precarietà del lavoro. Il
fenomeno crescente dei working poor è un motivo importante di povertà. Durante l’ultimo
decennio l’aumento della povertà è imputabile nella misura dei due terzi alla povertà
crescente delle persone con un lavoro. Il numero dei working poor è aumentato in modo
costante, soprattutto a causa dei cambiamenti che hanno, in parte, reso più instabile e
vulnerabile (meno sicuro) il mercato del lavoro. Lo studio Marazzi/Lepori conferma che le
cause principali di precarizzazione sono lo spostamento dall’attività salariata (dipendente)
a quella autonoma (indipendente), il lavoro interinale, il lavoro su chiamata e quello a
temporaneo, ai quali va aggiunto il lavoro nero.
Nel 1999 in Svizzera il 7,5% delle persone (molti capi famiglia) con un lavoro tra i 20 ed i
59 anni non ce la faceva a sbarcare il lunario con i propri mezzi (approssimativamente
meno di 2'500 franchi netti al mese per un’occupazione a tempo pieno). Il tasso che
interessa le donne è superiore e raggiunge il 9%. Ciò significava 250'000 economie
domestiche povere e 535'000 persone, fra cui molti bambini, interessate31. Il Ticino si
colloca nella media svizzera con 7'000 lavoratori poveri a cui fa capo un’economia
domestica. Il legame fra questa povertà, legata al lavoro, ed i processi di riorganizzazione
del mercato del lavoro è esplicito. Ciò pone dei seri ed importanti problemi sociali alla
collettività. Oltre alla precarietà economica, anche l’insicurezza e la forte flessibilità
richiesta dai a
l vori atipici sono fonte di tensione a livello familiare ed hanno delle
ripercussioni sulla salute. La conseguenza è la presa a carico dei bisogni, soprattutto
economici, ed il trasferimento dei costi sullo Stato: penso soprattutto all’assicurazione
invalidità, all’assistenza sociale ed all’assicurazione malattia.
Anche l’armonizzazione ed il coordinamento delle prestazioni sociali cantonali a carattere
finanziario 32, buona parte dei redditi di complemento (prestazioni selettive), approvata ed
adeguata dal Gran Consiglio nel giugno del 2000 e del 2002, permetterà, da un profilo
che interessa la sicurezza sociale, di rispondere a sua volta anche al problema dei
working poor.
3.3
Lavoro e famiglia
A questo proposito è opportuna la distinzione fra flessibilità, termine che oggi ha
purtroppo assunto la connotazione di parola valigia 33, concetto non falsificabile secondo
Karl Popper, e precarietà del mondo del lavoro. È anche nell’interesse della sicurezza
sociale facilitare la flessibilità (pensiamo alle famiglie ed al lavoro fisso a tempo parziale)
e rispondere con nuove modalità, che superano la vecchia assistenza sociale, alla
precarietà.
Alla povertà delle famiglie il nostro Cantone ha risposto in buona misura con la legge
sugli assegni di famiglia, con l’assegno integrativo e quello di prima infanzia,
recentemente consolidata ed adeguata dal Gran Consiglio con la prima revisione della
legge. Con questa legge il Ticino ha trasferito l’intervento a favore delle famiglie povere
dall’assistenza sociale all’assicurazione sociale. In questo modo siamo stati i primi ad
iniziare una vera e propria politica familiare in Svizzera. A livello federale acquista
sempre più peso l’idea che al fenomeno dei working poor si possa rispondere con delle
30
In questa occasione penso a coloro che hanno esaurito le indennità di disoccupazione o che non le hanno mai percepite
T. Bauer e E. Streuli, studio effettuato dallo studio Bass su mandato del Ufficio federale di statistica, 2001, Berna
Contemplata dalla nuova legge sull’armonizzazione e il coordinamento delle prestazioni sociali (Laps) del 5 giugno 2000
33
Luciano Gallino, Se tre milioni vi sembrano pochi, Einaudi, Torino, 1998, pag. 29
31
32
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9/11
misure che discendono da due politiche pubbliche: la politica del mercato del lavoro e la
politica familiare. Il Ticino con la sua politica familiare ha pure risposto al problema dei
working poor, padri e madri di famiglia, ed ha risposto alla crescente femminilizzazione
della povertà, diminuendo il numero delle mamme povere. La prima revisione della legge
sugli assegni di famiglia, adegua la legge anche ai modi di lavorare ed introduce le
misure di appoggio 34 per le famiglie povere, che hanno lo scopo, soprattutto per le
mamme di conciliare l’attività familiare con quella professionale.
Comunque, più in generale, la centralità del lavoro, come fonte di reddito e di
integrazione sociale, presuppone per tutti i genitori, non solo quelli poveri, la ricerca di
una migliore compatibilità fra famiglia e professione. La partecipazione delle donne al
mercato del lavoro e l’accresciuta flessibilità del mondo del lavoro sollecitano nuove
risposte. Il nuovo disegno di legge per le famiglie, approvato dal Governo lo scorso 25
giugno, considera queste mutate esigenze.
4
Riflessioni conclusive
4.1
Orientamento settoriale
Le riflessioni fatte per la sicurezza sociale ci dimostrano che la dialettica sociale è quella
tra coloro che appartengono alla comunità economicamente e socialmente protetta
(inclusi) e coloro che vivono ai suoi margini o al di fuori di essa (esclusi). Il conflitto
attuale e futuro è quello tra coloro che beneficiano del benessere e coloro che ne sono in
parte (il problema da noi si pone soprattutto a questo livello) o totalmente esclusi. Uno
sviluppo durevole 35 che consideri le dimensioni, sociale economica ed ambientale dei
problemi e dei bisogni, è la premessa per risolvere questo conflitto.
L’attuale concezione (definita analitica) che condiziona l’approccio, ancora applicata nel
nostro paese, è molto settoriale. Diversi problemi del nostro sistema di sicurezza sociale
svizzero derivano, anche inconsapevolmente, da questo approccio, che non può che
essere reattivo36.
Ho l’impressione che l’UFAS si concentra sulla dimensione sociale ed il seco su quella
economica. Quella ambientale poi è negletta (un esempio: disoccupazione e mobilità).
Ciò incrementa la crisi di efficacia della sicurezza sociale.
4.2
Orientamento multisettoriale (approccio sistemico)
Affrontare i temi connessi con il lavoro e la povertà, il lavoro e la famiglia, il lavoro e la
formazione, il lavoro e la salute, le nuove forme di lavoro ed il mercato del lavoro, il diritto
del lavoro e la sicurezza sociale, significa uscire dalle logiche settoriali.
La lotta contro la povertà presuppone un complesso di diritti fondamentali che
garantiscano un minimo esistenziale37, le cure sanitarie e l’inserimento/reinserimento
professionale e sociale. Questa protezione fondamentale difetta ancora, a livello
svizzero, delle prestazioni familiari (nel senso di una loro universalizzazione) e di quella
di maternità 38.
34
Se il genitore che percepisce un assegno di prima infanzia esercita un’attività lavorativa può beneficiare del rimborso
delle spese di collocamento dei figli in un asilo nido riconosciuto ed autorizzato o presso una mamma diurna riconosciuta
35
Lo sviluppo durevole o sostenibile presuppone che il benessere sociale, ambientale ed economico possa essere
assic urato a lungo termine. L’equilibrio fra le tre dimensioni del benessere richiede un approccio sistemico
36
Per il Consiglio federale lo sviluppo durevole (o sostenibile) non è un’altra politica settoriale, bensì un principio regolativo
che deve essere integrato in tutte le politiche settoriali (rapporto del CF Strategia per uno sviluppo sostenibile 2002 del 27
marzo 2002
37
L’AVS con le PC e gli assegni familiari ticinesi di complemento (AFI ed API) sono gli esempi svizzeri migliori
38
L’iniziativa Triponex, approvata dal Consiglio Nazionale, propone un’assicurazione maternità per le madri salariate ed
indipendenti nell’ambito della legge sull’indennità per perdita di guadagno in caso di servizio militare e civile
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
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A questa protezione si aggiunge quella specifica, che interessa i lavoratori; in particolare
l’indennità giornaliera in caso di malattia (legale o convenzionale), d’infortunio, di servizio
militare o civile, le prestazioni in caso d’infortunio o malattia professionale, la previdenza
professionale obbligatoria e facoltativa, l’assicurazione contro la disoccupazione. A
questo livello è importante riflettere sulle conseguenze delle nuove forme di lavoro. La
protezione specifica dei lavoratori autonomi (indipendenti), come pure quello
dell’adeguamento alle nuove forme di lavoro, sono temi che meritano risposte soprattutto
in sede federale. A livello cantonale c’è da chiedersi se non esistono i mezzi di manovra
per rispondere alla precarizzazione del lavoro, realizzando, con modalità da studiare,
delle strutture che sappiano orientare e sostenere il passaggio del lavoratore da
un’occupazione all’altra. Lo scopo sarebbe quello di garantire una certa stabilità, con tra
l’altro conseguenze positive anche sulla salute, anche ai lavoratori atipici. Anche il
reinserimento nel lavoro, importante per le assicurazioni federali disoccupazione ed
invalidità, potrebbe beneficiarne, con interessanti risvolti a livello cantonale. Inoltre, la
polarità fra prestazioni universali e selettive, che condiziona l’adeguamento del nostro
sistema di sicurezza sociale, è importante per uno Stato federale come la Svizzera, dove
è necessario suddividere i ruoli ed essere consci delle competenze39. L’adeguamento del
sistema, in particolare delle assicurazioni sociali40, è competenza della Confederazione;
le politiche selettive e mirate sono soprattutto di competenza dei cantoni.
Alle nuove forme di lavoro non corrispondono solo maggiori difficoltà nell’impiego, ma
anche un cambiamento dei valori sociali che sorreggono il lavoro e che influenzano la
sicurezza sociale. Il legame tra sicurezza sociale e lavoro deve essere quindi in parte
rivisto; il lavoro ha smesso di essere, almeno per la maggioranza, unicamente la fonte di
reddito più importante, per diventare anche un veicolo di realizzazione personale e di
inserimento sociale determinante. In questo senso il lavoro è connotato anche
socialmente e non solo economicamente, perché si configura come attività, attività
accanto ad altre (personali, familiari, culturali, sociali, di svago) 41.
L’adeguamento continuo e durevole della sicurezza sociale, non settoriale bensì
multisettoriale, è premessa di propositività nei confronti di tutti i cambiamenti, soprattutto
quelli che interessano il lavoro, e costituisce la leva più forte per migliorare la qualità di
vita dei cittadini 42, quindi pure dei lavoratori.
39
Nel nostro paese questo approccio deve pure considerare il federalismo
Le assicurazioni sociali rappresentano una tecnica utilizzata dalla sicurezza sociale per realizzare le proprie funzioni (ad
esempio i redditi sostitutivi)
41
Futuribles, Les valeurs des Européens, juillet-août 2002, numéro 277, Paris, pag. 63 e segg.
42
La concezione funzionale, nata in sede internazionale, fa dell’approccio multisettoriale la modalità di funzionamento del
sistema di sicurezza sociale moderno. I nostri sistemi di sicurezza sociale contemplano quattro funzioni, dette costitutive.
Sono la protezione e la promozione della salute, la garanzia di un reddito sociale sostitutivo del reddito professionale (ad
esempio le pensioni), la garanzia di un reddito sociale di complemento alle famiglie e a coloro che non sono in grado di
sopperire ai loro bisogni esistenziali con un reddito professionale o sostitutivo sufficiente, la protezione contro la
disoccupazione (prevenzione, reinserimento, indennizzo) che si estende alla valorizzazione delle risorse umane
(mantenimento e promozione dell’impiego). La prevenzione, il reinserimento sociale e professionale, la ricerca e l’azione
sociale coadiuvano le citate quattro funzioni (funzioni iterative).
40
Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002
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11/11
Carlo Marazza è nato nel 1956. Ha conseguito la licenza di diritto presso l'Università di
Ginevra e sostenuto la pratica forense presso un noto studio legale di Chiasso e Lugano.
Sposato e padre di un figlio.
Giurista ed avvocato alle dipendenze dello Stato dal 1987 prima come capo del centro di
legislazione e documentazione, dal 1990 è direttore dell’Istituto delle assicurazioni sociali,
che attualmente conta 200 collaboratori, al quale fanno capo la Cassa cantonale di
compensazione AVS/AI/AIPG, con i compiti cantonali in materia di prestazioni
complementari e assicurazione malattia, la Cassa cantonale di assicurazione contro la
disoccupazione, la Cassa cantonale per gli assegni familiari e l’Ufficio cantonale
dell’assicurazione invalidità.
È attivo in diverse commissioni e gruppi federali sulle assicurazioni sociali, è stato vicepresidente della Conferenza svizzera delle casse cantonali di compensazione AVS.
È presidente della Commissione tripartita cantonale in materia di libera circolazione delle
persone a seguito dell’entrata in vigore degli accordi bilaterali con l’Unione europea ed è
membro della Commissione federale per le questioni femminili.
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