Il Dipartimento della sanità e della socialità e la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana invitano alla conferenza Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 - ore 08.30 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano www.ti.ch/salute Interverranno Patrizia Pesenti Christian Marazzi Angelica Lepori Luciano Gallino Béatrice Despland Carlo Marazza Presidente del Consiglio di Stato SUPSI SUPSI Università di Torino Université de Neuchâtel Istituto delle assicurazioni sociali Iscrizioni & Informazioni Sezione sanitaria - 6500 Bellinzona Fax 091 8253189 - e-mail [email protected] - http://www.ti.ch/salute Repubblica e Cantone del Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Programma Ore 08:30 Accoglienza Ore 09:00 Apertura Maurizio Corti, giornalista RTSI Ore 09:15 Introduzione Patrizia Pesenti, Presidente del Consiglio di Stato Ore 09:30 Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Christian Marazzi e Angelica Lepori, Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Ore 10:15 Lavoro flessibile, società flessibile: progetto riformista o rischio per l'integrazione sociale? Luciano Gallino, Università di Torino Ore 10:45 Pausa Ore 11:00 Nouvelles modalités de travail et assurances sociales: cause de précarité ? Béatrice Despland, Université de Neuchâtel Ore 11:30 Lavoro e sicurezza sociale in Ticino Carlo Marazza, Istituto delle assicurazioni sociali Ore 12:00 Discussione Ore 12:20 Conclusioni Maurizio Corti, giornalista RTSI Ore 12:30 Chiusura Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Maurizio Corti Giornalista presso la Televisione Svizzera italiana, redazione TG della Non si può dire che questo secolo sia cominciato nel migliore dei modi rispetto alle prospettive economiche, sociali, ambientali, dei rapporti fra i popoli. L'evoluzione internazionale conosciuta nell'ultimo decennio e molti eventi di questi ultimi mesi registrati anche nel nostro paese hanno fatto emergere nuove paure e insicurezze. La più ampia autonomia consegnata al libero mercato ha generato anche traumi e disillusioni. Basti scorrere copertine, titoli di quotidiani, riviste, giornali radio e tv per rendersi conto che molti meccanismi si sono inceppati nel sistema economico prevalente. Se i mezzi di comunicazione sono specchio - seppur non sempre fedele e imparziale della realtà che ci circonda, quel che ci viene trasmesso quotidianamente dai flussi di informazione è un'immagine ricca di contraddizioni e interrogativi. Non solo per colpa della deriva del giornalismo, ma anche perché gli avvenimenti, le notizie hanno saputo superare anche l'immaginabile. Attraverso alcuni esempi sui contenuti dei mezzi di informazione, si può interpretare il disagio che vivono oggi molte società occidentali, Svizzera compresa. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Maurizio Corti - giornalista RTSI Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Lavoro flessibile, società flessibile: progetto riformista o rischio per l'integrazione sociale? Patrizia Pesenti Presidente del Consiglio di Stato Direttore del Dipartimento della sanità e della socialità Inchiesta sugli effetti sociali della flessibilità del mercato del lavoro in Ticino Gentili Signore, Egregi Signori, sono particolarmente contenta di essere qui oggi per la presentazione e discussione della ricerca sul tema “ Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino. Inchiesta sugli effetti della flessibilità del mercato del lavoro in Ticino” realizzata dalla SUPSI su mandato del Dipartimento della sanità e della socialità. In primo luogo vorrei ringraziare i due autori dell’inchiesta Christian Marazzi e Angelica Lepori per l’ottimo lavoro svolto. Questo studio si inserisce in un’ampia riflessione che il DSS ha avviato in questa legislatura. Partendo dalla constatazione che il modo in cui lavoriamo sta rapidamente cambiando, come responsabili della sanità e della socialità abbiamo voluto vedere come le nuove forme di lavoro influiscono sulla salute delle persone e quali effetti hanno sulle garanzie/sicurezza sociale. Del primo tema (nuove forme di lavoro come determinanti della salute) ci occuperemo ancora in modo più approfondito in una giornata, il 6 novembre prossimo. Mentre oggi vogliamo approfondire la conoscenza degli effetti delle nuove forme di lavoro sulla qualità della vita. Personalmente devo molto a Charles Leadgeater, un ricercatore inglese che già nel 1998 ha saputo mettere a fuoco e anticipare il tema del crescente contrasto tra flessibilità e sicurezza sociale (The employee mutal, Demos/Reed 1998). A distanza di qualche anno quelle che sembravano anticipazioni e frutto di un think tank molto attento, costituiscono una realtà evidente, sotto gli occhi di tutti. L’inchiesta di Christian Marazzi è una delle più complete e interessanti realizzate a livello europeo e sul piano nazionale svizzero costituisce una vera e propria novità nel panorama delle ricerche sinora compiute. Per la prima volta è stata effettuata nel nostro paese un’inchiesta sui lavoratori cosiddetti atipici, facendo emergere i loro vissuti, le loro preoccupazioni e le loro aspettative attraverso delle interviste aperte. Si è così data la parola per la prima volta a soggetti che di giorno in giorno sperimentano sulla loro pelle la “rivoluzione silenziosa” in atto dei nuovi modi di lavorare caratterizzati da ampie dosi di precarietà e flessibilità. Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità 2 L’espressione “rivoluzione silenziosa” è più che appropriata. Negli anni ’90, che sono stati anni di crisi economica, il numero di persone con un’attività remunerata è rimasto più o meno stabile in Svizzera. E' cambiata invece la composizione della popolazione attiva. E’ aumentato di molto il numero di persone occupate a tempo parziale mentre sono diminuiti gli occupati a tempo pieno. Ma ciò che più colpisce è l’aumento delle cosiddette forme di lavoro atipiche (lavoro a tempo determinato, su chiamata, in affitto svolto cioè con l’intermediazione di agenzie di collocamento, ecc.). E' aumentato il numero di lavoratori cosiddetti autonomi che si sono messi in proprio dopo aver perso il lavoro ed essere stati in disoccupazione per un certo periodo. L’aumento del numero di questi lavoratori riflette anche la politica delle grandi imprese che esternalizzano funzioni precedentemente affidate ai loro personale salariato. La ricerca è stata effettuata in un periodo di alta congiuntura e relativamente bassa disoccupazione. Non sappiamo quale sarà la tendenza dei prossimi anni considerate le previsioni di crescita vicine allo zero. Queste tendenze in atto destabilizzano i piani e i progetti di vita degli individui, determinano una discontinuità dei redditi. E , soprattutto, vengono ridotte in misura importante le garanzie offerte dalle assicurazioni sociali, ancora oggi basate sul modello del lavoro stabile (possibilmente addirittura nella stessa ditta) e a tempo pieno. Per dirla in altre parole il nostro sistema di sicurezza non regge una discontinuità troppo marcata. Per questa ragione è importante rispondere a questi mutamenti con una profonda innovazione delle politiche sociali tanto più che la Svizzera, stando ad alcuni studi dell’Organizzazione della cooperazione e dello sviluppo economico (OCSE) è uno dei paesi europei con il mercato del lavoro meno regolamentato in termini di tutela dei lavoratori. All'inizio della legislatura abbiamo fissato l'obiettivo di modernizzare le garanzie sociali in risposta alla flessibilizzazione del mercato del lavoro.1 1 Cfr. Rapporto al Gran Consiglio sul secondo aggiornamento delle Linee direttive e del Piano finanziario 2000-2003 (ottobre 2001) scheda programmatica n. 2, misura 3, pag. 40: “L’innovazione dello Stato sociale consiste nel tradurre in positivo (in autonomia e in libertà individuale) la flessibilizzazione implicita nella società del rischio…Si tratta di un compito nuovo con il quale lo Stato si trova confrontato in un’epoca in cui l’imprevedibilità degli eventi riguarda la comunità intera, e non soltanto i più sfavoriti Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità 3 Gli autori dello studio formulano alcune proposte operative e alcuni spunti di riflessione al capitolo dell’innovazione delle politiche sociali. Nell’ottica dei lavoratori atipici, il problema più serio con il quale si trovano confrontati riguarda proprio l’assenza di tutele adeguate in termini di assicurazione malattia, disoccupazione, previdenza professionale, periodi di vacanza ecc. Accolgo quindi l'invito degli autori dell’inchiesta ad approfondire dal profilo politico l'elaborazione di nuove forme di sicurezza sociale in risposta alla maggiore flessibilità del mercato del lavoro. Anche se occorre dire subito che le proposte e le piste di riflessione avanzate dagli autori dell’inchiesta si possono realizzare soltanto modificando leggi a livello federale (revisione della legge sul lavoro, del Codice delle obbligazioni e ancora delle leggi sulle varie assicurazioni sociali). I margini di manovra lasciati ai Cantoni sono più ridotti. Non per questo il Ticino intende rimanere inattivo. Il nostro cantone ha dimostrato già in passato di saper proporre soluzioni innovative in ambito sociale e sanitario. In un certo senso vogliamo rimanere fedeli alla nostra tradizione di Cantone che sa anticipare. Del resto non si può restare indifferenti e inattivi politicamente di fronte ad un’evoluzione del mercato del lavoro in cui il precariato tende sempre più a diffondersi. Se queste forme atipiche di lavoro, che negli anni ’90 hanno conosciuto un forte incremento. In Ticino e in Svizzera, dovessero applicarsi al 20-30 e più percento delle persone occupate, il mercato del lavoro sarebbe rischioso per quasi tutti i lavoratori: gli uni perché sperimentano sulla loro pelle le conseguenze della precarietà, gli altri perché lavorano con la paura della precarietà. Non possiamo dimenticare che dietro ad ogni lavoratore indipendente, autonomo, in affitto o su chiamata vi è la quotidianità di molti uomini e donne confrontati con l’insicurezza economica, l’impossibilità di attuare progetti personali e familiari, di stringere amicizie stabili sul posto di lavoro, di costruirsi una identità e una integrazione sociale attraverso il lavoro. Per dirla in altre parole con l'impossibilità di vivere dignitosamente. La flessibilità non è qualcosa di negativo a priori. Essa diventa però un disagio se le sicurezze e le garanzie sociali che erano e sono ancorate al lavoro stabile, vanno perdute con un lavoro precario o instabile. La flessibilità va perciò regolamentata tanto in termini di garanzie sociali che di diritto del lavoro che di tipologie della stessa flessibilità. Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità 4 Compito della politica è quello di dare risposte collettive ai nuovi bisogni, alle nuove emergenze e, nella misura del possibile, di anticipare i problemi. I nuovi modi di lavorare richiedono nuove risposte. Lo studio di Christian Marazzi e Angelica Lepori apre una prospettiva in questo senso che ha sicuramente il merito di sollevare un’ampia discussione attorno a questo tema. Lo Stato sociale tradizionale, con le assicurazioni federali tradizionali, di basa su un sistema di compensazioni per una disfunzione puntuale (malattia, invalidità, disoccupazione, vecchiaia ecc.).Ma in contesto di precarietà crescente, di accentuata disuguaglianza dei redditi e di frammentazione, lo Stato sociale non può intervenire soltanto passivamente per indennizzare. Si intravede sempre più la necessità di “personalizzare” gli strumenti di intervento per dare risposte concrete e valide a problemi che sono specifici e differenti. Occorre perciò ridefinire la rete sociale, evitando forme paternalismo e assistenzialismo per mettere il cittadino e i suoi bisogni al centro dell’azione politica. Vorrei terminare questo mio intervento con una citazione di Alain Touraine che ben illustra la sfida che attende la politica sociale. Sappiamo che esistono dei condizionamenti economici e che le risorse che si possono distribuire non possono essere aumentate indipendentemente dalla produzione e dalla produttività. Ma questa coscienza dei condizionamenti economici deve essere completata e riequilibrata da una coscienza altrettanto forte delle domande sociali , delle nuove forme possibili e necessarie di partecipazione sociale . Emarginare queste categorie di lavoratori in uno stato di inferiorità, è incompatibile con la democrazia, perché la democrazia è malata quando una società nasconde a se stessa una parte importante di questa realtà.2 Vi ringrazio della vostra attenzione. Patrizia Pesenti Consigliere di Stato 2 Alain Toraine, prefazione allo studio di Anne-Marie Guillemard, Le déclin du social, PUF, Paris, 1986, p. 16 Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità 5 Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Sintesi della ricerca Angelica Lepori Ricercatrice presso il Dipartimetno di lavoro sociale della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Christian Marazzi Dottore in economia, docente e responsabile della ricerca presso il Dipartimento di lavoro sociale della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita Sintesi Su mandato del Dipartimento della sanità e della socialità (DSS), il Dipartimento di lavoro sociale (DLS) della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI) ha realizzato un’inchiesta sul rapporto tra le nuove forme del lavoro e la qualità della vita nel cantone Ticino. Tale studio fa parte di una più vasta riflessione avviata dal DSS sui determinanti economici della salute della popolazione ticinese. Le trasformazioni del mercato del lavoro, infatti, possono generare effetti sulle condizioni esistenziali della popolazione attiva che a loro volta si ripercuotono in ambiti sociali più vasti, dalla famiglia alla società nel suo insieme. Obiettivo principale della prima parte della ricerca è quello di far emergere il punto di vista e il vissuto dei lavoratori “atipici” rispetto alla loro condizione professionale, analizzare cosa pensano i lavoratori stessi della flessibilità e della precarietà 1. Per svolgere l’indagine sono state individuate due categorie di lavoratori: i lavoratori interinali e i neo indipendenti ai quali è stato inviato per posta un questionario a risposte chiuse2. Parallelamente ai questionari sono state svolte 21 interviste: 11 a persone che lavorano attraverso le agenzie di collocamento privato, 10 a lavoratori indipendenti3. Prima di procedere alla fase di inchiesta è stato necessario ricostruire il contesto nel quale l’inchiesta stessa si è sviluppata e analizzare concretamente i mutamenti che hanno toccato il mercato del lavoro a partire dagli anni ’90 in Svizzera e in Ticino. 1. Il mercato del lavoro negli anni ‘90 I mutamenti avvenuti nel mercato del lavoro in Svizzera e in Ticino possono essere così sintetizzati: Il numero di persone occupate è rimasto in questi anni generalmente stabile, è però cambiata la composizione di questa popolazione. In particolare per quanto riguarda i lavoratori dipendenti sono aumentati coloro che sono occupati a tempo parziale e sono invece diminuiti gli occupati a tempo pieno. Oggi in Svizzera il 30,7% delle persone occupate lavora a tempo parziale, di questi lavoratori la stragrande maggioranza sono donne. In Ticino i lavoratori a tempo parziale rappresentano circa il 20% del totale degli occupati, il loro numero è in costante aumento negli ultimi dieci anni4. 1 L’intero rapporto di ricerca è disponibile presso il Dipartimento di Lavoro sociale della SUPSI. Per i lavoratori interinali sono stati inviati 800 questionari a persone scelte a caso tra coloro che nel 2000 erano iscritte alla cassa di compensazione cantonale dell’AVS come lavoratori interinali o senza un impiego duraturo sull’arco dell’anno. In totale sono rientrati 256 questionari di cui 244 ritenuti validi. Il questionario per i lavoratori indipendenti è stato distribuito a un campione di 3000 persone scelte a caso tra coloro che nel 2000 erano iscritte presso l’AVS come indipendenti. Si è inoltre deciso di prendere in considerazione solo le persone che risultavano indipendenti al massimo da 5 anni (iscritte quindi all’AVS come indipendenti al massimo dal 1995). In questo caso sono rientrati 1169 questionari di cui 1152 validi. 3 Presso il Dipartimento di lavoro sociale della SUPSI sono disponibili le trascrizioni di tutte le interviste. 4 Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel, 2001 Per il Ticino i dati sono dell’Ufficio cantonale di statistica (USTAT) 2 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 1/15 35 128 30 126 124 25 122 20 120 118 15 116 10 114 112 5 persone in migliaia a tempo pieno persone in migliaia a tempo parziale Grafico 1 Evoluzione delle persone occupate a tempo pieno e a tempo parziale in Ticino dal 1991 al 2001 110 0 108 1995 1996 1997 tempo parziale 1998 1999 2000 tempo pieno Fonte: USTAT, Bellinzona 2000 Sul mercato del lavoro sono presenti nuove figure professionali caratterizzate in genere da ampie dosi di precarietà e flessibilità. I contratti a tempo indeterminato rimangono la forma prevalente di impiego, anche se i contratti con durata determinata sono in aumento (+11% dal 1996 al 2000) 5. Inoltre il numero di persone con impieghi atipici è aumentato negli ultimi sei anni del 24% 6. Una particolare forma di lavoro precario ha assunto in questi anni un’importanza rilevante: il lavoro interinale 7. Nel 2000 le persone collocate in Svizzera attraverso le agenzie di lavoro interinale erano 204.612, il loro numero negli ultimi cinque anni ha subito un incremento del 96%. In Ticino le persone collocate temporaneamente tramite agenzia erano nel 2000 4520 (+89% dal 1995 al 2000)8. I lavoratori interinali rappresentano oltre il 5% di tutta la forza lavoro occupata, una percentuale notevolmente superiore alla media dei paesi dell’Unione europea che si attesta attorno all’1,5%. La maggioranza dei lavoratori interinali sono uomini e di nazionalità svizzera. Il numero di donne impiegate in modo temporaneo è però aumentato più velocemente di quello degli uomini. In questo senso è possibile prevedere una “femminilizzazione” del lavoro interinale. Inoltre la percentuale di stranieri tra i lavoratori interinali è notevolmente più alta di quella che si registra sul totale della manodopera occupata. Si può quindi affermare che gli stranieri sono particolarmente toccati dal lavoro interinale e precario. 5 Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel, 2001 6 Secondo la definizione dell’Ufficio federale di statistica i lavoratori atipici sono coloro che hanno almeno 2 impieghi. 7 Il lavoro interinale è quello svolto in un’azienda attraverso l’intermediazione di un’agenzia di collocamento privato. 8 I dati provengono dalla pubblicazione del Segretariato di Stato all’economia (SECO), Placement et location de service, SECO, Berna, 2001 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 2/15 250'000 5000 4500 200'000 4000 3500 150'000 3000 2500 100'000 2000 1500 50'000 1000 500 0 0 1995 1996 1997 temporanei in Ticino 1998 1999 persone occupate in modo temporaneo in Ticino persone occupate in modo temporanei in Svizzera Grafico 2 Evoluzione delle persone collocate in modo temporaneo dal 1995 al 2000 2000 temporanei in Svizzera Fonte: SECO, Berna 2001 In Svizzera le agenzie di lavoro temporaneo nel 2000 hanno fornito prestazioni lavorative per 84.788.276 ore di lavoro (l’equivalente di circa 45.000 posti di lavoro a tempo pieno), in Ticino le ore di lavoro prestate hanno toccato quota 1.706.764 (l’equivalente di circa 900 impieghi a tempo pieno). 90'000 1'800 80'000 1'600 70'000 1'400 60'000 1'200 50'000 1'000 40'000 800 30'000 600 20'000 400 10'000 200 0 ore di lavoro in migliaia in Ticino ore di lavoro in migliaia in Svizzera Grafico 3 Ore di lavoro temporaneo effettuate dal 1995 al 2000 in Svizzera e in Ticino 0 1995 1996 1997 svizzera 1998 1999 2000 ticino Fonte: SECO, Berna 2001 La flessibilità è entrata a far parte del vissuto anche di molti lavoratori, indipendentemente dal loro rapporto di lavoro. Si calcola infatti che circa il 42% degli occupati in Svizzera ha un orario di lavoro flessibile; il 5% lavora su chiamata (di questi il Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 3/15 60% non ha nessuna garanzia di orario settimanale); il 4,4% lavora regolarmente di notte e l’8% è occupato regolarmente la domenica9. Anche il numero di lavoratori indipendenti è in aumento (+49% dal 1991 al 2000) e oggi questi rappresentano il 18% degli occupati in Svizzera. All’interno di questa categoria si trovano figure professionali diverse, dall’imprenditore, al libero professionista, fino al lavoratore autonomo. Più della metà degli indipendenti non ha dipendenti 10. Una buona parte dei lavoratori autonomi si è messa in proprio dopo aver perso il lavoro e essere stata in disoccupazione. Esiste anche tra gli indipendenti una percentuale non irrilevante di persone che vivono in condizioni di precarietà e insicurezza. Per quanto riguarda la disoccupazione si constata in linea generale che il lieve calo registrato a partire dalla seconda metà degli anni ’90 sta per lasciare il posto ad un nuovo incremento delle persone in cerca di un impiego11. Lo stesso discorso può essere fatto per quel che riguarda le persone inoccupate recensite dall’Ufficio federale di statistica. Da questi dati risulta inoltre che sono notevolmente aumentate le persone sottooccupate12. L’Ufficio di Statistica sostiene che una persona su 10 non ha abbastanza lavoro, di queste 101.000 sono inoccupate e 334.000 sono invece sottooccupate. In totale queste persone rappresentano il 10,8% della popolazione attiva 13. I mutamenti del mercato del lavoro hanno influenzato anche l’andamento del livello dei salari. In generale, se si osservano i salari reali, si nota come questi siano tendenzialmente rimasti stabili, se non addirittura diminuiti. Esistono chiaramente differenze all’interno dei singoli settori economici e tra i diversi lavoratori. Rimane comunque il fatto che oggi il 21% dei salariati svizzeri ha uno stipendio inferiore ai 3000 franchi netti e l’1,2% ha invece un salario superiore ai 10.000 franchi. Anche le forme di remunerazione sono state direttamente toccate dalla flessibilità: in molti settori sono state introdotte forme di remunerazione legate all’andamento dell’impresa o al merito del dipendente 14. Sul finire degli anni ’90 è poi emerso in modo evidente il fenomeno dei cosiddetti “lavoratori poveri”, persone che pur avendo un impiego non raggiungono il minimo vitale. Si calcola che in Svizzera i working poor siano 250.000, il 7,5% delle persone occupate. L’emergere delle “nuove povertà” è legato ai processi di riorganizzazione del mercato del lavoro. I lavoratori a tempo parziale, con orari flessibili e con contratti a tempo determinato sono più a rischio di diventare “lavoratori poveri”. Particolarmente rilevante è poi la quota di lavoratori indipendenti che sono poveri. Anche le interruzioni di carriera possono rappresentare un elemento di caduta nella povertà. Si osserva poi che i nuovi impiegati in una stessa azienda o funzione hanno più possibilità di diventare poveri rispetto a coloro che vi lavorano da molto tempo15. 9 Ufficio federale di statistica (UST), Les femmes travaillent plus souvent dans des conditions atypiques que les hommes, Neuchâtel, 2001; Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel, 2001 10 Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel, 2000 11 Segretariato di Stato all’economia (SECO), Le chômage en Suisse, Berna, 2001 12 Per persone sottooccupate si intende quei lavoratori che hanno un impiego a tempo parziale, ma desidererebbero lavorare di più. 13 Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel, 2001 14 Ufficio federale di statistica (UST), Enquête suisse sur les salaires 1999, Neuchâtel, 1999; Ufficio federale di statistica (UST), Differences de rémunéretion du travail très marquée selon les secteurs économiques et les catégories salariés, Neuchâtel, 2001 15 Ufficio federale di statistica (UST), Working Poor in der Schweiz, Neuchâtel, 2002 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 4/15 E’ in questo quadro quindi che si inserisce l’inchiesta svolta in Ticino. Un contesto nel quale la flessibilità del mercato del lavoro, in tutte le sue forme, ha assunto dimensioni importanti, ponendo all’ordine del giorno nuove problematiche. 2. Il lavoro flessibile in Ticino: un’indagine empirica tra i lavoratori 2.1. lavoratori interinali: aspettando il futuro Le caratteristiche del campione Il campione è composto prevalentemente da uomini, di nazionalità svizzera, che si collocano in una fascia di età che va dai 18 ai 35 anni e celibi. La percentuale di donne non è trascurabile (21%). Tra di esse troviamo una quota più importante rispetto agli uomini di persone sole (sia nubili che separate). E’ invece minore la presenza di donne sposate. Anche le donne si collocano in maggioranza in una fascia di età inferiore ai 35 anni. Circa il 40% del campione è rappresentato da stranieri. Tra di essi è più alta la percentuale di persone sposate e di età superiore ai 35 anni rispetto alla popolazione svizzera. Per gli stranieri il lavoro interinale e precario è meno che per gli svizzeri una soluzione transitoria. Il campione presenta un grado di formazione particolarmente basso: la maggioranza ha svolto unicamente un apprendistato (42%) e una buona parte (10% soprattutto gli uomini e gli stranieri) non ha nessuna formazione dopo la scuola dell’obbligo. Le donne dichiarano un livello di formazione più elevato (il 24% ha un diploma universitario contro il 6% degli uomini). Solo una minima parte (20%) delle persone intervistate ha affermato di avere avuto un solo posto di lavoro negli ultimi tre anni, la maggioranza (32%) ha lavorato in più di tre posti di lavoro. Si tratta quindi di una popolazione caratterizzata dall’assenza del cosiddetto “posto fisso”. Traiettorie professionali I lavoratori precari passano facilmente da periodi di disoccupazione a periodi di impiego (il 59% del campione dichiara di essere stato iscritto alla disoccupazione, una percentuale che diventa del 65% tra coloro che lavorano tramite agenzie di collocamento private). Per i lavoratori interinali le agenzie di collocamento sembrano diventare l’unico mezzo utile per trovare un’occupazione. Gli spostamenti di impiego, da un posto di lavoro all’altro, generano nei lavoratori stati d’ansia e insicurezza. Questo è vero soprattutto per le persone più adulte e con una famiglia a carico. Anche chi vive positivamente il lavoro temporaneo, in quanto permette di avere a disposizione del tempo libero, pensa a questa forma di impiego unicamente come una forma transitoria verso un collocamento più stabile nel mercato del lavoro. La stragrande maggioranza non ha ancora un posto di lavoro fisso non per scelta, ma a causa delle difficoltà riscontrate nel mercato del lavoro. In generale il posto fisso viene ricercato perché garantisce uno stipendio regolare e prevede alcune garanzie sociali e assicurative non presenti nel lavoro precario e interinale (previdenza professionale, assicurazione infortuni, vacanze pagate, ecc.). Tra le donne si constata un più alto grado di scelta del lavoro temporaneo e interinale, in quanto queste forme di lavoro sembrano permettere una migliore gestione del lavoro domestico e dei compiti famigliari. Il prezzo pagato per questa maggiore “libertà” viene Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 5/15 però generalmente considerato troppo alto. Il lavoro temporaneo viene visto come l’unica soluzione per cercare di conciliare vita lavorativa e vita privata, non di certo la migliore. Insicurezza e assenza di prospettive L’insicurezza vissuta sul posto di lavoro influenza anche la vita privata: si constata in generale una grande difficoltà a fare progetti a lungo termine, molte decisioni vengono rimandate, senza però avere poi la certezza di poterle realizzare. L’elemento che maggiormente preoccupa i lavoratori è proprio quello dell’incertezza rispetto al futuro. Grafico 416 Aspetti più preoccupanti della situazione professionale 70% 62% 60% 50% 40% 26% 30% 20% 10% 12% 14% 24% 14% 8% 12% 7% 4% 11% 4% 1% 1% 0% insicurezza per insicurezza per il futuro il futuro pensionistico scarse possibilità di guadagno scarse possibilità di carriera e di formazione professionale prima scelta assenza di un'adeguata copertura assicurativa difficoltà a organizzare la propria vita altro seconda scelta Per una fascia di persone il lavoro temporaneo rappresenta un’opportunità per continuare a coltivare interessi personali o per poter gestire meglio il tempo libero. In generale però anche questa categoria di lavoratori temporanei sottolinea come questa situazione venga poi pagata a livello di garanzie sociali e di condizioni di vita e di lavoro. Per le persone sposate o separate la gestione della vita sociale e/o famigliare è più complessa che per le persone sole. 16 Agli interpellati è stato chiesto di indicare, tra le varie risposte possibili, le due più significative dando un ordine di priorità. Nel grafico 5 si legge per esempio che il 62% ha indicato come prima preoccupazione “l’insicurezza per il futuro” e il 26% ha indicato “scarse possibilità di guadagno” come seconda preoccupazione. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 6/15 Grafico 517 Aspetti positivi del lavoro flessibile 40% 35% 30% 25% 20% 15% 10% 5% 0% 34% 29% 24% 22% 11% 14%13% 16% 15% 6% 7% Possibilità di Possibilità di Possibilità di fare più gestire meglio avere tempo esperienze e tempo di per gestire la apprendere lavoro e tempo famiglia più mestieri libero Possibilità di avere tempo per coltivare interessi personali prima scelta 2% Possibilità di Possibilità di cambiare conoscere più spesso posto persone di lavoro 4% 3% altro seconda scelta Un altro aspetto positivo del lavoro temporaneo sembra essere la possibilità di avere più esperienze lavorative e poter poi quindi scegliere la strada da seguire (vedi grafico 6). Questo è vero soprattutto per i giovani che non sanno ancora esattamente quale professione intendono svolgere. A lungo andare però questa situazione può diventare problematica: si iniziano molte professioni senza avere la possibilità di apprenderne una veramente. Una parte delle persone intervistate ha trovato un posto di lavoro stabile. Queste persone mostrano un grado di soddisfazione e di sicurezza maggiore rispetto a chi invece mantiene una collocazione precaria sul mercato del lavoro. La possibilità di trovare un lavoro stabile è legata al tipo di formazione ricevuta (cresce con l’aumentare del grado di formazione) e all’età (per le fasce di popolazione più alte è più difficile uscire dalla precarietà). Se per alcuni quindi il lavoro temporaneo può rappresentare una sorta di passaggio verso un impiego fisso, per la maggior parte, soprattutto coloro che hanno già una situazione sociale più difficile, è sempre più problematico uscire dalla precarietà del lavoro temporaneo. E’ interessante notare che le persone iscritte presso le agenzie di lavoro temporaneo hanno meno possibilità degli altri di trovare un posto fisso. Il lavoro interinale quindi non sembra essere una soluzione di passaggio a forme di lavoro più stabile. Formazione e formazione continua: una questione centrale Fondamentale sembra essere la questione della formazione: in generale le persone che possiedono un livello di formazione più elevato riescono a vivere meglio il lavoro flessibile e temporaneo e hanno accesso più facilmente a posti di lavoro più sicuri. I lavoratori temporanei hanno difficoltà ad accedere alla formazione continua e a seguire corsi di formazione (il 63% del campione non ha mai seguito un corso di formazione professionale) e sono più spesso esclusi dalla presa di decisioni che riguardano lo svolgimento del lavoro. La situazione finanziaria I lavoratori precari e interinali presentano redditi generalmente bassi e una situazione finanziaria difficile. 17 Vedi nota 16, p.7 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 7/15 Grafico 6 Divisione dei redditi all’interno del campione più di 8000 franchi 3% tra 6000 e 8000 franchi 4% tra 4000 e 6000 franchi 16% tra 3000 e 4000 franchi 34% tra 2000 e 3000 franchi meno di 2000 franchi 0% 30% 13% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% Molti (67%) dichiarano di essere costretti a fare sacrifici per vivere e pochi sono coloro che riescono ad accantonare regolarmente quote di risparmio. Risulta poi chiaramente come l’affitto sia la spesa che maggiormente incide sul bilancio famigliare, seguito dalle assicurazioni (cassa malati, ecc.) e dalle imposte. La quasi totalità degli intervistati ammette di essere costretto a rinunciare ad alcune spese, la maggior parte rinuncia alle vacanze. Una piccola parte (9%) sostiene di risparmiare sulle cure mediche; si tratta di una minoranza ma comunque significativa dei problemi che il lavoro precario può generare. Le fasce di età più basse e quelle più alte presentano anche redditi inferiori. Le classi di età intermedie (25-45 anni) mostrano una situazione finanziaria meno difficile. Le persone sposate o separate lamentano una situazione finanziaria peggiore. Il problema della rappresentanza I lavoratori precari non sembrano sentirsi rappresentati dalle organizzazioni sindacali tradizionali. Il tasso di iscritti a queste organizzazioni è relativamente alto (41%), ma la stragrande maggioranza di questi (85%) dice di non impegnarsi nell’attività dell’organizzazione a cui appartiene. Il tasso di sindacalizzazione relativamente alto tra i lavoratori precari è dovuto anche alla gestione da parte del sindacato delle casse disoccupazione. I lavoratori hanno una visione utilitaristica del sindacato, visto soprattutto come ente che fornisce servizi, ma non come strumento di organizzazione. I lavoratori interinali e precari intervistati mostrano però un alto interesse all’idea di creare forme di organizzazione collettive. Una grande maggioranza (77%) ha infatti risposto positivamente a una proposta di questo tipo. Secondo questi lavoratori una simile organizzazione dovrebbe occuparsi soprattutto delle questioni legate alle condizioni di lavoro, di salario e della formazione professionale. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 8/15 Grafico 718 Tematiche di cui dovrebbe occuparsi un’associazione dei lavoratori “precari” 60% 57% 50% 40% 40% 31% 30% 20% 18% 14% 15% 13% 10% 6% 4% 2% 0% condizioni di lavoro condizioni di salario questioni assicurative e organizzazione del formazione profesionale pensionistiche tempo di lavoro e tempo di vita prima scelta seconda scelta 2.2 I lavoratori indipendenti: tra scelta e necessità Le caratteristiche del campione La stragrande maggioranza degli indipendenti sono uomini (63%) e di nazionalità svizzera (82%). Il lavoro indipendente ha una dimensione famigliare: il 57% del campione è sposato, tale percentuale è ancora più alta tra gli uomini (61%). I lavoratori indipendenti si collocano prevalentemente nella fascia di età che va dai 25 ai 45 anni, i giovani (sotto i 25 anni) sono una minoranza (6%). La maggioranza del campione ha una formazione di apprendista (42%), anche se una buona parte (24%) ha una formazione universitaria. Le donne mostrano in questo caso un livello di formazione minore. Una quota non trascurabile di lavoratori indipendenti (10%) non ha nessuna formazione dopo la scuola dell’obbligo, tale percentuale è ancora più alta (28%) tra la popolazione straniera. Il grado di formazione determina poi in modo importante il tipo di attività autonoma e le condizioni di lavoro delle singole persone: a formazioni più elevate corrispondono generalmente condizioni di lavoro più soddisfacenti sia da un punto di vista generale che da un punto di vista finanziario. Profilo professionale e prospettive di lavoro La maggior parte del campione (61%) non ha dipendenti a suo carico. Tra le persone che invece dichiarano di avere dipendenti la maggioranza ne ha al massimo 4. Edilizia, industria, commercio e informatica sono i settori dove prevalgono i lavoratori soli, nell’attività legate al turismo prevalgono invece coloro che hanno dipendenti. Le persone senza dipendenti mostrano una situazione professionale meno soddisfacente e più difficile anche da un punto di vista finanziario. Rappresentano sicuramente una componente specifica del lavoro indipendente alla quale è necessario dedicare un’attenzione particolare. 18 Vedi nota 16, p.7 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 9/15 Il lavoro autonomo è spesso una scelta maturata dopo anni di permanenza come dipendente nel mercato del lavoro. Il 25% del campione dice di essersi messo in proprio per problemi sul posto di lavoro (perdita del lavoro, insicurezza, difficoltà a trovare un lavoro). Esiste un fenomeno di passaggio dalla disoccupazione al lavoro in proprio. Spesso questi lavoratori sono anche quelli che mostrano maggiori difficoltà da un punto di vista del reddito e delle prospettive professionali. Condizioni di lavoro I lavoratori indipendenti dichiarano ritmi e orari di lavoro particolarmente elevati: la stragrande maggioranza lavora più di 42 ore alla settimana, c’è anche chi sostiene di lavorare 60 ore o più alla settimana. Tra le donne una quota più importante lavora meno di 42 ore alla settimana: anche nel lavoro indipendente quindi il tempo parziale è appannaggio delle donne. Grafico 8 Ore di lavoro settimanali 35% 30% 30% 27% 25% 19% 20% 16% 15% 8% 10% 5% 0% meno di 42 42 ore tra 42 e 50 ore tra 50 ore e 60 più di 60 Il tempo di lavoro non è mai stabile e definito, ma è in generale irregolare (a periodi di forte attività corrispondono periodi di relativa calma). Questa situazione ha conseguenze importanti sulla gestione della vita sociale e famigliare. In generale i lavoratori indipendenti lamentano serie difficoltà a conciliare tempo di lavoro e tempo di vita. I lavoratori autonomi mostrano un elevato grado di soddisfazione della loro situazione professionale e lavorativa. Un grado di soddisfazione che dipende in parte dalle condizioni di lavoro e di reddito, ma che rimane comunque alto anche in presenza di una situazione professionale più precaria (reddito relativamente basso, ritmi di lavoro stressanti, ecc.) Questa grande soddisfazione viene attribuita soprattutto all’autonomia lavorativa e al fatto di non dover dipendere da nessuno nell’esecuzione del proprio lavoro. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 10/15 Grafico 919 Aspetti positivi della situazione professionale 80% 70% 70% 60% 50% 34% 40% 30% 20% 23% 14% 17% 14% 6% 10% 7% 5% 2% 1% 1% 2% 4% 0% autonomia nel lavoro non dover dipendere da nessuno assenza di orari fissi relazioni sociali possibilità di intense guadagno importante prima scelta appartenenza a una certa categoria sociale altro seconda scelta Questa autonomia e libertà viene però pagata, soprattutto per alcuni, al prezzo di una maggiore insicurezza sia dal profilo professionale e delle prospettive di lavoro che dal profilo della sicurezza sociale. Grafico 1020 Aspetti più preoccupanti della situazione professionale 40% 35% 34% 30% 28% 25% 20% 20% 15% 16% 12% 16% 14%15% 11% 10% 10% 7% 8% 5% 4% 5% 0% incertezza lavorativa incertezza pensionistica difficoltà burocratiche reddito insoddisfacente prima scelta 19 20 ritardo nel pagamento delle fatture copertura assicurativa inadeguata altro seconda scelta Vedi nota 16, p.7 Vedi nota 16, p.7 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 11/15 Situazione finanziaria Più della metà del campione ha un reddito lordo inferiore ai 4000 franchi al mese, il 10% dichiara invece un reddito superiore agli 8000 franchi. Grafico 11 Divisione dei redditi all’interno del campione più di 8000 franchi 10% tra 6000 e 8000 franchi 7% tra 4000 e 6000 franchi 18% tra 3000 e 4000 franchi 20% tra 2000 e 3000 franchi 22% meno di 2000 franchi 0% 23% 5% 10% 15% 20% 25% Una buona parte delle persone intervistate lamenta difficoltà a livello finanziario e sostiene di non riuscire a soddisfare tutti i suoi bisogni. Il 58% dice di non riuscire a vivere senza fare sacrifici e il 90% dice di essere costretto a risparmiare sul alcune spese. La maggioranza risparmia sulle vacanze, ma anche in questo caso un buon 9% dice di risparmiare sulle cure mediche. Formazione professionale I lavoratori indipendenti, soprattutto coloro che non hanno dipendenti, mostrano grandi difficoltà a seguire corsi di formazione e di aggiornamento professionale (il 50% dice di non aver mai seguito un corso di formazione professionale e il 29% dice di averne seguiti alcuni saltuariamente). La possibilità di seguire corsi di formazione è legata al livello di formazione (più questo è elevato più le persone riescono ad aggiornarsi con maggiore regolarità), all’età (la fascia di età tra il 35 e i 45 anni ha più facilmente accesso a corsi di formazione) e al reddito (per i redditi più bassi l’acceso ai corsi di formazione è più difficile) Insicurezza e stato di salute I lavoratori autonomi presentano alti gradi di stress, nervosismo e stanchezza. Il 41% si dichiara infatti spesso nervoso e il 7% molto spesso; il 55% inoltre dice di sentirsi spesso stanco e il 13% molto spesso. Infine il 45% si dichiara spesso stressato e il 10% molto spesso. Generalmente comunque questi lavoratori sembrano affrontare la situazione con grande ottimismo e volontà, credendo fermamente nelle loro potenzialità e capacità. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 12/15 Tra i “lavoratori soli” il sentimento di insicurezza e di incertezza verso il futuro è decisamente più alto. Alcuni lavoratori indipendenti aspirano addirittura a tornare al lavoro dipendente in quanto questo sembra garantire maggiori certezze soprattutto da un punto di vista finanziario e delle assicurazioni sociali. Forme di rappresentanza Dall’inchiesta emerge in modo evidente l’assenza di rappresentanza degli interessi di questi lavoratori che generalmente non si riconoscono nelle organizzazioni tradizionali (solo il 10% è iscritto al sindacato e il 43% è iscritto ad una associazione professionale, di questi solo il 30% si impegna nell’attività dell’associazione). Le associazioni professionali destano l’interesse soprattutto degli indipendenti con dipendenti: l’appartenenza a queste associazioni sembra avere un carattere per lo più utilitarista e di gestione di determinati interessi imprenditoriali. Una buona parte del campione (47%) si è però dichiarata favorevole alla creazione di un’associazione comune di tutti i lavoratori indipendenti, a prescindere dal settore di attività. Questa dovrebbe occuparsi prioritariamente di questioni legate alle difficoltà burocratiche e alle imposte e in un secondo tempo delle condizioni vere e proprie di lavoro. L’universo dei lavoratori indipendenti è sicuramente più eterogeneo e composito di quello dei lavoratori interinali. Si osserva una sorta di polarizzazione: da una parte lavoratori indipendenti con una situazione professionale stabile, redditi medio-alti, una buona formazione professionale e maggiori possibilità di formarsi durante la professione, dall’altra lavoratori autonomi in posizioni più precarie, con una scarsa formazione professionale e una scarsa possibilità di formarsi durante la professione e un livello di reddito medio basso. Questa distinzione crea differenze a livello della percezione della propria condizione e delle reali condizioni di vita e di lavoro dei singoli. Alcune problematiche, prime fra tutte quella del livello assicurativo, dei ritmi di lavoro e di vita e della regolarità del reddito, coinvolgono però, anche se con modalità e dimensioni diverse, la gran parte dei lavoratori indipendenti. 3. Alcune proposte e spunti di riflessione Il lavoro flessibile assume oggi diverse forme, anche molto diverse tra loro, e diventa difficile distinguere in modo chiaro vantaggi e svantaggi di queste nuove forme di impiego. Si può considerare in linea generale che gli aspetti negativi e i rischi riguardano soprattutto le forme contrattuali, mentre quelli positivi si riferiscono al contenuto del lavoro, anche se questo a volte viene a mancare per alcune delle forme del lavoro atipico e per alcuni soggetti in particolare. Nonostante queste distinzioni è possibile enumerare alcune problematiche che ruotano attorno al lavoro flessibile e di individuare alcune piste possibili su cui lavorare. 1. Il lavoro flessibile e precario può generare difficoltà a programmare la propria vita professionale e di conseguenza anche la propria vita privata. Qualsiasi progetto di vita viene rimandato. Da questo punto di vista diventa fondamentale pensare a nuovi modelli di gestione della flessibilità per evitare che la perdita del posto di lavoro generi un’esclusione definitiva dal mercato del lavoro. Da qui potrebbe nascere l’idea della creazione di istituzioni capaci di aiutare e sostenere il lavoratore nel passaggio da una professione all’altra. Si tratterebbe quindi di riflettere alla creazione delle Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 13/15 cosiddette “agenzie del mutuo impiego” come strutture in grado di fornire servizi con l’obiettivo di garantire una certa stabilità anche ai cosiddetti lavoratori “nomadi”. 2. Un secondo aspetto problematico del lavoro flessibile è quello della formazione professionale e della difficoltà ad acquisire una professionalità da trasferire poi da un datore di lavoro all’altro. In genere i lavori flessibili rendono difficile la costruzione di una carriera professionale, lasciando gli individui in una costante situazione di precarietà. Da questo punto di vista le agenzie del mutuo impiego potrebbero intervenire per migliorare la formazione dei lavoratori e offrire, anche in questo senso, servizi utili. Si potrebbe anche pensare all’introduzione di forme di certificazione delle competenze trasferibili poi da un’azienda all’altra. Esiste comunque il problema di capire quali sono i criteri su cui si deve basare questa certificazione delle competenze e quali enti o istituzioni devono promuoverla. Per quanto riguarda la formazione risulta per altro urgente una politica che sappia colmare le lacune accumulate nella formazione di base, primo vero strumento di “selezione” della manodopera. 3. Il lavoro flessibile produce anche una separazione tra il lavoratore e il suo posto di lavoro. Il lavoratore atipico non ha più un luogo di lavoro, non possiede gli strumenti del suo lavoro e non può avere relazioni stabili e durature con i colleghi. L’identità sociale della persona non si crea più attraverso il lavoro e i soggetti fanno fatica a dare una dimensione collettiva alla loro situazione professionale personale. Si tratta quindi di ricreare strutture organizzative e associative nelle quali il lavoratore atipico possa riconoscersi e tessere legami con altri lavoratori. 4. Anche la salute fisica e psicologica dei lavoratori può subire conseguenze, a volte importanti, legate alle condizioni vere e proprie di impiego. Si dovrebbe pensare alla creazione di centri di medicina del lavoro nei quali siano attive diverse figure professionali (medici, psicologi, ricercatori, giuristi, ecc.) che possano intervenire su casi singoli concreti e che allo stesso tempo possano svolgere un lavoro di monitoraggio e di analisi dell’evoluzione del rapporto tra salute e lavoro. 5. I lavoratori flessibili sfuggono il più delle volte alla legislazione di tutela del lavoro e sono privati di alcune garanzie sociali di cui godono i lavoratori “fissi”. Da questo punto di vista si tratta di riflettere sulla possibilità di integrare anche i lavoratori atipici all’interno delle norme del diritto del lavoro. Bisognerebbe anche sviluppare l’idea della “responsabilità sociale dell’azienda”, inteso come approccio che stimoli le aziende ad avere pratiche socialmente responsabili (misure per attirare lavoratori qualificati, investimenti nella formazione, misure per garantire la salute e la sicurezza dei dipendenti, ecc.). Si dovrebbe anche riflettere a forme di pagamento degli oneri sociali per le imprese dipendenti dal grado di sicurezza del lavoro all’interno della ditta, al tasso di licenziamenti e di turnover della manodopera. Per quanto riguarda le assicurazioni sociali si pongono diverse questioni, in particolare: la possibilità di dividere la categorie degli indipendenti da un punto di vista giuridico in alcuni gruppi, sulla base ad esempio del reddito, del numero di committenti, ecc. facendo in modo di garantire alla fascia più precaria una copertura assicurativa più adeguata (si inserisce qui la questione dell’assicurazione disoccupazione anche per una parte almeno dei lavoratori indipendenti); rivedere il sistema di previdenza, delle assicurazioni incidenti, malattia e maternità, ecc. 6. Un intervento di politica sociale non può unicamente limitarsi a contenere le conseguenze sociali legate alla flessibilità del lavoro, ma deve cercare anche di contenere la tipologia della flessibilità. Questo obiettivo appare importante soprattutto in vista di un prevedibile ulteriore aumento della forza lavoro precaria che Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 14/15 comporterebbe un aumento considerevole delle persone soggette ai rischi stessi della flessibilità. Da questo punto di vista sarebbe importante avviare una riflessione sulla Legge sul collocamento e il prestito del personale promuovendo l’introduzione di alcune clausole di maggiore tutela dei lavoratori stessi (come ad esempio l’obbligo per le agenzie di collocamento di rispettare tutti i contratti di lavoro e i regolamenti delle aziende e non solo i contratti decretati di obbligatorietà generale) e misure di controllo e di contenimento dell’utilizzo all’interno delle aziende del lavoro temporaneo (vincoli all’utilizzo del lavoro temporaneo in alcuni settori, per tipo di professione o di tempo, ecc.). E’ utile comunque sottolineare come la flessibilità del lavoro può avere conseguenze e effetti diversi a dipendenza dei sistemi di lavoro nei quali viene introdotta e a dipendenze anche delle persone coinvolte (i giovani sotto il 25/30 anni, le persone sopra i 45 anni, le donne, i lavoratori stranieri e le persone con un livello di formazione medio-basso sembrano essere i soggetti che maggiormente soffrono la flessibilità del lavoro e per i quali questa si trasforma molto spesso in precarietà non solo professionale, ma anche esistenziale). Nell’elaborazione di politiche sociali e dell’occupazione è quindi necessario tener presente anche questa ultima considerazione e avere un’attenzione particolare verso i soggetti che si vogliono coinvolgere. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 15/15 Christian Marazzi è nato nel 1951 a Lugano. Laureato in Scienze politiche all'Università di Padova, ha studiato alla London School of Economics e ha conseguito il dottorato in Scienze economiche alla City University di Londra. Dopo aver insegnato all'Università di Padova, alla State University di New York e alle Università di Losanna e di Ginevra, attualmente è docente presso al Scuola universitaria della Svizzera italiana. E' autore di numerose pubblicazioni, tra cui Il posto dei calzini (Edizioni Casagrande, Bellinzona, 1994), E il denaro va (Bollati Boringhieri/Casagrande, 1998), Capitale e linguaggio (Derive/Approdi, 2002). Angelica Lepori è nata nel 1971 a Lugano. Si è laureata in Scienze Politiche all’Università di Bologna, con una tesi sulla storia dell’ex Unione Sovietica. Ha lavorato come giornalista presso il settimanale Area e ha collaborato alle rubriche 360 e Micro Macro della TSI. Nel lavoro giornalistico ha concentrato il suo interesse in particolare su problemi di ordine socio-economico. Dal 2001 lavora presso il Dipartimento di Lavoro Sociale della SUPSI, dove svolge attività di ricerca e di insegnamento. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Lavoro flessibile, società flessibile: progetto riformista o rischio per l'integrazione sociale? Luciano Gallino Direttore del Dipartimento di scienze dell'educazione e della formazione presso l'Università di Torino Lavoro flessibile, società flessibile: progetto riformista o rischio per l'integrazione sociale? L’espressione “società flessibile”, collegata soprattutto al nome di Richard Sennett dopo la pubblicazione di La corrosione del carattere. Le conseguenze personali del lavoro nel nuovo capitalismo (1998), è entrata a far parte d’una serie ormai lunga di espressioni che si sforzano di incapsulare in un aggettivo, un singolo predicato, l’essenza dei mutamenti intervenuti da circa un quarto di secolo, con rapidità crescente, nelle società avanzate. La prima di tale serie, in ordine di tempo, fu forse “società post-industriale”, coniata dal sociologo statunitense Daniel Bell in un libro del 1973 e ancor oggi largamente usata. Poi seguirono la “società dei media”; la “società post-moderna” di Jean-François Lyotard (1979); la società “post-fordista”; la “società del rischio” di Ulrich Beck (1986); la “società dell’informazione” cui si intitolava il rapporto d’un gruppo di alto livello al Consiglio europeo (1994); la “società della conoscenza”; la “società delle reti” di Manuel Castells (1996); la “società che impara” (learning society); “la società a giro di orologio”, e varie altre. Tutte queste espressioni circolano oggi in libertà, spesso del tutto avulse dal contesto o dalle intenzioni degli autori che le formularono. Quando venga usata come sinonimo ultimo arrivato delle precedenti denominazioni, “società flessibile” appare collocarsi sul loro stesso piano: un tentativo inefficace di sintetizzare il non sintetizzabile. Tuttavia, se si cerca di valutare non il suo contenuto sinonimico, bensì le parentele con le altre espressioni, da un lato, e dall’altro ciò che in essa è insito senza che appaia ad esse ovviamente riconducibile, l’idea di “società flessibile” comincia a manifestare un suo significato specifico. Stando a come la descrive il suo idealtipo, insito nel progetto fatto proprio da una ampia corrente del riformismo contemporaneo, la società flessibile è una società in cui sono cadute le rigide barriere che fissavano un individuo per la vita ad una cerchia ristretta di rapporti sociali, di identificazioni, di appartenenze. Favorisce l'indipendenza dell'individuo, l'autonomia dell’azione come valore distintivo della modernità. Se la burocrazia era insieme la realtà e la metafora della società discesa dalla rivoluzione industriale, le reti, con la loro infrastruttura fisica e la loro sovrastruttura simbolica, sono la metafora e la realtà delle società flessibile. E’ una società in cui tutti continuano la loro formazione intellettuale e professionale per l’intero arco della vita. Informazione, conoscenza, competenza sono in essa le risorse più pregiate. Al contrario della società industriale, nella fattispecie fordista, dove ogni attività produttiva si fermava (o si ferma) alle sei del pomeriggio, e alle cinque del pomeriggio del venerdì, di modo che i quartieri degli uffici e le zone industriali si trasformano sino all’inizio della settimana dopo in desolati deserti urbani, la società flessibile – informa ancora il suo idealtipo - è perennemente attiva. In essa chiunque ha, in qualsiasi momento, la possibilità di svolgere l’attività che desidera per sé o per i propri famigliari, trovando agevolmente altri individui che compiono, e luoghi in cui si svolgono, le attività di cui può avere bisogno. Lavoro e consumo, cultura e intrattenimento, esercizio sportivo e rapporti con l’amministrazione pubblica: tutto è possibile per tutti 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Inoltre, sia per questo motivo, sia perché le imprese per prime sono diventate flessibili, nella società flessibile ciascuno ha la possibilità di adattare le proprie condizioni e tempi di lavoro alle sue esigenze e responsabilità familiari. La società 7 x 24, come viene anche denominata alquanto aridamente la società flessibile, trova un sostegno insostituibile nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic). Senza Tic non sarebbe possibile coordinare unità produttive che non si arrestano mai, e che debbono essere collegate in tempo reale con mille altre unità distribuite nel mondo; né si potrebbe consultare il valore dei propri titoli in borsa alle 2 di notte, od ottenere un certificato dall’Anagrafe comunale la domenica mattina, o Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino 1/6 acquistare un biglietto aereo o ferroviario online per un mezzo che partirà un’ora dopo. Esiste dunque una parentela speciale tra la nozione di “società flessibile” e quella di “società dell’informazione”. Assumendo a riferimento i suddetti tratti idealtipici che ho cercato di riassumere, la società flessibile non risulta ancora essere una realtà compiuta. Viene però presentata come un progetto riformista che ha la caratteristica di venire delineato in termini quasi identici sia da studiosi e politici neo-liberali, o liberisti, sia da studiosi e politici socialdemocratici - ove si accetti per comodità di porre sotto questa comune etichetta i laburisti di Blair, i socialisti francesi, i democratici di sinistra italiani e i socialdemocratici tedeschi. Nella teoria come nella prassi, tra lavoro flessibile e società flessibile intercorre un rapporto dialettico. Sul piano della teoria la dialettica dei due termini appare scorrere senza contraddizione alcuna. Secondo le innumeri forme che assume all’esterno e all’interno dell’azienda – ragion per cui occorre sempre parlare distintamente di flessibilità esterna o quantitativa, e di flessibilità interna o funzionale - il lavoro flessibile, afferma la teoria ch’è alla base di questo progetto riformista, richiede una società flessibile. A partire dai suoi tempi di vita. Occorre far crescere una società nella quale, in primo luogo, gli orari giornalieri, settimanali, annuali dei trasporti pubblici, degli asili, dei negozi, delle scuole, degli uffici della PA, siano compatibili con quelli d’una popolazione di lavoratori d’ogni settore economico e livello professionale in quali, in numero senza posa crescente, lavorano con orari giornalieri, settimanali, e annui estremamente variabili. Di là dalla flessibilizzazione di tutti i tempi sociali, all’organizzazione sociale si chiede di assomigliare sempre di più all’organizzazione di un’impresa. Le imprese decentrano, si frammentano in unità sempre più piccole e mutevoli, coordinate da reti di comunicazione sempre più efficienti e capillari. L’organizzazione aziendale si appiattisce, diminuendo e fluidificando i livelli gerarchici, generalizzando il lavoro di squadra, puntando ad esternalizzare tutte le attività che non attengono alla sua missione primaria. L’amministrazione pubblica – centrale e locale – il sistema educativo, il sistema sanitario, le attività culturali, dovrebbero adottare il medesimo modello organizzativo, sostenuto dalle stesse tecnologie. Da parte sua il progetto d’una società flessibile comporta a titolo di pre-requisito la massima diffusione del lavoro flessibile. Se un call center deve restare aperto 24 ore su 24, 7 giorni la settimana, pur in presenza di intense variazioni del numero delle chiamate nel giorno, nella settimana, e nei mesi dell’anno, il suo gestore deve poter disporre di un’ampia platea di lavoratori flessibili. Se una certa attività commerciale ha un picco nei weekends, ma non in tutti i weekends, l’impresa che la offre ha bisogno di lavoratori pronti a lavorare nei weekends, su chiamata, sapendo in anticipo che forse la settimana dopo non saranno chiamati. Ancora, se l’organizzazione statale, la scuola, il sistema sanitario debbono sapersi efficacemente e rapidamente adattare ai mutamenti dell’ambiente economico, sociale e culturale, sia nazionale che internazionale, pure i funzionari, gli insegnanti, i medici, debbono rinunciare al posto fisso, al contratto a tempo indeterminato, come già hanno sono stati indotti a fare quote crescenti di operai, impiegati, tecnici, quadri e dirigenti dell’industria e dei servizi. La mobilità incessante da un processo all’altro deve essere facilitata da processi di formazione permanente, estesi all’intero arco della vita, atti a porre un individuo nelle condizioni di poter occupare, in sequenza, numerosi posti di lavoro differenti, in differenti settori produttivi, di modo che la perdita di un lavoro sarà seguita dal reperimento quasi immediato di un’altra occupazione. Alla diffusione del lavoro flessibile, afferma la teoria alla base del progetto di società flessibile, si oppongono le regole attinenti al mercato del lavoro costruite nei paesi dell’Europa Occidentale nei primi quattro quinti del Novecento. Tali regole, prosegue la teoria, corrispondevano ai bisogni della società industriale o fordista. In una società ed in una economia post-indutriale e post-fordista, che presenta per di più una struttura Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino 2/6 demografica profondamente mutata, esse sono diventate un vincolo allo sviluppo. Pertanto vanno sostanzialmente affievolite, se non anzi, ovunque sia possibile, eliminate. Le garanzie di continuare ad avere un lavoro non vanno più cercate nel protezionismo dei sindacati, quanto nel possesso di conoscenze ed esperienze che mantengono elevato, ad ogni età, il tasso di occupabilità dell’individuo. Se questa è la teoria, sul piano della prassi le ricerche che sono state compiute di recente in vari paesi europei – compresa quella presentata in questo convegno inducono invece a sospettare che la dialettica tra lavoro flessibile e società flessibile abbia imboccato un corso diverso. Uno dei principali esiti della diffusione della flessibilità del lavoro in Europa non sembra affatto essere lo sviluppo di una collettività di lavoratori – ivi compresi operai e quadri, tecnici e dirigenti - che tende a diventare omogenea verso l’alto in termini di reddito, di continuità dell’occupazione, di possesso di conoscenze. La realtà che emerge dalle ricerche sul campo è invece caratterizzata da una forte polarizzazione della massa dei lavoratori verso l’alto e verso il basso. Le disuguaglianze socio-economiche, nelle loro molteplici dimensioni, crescono. La stratificazione delle forze di lavoro assume in complesso una forma a clessidra. Per coloro che occupano la parte alta di questa i salari sono elevati, la formazione è realmente continua, l’occupazione è stabile. Tra i lavori osservabili entro questo strato, o gruppo di strati, si trova la maggior quota dei migliori lavori flessibili che il post-fordismo abbia contribuito a creare. Giacché esiste anche il lavoro flessibile di buona qualità. E’ il lavoro che favorisce e permette la massima autonomia del soggetto; moltiplica le esperienze; apre di continuo nuove prospettive professionali; assicura un reddito apprezzabile e un congruo riconoscimento sociale; è attraente nel corso della sua esecuzione, quanto soddisfacente al momento di verificarne le realizzazioni. Nel complesso, si è qui dinanzi alle forze di lavoro che son definite dalla letteratura sul moderno management il “nucleo centrale” delle “risorse umane”, formato in media da meno di un terzo delle forze di lavoro a vario titolo occupate da un’impresa. Sono la minoranza di persone su cui le imprese investono perché costituiscono la loro memoria tecnica e organizzativa; la capacità innovatrice; la lealtà ai valori ed ai codici della cultura aziendale. E’ importante che queste persone siano fedeli all’impresa – uno scopo che con un termine, in verità inesistente nella lingua italiana, viene designato nel management-speak con la frase “fidelizzazione dei dipendenti”. Nella parte bassa della clessidra stanno gli altri lavoratori. E’ la massa – che si avvia a superare mediamente i due terzi del totale delle forze di lavoro occupate da un’impresa – che fluttua dentro e fuori dell’impresa motrice, da un sub-appaltatore all’altro, da uno spezzone di lavoro ad un altro, legata ad un lavoro di volta in volta, e di momento in momento, da una miriade di contratti: tranne quello di durata indeterminata a tempo pieno, ormai riservato a chi occupa la parte alta della clessidra. Questi lavoratori incarnano gli esiti della flessibilità contrattuale. Ma anche la qualità del lavoro che svolgono è in prevalenza alquanto bassa. Accade infatti che alla maggioranza dei componenti di questi strati siano affidati lavori, frammentati in mansioni, tra i peggiori che il post-fordismo abbia contribuito a creare. Mansioni ripetitive, tuttora strutturate di fatto – anche dove non esista più l’ufficio tempi e metodi – secondo i canoni ormai centenari del taylorismo, quelle in cui si deve eseguire e non pensare, dove i cicli di operazione si misurano a manciate di secondi, e il guadagno è strettamente commisurato alla quantità di lavoro svolta in una data unità di tempo. Sono, questi della parte inferiore della clessidra, della nuova stratificazione dei lavori e dei lavoratori, uomini e donne sulle quali ogni singola impresa che le occupa non ha alcun interesse ad investire in termini di formazione, dato che entro un breve periodo esse lavoreranno per un’impresa differente. La società della conoscenza, per loro, è un’espressione pressoché priva di significato. Una quota consistente di questi lavoratori, anche quando lavorano gran parte dell’anno, corrono in permanenza il rischio di cadere sotto la linea della povertà relativa – metà del reddito mediano pro-capite - se non anzi Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino 3/6 della povertà assoluta, che viene collocata in genere tra il 40 e il 60% al di sotto della suddetta linea. Che cosa reca questo strato in espansione di lavoratori flessibili al progetto di una società flessibile – uno strato che assomiglia assai poco a quello che il progetto stesso dà per scontato che si sia formato, o si stia formando? E più in generale, come si concilia il progetto in questione con una polarizzazione delle disuguaglianze di reddito, di autonomia, di qualità del lavoro? Prima di tentare una risposta, occorre chiedersi quali sono i criteri mediante i quali pensiamo di valutare la qualità di una simile società. Di certo sappiamo che qualsiasi tipo di società può essere valutata secondo vari criteri oggettivi, costruiti mediante appropriate indagini statistiche. In base, ad esempio, al suo reddito medio pro-capite; al livello di vita; al suo indice di disuguaglianza, come l’indice di Gini; al maggiore o minore tasso di violenza praticata all’interno tra i suoi componenti, o esercitata da essa, in toto, verso l’esterno; al suo indice di sviluppo umano, sul tipo di quello proposto dal programma dall’uguale denominazione delle Nazioni Unite, il cui andamento in tutti i paesi del mondo viene pubblicato ogni anno in un apposito rapporto. Ma v’è una qualità prioritaria, difficilmente riconducibile a indici oggettivi, che è la natura e l’intensità della sua integrazione sociale. L’idea di integrazione è un concetto fondamentale della teoria della società. L’analisi dei processi di integrazione rappresenta la prosecuzione, sul terreno sociologico, della discussione del problema classico per la filosofia politica dell’ordine sociale, inteso quale stabilità di relazioni tra individui e gruppi, sociali etnici o religiosi che siano; ragionevole armonia tra differenti settori e livelli della società; convivenza pacifica seppur in presenza di conflitti politici, economici e culturali. Come ci ricorda con fin eccessiva solerzia la storia del XX secolo e dei primi anni del XXI, l’integrazione sociale è un bene comune primario, tanto arduo da conseguire, quanto facile da perdere. In una forma attenuata, e in genere senza alcun riferimento alle grandi scuole sociologiche che lo hanno elaborato – penso alle opere di Emile Durkheim, Max Weber, Talcott Parsons - il concetto di integrazione sociale è diventato da qualche anno un elemento spesso ricorrente del dibattito politico, specie nel mondo francofono, sotto l’etichetta di “coesione sociale”. Affinché una società attinga, e mantenga nel tempo, un tasso di integrazione soddisfacente per il maggior numero dei suoi componenti, è necessario sussistano alcuni pre-requisiti. Il primo ha a che fare con il tempo, con la durata. Come ho avuto modo di rilevare in altri lavori trattando dei costi umani della flessibilità, la costruzione di relazioni sociali stabili tra individui e tra gruppi – ovvero tra individui che per tal via si integrano in un gruppo - richiede del tempo. Necessita di incontri ripetuti, occasioni per conoscersi, pratiche collaborative, forme organizzate di socialità. Per i lavoratori flessibili si tratta di situazioni sempre più rare. Nelle organizzazioni “reingegnerizzate” si arriva ad ottenere che su 100 lavoratori fisicamente presenti a un certo istante in un dato reparto meno di un quarto siano dipendenti da quella data organizzazione, mentre gli altri tre quarti sono dipendenti da una decina di aziende terze – fornitori o sub-appaltatori o sub-subappaltatori – oltre che lavoratori interinali, parasubordinati con contratti di breve durata, consulenti di passaggio, apprendisti in formazione. In tale modello organizzativo non esiste più il tempo necessario perché tra le persone che pure lavorano fianco a fianco si stabilisca un legame sociale. Nelle organizzazioni ristrutturate per trarre i maggiori vantaggi dalla flessibilità del lavoro, scompaiono anche, causa l’impossibilità materiale di trovare chi possa parteciparvi, i gruppi sportivi, i centri culturali, le gite sociali – istituzioni tradizionali che per generazioni hanno contribuito ad alimentare la socialità del lavoro, e con ciò a sostenere il lavoro come fattore primario di integrazione sociale. Un secondo pre-requisito dell’integrazione sociale è la presenza di una misura significativa di ritualità. Come ricorda Sennett in un altro suo saggio, Work and Social Inclusion (1999), “se l’antropologia ci ha insegnato qualcosa in merito a noi stessi, è che il rituale è il cemento più forte della società, la chimica stessa alla base dei processi di inclusione.” Caratteristico dei rituali è di essere gratuiti, intransitivi, irrazionali, privi di giustificazione se non simbolica, oltre che identificati con uno spazio delimitato e fisso Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino 4/6 nel tempo. Archetipo della ritualità sono ovviamente le tradizioni popolari, le processioni, le feste del santo o dell’eroe locale, le liturgie dei culti religiosi, le pubbliche celebrazioni della storia nazionale. Ma pertengono alla ritualità anche altre pratiche secolari. Pratiche, ad esempio, in forza delle quali la domenica deve essere per obbligo un giorno di riposo, anche se pochi rammentano che così è perché sta scritto nella Bibbia; il lavoro di una persona costituisce un tempo e un luogo categoricamente diverso dal tempo libero come da altri momenti della sua vita privata; la famiglia è tenuta a riunirsi ogni giorno attorno al desco Nella società flessibile, di cui l’operare “a giro di orologio”, 7 x 24, è un elemento quintessenziale, per le forme della ritualità tradizionali v’è sempre meno tempo disponibile. Il tempo di lavoro si intreccia con gli altri tempi della vita sino a diventare da essi inseparabili. Per molte persone il lavoro si svolge vuoi per ricorrente necessità, vuoi per i vincoli formalmente posti dall’organizzazione flessibile, come quelli insiti nel modello del “compito senza scrivania” (deskless job), nell’abitazione stessa, nelle sale d’aspetto aeroportuali, in treno, in albergo, sull’autostrada. Anche sul piano del discorso l’idea della festività, del giorno festivo uguale per tutti, viene etichettata come un feticcio da rimuovere. Il lavoro tende a diventare un tempo senza confini e al tempo stesso un nonluogo, proprietà contrarie all’esercizio di ogni forma di ritualità. Uno degli aspetti che ci sembrano più attraenti del progetto di società flessibile, quale ci viene presentato, è l’importanza che esso attribuisce all’autonomia, all’emancipazione dalle cerchie tradizionali, alla piena individualizzazione della persona, alla sua indipendenza da ogni legame o appartenenza ascrittiva. Dopotutto, questi sono valori intrinseci della modernità, del progetto moderno. La padronanza di sé fondata sulla ragione - meglio non si potrebbe definire l’indipendenza - è un ideale che proviene da Platone, ma che ha dovuto attendere più di venti secoli prima di essere avviato a compimento dal progetto moderno. La società flessibile promette nulla meno, a ben vedere, di portare a termine ciò che il progetto moderno ha avviato nei tre secoli precedenti. Tuttavia, affinché l’indipendenza economica della persona, base della sua indipendenza politica, non sia una chimera o un inganno, essa richiede un reddito consistente e sicuro, un appropriato riconoscimento sociale (Anerkennung, per usare il termine preferito da Habermas), un grado elevato di istruzione, e un tangibile potere contrattuale nei confronti dell’impresa. Ora avviene che, tolto il loro sottile strato superiore – sottile se commisurato ai milioni che possono così venire denominati - i lavoratori flessibili sollecitati a incarnare l’ideale dell’indipendenza, della padronanza in ogni senso di sé fondata sul libero esercizio della ragione, non appaiono disporre in generale di tali elementi, ricerche empiriche alla mano, se non in misura minima. Infine v’è la questione delle cosiddette società intermedie. L’integrazione dell’individuo nella società non può avvenire, se non parzialmente, in modo diretto. All’integrazione totale e diretta degli individui con i vertici del potere puntano solamente le società autoritarie. In una società democratica matura occorre invece che l’individuo sia primariamente integrato nella famiglia, nella comunità locale, in vari generi di associazione; dopodiché sarà un’adeguata integrazione di queste nello spazio pubblico globale ad assicurare all’individuo i benefici dell’ordine sociale – come pure a tutelarlo dalle sue deviazioni. La società flessibile, di là dal velo ideologico che vorrebbe ritrarne le veritiere fattezze nel mentre di fatto le maschera, non sembra particolarmente amica di nessuna di queste società intermedie. Non lo è di fatto, perché la variabilità degli orari e dei luoghi di lavoro, di istruzione, di tempo libero dei diversi componenti della famiglia e della comunità locale porta inevitabilmente ad erogare il legame sociale tra di essi. Non lo è nemmeno dal punto di vista teorico, perché essa codifica e legittima le delocalizzazioni dell’impresa come della famiglia, il cennato lavoro senza luogo, l’abolizione del radicamento territoriale di ogni attività sociale. Quanto alle associazioni, il progetto di società flessibile – quale in concreto ci viene presentato dal discorso politico-economico dominante - trae in concreto giovamento dalla crisi della più antica di esse, la chiesa, nel mentre teorizza e persegue l’indebolimento, se Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino 5/6 non anzi l’annullamento, della principale tra quelle che rimangono – il sindacato. Per la società flessibile, il sindacato è l’epitome di tutti i suoi contrari: la rigidità burocratica; la difesa dei diritti acquisiti per ascrizione e non per merito; una delle maggiori barriere che si oppongono all’innovazione permanente di tutte le modalità dell’agire sociale. Esso deve essere oggetto sia di un reciso contrasto ideologico, sia – come sta avvenendo in Italia - di provvedimenti legislativi che rimuovano questo ultimo ostacolo a che l’individuo sia inserito direttamente, senza mediazioni, nella rete delle reti. Affinché esso divenga, con le parole di Niklas Luhmann, unicamente un nodo passivo dei flussi di comunicazione, inconsapevole del senso reale dei messaggi che esso riceve e ritrasmette, ad essi totalmente alieno. La dialettica reale tra lavoro flessibile e società flessibile, quale emerge dalle ricerche sul campo, non pare dunque condurre nessuno dei due elementi verso esiti particolarmente promettenti per la qualità della vita e dell’organizzazione sociale. L’uno e l’altra incorporano sicuramente elementi del progetto moderno - un progetto largamente incompiuto – ai quali certo non vorremmo rinunciare. Nondimeno gli elementi che in essi appaiono predominare al presente, esaltati negli ultimi decenni tanto dall’ideologia e dall’economia neo-liberali quanto dalla pratica politica delle socialdemocrazie, ci sembrano comportare un prezzo troppo elevato per potere accogliere insieme questi e quelli. Io penso che dinanzi a tale situazione ambivalente si debba essere, al tempo stesso, discriminanti quanto esigenti. Dobbiamo saper distinguere i costi umani della flessibilità del lavoro e della società flessibile dai loro benefici, quanto esigere che i primi non vengano, come suole, sottaciuti o sottovalutati in nome dei secondi. Un compito arduo che tuttavia, se non vogliamo arrenderci al credo interessato per cui la realtà del mondo globalizzato persegue comunque, ad onta dei nostri sforzi, un suo indefettibile cammino, occorre affrontare combinando la tenacia del ricercatore con la passione che ogni cittadino dovrebbe portare alla difesa di un bene comune essenziale. Un bene qual è una società in cui la molteplicità degli interessi; delle culture; delle condizioni di lavoro e di esistenza, trova una composizione armonica in forza di alcuni ideali minimi di giustizia sociale, di uguaglianza, di diritti delle persone. Un insieme di elementi costati all’Europa troppe fatiche, e troppe sofferenze, per pensare che si possano o si debbano agevolmente alienare in nome di nuove forme di funzionamento del sistema economico, pur nel riconoscimento che queste richiedono appropriate riforme dell’organizzazione sociale. (Torino, settembre 2002) Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino 6/6 LUCIANO GALLINO Chiamato a Ivrea da Adriano Olivetti, Luciano Gallino (Torino 1927) ha compiuto il proprio apprendistato sociologico tra il 1956 e il 1970, come collaboratore e poi direttore del centro di ricerche sociologiche di quella società, il primo del suo genere in Italia. Conseguita la Libera Docenza in Sociologia nel 1964, nei due anni successivi è stato Fellow Research Scientist presso il Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences di Stanford (CA). Dal 1965 al 1971 è stato professore incaricato presso la Facoltà di Magistero e la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino. Dal 1971 è professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dello stesso Ateneo. Tra il 1968 e il 1978 è stato direttore del locale Istituto di Sociologia, uno dei primissimi costituiti nelle università italiane. Ha fondato e presieduto dal 1987 al 1999 il Centro di Servizi Informatici e Telematici per le Facoltà Umanistiche dell'Università di Torino, che sin dai primi anni '90 ha messo a disposizione Internet a migliaia di studenti e docenti. Dal 1999 è Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione e della Formazione. In tale ruolo ha promosso lo sviluppo di un Centro di Eccellenza per lo studio della Formazione Aperta/Assistita in Rete. Da tale iniziativa è derivato un nuovo corso di studi per la laurea triennale di I livello, attivo dall’ottobre 2000, volto a formare “Esperti di formazione e comunicazione in rete” Dal 1979 al 1988 è stato presidente del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali, carica in cui è succeduto a Luigi Firpo. Dal 1987 al 1992 ha rivestito la stessa carica nell'Associazione Italiana di Sociologia. Dirige dal 1968 i "Quaderni di Sociologia", testata trasmessagli da Nicola Abbagnano che li aveva fondati con Franco Ferrarotti nel 1951. Tra il 1970 e il 1975 ha scritto sul "Giorno"; dal 1983 al 2001 ha collaborato alla "Stampa". Al presente scrive per “La Repubblica”. E' socio dell'Accademia delle Scienze di Torino, dell'Academia Europaea e dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Opere principali Progresso tecnologico ed evoluzione organizzativa negli stabilimenti Olivetti, 1945-1959, Giuffré, Milano 1960; Personalità e industrializzazione, Loescher, Torino 1968; Indagini di sociologia economica e industriale, Comunità, 2a ed., Milano 1972; Dizionario di Sociologia, Utet, Torino 1978, 3a ed. 1993; La società. Un’introduzione sistemica alla sociologia, Paravia, Torino 1980; Il lavoro e il suo doppio. Seconda occupazione e politiche del lavoro in Italia, il Mulino, Bologna 1985, (con coll.); Informatica e qualità del lavoro, Einaudi, 2a ed., Torino 1985; Della ingovernabilità. La società italiana tra premoderno e neo-industriale, Comunità, Milano 1987; L’attore sociale. Biologia, cultura e intelligenza artificiale, Einaudi, Torino 1987; L'incerta alleanza. Modelli di relazione tra scienze umane e scienze della natura, Einaudi, Torino 1992; Manuale di Sociologia (con coll.), Utet Libreria, 2a ed., Torino 1997; Se tre milioni vi sembran pochi. Sui modi per combattere la disoccupazione in Italia, Einaudi, Torino 1998; Globalizzazione e disuguaglianze, Laterza, 5a ed., Bari 2001; Il costo umano della flessibilità, Laterza, Bari 2001; L’impresa responsabile. Intervista su Adriano Olivetti, Comunità, Torino 2001. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Luciano Gallino - Università di Torino Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Nouvelles modalités de travail et assurances sociales: cause de précarité? Béatrice Despland Direttrice aggiunta dell'Istituto di diritto della salute dell'Università di Neuchâtel Nouvelles modalités de travail et assurances sociales: cause de précarité? Plan de l'exposé 1. Travail à temps partiel, contrat de travail à durée déterminée, travail sur appel, travail indépendant: • • Lacunes de couverture Affiliation facultative: une utopie? 2. Maladie, maternité, accident, invalidité: • • Définitions rigides? Inventer une assurance "mal-être"? 3. La collaboration interninstitutionnelle (CII) • • Les expériences en cours entre l'assurance-chômage, l'assurance-invalidité et l'aide sociale Un moyen de lutter contre l'exclusion 4. Le rôle du canton dans la lutte contre l'exclusion (sous l'angle du droit social) Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Béatrice Despland - Università di Neuchâtel 1/1 Béatrice Despland est née en 1949. Elle est titulaire d'une licence es sciences de l'éducation, d'une licence en droit et d'un diplôme d'études supérieures en droit, tous de l'Université de Genève. Elle a notamment été chargée de cours IDHEAP (Lausanne), a organisé le cours « les questions féminines en Suisse » et s'est occupée d'enseignement relatif à la place de la femme dans la sécurité sociale. Elle a également été secrétaire centrale de l'Union Syndicale Suisse (USS), professeure en droit social à l'Ecole d'Etudes sociales et pédagogiques et enseignante ponctuelle dans de nombreuses écoles supérieures, universités et également pour des administrations. En outre, elle est membre du groupe d'experts pour la révision de l'assurance-maladie, de la Commission fédérale de coordination pour les questions familiales (viceprésidente), du comité de direction du Programme national de Recherche « problème de l'Etat social (PNR 45) », du Conseil d'administration de la CNA (depuis janvier 2002), de l'Institut Européen de la Sécurité sociale (Leuven, Belgique), présidente de la Conférence des centres d'enseignement des domaines de la santé et du travail social (1998-2000), du Conseil d'administration du Fonds de compensation de l'assurance-maternité (Genève), et du Conseil d'administration du Fonds de compensation des allocations familiales (Genève). Depuis novembre 2001, elle a la fonction de directrice-adjointe de l'IDS à Neuchâtel. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Béatrice Despland - Università di Neuchâtel Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Lavoro e sicurezza sociale in Ticino Carlo Marazza Direttore dell'Istituto delle assicurazioni sociali, membro della Commissione federale per le questioni femminili Lavoro e sicurezza sociale in Ticino 1 2 3 4 INTRODUZIONE.......................................................................................................................................................... 1 RIFLESSIONI CRITICHE: COSA NON VA NEI NOSTRI SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE? ................. 1 2.1 CRISI D’EFFICACIA .................................................................................................................................................. 1 2.2 CRISI DI LEGITTIMITÀ ............................................................................................................................................... 2 I CAMBIAMENTI CHE INTERESSANO IL LAVORO INFLUENZANO LA SICUREZZA SOCIALE?.......... 3 3.1 LAVORO E SICUREZZA SOCIALE .............................................................................................................................. 3 3.1.1 Il sistema svizzero dei tre pilastri........................................................................................................ 4 3.1.2 Assicurazione contro la disoccupazione............................................................................................ 7 3.2 LAVORO E POVERTÀ ................................................................................................................................................ 8 3.3 LAVORO E FAMIGLIA................................................................................................................................................ 9 RIFLESSIONI CONCLUSIVE..................................................................................................................................10 4.1 ORIENTAMENTO SETTORIALE ................................................................................................................................10 4.2 ORIENTAMENTO MULTISETTORIALE (APPROCCIO SISTEMICO) ..............................................................................10 1 Introduzione Lo studio Forme del lavoro e qualità della vita di Christian Marazzi e Angelica Lepori è una bella occasione per cominciare a riflettere, sorretti da dati reali ed analisi serie, sulle conseguenze dei cambiamenti del lavoro sul benessere delle persone, dei lavoratori. Le domande principali che mi pongo, come uomo della sicurezza sociale che rappresenta in termini quantitativi e finanziari la politica pubblica più importante almeno nei paesi dell’Europa occidentale, sono in che misura: • la sicurezza sociale si assume la responsabilità di includere o escludere i cittadini e le cittadine dal proprio sistema; • la sicurezza sociale è reattiva o propositiva nei confronti dei cambiamenti; • la sicurezza sociale considera i cambiamenti del lavoro remunerato e non? 2 Riflessioni critiche: cosa non va nei nostri sistemi di sicurezza sociale? 2.1 Crisi d’efficacia La società del lavoro cambia se muta il lavoro. Sembra lapalissiano, ma constato che non si è ancora molto consapevoli di questo, soprattutto fra le autorità federali, che hanno le competenze maggiori in materia di sicurezza sociale. Ho l’impressione che ci sia troppo distacco fra le autorità federali e la realtà. Penso ad esempio all’Ufficio federale delle assicurazioni sociali e all’assicurazione per l’invalidità, o al Segretariato di Stato dell’economia e alle procedure sempre più complesse inserite nell’assicurazione contro la disoccupazione. Dovremmo invece usufruire e difendere i vantaggi del nostro federalismo, soprattutto l’applicazione decentralizzata della sicurezza sociale1. La ricerca, compresa quella sociale, è la premessa della conoscenza. È una funzione iterativa importante per la sicurezza sociale. Per evitare che resti sterile, fine a se stessa, è necessaria la collaborazione e la condivisione fra ricercatori e gestori, seguendo il processo del lavoro in divenire. La collaborazione fra la Scuola universitaria e professionale della svizzera italiana e l’Istituto delle assicurazioni sociali è stata la condizione per svolgere un’analisi circoscritta alla nostra regione di lingua italiana che meriterebbe la giusta attenzione a livello federale. 1 Un progetto denominato Cooperazione interistituzionale, voluto dalla Conferenza svizzera degli Uffici AI a Lugano alcuni mesi fa, ha preso l’avvio in questi giorni Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 1/11 Constatiamo che l’istruzione e la formazione sono orientate soprattutto alla professione. Il tempo libero è tempo libero dal lavoro, tempo di riposo per nuovo lavoro. La prestazione di disoccupazione risponde alla mancanza temporanea di lavoro per motivi congiunturali. La pensione d’invalidità o per infortunio si sostituisce al salario o al reddito in caso di eventi esterni non prevedibili. La pensione di vecchiaia è la ricompensa per una vita di lavoro. Cominciamo a capire che la salute è influenzata in misura notevole dagli stili di vita e dalle condizioni di lavoro (determinanti socioeconomici), ed in misura molto minore dai determinanti sanitari (cure sanitarie). Incominciamo a chiederci se l’educazione dovrebbe anche essere orientata allo sviluppo del talento individuale e delle competenze necessarie per vivere in una società in continua mutazione, di cui il lavoro è una componente essenziale. Ci rendiamo conto che la qualità del lavoro è determinante per le famiglie ed influenza la conciliazione con le attività familiari e la ripartizione dei ruoli fra genitori. La povertà residua interessa una parte sempre più importante della popolazione e raccoglie i disoccupati di lunga durata, i nuovi poveri (pensiamo al fenomeno dei working poor), le famiglie. I problemi di salute interessano, in modo diverso rispetto al passato, molte persone. Le difficoltà economiche del ceto medio, in particolare delle famiglie, aumentano. Il paradosso di questa realtà è la contrapposizione dei costi elevati della sicurezza sociale e dei bisogni sociali non ancora soddisfatti. La crisi d’efficacia deriva dalla duplice logica attuale dei sistemi di sicurezza sociale: • da una parte protettrice, inclusiva, nella misura in cui prende a carico le categorie di persone degne d’interesse (ad esempio i salariati con l’assicurazione contro la disoccupazione o parte di essi2 con la previdenza professionale obbligatoria per i regimi di tipo professionale), • dall’altra avversatrice, esclusiva, nella misura in cui non consente l’accesso ad altre categorie di persone (ad esempio con la previdenza professionale obbligatoria per molti lavoratori atipici e tutti i lavoratori autonomi). I problemi finanziari attuali con i quali è confrontata la sicurezza sociale derivano anche dalle spese della protezione contro la disoccupazione, imputabili all’andamento congiunturale e strutturale della nostra economia, e dai costi crescenti indotti dai cambiamenti intervenuti a partire dagli anni ’90, che interessano il lavoro e che si ripercuotono sui rami malattia ed invalidità 3. Questa situazione determina una sicurezza sociale piuttosto reattiva e poco propositiva nel rispondere ai nuovi bisogni. 2.2 Crisi di legittimità La crisi economica influenza la legittimità della sicurezza sociale. Questa crisi ha rafforzato negli ultimi anni il ruolo delle prestazioni selettive nella lotta alla povertà, anche se le differenziazioni crescenti che caratterizzano le famiglie e gli individui presuppongono un adeguamento della sicurezza sociale, affinché possa meglio considerare le eterogeneità della nostra società attuale e futura. Considerare questa via come panacea contro tutti i mali arrischierebbe di ridurre la sicurezza sociale alla sola lotta contro l’esclusione dei poveri. In altri termini si ridurrebbe 2 Soprattutto i lavoratori tipici e tradizionali con un certo reddito Le spese della sicurezza sociale sono progredite in modo autonomo rispetto al reddito nazionale o cantonale. Esse, infatti, evolvono in maniera indipendente o addirittura inversa; pensiamo a quelle che derivano dal bisogno di consumo di beni sanitari, oppure quelle che discendono dalle difficoltà economiche e dai grossi cambiamenti economici, che impongono l’indennizzo a scadenze più o meno regolari dei disoccupati, e che esercitano un effetto indiretto su altri settori come quello dell’invalidità 3 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 2/11 la sicurezza sociale ad una parte di una sola funzione: quella della garanzia di un reddito di complemento4 selettivo. Dimenticheremmo di conseguenza l’importanza che riveste la sicurezza sociale per tutta la popolazione e revocheremmo il contratto sociale che ci lega. Il legame esistente fra il prelevamento dei contributi sulla massa reddituale, in particolare salariale, e le prestazioni corrisposte è un caposaldo della popolarità e dell’accettabilità politica della funzione sostitutiva della sicurezza sociale, che deriva dalla tecnica assicurativa, dallo strumento necessario ad applicare i redditi sostitutivi 5. Gli assicurati sono coscienti che pagano, almeno in buona misura, per la sicurezza sociale che viene loro offerta. La selettività in sostituzione dell’universalità spingerebbe verso una diminuzione della solidarietà, perché le fasce più agiate della popolazione sarebbero sempre meno disposte a finanziarla. Il richiamo alle prestazioni selettive, giustificato in determinate situazioni, se corrispondesse alla soppressione del rapporto fra contributi e prestazioni, con il passaggio alle sole prestazioni mirate finanziate tramite la fiscalità in modo non contributivo, arrischierebbe di delegittimare la sicurezza sociale. Questo è un aspetto fondamentale che va considerato nell’adeguamento della sicurezza sociale alle nuove forme di lavoro ed alle attività socialmente rilevanti, di cui dobbiamo essere coscienti se non vogliamo creare degli sconquassi nel rapporto fra sicurezza sociale e lavoro 6. Al contrario, le prestazioni selettive sono legittime per lottare contro la povertà. Per le famiglie bisognerà far capo ad entrambe le funzioni 7. 3 I cambiamenti che interessano il lavoro influenzano la sicurezza sociale? 3.1 Lavoro e sicurezza sociale La relazione attuale fra lavoro e sicurezza sociale, che ha condizionato tutto il novecento,va rivista? È una domanda che dobbiamo porci, se pensiamo all’apparizione delle nuove forme di lavoro, alla persistenza della disoccupazione strutturale, alla precarietà, ai problemi crescenti con i quali sono confrontate le famiglie. Queste importanti preoccupazioni della politica sociale contemporanea pongono in discussione l’opportunità di mantenere il legame nei termini attuali. È quindi necessario ristudiare, per poi adeguarlo, il rapporto fra lavoro e sicurezza sociale. All’origine, la protezione (interessante il senso etimologico del termine) sociale era ancorata al primato del lavoro, poi, con l’avvento della sicurezza sociale e la ridistribuzione del reddito nazionale a favore dei cittadini si è verificata una rottura solo apparente del legame8. Anche in futuro continueranno ad esistere dei settori rilevanti consacrati specificatamente alla protezione dei lavoratori, che necessitano l’appartenenza alla comunità del lavoro. Sono interessati la protezione contro i rischi professionali, quella contro la disoccupazione o i regimi complementari legali o convenzionali (soprattutto le indennità giornaliere). D’altra parte l’indagine della SUPSI sugli effetti sociali della flessibilità del mercato del lavoro in Ticino dimostra e conferma l’aumento della precarietà imputabile ai lavori atipici. 4 Che completa un fabbisogno scoperto Che sostituiscono un reddito precedente (ad esempio l’AVS) Gli accrediti per compiti educativi e assistenziali, introdotti dal 1. gennaio 1997 con la decima revisione dell’AVS, sono un riconoscimento dell’attività non retribuita, soprattutto delle donne, di cui possiamo essere fieri 7 L’introduzione a partire dal 1. luglio 1997 nel nostro cantone dell’assegno di prima infanzia è il riconoscimento dell’attività familiare, della cura dei figli piccoli delle famiglie povere, tramite una prestazione selettiva 8 Guy Perrin, Sécurité sociale, Réalités sociales, Losanna, 1993 5 6 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 3/11 L’adeguamento della sicurezza sociale alle nuove forme di lavoro (il lavoro interinale, il lavoro su chiamata e temporaneo, il lavoro autonomo) deve perseguire, da un lato, la protezione dei lavoratori e, dall’altro, la riduzione degli ostacoli che la sicurezza sociale opporrebbe allo sviluppo di nuove forme di lavoro nell’interesse della promozione dell’impiego e della valorizzazione dell’attività quale veicolo di cittadinanza (inserimento professionale e/o sociale della persona). Un nuovo legame fra sicurezza sociale e lavoro, che metta in risalto il lavoro non più come fonte del diritto alla prestazione sociale, bensì come fine dell’intervento della sicurezza sociale alla quale dovrebbero essere subordinati i regimi transitori d’indennizzo necessari all’inserimento ed al reinserimento professionale è necessario. La mancanza di questo adeguamento costituisce la causa del trasferimento dei casi e dei costi fra un settore e l’altro. L’assicurazione per l’invalidità è la più penalizzata da questo stato di cose, al punto che oggi deve assumersi oltre all'andicap sanitario, che le è proprio, pure quello sociale. Non riconoscerlo è un atto di ipocrisia politica. La protezione fondamentale 9 quanto agli obiettivi (diritti fondamentali e sociali ed obiettivi sociali), che è anche di base quanto al grado d’intervento e che garantirebbe un diritto minimo d’esistenza a tutti i cittadini deve essere adeguata ai cambiamenti. La protezione fondamentale e di base, che non va confusa con il diritto al reddito minimo garantito (idea ormai sorpassata in tutte le sue forme), è completata dalla protezione specifica e complementare per i lavoratori, connessa quindi con l’esercizio di un’attività professionale. 3.1.1 Il sistema svizzero dei tre pilastri 3.1.1.1 AVS: regime pensionistico universale 10 La sicurezza sociale dovrebbe garantire maggiore libertà agli individui nella scelta della durata e della ripartizione del lavoro e dell’attività o della cessazione graduale del loro lavoro. Una pensione parziale e progressiva, al posto di una pensione anticipata e ridotta che poco influenza la riduzione della vita lavorativa, risponde meglio ad un bisogno reale individuale e sentito da molti lavoratori salariati ed autonomi vicini al loro pensionamento (l’11esima revisione AVS propone una prima embrionale proposta in questo senso). La riduzione dell’età di pensionamento nei regimi pensionistici di vecchiaia non è lo strumento appropriato per combattere gli effetti della disoccupazione dei lavoratori più anziani. La sicurezza sociale deve anche facilitare lo sviluppo di nuove interessanti forme di lavoro 11, al fine di conciliare la dimensione economica dello sviluppo con quella sociale. A questo proposito è interessante notare come all’AVS è stato conferito il compito di decidere se un lavoratore possa affiliarsi come indipendente. Lo scopo di questo intervento è tecnico12 e va ricollegato soprattutto alla previdenza professionale obbligatoria. Infatti, nel nostro paese il passaggio da un’attività salariata ad una autonoma consente il prelevamento dell’intero capitale versato dal lavoratore e dal datore di lavoro all’istituto di previdenza13. All’AVS si è quindi assegnato il compito di controllare ed arginare il fenomeno dell’aumento dei lavoratori indipendenti nell’interesse degli istituti di previdenza (capitali versati agli assicuratori ed alle casse pensioni) e degli assicurati 9 La Svizzera con l’universalizzazione delle pensioni di vecchiaia e superstiti (dal 1948 con l’AVS), delle prestazioni reali e finanziarie in caso d’invalidità (dal 1960 con la l’AI), alle quali bisogna aggiungere le prestazioni complementari all’AVS e all’AI (dal 1966 con le PC), della garanzia delle cure mediche (dal 1996 con la LAMal), garantisce ad una buona parte della popolazione, a tutti i pensionati superstiti invalidi e malati, una protezione fondamentale e di base 10 Che copre tutta la popolazione residente o che lavora nel nostro paese 11 Penso all’abbinamento fra lavoro parziale e sicuro e pensionamento parziale e sicuro o ai lavori autonomi 12 L’AVS, definisce chi rientra nel campo di applicazione dei regimi professionali (assicurazione contro la disoccupazione, previdenza professionale, assegni familiari ordinari, assicurazione maternità in futuro, assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali d’intesa con gli assicuratori interessati) 13 Prestazione di libero passaggio Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 4/11 interessati (perdita della copertura assicurativa). Considerato il forte trasferimento avvenuto nell’ultimo decennio dal lavoro dipendente a quello indipendente, al punto che Marazzi e Lepori hanno accertato in base hai dati molto rappresentativi della Cassa cantonale di compensazione AVS che i lavoratori autonomi rappresentano in Ticino il 18 % di tutti i lavoratori, mi chiedo se sia corretto affrontare il fenomeno ancora in questo modo, frustrante per noi che dobbiamo applicare la normativa e per coloro che ricevono una comunicazione negativa, o se non sia meglio trovare altre soluzioni. Evidentemente ciò presuppone la presa di coscienza, in particolare in sede federale 14, dei cambiamenti in atto e delle nuove tendenze che interessano il mercato del lavoro. Ben vengano gli studi quali quello della SUPSI che dovrebbero aiutarci ad aprire gli occhi. 3.1.1.2 Assicurazione per l’invalidità 15 Qual è il rapporto fra l’assicurazione invalidità e la precarietà? • Da una parte c’è l’invalidità classica, che prende a carico gli individui con un danno alla salute che ha conseguenze economiche (andicap sanitario); • dall’altra, c’è la nuova invalidità, che si accolla l’andicap sociale16. La nuova invalidità è correlata con la precarietà. Le nostre esperienze fatte con la reintegrazione professionale, traguardo principale dell’AI17, mostrano tre livelli di precarietà: o la precarietà del lavoro (lavori atipici) esercitato dalle persone interessate, o la precarietà formativa e conoscitiva degli individui coinvolti, o la precarietà della salute 18. A proposito della precarietà del lavoro è opportuno richiamare le considerazione contenute nello studio della SUPSI sulle nuove forme del lavoro. La precarietà formativa e conoscitiva dipende dalle risorse personali e dalla situazione personale e familiare. Le risorse personali sono la discriminante maggiore. Per gli individui con sufficienti risorse personali, in particolare formative, l’AI costituisce una svolta di vita che consente loro un’integrazione completa (sociale e professionale). Questi assicurati sono consci dell’aiuto ricevuto e ci ringraziano. Gli altri individui, con scarse risorse personali, che definisco i precari dei precari19, non riescono a beneficiare dell’aiuto dell’AI, al punto che entrano, escono e rientrano continuamente nell’assicurazione. Essi rappresentano un terzo di tutti i casi di reintegrazione assunti dall’AI in Ticino. Quando momentaneamente non interagiscono con l’AI, lo fanno con altri settori, dall’assicurazione disoccupazione all’assistenza sociale passando ogni tanto anche dall’assicurazione malattie. La precarietà della salute vede le malattie psichiche20 ed disturbi della personalità 21 in forte aumento. Nel 1985 rappresentavano in Svizzera il 24% di tutte le malattie invalidanti; nel 1999 rappresentavano il 35% e costituiscono il gruppo di malattie più invalidante. Dal 1994 al 1999, sempre a li vello svizzero, i casi di rendita d’invalidità a seguito di malattie psichiche sono aumentate del 7% all’anno, mentre quelli imputabili ai disturbi della personalità sono cresciuti del 10,5% all’anno 22 23. È, inoltre, interessante 14 Il Parlamento federale ha ricevuto un messaggio del Consiglio federale che propone di allineare i criteri applicati dalla sicurezza sociale e dalle autorità fiscali. Così si evita di affrontare il vero problema 15 Prestazione universale 16 Tramite i meccanismi assicurativi tipici dell’AI (danno alla salute, a seguito della precarietà, con conseguenze economiche) 17 Speriamo che non diventi, via via, una chimera 18 Per l’AI il danno alla salute dev’essere oggettivabile 19 Per queste persone il danno alla salute è la punta dell’iceberg, che può aprire la porta dell’AI 20 Psicosi e nevrosi 21 Ad esempio disturbi psicogeni, neurosi, casi borderline, depressivi, ipocondriaci, psicosomatici 22 Non mi soffermo in considerazioni di salute pubblica, che meriterebbero un approfondimento 23 L’aumento medio di tutte le malattie è stato del 4,4% all’anno Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 5/11 rilevare che la percentuale degli invalidi, per cause psichiche in generale, aumenta in misura inversamente proporzionale al grado di formazione e alla professione esercitata. In altre parole le persone semi qualificate o non qualificate sono le più toccate. Infine, l’anno 2001 fra i nuovi casi di rendita per motivi psichici delle persone fra i 30 ed i 60 anni mostra una presa a carico femminile maggiore rispetto a quella maschile. Il Ticino si situa nella media svizzera. Un aspetto che meriterebbe un approfondimento è la rinuncia da parte delle grandi aziende (banche, assicurazioni, ex regie federali, grandi distributori) a quel ruolo sociale al quale hanno dovuto o voluto rinunciare, trasferendo e caricando le figure per loro problematiche sulle assicurazioni sociali. Come rispondere a questo ineluttabile cambiamento? 3.1.1.3 Prestazioni complementari all’AVS ed all’AI 24 La povertà degli anziani, dei superstiti e degli invalidi è stata debellata dalla Confederazione con l’AVS, l’AI e la legge sulle prestazioni complementari. Ciò costituisce una delle grandi conquiste sociali svizzere del novecento. Le prestazioni complementari rivestono un ruolo importante anche per i beneficiari di rendita d’invalidità, che a seguito della loro situazione di precarietà che deriva dai lavori atipici, si vedono integrato il minimo esistenziale. È interessante notare che in Ticino la voce di spesa di prestazione individuale che aumenta di più è proprio quella delle PC-AI25. La risposta è perché aumentano i casi AI. La domanda è perché aumentano i casi AI? Con riferimento a quanto asserito prima per l’assicurazione invalidità, le prestazioni complementari all’AI rafforzano questa tendenza; infatti, i casi PC-AI dovuti a malattie psichiche sono aumentati nel nostro paese del 9,5% all’anno nel medesimo periodo, quelli a disturbi della personalità al 13% 26. L’analisi di questi dati conferma l’aumento dei casi AI con precarietà economica. 3.1.1.4 Previdenza professionale obbligatoria 27 La previdenza professionale obbligatoria è l’esempio svizzero migliore di come la sicurezza sociale possa includere o escludere i cittadini. Questa assicurazione sociale è orientata al lavoro salariato tradizionale, classico, e non atipico. Se si lavora per più datori di lavoro e non si raggiunge un salario minimo equivalente a 24’780.- franchi all’anno per il medesimo datore di lavoro non si entra nel campo di applicazione personale della legge (LPP), detto diversamente non si è coperti. Il Consiglio Nazionale ha quest’anno approvato delle importanti modifiche, nell’ambito della prima revisione della LPP. Esso ha diminuito la quota di coordinamento che da diritto alla previdenza professionale da fr. 24'780.- a fr. 18'585.-, ritenuto che bisognerà sommare i redditi conseguiti presso più datori di lavoro. La revisione è ora al vaglio del Consiglio degli Stati che la discuterà, assieme all’undicesima revisione dell’AVS, durante la sessione invernale. La precarizzazione del lavoro con l’aumento del lavoro autonomo è un ulteriore tema che dovrebbe interessare la previdenza professionale obbligatoria. In ogni caso il disinteressamento da parte della previdenza professionale per queste casistiche comporterà il successivo intervento, al più tardi al momento del raggiungimento dell’età AVS, da parte delle prestazioni complementari che sono interamente finanziate dallo Stato. 24 Prestazioni selettive (redditi di complemento) 49 mio nel 2002, con un aumento medio del 7% negli ultimi 5 anni L’aumento medio di tutte le malattie è stato del 7,9% all’anno 27 Regime parzialmente professionale 25 26 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 6/11 3.1.2 Assicurazione contro la disoccupazione28 Qual è il rapporto fra l’assicurazione disoccupazione e la precarietà? Ci sono dei fatti che mostrano bene la precarietà: • la disoccupazione di lunga durata; • il raggiungimento della fine del diritto alle indennità di disoccupazione; • la situazione lavorativa di coloro che percepiscono contemporaneamente l’indennità di disoccupazione ed un guadagno intermedio. 3.1.2.1 Disoccupazione di lunga durata Sono disoccupati di lunga durata coloro che lo sono da più di un anno e che percepiscono ancora l’indennità. Il seco elabora un indicatore, non conosciuto e molto significativo rispetto ai soliti dati sulla disoccupazione divulgati regolarmente in modo abbastanza acritico, l’indice di vulnerabilità. Cos'è? È quel indice che informa sulla precarietà di un gruppo più ristretto rispetto ad un gruppo più vasto di popolazione. Precarietà dei disoccupati di lunga durata CH Totale Disoccupati iscritti Disoccupati lunga durata Indice di vulnerabilità (lunga durata % disoccupati iscritti) Media 12 mesi Media 6 mesi Media 12 mesi Media 6 mesi Media 12 mesi Media 6 mesi Agosto 2001luglio 2002 1. semestre 2002 Agosto 2001luglio 2002 1. semestre 2002 Agosto 2001luglio 2002 1. semestre 2002 83’531 92’370 10’667 10’751 1 1 Regioni Svizzera tedesca 50’721 57’205 4’513 4’568 0,70 0,69 Svizzera romanda e Ticino 32’810 35’165 6’155 6’183 1,47 1,51 Età 15-24 anni 12’886 14’061 496 499 0,30 0,31 25-49 anni 54’094 60’083 6’331 6’415 0,92 0,92 50 anni e più 16’552 18’226 3’840 3’837 1,82 1,81 Constatiamo che gli assicurati più vulnerabili, quindi anche più precari, sono i disoccupati con 50 anni e più e quelli provenienti dalla Svizzera francese e dal Ticino. La nazionalità ed il sesso non influiscono in misura rilevante sulla vulnerabilità. Se raffrontiamo, invece, i disoccupati di lunga durata con la popolazione attiva, rileviamo che le donne sono più vulnerabili rispetto agli uomini (indice di 1,26 rispetto a 0,85). 3.1.2.2 Disoccupati arrivati a fine diritto La vulnerabilità è pure stata definita da uno studio del seco29 per i disoccupati che raggiungono la fine del diritto alle indennità di disoccupazione. 28 29 Regime professionale Arbeitslosigkeit in der Schweiz, Registrierte Stellensuchende und Arbeitslose, seco, Berna, 2001 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 7/11 Precarietà dei disoccupati arrivati a fine diritto Anno 2000 Disoccupati arrivati a fine diritto Proporzione rispetto al totale dei disoccupati Popolazione attiva Indicatore di vulnerabilità Svizzera Totale 17’129 100% 3'621’716 1,00 Donne 8’632 50,4% 1'408’977 1,30 Uomini 8’497 49,6% 2'212’739 0,81 Svizzeri 9’175 53,6% 2'809’050 0,69 Stranieri 7’954 46,4% 812’666 2,07 15-24 anni 963 5,6% 661’061 0,31 25-49 anni 9’214 53,8% 2'176’781 0,89 6’952 40,6% 783’874 1,88 Svizzero tedeschi 50 anni e più 10’243 59,8% 2'611’140 0,83 Romandi e ticinesi 6’886 40,2% 1'010’576 1,44 139’428 1,73 Ticino Ticino 1’144 6,7% Con riferimento ai disoccupati arrivati a fine diritto rileviamo che i più vulnerabili sono le donne, gli stranieri, coloro che hanno 50 anni e più e coloro che abitano in Ticino. 3.1.2.3 Disoccupati che percepiscono un guadagno intermedio L’analisi di coloro che percepiscono un guadagno intermedio è molto interessante, perché conferma in modo molto chiaro la precarizzazione del mercato del lavoro. Questa categoria di disoccupati è rappresentativa e secondo i dati della Cassa cantonale di assicurazione contro la disoccupazione costituisce approssimativamente un quarto dell’intera categoria dei disoccupati indennizzati. Precarietà dei disoccupati che percepiscono un guadagno intermedio Svizzera Totale Percentuale Ticino Percentuale 51’615 100% 3’327 100% Salario mensile 9’692 19% 1’050 31% Salario orario e settimanale fisso 6’492 12% 413 12% 35’431 69% 1’864 57% Salario temporaneo e su chiamata In Ticino, durante il primo semestre di quest’anno, i rami professionali più toccati sono stati quelli della consulenza e informatica (del quale fanno parte le agenzie di collocamento), ristorazione e albergheria, commercio, servizi del personale, costruzione. Il guadagno intermedio e mensile medio ammonta in Ticino a franchi 2'299.-. questo reddito proprio è integrato dall’indennità di disoccupazione. 3.2 Lavoro e povertà L’estensione a tutti della protezione fondamentale è pure garanzia di lotta alla povertà, rischio non contemplato dagli attuali sistemi di sicurezza sociale. La lotta contro la povertà contribuisce a modificare il legame tra sicurezza sociale e lavoro nella misura in cui l’hanno dimostrato pure i regimi di protezione contro la disoccupazione. La Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 8/11 disoccupazione di lunga durata 30 ed il fenomeno crescente dei lavoratori poveri sono importanti motivi di povertà. La nuova povertà, imputabile a motivi economici, designa infatti le vittime dei processi di precarizzazione, se confrontata alle forme anteriori di marginalizzazione ed esclusione discendenti da cause personali e sociali. A partire dagli anni 90’ sono apparsi sulla scena del mercato del lavoro i lavoratori poveri, i cosiddetti working poor, che pur lavorando non riescono con il loro reddito a sopperire al loro fabbisogno minimo. Quando parliamo di working poor pensiamo alla povertà; povertà che discende non dalla mancanza di lavoro, bensì dalla precarietà del lavoro. Il fenomeno crescente dei working poor è un motivo importante di povertà. Durante l’ultimo decennio l’aumento della povertà è imputabile nella misura dei due terzi alla povertà crescente delle persone con un lavoro. Il numero dei working poor è aumentato in modo costante, soprattutto a causa dei cambiamenti che hanno, in parte, reso più instabile e vulnerabile (meno sicuro) il mercato del lavoro. Lo studio Marazzi/Lepori conferma che le cause principali di precarizzazione sono lo spostamento dall’attività salariata (dipendente) a quella autonoma (indipendente), il lavoro interinale, il lavoro su chiamata e quello a temporaneo, ai quali va aggiunto il lavoro nero. Nel 1999 in Svizzera il 7,5% delle persone (molti capi famiglia) con un lavoro tra i 20 ed i 59 anni non ce la faceva a sbarcare il lunario con i propri mezzi (approssimativamente meno di 2'500 franchi netti al mese per un’occupazione a tempo pieno). Il tasso che interessa le donne è superiore e raggiunge il 9%. Ciò significava 250'000 economie domestiche povere e 535'000 persone, fra cui molti bambini, interessate31. Il Ticino si colloca nella media svizzera con 7'000 lavoratori poveri a cui fa capo un’economia domestica. Il legame fra questa povertà, legata al lavoro, ed i processi di riorganizzazione del mercato del lavoro è esplicito. Ciò pone dei seri ed importanti problemi sociali alla collettività. Oltre alla precarietà economica, anche l’insicurezza e la forte flessibilità richiesta dai a l vori atipici sono fonte di tensione a livello familiare ed hanno delle ripercussioni sulla salute. La conseguenza è la presa a carico dei bisogni, soprattutto economici, ed il trasferimento dei costi sullo Stato: penso soprattutto all’assicurazione invalidità, all’assistenza sociale ed all’assicurazione malattia. Anche l’armonizzazione ed il coordinamento delle prestazioni sociali cantonali a carattere finanziario 32, buona parte dei redditi di complemento (prestazioni selettive), approvata ed adeguata dal Gran Consiglio nel giugno del 2000 e del 2002, permetterà, da un profilo che interessa la sicurezza sociale, di rispondere a sua volta anche al problema dei working poor. 3.3 Lavoro e famiglia A questo proposito è opportuna la distinzione fra flessibilità, termine che oggi ha purtroppo assunto la connotazione di parola valigia 33, concetto non falsificabile secondo Karl Popper, e precarietà del mondo del lavoro. È anche nell’interesse della sicurezza sociale facilitare la flessibilità (pensiamo alle famiglie ed al lavoro fisso a tempo parziale) e rispondere con nuove modalità, che superano la vecchia assistenza sociale, alla precarietà. Alla povertà delle famiglie il nostro Cantone ha risposto in buona misura con la legge sugli assegni di famiglia, con l’assegno integrativo e quello di prima infanzia, recentemente consolidata ed adeguata dal Gran Consiglio con la prima revisione della legge. Con questa legge il Ticino ha trasferito l’intervento a favore delle famiglie povere dall’assistenza sociale all’assicurazione sociale. In questo modo siamo stati i primi ad iniziare una vera e propria politica familiare in Svizzera. A livello federale acquista sempre più peso l’idea che al fenomeno dei working poor si possa rispondere con delle 30 In questa occasione penso a coloro che hanno esaurito le indennità di disoccupazione o che non le hanno mai percepite T. Bauer e E. Streuli, studio effettuato dallo studio Bass su mandato del Ufficio federale di statistica, 2001, Berna Contemplata dalla nuova legge sull’armonizzazione e il coordinamento delle prestazioni sociali (Laps) del 5 giugno 2000 33 Luciano Gallino, Se tre milioni vi sembrano pochi, Einaudi, Torino, 1998, pag. 29 31 32 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 9/11 misure che discendono da due politiche pubbliche: la politica del mercato del lavoro e la politica familiare. Il Ticino con la sua politica familiare ha pure risposto al problema dei working poor, padri e madri di famiglia, ed ha risposto alla crescente femminilizzazione della povertà, diminuendo il numero delle mamme povere. La prima revisione della legge sugli assegni di famiglia, adegua la legge anche ai modi di lavorare ed introduce le misure di appoggio 34 per le famiglie povere, che hanno lo scopo, soprattutto per le mamme di conciliare l’attività familiare con quella professionale. Comunque, più in generale, la centralità del lavoro, come fonte di reddito e di integrazione sociale, presuppone per tutti i genitori, non solo quelli poveri, la ricerca di una migliore compatibilità fra famiglia e professione. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro e l’accresciuta flessibilità del mondo del lavoro sollecitano nuove risposte. Il nuovo disegno di legge per le famiglie, approvato dal Governo lo scorso 25 giugno, considera queste mutate esigenze. 4 Riflessioni conclusive 4.1 Orientamento settoriale Le riflessioni fatte per la sicurezza sociale ci dimostrano che la dialettica sociale è quella tra coloro che appartengono alla comunità economicamente e socialmente protetta (inclusi) e coloro che vivono ai suoi margini o al di fuori di essa (esclusi). Il conflitto attuale e futuro è quello tra coloro che beneficiano del benessere e coloro che ne sono in parte (il problema da noi si pone soprattutto a questo livello) o totalmente esclusi. Uno sviluppo durevole 35 che consideri le dimensioni, sociale economica ed ambientale dei problemi e dei bisogni, è la premessa per risolvere questo conflitto. L’attuale concezione (definita analitica) che condiziona l’approccio, ancora applicata nel nostro paese, è molto settoriale. Diversi problemi del nostro sistema di sicurezza sociale svizzero derivano, anche inconsapevolmente, da questo approccio, che non può che essere reattivo36. Ho l’impressione che l’UFAS si concentra sulla dimensione sociale ed il seco su quella economica. Quella ambientale poi è negletta (un esempio: disoccupazione e mobilità). Ciò incrementa la crisi di efficacia della sicurezza sociale. 4.2 Orientamento multisettoriale (approccio sistemico) Affrontare i temi connessi con il lavoro e la povertà, il lavoro e la famiglia, il lavoro e la formazione, il lavoro e la salute, le nuove forme di lavoro ed il mercato del lavoro, il diritto del lavoro e la sicurezza sociale, significa uscire dalle logiche settoriali. La lotta contro la povertà presuppone un complesso di diritti fondamentali che garantiscano un minimo esistenziale37, le cure sanitarie e l’inserimento/reinserimento professionale e sociale. Questa protezione fondamentale difetta ancora, a livello svizzero, delle prestazioni familiari (nel senso di una loro universalizzazione) e di quella di maternità 38. 34 Se il genitore che percepisce un assegno di prima infanzia esercita un’attività lavorativa può beneficiare del rimborso delle spese di collocamento dei figli in un asilo nido riconosciuto ed autorizzato o presso una mamma diurna riconosciuta 35 Lo sviluppo durevole o sostenibile presuppone che il benessere sociale, ambientale ed economico possa essere assic urato a lungo termine. L’equilibrio fra le tre dimensioni del benessere richiede un approccio sistemico 36 Per il Consiglio federale lo sviluppo durevole (o sostenibile) non è un’altra politica settoriale, bensì un principio regolativo che deve essere integrato in tutte le politiche settoriali (rapporto del CF Strategia per uno sviluppo sostenibile 2002 del 27 marzo 2002 37 L’AVS con le PC e gli assegni familiari ticinesi di complemento (AFI ed API) sono gli esempi svizzeri migliori 38 L’iniziativa Triponex, approvata dal Consiglio Nazionale, propone un’assicurazione maternità per le madri salariate ed indipendenti nell’ambito della legge sull’indennità per perdita di guadagno in caso di servizio militare e civile Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 10/11 A questa protezione si aggiunge quella specifica, che interessa i lavoratori; in particolare l’indennità giornaliera in caso di malattia (legale o convenzionale), d’infortunio, di servizio militare o civile, le prestazioni in caso d’infortunio o malattia professionale, la previdenza professionale obbligatoria e facoltativa, l’assicurazione contro la disoccupazione. A questo livello è importante riflettere sulle conseguenze delle nuove forme di lavoro. La protezione specifica dei lavoratori autonomi (indipendenti), come pure quello dell’adeguamento alle nuove forme di lavoro, sono temi che meritano risposte soprattutto in sede federale. A livello cantonale c’è da chiedersi se non esistono i mezzi di manovra per rispondere alla precarizzazione del lavoro, realizzando, con modalità da studiare, delle strutture che sappiano orientare e sostenere il passaggio del lavoratore da un’occupazione all’altra. Lo scopo sarebbe quello di garantire una certa stabilità, con tra l’altro conseguenze positive anche sulla salute, anche ai lavoratori atipici. Anche il reinserimento nel lavoro, importante per le assicurazioni federali disoccupazione ed invalidità, potrebbe beneficiarne, con interessanti risvolti a livello cantonale. Inoltre, la polarità fra prestazioni universali e selettive, che condiziona l’adeguamento del nostro sistema di sicurezza sociale, è importante per uno Stato federale come la Svizzera, dove è necessario suddividere i ruoli ed essere consci delle competenze39. L’adeguamento del sistema, in particolare delle assicurazioni sociali40, è competenza della Confederazione; le politiche selettive e mirate sono soprattutto di competenza dei cantoni. Alle nuove forme di lavoro non corrispondono solo maggiori difficoltà nell’impiego, ma anche un cambiamento dei valori sociali che sorreggono il lavoro e che influenzano la sicurezza sociale. Il legame tra sicurezza sociale e lavoro deve essere quindi in parte rivisto; il lavoro ha smesso di essere, almeno per la maggioranza, unicamente la fonte di reddito più importante, per diventare anche un veicolo di realizzazione personale e di inserimento sociale determinante. In questo senso il lavoro è connotato anche socialmente e non solo economicamente, perché si configura come attività, attività accanto ad altre (personali, familiari, culturali, sociali, di svago) 41. L’adeguamento continuo e durevole della sicurezza sociale, non settoriale bensì multisettoriale, è premessa di propositività nei confronti di tutti i cambiamenti, soprattutto quelli che interessano il lavoro, e costituisce la leva più forte per migliorare la qualità di vita dei cittadini 42, quindi pure dei lavoratori. 39 Nel nostro paese questo approccio deve pure considerare il federalismo Le assicurazioni sociali rappresentano una tecnica utilizzata dalla sicurezza sociale per realizzare le proprie funzioni (ad esempio i redditi sostitutivi) 41 Futuribles, Les valeurs des Européens, juillet-août 2002, numéro 277, Paris, pag. 63 e segg. 42 La concezione funzionale, nata in sede internazionale, fa dell’approccio multisettoriale la modalità di funzionamento del sistema di sicurezza sociale moderno. I nostri sistemi di sicurezza sociale contemplano quattro funzioni, dette costitutive. Sono la protezione e la promozione della salute, la garanzia di un reddito sociale sostitutivo del reddito professionale (ad esempio le pensioni), la garanzia di un reddito sociale di complemento alle famiglie e a coloro che non sono in grado di sopperire ai loro bisogni esistenziali con un reddito professionale o sostitutivo sufficiente, la protezione contro la disoccupazione (prevenzione, reinserimento, indennizzo) che si estende alla valorizzazione delle risorse umane (mantenimento e promozione dell’impiego). La prevenzione, il reinserimento sociale e professionale, la ricerca e l’azione sociale coadiuvano le citate quattro funzioni (funzioni iterative). 40 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 11/11 Carlo Marazza è nato nel 1956. Ha conseguito la licenza di diritto presso l'Università di Ginevra e sostenuto la pratica forense presso un noto studio legale di Chiasso e Lugano. Sposato e padre di un figlio. Giurista ed avvocato alle dipendenze dello Stato dal 1987 prima come capo del centro di legislazione e documentazione, dal 1990 è direttore dell’Istituto delle assicurazioni sociali, che attualmente conta 200 collaboratori, al quale fanno capo la Cassa cantonale di compensazione AVS/AI/AIPG, con i compiti cantonali in materia di prestazioni complementari e assicurazione malattia, la Cassa cantonale di assicurazione contro la disoccupazione, la Cassa cantonale per gli assegni familiari e l’Ufficio cantonale dell’assicurazione invalidità. È attivo in diverse commissioni e gruppi federali sulle assicurazioni sociali, è stato vicepresidente della Conferenza svizzera delle casse cantonali di compensazione AVS. È presidente della Commissione tripartita cantonale in materia di libera circolazione delle persone a seguito dell’entrata in vigore degli accordi bilaterali con l’Unione europea ed è membro della Commissione federale per le questioni femminili. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Maurizio Corti Giornalista presso la Televisione Svizzera italiana, redazione TG della Non si può dire che questo secolo sia cominciato nel migliore dei modi rispetto alle prospettive economiche, sociali, ambientali, dei rapporti fra i popoli. L'evoluzione internazionale conosciuta nell'ultimo decennio e molti eventi di questi ultimi mesi registrati anche nel nostro paese hanno fatto emergere nuove paure e insicurezze. La più ampia autonomia consegnata al libero mercato ha generato anche traumi e disillusioni. Basti scorrere copertine, titoli di quotidiani, riviste, giornali radio e tv per rendersi conto che molti meccanismi si sono inceppati nel sistema economico prevalente. Se i mezzi di comunicazione sono specchio - seppur non sempre fedele e imparziale della realtà che ci circonda, quel che ci viene trasmesso quotidianamente dai flussi di informazione è un'immagine ricca di contraddizioni e interrogativi. Non solo per colpa della deriva del giornalismo, ma anche perché gli avvenimenti, le notizie hanno saputo superare anche l'immaginabile. Attraverso alcuni esempi sui contenuti dei mezzi di informazione, si può interpretare il disagio che vivono oggi molte società occidentali, Svizzera compresa. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Maurizio Corti - giornalista RTSI Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Lavoro flessibile, società flessibile: progetto riformista o rischio per l'integrazione sociale? Patrizia Pesenti Presidente del Consiglio di Stato Direttore del Dipartimento della sanità e della socialità Inchiesta sugli effetti sociali della flessibilità del mercato del lavoro in Ticino Gentili Signore, Egregi Signori, sono particolarmente contenta di essere qui oggi per la presentazione e discussione della ricerca sul tema “ Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino. Inchiesta sugli effetti della flessibilità del mercato del lavoro in Ticino” realizzata dalla SUPSI su mandato del Dipartimento della sanità e della socialità. In primo luogo vorrei ringraziare i due autori dell’inchiesta Christian Marazzi e Angelica Lepori per l’ottimo lavoro svolto. Questo studio si inserisce in un’ampia riflessione che il DSS ha avviato in questa legislatura. Partendo dalla constatazione che il modo in cui lavoriamo sta rapidamente cambiando, come responsabili della sanità e della socialità abbiamo voluto vedere come le nuove forme di lavoro influiscono sulla salute delle persone e quali effetti hanno sulle garanzie/sicurezza sociale. Del primo tema (nuove forme di lavoro come determinanti della salute) ci occuperemo ancora in modo più approfondito in una giornata, il 6 novembre prossimo. Mentre oggi vogliamo approfondire la conoscenza degli effetti delle nuove forme di lavoro sulla qualità della vita. Personalmente devo molto a Charles Leadgeater, un ricercatore inglese che già nel 1998 ha saputo mettere a fuoco e anticipare il tema del crescente contrasto tra flessibilità e sicurezza sociale (The employee mutal, Demos/Reed 1998). A distanza di qualche anno quelle che sembravano anticipazioni e frutto di un think tank molto attento, costituiscono una realtà evidente, sotto gli occhi di tutti. L’inchiesta di Christian Marazzi è una delle più complete e interessanti realizzate a livello europeo e sul piano nazionale svizzero costituisce una vera e propria novità nel panorama delle ricerche sinora compiute. Per la prima volta è stata effettuata nel nostro paese un’inchiesta sui lavoratori cosiddetti atipici, facendo emergere i loro vissuti, le loro preoccupazioni e le loro aspettative attraverso delle interviste aperte. Si è così data la parola per la prima volta a soggetti che di giorno in giorno sperimentano sulla loro pelle la “rivoluzione silenziosa” in atto dei nuovi modi di lavorare caratterizzati da ampie dosi di precarietà e flessibilità. Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità 2 L’espressione “rivoluzione silenziosa” è più che appropriata. Negli anni ’90, che sono stati anni di crisi economica, il numero di persone con un’attività remunerata è rimasto più o meno stabile in Svizzera. E' cambiata invece la composizione della popolazione attiva. E’ aumentato di molto il numero di persone occupate a tempo parziale mentre sono diminuiti gli occupati a tempo pieno. Ma ciò che più colpisce è l’aumento delle cosiddette forme di lavoro atipiche (lavoro a tempo determinato, su chiamata, in affitto svolto cioè con l’intermediazione di agenzie di collocamento, ecc.). E' aumentato il numero di lavoratori cosiddetti autonomi che si sono messi in proprio dopo aver perso il lavoro ed essere stati in disoccupazione per un certo periodo. L’aumento del numero di questi lavoratori riflette anche la politica delle grandi imprese che esternalizzano funzioni precedentemente affidate ai loro personale salariato. La ricerca è stata effettuata in un periodo di alta congiuntura e relativamente bassa disoccupazione. Non sappiamo quale sarà la tendenza dei prossimi anni considerate le previsioni di crescita vicine allo zero. Queste tendenze in atto destabilizzano i piani e i progetti di vita degli individui, determinano una discontinuità dei redditi. E , soprattutto, vengono ridotte in misura importante le garanzie offerte dalle assicurazioni sociali, ancora oggi basate sul modello del lavoro stabile (possibilmente addirittura nella stessa ditta) e a tempo pieno. Per dirla in altre parole il nostro sistema di sicurezza non regge una discontinuità troppo marcata. Per questa ragione è importante rispondere a questi mutamenti con una profonda innovazione delle politiche sociali tanto più che la Svizzera, stando ad alcuni studi dell’Organizzazione della cooperazione e dello sviluppo economico (OCSE) è uno dei paesi europei con il mercato del lavoro meno regolamentato in termini di tutela dei lavoratori. All'inizio della legislatura abbiamo fissato l'obiettivo di modernizzare le garanzie sociali in risposta alla flessibilizzazione del mercato del lavoro.1 1 Cfr. Rapporto al Gran Consiglio sul secondo aggiornamento delle Linee direttive e del Piano finanziario 2000-2003 (ottobre 2001) scheda programmatica n. 2, misura 3, pag. 40: “L’innovazione dello Stato sociale consiste nel tradurre in positivo (in autonomia e in libertà individuale) la flessibilizzazione implicita nella società del rischio…Si tratta di un compito nuovo con il quale lo Stato si trova confrontato in un’epoca in cui l’imprevedibilità degli eventi riguarda la comunità intera, e non soltanto i più sfavoriti Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità 3 Gli autori dello studio formulano alcune proposte operative e alcuni spunti di riflessione al capitolo dell’innovazione delle politiche sociali. Nell’ottica dei lavoratori atipici, il problema più serio con il quale si trovano confrontati riguarda proprio l’assenza di tutele adeguate in termini di assicurazione malattia, disoccupazione, previdenza professionale, periodi di vacanza ecc. Accolgo quindi l'invito degli autori dell’inchiesta ad approfondire dal profilo politico l'elaborazione di nuove forme di sicurezza sociale in risposta alla maggiore flessibilità del mercato del lavoro. Anche se occorre dire subito che le proposte e le piste di riflessione avanzate dagli autori dell’inchiesta si possono realizzare soltanto modificando leggi a livello federale (revisione della legge sul lavoro, del Codice delle obbligazioni e ancora delle leggi sulle varie assicurazioni sociali). I margini di manovra lasciati ai Cantoni sono più ridotti. Non per questo il Ticino intende rimanere inattivo. Il nostro cantone ha dimostrato già in passato di saper proporre soluzioni innovative in ambito sociale e sanitario. In un certo senso vogliamo rimanere fedeli alla nostra tradizione di Cantone che sa anticipare. Del resto non si può restare indifferenti e inattivi politicamente di fronte ad un’evoluzione del mercato del lavoro in cui il precariato tende sempre più a diffondersi. Se queste forme atipiche di lavoro, che negli anni ’90 hanno conosciuto un forte incremento. In Ticino e in Svizzera, dovessero applicarsi al 20-30 e più percento delle persone occupate, il mercato del lavoro sarebbe rischioso per quasi tutti i lavoratori: gli uni perché sperimentano sulla loro pelle le conseguenze della precarietà, gli altri perché lavorano con la paura della precarietà. Non possiamo dimenticare che dietro ad ogni lavoratore indipendente, autonomo, in affitto o su chiamata vi è la quotidianità di molti uomini e donne confrontati con l’insicurezza economica, l’impossibilità di attuare progetti personali e familiari, di stringere amicizie stabili sul posto di lavoro, di costruirsi una identità e una integrazione sociale attraverso il lavoro. Per dirla in altre parole con l'impossibilità di vivere dignitosamente. La flessibilità non è qualcosa di negativo a priori. Essa diventa però un disagio se le sicurezze e le garanzie sociali che erano e sono ancorate al lavoro stabile, vanno perdute con un lavoro precario o instabile. La flessibilità va perciò regolamentata tanto in termini di garanzie sociali che di diritto del lavoro che di tipologie della stessa flessibilità. Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità 4 Compito della politica è quello di dare risposte collettive ai nuovi bisogni, alle nuove emergenze e, nella misura del possibile, di anticipare i problemi. I nuovi modi di lavorare richiedono nuove risposte. Lo studio di Christian Marazzi e Angelica Lepori apre una prospettiva in questo senso che ha sicuramente il merito di sollevare un’ampia discussione attorno a questo tema. Lo Stato sociale tradizionale, con le assicurazioni federali tradizionali, di basa su un sistema di compensazioni per una disfunzione puntuale (malattia, invalidità, disoccupazione, vecchiaia ecc.).Ma in contesto di precarietà crescente, di accentuata disuguaglianza dei redditi e di frammentazione, lo Stato sociale non può intervenire soltanto passivamente per indennizzare. Si intravede sempre più la necessità di “personalizzare” gli strumenti di intervento per dare risposte concrete e valide a problemi che sono specifici e differenti. Occorre perciò ridefinire la rete sociale, evitando forme paternalismo e assistenzialismo per mettere il cittadino e i suoi bisogni al centro dell’azione politica. Vorrei terminare questo mio intervento con una citazione di Alain Touraine che ben illustra la sfida che attende la politica sociale. Sappiamo che esistono dei condizionamenti economici e che le risorse che si possono distribuire non possono essere aumentate indipendentemente dalla produzione e dalla produttività. Ma questa coscienza dei condizionamenti economici deve essere completata e riequilibrata da una coscienza altrettanto forte delle domande sociali , delle nuove forme possibili e necessarie di partecipazione sociale . Emarginare queste categorie di lavoratori in uno stato di inferiorità, è incompatibile con la democrazia, perché la democrazia è malata quando una società nasconde a se stessa una parte importante di questa realtà.2 Vi ringrazio della vostra attenzione. Patrizia Pesenti Consigliere di Stato 2 Alain Toraine, prefazione allo studio di Anne-Marie Guillemard, Le déclin du social, PUF, Paris, 1986, p. 16 Forme di lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Patrizia Pesenti - Dipartimento della sanità e della socialità 5 Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Sintesi della ricerca Angelica Lepori Ricercatrice presso il Dipartimetno di lavoro sociale della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Christian Marazzi Dottore in economia, docente e responsabile della ricerca presso il Dipartimento di lavoro sociale della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita Sintesi Su mandato del Dipartimento della sanità e della socialità (DSS), il Dipartimento di lavoro sociale (DLS) della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI) ha realizzato un’inchiesta sul rapporto tra le nuove forme del lavoro e la qualità della vita nel cantone Ticino. Tale studio fa parte di una più vasta riflessione avviata dal DSS sui determinanti economici della salute della popolazione ticinese. Le trasformazioni del mercato del lavoro, infatti, possono generare effetti sulle condizioni esistenziali della popolazione attiva che a loro volta si ripercuotono in ambiti sociali più vasti, dalla famiglia alla società nel suo insieme. Obiettivo principale della prima parte della ricerca è quello di far emergere il punto di vista e il vissuto dei lavoratori “atipici” rispetto alla loro condizione professionale, analizzare cosa pensano i lavoratori stessi della flessibilità e della precarietà 1. Per svolgere l’indagine sono state individuate due categorie di lavoratori: i lavoratori interinali e i neo indipendenti ai quali è stato inviato per posta un questionario a risposte chiuse2. Parallelamente ai questionari sono state svolte 21 interviste: 11 a persone che lavorano attraverso le agenzie di collocamento privato, 10 a lavoratori indipendenti3. Prima di procedere alla fase di inchiesta è stato necessario ricostruire il contesto nel quale l’inchiesta stessa si è sviluppata e analizzare concretamente i mutamenti che hanno toccato il mercato del lavoro a partire dagli anni ’90 in Svizzera e in Ticino. 1. Il mercato del lavoro negli anni ‘90 I mutamenti avvenuti nel mercato del lavoro in Svizzera e in Ticino possono essere così sintetizzati: Il numero di persone occupate è rimasto in questi anni generalmente stabile, è però cambiata la composizione di questa popolazione. In particolare per quanto riguarda i lavoratori dipendenti sono aumentati coloro che sono occupati a tempo parziale e sono invece diminuiti gli occupati a tempo pieno. Oggi in Svizzera il 30,7% delle persone occupate lavora a tempo parziale, di questi lavoratori la stragrande maggioranza sono donne. In Ticino i lavoratori a tempo parziale rappresentano circa il 20% del totale degli occupati, il loro numero è in costante aumento negli ultimi dieci anni4. 1 L’intero rapporto di ricerca è disponibile presso il Dipartimento di Lavoro sociale della SUPSI. Per i lavoratori interinali sono stati inviati 800 questionari a persone scelte a caso tra coloro che nel 2000 erano iscritte alla cassa di compensazione cantonale dell’AVS come lavoratori interinali o senza un impiego duraturo sull’arco dell’anno. In totale sono rientrati 256 questionari di cui 244 ritenuti validi. Il questionario per i lavoratori indipendenti è stato distribuito a un campione di 3000 persone scelte a caso tra coloro che nel 2000 erano iscritte presso l’AVS come indipendenti. Si è inoltre deciso di prendere in considerazione solo le persone che risultavano indipendenti al massimo da 5 anni (iscritte quindi all’AVS come indipendenti al massimo dal 1995). In questo caso sono rientrati 1169 questionari di cui 1152 validi. 3 Presso il Dipartimento di lavoro sociale della SUPSI sono disponibili le trascrizioni di tutte le interviste. 4 Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel, 2001 Per il Ticino i dati sono dell’Ufficio cantonale di statistica (USTAT) 2 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 1/15 35 128 30 126 124 25 122 20 120 118 15 116 10 114 112 5 persone in migliaia a tempo pieno persone in migliaia a tempo parziale Grafico 1 Evoluzione delle persone occupate a tempo pieno e a tempo parziale in Ticino dal 1991 al 2001 110 0 108 1995 1996 1997 tempo parziale 1998 1999 2000 tempo pieno Fonte: USTAT, Bellinzona 2000 Sul mercato del lavoro sono presenti nuove figure professionali caratterizzate in genere da ampie dosi di precarietà e flessibilità. I contratti a tempo indeterminato rimangono la forma prevalente di impiego, anche se i contratti con durata determinata sono in aumento (+11% dal 1996 al 2000) 5. Inoltre il numero di persone con impieghi atipici è aumentato negli ultimi sei anni del 24% 6. Una particolare forma di lavoro precario ha assunto in questi anni un’importanza rilevante: il lavoro interinale 7. Nel 2000 le persone collocate in Svizzera attraverso le agenzie di lavoro interinale erano 204.612, il loro numero negli ultimi cinque anni ha subito un incremento del 96%. In Ticino le persone collocate temporaneamente tramite agenzia erano nel 2000 4520 (+89% dal 1995 al 2000)8. I lavoratori interinali rappresentano oltre il 5% di tutta la forza lavoro occupata, una percentuale notevolmente superiore alla media dei paesi dell’Unione europea che si attesta attorno all’1,5%. La maggioranza dei lavoratori interinali sono uomini e di nazionalità svizzera. Il numero di donne impiegate in modo temporaneo è però aumentato più velocemente di quello degli uomini. In questo senso è possibile prevedere una “femminilizzazione” del lavoro interinale. Inoltre la percentuale di stranieri tra i lavoratori interinali è notevolmente più alta di quella che si registra sul totale della manodopera occupata. Si può quindi affermare che gli stranieri sono particolarmente toccati dal lavoro interinale e precario. 5 Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel, 2001 6 Secondo la definizione dell’Ufficio federale di statistica i lavoratori atipici sono coloro che hanno almeno 2 impieghi. 7 Il lavoro interinale è quello svolto in un’azienda attraverso l’intermediazione di un’agenzia di collocamento privato. 8 I dati provengono dalla pubblicazione del Segretariato di Stato all’economia (SECO), Placement et location de service, SECO, Berna, 2001 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 2/15 250'000 5000 4500 200'000 4000 3500 150'000 3000 2500 100'000 2000 1500 50'000 1000 500 0 0 1995 1996 1997 temporanei in Ticino 1998 1999 persone occupate in modo temporaneo in Ticino persone occupate in modo temporanei in Svizzera Grafico 2 Evoluzione delle persone collocate in modo temporaneo dal 1995 al 2000 2000 temporanei in Svizzera Fonte: SECO, Berna 2001 In Svizzera le agenzie di lavoro temporaneo nel 2000 hanno fornito prestazioni lavorative per 84.788.276 ore di lavoro (l’equivalente di circa 45.000 posti di lavoro a tempo pieno), in Ticino le ore di lavoro prestate hanno toccato quota 1.706.764 (l’equivalente di circa 900 impieghi a tempo pieno). 90'000 1'800 80'000 1'600 70'000 1'400 60'000 1'200 50'000 1'000 40'000 800 30'000 600 20'000 400 10'000 200 0 ore di lavoro in migliaia in Ticino ore di lavoro in migliaia in Svizzera Grafico 3 Ore di lavoro temporaneo effettuate dal 1995 al 2000 in Svizzera e in Ticino 0 1995 1996 1997 svizzera 1998 1999 2000 ticino Fonte: SECO, Berna 2001 La flessibilità è entrata a far parte del vissuto anche di molti lavoratori, indipendentemente dal loro rapporto di lavoro. Si calcola infatti che circa il 42% degli occupati in Svizzera ha un orario di lavoro flessibile; il 5% lavora su chiamata (di questi il Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 3/15 60% non ha nessuna garanzia di orario settimanale); il 4,4% lavora regolarmente di notte e l’8% è occupato regolarmente la domenica9. Anche il numero di lavoratori indipendenti è in aumento (+49% dal 1991 al 2000) e oggi questi rappresentano il 18% degli occupati in Svizzera. All’interno di questa categoria si trovano figure professionali diverse, dall’imprenditore, al libero professionista, fino al lavoratore autonomo. Più della metà degli indipendenti non ha dipendenti 10. Una buona parte dei lavoratori autonomi si è messa in proprio dopo aver perso il lavoro e essere stata in disoccupazione. Esiste anche tra gli indipendenti una percentuale non irrilevante di persone che vivono in condizioni di precarietà e insicurezza. Per quanto riguarda la disoccupazione si constata in linea generale che il lieve calo registrato a partire dalla seconda metà degli anni ’90 sta per lasciare il posto ad un nuovo incremento delle persone in cerca di un impiego11. Lo stesso discorso può essere fatto per quel che riguarda le persone inoccupate recensite dall’Ufficio federale di statistica. Da questi dati risulta inoltre che sono notevolmente aumentate le persone sottooccupate12. L’Ufficio di Statistica sostiene che una persona su 10 non ha abbastanza lavoro, di queste 101.000 sono inoccupate e 334.000 sono invece sottooccupate. In totale queste persone rappresentano il 10,8% della popolazione attiva 13. I mutamenti del mercato del lavoro hanno influenzato anche l’andamento del livello dei salari. In generale, se si osservano i salari reali, si nota come questi siano tendenzialmente rimasti stabili, se non addirittura diminuiti. Esistono chiaramente differenze all’interno dei singoli settori economici e tra i diversi lavoratori. Rimane comunque il fatto che oggi il 21% dei salariati svizzeri ha uno stipendio inferiore ai 3000 franchi netti e l’1,2% ha invece un salario superiore ai 10.000 franchi. Anche le forme di remunerazione sono state direttamente toccate dalla flessibilità: in molti settori sono state introdotte forme di remunerazione legate all’andamento dell’impresa o al merito del dipendente 14. Sul finire degli anni ’90 è poi emerso in modo evidente il fenomeno dei cosiddetti “lavoratori poveri”, persone che pur avendo un impiego non raggiungono il minimo vitale. Si calcola che in Svizzera i working poor siano 250.000, il 7,5% delle persone occupate. L’emergere delle “nuove povertà” è legato ai processi di riorganizzazione del mercato del lavoro. I lavoratori a tempo parziale, con orari flessibili e con contratti a tempo determinato sono più a rischio di diventare “lavoratori poveri”. Particolarmente rilevante è poi la quota di lavoratori indipendenti che sono poveri. Anche le interruzioni di carriera possono rappresentare un elemento di caduta nella povertà. Si osserva poi che i nuovi impiegati in una stessa azienda o funzione hanno più possibilità di diventare poveri rispetto a coloro che vi lavorano da molto tempo15. 9 Ufficio federale di statistica (UST), Les femmes travaillent plus souvent dans des conditions atypiques que les hommes, Neuchâtel, 2001; Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel, 2001 10 Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel, 2000 11 Segretariato di Stato all’economia (SECO), Le chômage en Suisse, Berna, 2001 12 Per persone sottooccupate si intende quei lavoratori che hanno un impiego a tempo parziale, ma desidererebbero lavorare di più. 13 Ufficio federale di statistica (UST), Rilevamento delle forze di lavoro in Svizzera (Rifos), Neuchâtel, 2001 14 Ufficio federale di statistica (UST), Enquête suisse sur les salaires 1999, Neuchâtel, 1999; Ufficio federale di statistica (UST), Differences de rémunéretion du travail très marquée selon les secteurs économiques et les catégories salariés, Neuchâtel, 2001 15 Ufficio federale di statistica (UST), Working Poor in der Schweiz, Neuchâtel, 2002 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 4/15 E’ in questo quadro quindi che si inserisce l’inchiesta svolta in Ticino. Un contesto nel quale la flessibilità del mercato del lavoro, in tutte le sue forme, ha assunto dimensioni importanti, ponendo all’ordine del giorno nuove problematiche. 2. Il lavoro flessibile in Ticino: un’indagine empirica tra i lavoratori 2.1. lavoratori interinali: aspettando il futuro Le caratteristiche del campione Il campione è composto prevalentemente da uomini, di nazionalità svizzera, che si collocano in una fascia di età che va dai 18 ai 35 anni e celibi. La percentuale di donne non è trascurabile (21%). Tra di esse troviamo una quota più importante rispetto agli uomini di persone sole (sia nubili che separate). E’ invece minore la presenza di donne sposate. Anche le donne si collocano in maggioranza in una fascia di età inferiore ai 35 anni. Circa il 40% del campione è rappresentato da stranieri. Tra di essi è più alta la percentuale di persone sposate e di età superiore ai 35 anni rispetto alla popolazione svizzera. Per gli stranieri il lavoro interinale e precario è meno che per gli svizzeri una soluzione transitoria. Il campione presenta un grado di formazione particolarmente basso: la maggioranza ha svolto unicamente un apprendistato (42%) e una buona parte (10% soprattutto gli uomini e gli stranieri) non ha nessuna formazione dopo la scuola dell’obbligo. Le donne dichiarano un livello di formazione più elevato (il 24% ha un diploma universitario contro il 6% degli uomini). Solo una minima parte (20%) delle persone intervistate ha affermato di avere avuto un solo posto di lavoro negli ultimi tre anni, la maggioranza (32%) ha lavorato in più di tre posti di lavoro. Si tratta quindi di una popolazione caratterizzata dall’assenza del cosiddetto “posto fisso”. Traiettorie professionali I lavoratori precari passano facilmente da periodi di disoccupazione a periodi di impiego (il 59% del campione dichiara di essere stato iscritto alla disoccupazione, una percentuale che diventa del 65% tra coloro che lavorano tramite agenzie di collocamento private). Per i lavoratori interinali le agenzie di collocamento sembrano diventare l’unico mezzo utile per trovare un’occupazione. Gli spostamenti di impiego, da un posto di lavoro all’altro, generano nei lavoratori stati d’ansia e insicurezza. Questo è vero soprattutto per le persone più adulte e con una famiglia a carico. Anche chi vive positivamente il lavoro temporaneo, in quanto permette di avere a disposizione del tempo libero, pensa a questa forma di impiego unicamente come una forma transitoria verso un collocamento più stabile nel mercato del lavoro. La stragrande maggioranza non ha ancora un posto di lavoro fisso non per scelta, ma a causa delle difficoltà riscontrate nel mercato del lavoro. In generale il posto fisso viene ricercato perché garantisce uno stipendio regolare e prevede alcune garanzie sociali e assicurative non presenti nel lavoro precario e interinale (previdenza professionale, assicurazione infortuni, vacanze pagate, ecc.). Tra le donne si constata un più alto grado di scelta del lavoro temporaneo e interinale, in quanto queste forme di lavoro sembrano permettere una migliore gestione del lavoro domestico e dei compiti famigliari. Il prezzo pagato per questa maggiore “libertà” viene Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 5/15 però generalmente considerato troppo alto. Il lavoro temporaneo viene visto come l’unica soluzione per cercare di conciliare vita lavorativa e vita privata, non di certo la migliore. Insicurezza e assenza di prospettive L’insicurezza vissuta sul posto di lavoro influenza anche la vita privata: si constata in generale una grande difficoltà a fare progetti a lungo termine, molte decisioni vengono rimandate, senza però avere poi la certezza di poterle realizzare. L’elemento che maggiormente preoccupa i lavoratori è proprio quello dell’incertezza rispetto al futuro. Grafico 416 Aspetti più preoccupanti della situazione professionale 70% 62% 60% 50% 40% 26% 30% 20% 10% 12% 14% 24% 14% 8% 12% 7% 4% 11% 4% 1% 1% 0% insicurezza per insicurezza per il futuro il futuro pensionistico scarse possibilità di guadagno scarse possibilità di carriera e di formazione professionale prima scelta assenza di un'adeguata copertura assicurativa difficoltà a organizzare la propria vita altro seconda scelta Per una fascia di persone il lavoro temporaneo rappresenta un’opportunità per continuare a coltivare interessi personali o per poter gestire meglio il tempo libero. In generale però anche questa categoria di lavoratori temporanei sottolinea come questa situazione venga poi pagata a livello di garanzie sociali e di condizioni di vita e di lavoro. Per le persone sposate o separate la gestione della vita sociale e/o famigliare è più complessa che per le persone sole. 16 Agli interpellati è stato chiesto di indicare, tra le varie risposte possibili, le due più significative dando un ordine di priorità. Nel grafico 5 si legge per esempio che il 62% ha indicato come prima preoccupazione “l’insicurezza per il futuro” e il 26% ha indicato “scarse possibilità di guadagno” come seconda preoccupazione. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 6/15 Grafico 517 Aspetti positivi del lavoro flessibile 40% 35% 30% 25% 20% 15% 10% 5% 0% 34% 29% 24% 22% 11% 14%13% 16% 15% 6% 7% Possibilità di Possibilità di Possibilità di fare più gestire meglio avere tempo esperienze e tempo di per gestire la apprendere lavoro e tempo famiglia più mestieri libero Possibilità di avere tempo per coltivare interessi personali prima scelta 2% Possibilità di Possibilità di cambiare conoscere più spesso posto persone di lavoro 4% 3% altro seconda scelta Un altro aspetto positivo del lavoro temporaneo sembra essere la possibilità di avere più esperienze lavorative e poter poi quindi scegliere la strada da seguire (vedi grafico 6). Questo è vero soprattutto per i giovani che non sanno ancora esattamente quale professione intendono svolgere. A lungo andare però questa situazione può diventare problematica: si iniziano molte professioni senza avere la possibilità di apprenderne una veramente. Una parte delle persone intervistate ha trovato un posto di lavoro stabile. Queste persone mostrano un grado di soddisfazione e di sicurezza maggiore rispetto a chi invece mantiene una collocazione precaria sul mercato del lavoro. La possibilità di trovare un lavoro stabile è legata al tipo di formazione ricevuta (cresce con l’aumentare del grado di formazione) e all’età (per le fasce di popolazione più alte è più difficile uscire dalla precarietà). Se per alcuni quindi il lavoro temporaneo può rappresentare una sorta di passaggio verso un impiego fisso, per la maggior parte, soprattutto coloro che hanno già una situazione sociale più difficile, è sempre più problematico uscire dalla precarietà del lavoro temporaneo. E’ interessante notare che le persone iscritte presso le agenzie di lavoro temporaneo hanno meno possibilità degli altri di trovare un posto fisso. Il lavoro interinale quindi non sembra essere una soluzione di passaggio a forme di lavoro più stabile. Formazione e formazione continua: una questione centrale Fondamentale sembra essere la questione della formazione: in generale le persone che possiedono un livello di formazione più elevato riescono a vivere meglio il lavoro flessibile e temporaneo e hanno accesso più facilmente a posti di lavoro più sicuri. I lavoratori temporanei hanno difficoltà ad accedere alla formazione continua e a seguire corsi di formazione (il 63% del campione non ha mai seguito un corso di formazione professionale) e sono più spesso esclusi dalla presa di decisioni che riguardano lo svolgimento del lavoro. La situazione finanziaria I lavoratori precari e interinali presentano redditi generalmente bassi e una situazione finanziaria difficile. 17 Vedi nota 16, p.7 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 7/15 Grafico 6 Divisione dei redditi all’interno del campione più di 8000 franchi 3% tra 6000 e 8000 franchi 4% tra 4000 e 6000 franchi 16% tra 3000 e 4000 franchi 34% tra 2000 e 3000 franchi meno di 2000 franchi 0% 30% 13% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% Molti (67%) dichiarano di essere costretti a fare sacrifici per vivere e pochi sono coloro che riescono ad accantonare regolarmente quote di risparmio. Risulta poi chiaramente come l’affitto sia la spesa che maggiormente incide sul bilancio famigliare, seguito dalle assicurazioni (cassa malati, ecc.) e dalle imposte. La quasi totalità degli intervistati ammette di essere costretto a rinunciare ad alcune spese, la maggior parte rinuncia alle vacanze. Una piccola parte (9%) sostiene di risparmiare sulle cure mediche; si tratta di una minoranza ma comunque significativa dei problemi che il lavoro precario può generare. Le fasce di età più basse e quelle più alte presentano anche redditi inferiori. Le classi di età intermedie (25-45 anni) mostrano una situazione finanziaria meno difficile. Le persone sposate o separate lamentano una situazione finanziaria peggiore. Il problema della rappresentanza I lavoratori precari non sembrano sentirsi rappresentati dalle organizzazioni sindacali tradizionali. Il tasso di iscritti a queste organizzazioni è relativamente alto (41%), ma la stragrande maggioranza di questi (85%) dice di non impegnarsi nell’attività dell’organizzazione a cui appartiene. Il tasso di sindacalizzazione relativamente alto tra i lavoratori precari è dovuto anche alla gestione da parte del sindacato delle casse disoccupazione. I lavoratori hanno una visione utilitaristica del sindacato, visto soprattutto come ente che fornisce servizi, ma non come strumento di organizzazione. I lavoratori interinali e precari intervistati mostrano però un alto interesse all’idea di creare forme di organizzazione collettive. Una grande maggioranza (77%) ha infatti risposto positivamente a una proposta di questo tipo. Secondo questi lavoratori una simile organizzazione dovrebbe occuparsi soprattutto delle questioni legate alle condizioni di lavoro, di salario e della formazione professionale. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 8/15 Grafico 718 Tematiche di cui dovrebbe occuparsi un’associazione dei lavoratori “precari” 60% 57% 50% 40% 40% 31% 30% 20% 18% 14% 15% 13% 10% 6% 4% 2% 0% condizioni di lavoro condizioni di salario questioni assicurative e organizzazione del formazione profesionale pensionistiche tempo di lavoro e tempo di vita prima scelta seconda scelta 2.2 I lavoratori indipendenti: tra scelta e necessità Le caratteristiche del campione La stragrande maggioranza degli indipendenti sono uomini (63%) e di nazionalità svizzera (82%). Il lavoro indipendente ha una dimensione famigliare: il 57% del campione è sposato, tale percentuale è ancora più alta tra gli uomini (61%). I lavoratori indipendenti si collocano prevalentemente nella fascia di età che va dai 25 ai 45 anni, i giovani (sotto i 25 anni) sono una minoranza (6%). La maggioranza del campione ha una formazione di apprendista (42%), anche se una buona parte (24%) ha una formazione universitaria. Le donne mostrano in questo caso un livello di formazione minore. Una quota non trascurabile di lavoratori indipendenti (10%) non ha nessuna formazione dopo la scuola dell’obbligo, tale percentuale è ancora più alta (28%) tra la popolazione straniera. Il grado di formazione determina poi in modo importante il tipo di attività autonoma e le condizioni di lavoro delle singole persone: a formazioni più elevate corrispondono generalmente condizioni di lavoro più soddisfacenti sia da un punto di vista generale che da un punto di vista finanziario. Profilo professionale e prospettive di lavoro La maggior parte del campione (61%) non ha dipendenti a suo carico. Tra le persone che invece dichiarano di avere dipendenti la maggioranza ne ha al massimo 4. Edilizia, industria, commercio e informatica sono i settori dove prevalgono i lavoratori soli, nell’attività legate al turismo prevalgono invece coloro che hanno dipendenti. Le persone senza dipendenti mostrano una situazione professionale meno soddisfacente e più difficile anche da un punto di vista finanziario. Rappresentano sicuramente una componente specifica del lavoro indipendente alla quale è necessario dedicare un’attenzione particolare. 18 Vedi nota 16, p.7 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 9/15 Il lavoro autonomo è spesso una scelta maturata dopo anni di permanenza come dipendente nel mercato del lavoro. Il 25% del campione dice di essersi messo in proprio per problemi sul posto di lavoro (perdita del lavoro, insicurezza, difficoltà a trovare un lavoro). Esiste un fenomeno di passaggio dalla disoccupazione al lavoro in proprio. Spesso questi lavoratori sono anche quelli che mostrano maggiori difficoltà da un punto di vista del reddito e delle prospettive professionali. Condizioni di lavoro I lavoratori indipendenti dichiarano ritmi e orari di lavoro particolarmente elevati: la stragrande maggioranza lavora più di 42 ore alla settimana, c’è anche chi sostiene di lavorare 60 ore o più alla settimana. Tra le donne una quota più importante lavora meno di 42 ore alla settimana: anche nel lavoro indipendente quindi il tempo parziale è appannaggio delle donne. Grafico 8 Ore di lavoro settimanali 35% 30% 30% 27% 25% 19% 20% 16% 15% 8% 10% 5% 0% meno di 42 42 ore tra 42 e 50 ore tra 50 ore e 60 più di 60 Il tempo di lavoro non è mai stabile e definito, ma è in generale irregolare (a periodi di forte attività corrispondono periodi di relativa calma). Questa situazione ha conseguenze importanti sulla gestione della vita sociale e famigliare. In generale i lavoratori indipendenti lamentano serie difficoltà a conciliare tempo di lavoro e tempo di vita. I lavoratori autonomi mostrano un elevato grado di soddisfazione della loro situazione professionale e lavorativa. Un grado di soddisfazione che dipende in parte dalle condizioni di lavoro e di reddito, ma che rimane comunque alto anche in presenza di una situazione professionale più precaria (reddito relativamente basso, ritmi di lavoro stressanti, ecc.) Questa grande soddisfazione viene attribuita soprattutto all’autonomia lavorativa e al fatto di non dover dipendere da nessuno nell’esecuzione del proprio lavoro. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 10/15 Grafico 919 Aspetti positivi della situazione professionale 80% 70% 70% 60% 50% 34% 40% 30% 20% 23% 14% 17% 14% 6% 10% 7% 5% 2% 1% 1% 2% 4% 0% autonomia nel lavoro non dover dipendere da nessuno assenza di orari fissi relazioni sociali possibilità di intense guadagno importante prima scelta appartenenza a una certa categoria sociale altro seconda scelta Questa autonomia e libertà viene però pagata, soprattutto per alcuni, al prezzo di una maggiore insicurezza sia dal profilo professionale e delle prospettive di lavoro che dal profilo della sicurezza sociale. Grafico 1020 Aspetti più preoccupanti della situazione professionale 40% 35% 34% 30% 28% 25% 20% 20% 15% 16% 12% 16% 14%15% 11% 10% 10% 7% 8% 5% 4% 5% 0% incertezza lavorativa incertezza pensionistica difficoltà burocratiche reddito insoddisfacente prima scelta 19 20 ritardo nel pagamento delle fatture copertura assicurativa inadeguata altro seconda scelta Vedi nota 16, p.7 Vedi nota 16, p.7 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 11/15 Situazione finanziaria Più della metà del campione ha un reddito lordo inferiore ai 4000 franchi al mese, il 10% dichiara invece un reddito superiore agli 8000 franchi. Grafico 11 Divisione dei redditi all’interno del campione più di 8000 franchi 10% tra 6000 e 8000 franchi 7% tra 4000 e 6000 franchi 18% tra 3000 e 4000 franchi 20% tra 2000 e 3000 franchi 22% meno di 2000 franchi 0% 23% 5% 10% 15% 20% 25% Una buona parte delle persone intervistate lamenta difficoltà a livello finanziario e sostiene di non riuscire a soddisfare tutti i suoi bisogni. Il 58% dice di non riuscire a vivere senza fare sacrifici e il 90% dice di essere costretto a risparmiare sul alcune spese. La maggioranza risparmia sulle vacanze, ma anche in questo caso un buon 9% dice di risparmiare sulle cure mediche. Formazione professionale I lavoratori indipendenti, soprattutto coloro che non hanno dipendenti, mostrano grandi difficoltà a seguire corsi di formazione e di aggiornamento professionale (il 50% dice di non aver mai seguito un corso di formazione professionale e il 29% dice di averne seguiti alcuni saltuariamente). La possibilità di seguire corsi di formazione è legata al livello di formazione (più questo è elevato più le persone riescono ad aggiornarsi con maggiore regolarità), all’età (la fascia di età tra il 35 e i 45 anni ha più facilmente accesso a corsi di formazione) e al reddito (per i redditi più bassi l’acceso ai corsi di formazione è più difficile) Insicurezza e stato di salute I lavoratori autonomi presentano alti gradi di stress, nervosismo e stanchezza. Il 41% si dichiara infatti spesso nervoso e il 7% molto spesso; il 55% inoltre dice di sentirsi spesso stanco e il 13% molto spesso. Infine il 45% si dichiara spesso stressato e il 10% molto spesso. Generalmente comunque questi lavoratori sembrano affrontare la situazione con grande ottimismo e volontà, credendo fermamente nelle loro potenzialità e capacità. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 12/15 Tra i “lavoratori soli” il sentimento di insicurezza e di incertezza verso il futuro è decisamente più alto. Alcuni lavoratori indipendenti aspirano addirittura a tornare al lavoro dipendente in quanto questo sembra garantire maggiori certezze soprattutto da un punto di vista finanziario e delle assicurazioni sociali. Forme di rappresentanza Dall’inchiesta emerge in modo evidente l’assenza di rappresentanza degli interessi di questi lavoratori che generalmente non si riconoscono nelle organizzazioni tradizionali (solo il 10% è iscritto al sindacato e il 43% è iscritto ad una associazione professionale, di questi solo il 30% si impegna nell’attività dell’associazione). Le associazioni professionali destano l’interesse soprattutto degli indipendenti con dipendenti: l’appartenenza a queste associazioni sembra avere un carattere per lo più utilitarista e di gestione di determinati interessi imprenditoriali. Una buona parte del campione (47%) si è però dichiarata favorevole alla creazione di un’associazione comune di tutti i lavoratori indipendenti, a prescindere dal settore di attività. Questa dovrebbe occuparsi prioritariamente di questioni legate alle difficoltà burocratiche e alle imposte e in un secondo tempo delle condizioni vere e proprie di lavoro. L’universo dei lavoratori indipendenti è sicuramente più eterogeneo e composito di quello dei lavoratori interinali. Si osserva una sorta di polarizzazione: da una parte lavoratori indipendenti con una situazione professionale stabile, redditi medio-alti, una buona formazione professionale e maggiori possibilità di formarsi durante la professione, dall’altra lavoratori autonomi in posizioni più precarie, con una scarsa formazione professionale e una scarsa possibilità di formarsi durante la professione e un livello di reddito medio basso. Questa distinzione crea differenze a livello della percezione della propria condizione e delle reali condizioni di vita e di lavoro dei singoli. Alcune problematiche, prime fra tutte quella del livello assicurativo, dei ritmi di lavoro e di vita e della regolarità del reddito, coinvolgono però, anche se con modalità e dimensioni diverse, la gran parte dei lavoratori indipendenti. 3. Alcune proposte e spunti di riflessione Il lavoro flessibile assume oggi diverse forme, anche molto diverse tra loro, e diventa difficile distinguere in modo chiaro vantaggi e svantaggi di queste nuove forme di impiego. Si può considerare in linea generale che gli aspetti negativi e i rischi riguardano soprattutto le forme contrattuali, mentre quelli positivi si riferiscono al contenuto del lavoro, anche se questo a volte viene a mancare per alcune delle forme del lavoro atipico e per alcuni soggetti in particolare. Nonostante queste distinzioni è possibile enumerare alcune problematiche che ruotano attorno al lavoro flessibile e di individuare alcune piste possibili su cui lavorare. 1. Il lavoro flessibile e precario può generare difficoltà a programmare la propria vita professionale e di conseguenza anche la propria vita privata. Qualsiasi progetto di vita viene rimandato. Da questo punto di vista diventa fondamentale pensare a nuovi modelli di gestione della flessibilità per evitare che la perdita del posto di lavoro generi un’esclusione definitiva dal mercato del lavoro. Da qui potrebbe nascere l’idea della creazione di istituzioni capaci di aiutare e sostenere il lavoratore nel passaggio da una professione all’altra. Si tratterebbe quindi di riflettere alla creazione delle Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 13/15 cosiddette “agenzie del mutuo impiego” come strutture in grado di fornire servizi con l’obiettivo di garantire una certa stabilità anche ai cosiddetti lavoratori “nomadi”. 2. Un secondo aspetto problematico del lavoro flessibile è quello della formazione professionale e della difficoltà ad acquisire una professionalità da trasferire poi da un datore di lavoro all’altro. In genere i lavori flessibili rendono difficile la costruzione di una carriera professionale, lasciando gli individui in una costante situazione di precarietà. Da questo punto di vista le agenzie del mutuo impiego potrebbero intervenire per migliorare la formazione dei lavoratori e offrire, anche in questo senso, servizi utili. Si potrebbe anche pensare all’introduzione di forme di certificazione delle competenze trasferibili poi da un’azienda all’altra. Esiste comunque il problema di capire quali sono i criteri su cui si deve basare questa certificazione delle competenze e quali enti o istituzioni devono promuoverla. Per quanto riguarda la formazione risulta per altro urgente una politica che sappia colmare le lacune accumulate nella formazione di base, primo vero strumento di “selezione” della manodopera. 3. Il lavoro flessibile produce anche una separazione tra il lavoratore e il suo posto di lavoro. Il lavoratore atipico non ha più un luogo di lavoro, non possiede gli strumenti del suo lavoro e non può avere relazioni stabili e durature con i colleghi. L’identità sociale della persona non si crea più attraverso il lavoro e i soggetti fanno fatica a dare una dimensione collettiva alla loro situazione professionale personale. Si tratta quindi di ricreare strutture organizzative e associative nelle quali il lavoratore atipico possa riconoscersi e tessere legami con altri lavoratori. 4. Anche la salute fisica e psicologica dei lavoratori può subire conseguenze, a volte importanti, legate alle condizioni vere e proprie di impiego. Si dovrebbe pensare alla creazione di centri di medicina del lavoro nei quali siano attive diverse figure professionali (medici, psicologi, ricercatori, giuristi, ecc.) che possano intervenire su casi singoli concreti e che allo stesso tempo possano svolgere un lavoro di monitoraggio e di analisi dell’evoluzione del rapporto tra salute e lavoro. 5. I lavoratori flessibili sfuggono il più delle volte alla legislazione di tutela del lavoro e sono privati di alcune garanzie sociali di cui godono i lavoratori “fissi”. Da questo punto di vista si tratta di riflettere sulla possibilità di integrare anche i lavoratori atipici all’interno delle norme del diritto del lavoro. Bisognerebbe anche sviluppare l’idea della “responsabilità sociale dell’azienda”, inteso come approccio che stimoli le aziende ad avere pratiche socialmente responsabili (misure per attirare lavoratori qualificati, investimenti nella formazione, misure per garantire la salute e la sicurezza dei dipendenti, ecc.). Si dovrebbe anche riflettere a forme di pagamento degli oneri sociali per le imprese dipendenti dal grado di sicurezza del lavoro all’interno della ditta, al tasso di licenziamenti e di turnover della manodopera. Per quanto riguarda le assicurazioni sociali si pongono diverse questioni, in particolare: la possibilità di dividere la categorie degli indipendenti da un punto di vista giuridico in alcuni gruppi, sulla base ad esempio del reddito, del numero di committenti, ecc. facendo in modo di garantire alla fascia più precaria una copertura assicurativa più adeguata (si inserisce qui la questione dell’assicurazione disoccupazione anche per una parte almeno dei lavoratori indipendenti); rivedere il sistema di previdenza, delle assicurazioni incidenti, malattia e maternità, ecc. 6. Un intervento di politica sociale non può unicamente limitarsi a contenere le conseguenze sociali legate alla flessibilità del lavoro, ma deve cercare anche di contenere la tipologia della flessibilità. Questo obiettivo appare importante soprattutto in vista di un prevedibile ulteriore aumento della forza lavoro precaria che Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 14/15 comporterebbe un aumento considerevole delle persone soggette ai rischi stessi della flessibilità. Da questo punto di vista sarebbe importante avviare una riflessione sulla Legge sul collocamento e il prestito del personale promuovendo l’introduzione di alcune clausole di maggiore tutela dei lavoratori stessi (come ad esempio l’obbligo per le agenzie di collocamento di rispettare tutti i contratti di lavoro e i regolamenti delle aziende e non solo i contratti decretati di obbligatorietà generale) e misure di controllo e di contenimento dell’utilizzo all’interno delle aziende del lavoro temporaneo (vincoli all’utilizzo del lavoro temporaneo in alcuni settori, per tipo di professione o di tempo, ecc.). E’ utile comunque sottolineare come la flessibilità del lavoro può avere conseguenze e effetti diversi a dipendenza dei sistemi di lavoro nei quali viene introdotta e a dipendenze anche delle persone coinvolte (i giovani sotto il 25/30 anni, le persone sopra i 45 anni, le donne, i lavoratori stranieri e le persone con un livello di formazione medio-basso sembrano essere i soggetti che maggiormente soffrono la flessibilità del lavoro e per i quali questa si trasforma molto spesso in precarietà non solo professionale, ma anche esistenziale). Nell’elaborazione di politiche sociali e dell’occupazione è quindi necessario tener presente anche questa ultima considerazione e avere un’attenzione particolare verso i soggetti che si vogliono coinvolgere. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca 15/15 Christian Marazzi è nato nel 1951 a Lugano. Laureato in Scienze politiche all'Università di Padova, ha studiato alla London School of Economics e ha conseguito il dottorato in Scienze economiche alla City University di Londra. Dopo aver insegnato all'Università di Padova, alla State University di New York e alle Università di Losanna e di Ginevra, attualmente è docente presso al Scuola universitaria della Svizzera italiana. E' autore di numerose pubblicazioni, tra cui Il posto dei calzini (Edizioni Casagrande, Bellinzona, 1994), E il denaro va (Bollati Boringhieri/Casagrande, 1998), Capitale e linguaggio (Derive/Approdi, 2002). Angelica Lepori è nata nel 1971 a Lugano. Si è laureata in Scienze Politiche all’Università di Bologna, con una tesi sulla storia dell’ex Unione Sovietica. Ha lavorato come giornalista presso il settimanale Area e ha collaborato alle rubriche 360 e Micro Macro della TSI. Nel lavoro giornalistico ha concentrato il suo interesse in particolare su problemi di ordine socio-economico. Dal 2001 lavora presso il Dipartimento di Lavoro Sociale della SUPSI, dove svolge attività di ricerca e di insegnamento. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Sintesi della ricerca Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Lavoro flessibile, società flessibile: progetto riformista o rischio per l'integrazione sociale? Luciano Gallino Direttore del Dipartimento di scienze dell'educazione e della formazione presso l'Università di Torino Lavoro flessibile, società flessibile: progetto riformista o rischio per l'integrazione sociale? L’espressione “società flessibile”, collegata soprattutto al nome di Richard Sennett dopo la pubblicazione di La corrosione del carattere. Le conseguenze personali del lavoro nel nuovo capitalismo (1998), è entrata a far parte d’una serie ormai lunga di espressioni che si sforzano di incapsulare in un aggettivo, un singolo predicato, l’essenza dei mutamenti intervenuti da circa un quarto di secolo, con rapidità crescente, nelle società avanzate. La prima di tale serie, in ordine di tempo, fu forse “società post-industriale”, coniata dal sociologo statunitense Daniel Bell in un libro del 1973 e ancor oggi largamente usata. Poi seguirono la “società dei media”; la “società post-moderna” di Jean-François Lyotard (1979); la società “post-fordista”; la “società del rischio” di Ulrich Beck (1986); la “società dell’informazione” cui si intitolava il rapporto d’un gruppo di alto livello al Consiglio europeo (1994); la “società della conoscenza”; la “società delle reti” di Manuel Castells (1996); la “società che impara” (learning society); “la società a giro di orologio”, e varie altre. Tutte queste espressioni circolano oggi in libertà, spesso del tutto avulse dal contesto o dalle intenzioni degli autori che le formularono. Quando venga usata come sinonimo ultimo arrivato delle precedenti denominazioni, “società flessibile” appare collocarsi sul loro stesso piano: un tentativo inefficace di sintetizzare il non sintetizzabile. Tuttavia, se si cerca di valutare non il suo contenuto sinonimico, bensì le parentele con le altre espressioni, da un lato, e dall’altro ciò che in essa è insito senza che appaia ad esse ovviamente riconducibile, l’idea di “società flessibile” comincia a manifestare un suo significato specifico. Stando a come la descrive il suo idealtipo, insito nel progetto fatto proprio da una ampia corrente del riformismo contemporaneo, la società flessibile è una società in cui sono cadute le rigide barriere che fissavano un individuo per la vita ad una cerchia ristretta di rapporti sociali, di identificazioni, di appartenenze. Favorisce l'indipendenza dell'individuo, l'autonomia dell’azione come valore distintivo della modernità. Se la burocrazia era insieme la realtà e la metafora della società discesa dalla rivoluzione industriale, le reti, con la loro infrastruttura fisica e la loro sovrastruttura simbolica, sono la metafora e la realtà delle società flessibile. E’ una società in cui tutti continuano la loro formazione intellettuale e professionale per l’intero arco della vita. Informazione, conoscenza, competenza sono in essa le risorse più pregiate. Al contrario della società industriale, nella fattispecie fordista, dove ogni attività produttiva si fermava (o si ferma) alle sei del pomeriggio, e alle cinque del pomeriggio del venerdì, di modo che i quartieri degli uffici e le zone industriali si trasformano sino all’inizio della settimana dopo in desolati deserti urbani, la società flessibile – informa ancora il suo idealtipo - è perennemente attiva. In essa chiunque ha, in qualsiasi momento, la possibilità di svolgere l’attività che desidera per sé o per i propri famigliari, trovando agevolmente altri individui che compiono, e luoghi in cui si svolgono, le attività di cui può avere bisogno. Lavoro e consumo, cultura e intrattenimento, esercizio sportivo e rapporti con l’amministrazione pubblica: tutto è possibile per tutti 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Inoltre, sia per questo motivo, sia perché le imprese per prime sono diventate flessibili, nella società flessibile ciascuno ha la possibilità di adattare le proprie condizioni e tempi di lavoro alle sue esigenze e responsabilità familiari. La società 7 x 24, come viene anche denominata alquanto aridamente la società flessibile, trova un sostegno insostituibile nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic). Senza Tic non sarebbe possibile coordinare unità produttive che non si arrestano mai, e che debbono essere collegate in tempo reale con mille altre unità distribuite nel mondo; né si potrebbe consultare il valore dei propri titoli in borsa alle 2 di notte, od ottenere un certificato dall’Anagrafe comunale la domenica mattina, o Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino 1/6 acquistare un biglietto aereo o ferroviario online per un mezzo che partirà un’ora dopo. Esiste dunque una parentela speciale tra la nozione di “società flessibile” e quella di “società dell’informazione”. Assumendo a riferimento i suddetti tratti idealtipici che ho cercato di riassumere, la società flessibile non risulta ancora essere una realtà compiuta. Viene però presentata come un progetto riformista che ha la caratteristica di venire delineato in termini quasi identici sia da studiosi e politici neo-liberali, o liberisti, sia da studiosi e politici socialdemocratici - ove si accetti per comodità di porre sotto questa comune etichetta i laburisti di Blair, i socialisti francesi, i democratici di sinistra italiani e i socialdemocratici tedeschi. Nella teoria come nella prassi, tra lavoro flessibile e società flessibile intercorre un rapporto dialettico. Sul piano della teoria la dialettica dei due termini appare scorrere senza contraddizione alcuna. Secondo le innumeri forme che assume all’esterno e all’interno dell’azienda – ragion per cui occorre sempre parlare distintamente di flessibilità esterna o quantitativa, e di flessibilità interna o funzionale - il lavoro flessibile, afferma la teoria ch’è alla base di questo progetto riformista, richiede una società flessibile. A partire dai suoi tempi di vita. Occorre far crescere una società nella quale, in primo luogo, gli orari giornalieri, settimanali, annuali dei trasporti pubblici, degli asili, dei negozi, delle scuole, degli uffici della PA, siano compatibili con quelli d’una popolazione di lavoratori d’ogni settore economico e livello professionale in quali, in numero senza posa crescente, lavorano con orari giornalieri, settimanali, e annui estremamente variabili. Di là dalla flessibilizzazione di tutti i tempi sociali, all’organizzazione sociale si chiede di assomigliare sempre di più all’organizzazione di un’impresa. Le imprese decentrano, si frammentano in unità sempre più piccole e mutevoli, coordinate da reti di comunicazione sempre più efficienti e capillari. L’organizzazione aziendale si appiattisce, diminuendo e fluidificando i livelli gerarchici, generalizzando il lavoro di squadra, puntando ad esternalizzare tutte le attività che non attengono alla sua missione primaria. L’amministrazione pubblica – centrale e locale – il sistema educativo, il sistema sanitario, le attività culturali, dovrebbero adottare il medesimo modello organizzativo, sostenuto dalle stesse tecnologie. Da parte sua il progetto d’una società flessibile comporta a titolo di pre-requisito la massima diffusione del lavoro flessibile. Se un call center deve restare aperto 24 ore su 24, 7 giorni la settimana, pur in presenza di intense variazioni del numero delle chiamate nel giorno, nella settimana, e nei mesi dell’anno, il suo gestore deve poter disporre di un’ampia platea di lavoratori flessibili. Se una certa attività commerciale ha un picco nei weekends, ma non in tutti i weekends, l’impresa che la offre ha bisogno di lavoratori pronti a lavorare nei weekends, su chiamata, sapendo in anticipo che forse la settimana dopo non saranno chiamati. Ancora, se l’organizzazione statale, la scuola, il sistema sanitario debbono sapersi efficacemente e rapidamente adattare ai mutamenti dell’ambiente economico, sociale e culturale, sia nazionale che internazionale, pure i funzionari, gli insegnanti, i medici, debbono rinunciare al posto fisso, al contratto a tempo indeterminato, come già hanno sono stati indotti a fare quote crescenti di operai, impiegati, tecnici, quadri e dirigenti dell’industria e dei servizi. La mobilità incessante da un processo all’altro deve essere facilitata da processi di formazione permanente, estesi all’intero arco della vita, atti a porre un individuo nelle condizioni di poter occupare, in sequenza, numerosi posti di lavoro differenti, in differenti settori produttivi, di modo che la perdita di un lavoro sarà seguita dal reperimento quasi immediato di un’altra occupazione. Alla diffusione del lavoro flessibile, afferma la teoria alla base del progetto di società flessibile, si oppongono le regole attinenti al mercato del lavoro costruite nei paesi dell’Europa Occidentale nei primi quattro quinti del Novecento. Tali regole, prosegue la teoria, corrispondevano ai bisogni della società industriale o fordista. In una società ed in una economia post-indutriale e post-fordista, che presenta per di più una struttura Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino 2/6 demografica profondamente mutata, esse sono diventate un vincolo allo sviluppo. Pertanto vanno sostanzialmente affievolite, se non anzi, ovunque sia possibile, eliminate. Le garanzie di continuare ad avere un lavoro non vanno più cercate nel protezionismo dei sindacati, quanto nel possesso di conoscenze ed esperienze che mantengono elevato, ad ogni età, il tasso di occupabilità dell’individuo. Se questa è la teoria, sul piano della prassi le ricerche che sono state compiute di recente in vari paesi europei – compresa quella presentata in questo convegno inducono invece a sospettare che la dialettica tra lavoro flessibile e società flessibile abbia imboccato un corso diverso. Uno dei principali esiti della diffusione della flessibilità del lavoro in Europa non sembra affatto essere lo sviluppo di una collettività di lavoratori – ivi compresi operai e quadri, tecnici e dirigenti - che tende a diventare omogenea verso l’alto in termini di reddito, di continuità dell’occupazione, di possesso di conoscenze. La realtà che emerge dalle ricerche sul campo è invece caratterizzata da una forte polarizzazione della massa dei lavoratori verso l’alto e verso il basso. Le disuguaglianze socio-economiche, nelle loro molteplici dimensioni, crescono. La stratificazione delle forze di lavoro assume in complesso una forma a clessidra. Per coloro che occupano la parte alta di questa i salari sono elevati, la formazione è realmente continua, l’occupazione è stabile. Tra i lavori osservabili entro questo strato, o gruppo di strati, si trova la maggior quota dei migliori lavori flessibili che il post-fordismo abbia contribuito a creare. Giacché esiste anche il lavoro flessibile di buona qualità. E’ il lavoro che favorisce e permette la massima autonomia del soggetto; moltiplica le esperienze; apre di continuo nuove prospettive professionali; assicura un reddito apprezzabile e un congruo riconoscimento sociale; è attraente nel corso della sua esecuzione, quanto soddisfacente al momento di verificarne le realizzazioni. Nel complesso, si è qui dinanzi alle forze di lavoro che son definite dalla letteratura sul moderno management il “nucleo centrale” delle “risorse umane”, formato in media da meno di un terzo delle forze di lavoro a vario titolo occupate da un’impresa. Sono la minoranza di persone su cui le imprese investono perché costituiscono la loro memoria tecnica e organizzativa; la capacità innovatrice; la lealtà ai valori ed ai codici della cultura aziendale. E’ importante che queste persone siano fedeli all’impresa – uno scopo che con un termine, in verità inesistente nella lingua italiana, viene designato nel management-speak con la frase “fidelizzazione dei dipendenti”. Nella parte bassa della clessidra stanno gli altri lavoratori. E’ la massa – che si avvia a superare mediamente i due terzi del totale delle forze di lavoro occupate da un’impresa – che fluttua dentro e fuori dell’impresa motrice, da un sub-appaltatore all’altro, da uno spezzone di lavoro ad un altro, legata ad un lavoro di volta in volta, e di momento in momento, da una miriade di contratti: tranne quello di durata indeterminata a tempo pieno, ormai riservato a chi occupa la parte alta della clessidra. Questi lavoratori incarnano gli esiti della flessibilità contrattuale. Ma anche la qualità del lavoro che svolgono è in prevalenza alquanto bassa. Accade infatti che alla maggioranza dei componenti di questi strati siano affidati lavori, frammentati in mansioni, tra i peggiori che il post-fordismo abbia contribuito a creare. Mansioni ripetitive, tuttora strutturate di fatto – anche dove non esista più l’ufficio tempi e metodi – secondo i canoni ormai centenari del taylorismo, quelle in cui si deve eseguire e non pensare, dove i cicli di operazione si misurano a manciate di secondi, e il guadagno è strettamente commisurato alla quantità di lavoro svolta in una data unità di tempo. Sono, questi della parte inferiore della clessidra, della nuova stratificazione dei lavori e dei lavoratori, uomini e donne sulle quali ogni singola impresa che le occupa non ha alcun interesse ad investire in termini di formazione, dato che entro un breve periodo esse lavoreranno per un’impresa differente. La società della conoscenza, per loro, è un’espressione pressoché priva di significato. Una quota consistente di questi lavoratori, anche quando lavorano gran parte dell’anno, corrono in permanenza il rischio di cadere sotto la linea della povertà relativa – metà del reddito mediano pro-capite - se non anzi Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino 3/6 della povertà assoluta, che viene collocata in genere tra il 40 e il 60% al di sotto della suddetta linea. Che cosa reca questo strato in espansione di lavoratori flessibili al progetto di una società flessibile – uno strato che assomiglia assai poco a quello che il progetto stesso dà per scontato che si sia formato, o si stia formando? E più in generale, come si concilia il progetto in questione con una polarizzazione delle disuguaglianze di reddito, di autonomia, di qualità del lavoro? Prima di tentare una risposta, occorre chiedersi quali sono i criteri mediante i quali pensiamo di valutare la qualità di una simile società. Di certo sappiamo che qualsiasi tipo di società può essere valutata secondo vari criteri oggettivi, costruiti mediante appropriate indagini statistiche. In base, ad esempio, al suo reddito medio pro-capite; al livello di vita; al suo indice di disuguaglianza, come l’indice di Gini; al maggiore o minore tasso di violenza praticata all’interno tra i suoi componenti, o esercitata da essa, in toto, verso l’esterno; al suo indice di sviluppo umano, sul tipo di quello proposto dal programma dall’uguale denominazione delle Nazioni Unite, il cui andamento in tutti i paesi del mondo viene pubblicato ogni anno in un apposito rapporto. Ma v’è una qualità prioritaria, difficilmente riconducibile a indici oggettivi, che è la natura e l’intensità della sua integrazione sociale. L’idea di integrazione è un concetto fondamentale della teoria della società. L’analisi dei processi di integrazione rappresenta la prosecuzione, sul terreno sociologico, della discussione del problema classico per la filosofia politica dell’ordine sociale, inteso quale stabilità di relazioni tra individui e gruppi, sociali etnici o religiosi che siano; ragionevole armonia tra differenti settori e livelli della società; convivenza pacifica seppur in presenza di conflitti politici, economici e culturali. Come ci ricorda con fin eccessiva solerzia la storia del XX secolo e dei primi anni del XXI, l’integrazione sociale è un bene comune primario, tanto arduo da conseguire, quanto facile da perdere. In una forma attenuata, e in genere senza alcun riferimento alle grandi scuole sociologiche che lo hanno elaborato – penso alle opere di Emile Durkheim, Max Weber, Talcott Parsons - il concetto di integrazione sociale è diventato da qualche anno un elemento spesso ricorrente del dibattito politico, specie nel mondo francofono, sotto l’etichetta di “coesione sociale”. Affinché una società attinga, e mantenga nel tempo, un tasso di integrazione soddisfacente per il maggior numero dei suoi componenti, è necessario sussistano alcuni pre-requisiti. Il primo ha a che fare con il tempo, con la durata. Come ho avuto modo di rilevare in altri lavori trattando dei costi umani della flessibilità, la costruzione di relazioni sociali stabili tra individui e tra gruppi – ovvero tra individui che per tal via si integrano in un gruppo - richiede del tempo. Necessita di incontri ripetuti, occasioni per conoscersi, pratiche collaborative, forme organizzate di socialità. Per i lavoratori flessibili si tratta di situazioni sempre più rare. Nelle organizzazioni “reingegnerizzate” si arriva ad ottenere che su 100 lavoratori fisicamente presenti a un certo istante in un dato reparto meno di un quarto siano dipendenti da quella data organizzazione, mentre gli altri tre quarti sono dipendenti da una decina di aziende terze – fornitori o sub-appaltatori o sub-subappaltatori – oltre che lavoratori interinali, parasubordinati con contratti di breve durata, consulenti di passaggio, apprendisti in formazione. In tale modello organizzativo non esiste più il tempo necessario perché tra le persone che pure lavorano fianco a fianco si stabilisca un legame sociale. Nelle organizzazioni ristrutturate per trarre i maggiori vantaggi dalla flessibilità del lavoro, scompaiono anche, causa l’impossibilità materiale di trovare chi possa parteciparvi, i gruppi sportivi, i centri culturali, le gite sociali – istituzioni tradizionali che per generazioni hanno contribuito ad alimentare la socialità del lavoro, e con ciò a sostenere il lavoro come fattore primario di integrazione sociale. Un secondo pre-requisito dell’integrazione sociale è la presenza di una misura significativa di ritualità. Come ricorda Sennett in un altro suo saggio, Work and Social Inclusion (1999), “se l’antropologia ci ha insegnato qualcosa in merito a noi stessi, è che il rituale è il cemento più forte della società, la chimica stessa alla base dei processi di inclusione.” Caratteristico dei rituali è di essere gratuiti, intransitivi, irrazionali, privi di giustificazione se non simbolica, oltre che identificati con uno spazio delimitato e fisso Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino 4/6 nel tempo. Archetipo della ritualità sono ovviamente le tradizioni popolari, le processioni, le feste del santo o dell’eroe locale, le liturgie dei culti religiosi, le pubbliche celebrazioni della storia nazionale. Ma pertengono alla ritualità anche altre pratiche secolari. Pratiche, ad esempio, in forza delle quali la domenica deve essere per obbligo un giorno di riposo, anche se pochi rammentano che così è perché sta scritto nella Bibbia; il lavoro di una persona costituisce un tempo e un luogo categoricamente diverso dal tempo libero come da altri momenti della sua vita privata; la famiglia è tenuta a riunirsi ogni giorno attorno al desco Nella società flessibile, di cui l’operare “a giro di orologio”, 7 x 24, è un elemento quintessenziale, per le forme della ritualità tradizionali v’è sempre meno tempo disponibile. Il tempo di lavoro si intreccia con gli altri tempi della vita sino a diventare da essi inseparabili. Per molte persone il lavoro si svolge vuoi per ricorrente necessità, vuoi per i vincoli formalmente posti dall’organizzazione flessibile, come quelli insiti nel modello del “compito senza scrivania” (deskless job), nell’abitazione stessa, nelle sale d’aspetto aeroportuali, in treno, in albergo, sull’autostrada. Anche sul piano del discorso l’idea della festività, del giorno festivo uguale per tutti, viene etichettata come un feticcio da rimuovere. Il lavoro tende a diventare un tempo senza confini e al tempo stesso un nonluogo, proprietà contrarie all’esercizio di ogni forma di ritualità. Uno degli aspetti che ci sembrano più attraenti del progetto di società flessibile, quale ci viene presentato, è l’importanza che esso attribuisce all’autonomia, all’emancipazione dalle cerchie tradizionali, alla piena individualizzazione della persona, alla sua indipendenza da ogni legame o appartenenza ascrittiva. Dopotutto, questi sono valori intrinseci della modernità, del progetto moderno. La padronanza di sé fondata sulla ragione - meglio non si potrebbe definire l’indipendenza - è un ideale che proviene da Platone, ma che ha dovuto attendere più di venti secoli prima di essere avviato a compimento dal progetto moderno. La società flessibile promette nulla meno, a ben vedere, di portare a termine ciò che il progetto moderno ha avviato nei tre secoli precedenti. Tuttavia, affinché l’indipendenza economica della persona, base della sua indipendenza politica, non sia una chimera o un inganno, essa richiede un reddito consistente e sicuro, un appropriato riconoscimento sociale (Anerkennung, per usare il termine preferito da Habermas), un grado elevato di istruzione, e un tangibile potere contrattuale nei confronti dell’impresa. Ora avviene che, tolto il loro sottile strato superiore – sottile se commisurato ai milioni che possono così venire denominati - i lavoratori flessibili sollecitati a incarnare l’ideale dell’indipendenza, della padronanza in ogni senso di sé fondata sul libero esercizio della ragione, non appaiono disporre in generale di tali elementi, ricerche empiriche alla mano, se non in misura minima. Infine v’è la questione delle cosiddette società intermedie. L’integrazione dell’individuo nella società non può avvenire, se non parzialmente, in modo diretto. All’integrazione totale e diretta degli individui con i vertici del potere puntano solamente le società autoritarie. In una società democratica matura occorre invece che l’individuo sia primariamente integrato nella famiglia, nella comunità locale, in vari generi di associazione; dopodiché sarà un’adeguata integrazione di queste nello spazio pubblico globale ad assicurare all’individuo i benefici dell’ordine sociale – come pure a tutelarlo dalle sue deviazioni. La società flessibile, di là dal velo ideologico che vorrebbe ritrarne le veritiere fattezze nel mentre di fatto le maschera, non sembra particolarmente amica di nessuna di queste società intermedie. Non lo è di fatto, perché la variabilità degli orari e dei luoghi di lavoro, di istruzione, di tempo libero dei diversi componenti della famiglia e della comunità locale porta inevitabilmente ad erogare il legame sociale tra di essi. Non lo è nemmeno dal punto di vista teorico, perché essa codifica e legittima le delocalizzazioni dell’impresa come della famiglia, il cennato lavoro senza luogo, l’abolizione del radicamento territoriale di ogni attività sociale. Quanto alle associazioni, il progetto di società flessibile – quale in concreto ci viene presentato dal discorso politico-economico dominante - trae in concreto giovamento dalla crisi della più antica di esse, la chiesa, nel mentre teorizza e persegue l’indebolimento, se Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino 5/6 non anzi l’annullamento, della principale tra quelle che rimangono – il sindacato. Per la società flessibile, il sindacato è l’epitome di tutti i suoi contrari: la rigidità burocratica; la difesa dei diritti acquisiti per ascrizione e non per merito; una delle maggiori barriere che si oppongono all’innovazione permanente di tutte le modalità dell’agire sociale. Esso deve essere oggetto sia di un reciso contrasto ideologico, sia – come sta avvenendo in Italia - di provvedimenti legislativi che rimuovano questo ultimo ostacolo a che l’individuo sia inserito direttamente, senza mediazioni, nella rete delle reti. Affinché esso divenga, con le parole di Niklas Luhmann, unicamente un nodo passivo dei flussi di comunicazione, inconsapevole del senso reale dei messaggi che esso riceve e ritrasmette, ad essi totalmente alieno. La dialettica reale tra lavoro flessibile e società flessibile, quale emerge dalle ricerche sul campo, non pare dunque condurre nessuno dei due elementi verso esiti particolarmente promettenti per la qualità della vita e dell’organizzazione sociale. L’uno e l’altra incorporano sicuramente elementi del progetto moderno - un progetto largamente incompiuto – ai quali certo non vorremmo rinunciare. Nondimeno gli elementi che in essi appaiono predominare al presente, esaltati negli ultimi decenni tanto dall’ideologia e dall’economia neo-liberali quanto dalla pratica politica delle socialdemocrazie, ci sembrano comportare un prezzo troppo elevato per potere accogliere insieme questi e quelli. Io penso che dinanzi a tale situazione ambivalente si debba essere, al tempo stesso, discriminanti quanto esigenti. Dobbiamo saper distinguere i costi umani della flessibilità del lavoro e della società flessibile dai loro benefici, quanto esigere che i primi non vengano, come suole, sottaciuti o sottovalutati in nome dei secondi. Un compito arduo che tuttavia, se non vogliamo arrenderci al credo interessato per cui la realtà del mondo globalizzato persegue comunque, ad onta dei nostri sforzi, un suo indefettibile cammino, occorre affrontare combinando la tenacia del ricercatore con la passione che ogni cittadino dovrebbe portare alla difesa di un bene comune essenziale. Un bene qual è una società in cui la molteplicità degli interessi; delle culture; delle condizioni di lavoro e di esistenza, trova una composizione armonica in forza di alcuni ideali minimi di giustizia sociale, di uguaglianza, di diritti delle persone. Un insieme di elementi costati all’Europa troppe fatiche, e troppe sofferenze, per pensare che si possano o si debbano agevolmente alienare in nome di nuove forme di funzionamento del sistema economico, pur nel riconoscimento che queste richiedono appropriate riforme dell’organizzazione sociale. (Torino, settembre 2002) Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Luciano Gallino - Università di Torino 6/6 LUCIANO GALLINO Chiamato a Ivrea da Adriano Olivetti, Luciano Gallino (Torino 1927) ha compiuto il proprio apprendistato sociologico tra il 1956 e il 1970, come collaboratore e poi direttore del centro di ricerche sociologiche di quella società, il primo del suo genere in Italia. Conseguita la Libera Docenza in Sociologia nel 1964, nei due anni successivi è stato Fellow Research Scientist presso il Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences di Stanford (CA). Dal 1965 al 1971 è stato professore incaricato presso la Facoltà di Magistero e la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino. Dal 1971 è professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dello stesso Ateneo. Tra il 1968 e il 1978 è stato direttore del locale Istituto di Sociologia, uno dei primissimi costituiti nelle università italiane. Ha fondato e presieduto dal 1987 al 1999 il Centro di Servizi Informatici e Telematici per le Facoltà Umanistiche dell'Università di Torino, che sin dai primi anni '90 ha messo a disposizione Internet a migliaia di studenti e docenti. Dal 1999 è Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione e della Formazione. In tale ruolo ha promosso lo sviluppo di un Centro di Eccellenza per lo studio della Formazione Aperta/Assistita in Rete. Da tale iniziativa è derivato un nuovo corso di studi per la laurea triennale di I livello, attivo dall’ottobre 2000, volto a formare “Esperti di formazione e comunicazione in rete” Dal 1979 al 1988 è stato presidente del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali, carica in cui è succeduto a Luigi Firpo. Dal 1987 al 1992 ha rivestito la stessa carica nell'Associazione Italiana di Sociologia. Dirige dal 1968 i "Quaderni di Sociologia", testata trasmessagli da Nicola Abbagnano che li aveva fondati con Franco Ferrarotti nel 1951. Tra il 1970 e il 1975 ha scritto sul "Giorno"; dal 1983 al 2001 ha collaborato alla "Stampa". Al presente scrive per “La Repubblica”. E' socio dell'Accademia delle Scienze di Torino, dell'Academia Europaea e dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Opere principali Progresso tecnologico ed evoluzione organizzativa negli stabilimenti Olivetti, 1945-1959, Giuffré, Milano 1960; Personalità e industrializzazione, Loescher, Torino 1968; Indagini di sociologia economica e industriale, Comunità, 2a ed., Milano 1972; Dizionario di Sociologia, Utet, Torino 1978, 3a ed. 1993; La società. Un’introduzione sistemica alla sociologia, Paravia, Torino 1980; Il lavoro e il suo doppio. Seconda occupazione e politiche del lavoro in Italia, il Mulino, Bologna 1985, (con coll.); Informatica e qualità del lavoro, Einaudi, 2a ed., Torino 1985; Della ingovernabilità. La società italiana tra premoderno e neo-industriale, Comunità, Milano 1987; L’attore sociale. Biologia, cultura e intelligenza artificiale, Einaudi, Torino 1987; L'incerta alleanza. Modelli di relazione tra scienze umane e scienze della natura, Einaudi, Torino 1992; Manuale di Sociologia (con coll.), Utet Libreria, 2a ed., Torino 1997; Se tre milioni vi sembran pochi. Sui modi per combattere la disoccupazione in Italia, Einaudi, Torino 1998; Globalizzazione e disuguaglianze, Laterza, 5a ed., Bari 2001; Il costo umano della flessibilità, Laterza, Bari 2001; L’impresa responsabile. Intervista su Adriano Olivetti, Comunità, Torino 2001. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Luciano Gallino - Università di Torino Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Nouvelles modalités de travail et assurances sociales: cause de précarité? Béatrice Despland Direttrice aggiunta dell'Istituto di diritto della salute dell'Università di Neuchâtel Nouvelles modalités de travail et assurances sociales: cause de précarité? Plan de l'exposé 1. Travail à temps partiel, contrat de travail à durée déterminée, travail sur appel, travail indépendant: • • Lacunes de couverture Affiliation facultative: une utopie? 2. Maladie, maternité, accident, invalidité: • • Définitions rigides? Inventer une assurance "mal-être"? 3. La collaboration interninstitutionnelle (CII) • • Les expériences en cours entre l'assurance-chômage, l'assurance-invalidité et l'aide sociale Un moyen de lutter contre l'exclusion 4. Le rôle du canton dans la lutte contre l'exclusion (sous l'angle du droit social) Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Béatrice Despland - Università di Neuchâtel 1/1 Béatrice Despland est née en 1949. Elle est titulaire d'une licence es sciences de l'éducation, d'une licence en droit et d'un diplôme d'études supérieures en droit, tous de l'Université de Genève. Elle a notamment été chargée de cours IDHEAP (Lausanne), a organisé le cours « les questions féminines en Suisse » et s'est occupée d'enseignement relatif à la place de la femme dans la sécurité sociale. Elle a également été secrétaire centrale de l'Union Syndicale Suisse (USS), professeure en droit social à l'Ecole d'Etudes sociales et pédagogiques et enseignante ponctuelle dans de nombreuses écoles supérieures, universités et également pour des administrations. En outre, elle est membre du groupe d'experts pour la révision de l'assurance-maladie, de la Commission fédérale de coordination pour les questions familiales (viceprésidente), du comité de direction du Programme national de Recherche « problème de l'Etat social (PNR 45) », du Conseil d'administration de la CNA (depuis janvier 2002), de l'Institut Européen de la Sécurité sociale (Leuven, Belgique), présidente de la Conférence des centres d'enseignement des domaines de la santé et du travail social (1998-2000), du Conseil d'administration du Fonds de compensation de l'assurance-maternité (Genève), et du Conseil d'administration du Fonds de compensation des allocations familiales (Genève). Depuis novembre 2001, elle a la fonction de directrice-adjointe de l'IDS à Neuchâtel. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Béatrice Despland - Università di Neuchâtel Repubblica e Cantone Ticino Dipartimento della sanità e della socialità Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Forme del lavoro e qualità della vita in Ticino Venerdì, 18 ottobre 2002 Università della Svizzera italiana Sala polivalente, Lugano Lavoro e sicurezza sociale in Ticino Carlo Marazza Direttore dell'Istituto delle assicurazioni sociali, membro della Commissione federale per le questioni femminili Lavoro e sicurezza sociale in Ticino 1 2 3 4 INTRODUZIONE.......................................................................................................................................................... 1 RIFLESSIONI CRITICHE: COSA NON VA NEI NOSTRI SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE? ................. 1 2.1 CRISI D’EFFICACIA .................................................................................................................................................. 1 2.2 CRISI DI LEGITTIMITÀ ............................................................................................................................................... 2 I CAMBIAMENTI CHE INTERESSANO IL LAVORO INFLUENZANO LA SICUREZZA SOCIALE?.......... 3 3.1 LAVORO E SICUREZZA SOCIALE .............................................................................................................................. 3 3.1.1 Il sistema svizzero dei tre pilastri........................................................................................................ 4 3.1.2 Assicurazione contro la disoccupazione............................................................................................ 7 3.2 LAVORO E POVERTÀ ................................................................................................................................................ 8 3.3 LAVORO E FAMIGLIA................................................................................................................................................ 9 RIFLESSIONI CONCLUSIVE..................................................................................................................................10 4.1 ORIENTAMENTO SETTORIALE ................................................................................................................................10 4.2 ORIENTAMENTO MULTISETTORIALE (APPROCCIO SISTEMICO) ..............................................................................10 1 Introduzione Lo studio Forme del lavoro e qualità della vita di Christian Marazzi e Angelica Lepori è una bella occasione per cominciare a riflettere, sorretti da dati reali ed analisi serie, sulle conseguenze dei cambiamenti del lavoro sul benessere delle persone, dei lavoratori. Le domande principali che mi pongo, come uomo della sicurezza sociale che rappresenta in termini quantitativi e finanziari la politica pubblica più importante almeno nei paesi dell’Europa occidentale, sono in che misura: • la sicurezza sociale si assume la responsabilità di includere o escludere i cittadini e le cittadine dal proprio sistema; • la sicurezza sociale è reattiva o propositiva nei confronti dei cambiamenti; • la sicurezza sociale considera i cambiamenti del lavoro remunerato e non? 2 Riflessioni critiche: cosa non va nei nostri sistemi di sicurezza sociale? 2.1 Crisi d’efficacia La società del lavoro cambia se muta il lavoro. Sembra lapalissiano, ma constato che non si è ancora molto consapevoli di questo, soprattutto fra le autorità federali, che hanno le competenze maggiori in materia di sicurezza sociale. Ho l’impressione che ci sia troppo distacco fra le autorità federali e la realtà. Penso ad esempio all’Ufficio federale delle assicurazioni sociali e all’assicurazione per l’invalidità, o al Segretariato di Stato dell’economia e alle procedure sempre più complesse inserite nell’assicurazione contro la disoccupazione. Dovremmo invece usufruire e difendere i vantaggi del nostro federalismo, soprattutto l’applicazione decentralizzata della sicurezza sociale1. La ricerca, compresa quella sociale, è la premessa della conoscenza. È una funzione iterativa importante per la sicurezza sociale. Per evitare che resti sterile, fine a se stessa, è necessaria la collaborazione e la condivisione fra ricercatori e gestori, seguendo il processo del lavoro in divenire. La collaborazione fra la Scuola universitaria e professionale della svizzera italiana e l’Istituto delle assicurazioni sociali è stata la condizione per svolgere un’analisi circoscritta alla nostra regione di lingua italiana che meriterebbe la giusta attenzione a livello federale. 1 Un progetto denominato Cooperazione interistituzionale, voluto dalla Conferenza svizzera degli Uffici AI a Lugano alcuni mesi fa, ha preso l’avvio in questi giorni Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 1/11 Constatiamo che l’istruzione e la formazione sono orientate soprattutto alla professione. Il tempo libero è tempo libero dal lavoro, tempo di riposo per nuovo lavoro. La prestazione di disoccupazione risponde alla mancanza temporanea di lavoro per motivi congiunturali. La pensione d’invalidità o per infortunio si sostituisce al salario o al reddito in caso di eventi esterni non prevedibili. La pensione di vecchiaia è la ricompensa per una vita di lavoro. Cominciamo a capire che la salute è influenzata in misura notevole dagli stili di vita e dalle condizioni di lavoro (determinanti socioeconomici), ed in misura molto minore dai determinanti sanitari (cure sanitarie). Incominciamo a chiederci se l’educazione dovrebbe anche essere orientata allo sviluppo del talento individuale e delle competenze necessarie per vivere in una società in continua mutazione, di cui il lavoro è una componente essenziale. Ci rendiamo conto che la qualità del lavoro è determinante per le famiglie ed influenza la conciliazione con le attività familiari e la ripartizione dei ruoli fra genitori. La povertà residua interessa una parte sempre più importante della popolazione e raccoglie i disoccupati di lunga durata, i nuovi poveri (pensiamo al fenomeno dei working poor), le famiglie. I problemi di salute interessano, in modo diverso rispetto al passato, molte persone. Le difficoltà economiche del ceto medio, in particolare delle famiglie, aumentano. Il paradosso di questa realtà è la contrapposizione dei costi elevati della sicurezza sociale e dei bisogni sociali non ancora soddisfatti. La crisi d’efficacia deriva dalla duplice logica attuale dei sistemi di sicurezza sociale: • da una parte protettrice, inclusiva, nella misura in cui prende a carico le categorie di persone degne d’interesse (ad esempio i salariati con l’assicurazione contro la disoccupazione o parte di essi2 con la previdenza professionale obbligatoria per i regimi di tipo professionale), • dall’altra avversatrice, esclusiva, nella misura in cui non consente l’accesso ad altre categorie di persone (ad esempio con la previdenza professionale obbligatoria per molti lavoratori atipici e tutti i lavoratori autonomi). I problemi finanziari attuali con i quali è confrontata la sicurezza sociale derivano anche dalle spese della protezione contro la disoccupazione, imputabili all’andamento congiunturale e strutturale della nostra economia, e dai costi crescenti indotti dai cambiamenti intervenuti a partire dagli anni ’90, che interessano il lavoro e che si ripercuotono sui rami malattia ed invalidità 3. Questa situazione determina una sicurezza sociale piuttosto reattiva e poco propositiva nel rispondere ai nuovi bisogni. 2.2 Crisi di legittimità La crisi economica influenza la legittimità della sicurezza sociale. Questa crisi ha rafforzato negli ultimi anni il ruolo delle prestazioni selettive nella lotta alla povertà, anche se le differenziazioni crescenti che caratterizzano le famiglie e gli individui presuppongono un adeguamento della sicurezza sociale, affinché possa meglio considerare le eterogeneità della nostra società attuale e futura. Considerare questa via come panacea contro tutti i mali arrischierebbe di ridurre la sicurezza sociale alla sola lotta contro l’esclusione dei poveri. In altri termini si ridurrebbe 2 Soprattutto i lavoratori tipici e tradizionali con un certo reddito Le spese della sicurezza sociale sono progredite in modo autonomo rispetto al reddito nazionale o cantonale. Esse, infatti, evolvono in maniera indipendente o addirittura inversa; pensiamo a quelle che derivano dal bisogno di consumo di beni sanitari, oppure quelle che discendono dalle difficoltà economiche e dai grossi cambiamenti economici, che impongono l’indennizzo a scadenze più o meno regolari dei disoccupati, e che esercitano un effetto indiretto su altri settori come quello dell’invalidità 3 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 2/11 la sicurezza sociale ad una parte di una sola funzione: quella della garanzia di un reddito di complemento4 selettivo. Dimenticheremmo di conseguenza l’importanza che riveste la sicurezza sociale per tutta la popolazione e revocheremmo il contratto sociale che ci lega. Il legame esistente fra il prelevamento dei contributi sulla massa reddituale, in particolare salariale, e le prestazioni corrisposte è un caposaldo della popolarità e dell’accettabilità politica della funzione sostitutiva della sicurezza sociale, che deriva dalla tecnica assicurativa, dallo strumento necessario ad applicare i redditi sostitutivi 5. Gli assicurati sono coscienti che pagano, almeno in buona misura, per la sicurezza sociale che viene loro offerta. La selettività in sostituzione dell’universalità spingerebbe verso una diminuzione della solidarietà, perché le fasce più agiate della popolazione sarebbero sempre meno disposte a finanziarla. Il richiamo alle prestazioni selettive, giustificato in determinate situazioni, se corrispondesse alla soppressione del rapporto fra contributi e prestazioni, con il passaggio alle sole prestazioni mirate finanziate tramite la fiscalità in modo non contributivo, arrischierebbe di delegittimare la sicurezza sociale. Questo è un aspetto fondamentale che va considerato nell’adeguamento della sicurezza sociale alle nuove forme di lavoro ed alle attività socialmente rilevanti, di cui dobbiamo essere coscienti se non vogliamo creare degli sconquassi nel rapporto fra sicurezza sociale e lavoro 6. Al contrario, le prestazioni selettive sono legittime per lottare contro la povertà. Per le famiglie bisognerà far capo ad entrambe le funzioni 7. 3 I cambiamenti che interessano il lavoro influenzano la sicurezza sociale? 3.1 Lavoro e sicurezza sociale La relazione attuale fra lavoro e sicurezza sociale, che ha condizionato tutto il novecento,va rivista? È una domanda che dobbiamo porci, se pensiamo all’apparizione delle nuove forme di lavoro, alla persistenza della disoccupazione strutturale, alla precarietà, ai problemi crescenti con i quali sono confrontate le famiglie. Queste importanti preoccupazioni della politica sociale contemporanea pongono in discussione l’opportunità di mantenere il legame nei termini attuali. È quindi necessario ristudiare, per poi adeguarlo, il rapporto fra lavoro e sicurezza sociale. All’origine, la protezione (interessante il senso etimologico del termine) sociale era ancorata al primato del lavoro, poi, con l’avvento della sicurezza sociale e la ridistribuzione del reddito nazionale a favore dei cittadini si è verificata una rottura solo apparente del legame8. Anche in futuro continueranno ad esistere dei settori rilevanti consacrati specificatamente alla protezione dei lavoratori, che necessitano l’appartenenza alla comunità del lavoro. Sono interessati la protezione contro i rischi professionali, quella contro la disoccupazione o i regimi complementari legali o convenzionali (soprattutto le indennità giornaliere). D’altra parte l’indagine della SUPSI sugli effetti sociali della flessibilità del mercato del lavoro in Ticino dimostra e conferma l’aumento della precarietà imputabile ai lavori atipici. 4 Che completa un fabbisogno scoperto Che sostituiscono un reddito precedente (ad esempio l’AVS) Gli accrediti per compiti educativi e assistenziali, introdotti dal 1. gennaio 1997 con la decima revisione dell’AVS, sono un riconoscimento dell’attività non retribuita, soprattutto delle donne, di cui possiamo essere fieri 7 L’introduzione a partire dal 1. luglio 1997 nel nostro cantone dell’assegno di prima infanzia è il riconoscimento dell’attività familiare, della cura dei figli piccoli delle famiglie povere, tramite una prestazione selettiva 8 Guy Perrin, Sécurité sociale, Réalités sociales, Losanna, 1993 5 6 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 3/11 L’adeguamento della sicurezza sociale alle nuove forme di lavoro (il lavoro interinale, il lavoro su chiamata e temporaneo, il lavoro autonomo) deve perseguire, da un lato, la protezione dei lavoratori e, dall’altro, la riduzione degli ostacoli che la sicurezza sociale opporrebbe allo sviluppo di nuove forme di lavoro nell’interesse della promozione dell’impiego e della valorizzazione dell’attività quale veicolo di cittadinanza (inserimento professionale e/o sociale della persona). Un nuovo legame fra sicurezza sociale e lavoro, che metta in risalto il lavoro non più come fonte del diritto alla prestazione sociale, bensì come fine dell’intervento della sicurezza sociale alla quale dovrebbero essere subordinati i regimi transitori d’indennizzo necessari all’inserimento ed al reinserimento professionale è necessario. La mancanza di questo adeguamento costituisce la causa del trasferimento dei casi e dei costi fra un settore e l’altro. L’assicurazione per l’invalidità è la più penalizzata da questo stato di cose, al punto che oggi deve assumersi oltre all'andicap sanitario, che le è proprio, pure quello sociale. Non riconoscerlo è un atto di ipocrisia politica. La protezione fondamentale 9 quanto agli obiettivi (diritti fondamentali e sociali ed obiettivi sociali), che è anche di base quanto al grado d’intervento e che garantirebbe un diritto minimo d’esistenza a tutti i cittadini deve essere adeguata ai cambiamenti. La protezione fondamentale e di base, che non va confusa con il diritto al reddito minimo garantito (idea ormai sorpassata in tutte le sue forme), è completata dalla protezione specifica e complementare per i lavoratori, connessa quindi con l’esercizio di un’attività professionale. 3.1.1 Il sistema svizzero dei tre pilastri 3.1.1.1 AVS: regime pensionistico universale 10 La sicurezza sociale dovrebbe garantire maggiore libertà agli individui nella scelta della durata e della ripartizione del lavoro e dell’attività o della cessazione graduale del loro lavoro. Una pensione parziale e progressiva, al posto di una pensione anticipata e ridotta che poco influenza la riduzione della vita lavorativa, risponde meglio ad un bisogno reale individuale e sentito da molti lavoratori salariati ed autonomi vicini al loro pensionamento (l’11esima revisione AVS propone una prima embrionale proposta in questo senso). La riduzione dell’età di pensionamento nei regimi pensionistici di vecchiaia non è lo strumento appropriato per combattere gli effetti della disoccupazione dei lavoratori più anziani. La sicurezza sociale deve anche facilitare lo sviluppo di nuove interessanti forme di lavoro 11, al fine di conciliare la dimensione economica dello sviluppo con quella sociale. A questo proposito è interessante notare come all’AVS è stato conferito il compito di decidere se un lavoratore possa affiliarsi come indipendente. Lo scopo di questo intervento è tecnico12 e va ricollegato soprattutto alla previdenza professionale obbligatoria. Infatti, nel nostro paese il passaggio da un’attività salariata ad una autonoma consente il prelevamento dell’intero capitale versato dal lavoratore e dal datore di lavoro all’istituto di previdenza13. All’AVS si è quindi assegnato il compito di controllare ed arginare il fenomeno dell’aumento dei lavoratori indipendenti nell’interesse degli istituti di previdenza (capitali versati agli assicuratori ed alle casse pensioni) e degli assicurati 9 La Svizzera con l’universalizzazione delle pensioni di vecchiaia e superstiti (dal 1948 con l’AVS), delle prestazioni reali e finanziarie in caso d’invalidità (dal 1960 con la l’AI), alle quali bisogna aggiungere le prestazioni complementari all’AVS e all’AI (dal 1966 con le PC), della garanzia delle cure mediche (dal 1996 con la LAMal), garantisce ad una buona parte della popolazione, a tutti i pensionati superstiti invalidi e malati, una protezione fondamentale e di base 10 Che copre tutta la popolazione residente o che lavora nel nostro paese 11 Penso all’abbinamento fra lavoro parziale e sicuro e pensionamento parziale e sicuro o ai lavori autonomi 12 L’AVS, definisce chi rientra nel campo di applicazione dei regimi professionali (assicurazione contro la disoccupazione, previdenza professionale, assegni familiari ordinari, assicurazione maternità in futuro, assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali d’intesa con gli assicuratori interessati) 13 Prestazione di libero passaggio Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 4/11 interessati (perdita della copertura assicurativa). Considerato il forte trasferimento avvenuto nell’ultimo decennio dal lavoro dipendente a quello indipendente, al punto che Marazzi e Lepori hanno accertato in base hai dati molto rappresentativi della Cassa cantonale di compensazione AVS che i lavoratori autonomi rappresentano in Ticino il 18 % di tutti i lavoratori, mi chiedo se sia corretto affrontare il fenomeno ancora in questo modo, frustrante per noi che dobbiamo applicare la normativa e per coloro che ricevono una comunicazione negativa, o se non sia meglio trovare altre soluzioni. Evidentemente ciò presuppone la presa di coscienza, in particolare in sede federale 14, dei cambiamenti in atto e delle nuove tendenze che interessano il mercato del lavoro. Ben vengano gli studi quali quello della SUPSI che dovrebbero aiutarci ad aprire gli occhi. 3.1.1.2 Assicurazione per l’invalidità 15 Qual è il rapporto fra l’assicurazione invalidità e la precarietà? • Da una parte c’è l’invalidità classica, che prende a carico gli individui con un danno alla salute che ha conseguenze economiche (andicap sanitario); • dall’altra, c’è la nuova invalidità, che si accolla l’andicap sociale16. La nuova invalidità è correlata con la precarietà. Le nostre esperienze fatte con la reintegrazione professionale, traguardo principale dell’AI17, mostrano tre livelli di precarietà: o la precarietà del lavoro (lavori atipici) esercitato dalle persone interessate, o la precarietà formativa e conoscitiva degli individui coinvolti, o la precarietà della salute 18. A proposito della precarietà del lavoro è opportuno richiamare le considerazione contenute nello studio della SUPSI sulle nuove forme del lavoro. La precarietà formativa e conoscitiva dipende dalle risorse personali e dalla situazione personale e familiare. Le risorse personali sono la discriminante maggiore. Per gli individui con sufficienti risorse personali, in particolare formative, l’AI costituisce una svolta di vita che consente loro un’integrazione completa (sociale e professionale). Questi assicurati sono consci dell’aiuto ricevuto e ci ringraziano. Gli altri individui, con scarse risorse personali, che definisco i precari dei precari19, non riescono a beneficiare dell’aiuto dell’AI, al punto che entrano, escono e rientrano continuamente nell’assicurazione. Essi rappresentano un terzo di tutti i casi di reintegrazione assunti dall’AI in Ticino. Quando momentaneamente non interagiscono con l’AI, lo fanno con altri settori, dall’assicurazione disoccupazione all’assistenza sociale passando ogni tanto anche dall’assicurazione malattie. La precarietà della salute vede le malattie psichiche20 ed disturbi della personalità 21 in forte aumento. Nel 1985 rappresentavano in Svizzera il 24% di tutte le malattie invalidanti; nel 1999 rappresentavano il 35% e costituiscono il gruppo di malattie più invalidante. Dal 1994 al 1999, sempre a li vello svizzero, i casi di rendita d’invalidità a seguito di malattie psichiche sono aumentate del 7% all’anno, mentre quelli imputabili ai disturbi della personalità sono cresciuti del 10,5% all’anno 22 23. È, inoltre, interessante 14 Il Parlamento federale ha ricevuto un messaggio del Consiglio federale che propone di allineare i criteri applicati dalla sicurezza sociale e dalle autorità fiscali. Così si evita di affrontare il vero problema 15 Prestazione universale 16 Tramite i meccanismi assicurativi tipici dell’AI (danno alla salute, a seguito della precarietà, con conseguenze economiche) 17 Speriamo che non diventi, via via, una chimera 18 Per l’AI il danno alla salute dev’essere oggettivabile 19 Per queste persone il danno alla salute è la punta dell’iceberg, che può aprire la porta dell’AI 20 Psicosi e nevrosi 21 Ad esempio disturbi psicogeni, neurosi, casi borderline, depressivi, ipocondriaci, psicosomatici 22 Non mi soffermo in considerazioni di salute pubblica, che meriterebbero un approfondimento 23 L’aumento medio di tutte le malattie è stato del 4,4% all’anno Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 5/11 rilevare che la percentuale degli invalidi, per cause psichiche in generale, aumenta in misura inversamente proporzionale al grado di formazione e alla professione esercitata. In altre parole le persone semi qualificate o non qualificate sono le più toccate. Infine, l’anno 2001 fra i nuovi casi di rendita per motivi psichici delle persone fra i 30 ed i 60 anni mostra una presa a carico femminile maggiore rispetto a quella maschile. Il Ticino si situa nella media svizzera. Un aspetto che meriterebbe un approfondimento è la rinuncia da parte delle grandi aziende (banche, assicurazioni, ex regie federali, grandi distributori) a quel ruolo sociale al quale hanno dovuto o voluto rinunciare, trasferendo e caricando le figure per loro problematiche sulle assicurazioni sociali. Come rispondere a questo ineluttabile cambiamento? 3.1.1.3 Prestazioni complementari all’AVS ed all’AI 24 La povertà degli anziani, dei superstiti e degli invalidi è stata debellata dalla Confederazione con l’AVS, l’AI e la legge sulle prestazioni complementari. Ciò costituisce una delle grandi conquiste sociali svizzere del novecento. Le prestazioni complementari rivestono un ruolo importante anche per i beneficiari di rendita d’invalidità, che a seguito della loro situazione di precarietà che deriva dai lavori atipici, si vedono integrato il minimo esistenziale. È interessante notare che in Ticino la voce di spesa di prestazione individuale che aumenta di più è proprio quella delle PC-AI25. La risposta è perché aumentano i casi AI. La domanda è perché aumentano i casi AI? Con riferimento a quanto asserito prima per l’assicurazione invalidità, le prestazioni complementari all’AI rafforzano questa tendenza; infatti, i casi PC-AI dovuti a malattie psichiche sono aumentati nel nostro paese del 9,5% all’anno nel medesimo periodo, quelli a disturbi della personalità al 13% 26. L’analisi di questi dati conferma l’aumento dei casi AI con precarietà economica. 3.1.1.4 Previdenza professionale obbligatoria 27 La previdenza professionale obbligatoria è l’esempio svizzero migliore di come la sicurezza sociale possa includere o escludere i cittadini. Questa assicurazione sociale è orientata al lavoro salariato tradizionale, classico, e non atipico. Se si lavora per più datori di lavoro e non si raggiunge un salario minimo equivalente a 24’780.- franchi all’anno per il medesimo datore di lavoro non si entra nel campo di applicazione personale della legge (LPP), detto diversamente non si è coperti. Il Consiglio Nazionale ha quest’anno approvato delle importanti modifiche, nell’ambito della prima revisione della LPP. Esso ha diminuito la quota di coordinamento che da diritto alla previdenza professionale da fr. 24'780.- a fr. 18'585.-, ritenuto che bisognerà sommare i redditi conseguiti presso più datori di lavoro. La revisione è ora al vaglio del Consiglio degli Stati che la discuterà, assieme all’undicesima revisione dell’AVS, durante la sessione invernale. La precarizzazione del lavoro con l’aumento del lavoro autonomo è un ulteriore tema che dovrebbe interessare la previdenza professionale obbligatoria. In ogni caso il disinteressamento da parte della previdenza professionale per queste casistiche comporterà il successivo intervento, al più tardi al momento del raggiungimento dell’età AVS, da parte delle prestazioni complementari che sono interamente finanziate dallo Stato. 24 Prestazioni selettive (redditi di complemento) 49 mio nel 2002, con un aumento medio del 7% negli ultimi 5 anni L’aumento medio di tutte le malattie è stato del 7,9% all’anno 27 Regime parzialmente professionale 25 26 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 6/11 3.1.2 Assicurazione contro la disoccupazione28 Qual è il rapporto fra l’assicurazione disoccupazione e la precarietà? Ci sono dei fatti che mostrano bene la precarietà: • la disoccupazione di lunga durata; • il raggiungimento della fine del diritto alle indennità di disoccupazione; • la situazione lavorativa di coloro che percepiscono contemporaneamente l’indennità di disoccupazione ed un guadagno intermedio. 3.1.2.1 Disoccupazione di lunga durata Sono disoccupati di lunga durata coloro che lo sono da più di un anno e che percepiscono ancora l’indennità. Il seco elabora un indicatore, non conosciuto e molto significativo rispetto ai soliti dati sulla disoccupazione divulgati regolarmente in modo abbastanza acritico, l’indice di vulnerabilità. Cos'è? È quel indice che informa sulla precarietà di un gruppo più ristretto rispetto ad un gruppo più vasto di popolazione. Precarietà dei disoccupati di lunga durata CH Totale Disoccupati iscritti Disoccupati lunga durata Indice di vulnerabilità (lunga durata % disoccupati iscritti) Media 12 mesi Media 6 mesi Media 12 mesi Media 6 mesi Media 12 mesi Media 6 mesi Agosto 2001luglio 2002 1. semestre 2002 Agosto 2001luglio 2002 1. semestre 2002 Agosto 2001luglio 2002 1. semestre 2002 83’531 92’370 10’667 10’751 1 1 Regioni Svizzera tedesca 50’721 57’205 4’513 4’568 0,70 0,69 Svizzera romanda e Ticino 32’810 35’165 6’155 6’183 1,47 1,51 Età 15-24 anni 12’886 14’061 496 499 0,30 0,31 25-49 anni 54’094 60’083 6’331 6’415 0,92 0,92 50 anni e più 16’552 18’226 3’840 3’837 1,82 1,81 Constatiamo che gli assicurati più vulnerabili, quindi anche più precari, sono i disoccupati con 50 anni e più e quelli provenienti dalla Svizzera francese e dal Ticino. La nazionalità ed il sesso non influiscono in misura rilevante sulla vulnerabilità. Se raffrontiamo, invece, i disoccupati di lunga durata con la popolazione attiva, rileviamo che le donne sono più vulnerabili rispetto agli uomini (indice di 1,26 rispetto a 0,85). 3.1.2.2 Disoccupati arrivati a fine diritto La vulnerabilità è pure stata definita da uno studio del seco29 per i disoccupati che raggiungono la fine del diritto alle indennità di disoccupazione. 28 29 Regime professionale Arbeitslosigkeit in der Schweiz, Registrierte Stellensuchende und Arbeitslose, seco, Berna, 2001 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 7/11 Precarietà dei disoccupati arrivati a fine diritto Anno 2000 Disoccupati arrivati a fine diritto Proporzione rispetto al totale dei disoccupati Popolazione attiva Indicatore di vulnerabilità Svizzera Totale 17’129 100% 3'621’716 1,00 Donne 8’632 50,4% 1'408’977 1,30 Uomini 8’497 49,6% 2'212’739 0,81 Svizzeri 9’175 53,6% 2'809’050 0,69 Stranieri 7’954 46,4% 812’666 2,07 15-24 anni 963 5,6% 661’061 0,31 25-49 anni 9’214 53,8% 2'176’781 0,89 6’952 40,6% 783’874 1,88 Svizzero tedeschi 50 anni e più 10’243 59,8% 2'611’140 0,83 Romandi e ticinesi 6’886 40,2% 1'010’576 1,44 139’428 1,73 Ticino Ticino 1’144 6,7% Con riferimento ai disoccupati arrivati a fine diritto rileviamo che i più vulnerabili sono le donne, gli stranieri, coloro che hanno 50 anni e più e coloro che abitano in Ticino. 3.1.2.3 Disoccupati che percepiscono un guadagno intermedio L’analisi di coloro che percepiscono un guadagno intermedio è molto interessante, perché conferma in modo molto chiaro la precarizzazione del mercato del lavoro. Questa categoria di disoccupati è rappresentativa e secondo i dati della Cassa cantonale di assicurazione contro la disoccupazione costituisce approssimativamente un quarto dell’intera categoria dei disoccupati indennizzati. Precarietà dei disoccupati che percepiscono un guadagno intermedio Svizzera Totale Percentuale Ticino Percentuale 51’615 100% 3’327 100% Salario mensile 9’692 19% 1’050 31% Salario orario e settimanale fisso 6’492 12% 413 12% 35’431 69% 1’864 57% Salario temporaneo e su chiamata In Ticino, durante il primo semestre di quest’anno, i rami professionali più toccati sono stati quelli della consulenza e informatica (del quale fanno parte le agenzie di collocamento), ristorazione e albergheria, commercio, servizi del personale, costruzione. Il guadagno intermedio e mensile medio ammonta in Ticino a franchi 2'299.-. questo reddito proprio è integrato dall’indennità di disoccupazione. 3.2 Lavoro e povertà L’estensione a tutti della protezione fondamentale è pure garanzia di lotta alla povertà, rischio non contemplato dagli attuali sistemi di sicurezza sociale. La lotta contro la povertà contribuisce a modificare il legame tra sicurezza sociale e lavoro nella misura in cui l’hanno dimostrato pure i regimi di protezione contro la disoccupazione. La Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 8/11 disoccupazione di lunga durata 30 ed il fenomeno crescente dei lavoratori poveri sono importanti motivi di povertà. La nuova povertà, imputabile a motivi economici, designa infatti le vittime dei processi di precarizzazione, se confrontata alle forme anteriori di marginalizzazione ed esclusione discendenti da cause personali e sociali. A partire dagli anni 90’ sono apparsi sulla scena del mercato del lavoro i lavoratori poveri, i cosiddetti working poor, che pur lavorando non riescono con il loro reddito a sopperire al loro fabbisogno minimo. Quando parliamo di working poor pensiamo alla povertà; povertà che discende non dalla mancanza di lavoro, bensì dalla precarietà del lavoro. Il fenomeno crescente dei working poor è un motivo importante di povertà. Durante l’ultimo decennio l’aumento della povertà è imputabile nella misura dei due terzi alla povertà crescente delle persone con un lavoro. Il numero dei working poor è aumentato in modo costante, soprattutto a causa dei cambiamenti che hanno, in parte, reso più instabile e vulnerabile (meno sicuro) il mercato del lavoro. Lo studio Marazzi/Lepori conferma che le cause principali di precarizzazione sono lo spostamento dall’attività salariata (dipendente) a quella autonoma (indipendente), il lavoro interinale, il lavoro su chiamata e quello a temporaneo, ai quali va aggiunto il lavoro nero. Nel 1999 in Svizzera il 7,5% delle persone (molti capi famiglia) con un lavoro tra i 20 ed i 59 anni non ce la faceva a sbarcare il lunario con i propri mezzi (approssimativamente meno di 2'500 franchi netti al mese per un’occupazione a tempo pieno). Il tasso che interessa le donne è superiore e raggiunge il 9%. Ciò significava 250'000 economie domestiche povere e 535'000 persone, fra cui molti bambini, interessate31. Il Ticino si colloca nella media svizzera con 7'000 lavoratori poveri a cui fa capo un’economia domestica. Il legame fra questa povertà, legata al lavoro, ed i processi di riorganizzazione del mercato del lavoro è esplicito. Ciò pone dei seri ed importanti problemi sociali alla collettività. Oltre alla precarietà economica, anche l’insicurezza e la forte flessibilità richiesta dai a l vori atipici sono fonte di tensione a livello familiare ed hanno delle ripercussioni sulla salute. La conseguenza è la presa a carico dei bisogni, soprattutto economici, ed il trasferimento dei costi sullo Stato: penso soprattutto all’assicurazione invalidità, all’assistenza sociale ed all’assicurazione malattia. Anche l’armonizzazione ed il coordinamento delle prestazioni sociali cantonali a carattere finanziario 32, buona parte dei redditi di complemento (prestazioni selettive), approvata ed adeguata dal Gran Consiglio nel giugno del 2000 e del 2002, permetterà, da un profilo che interessa la sicurezza sociale, di rispondere a sua volta anche al problema dei working poor. 3.3 Lavoro e famiglia A questo proposito è opportuna la distinzione fra flessibilità, termine che oggi ha purtroppo assunto la connotazione di parola valigia 33, concetto non falsificabile secondo Karl Popper, e precarietà del mondo del lavoro. È anche nell’interesse della sicurezza sociale facilitare la flessibilità (pensiamo alle famiglie ed al lavoro fisso a tempo parziale) e rispondere con nuove modalità, che superano la vecchia assistenza sociale, alla precarietà. Alla povertà delle famiglie il nostro Cantone ha risposto in buona misura con la legge sugli assegni di famiglia, con l’assegno integrativo e quello di prima infanzia, recentemente consolidata ed adeguata dal Gran Consiglio con la prima revisione della legge. Con questa legge il Ticino ha trasferito l’intervento a favore delle famiglie povere dall’assistenza sociale all’assicurazione sociale. In questo modo siamo stati i primi ad iniziare una vera e propria politica familiare in Svizzera. A livello federale acquista sempre più peso l’idea che al fenomeno dei working poor si possa rispondere con delle 30 In questa occasione penso a coloro che hanno esaurito le indennità di disoccupazione o che non le hanno mai percepite T. Bauer e E. Streuli, studio effettuato dallo studio Bass su mandato del Ufficio federale di statistica, 2001, Berna Contemplata dalla nuova legge sull’armonizzazione e il coordinamento delle prestazioni sociali (Laps) del 5 giugno 2000 33 Luciano Gallino, Se tre milioni vi sembrano pochi, Einaudi, Torino, 1998, pag. 29 31 32 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 9/11 misure che discendono da due politiche pubbliche: la politica del mercato del lavoro e la politica familiare. Il Ticino con la sua politica familiare ha pure risposto al problema dei working poor, padri e madri di famiglia, ed ha risposto alla crescente femminilizzazione della povertà, diminuendo il numero delle mamme povere. La prima revisione della legge sugli assegni di famiglia, adegua la legge anche ai modi di lavorare ed introduce le misure di appoggio 34 per le famiglie povere, che hanno lo scopo, soprattutto per le mamme di conciliare l’attività familiare con quella professionale. Comunque, più in generale, la centralità del lavoro, come fonte di reddito e di integrazione sociale, presuppone per tutti i genitori, non solo quelli poveri, la ricerca di una migliore compatibilità fra famiglia e professione. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro e l’accresciuta flessibilità del mondo del lavoro sollecitano nuove risposte. Il nuovo disegno di legge per le famiglie, approvato dal Governo lo scorso 25 giugno, considera queste mutate esigenze. 4 Riflessioni conclusive 4.1 Orientamento settoriale Le riflessioni fatte per la sicurezza sociale ci dimostrano che la dialettica sociale è quella tra coloro che appartengono alla comunità economicamente e socialmente protetta (inclusi) e coloro che vivono ai suoi margini o al di fuori di essa (esclusi). Il conflitto attuale e futuro è quello tra coloro che beneficiano del benessere e coloro che ne sono in parte (il problema da noi si pone soprattutto a questo livello) o totalmente esclusi. Uno sviluppo durevole 35 che consideri le dimensioni, sociale economica ed ambientale dei problemi e dei bisogni, è la premessa per risolvere questo conflitto. L’attuale concezione (definita analitica) che condiziona l’approccio, ancora applicata nel nostro paese, è molto settoriale. Diversi problemi del nostro sistema di sicurezza sociale svizzero derivano, anche inconsapevolmente, da questo approccio, che non può che essere reattivo36. Ho l’impressione che l’UFAS si concentra sulla dimensione sociale ed il seco su quella economica. Quella ambientale poi è negletta (un esempio: disoccupazione e mobilità). Ciò incrementa la crisi di efficacia della sicurezza sociale. 4.2 Orientamento multisettoriale (approccio sistemico) Affrontare i temi connessi con il lavoro e la povertà, il lavoro e la famiglia, il lavoro e la formazione, il lavoro e la salute, le nuove forme di lavoro ed il mercato del lavoro, il diritto del lavoro e la sicurezza sociale, significa uscire dalle logiche settoriali. La lotta contro la povertà presuppone un complesso di diritti fondamentali che garantiscano un minimo esistenziale37, le cure sanitarie e l’inserimento/reinserimento professionale e sociale. Questa protezione fondamentale difetta ancora, a livello svizzero, delle prestazioni familiari (nel senso di una loro universalizzazione) e di quella di maternità 38. 34 Se il genitore che percepisce un assegno di prima infanzia esercita un’attività lavorativa può beneficiare del rimborso delle spese di collocamento dei figli in un asilo nido riconosciuto ed autorizzato o presso una mamma diurna riconosciuta 35 Lo sviluppo durevole o sostenibile presuppone che il benessere sociale, ambientale ed economico possa essere assic urato a lungo termine. L’equilibrio fra le tre dimensioni del benessere richiede un approccio sistemico 36 Per il Consiglio federale lo sviluppo durevole (o sostenibile) non è un’altra politica settoriale, bensì un principio regolativo che deve essere integrato in tutte le politiche settoriali (rapporto del CF Strategia per uno sviluppo sostenibile 2002 del 27 marzo 2002 37 L’AVS con le PC e gli assegni familiari ticinesi di complemento (AFI ed API) sono gli esempi svizzeri migliori 38 L’iniziativa Triponex, approvata dal Consiglio Nazionale, propone un’assicurazione maternità per le madri salariate ed indipendenti nell’ambito della legge sull’indennità per perdita di guadagno in caso di servizio militare e civile Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 10/11 A questa protezione si aggiunge quella specifica, che interessa i lavoratori; in particolare l’indennità giornaliera in caso di malattia (legale o convenzionale), d’infortunio, di servizio militare o civile, le prestazioni in caso d’infortunio o malattia professionale, la previdenza professionale obbligatoria e facoltativa, l’assicurazione contro la disoccupazione. A questo livello è importante riflettere sulle conseguenze delle nuove forme di lavoro. La protezione specifica dei lavoratori autonomi (indipendenti), come pure quello dell’adeguamento alle nuove forme di lavoro, sono temi che meritano risposte soprattutto in sede federale. A livello cantonale c’è da chiedersi se non esistono i mezzi di manovra per rispondere alla precarizzazione del lavoro, realizzando, con modalità da studiare, delle strutture che sappiano orientare e sostenere il passaggio del lavoratore da un’occupazione all’altra. Lo scopo sarebbe quello di garantire una certa stabilità, con tra l’altro conseguenze positive anche sulla salute, anche ai lavoratori atipici. Anche il reinserimento nel lavoro, importante per le assicurazioni federali disoccupazione ed invalidità, potrebbe beneficiarne, con interessanti risvolti a livello cantonale. Inoltre, la polarità fra prestazioni universali e selettive, che condiziona l’adeguamento del nostro sistema di sicurezza sociale, è importante per uno Stato federale come la Svizzera, dove è necessario suddividere i ruoli ed essere consci delle competenze39. L’adeguamento del sistema, in particolare delle assicurazioni sociali40, è competenza della Confederazione; le politiche selettive e mirate sono soprattutto di competenza dei cantoni. Alle nuove forme di lavoro non corrispondono solo maggiori difficoltà nell’impiego, ma anche un cambiamento dei valori sociali che sorreggono il lavoro e che influenzano la sicurezza sociale. Il legame tra sicurezza sociale e lavoro deve essere quindi in parte rivisto; il lavoro ha smesso di essere, almeno per la maggioranza, unicamente la fonte di reddito più importante, per diventare anche un veicolo di realizzazione personale e di inserimento sociale determinante. In questo senso il lavoro è connotato anche socialmente e non solo economicamente, perché si configura come attività, attività accanto ad altre (personali, familiari, culturali, sociali, di svago) 41. L’adeguamento continuo e durevole della sicurezza sociale, non settoriale bensì multisettoriale, è premessa di propositività nei confronti di tutti i cambiamenti, soprattutto quelli che interessano il lavoro, e costituisce la leva più forte per migliorare la qualità di vita dei cittadini 42, quindi pure dei lavoratori. 39 Nel nostro paese questo approccio deve pure considerare il federalismo Le assicurazioni sociali rappresentano una tecnica utilizzata dalla sicurezza sociale per realizzare le proprie funzioni (ad esempio i redditi sostitutivi) 41 Futuribles, Les valeurs des Européens, juillet-août 2002, numéro 277, Paris, pag. 63 e segg. 42 La concezione funzionale, nata in sede internazionale, fa dell’approccio multisettoriale la modalità di funzionamento del sistema di sicurezza sociale moderno. I nostri sistemi di sicurezza sociale contemplano quattro funzioni, dette costitutive. Sono la protezione e la promozione della salute, la garanzia di un reddito sociale sostitutivo del reddito professionale (ad esempio le pensioni), la garanzia di un reddito sociale di complemento alle famiglie e a coloro che non sono in grado di sopperire ai loro bisogni esistenziali con un reddito professionale o sostitutivo sufficiente, la protezione contro la disoccupazione (prevenzione, reinserimento, indennizzo) che si estende alla valorizzazione delle risorse umane (mantenimento e promozione dell’impiego). La prevenzione, il reinserimento sociale e professionale, la ricerca e l’azione sociale coadiuvano le citate quattro funzioni (funzioni iterative). 40 Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Intervento di Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona 11/11 Carlo Marazza è nato nel 1956. Ha conseguito la licenza di diritto presso l'Università di Ginevra e sostenuto la pratica forense presso un noto studio legale di Chiasso e Lugano. Sposato e padre di un figlio. Giurista ed avvocato alle dipendenze dello Stato dal 1987 prima come capo del centro di legislazione e documentazione, dal 1990 è direttore dell’Istituto delle assicurazioni sociali, che attualmente conta 200 collaboratori, al quale fanno capo la Cassa cantonale di compensazione AVS/AI/AIPG, con i compiti cantonali in materia di prestazioni complementari e assicurazione malattia, la Cassa cantonale di assicurazione contro la disoccupazione, la Cassa cantonale per gli assegni familiari e l’Ufficio cantonale dell’assicurazione invalidità. È attivo in diverse commissioni e gruppi federali sulle assicurazioni sociali, è stato vicepresidente della Conferenza svizzera delle casse cantonali di compensazione AVS. È presidente della Commissione tripartita cantonale in materia di libera circolazione delle persone a seguito dell’entrata in vigore degli accordi bilaterali con l’Unione europea ed è membro della Commissione federale per le questioni femminili. Forme del lavoro e qualità della vita - 18 ottobre 2002 Carlo Marazza - Istituto delle assicurazioni sociali, Bellinzona