Mantova Mantova è un comune italiano di 48.684 abitanti. Dal luglio 2008 la città d'arte lombarda con Sabbioneta, entrambe accomunate dall'eredità lasciata loro dai Gonzaga che ne hanno fatto tra i principali centri del Rinascimento italiano ed europeo, è stata inserita nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Mantova è il capoluogo dell’omonima provincia della Lombardia, non lontana al confine con il Veneto e l’EmiliaRomagna; si presenta come una penisola, bagnata dall’acqua del fiume Mincio su tre lati. I primi ad abitare Mantova furono gli Etruschi, seguiti dai Celti e i romani arrivarono più tardi provvedendo alla loro cacciata e iniziando opere di fortificazione. Durante questo periodo ebbe i natali il poeta Virgilio. Con la fine dell’impero la città venne conquistata da Odoacre e poi da Teodorico, re dei Goti. Nell'anno 1000 iniziò su Mantova il dominio dei Canossa. Essi ampliarono le loro proprietà e provvidero alla edificazione di chiese e conventi. Nel 1276 iniziò l'ascesa di una delle famiglie più potenti del tempo, i Bonacolsi, che costruirono importanti palazzi merlati: il Palazzo del Podestà, il Ponte dei Mulini. La città venne dotata di possenti mura. Dopo la morte di Bonacolsi (nel 1328 venne ucciso l’ultimo esponente della famiglia), causata da Luigi Gonzaga spalleggiato dalla famiglia Della Scala di Verona, che ambiva ad impossessarsi della città, i Gonzaga presero il governo della città. Iniziava così la plurisecolare dominazione della famiglia Gonzaga, che regnò su Mantova fino al 1707. Fu il periodo più importante di Mantova che divenne una delle città più in vista e uno dei massimi centri d'arte in Europa. Mantova subì una guerra di successione e un saccheggio a opera dei lanzichenecchi, che nel 1630 diffusero la peste. Iniziò il lento declino di Mantova, accompagnato dal tramonto della signoria dei Gonzaga che, nel 1707, lasciò la città in mano agli austriaci, poi dei francesi e di nuovo degli austriaci (1815). Nel 1866 Mantova entra a far parte dello Stato Italiano. Il centro storico di Mantova è formato da tre piazze che si susseguono: la piazza delle Erbe, quella del Broletto e la piazza Sordello, l’antico fulcro della vita politica e artistica. La città possiede inoltre numerosi monumenti, palazzi, musei, chiese, tra cui: Palazzo Ducale, la corte dei Gonzaga, una delle più grandi d’Europa. Duomo, ovvero la Cattedrale di San Pietro, in stile romanico, ma con aggiunte gotiche. E’ la sede vescovile di Mantova. Teatro del Bibiena, ospitò il giovane Mozart. Palazzo del Podestà, rappresentò il centro amministrativo del comune di Mantova, poi utilizzato come carcere. Piazza delle Erbe, è luogo del mercato e degli scambi commerciali. Basilica di Sant’Andrea, la più grande chiesa di Mantova, progettata da Leon Battista Alberti. Rotonda di San Lorenzo, è la chiesa più antica della città. Palazzo Te Piazza Sordello Piazza Sordello, nell’antichità chiamata anche Piazza di San Pietro, è una grande piazza di Mantova, dedicata al poeta mantovano, Sordello da Goito. La Piazza è stata realizzata nel 1330, demolendo un gruppo di case poste tra due vie parallele e per secoli rimase il centro della vita politica, mondana e religiosa di Mantova. L'architettura predominante della piazza risale prevalentemente al Basso Medioevo, ma anche monumenti collocabili nel 1700, come la facciata del Duomo e il Palazzo Vescovile. Sul lato sinistro della piazza, guardando la facciata del Duomo, si trovano: il Palazzo Acerbi con la Torre della Gabbia, il Palazzo Bonacolsi (o Palazzo Castiglioni) e il Palazzo Vescovile (o Palazzo Bianchi). Dall'altro lato della piazza si affaccia il Palazzo del Capitano, che risale a prima del 1328, ovvero l’anno dell'ascesa al potere della famiglia Gonzaga. Su di essa si affacciano anche: il Duomo e il Palazzo Ducale; poco distante dalla piazza è il Castello di San Giorgio, che custodisce pregiati affreschi del Mantegna. Duomo La Cattedrale di San Pietro apostolo, detto anche Duomo è il principale luogo di culto di Mantova, dedicato a San Pietro; sorge dove era stata eretta (all’epoca di Costantino) la prima chiesa degli apostoli Pietro e Paolo, ora situata nella Piazza Sordello, non lontano dal Palazzo Ducale e dalla Basilica di Sant’Andrea. La Cattedrale è di origine paleocristiana, ma viene poi ricostruita in età medievale probabilmente da Matilde di Canossa. Perciò, inizialmente in stile romanico (di quest'epoca è ancora il campanile), venne poi ampliata agli inizi del XV secolo, sotto l'egida di Francesco I Gonzaga. Nel 1545 il Duomo fu ristrutturato da Giulio Romano, che modifica solo l'interno, rendendolo simile alla Basilica di San Pietro. L'attuale facciata, invece, fu realizzata nella seconda metà del Settecento. Il Duomo è quindi caratterizzato da diversi stili architettonici e cinque navate, a testimonianza del suo lungo passato storico. I simboli evidenti sono: il campanile romanico, ciò che rimane della prima versione romanica, la fiancata destra gotica in cotto rosso, la splendida facciata mistilinea tardo-barocca, costruita con in marmo di Carrara. Perduta invece la facciata originaria, dotata di protiro, rosoni e pinnacoli, progettata da Jacobello e Pierpaolo dalle Masegne ma testimoniata da un prezioso dipinto. In questi anni il duomo fu affiancato da due file di cappelle gotiche, ornate da guglie e cuspidi in marmo e in cotto, anch'esse progettate da Jacobello dalle Masegne, la cui struttura muraria è ancora visibile nel fianco destro. Nel 1545 il Duomo fu ristrutturato da Giulio Romano, che lasciò intatte la facciata e le pareti perimetrali ma modificò l'interno, in forme simili all'antica Basilica di San Pietro a Roma. La morte di Giulio Romano nel 1546 segnò una lunga interruzione dei lavori, che continuarono sotto la guida di Giovan Battista Bertani alterando probabilmente il primo progetto, specialmente nella realizzazione del presbiterio. Su iniziativa del vescovo Antonio Guidi fu realizzata l'attuale facciata completamente di marmo, tra il 1756 e il 1761 dal romano Nicolò Baschiera, ingegnere dell'esercito austriaco. La facciata della cattedrale è a salienti, con la parte centrale, in cui si aprono i tre portali, scandita da quattro paraste corinzie e sormontata da un frontone triangolare. Lungo il fianco destro, si possono ancora vedere le cuspidi e le guglie di coronamento quattrocentesche; il campanile romanico ospita un concerto di sette campane. La più grande è ottima opera dell'insuperato maestro settecentesco Giuseppe Ruffini. Le restanti furono fuse dalla ditta Cavadini di Verona nella prima metà del XIX secolo. L'interno della cattedrale è a croce latina, con aula divisa in cinque navate da quattro file di colonne corinzie scanalate; mentre le due navate laterali esterne e la navata centrale sono coperte con soffitto piano, le due navate laterali interne sono coperte con volta a botte. Lungo ciascuna delle due navate laterali esterne si apre una fila di cappelle laterali, i cui altari sono ornati da pale dei più importanti artisti del manierismo mantovano (le tele di Paolo Veronese e Giulio Campi, le più importanti del ciclo, non sono oggi più a Mantova). Sulla crociera, si eleva la cupola, con tamburo ottagonale e priva di lanterna, dipinta internamente con il Paradiso. L'altare maggiore è in marmi policromi ed è sormontato da un Crocifisso ligneo scolpito. Organo e canne Sulla cantoria del braccio di destra del transetto, si trova l'organo a canne della cattedrale, costruito dalla ditta organaria cremasca BenziFranceschini nel 1915 ed in seguito più volte restaurato ed ampliato. L'ordinaria manutenzione è eseguita dalla ditta Micheli di Volta Mantovana. Lo strumento è a trasmissione elettropneumatica, con consolle mobile indipendente situata a pavimento nel transetto, nei pressi del presbiterio, avente due tastiere di 61 note ciascuna e pedaliera concavo-radiale di 32 note. La cassa neoclassica, in legno scolpito e dorato, deriva del precedente strumento della prima metà dell'Ottocento ed è stata disegnata da Giambattista Marconi; presenta la mostra composta da tre cuspidi di canne di Principale con bocche a scudo allineate orizzontalmente. Opere d' arte Tra le opere d'arte si segnalano un sarcofago paleocristiano, gli affreschi del battistero (inizi del XIV secolo), la Cappella dell'Incoronata, di architettura simile alle idee di Leon Battista Alberti, e la sacrestia (un tempo Cappella dei Voti), con la volta affrescata da un seguace di Andrea Mantegna. Tra le opere pittoriche: La Trinità con la Vergine e S. Giovanni tra gli angeli di Antonio Maria Viani, affresco, m² 180 circa, nel catino absidale, Santa Margherita (1552) di Domenico Brusasorci, dipinto su tela, cappella del Sacramento, San Martino dona parte del mantello al povero (1552) di Paolo Farinati, dipinto su tela, Transito di San Giuseppe (1616) di Niccolò Ricciolini, San Domenico di Bernardino Mazzi, Madonna d'Itria di Antonio Maria Vian, San Luigi Gonzaga di Ippolito Andreasi. Il Duomo di Mantova accoglie le spoglie di illustri personaggi della storia della città: Sant'Anselmo, patrono della città, Bonifacio di Canossa, padre della contessa Matilde, Beato Giacomo Benfatti, vescovo della città nel 1304, Luigi Gonzaga, fondatore della dinastia dei Gonzaga, Filippino Gonzaga, figlio di Luigi Gonzaga, Antonio degli Uberti, vescovo di Mantova dal 1444 al 1466, Galeazzo Cavriani, vescovo di Mantova dal 1390 al 1417, Osanna Andreasi, venerata come beata, Ludovico III Gonzaga, II marchese di Mantova, Barbara di Brandeburgo, moglie di Ludovico III Gonzaga, Eleonora d'Austria, moglie di Guglielmo Gonzaga, Ercole Gonzaga, cardinale, Ferrante I Gonzaga, conte di Guastalla, Federico Gonzaga, cardinale e vescovo di Mantova, Francesco Gonzaga, Giovanni Corti, Paolo Carlo Francesco Origo, Carlo Ferrari, vescovi di Mantova Palazzo Vescovile Il Palazzo Vescovile si trova sul lato meridionale di Piazza Sordello, vicino alla Cattedrale di San Pietro apostolo. Venne costruito tra 1776 e il 1786 e appartenne alla famiglia dei marchesi Bianchi fino a quando fu venduto alla Curia diocesana, diventando sede vescovile. E' caratterizzato da un’elegante facciata, costituita da telamoni (statue) posizionati all'ingresso, che reggono una balconata di marmo e all’interno ci sono numerose stanze affrescate da un pittore mantovano. Nel 1967, il vescovo vi istituì l’archivio storico diocesano, che comprendeva un ricco patrimonio documentale relativo alla diocesi di Mantova. Palazzo Bonacolsi o Palazzo Castiglioni Il Palazzo Bonacolsi, o anche chiamato Palazzo Castiglioni, situato in piazza Sordello, di fronte al Palazzo Ducale. E’ un edificio storico di Mantova, che rappresenta una delle icone di piazza Sordello, insieme al Palazzo del Capitano, il Duomo e il Palazzo Vescovile. Il Palazzo costruito interamente in cotto con merli ghibellini, venne edificato alla fine del XIII secolo da Pinamonte dei Bonacolsi. Egli affiancò al Palazzo altri edifici, come la Torre della Gabbia. Successivamente la proprietà passò ai Gonzaga e il 26 settembre 1804 Baldassarre Castiglioni, antenato degli attuali proprietari, acquistò l’intero palazzo. Palazzo Ducale Il Palazzo Ducale di Mantova, noto anche come reggia dei Gonzaga, è uno dei principali, vasti e articolati edifici storici cittadini. Dal 1308 è stata la residenza ufficiale dei signori di Mantova, i Bonacolsi e quindi la residenza principale dei Gonzaga, dei signori, dei marchesi ed infine dei duchi della città. I vari ambienti furono costruiti in epoche diverse a partire dal XIII secolo, inizialmente per opera dei Bonacolsi, successivamente su impulso dei Gonzaga. Con il proseguire dei secoli, il Palazzo si espanse, aggiungendo nuove costruzioni e aggiustando quelle vecchie. Fu il duca Guglielmo ad incaricare il prefetto delle Fabbriche Giovan Battista Bertani perché collegasse i vari edifici in forma organica così da creare, a partire dal 1556, un unico grandioso complesso monumentale e architettonico, uno dei più vasti d'Europa, che si estendeva tra la riva del lago Inferiore e Piazza Sordello, l'antica Piazza di San Pietro. Morto Bertani nel 1576, l'opera fu proseguita da Bernardino Facciotto che completò l'integrazione di giardini, piazze, loggiati, gallerie, esedre e cortili, fissando definitivamente l'aspetto della residenza ducale. Per questo si crearono diversi nuclei. L’edificio più antico del Palazzo Ducale è il palazzo del Capitano: è l'edificio più antico del Palazzo Ducale ed è stato voluto dalla famiglia dei Bonacolsi. Commissionato da Guido Bonacolsi sulla fine del Duecento, fu inizialmente costruito due piani e separato dalla Magna Domus da un vicolo, poi venne unito alla stessa Magna Domus dalla facciata con il portico verso la fine del Trecento, e rialzato di un piano. Questo “secondo piano” è costituito da un unico salone detto “dell’Armeria”, o “Salone della Dieta”, in quanto ospitò la dita di Mantova nel 1459. La Magna Domus (appartenuta anch'essa a Guido Bonacolsi) e il palazzo del Capitano costituiranno il nucleo originario che dette forma alla Corte Vecchia. Appartamento di Isabella d'Este in Corte Vecchia Nel 1519 Isabella d’Este lasciò la sua dimora nel Castello, trasferendosi al pianterreno della Corte Vecchia della reggia Gonzaga, nell’appartamento chiamato vedovile, ridandole nuovo prestigio. L’appartamento di Isabella era costituito da due ali, ora separate: in quella della Grotta, la principessa fece trasferire gli arredi lignei e le collezioni d’arte provenienti dagli studioli. Quest’ultimo conteneva importanti dipinti del Mantegna, di Lorenzo Costa, del Perugino e del Correggio commissionati fra il 1496 e il 1506. Un’altra celebre stanza è la “Camera Granda”, affrescata nel 1522 da Lorenzo Leonbruno. Gli spazi di quell’ala sono ricavati dallo spazio su cui una volta sorgeva la chiesa di Santa Croce. Questa era una piccola chiesa, Santa Croce vecchia, risalente all’anno mille. Fu probabilmente la chiesa palatina dei Bonacolsi e dei Gonzaga, ma fu demolita da Gianfrancesco Gonzaga sotto autorizzazione di Papa Martino V. Per compensazione, lo stesso fece edificare una cappella che denominò come la precedente. Verranno poi trasformati gli ambienti della Corte Vecchia da Guglielmo Gonzaga. Sala degli Arazzi La Sala dei Fiumi è una sala dove sono rappresentati, con sembianze di giganti, i fiumi del territorio mantovano. Questa sala fu ricavata dal refettorio in epoca asburgica e quasi contemporaneamente all’Appartamento degli Arazzi: esso è composto da quattro sale, tre delle quali ospitano alle loro pareti nove arazzi delle Fiandre tessuti a mano e con disegno preparatorio di Raffaello. Furono acquistati a Bruxelles dal cardinale Ercole Gonzaga per addobbare l’allora chiamato “Appartamento Verde”, per poi finire, dopo un restauro nel 1799, dopo vari spostamenti, nella sala a loro adibita. Diverse sono le figure simboliche presenti negli arazzi: il cratere dei sacrifici e delle libagioni, il corvo, il segno della Vergine, quello della bilancia e quello dello scorpione, e la dea Diana. Appartamento dell'imperatrice L’appartamento dell’Imperatrice Maria Beatrice d’Este, moglie di Ferdinando d’Asburgo-Este, fu allestito appositamente per lei e composto da nove stanze al primo piano della “Magna Domus” e arricchito da mobili in stile impero. Il marito era discendente degli Asburgo, e quindi di sangue imperiale. Qui soggiornò anche il principe Eugenio di Beauharnais, vicerè del regno d’Italia napoleonico. Egli, nel 1810, fece portare nelle stanze il prezioso letto a baldacchino, ancora conservato nella stanza asburgica. Domus Nova Nel 1480-84 l’architetto toscano Luca Fancelli realizzò la Domus Nova, che verrà, dopo più di un secolo, modificata sotto l’impulso di Vincenzo I per ottenere l’attuale Appartamento Ducale per opera del cremonese Antonio Maria Viani nel 1595. Nella Domus Nova la Sala degli Arcieri ha particolare importanza: qui sono raccolti importanti dipinti provenienti da chiese e monasteri soppressi. In particolare, la tela qui esposta più celebre è “La Trinità adorata dalla famiglia Gonzaga”, di Pietro Paolo Rubens, in cui sono rappresentati i primi piani del duca Vincenzo con la moglie Eleonora de’ Medici, il padre Guglielmo e la moglie Eleonora d’Austria. Parti della tela sono attualmente sparse per l’Europa. Antonio Maria Viani, oltre a realizzare la Domus Nova, si occupò anche di decorare la Sala degli Specchi, una delle sale più celebri e maestose della Corte Vecchia. Le Catacombe in Corte o Appartamento dei Nani Sempre l’architetto Antonio Maria Viani, fu incaricato dal duca Ferdinando Gonzaga, cardinale, di costruire la “Scala Santa” di Roma, in scala ridotta, sotto il suo appartamento nella Domus Nova. A causa delle dimensioni miniaturizzate, si pensava che questi ambienti fossero destinati a ospitare i mitici nani gonzagheschi, da questo il nome “Appartamento dei Nani”. Nel 1979, questa credenziale cessò di esistere con la scoperta, da parte dello studioso Renato Berzaghi, delle corrispondenze con l’opera originale romana. Alcuni documenti d’archivio le collegano a una zona non identificata con certezza: le Catacombe della Corte. I giardini del Palazzo Corte Vecchia, che comprendente gli edifici più antichi di piazza Sordello, tra cui il Palazzo del Capitano che si affaccia sulla piazza. Corte Nuova, costruita da Giulio Romano e successivamente ampliata da Bertani e da Viani. Il Cortile della Cavallerizza era il luogo, realizzato da Giovan Battista Bertani, in cui erano in mostra i cavalli dei Gonzaga, pronti per la vendita. Il Giardino dei Semplici, anche detto del Padiglione, venne sistemato nel 1603 da Zenobio Bocchi, che vi pose piante medicinali dette “Semplici”. Da allora, la disposizione delle piante originale è rimasta tale. Il Giardino Pensile situato nel refettorio risale al tardo cinquecento, e fu realizzato dall’architetto mantovano Pompeo Pedemonte su richiesta del duca Guglielmo. Esso si trova a 12 m d’altezza dal suolo. Il Giardino Segreto è parte dell’appartamento di Isabella d’Este nella Corte Vecchia, fu realizzato nel 1522 dall’architetto mantovano Gian Battista Covo. Basilica palatina di Santa Barbara, costruita da Bertani, tra il 1562 e il 1572 su decisione dei Gonzaga. Torre della Gabbia La Torre della Gabbia è una costruzione medievale, alta cinquantacinque metri, che si affaccia sulla piazza principale della città, Piazza Sordello. La Torre, costruita dalla famiglia Acerbi, fu venduta nel 1281 a Pinamonte Bonacolsi e dopo la loro decaduta venne ricostruita. In seguito divenne proprietà della famiglia dei Gonzaga, che donò la Torre ai Guerrieri e dopo venne donata al comune di Mantova. Essa acquisì il nome attuale nel 1576, quando il duca Guglielmo Gonzaga fece costruire una gabbia formata da spesse sbarre di ferro, molto piccola proprio per aumentare le sofferenze dei condannati, usata come "carcere all'aperto". Fino ad allora era nota come torre degli Acerbi. In questa gabbia venivano esposti in piazza i condannati, che a volte vi rimanevano anche per lungo tempo. Teatro Bibiena Il teatro Bibiena o teatro scientifico o teatro scientifico dell’accademia si trova in via Accademia. Viene chiamato anche teatro scientifico perché inizialmente aveva la finalità di ospitare presentazioni di invenzioni scientifiche. Il luogo dove sorge il teatro, inizialmente era occupato da un palazzo che era l’ abitazione di Ferrante I Gonzaga che fu conte di Guastalla, generale dell’esercito imperiale durante il Sacco di Roma e infine viceré in Sicilia. Inizialmente l’edificio includeva un piccolo teatro coperto, probabilmente a gradoni. Sessant’anni dopo la dominazione austriaca, l’accademia dei Timidi fece commissionare un nuovo teatro. L’edificio fu realizzato dal 1767 al 1769, dal bolognese Antonio Bibbiena, figlio di Ferdinando, noto scenografo barocco. Antonio era scenografo e architetto e in precedenza si era illustrato nella realizzazione del Teatro di Bologna e nel disegno della facciata della Chiesa di San Barnaba a Mantova. Il Teatro Scientifico di Mantova viene inaugurato il 3 dicembre 1769. Un mese dopo l'inaugurazione, il giovinetto Wolfgang Amadeus Mozart, appena quattordicenne, giunto a Mantova nel giro della sua prima tournée italiana, si esibì in tutta la sua bravura in un memorabile concerto. Tuttora il teatro viene utilizzato per ospitare rassegne musicali, concerti e convegni di alto livello. Un atrio a padiglione, decorato da briosi fregi rococò, introduce allo spazio teatrale, che rapisce il visitatore con la sua inattesa festosità: il movimento ondulato delle pareti, animate da ordini sovrapposti di palchetti, non si conclude con un sipario, ma trova eco amplificata nel duplice loggiato che domina il palcoscenico. Il teatro presenta una pianta a forma di campana ed è disposto su più ordini di palchetti in legno, secondo il genere di struttura inventato nel Seicento. L'architetto Bibiena ideò lo speciale teatro, ne diresse i lavori di fabbrica ed infine, con abilità di pittore oltre che di architetto, affrescò personalmente gli interni dei numerosi palchetti con figurazioni monocrome, anch'esse documento prezioso dell'attività artistica dell'illustre maestro. La scena fissa è formata da una galleria a due ordini di serliane (struttura composta da un arco sorretto da coppie di colonne) e il soffitto decorato a finto traforo è incorniciato da una finestra balaustrata. Nelle nicchie si trovano statue a grandezza naturale di quattro celebri intellettuali mantovani: il poeta Virgilio, il filosofo Pietro Pomponazzo, Baldassarre Castiglioni autore del Cortegiano, e Gabriele Bertazzolo, ingegnere, architetto e cartografo. La classica facciata fu invece realizzata da Giuseppe Piermarini da cui trae il nome il salone posto al primo piano del teatro. Antonio Bibiena sa rendere ancora più aggraziati e invitanti i palchi decorandone le pareti. È lo stesso maestro che, ricorrendo alla propria abilità di scenografo, dipinge due riquadri grandi alle pareti divisorie e due minori ai lati della porta di ogni palchetto. Opera in modo franco e veloce - talvolta frettoloso- e propone una straordinaria varietà di soggetti. Molte sono le scenette di genere, riprese con freschezza dalla vita quotidiana, come contadine, pescatori, viandanti, in paesaggi sempre differenti. Non mancano soggetti mitologici, come l'Educazione di Eros da parte di Mercurio, Vulcano, Venere, ma altri personaggi sono volutamente privi di precisi connotati iconografici, forse per stimolare la fantasia. I paesaggi, talora privi di figure significative, mostrano ricchezza di motivi: ponti, rovine, acque placide, radure nei boschi, sentieri montani, in un repertorio fortemente tributario ai luoghi ideali dell'Arcadia. "Non ho mai veduto in vita mia niente di più bello in questo genere", afferma Leopold Mozart che accompagna il figlio Wolfgang Amadeus, per un memorabile concerto. La storia, cosi come le forme e i colori di una matura stagione barocca, fanno di questo ambiente, teatro e sala di adunanze accademiche al contempo, luogo unico e prezioso. Antonio Bibbiena Studia a Bologna e con il padre Ferdinando Galli da Bibbiena, trascorre alcuni periodi della sua vita a Vienna e Barcellona.Con il padre partecipa ai lavori di restauro del Teatro della Fortuna di Fano e con suo zio Francesco alla ristrutturazione del teatro Aliberti di Roma. Come scenografo lo troviamo al Teatro Fornaciari di Bologna dove allestisce Astarto e Sirita ed al Teatro Vicini di Cento per l’allestimento di Caio Marzio Coriolano. A Vienna è impegnato anche come scenografo degli spettacoli della corte imperiale assieme al fratello Giuseppe, e nella decorazione della galleria di palazzo Questenberg e della biblioteca. A Vienna viene nominato secondo ingegnere teatrale, dove si unisce in matrimonio con la figlia di Santino Bussi (suo stuccatore e collaboratore), Eleonora. Negli anni successivi, lo troviamo spesso fuori Vienna. Nel 1737 a Mantova rifece la facciata della chiesa di San Barnaba. Successivamente a Vienna ristruttura il teatro di corte, opera dello zio Francesco ed ottiene, nel 1747, la carica di primo architetto imperiale. Nel 1751 torna in Italia, dove svolge altri progetti a Siena, a Firenze, e a Bologna. Piazza delle Erbe Piazza delle Erbe è una delle piazze più importanti e più antiche di Mantova. Questa è situata sull’asse principale che collega Piazza Mantegna e Piazza Broletto. Nasce alla fine del XII secolo, quando la città comunale comincia ad espandersi oltre gli spazi definiti in epoca romana. Raggiunge questo nome, perché ospita da molto tempo il mercato di frutta e verdura. La Piazza è circondata da monumenti medievali, ma anche di stile gotico- rinascimentale. Quest’ultimo stile voluto da Luca Fancelli, un architetto fiorentino che intervenne sul Palazzo del Podestà (Broletto),nel lato posteriore della piazza, rifece i portici vicino il Palazzo della Ragione, sul lato orientale e progettò la Torre dell’Orologio, un monumento della Piazza. Inoltre nella piazza già si affacciava la Rotonda di San Lorenzo, voluta da Matilde di Canossa per ricordare il Santo Sepolcro. Piazza delle Erbe è sempre stata il centro amministrativo della città di Mantova, ma cedette il ruolo a Piazza San Pietro con il dominio dei Bonacolsi e dei Gonzaga. Nel 1455 viene edificata la Casa di Boniforte, che conferma sicuramente la diversità delle varie architetture, visto che ha sia uno stile gotico, che veneziano. Palazzo del Podestà Il Palazzo del Podestà detto anche Palazzo del Broletto, è stato costruito nel 1227. E’ un palazzo medievale, che si affaccia nella Piazza delle Erbe con la parte posteriore, mentre quella principale è rivolta verso Piazza Broletto. Nel lato che si affaccia in questa Piazza vi è una nicchia dentro la quale c’è una statua rappresentante Virgilio in cattedra. Il Palazzo fu sede, per molti anni del governo comunale di Mantova. L'edificio fu trasformato nel 1400 da Luca Fancelli, per volere di Ludovico Gonzaga. E per questo porta ancora i segni di due momenti distinguibili: il primo semplice e rozzo, mentre il secondo di tipo rinascimentale. Palazzo della Ragione Il Palazzo della Ragione era, in epoca comunale, l'edificio adibito allo svolgimento della pubblica amministrazione della vita cittadina, con funzioni pubbliche e con lo scopo di consentire assemblee. Esso venne edificato quand'era podestà Guido da Correggio. Al piano terra il palazzo ospitava, come tuttora, numerose botteghe, mentre nel piano superiore si amministrava la giustizia, nella quale si accedeva grazie a una ripida scala posta sotto la Torre dell'Orologio. Sulle pareti di questo ambiente sono visibili resti di affreschi medievali, recentemente restaurati e il Palazzo è ora utilizzato come sede espositiva, ospitando mostre d'arte organizzate dal Comune di Mantova. Torre dell’Orologio La Torre dell'Orologio è un edificio, a pianta quadrata rinascimentale situato nella Piazza delle Erbe e si eleva tra il palazzo della Ragione e la Rotonda di San Lorenzo. La Torre fu costruita nel 1472 e il 1473 dall'architetto Luca Fancelli, architetto fiorentino al servizio del marchese di Mantova Ludovico III Gonzaga, sulle basi di un edificio preesistente. Alla fine del 1473 venne aggiunto un orologio astronomico, opera del matematico Bartolomeo Manfredi. In seguito sotto l’orologio venne messa una statua rappresentante la Madonna e poi un balcone in marmo con funzione decorativa. Il quadrante dell’orologio indica le ore contrassegnate da numeri romani e riporta altre indicazioni come i segni zodiacali, le ore planetarie, i giorni della Luna e la posizione degli astri, utile a sapere se un certo momento della giornata è sotto l’influsso di pianeti favorevoli. Oggi la Torre viene utilizzata come museo dei meccanismi d’epoca dell’orologio e dalla sommità si può visitare la città. Rotonda di San Lorenzo La rotonda di San Lorenzo è la chiesa più antica della città, fondata tra la fine del XI secolo e l'inizio del XII, probabilmente per volere di Matilde di Canossa. E’ stata costruita seguendo le orme della Chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme ed è dedicata a San Lorenzo, dalla quale proviene il nome della chiesa. La rotonda è costruita in cotto, secondo la tradizione lombarda del periodo, ma ci sono due colonne di marmo e alcuni residui di pietra, provenienti da edifici scomparsi. L’anno della sua costruzione risale al 1083, anche se su questa data non si ha alcuna certezza ed è la chiesa più antica della città. La tradizione la vuole edificata per desiderio di Matilde di Canossa, come evocazione della Anastasis di Gerusalemme, la rotonda costruita attorno al Santo Sepolcro, quindi idealmente collegabile alla reliquia del Sangue di Cristo ritrovato secoli prima a Mantova e ora conservato nella vicina cripta della basilica di Sant'Andrea. In realtà, la struttura monoptero-periptera ed il suo posizionamento ad un livello inferiore di circa 150 cm da quello della adiacente piazza Erbe suggeriscono che la chiesa fu realizzata recuperando o ricostruendo un precedente edificio romano, databile al IV secolo, probabilmente un tempio o una tomba tholos. La chiesa, un notevole esempio di arte romanica, è articolata su una pianta centrale circolare, completata da un'abside semicircolare, ed è caratterizzata da un matroneo che conserva lacerti di affreschi dei secoli XI-XII che rappresentano un raro esempio di pittura romanico-lombarda, di chiara scuola bizantina. L’ordine per la costruzione dell’antica chiesa Mantovana fu della duchessa e contessa medievale Matilde di Canossa, nata a Mantova nel 1046. Nel 1076 entrò in possesso di un vasto territorio che comprendeva la Lombardia, l'Emilia, la Romagna e la Toscana, e che aveva il suo centro a Canossa, nell'Appennino reggiano. Fra il 6 e l'11 maggio 1111 fu incoronata con il titolo di Vicaria Imperiale-Vice Regina d'Italia dall'imperatore Enrico V, presso il Castello di Bianello. La Grancontessa Matilde è certamente una delle figure più importanti e interessanti del Medioevo italiano: vissuta in un periodo di continue battaglie, di intrighi e scomuniche, seppe dimostrare una forza straordinaria, sopportando anche grandi dolori e umiliazioni, mostrando un'innata attitudine al comando. La sua fede nella Chiesa del suo tempo le valse l'ammirazione e il profondo amore di tutti i suoi sudditi. Nel corso dei secoli l'edificio subì trasformazioni radicali; un suo progetto di trasformazione di Leon Battista Alberti non ebbe seguito, fino alla sua definitiva sconsacrazione. Nel 1579 la chiesa venne chiusa al culto per volere di Guglielmo Gonzaga, per oltre trecento anni e venne adibita ad abitazioni e negozi. Sconsacrata, la rotonda decadde abbastanza rapidamente: divenne prima un magazzino e poi, una volta scoperchiata, un cortile circolare ad uso privato all'interno del popoloso quartiere del ghetto ebraico mantovano. Nel 1908 l'edificio fu espropriato e, dopo il restauro, riaperto nel 1911 e ridestinato al culto nel 1926; la chiesa fu liberata dalle sovrastrutture e dagli edifici che ne occludevano completamente la vista (la rotonda di San Lorenzo non è infatti visibile nelle vecchie foto della piazza). Casa del Mercante La Casa del Mercante fa da sfondo visivo alla Piazza delle Erbe. Ha uno stile che richiama l’Oriente, per i vari viaggi di Boniforte da Concorezzo, che si stabilì a Mantova e costruì la sua casa nel 1455. Sotto il portico, sull’architrave sono incisi gli oggetti che il mercante vendeva nella bottega: piatti, guanti, cucchiai, coltelli, bilance. Ora è utilizzata per attività commerciali. BASILICA DI SANT’ANDREA Il Progettista: Leon Battista Alberti. Leon Battista Alberti (Genova, 18 febbraio 1404 – Roma, 20 aprile 1472) è stato un architetto, scrittore, matematico, umanista, crittografo, linguista, filosofo, musicista e archeologo italiano; fu una delle figure artistiche più poliedriche del Rinascimento. Il suo primo nome si trova spesso, soprattutto in testi stranieri, come Leone.Alberti fa parte della seconda generazione di artisti dell'Umanesimo, di cui fu una figura emblematica per il suo interesse nelle più varie discipline. Un suo costante interesse era la ricerca delle regole, teoriche o pratiche, in grado di guidare il lavoro degli artisti. Nelle sue opere menzionò alcuni canoni, ad esempio: nel De statua espose le proporzioni del corpo umano, nel De pictura fornì la prima definizione della prospettiva scientifica e infine nel De re aedificatoria descrisse tutta la casistica relativa all'architettura moderna, sottolineando l'importanza del progetto e le diverse tipologie di edifici a seconda della loro funzione. L'aspetto innovativo delle sue proposte consisteva nel mescolare l'antico ed il moderno. Egli lavorò al servizio dei committenti più importanti dell'epoca: il papato, gli Este a Ferrara, i Gonzaga a Mantova, i Malatesta a Rimini. Come architetto Alberti viene considerato, accanto a Brunelleschi, il fondatore dell'architettura rinascimentale. BASILICA DI SANT’ANDREA, Introduzione La basilica concattedrale di Sant'Andrea è la più grande chiesa di Mantova. Opera fondamentale di Leon Battista Alberti nello sviluppo dell'architettura rinascimentale, venne completata molti anni dopo la morte dell'architetto, con modalità non sempre conformi ai progetti originali. Un primo edificio religioso preromanico dedicato a Sant'Andrea sorse in seguito alla scoperta della reliquia del Sangue di Cristo avvenuta nell'804. Con il secondo rinvenimento della reliquia nel 1049, il monastero benedettino fu ricostruito. Unici resti attualmente visibili sono il campanile gotico e un lato del chiostro. La chiesa venne infine ristrutturata definitivamente a partire dal 1472, su progetto di Leon Battista Alberti, commissionato dal signore di Mantova, Ludovico III Gonzaga che voleva farne un simbolo del proprio potere sulla città e del prestigio della casata. Lo scopo della nuova costruzione era quello di accogliere i pellegrini che giungevano durante la festa dell'Ascensione durante la quale veniva venerata una fiala contenente quello che si ritiene il sangue di Cristo portato a Mantova dal centurione Longino. La reliquia, molto venerata, viene portata in processione per le vie della città il Venerdì santo, ed è oggi conservata proprio nei Sacri Vasi custoditi all'interno dell'altare situato nella cripta della basilica. La facciata è concepita sullo schema di un arco trionfale romano, ispirato a modelli antichi come l'arco di Traiano. Lo schema dell'arco di trionfo è inserito o sovrapposto al tema formale del tempio classico che forma una sorta di avancorpo avanzato, rispetto al resto dell'edificio. Sotto l'arco venne a formarsi uno spesso atrio, diventato il punto di filtraggio tra interno ed esterno. L'ampio arco centrale è inquadrato da pilastri corinzi che si estendono per tutta l'altezza della facciata, costituendo uno dei primi monumenti rinascimentali per cui venne adottata questa soluzione. L'interno è a croce latina, con navata unica coperta a botte con lacunari. Le cappelle laterali, anch'esse con volta a botte, ripetono nella stessa scala la struttura e il ritmo della facciata, conferendo un senso di profonda unità all'edificio. L'impressionante volta a botte, con decorazione a cassettoni, conferisce all'interno dell'edificio grande solennità e illustra in modo chiaro come l'Alberti, avvalendosi delle concezioni architettoniche dell'antica Roma, sia riuscito nell'intento di conferire il senso del Trionfo. Tra le cappelle, sono da notare, quella dell’Immacolata e quella del Sangue di Cristo. La crociera tra navata e transetto è coperta con una cupola, sorretta da pilastri raccordati. Dietro l’altare si trova una profonda abside che chiude lo spazio della navata. La Cripta: Nella cripta è collocato il tempietto ottagonale con l’altare sormontato dallo ‘scrigno’ per i vasi della reliquia (due copie dei vasi sono esposte ai lati della croce). Al di sopra di questo, su una montagnola è collocata la croce con il Crocifisso: sui bracci della croce, grappoli d’uva; sotto la montagnola, rametti d'ulivo. Come i re d'Israele, che venivano consacrati mediante l’unzione con l’olio, Gesù è re, l’unto del Signore, il Messia. Il Calvario non è dunque indicato come il luogo del supplizio ma della Gloria. L’uva, insieme alle spighe, è simbolo dell’abbondanza, ma anche simbolo del rapporto di Cristo con la Chiesa, i grappoli ricordano il vino. Questo tema richiama l’Eucarestia. Da qui la forza ascensionale ci porta di nuovo in alto, verso la vertigine gloriosa della cupola. Ulteriori simboli trovano espressione nelle statue della Fede e della Speranza . La Speranza guarda in alto verso le promesse future ma appoggia ad un’ancora, è ormeggiata alla Croce di Cristo. BASILICA DI SANT’ANDREA I Sacri Vasi La tradizione attribuisce al soldato romano Longino, che trafisse con la propria lancia il costato di Cristo, la raccolta ed il trasporto di terra imbevuta del sangue del Salvatore nel luogo ove ora sorge la città di Mantova. Longino muore, però al fine di preservare la sacra reliquia, essa viene sotterrata in un’urna e per secoli non se ne ha più notizia. Nell’ 804 avviene il primo ritrovamento dell’urna, però Mantova nel 923 viene invasa dagli Ungari e la reliquia viene di nuovo sotterrata. Nel frattempo, si afferma sulla città il dominio dei Canossa e nel 1048, sotto Beatrice di Canossa, avviene il secondo ritrovamento della reliquia e delle ossa di S. Longino. Tempio di San Sebastiano Il tempio di San Sebastiano è un edificio religioso di Mantova, progettato da Leon Battista Alberti e oggi adibito a famedio dei caduti. La chiesa sorge a margine del centro lungo una delle arterie principali che conducevano alla zona paludosa del Tè, appena fuori le mura, dove si trovavano le stalle dei famosi cavalli vanto della casata dei Gonzaga. La costruzione fu iniziata circa nel 1460, un decennio prima dell'altra realizzazione albertiana a Mantova, Sant'Andrea. Come la maggior parte dei progetti albertiani, la chiesa venne completata da Luca Fancelli. Consacrata nel 1529 la chiesa fu oggetto di un primo restauro nel 1600 e subì un arbitrario restauro completato nel 1926 che ha previsto l'aggiunta di due scalinate. In buona parte, il tempio di S. Sebastiano è ricco di soluzioni originali, per il disegno di estremo rigore, fondato su sottili rapporti matematici, evidentemente a lungo meditati dall'architetto, e forse concordati con Ludovico Gonzaga; come la scelta, in alzato, di riferimenti insoliti, a quelle date, all'architettura antica dei martyria paleocristiani, delle aule termali d'età imperiale, delle tombe monumentali romane. La chiesa è divisa su due piani, con quello inferiore seminterrato, che ricorda un podio classico costituito da tre aperture, incorniciate da archi a tutto sesto alternate da lesene, mentre il piano superiore, al quale si accede attraverso le scale è caratterizzato da due porte laterali delimitate da archi a tutto sesto e tre aperture centrali. Anche le cinque aperture del portico in facciata sono frutto del restauro. La parte superiore della facciata è originale e ricorda un'elaborazione del tempio classico, con architrave spezzato, timpano e un arco siriaco, a testimonianza dell'estrema libertà con cui l'architetto disponeva gli elementi. Per il tempio mantovano l'architetto sceglie una pianta centrale, composta da una croce greca inscritta in un quadrato con tre absidi semicircolari; i quattro bracci dovevano essere coperti con volte a botte. La presenza del portico, trattato come un corpo autonomo e indipendente, ricostruisce idealmente quella struttura composta da cella e pronao, innalzati su un alto podio, che Alberti, sulla scorta delle osservazioni di Vitruvio, aveva considerato come forma ideale del tempio antico nel suo De re aedificatoria, il trattato di architettura che aveva scritto probabilmente tra la metà degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta. La planimetria si ripete identica nella chiesa inferiore, che ha un accesso indipendente rispetto all'aula superiore, e una sua fronte d'ingresso, e non può, quindi, essere considerata semplicemente una cripta, anche perché non esistono collegamenti interni. Un edificio originale, dunque, il tempio di S. Sebastiano, e uno dei primi saggi di chiesa a pianta centrale del Rinascimento: ma la novità di quelle soluzioni non sarà capita dal cardinale Francesco Gonzaga, figlio di Ludovico, che con una frase sprezzante, già nel 1473, aveva detto al padre, a proposito della costruzione ancora incompiuta, che "non intendeva se l'haveva a reussire in chiesa, o moschea o synagoga"; e dopo la morte di lui, nel 1478, si affrettò a cedere il tempio ai Canonici Lateranensi. Casa del Mantegna La Casa del Mantegna è un edificio che Andrea Mantegna costruì a partire dall’anno 1476 a Mantova, su un terreno donatogli dal marchese Ludovico Gonzaga, come premio per gli affreschi della Camera degli Sposi. Su quel terreno Mantegna innalzò un edificio residenziale di due piani che nessun altro artista a lui contemporaneo poteva permettersi di realizzare. Il disegno architettonico è caratterizzato da un disegno geometrico perfetto: un cerchio iscritto in un quadrato. Collegate da un percorso circolare, le stanze si affacciano con porte arcuate o finestre sul cortile a forma di cerchio. La cultura antiquaria di Mantegna, e probabilmente l’influenza di Leon Battista Alberti, lo indussero a realizzare, nel linguaggio dell’umanesimo architettonico, un edificio residenziale in cui evidente richiamo alla domus romana l’atrium diviene un cortile attorno al quale si dispongono gli ambienti adiacenti. La casa non è solo un raro esemplare di edificio quattrocentesco: essa interpreta anche il desiderio di realizzare un meccanismo di autorappresentazione. In questa direzione si comprende bene anche la scritta ab Olympo, posta su uno degli architravi di un portale del cortile: è un’attestazione di fierezza in cui riecheggia soprattutto la memoria dell’antica bottega di Fidia ad Olimpia, sulle cui pietre il fulmine di Zeus aveva inciso il riconoscimento della grandezza. Per Mantegna la casa diventa dunque rappresentativa della fama, dello status, e del dono divino dell’ingegno: autoritratto dell’uomo e dell’artista, fu da lui stesso destinata ad entrare nel numero delle opere che contribuiscono a tramandarne la straordinaria fama. Attualmente l'edificio ospita esposizioni temporanee. Palazzo San Sebastiano Il Palazzo di San Sebastiano si trova sull’asse viario che collega Palazzo Ducale a Palazzo Te, nelle vicinanze anche della Casa del Mantegna e del Tempio di San Sebastiano. Fu edificato tra il 1506 e il 1508 per essere la dimora preferita del marchese Francesco II Gonzaga, il quale vi morì nel 1519. Gerolamo Arcari e Bernardino Ghisolfo ne diressero i lavori e incaricati delle decorazioni degli ambienti interni furono pittori come Lorenzo Leonbruno, Matteo e Lorenzo Costa il Vecchio. Nel salone superiore vi erano le nove tele del Mantegna raffiguranti i Trionfi di Cesare, oggi conservate a Hampton Court presso Londra. Già dopo la morte del committente, pur rimanendo residenza signorile il palazzo non ebbe più il ruolo privilegiato riconosciutogli da Francesco II: gli arredi e i quadri più preziosi vennero trasferiti in altra sede, e la residenza fu data in uso ai rami laterali della famiglia quali i Gonzaga di Novellara, di Gazzuolo e di Castiglione delle Stiviere. In questo palazzo il futuro S. Luigi Gonzaga cedette la primogenitura al fratello Rodolfo. Il palazzo viene dimenticato ritornando d'interesse pubblico a partire dalla metà del Settecento, quando il governo austriaco lo adibì a deposito e a caserma. Tale utilizzo ne accelerò il degrado con la pressoché totale sparizione delle decorazioni murarie. Anche la struttura originaria venne pesantemente manomessa, in particolare quando nel 1883 il Palazzo venne utilizzato come lazzaretto. Altre ristrutturazioni ci furono nel XX secolo, divenendo l'edificio sede di bagni pubblici, di una colonia elioterapica, di scuole, di depositi e di circoli ricreativi. Il palazzo di San Sebastiano è stato adibito a museo della città il 19 marzo 2005. Le sale contengono sculture, rilievi e frammenti di architetture che anticamente si trovavano su diversi edifici delle città. Il museo custodisce e protegge queste opere per renderle sempre visibili a tutti e far conoscere il patrimonio storico e artistico della città. La ristrutturazione del Palazzo di San Sebastiano si è conclusa nel 2005, dopo 7 anni di lavoro. Nel Museo della Città sono esposte una parte delle opere appartenenti alle Collezioni Civiche che già nell'Ottocento costituivano il Museo Patrio. IL VIRGILIO IN CATTEDRA All’interno del Palazzo di S. Sebastiano si possono ammirare statue, busti e rilievi antichi e rinascimentali, dipinti, affreschi staccati, copie seicentesche dei Trionfi mantegneschi e stemmi nobiliari. Tra tutte queste opere spicca una tra le più prestigiose: il “Virgilio in cattedra”. La statua fu realizzata nel 1200 da uno scultore ignoto, è in marmo rosso di Verona e rappresenta il poeta latino che trasferitosi a Roma scrisse l'Eneide. Virgilio per i mantovani era un eroe simbolo della saggezza e della cultura, doti essenziali per scrivere capolavori e per chi deve governare con saggezza e giustizia la città, per questo l'immagine del poeta compare anche in alcune monete della città. La scultura rappresenta il poeta nell'atto di scrivere: Virgilio, indossa un berretto medioevale, ha la barba (simbolo di autorità), le calzature e l'abito sono tipicamente medievali. Le pieghe dell'abito cadono dritte e regolari, per sottolineare la solidità della figura. PALAZZO TE, le origini Il palazzo Te è un edificio monumentale, costruito tra il 1524 e il 1534 su commissione di Federico II Gonzaga. E’ l'opera più celebre dell'architetto italiano Giulio Romano. Verso la metà del XV secolo Mantova era divisa dal canale “Rio” in due grandi isole circondate dai laghi; una terza piccola isola, chiamata sin dal Medioevo Tejeto e abbreviata in Te, venne scelta per l’edificazione del palazzo Te. Le prime testimonianze in merito alla presenza della fabbrica del Te si hanno nel 1526, quando viene citato un edificio in costruzione che sorge vicino alla città, tra i laghi, sulla direttrice della Chiesa e del Palazzo di San Sebastiano. Morto il padre e divenuto signore di Mantova, Federico, decise di trasformare l'isoletta nel luogo dello svago e del riposo, e dei fastosi ricevimenti con gli ospiti più illustri, ove poter “sottrarsi” ai doveri istituzionali assieme alla sua amante Isabella Boschetti. Abituato com'era stato sin da bambino all'agio e alla raffinatezza delle ville romane, trovò ottimo realizzatore della sua idea di “isola felice” l’architetto pittore Giulio Romano ed alcuni suoi collaboratori tra cui Raffaellino del Colle con cui aveva lavorato a Roma al seguito di Raffaello. Da canto suo, Giulio Romano, trovò in Mantova e nel suo committente l’occasione migliore per dare sfogo al suo genio e alla sua fantasia, riadattando le scuderie già esistenti e inglobandole nella costruzione, alternando gli elementi architettonici a quelli naturali che la zona offriva, decorando sublimemente stanze e facciate. Altri pittori collaborarono agli ambienti del palazzo, tra questi: Raffaele Albarini, Giorgio Anselmi, Francesco Primaticcio, Fermo Ghisoni, Giovan Francesco Penni, Gerolamo Staffieri,Benedetto Pagni, Rinaldo Mantovano, Giovan Battista Mantovano. PALAZZO TE, la struttura architettonica Il palazzo è un edificio a pianta quadrata con al centro un grande cortile quadrato anch'esso, un tempo decorato con un labirinto, con quattro entrate sui quattro lati. L.B. Alberti si ispira nell'impianto alla descrizione vitruviana della casa di abitazione: la domus romana con quattro entrate, ciascuna su uno dei quattro lati. Il palazzo ha proporzioni insolite, si presenta come un largo e basso blocco. Ha un piano solo la cui altezza è circa un quarto della larghezza. Il complesso è simmetrico secondo un asse longitudinale. Sul lato principale dell'asse (a nord-ovest) l'apertura di ingresso è un vestibolo quadrato, con quattro colonne che lo dividono in tre navate. La volta della navata centrale è a botte e le due laterali mostrano un soffitto piano, in questo modo assume una conformazione a serliana estrusa. L'entrata principale verso la città e il giardino è una loggia, la cosiddetta Loggia Grande, all'esterno composta da tre grandi arcate su colonne binate a comporre una successione di serliane che si specchiano nelle piccole peschiere antistanti. La balconata continua al secondo registro, sulla parte alta della facciata era in origine una loggia; questo lato del palazzo fu infatti ampiamente rimaneggiato alla fine del '700, quando fu aggiunto anche il frontone triangolare che sormonta le grandi serliane centrali. Le facciate esterne sono su due livelli (registri), uniti da paraste lisce doriche di ordine gigante. Gli intercolumni variano secondo un ritmo complesso. Tutta la superficie esterna è trattata a bugnato (comprese le cornici delle finestre e delle porte) più marcato al primo registro: Il primo registro bugnato, ha finestre rettangolari incorniciate da conci sporgenti (bugne rustiche). Il secondo registro ha un bugnato più liscio e regolare, con finestre quadrate senza cornice Il cortile interno segue anch'esso un ordine dorico ma su colonne di marmo lasciate quasi grezze sormontate da una possente trabeazione dorica. A partire dal 1526 circa Giulio Romano incomincia a lavorare al Palazzo del Tè, costruito poco fuori Mantova su un'isola collegata attraverso ponti con la città. Giulio concepisce l'edificio a pianta quadrata (con un esplicito riferimento a Vitruvio) e gli affianca un grande giardino chiuso da un'esedra e dalle famose stalle dei Gonzaga. La bassa e compatta costruzione principale presenta quattro facciate diverse, sviluppate coniugando spunti classici su un fondo rustico, e inserendo clamorose deviazioni rispetto alle regole canoniche. Le occupazioni spagnole, francesi e austriache e le varie guerre fecero sì che nel corso degli anni il palazzo venisse utilizzato come caserma e i giardini come accampamenti per le truppe depauperando le sale e distruggendo alcune sculture. La proprietà della villa dalla famiglia Gonzaga passa al governo austriaco, sino al 1866 quando viene acquistata dallo Stato Italiano e successivamente diviene proprietà del comune di Mantova. Dopo numerosi restauri, oggi possibile visitare questo palazzo tuffandosi nuovamente nella creatività di Giulio Romano e della famiglia Gonzaga. Il prospetto è aperto al centro da tre archi affiancati, mentre finestre rettangolari sormontate da pietre lavorate a bugnato si alternano a pilastri tuscanici abbinati o singoli, creando un effetto arricchito dal chiaroscuro e da anomalie. Nel cortile, invece, scandito sui quattro lati da un poderoso colonnato dorico, il fregio presenta alcuni triglifi che scivolano verso il basso. La facciata posteriore infine è caratterizzata principalmente dalla presenza di un loggiato a serliane. Il ricordo di villa Madama di Raffaello e del grande complesso del Belvedere di Bramante accompagna il progetto di Giulio Romano che, tuttavia, nella decorazione degli interni si svincola da ogni modello creando un allestimento senza precedenti. PALAZZO TE, le decorazioni interne Giulio Romano ispirandosi ad un linguaggio architettonico classico, lo reinterpreta creando un'opera con un ricco campionario di invenzioni stilistiche, reminiscenze archeologiche, spunti naturali e decorativi, quali ad esempio: colonne giganti doriche inglobate in superfici parietali trattare a blocchi di pietra a superficie rustica alcuni conci del triglifo cadenti nel fregio della trabeazione che circonda e corona il cortile quadrato. Lo si può notare nelle facciate nord-ovest e sud-est, al centro di ogni intercolunnio un triglifo che sembra scivolare verso il basso, come fosse un concio in chiave d'arco; su questi due lati anche gli intercolunni, come all'esterno, non sono tutti uguali. Questi dettagli spiazzano l'osservatore e danno una sensazione di non finito all'insieme. Pare che il palazzo fosse, in origine, dipinto anche in esterno, ma i colori sono scomparsi mentre rimangono gli affreschi interni eseguiti dallo stesso Giulio Romano e da molti collaboratori. Oltre agli affreschi le pareti erano arricchite da tendaggi e applicazioni di cuoio dorate e argentate, le porte di legni intarsiati e bronzi e i caminetti costituiti di nobili marmi. Gli affreschi del Palazzo Tè segnano il definitivo superamento della razionale misura rinascimentale in vita dell'esplorazione dei vasti territorio della bizzarria, della variazione e della licenza. Da un'iniziale decorazione incentrata su simbologie mitologiche come quelle di Apollo e Psiche, si passa ad una decorazione più complessa e di significato politico, volta a esaltare la potenza dell'imperatore Carlo V, il quale, nel corso del soggiorno mantovano nel 1530, visita il palazzo e concede a Federico II l'ambito titolo di duca. Nella sala dei Giganti, Giulio celebra il trionfo di Carlo V sui suoi nemici, annientati e schiacciati dal poderoso turbine che sembra sconvolgere l'interno ambiente. La fantasia del pittore, esercitata negli scorci e nelle complesse inscenature della sala di Psiche, trova qui piena espressione valendosi di ogni mezzo, dalle concitate e muscolose torsioni delle figure alla negazione dell'inquadramento prospettico. I simboli e gli stemmi presenti all’interno del palazzo riempiono di significati più o meno celati e spesso politici, le pareti del palazzo e del suo voluttuoso proprietario. Il Monte Olimpo, ad esempio, circondato da un labirinto e che sorge dalle acque è un simbolo che spesso si ritrova, viene ripreso in elementi architettonici costitutivi del palazzo come le due ampie peschiere che attraverso un ponte portano al giardino, o come il labirinto in bosso (ormai scomparso) del giardino stesso. Altro simbolo interessante è la salamandra, ritenuto l’unico animale insensibile agli stimoli dell’amore, ed era impiegato come contrapposizione concettuale al duca e alla sua natura sensuale e galante, il quale era tormentato dai vizi dell’amore. PALAZZO TE, Cortile d’onore Il grande cortile centrale si apre allo sguardo degli ospiti provenienti dall’atrio d’ingresso. Lo spazio è solenne, inquadrato dalle quattro pareti del palazzo “modernamente” decorate alla maniera antica. Giulio Romano progetta le architetture traendo ispirazione dall’ordine dorico dei templi greci. La modernità di Giulio sta nel mantenere la sobrietà di insieme dell’ordine dorico e forzarla per creare qualcosa di nuovo e sorprendente, così come quando seguendo con l’occhio il fregio ci si accorge che ogni tanto un triglifo scivola verso il basso rompendo la compostezza della decorazione. Altrettanto affascinanti i rilievi delle metope dove si alternano armi, vasi e altri oggetti a mascheroni con la bocca aperta, originariamente utilizzati come doccioni per lo scarico dell’acqua piovana. Il paramento murario delle superfici è realizzato con un bugnato liscio che contrasta con i conci rustici utilizzati per incorniciare le aperture del piano inferiore e a sottolineare la chiave di volta inserita, quasi a forza, nei timpani classici che sovrastano le finestre. Le sale del palazzo dall’ingresso: Sala di Ovidio; Sala delle imprese; Camera del Sole; Loggia delle muse Sala grande dei cavalli: con i ritratti in grandezza naturale dei sei destrieri preferiti dei Gonzaga era la sala destinata al ballo. Sala di Amore e Psiche: è la sala da pranzo del duca. Interamente affrescata, ogni parete raffigura lussuriosa la mitologica storia di Psiche, è il simbolo dell’amore del duca per Isabella Boschetti. La fonte letteraria sono le Metamorfosi di Apuleio. Alle altre due pareti, senza relazioni con la vicenda, sono presenti episodi mitologici con Marte e Venere e, sopra le finestre e il camino, vari amori divini. Camera dei venti o dello zodiaco; Sala delle aquile: camera da letto di Federico ornata al centro della volta con l'affresco della caduta di Fetonte dal carro del sole, è finita da scuri stucchi di aquile ad ali spiegate nelle lunette agli angoli della stanza e affreschi di favole pagane. Loggia di Davide Sala dei bassorilievi (stucchi) e Sala dei Cesari: sono salette chiaramente omaggianti l’imperatore Carlo V da cui Federico ottenne nel 1530 il titolo di duca. PALAZZO TE, Sala dei giganti L'affresco della Caduta dei Giganti fu dipinto fra il 1532 e il 1535 ricoprendo la sala dalle pareti al soffitto con l'illusionistica rappresentazione della battaglia tra i Giganti che tentano di salire all'Olimpo e Zeus; è l’ambiente più famoso e stupefacente di Palazzo Te. Costituisce un vero e proprio unicum nella storia dell’arte moderna, poiché Giulio Romano vi propone una sperimentazione pittorica originale e ineguagliata per secoli. L’ambiente è concepito come un insieme spaziale continuo, dove l’invenzione pittorica interagisce con la realtà e lo spettatore si sente catapultato nel mito. I limiti architettonici sono mascherati dalla pittura, che si stende senza soluzione di continuità su pareti e volta e, in origine, coinvolgeva anche il pavimento (era formato da ciottoli di fiume che proseguivano, dipinti, alla base delle pareti). La vicenda che viene messa in scena è quella della Caduta dei Giganti, tratta dalle Metamorfosi di Ovidio. Abitanti della terra scellerati e presuntuosi, i Giganti, volevano sostituirsi agli dei. Per fare ciò tentarono di conquistare il monte Olimpo accostando tra di loro i monti Pelio e Ossa e iniziarono a scalarli. Giulio Romano fissa il racconto al concitato momento seguito alla reazione di Giove, che punisce i Giganti scatenando contro di loro la furia degli elementi e colpendoli con i fulmini infallibili, aiutato da Giunone. Lo spettatore è trasportato nel mezzo di questa scena, con la schiera numerosa degli dei dell’Olimpo, Giove alla testa, su nel cielo e la rovinosa e violenta caduta dei Giganti qui sulla terra. Il cielo è descritto con un magnifico sfondato prospettico al cui centro si trova un tempio circolare visto da sott’in su e il trono di Giove presieduto dall’aquila. A dividere il cielo dalla terra stanno ai quattro angoli del globo, o meglio della camera, i venti che soffiano tra le nubi. Più in basso crollano montagne, palazzi e templi sotto le cui rovine giacciono in pose scomposte i Giganti. La decorazione si svolge in modo continuo e unitario ma ciascuna parete ha una propria ambientazione. Sul lato orientale trovava spazio un camino, ora tamponato. L’invenzione giuliesca sfruttava anche questo suggestivo elemento architettonico, poiché il fuoco sprigionato dal camino proseguiva, nella finzione pittorica, nelle fiamme che escono dalla bocca del gigante Tifeo, qui dipinto sepolto sotto le rocce delle Sicilia: è lui la causa delle eruzioni dell’Etna. Le pareti sud, ovest e nord giocano sulla presenza in primissimo piano delle mastodontiche figure dei giganti, delle rocce e delle architetture che rovinano al suolo, ma aprono a scenari lontani, spazi aperti dove è possibile verificare l’orrore e il disastro provocato dalla reazione delle divinità davanti alla presunzione dei Giganti. La rappresentazione è da interpretare in chiave politica, come sommo omaggio alla potenza dell’imperatore Carlo V, ed etica, quale esempio di superbia punita e monito per gli stessi sovrani. Da notare come tutt’intorno, ad altezza uomo, corrano lungo la camera scritte graffite, non eliminate nel corso dei restauri negli anni ottanta perché considerate documento storico: le prime iscrizioni risalgono addirittura al XVI secolo. PALAZZO TE, Loggia d'onore E’ la loggia che si affaccia alle pescherie, parallela a quella “Grande” che segna l’ingresso del palazzo e mostra l’incantevole visuale del giardino che si chiude a nord con l’esedra. La volta è divisa in grandi riquadri con cornici di canne palustri nei quali è rappresentata storia biblica di Davide. Colonne e statue nelle nicchie completano il loggiato. Tutta questa parte della villa elogia, attraverso le pitture e i simboli dell’arte romana e del paganesimo dei miti dell'Olimpo, la figura dell’imperatore Carlo V, ma ecco palesarsi uno dei “segnali” celati di stampo politico, in tutte le vicende rappresentate l’attenzione posta sulla forza e l’importanza del grande Giove pare offuscarne il prestigio. PALAZZO TE, Il giardino e l’esedra Nella parte orientale del palazzo, la loggia di Davide si affaccia su un ampio spiazzo erboso che un tempo era il giardino più grande e importante della villa. Volgendo lo sguardo a sinistra, l’edificio che chiude le peschiere verso nord conteneva una cappella e l’alloggiamento delle macchine idrauliche adibite al funzionamento delle fontane. Sempre sul lato settentrionale si trova l’appartamento del giardino segreto a cui si contrappone sul lato opposto un altro edificio già adibito ad abitazione per il giardiniere. Nel 1651 questi due corpi di fabbrica vengono uniti da una scenografica quinta a modo di esedra, progettata probabilmente dall’architetto Nicolò Sebregondi. Il lato meridionale del giardino è chiuso da un lungo corpo di fabbrica contemporaneo all’esedra, denominato Fruttiere. Un edificio delimita le peschiere a meridione, costruito anch’esso nel Seicento come scuderia e di recente trasformato in sala conferenze. PALAZZO TE, L'angolo segreto L’appartamento della grotta venne edificato verso il 1530 nell’angolo est del giardino vicino all’esedra che conclude lo spazio della villa. L’appartamento è composto da poche stanze di dimensioni molto più modeste rispetto a quelle del corpo del palazzo; una loggia che si apre in un piccolo giardino mostra ciò che rimane di un ambiente allora decorato ed affrescato. Dal giardino si accede alla Grotta, stanzetta utilizzata come bagno, dalla realizzazione davvero insolita. L’apertura è realizzata come a dare l’idea si tratti di un ambiente naturale, di una caverna, non ci sono i marmi e i materiali ricercati del resto del palazzo, gli interni erano tappezzati di conchiglie (oggi scomparse) e giochi d’acqua dovevano allietare il visitatore e stupirlo al tempo stesso. PALAZZO TE, Fruttiere Le fruttiere si trovano sul lato meridionale del giardino di Palazzo Te. Hanno una pianta rettangolare e sono costituite da un unico ambiente suddiviso in tre navate. La copertura è sostenuta da dieci coppie di pilastri. I lavori di edificazione iniziarono nel 1651 su progettazione dell'architetto Nicolò Sebregondi e nel 1655 l'edificio cominciò ad ospitare, per il ricovero invernale, piante e agrumi posti in vasi di terracotta. Ma già dal secolo successivo le fruttiere e le attigue scuderie vennero adibite a magazzino militare. Numerosi e impropri utilizzi si susseguirono fino al 1989 quando, dopo un appropriato restauro, divenne sede espositiva delle mostre realizzate dal Centro Internazionale d’Arte e Cultura di Palazzo Te. MONOGRAFIE LEON BATTISTA ALBERTI Leon Battista Alberti (Genova, 18 febbraio 1404 – Roma, 25 aprile 1472) è stato un architetto, scrittore, matematico, umanista, crittografo, linguista, filosofo, musicista e archeologo italiano; fu una delle figure artistiche più poliedriche del Rinascimento. Un suo costante interesse era la ricerca delle regole, teoriche o pratiche, in grado di guidare il lavoro degli artisti. Nelle sue opere menzionò alcuni canoni, ad esempio: nel De statua espose le proporzioni del corpo umano, nel De pictura fornì la prima definizione della prospettiva scientifica e infine nel De re aedificatoria (opera cui lavorò fino alla morte, nel 1472), descrisse tutta la casistica relativa all'architettura moderna, sottolineando l'importanza del progetto e le diverse tipologie di edifici a seconda della loro funzione. L'aspetto innovativo delle sue proposte consisteva nel mescolare l'antico ed il moderno. Leon Battista nacque a Genova, figlio naturale di Lorenzo Alberti, di una ricca famiglia di mercanti e banchieri fiorentini banditi dalla città toscana a partire dal 1388 per motivi politici, e da Bianca Fieschi, di una delle più nobili casate genovesi. I primi studi furono di tipo letterario, dapprima a Venezia e poi a Padova, dove studiò il latino e forse anche il greco. Si trasferì poi a Bologna ove studiò diritto, coltivando parallelamente il suo amore per molte altre discipline artistiche quali la musica, la pittura, la scultura, la matematica, la grammatica e la letteratura in generale. Si dedicò all'attività letteraria sin da giovane. Sembra si sia tuttavia concretamente laureato in diritto nel 1428 a Bologna. Nel 1431 diventò segretario del patriarca di Grado e trasferitosi a Roma con questi, nel 1432 fu nominato abbreviatore apostolico (il cui ruolo consisteva per l'appunto nel redigere i brevi apostolici). Così entrò nel prestigioso ambiente umanistico della curia di papa Eugenio IV, che lo nominò (1432) titolare della Pieve di San Martino, nei pressi di Firenze, beneficio di cui godette fino alla morte. Morì a Roma, all'età di 68 anni. Tra il 1434 ed il 1443 l'Alberti visse prevalentemente a Firenze e Ferrara, al seguito della curia papale che fra l'altro partecipò al Concilio, ossia alle sedute ferrarese e fiorentina del concilio ecumenico (1438-39) che dovevano riappacificare la chiesa latina e le chiese cristiano-orientali, in particolare quella greca. Pur scrivendo numerosi testi in latino, l'Alberti fu un fervente sostenitore del volgare. La duplice redazione in latino e in volgare del De pictura manifesta il suo interesse per il dibattito allora in corso tra gli umanisti sulla possibilità di usare il volgare nella trattazione di ogni materia. Chiusosi il concilio a Firenze, nel 1443, l'Alberti ritornò con la curia papale a Roma. Nel periodo seguente maturano i suoi interessi propriamente architettonici, che lo inducono a proseguire lo studio delle rovine della Roma classica, Alberti tenta con successo, per la prima volta nella storia, una ricostruzione della topografia di Roma antica, che trasmette con un sistema di coordinate polari e radiali. Questi interessi per l'architettura che diventeranno prevalenti negli ultimi due decenni della sua vita, non impedirono una ricchissima produzione letteraria. Intorno al 1450 Alberti cominciò ad occuparsi attivamente di architettura con progetti da eseguire fuori Roma, a Firenze, Rimini e Mantova, città in cui si recò varie volte durante gli ultimi decenni della sua vita. Le sue riflessioni teoriche trovarono espressione nel De re aedificatoria, un trattato di architettura, scritto prevalentemente a Roma, concepito sul modello del De architectura di Vitruvio. L'opera, considerata il trattato architettonico più significativo della cultura umanista, è divisa anch'essa in dieci libri: nei primi tre si parla della scelta del terreno, dei materiali da utilizzare e delle fondazioni (potrebbero corrispondere alla categoria vitruviana della firmitas); i libri IV e V si soffermano sui vari tipi di edifici (utilitas); il libro VI tratta la bellezza architettonica (venustas), intesa come un'armonia esprimibile matematicamente grazie alla scienza delle proporzioni, con l'aggiunta di una trattazione sulle macchine per costruire; i libri VII, VIII e IX parlano della costruzione dei fabbricati, suddividendoli in chiese, edifici pubblici ed edifici privati; il libro X tratta dell'idraulica. A Firenze lavorò come architetto soprattutto per Giovanni Rucellai, ricchissimo mercante e mecenate. Le opere fiorentine saranno le sole dell'Alberti a essere compiute prima della sua morte. Forse sin dal 1439-42 gli venne commissionata la costruzione del palazzo della famiglia Rucellai, da ricavarsi da una serie di case-torri acquistate da Giovanni Rucellai in via della Vigna Nuova. Il suo intervento si concentrò sulla facciata, posta su un basamento che imita l'opus reticulatum romano. La sovrapposizione degli ordini è di origine classica come nel Colosseo o nel Teatro di Marcello, ed è quella teorizzata da Vitruvio: al piano terreno lesene doriche, ioniche al piano nobile e corinzie al secondo. Le lesene decrescono progressivamente verso i piani superiori, in modo da creare nell'osservatore l'illusione che il palazzo sia più alto di quanto non sia in realtà. Al di sopra di un forte cornicione aggettante si trova un attico, caratteristicamente arretrato rispetto al piano della facciata. Il palazzo creò un modello per tutte le successive dimore signorili del Rinascimento. Su commissione del Rucellai, progettò anche il completamento della facciata della basilica di Santa Maria Novella, caratterizzata dall'alternarsi di fasce di marmo bianco e di marmo verde, secondo la secolare tradizione fiorentina. I lavori iniziarono intorno al 1460. Alberti inserì al centro della facciata inferiore un portale di proporzioni classiche, inquadrato da semicolonne, in cui inserì incrostazioni in marmo rosso per rompere la dicromia. Per terminare la fascia inferiore pose una serie di archetti a tutto sesto a conclusione delle lesene. Poiché la parte superiore della facciata risultava arretrata rispetto al basamento (un tema molto comune nell'architettura albertiana, derivata dai monumenti della romanità) inserì una fascia di separazione a tarsie marmoree che recano una teoria di vele gonfie al vento, l'insegna personale di Giovanni Rucellai; il livello superiore, scandito da un secondo ordine di lesene che non hanno corrispondenza in quella inferiore, sorregge un timpano triangolare. L'Alberti fu a Ferrara a varie riprese, e sicuramente tra il 1438 ed il 1439, stringendo amicizie alla corte estense. A lui è stato attribuito da insigni storici dell'arte, ma esclusivamente su basi stilistiche, anche l'incompleto campanile del duomo, dai volumi nitidi e dalla bicromia di marmi rosa e bianchi. Nel 1450 l'Alberti venne chiamato a Rimini da Sigismondo Malatesta per trasformare la chiesa di San Francesco in un tempio in onore e gloria sua e della sua famiglia. Alla morte del signore (1468) il tempio fu lasciato incompiuto mancando della parte superiore della facciata, della fiancata sinistra e della tribuna. L'Alberti ideò un involucro marmoreo che lasciasse intatto l'edificio preesistente. L'opera prevedeva in facciata una tripartizione con archi scanditi da semicolonne corinzie, mentre nella parte superiore era previsto una specie di frontone con arco al centro affiancato da paraste e forse due volute curve. Punto focale era il portale centrale, con timpano triangolare e riccamente ornato da lastre marmoree policrome nello stile della Roma imperiale. Ai lati due archi minori avrebbero dovuto inquadrare i sepolcri di Sigismondo e della moglie Isotta, ma furono poi tamponati. Le fiancate invece sono composte da una sequenza di archi su pilastri, ispirati alla serialità degli acquedotti romani, destinati ad accogliere i sarcofagi dei più alti dignitari di corte. Nel 1459 Alberti fu chiamato a Mantova da Ludovico III Gonzaga. Il primo intervento mantovano riguardò la chiesa di San Sebastiano, cappella privata dei Gonzaga, iniziata nel 1460. L'edificio fece da fondamento per le riflessioni rinascimentali sugli edifici a croce greca: è infatti diviso in due piani, uno dei quali interrato, con tre bracci absidati attorno ad un corpo cubico con volta a crociera; il braccio anteriore è preceduto da un portico, oggi con cinque aperture. La parte superiore della facciata, spartita da lesene di ordine gigante, è originale del progetto albertiano e ricorda un'elaborazione del tempio classico, con architrave spezzata, timpano e un arco siriaco, a testimonianza dell'estrema libertà con cui l'architetto disponeva gli elementi. Il secondo intervento, sempre su commissione dei Gonzaga, fu la basilica di Sant'Andrea, eretta in sostituzione di un precedente sacrario in cui si venerava una reliquia del sangue di Cristo. L'Alberti creò il suo progetto «... più capace più eterno più degno più lieto ...» ispirandosi al modello del tempio etrusco ripreso da Vitruvio. Innanzitutto mutò l'orientamento della chiesa allineandola all'asse viario che collegava Palazzo Ducale al Te. La chiesa a croce latina, iniziata nel 1472, è a navata unica coperta a botte con lacunari, con cappelle laterali a base rettangolare, inquadrate negli ingressi da un arco a tutto sesto, inquadrato da un lesene architravate. Il tema è ripreso dall'arco trionfale classico ad un solo fornice come l'arco di Traiano ad Ancona. La grande volta della navata e quelle del transetto e degli atri d'ingresso si ispiravano a modelli romani, come la Basilica di Massenzio. Per caratterizzare l'importante posizione urbana, venne data particolare importanza alla facciata, dove ritorna il tema dell'arco: l'alta apertura centrale è affiancata da setti murari, con archetti sovrapposti tra lesene corinzie sopra i due portali laterali. Il tutto, coronato da un timpano triangolare a cui si sovrappone, per non lasciare scoperta l'altezza della volta, un nuovo arco. La facciata è inscrivibile in un quadrato e tutte le misure della navata, sia in pianta che in alzato, si conformano ad un preciso modulo metrico. GIULIO ROMANO Giulio Romano, o meglio Giulio Pippi, nasce intorno al 1499 a Roma. Cresce in una condizione familiare borghese ed è risaputo che il padre facesse il commerciante. La dimora paterna di Giulio sorge in via Macel de' Corvi, nei paraggi del Foro Romano e di piazza del Campidoglio. Fin da giovane è tra principali collaboratori di Raffaello Sanzio visto che si distingue come l'allievo più dotato all'interno dell'affollata bottega. Collabora con il maestro nelle sue grandi imprese pittoriche come gli affreschi della villa Farnesina, delle Logge e delle Stanze Vaticane. Nel 1518 sono documentati i suoi primi disegni di architettura, in particolare gli studi di angoli per il Palazzo Branconio dell'Aquila, che Raffaello progetta per farne dono a un amico, lasciando allo stesso Giulio la piena libertà nella creazione del cortile interno. Alla morte di Raffaello avvenuta nel 1520, Giulio Romano e il suo collega da lunga data Giovan Francesco Penni, ereditano per testamento la bottega e le commissioni già avviate. Giulio Romano in questo periodo si occupa di coordinare gli affreschi di Villa Madama e di completare la sala di Costantino nelle stanze Vaticane. Tra i suoi viaggi di lavoro e culturali visita Pozzuoli e Napoli al seguito di dignitari pontifici originari di quella terra. Dopo aver collaborato ai progetti di Raffaello (per esempio al cortile del Palazzo Branconio dell'Aquila), i suoi primi autonomi progetti di architettura si ritrovano a Roma; il palazzo Adimari Salviati, la Villa Lante sul Gianicolo per Baldassarre Turini da Pescia ed il Palazzo Maccarani Stati. Raffigurato nell' immagine c'è il Palazzo Ducale di Mantova, progettato da Giulio Romano nel 1536. Come artista di corte, viene invitato a Mantova da Federico II Gonzaga. Nonostante la prestigiosa carriera avviata a Roma, accetta l'invito dopo le continue insistenze e raggiunge la città lombarda nel 1524. Il suo primo incarico a Mantova è quello di occuparsi del cantiere della villa di Marmirolo in seguito Giulio Romano realizza un grandioso edificio a metà tra il palazzo e la villa extraurbana conosciuto come Palazzo Tè. Per affrescarlo si avvale dell'aiuto di numerosi pittori tra cui Raffaellino del Colle. La suddetta commissione lo impegna per dieci anni a partire dalla fine dell'anno 1525. Il 2 aprile del 1530 a Giulio Romano viene inoltre affidata la regia di una festa in onore dell'imperatore Carlo V ospite del prossimo duca Federico II tenutasi all'interno dei cortili e delle stanze di Palazzo Tè. Nel 1526 viene nominato prefetto delle fabbriche dei Gonzaga e "superiore delle vie urbane", con la conseguente qualifica di sovrintendere a tutte le architetture e le produzioni artistiche della corte. Dopo l'elevazione a ducato della casata, Giulio Romano si occupa della sistemazione del Palazzo Ducale, dove realizza il cortile della Cavallerizza. Nel 1541, Il Vasari visitando Giulio Romano lo trova un uomo ricco e potente, tanto che il suo status gli consente di realizzare per sé un palazzo nel centro di Mantova denominato Casa di Giulio Romano. Nel 1546 Giulio Romano muore. Viene sepolto nella Chiesa di San Barnaba, tuttavia la sua tomba viene profanata e dispersa. Andrea Mantegna Andrea Mantegna nacque nel 1431 in un borgo nei pressi di Padova. Fu apprendista e figlio adottivo di Francesco Squarcione e verso il 1442 s’iscrisse alla fraglia padovana dei pittori. Successivamente il pittore iniziò ad abitare presso la bottega di Squarcione lavorando esclusivamente per il padre adottivo. A Padova Mantegna trovò inoltre un vivace clima umanistico e poté ricevere un'educazione classica. La sensibilità verso il mondo classico e il gusto antiquario divennero presto una delle componenti fondamentali del suo linguaggio artistico, che si portò dietro durante tutta la carriera. La permanenza di Mantegna presso la bottega di Squarcione durò sei anni. Nel 1448 Mantegna partecipò, insieme ad altri pittori, alla decorazione della cappella della famiglia Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova. Durante la produzione dell'opera tra tutti i pittori spiccò la personalità di Mantegna, capace anche di affinare la propria tecnica. Nel 1449 sorsero i primi contrasti tra Mantegna e Nicolò Pizzolo, con il primo citato in giudizio dal secondo. Ciò comportò una redistribuzione da parte dei committenti del lavoro tra gli artisti e probabilmente per questi contrasti Mantegna sospese il suo lavoro e visitò Ferrara. In ogni caso il cantiere si arrestò nel 1451 per mancanza di fondi. L'impegno nella cappella Ovetari non impediva al pittore di accettare anche altri incarichi, così nel maggio 1449, approfittando di una fase di stallo, si recò a Ferrara al servizio di Leonello d'Este. I lavori alla cappella Ovetari furono ripresi nel novembre 1453 e conclusi nel 1457 vedendo protagonista il solo Mantegna. Nel 1457 Imperatrice Ovetari intentò una causa contro Mantegna poiché nell'affresco dell'Assunzione aveva dipinto solo otto apostoli invece di dodici. La scelta del maestro venne giustificata con una mancanza di spazio. Durante i nove anni del lavoro alla Cappella Ovetari si andò delineando lo stile inconfondibile di Mantegna, rendendolo immediatamente celebre e facendone uno degli artisti più apprezzati della sua epoca. Fin dagli esordi nella bottega di Squarcione Mantegna ebbe ripetuti contatti con la bottega veneziana di Jacopo Bellini. Valutando le grandi potenzialità del giovane padovano, Bellini maturò la decisione di dargli in sposa la sua unica figlia Nicolosia nel 1453. Da allora i rapporti tra Mantegna e i pittori veneziani si fecero più stretti, in particolar modo con il cognato coetaneo Giovanni Bellini. Lo stesso Mantegna mutuò da Bellini una maggiore scioltezza e individuazione psicologica per i personaggi, oltre a una più fluida fusione di colore e luce. Al 1456 risale la prima lettera di Ludovico Gonzaga che richiedeva Andrea come pittore di corte. Gonzaga era il tipico principe umanista e condottiero appassionato alla storia romana, alla poesia, alla matematica e all'astrologia. Non stupisce perciò l'insistenza del marchese nel richiedere i servigi di Mantegna, che all'epoca era l'artista che maggiormente cercava di far rivivere il mondo classico nelle sue opere. Nel 1457 il marchese invitò ufficialmente Andrea a trasferirsi a Mantova e il pittore si dichiarò interessato, anche se gli impegni già presi a Padova fecero rimandare di altri tre anni la sua partenza. Probabilmente c'erano anche ragioni personali nel ritardo: egli doveva ben sapere che trasferendosi a corte la sua vita di uomo e di artista sarebbe cambiata radicalmente, garantendogli sì una tranquillità economica e una stabilità notevoli, ma privandolo anche della sua libertà e allontanandolo da quel vivace ambiente dei nobili e degli umanisti padovani, nel quale era così apprezzato. Nel 1460 Mantegna si trasferì con tutta la famiglia a Mantova come pittore ufficiale di corte, ma anche come consigliere artistico e curatore delle raccolte d'arte. Qui ottenne uno stipendio fisso, un alloggio e l'onore di uno stemma, vivendo alla corte dei Gonzaga fino alla morte. Successivamente nel 1466 Mantegna fu a Firenze e a Siena e nel 1467 tornò di nuovo in Toscana. Mantegna, sebbene spesso angustiato da ristrettezze economiche, era ben consapevole del rango di rilievo che occupava a corte ed era desideroso di un riconoscimento pubblico della sua fama, ricercando con caparbietà un titolo. Nel 1469 l'imperatore Federico III si trovava a Ferrara, dove Mantegna si recò personalmente per essere insignito come conte palatino. Le gratificazioni maggiori però le ottenne dai marchesi suoi benefattori, infatti nel 1484 ottenne il prestigioso titolo di cavaliere. Nel 1487 papa Innocenzo VIII scrisse a Francesco Gonzaga pregandolo di inviare Mantegna a Roma, poiché intendeva affidargli la decorazione di una cappella in Vaticano. Abituato a condurre una vita agiata ed a ricevere doni e onorificenze, Mantegna mal sopportava il trattamento ricevuto in Vaticano, che nel corso dei due anni lo risarcì solo delle spese sostenute. Controverso fu il rapporto di Mantegna con le antichità della città eterna: nonostante fosse il pittore che più di ogni altro aveva dimostrato interesse verso il mondo classico, le rovine della Roma antica sembrarono lasciarlo indifferente. Tornato a Mantova l'artista si dedicò innanzitutto alla continuazione della serie dei Trionfi. Nonostante la vastità e l'ambizione dell'opera, Mantegna lavorò duro a molte altre commissioni e le numerose lettere di sollecito ricevute da committenti e mecenati sono una testimonianza delle richieste ottenute, ben oltre le sue possibilità. Isabella d'Este arrivò a Mantova come sposa di Francesco Gonzaga nel 1490 ed ebbe un rapporto per alcuni versi controverso con Mantegna. Pur mostrando di apprezzarne le doti, essa riteneva che non fosse sufficientemente bravo nei ritratti. L'infaticabile e incontentabile attività di Isabella come collezionista di opere d'arte, culminò nella creazione di uno studiolo nel castello di San Giorgio. Si trattava di un ambiente privato che fece impreziosire con varie opere, avvalendosi spesso proprio di Mantegna. Per venire incontro ai gusti della marchesa, Mantegna aggiornò il proprio stile aderendo a un certo colorismo che allora dominava la scena artistica in Italia ed ammorbidendo alcuni tratti della sua arte con pose più elaborate delle figure, dinamismo e complicati scorci paesaggistici. Il 13 settembre 1506 Andrea Mantegna moriva a 75 anni. L'ultimo periodo della sua vita fu funestato da difficoltà economiche pressanti e da una visione sempre più malinconica del suo ruolo di artista, ormai scalzato dalle nuove generazioni che proponevano un classicismo più morbido ed accattivante. L'ammirazione per la sua figura non si tradusse però in un seguito artistico, essendo la sua arte austera e vigorosa ormai considerata sorpassata dalle incalzanti novità dell'inizio del secolo, ritenute più adatte ad esprimere i moti dell'anima in quell'epoca. Il Cristo morto E’ uno dei più celebri dipinti di Andrea Mantegna, databile con incertezza tra il 14751478 circa. L'opera è famosa per il vertiginoso scorcio prospettico della figura del Cristo disteso, che ha la particolarità di "seguire" lo spettatore che ne fissi i piedi scorrendo davanti al quadro stesso. Considerata uno dei vertici della produzione di Mantegna, l'opera ha una forza espressiva e al tempo stesso una compostezza severa che ne fanno uno dei simboli più noti del Rinascimento italiano. I Trionfi di Cesare L'ambizioso progetto dei Trionfi di Cesare, nove tele monumentali che ricreavano la pittura trionfale dell'Antica Roma venne iniziato verso il 1485 e reso pubblico interamente nel 1505. Ispirandosi a fonti antiche e moderne Mantegna ricreò la processione trionfale, che in origine doveva apparire come un'unica lunga scena che veniva vista come attraverso un loggiato. Il risultato fu un'eroica esaltazione di un mondo perduto, con una solennità non minore di quella della Camera degli Sposi, ma più mossa, avvincente ed attuale. La Camera degli Sposi Nel 1465 Mantegna iniziò una delle sue imprese decorative più complesse, alla quale è legata la sua fama. Si tratta della Camera degli Sposi terminata nel 1474. L'ambiente occupa il primo piano di una delle torri del Castello di San Giorgio ed aveva la duplice funzione di sala delle udienze e camera da letto di rappresentanza. Mantegna studiò una decorazione ad affresco che investiva tutte le pareti e le volte del soffitto, adeguandosi ai limiti architettonici dell'ambiente, ma al tempo stesso sfondando illusionisticamente le pareti con la pittura, che crea uno spazio dilatato ben oltre i limiti fisici della stanza.