© Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia Articoli/9: Retorica del simbolo non verbale e del segno verbale Un approccio psicodinamico Gian Luca Barbieri Articolo sottoposto a peer-review. Ricevuto il 04/12/2014 Accettato il 15/02/2014 Abstract: The author studies the rhetoric in a psycho-dynamic point of view. In the first section of the text, he presents the main theories of symbolism in the psycho-analysis, and shows that this kind of symbol can be precisely a part of the rhetoric. In the second section he analyzes the figures of speech in the autobiographical tales as expressions of mechanisms of defence. In conclusion he exposes some neuroscientific theories about rhetoric to confirm his previous observations. *** Premessa Nel presente contributo ci si accosta alla retorica da una prospettiva psicodinamica, centrando l’attenzione su due diversi ambiti: il primo riguarda il concetto di simbolo psicoanalitico, riferito a manifestazioni quali il sintomo, il sogno, il lapsus e gli atti mancati in generale, ritenuti fondamentali per poter accedere alla sfera inconscia della mente; il secondo è focalizzato sul linguaggio verbale e sui modi in cui viene utilizzato non solo nella stanza di analisi, ma anche nei contesti extra-analitici. In riferimento al simbolo psicoanalitico si indagheranno dapprima i suoi rapporti con la retorica e a seguire si presenteranno i contributi teorici più significativi in ambito clinico. Per quanto riguarda la retorica si centrerò l’attenzione sull’elocutio e in particolare su quelle che già Gorgia definiva figure1. In conclusione si farà un breve excursus su alcuni risultati della ricerca neuroscientifica applicata alla retorica. 1. Il simbolo psicoanalitico La prima questione che vogliamo affrontare riguarda la possibilità di ricondurre il simbolo psicoanalitico nella sfera di pertinenza della retorica. Cerchiamo quindi di individuare alcuni aspetti comuni ai due ambiti. 1 R. Barthes, La retorica antica, Milano 1972. 265 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia - Platone2 riteneva che una delle due retoriche da lui individuate, quella dei retori e dei sofisti, riguardasse l’illusione, mentre l’altra, dei filosofi, fosse centrata sulla verità. Il sintomo, il sogno e le altre manifestazioni dell’Inconscio studiate dalla psicoanalisi riguardano mascheramenti e deformazioni (l’illusone platonica) di una verità che viene rimossa per la sua portata destabilizzante. - L’elocutio retorica è ‘ornamento’, quindi riguarda in primo luogo la superficie della comunicazione. Anche i fenomeni indagati dallo psicoanalista si collocano in superficie; e come gli effetti della retorica si realizzano al di là dell’epidermide della parola, così nei sintomi, negli atti mancati e nelle altre espressioni dell’Inconscio, per accedere al livello profondo della significazione bisogna spingere lo sguardo al di sotto delle manifestazioni simboliche visibili. - Sia per le figure retoriche del linguaggio che per il simbolo psicoanalitico, il livello superficiale (‘significante’) e quello profondo (‘significato’) sono separati da uno spazio psichico. Questo è attraversato da un vettore orientato in una direzione nel momento dell’elaborazione della figura retorica e del simbolo e nella direzione opposta quando al tropo e al simbolo si attribuisce un significato. - In entrambi gli ambiti (tropo, simbolo psicoanalitico), tale significato non è arbitrario, come nel caso del segno (Saussure3), ma è legato a precisi codici e processi mentali. - I modistae, retori e grammatici del XII secolo, collegavano la retorica dei modi significandi (il senso delle parole) ai modi essendi (le proprietà dell’essere) e ai modi intelligendi (la comprensione dell’essere). In modo analogo lo sguardo dell’analista decodifica il senso del simbolo (modus significandi) connettendolo da un lato ai modi essendi (le dinamiche psichiche prevalentemente inconsce del soggetto) e dall’altro ai modi intelligendi (la comprensione profonda dei possibili significati)4. - Secondo Aristotele5 la retorica è una techne, la cui origine si trova nel soggetto, non nell’oggetto creato; la medesima caratteristica si riscontra nel simbolo psicoanalitico. Tutti gli aspetti elencati evidenziano tangenze e sovrapposizioni tra i meccanismi di significazione della retorica classica e del simbolo psicoanalitico. Riteniamo però importante soffermarci anche sulle specificità di ciascuno dei due ambiti, iniziando dal secondo. Il processo di simbolizzazione studiato dalla psicoanalisi parte solitamente da un evento doloroso o da un desiderio inammissibile che generano angoscia e quindi vengono rimossi, diventando inconsci. Se la censura che separa l’Inconscio dal Preconscio si allenta (durante il sonno, per una malattia o per qualsiasi altro motivo), il contenuto rimosso passa attraverso le maglie della censura, viene da essa deformato e può dare origine a un sintomo, a un atto mancato, Platone, Gorgia, a cura di G. Zanetto, Milano 1994. F. de Saussure, Corso di linguistica generale, a cura di T. De Mauro, Roma-Bari 1967. 4 R. Barthes, La retorica antica, cit. 5 Aristotele, Retorica, a cura di M. Dorati, Mondadori 1996. 2 3 266 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia a un’immagine onirica o ad altri fenomeni psichici. Possiamo schematizzare il processo in questo modo: Esperienza dolorosa > rimozione > deformazione > simbolo (sintomo, atto mancato ecc.) L’interpretazione psicoanalitica parte dal simbolo e gli attribuisce un significato. Per raggiungere questo obiettivo si ripercorre a ritroso il processo di simbolizzazione, risalendo dalla componente fenomenica del simbolo all’esperienza dolorosa rimossa. Va ricordato che nella psicoanalisi freudiana si parla di interpretazione come ‘costruzione’, poiché essa consiste non solo nel recuperare il contenuto rimosso, ma anche nell’attribuirgli un significato in relazione ad alcuni snodi della vita del paziente. La ‘chiave’ per interpretare il simbolo varia a seconda del modello teorico psicoanalitico di riferimento. In ogni caso, l’aspetto condiviso dalle diverse scuole è che il simbolo viene generato esclusivamente dal meccanismo difensivo della rimozione. Le altre difese (formazione reattiva, idealizzazione, razionalizzazione ecc.) non producono simboli. La rimozione occulta completamente il contenuto doloroso, mentre le altre difese si limitano a deformarlo o attenuarlo. Il simbolo psicoanalitico rimanda dunque a un contenuto inconscio. Osserviamo ora il processo di pensiero che si attiva nella elocutio retorica. Se prendiamo come riferimento una qualsiasi metafora, per decodificarla è necessario accostarsi ad essa non in modo referenziale ma in una prospettiva figurata. Il codice per attribuirle un significato, a meno che la figura non sia entrata nell’uso comune, non è prefissato ma va costruito. Dal livello letterale dell’espressione si possono ricavare suggestioni per diverse possibili amplificazioni semantiche sulla base dei tratti soprattutto morfologici e funzionali dell’immagine. Alla metafora ‘Mario è un pallone gonfiato’ si potrebbero attribuire due possibili significati: ‘persona presuntuosa’ e ‘uomo obeso’, poi l’uso ha conservato il primo e ha escluso il secondo. I processi mentali che si attivano in presenza di un simbolo psicoanalitico sono simili: in primo luogo bisogna identificarlo come simbolo e quindi disporsi ad attribuirgli un significato che ne travalichi la lettera; l’attribuzione di significato implica che si individui la res a cui il simbolo rimanda (evento traumatico, desiderio inaccettabile ecc.); l’interpretazione anche in questo caso non segue un percorso predeterminato a meno che non si tratti di un’immagine ricorrente; il simbolo viene decodificato soprattutto in relazione alla sua forma e alla sua funzione. Fin qui i percorsi si assomigliano. Differiscono però in modo significativo per la natura della res, per la sua raggiungibilità e per le emozioni coinvolte. La res del simbolo psicoanalitico si trova nel mondo interno della persona, è sconosciuta non solo all’analista, ma anche al paziente, in quanto è stata occultata dalla rimozione e quest’ultima è stata attivata a causa dell’angoscia e degli effetti traumatici connessi alla stessa res. La res della figura retorica (la persona piena di 267 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia sé dell’esempio riportato) è invece reale, appartiene al mondo esterno. Inoltre, nell’ambito della retorica, il tropo esiste indipendentemente da quella specifica res, mentre nella psicoanalisi il simbolo si forma esclusivamente in riferimento a quella res particolare. Infine, sia la figura retorica che il simbolo psicoanalitico sono nati a seguito di una deformazione, ma mentre nel primo caso il processo che la caratterizza è di solito facilmente percorribile e comprensibile, nel secondo è più difficile perché la deformazione è stata prodotta dal processo primario (inconscio), non dal processo secondario (conscio) come nel caso della retorica. In conclusione, soppesate le somiglianze e le differenze, riteniamo del tutto lecito ricondurre il simbolo psicoanalitico nell’ambito di pertinenza della retorica, con la consapevolezza che mentre le figure retoriche del discorso si collocano nel dominio della coscienza e al massimo attingono al Preconscio, il simbolo psicoanalitico deve fare i conti con l’Inconscio, quindi richiede un percorso ermeneutico ben più complesso e ispirato a grande cautela. 1.1 Il simbolo e l’assenza Il simbolo ha la sua ragion d’essere in relazione a un’assenza. Piaget6 ha evidenziato come nel bambino l’attività simbolica abbia inizio a partire dal diciottesimo mese, quando acquisisce la permanenza mentale dell’oggetto; condizione che rende possibile lo sviluppo del pensiero vero e proprio. La rappresentazione psichica di un oggetto ha la funzione di conservarne l’immagine interna quando l’oggetto stesso è assente. Quell’immagine è considerata un simbolo, cioè un significante che rinvia a un referente non disponibile. Anche il simbolo psicoanalitico rimanda a un’assenza, ma si differenzia da quello trattato in altri ambiti della psicologia perché, come si è detto, rinvia a un contenuto che non è assente dal mondo reale, ma è latente in quanto è stato occultato attraverso la rimozione, quindi reso inconscio. 1.2 Sigmund Freud. Le basi del simbolismo psicoanalitico Freud ha fissato i riferimenti teorici fondamentali del simbolismo psicoanalitico. Prendiamo come testo di riferimento un caso clinico, quello del piccolo Hans7. Il giovane paziente soffre di una fobia centrata sulla paura di uscire di casa per il timore di essere morso da un cavallo. Il cavallo immaginato da Hans, come emerge dall’analisi, rinvia al padre poiché ha dei tratti neri attorno agli occhi e sopra la bocca (il padre porta gli occhiali e ha i baffi); il fatto che il cavallo morda rimanda agli aspetti castranti del padre; alcuni cavalli che compaiono nelle fantasie di Hans trascinano grossi contenitori (omnibus pieni di gente, carri per traslochi e per il trasporto del carbone): il contenitore J. Piaget, La formazione del simbolo nel bambino, Firenze 1972. S. Freud, Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (caso clinico del piccolo Hans), in Id., Opere, a cura di C. L. Musatti, vol. 5, Torino 1972, pp. 481-592. 6 7 268 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia simboleggia, secondo Freud, la gravidanza; Hans teme anche che il cavallo cada: l’immagine si collega da un lato al parto e dall’altro all’eventualità inconsciamente desiderata che il padre possa morire. Nello stesso caso clinico compare la fantasia di uno stagnaio che aggredisce Hans mentre fa il bagno nella vasca e gli trapassa il ventre con un grosso trivello: il trivello sta per il pene del padre, il gesto dello stagnaio rimanda all’atto sessuale con la madre e l’acqua in cui è immerso il bambino simboleggia l’alvo materno. La decodificazione dei simboli, che sono gli stessi nella normalità e nella psicopatologia, nel bambino e nell’adulto, nel gioco, nel comportamento quotidiano, nelle fantasie, nell’arte, nei riti, nei miti, nel folklore, nelle leggende e in ogni ambito del pensiero, segue in qualunque caso le ‘regole’ esposte nell’Interpretazione dei sogni8. Se il sogno è la via regia all’Inconscio, il codice onirico diviene la chiave interpretativa generale del simbolismo psicoanalitico. Gli ambiti a cui far riferimento per attribuire significato ai simboli, nella prospettiva freudiana, sono piuttosto ristretti e attingono a un’eredità filogenetica centrata su rimandi semantici quali i genitori, la nascita, la morte, il corpo, la nudità, i fratelli e soprattutto la sessualità. L’ambito analogico per la decodifica dei simboli si articola prevalentemente sulla forma, sulla funzione e sull’azione degli oggetti (il trivello rimanda al pene sia per la sua forma allungata sia perché produce una penetrazione) e sui ruoli delle persone (Hans che viene trapassato dal trivello rinvia al femminile e quindi alla figura materna). Qualche precisazione. Come si nota dai pochi esempi riportati, tutto confluisce in un ambito simbolico e l’interpretazione può sembrare allo stesso tempo meccanica e automatica, oltre che poco rigorosa (il cavallo rimanda al padre per la sua aggressività e anche alla madre-contenitore; la caduta simboleggia il parto e anche la morte). Il motivo di quest’ultima impressione dipende dal fatto che i simboli, nonostante rimandino a pochi campi semantici fissi, non possono essere soggetti a una decodificazione rigida e univoca perché, come evidenzia Freud, sono per loro natura polisemici, ambigui e sovradeterminati9. Solo il contesto di significazione che si delinea attraverso le associazioni libere, il transfert e la rete di rinvii interni al discorso del paziente consentono di attribuire ai simboli un significato ritenuto pertinente. L’interpretazione freudiana dunque è ‘combinata’, nel senso che da un lato ha un riferimento soggettivo, ancorato alle associazioni e alla storia personale del paziente, mentre dall’altro ha un rimando diverso, esterno, almeno in parte oggettivo, dato che i simboli esistono indipendentemente dal soggetto e appartengono a una dimensione mentale (e culturale) condivisa, trasversale agli individui. Spetta all’analista far incontrare i due poli della significazione attraverso il suo pensiero. Compito molto delicato, evidentemente: non è un caso che lo stesso Freud sottolinei spesso la necessità di essere cauti nell’attribuzione di un significato ai simboli. In relazione alla portata simbolica del sintomo, la patologia forse più interessante è l’isteria di conversione, in cui il conflitto psichico è trasferito su 8 9 S. Freud, L’interpretazione dei sogni, in Id., Opere, a cura di C. L. Musatti, vol. 3, Torino 1966. Ibid. 269 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia sintomi somatici quali tremori, paresi, afonia, anestesia o iperestesia, cecità, allucinazioni, attacchi convulsivi. Questi sintomi sono la manifestazione in forma simbolica di un conflitto inconscio, che nella maggior parte dei casi rinvia a dinamiche edipiche. Il caso di Dora10 è esemplare al proposito. Tra il sintomo e il suo significato latente non esiste una relazione diretta e immediata, ma per risalire al secondo è necessaria un’indagine approfondita. Un ulteriore elemento di complessità: il sintomo è spesso influenzato anche dai condizionamenti culturali dell’epoca in cui vivono sia il paziente che l’analista. 1.3 Sandor Ferenczi. Il simbolo e il corpo Una caratteristica peculiare del pensiero psicoanalitico è la connessione intima tra corpo e mente: la psiche è radicata fin dalla nascita nel soma individuale e le due dimensioni si implicano reciprocamente. L’importanza di questo legame per la formazione dei simboli è stata evidenziata da Ferenczi il quale, osservando quelle che definisce «fasi evolutive del senso di realtà»11, ipotizza che il bambino attribuisca al mondo esterno delle qualità che appartengono a sé. Infatti, ad un certo punto del suo sviluppo (non viene indicato un riferimento cronologico preciso), tende a percepire la realtà secondo una prospettiva animistica: da un lato ogni oggetto gli appare vivo e dall’altro egli ritrova in ciascun oggetto i propri organi e le proprie funzioni. Tra il corpo del bambino e il mondo esterno si crea una rete di corrispondenze morfologiche e funzionali che sono alla base del simbolismo. I simboli, non solo quelli onirici, hanno origine da questa fase di sviluppo ontogenetico. La capacità di creare relazioni simboliche rappresenta il primo vero contatto funzionale del bambino con la realtà. 1.4 Melanie Klein, Hanna Segal e Wilfred Bion. Simbolo e pensiero Melanie Klein approfondisce la concezione freudiana affermando che «il simbolismo … non è solo la base di tutte le fantasie e le sublimazioni, ma qualcosa di più: è su di esso che si edifica il rapporto del soggetto con il mondo esterno e con la realtà nel suo complesso»12. Il simbolo è dunque il mediatore tra l’individuo e la realtà, ed è attraverso il simbolo che sono possibili la conoscenza, il linguaggio, la fantasia, le relazioni con gli oggetti, il sogno, il pensiero, la sublimazione. Non esiste attività psichica che non sia basata su simbolizzazioni. S. Freud, Frammento di un’analisi d’isteria (caso clinico di Dora), in Id., Opere, a cura di C. L. Musatti, vol. 4, Torino 1970, pp. 305-406. 11 S. Ferenczi, Fasi evolutive del senso di realtà, in Id., Fondamenti di psicoanalisi. Parte prima: Teoria. Volume I. Le parole oscene e altri saggi, a cura di G. Carloni ed E. Molinari, Rimini 1972, pp. 41-57. Id., Sull’ontogenesi dei simboli, Ivi, pp. 71-75. 12 M. Klein, L’importanza della formazione dei simboli nello sviluppo dell’Io, in Id., Scritti (19211958), Torino 1978, p. 251. 10 270 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia Fin dall’inizio della vita, e poi in modo esemplare con il gioco, il bambino rappresenta attraverso simboli la propria relazione con l’oggetto, la propria angoscia e le difese che attiva di volta in volta. La simbolizzazione è resa possibile dai meccanismi di proiezione, a seguito dei quali gli oggetti interni vengono espulsi nella realtà esterna. In questo modo si instaura una connessione e una relazione di possibile equivalenza tra il dentro e il fuori e in particolare tra il proprio corpo e gli oggetti del mondo esterno. È un concetto già studiato da Ferenczi, che Melanie Klein riprende e approfondisce. L’oggetto esterno sta per una parte del proprio corpo o per un oggetto interno. In questo snodo si colloca la chiave interpretativa dei simboli, che in Melanie Klein hanno rimandi di natura corporea e prevalentemente genitale, dato che si saldano alle dinamiche mentali connesse alle fantasie inconsce, che sono orientate in quella direzione. La simbolizzazione nasce quindi dalla necessità di liberarsi degli oggetti interni persecutori e dall’aggressività ed è resa possibile grazie allo sviluppo dell’Io che affronta l’angoscia già in età molto precoce. Nella formazione del simbolo ha un ruolo primario la fantasia di aggredire il corpo materno con i suoi contenuti. La madre dispone nel suo interno di una ricchezza di oggetti di cui il bambino si vuole inconsciamente appropriare. Questo attacco sadico, che risponde a un istinto definito dalla Klein ‘epistemofilico’, è il modello della conoscenza e della simbolizzazione. Il sadismo del bambino e le conseguenti possibili ritorsioni in fantasia da parte degli oggetti aggrediti sono fondamentali per lo sviluppo del simbolismo infantile. Una prematura e troppo rigida difesa dell’Io del bambino contro il proprio sadismo determina l’arresto del rapporto con la realtà e inibisce lo sviluppo della capacità di simbolizzazione. A questo proposito si possono distinguere l’equazione simbolica e la rappresentazione simbolica (o simbolo vero e proprio). L’equazione simbolica (concetto elaborato da Hanna Segal13, che sviluppa alcune premesse di Melanie Klein) consiste in una perfetta coincidenza e sovrapponibilità tra il simbolo e la cosa simbolizzata: il simbolo è la cosa simbolizzata. Non esiste alcuna distanza tra oggetti e funzioni del mondo esterno da un lato e contenuti del mondo interno dall’altro. La rappresentazione simbolica invece è il risultato di un’elaborazione più complessa per cui il simbolo sta per la cosa simbolizzata; in questo modo si forma uno spazio mentale che consente di tenere distinti i due poli della simbolizzazione. Nella rappresentazione simbolica, lo strumento musicale che la paziente suona rappresenta, sta per il suo genitale; nell’equazione simbolica lo stesso strumento è il suo genitale. L’equazione simbolica è usata per negare la distinzione tra il soggetto e l’oggetto e la perdita dell’oggetto; il simbolo autentico invece segnala l’accettazione della separazione tra il soggetto e l’oggetto e rende pensabile il lutto connesso alla perdita dell’oggetto, che il soggetto ha accettato. H. Segal, Note sulla formazione del simbolo, in Id., Scritti psicoanalitici. Un approccio kleiniano alla pratica clinica, Roma 1984, pp. 60-76. Id., Il simbolismo, in id., Sogno, fantasia e arte, Milano 1991, pp. 37-58. Id., Spazio mentale ed elementi del simbolismo, Ivi, pp. 59-77 . 13 271 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia In sostanza, l’elaborazione del simbolo dipende: 1) dalla rinuncia a forme onnipotenti di identificazione che neghino la separazione dall’oggetto; 2) dalla capacità di tollerare il lutto per la scomparsa dell’oggetto e quindi di accettarne la perdita e la rappresentazione in absentia; 3) dalla consapevolezza della distinzione tra realtà esterna e mondo interno14. Il concetto di equazione simbolica è il riferimento utilizzato da Bion15 per spiegare il funzionamento mentale del soggetto psicotico, caratterizzato da una mancanza di confini tra il sé e l’oggetto esterno e dall’alterazione della capacità di simbolizzazione. In lui non è di fatto assente la funzione simbolica, ma il suo rapporto con la realtà è intriso di una simbolicità scontata, evidente e ovvia, basata su presupposti magici e onnipotenti. Il simbolo è direttamente connesso a un fatto o a un oggetto esterno. Mentre il simbolo consiste normalmente in un’entità (ad es. una bandiera) che simboleggia un’altra entità (la nazione), nello psicotico non esiste la distanza che rende possibile la simbolizzazione, così la prima entità non simboleggia, ma è l’entità a cui rinvia. 1.5 Otto Rank e Anna Freud. Rigidità e duttilità del simbolo Due autori, Otto Rank e Anna Freud, hanno proposto due modalità di decodificazione dei simboli psicoanalitici che risultano radicalmente diverse, non solo per i contenuti, ma soprattutto per le strategie psichiche che stanno alla base dell’interpretazione e che sono ispirate in un caso alla rigidità e all’uniformità, nell’altro alla duttilità e alla molteplicità. Rispetto al modello freudiano e a quello kleiniano, l’interpretazione dei simboli di Rank16 è molto più rigida e univoca, in quanto ha un unico rimando semantico, rappresentato dall’evento della nascita. La realtà creata dalla mente dell’uomo è una catena ininterrotta di simboli che rievocano la realtà originaria perduta, la nascita appunto, ma che allo stesso tempo la tengono lontana dalla coscienza. Qualche esempio: i sogni di appagamento del desiderio e di comodità rinviano alla situazione di beatitudine dell’esistenza intrauterina; quelli d’angoscia esprimono il trauma della nascita (situazione analoga alla cacciata dal Paradiso); quelli imperniati sull’imbarazzo e sull’ansia per il superamento di un ostacolo e quelli centrati sulla sensazione fisica del freddo alludono alle sensazioni, alle difficoltà e agli impedimenti provati al momento dell’uscita dal corpo della madre. La centralità della nascita si espande anche al di fuori della psicoanalisi: l’eroe invulnerabile della mitologia, sempre secondo Rank, è come avvolto simbolicamente da un utero permanente che lo protegge. Il trovatello abbandonato e poi adottato da un’altra famiglia che lo alleva, presente nelle fiabe e nei miti, ripropone il tema della prima e della seconda separazione (rispettivamente la nascita e lo svezzamento). Anche la religione viene spiegata da questo autore come creazione da parte della mente umana di un essere originario protettivo nel R. D. Hinshelwood, Dizionario di psicoanalisi kleiniana. Milano 1990. W. R. Bion, Attenzione e interpretazione, Roma 1973. 16 O. Rank, Il trauma della nascita e il suo significato psicoanalitico, Rimini 1972. 14 15 272 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia cui seno ogni individuo possa trovare rifugio dai pericoli. Così la vita ultraterrena altro non è che la riproposizione del paradiso che è stato perduto con la nascita. Anna Freud17, al contrario, usa molta cautela nell’interpretare i simboli che emergono nel materiale analitico. Ritiene che la componente simbolica non possa mai venire decodificata in maniera diretta e meccanica e che il processo richieda grande attenzione. Evidenzia anche come il dubbio sia una componente indispensabile del pensiero dell’analista quando deve accostarsi ai simboli, per evitare semplificazioni ed errori. 1.6 Jacques Lacan. Il Simbolico e il linguaggio Lacan18 parla di simbolo esplicitamente in riferimento al linguaggio verbale. Dalle teorie linguistiche di Jakobson19 ricava alcune suggestioni che lo orientano verso la cosiddetta svolta dall’Immaginario (che ha la sua espressione più nota nello ‘stadio dello specchio’) al Simbolico, passaggio che risulta parallelo a quello dall’immagine al significante linguistico. Dalla linguistica strutturale Lacan riprende il concetto secondo cui il linguaggio non è un semplice strumento espressivo usato dall’uomo per le proprie necessità comunicative, ma è un sistema autonomo dal soggetto; questo non vi si accosta dall’esterno per utilizzarlo, ma al contrario vi è immerso e ne viene determinato. L’uomo non parla usando il linguaggio, ma viene parlato dal linguaggio stesso. L’individuo è soggetto al sistema linguistico e la sua mente ne viene plasmata. Le regole della lingua diventano regole della mente individuale. Il linguaggio si identifica con l’ordine Simbolico che controlla il soggetto. L’alienazione individuale non è più pensata come conseguenza della scissione dalla propria immagine che emergeva nella fase dello specchio, ma è originata dal linguaggio, indicato come Altro con la maiuscola per segnalare la differenza con l’altro inteso sia come immagine speculare sia come individuo diverso da sé (ordine immaginario). L’Altro coincide con le leggi del linguaggio e, di riflesso, della cultura, che plasmano la mente dell’uomo. Il passo successivo di Lacan consiste nel considerare l’Inconscio non più come l’irrazionale e il primitivo, ma come un linguaggio. Concetto che a rigore esiste anche in Freud in riferimento al sogno, agli atti mancati, al motto di spirito e ai sintomi. Con la differenza che Freud usa l’espressione ‘linguaggio’ nella sua accezione più ampia, come insieme di regole ricostruibili attraverso l’osservazione delle manifestazioni dell’Inconscio, mentre Lacan si riferisce espressamente al linguaggio verbale, al punto che le manifestazioni dell’Inconscio sono assimilate alle figure retoriche, in particolare alla metonimia e alla metafora. Per Lacan, metonimia e metafora sono effetti di senso che eccedono l’ambito del significato A. Freud, L’Io e i meccanismi di difesa, Firenze 1967. Id., Normalità e patologia nel bambino. Milano 1969. 18 J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicanalisi, in Id., Scritti, Volume I, a cura di G. B. Contri, Torino 1974, pp. 232-316. Id., I Seminari. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud, Torino 1978. Id., I Seminari. Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi 2006. 19 R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Milano 1966. 17 273 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia e vanno al di là di ciò che il soggetto vuol dire; non sono solo due artifici linguistici, ma costituiscono le modalità di funzionamento simbolico dell’Inconscio: in particolare la metonimia corrisponde allo spostamento (un’immagine sta al posto di un’altra), la metafora alla condensazione (un’immagine nasce dalla fusione di due o più immagini), meccanismi teorizzati da Freud in riferimento al lavoro onirico, all’Inconscio e al processo primario. Dunque in Lacan il linguaggio e l’Inconscio, attraverso la metonimia e la metafora, vengono assimilati reciprocamente. 1.7 Ignacio Matte Blanco. Il simbolo tra logica simmetrica e asimmetrica Indispensabile, per accostarsi alla teoria del simbolo di Ignazio Matte Blanco, è fornire qualche indicazione preliminare sulle due logiche che, nella sua teoria, sono alla base della costruzione del pensiero20. La prima è la logica bivalente o asimmetrica, ossia la logica aristotelica: caratterizza la coscienza (il processo secondario di Freud) e il suo modo di funzionamento. Nel pensiero occidentale coincide con la logica tout court. In termini di tempo comprende le idee di passato, presente e futuro; in termini di spazio il qui e il là, l’interno e l’esterno, il sopra e il sotto, il dentro e il fuori; si basa sulla distinzione tra il sé e il non sé, tra il tutto e le sue parti, tra l’individuo e il gruppo di cui fa parte. La seconda è la logica simmetrica, caratteristica dell’inconscio, che si basa sulle leggi del processo primario di Freud. Comprende due principi: il principio di simmetria e quello di generalizzazione. Il principio di simmetria è quello in base al quale l’inconscio tratta le relazioni come se fossero uguali al loro inverso. Un esempio di relazione simmetrica è costituito dalla frase ‘Giovanni è il fratello di Franco’, che può essere capovolta senza modificarne il senso. Una relazione asimmetrica è invece quella espressa nella frase ‘Giovanni è il padre di Franco’, che non può essere capovolta senza stravolgerne il significato. Franco infatti nella prima frase è fratello di Giovanni, mentre nella seconda Franco non è il padre di Giovanni. Quest’ultima argomentazione però è stata effettuata secondo i parametri della logica asimmetrica, in base alla quale se Giovanni è il padre di Franco, Franco non è il padre di Giovanni. Secondo il principio di simmetria invece le due proposizioni sono perfettamente compatibili. Il principio di generalizzazione consiste nel fatto che l’inconscio non conosce individui, ma solo classi. Nella logica simmetrica dell’inconscio c’è identità tra l’elemento e la classe, la quale è concepita come sottoclasse di una classe più ampia, che è a sua volta sottoclasse di un’altra classe ancor più ampia e così via all’infinito. Nella logica simmetrica scompaiono i concetti di successione, di spazio e di tempo; la parte e il tutto si identificano; il principio di non contraddizione svanisce. 20 I. Matte Blanco, L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla Bi-logica, Torino 1981. 274 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia Perché esista un normale processo di pensiero è necessaria la presenza simultanea di tratti asimmetrici e di tratti simmetrici tanto nella coscienza quanto nell’inconscio. A questo punto possiamo capire meglio il concetto di simbolo elaborato da Matte Blanco. La significazione simbolica, secondo questo autore, si colloca all’interno di una classe di equivalenza, cioè di una classe costituita da elementi equivalenti tra di loro, che si rinviano reciprocamente sulla base di connessioni di natura, appunto, simbolica. Una classe di equivalenza collega due elementi sulla base di analogie di forma e/o di funzione. Esistono alcuni simboli fondamentali, come il pene e la vagina, la cui portata simbolica rinvia alla prospettiva freudiana e kleiniana. La preminenza del pene e della vagina sugli altri elementi che appartengono alle loro stesse classi di equivalenza deriva dal fatto che sono i primi ad essere sperimentati dal bambino nella loro portata biologica, che precede quella simbolica. Tra il simbolo e la cosa simboleggiata esiste un legame particolare di significazione che costituisce la classe di equivalenza. Ad esempio l’analista e il padre sono due elementi che stanno tra di loro in una relazione simbolica all’interno della stessa classe di equivalenza, che si può definire quella delle ‘persone autoritarie e minacciose’ e che può comprendere anche altre figure simboliche quali l’insegnante, l’autorità politica, il poliziotto, il giudice. Gli elementi della classe sono equivalenti, ma non identici, altrimenti si slitterebbe dalla logica asimmetrica a quella simmetrica, in cui l’identità prende il posto dell’equivalenza, della somiglianza e di altre relazioni basate sulla distinzione. Il simbolo si pone dunque a cavallo tra la logica simmetrica e quella asimmetrica. Matte Blanco sostiene che la conoscenza e il pensiero sono processi simbolici. Entrambi si sviluppano attraverso rapporti di equivalenza tra elementi e tra esperienze. La conoscenza e il pensiero sono possibili solo attraverso relazioni simboliche. Tra le nuove conoscenze e quelle pregresse devono esistere rapporti di equivalenza che rendono possibile l’apprendimento. Le classi di equivalenza del pensiero sono i concetti, strutture astratte derivate dalla realtà fenomenica. L’individuo viene pensato da Matte Blanco come il punto di intersezione di infinite classi di equivalenza. La mente è considerata come costituita a sua volta da infiniti livelli di significazione: a un’estremità di questa gerarchia di livelli si trova la logica asimmetrica, quindi il modo di essere eterogeneo e dividente che rende possibile il pensiero grazie alla distanza tra gli elementi posti in relazione di equivalenza; all’altra estremità si colloca la logica simmetrica, quindi il modo di essere omogeneo e indivisibile, in cui regna l’identità e non è più possibile distinguere tra la cosa simbolizzata e il simbolo (si tratta di un concetto per alcuni aspetti analogo a quello di ‘equazione simbolica’ di Hanna Segal). Il pensiero è per sua natura dividente ed eterogeneizzante, ma al suo interno esistono aree misteriose e sfuggenti a cui sono riconducibili gli aspetti simmetrici e omogeneizzanti del nostro essere che, pur non essendo pensabili né esprimibili, sono sempre presenti e si materializzano nei simboli. 275 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia 1.8 Charles Rycroft ed Ernst Jones. Polisemia e ambivalenza del simbolo Molti altri psicoanalisti hanno centrato la loro attenzione sul simbolo. Riportiamo solo due punti di vista che riteniamo interessanti. Rycroft21 sostiene che senza simbolizzazione non può esistere il pensiero. Il motivo è che il processo simbolico è il risultato del bisogno del soggetto di fronteggiare e mantenere la distanza tra sé e l’oggetto: distanza fondamentale, perché consente di uscire da una possibile logica confusiva e simbiotica e quindi di attivare un autentico processo di mentalizzazione. Un altro aspetto importante teorizzato da Rycroft è la varianza polisemica del simbolo psicoanalitico: concezione che implica un distacco da ogni automatismo nella connessione tra un simbolo e il suo significato. Sempre questo autore introduce una distinzione di grande rilevanza tra il ‘simbolo vero’, creativo, che favorisce il pensiero, e il ‘simbolo falso’, confusivo, che invece boicotta il pensiero. È una differenza che si aggancia a ciò che in passato aveva evidenziato Jones22. Secondo quest’ultimo il simbolismo si basa sull’identificazione, processo attraverso cui la mente del bambino istituisce connessioni tra ‘oggetti di realtà’ e ‘idee primarie della vita’ quali il Sé corporeo, la famiglia, la nascita, la sessualità, la morte. I simboli però non hanno tutti la stessa funzione a livello psichico: alcuni possono avere un ruolo progressivo ed espansivo e quindi favorire l’attivazione del pensiero; altri invece hanno un ruolo difensivo e regressivo e sono usati per proteggere il soggetto dal contatto con aspetti inconsci troppo dolorosi e destabilizzanti. Ricordiamo che per Freud il simbolo risponde di fatto a una logica difensiva, mentre Melanie Klein, come si è visto, distingue a sua volta il simbolo autentico (la ‘rappresentazione simbolica’) dal simbolo che boicotta il pensiero (definito ‘equazione simbolica’). 2. La retorica e le zone d’ombra del testo Spostiamo ora l’obiettivo della nostra analisi sul linguaggio verbale e sulla narrazione autobiografica. Ci poniamo quindi in un ambito che si colloca da un lato all’interno della psicoanalisi in senso stretto, e dall’altro nella cosiddetta ‘psicoanalisi applicata’, che consiste nell’estensione del punto di vista e dei concetti psicoanalitici a contesti diversi da quello clinico, con lo scopo di indagare i processi mentali che si celano al di sotto di fenomeni di varia natura, quali l’arte, la letteratura, la narrazione, le dinamiche sociali, le relazioni interpersonali ecc. Esistono alcune differenze fondamentali riguardanti il tipo di osservazione praticata nei due settori indicati. Nella clinica psicoanalitica si cerca di penetrare al di sotto del livello superficiale di significazione delle parole del paziente per Ch. Rycroft, Dizionario critico di psicoanalisi, Roma 1970. E. Jones, La teoria del simbolismo, in Id., Teoria del simbolismo. Scritti sulla sessualità femminile e altri saggi, Roma 1972, pp. 94-150. 21 22 276 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia accedere all’Inconscio. Il processo è reso possibile dall’analisi delle resistenze e delle difese attivate dal soggetto, dalla considerazione degli aspetti ‘analogici’23 della sua comunicazione (i gesti, gli sguardi, le azioni sintomatiche e casuali, il tono di voce, la postura…) e soprattutto dal transfert del paziente (e, negli orientamenti relazionali della psicoanalisi, del controtransfert dell’analista). Al di fuori della stanza di analisi questi strumenti non sono disponibili. Se un ricercatore sta ascoltando la registrazione di un’intervista oppure sta leggendo una narrazione autobiografica o le risposte a un questionario, può intercettare le difese che sono state attivate a livello linguistico dall’autore. Ma nei confronti degli eventuali contenuti psichici oscurati attraverso le sue strategie narrative, siano essi inconsci o preconsci, può solo avanzare caute ipotesi. Il suo sguardo non può travalicare quello del linguaggio verbale, è vincolato ad esso. Quello che la semiotica definisce ‘autore reale’24 rimane necessariamente confinato al di fuori del testo con cui il ricercatore si confronta. Egli può risalire all’ ‘autore implicito’25, cioè all’immagine di sé che l’autore reale ha messo in campo. Poi, approfondendo lo sguardo sugli aspetti non tanto contenutistici quanto formali del testo quali la struttura, lo stile, le funzioni dei personaggi, la focalizzazione, la distanza e i tipi di discorso, le figure retoriche, il non-detto e così via, può intercettare alcuni aspetti della comunicazione che lo possono far penetrare al di sotto della superficie del testo e cogliere alcuni scarti nei confronti dell’immagine di sé che l’autore reale ha affidato al testo più o meno consapevolmente e in funzione spesso difensiva. Questi segnali che ‘bucano’ la superficie del testo hanno una funzione analoga a quella dei lapsus e degli atti mancati. Segnalano uno scarto tra la superficie del testo e la significazione latente, ma non sono supportati dalle componenti analogiche della comunicazione orale e soprattutto dal transfert. La conseguenza è che quando si analizza un testo da un punto di vista psicodinamico, si intercettano gli aspetti riconducibili a meccanismi difensivi dell’autore, si coglie il mascheramento, la falsificazione, la deformazione e altre strategie che può notare chi ha una certa pratica con questo tipo di approccio al testo, si individua il disagio nei confronti di un contenuto psichico sgradevole, il desiderio di occultare un dolore mentale, un ricordo destabilizzante, ma non si può interpretare al modo dello psicoanalista, non si deve avere la presunzione di poter risalire a una presunta verità inconscia. Si possono evidenziare le difese e le falsificazioni dell’autore, ma per avere credibilità il processo non deve spingersi oltre. Chi analizza un testo scritto da un punto di vista psicodinamico non deve scambiare il proprio ruolo con quello dell’analista. Un ambito particolarmente significativo in questo tipo di analisi riguarda la componente retorica del testo. Lo scopo per cui si ricorre normalmente a determinate strategie retoriche, com’è noto, è la volontà da parte dell’emittente di ottenere determinati effetti nel P. Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Roma 1971. 24 M. Corti, Principi della comunicazione letteraria, Milano 1976. 25 S. Chatman, La struttura della comunicazione letteraria, in «Strumenti critici», XXIII, 1974, pp. 1-40. M. Corti, cit. 23 277 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia destinatario: convincerlo, commuoverlo, blandirlo, provocarlo. Sono processi che si collocano nell’ ambito della coscienza. In riferimento a testi autobiografici prodotti ad esempio all’interno di una ricerca (interviste, questionari, testi di varia dimensione e forma in cui l’autore parla di sé), si può notare però anche un uso della retorica che sfugge in qualche modo al suo statuto ‘classico’. Infatti la figura retorica, in ottica psicodinamica, si rivela essere la manifestazione di un’attività difensiva inconscia nei confronti di affetti dolorosi connessi a contenuti mentali che si stanno per esprimere (o sono stati espressi) nel testo. Attraverso le figure retoriche generate dai meccanismi difensivi, gli affetti e i contenuti dolorosi da un lato si oscurano sotto il livello di superficie della parola e dall’altro traspaiono in modo per alcuni aspetti analogo a quanto accade nel sintomo o nell’atto mancato. Accade non di rado che ‘ciò che si dice’ (‘significato’) sia una maschera che viene infranta qua e là proprio dal ‘modo in cui si dice’ (‘significante’). Una persona, ad esempio, può sostenere di essere soddisfatta della propria condizione, ma se questo concetto viene ripetuto con eccessiva frequenza (figura retorica dell’iterazione), si è in presenza di un fenomeno da considerare con attenzione. C’è anche un altro aspetto da considerare. Se la retorica nella sua accezione classica è finalizzata alla persuasione dell’altro, nell’approccio psicodinamico si nota che chi usa figure retoriche nei testi autobiografici attiva più o meno consapevolmente alcune strategie per risultare persuasivo anche e forse soprattutto nei riguardi di se stesso. In questa prospettiva, le figure retoriche possono venire considerate da un lato come strumenti del processo di definizione del Sé, dall’altro come artifici difensivi nei confronti di affetti dolorosi che vengono nascosti, mascherati, repressi, ma che traspaiono comunque in filigrana nel testo. Vediamo alcune figure retoriche e la loro funzione in prospettiva psicodinamica. 2.1.Rafforzamento della struttura del discorso Attraverso un rafforzamento strutturale del discorso ottenuto con precise strategie retoriche si possono tenere sotto controllo gli affetti connessi ai propri contenuti psichici. Prendiamo come esempio l’isocolo (parallelismo sintattico): l’architettura della frase viene rinforzata in base a una strutturazione su linee sintattiche parallele. Viene creato un isomorfismo tra i diversi segmenti del discorso, e in questo modo si costituisce una base più bilanciata, meno precaria, che nella sua ripetitività offre un efficace contenimento emotivo. Si veda questo esempio: ‘L’anno scorso ho fatto un viaggio in Germania per distrarmi da un lutto che non riuscivo a elaborare. Anche due mesi fa sono andato in Marocco per cambiare aria e cercare di mettere tra parentesi un dolore. E già penso che quest’estate la trascorrerò in Normandia, con un obiettivo simile’. Troviamo tre periodi accostati e costruiti su uno schema sintattico analogo che comprende: un’indicazione temporale, un verbo di movimento, un luogo di destinazione e lo scopo del viaggio. Il fenomeno presenta qualche tratto in comune con la 278 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia coazione a ripetere freudiana. La differenza però è che nell’esempio riportato il rafforzamento della struttura sintattica consente di attenuare e contenere il dolore evocato. I meccanismi difensivi connessi all’isocolo sono da un lato un uso particolare della formazione reattiva, che contiene e riduce il senso di confusione e di sgretolamento dell’esperienza legata agli eventi attraverso il rafforzamento strutturale del periodo sintattico; dall’altro l’intellettualizzazione, infatti gli eventi sono diventati pensabili secondo una logica più astratta. In termini bioniani si può dire che l’irrobustimento del ‘contenitore’ (la struttura della frase) rende meno destabilizzanti i ‘contenuti’ (le esperienze rievocate). Nella stessa prospettiva di rafforzamento strutturale si collocano i fenomeni retorici centrati sulla ripetizione, come le iterazioni a contatto o a distanza, le anafore e le anadiplosi. La ricorrenza di una stessa parola o di uno stesso sintagma in una o più frasi poste a breve distanza genera un effetto analogo a quello dell’isocolo. Il ritmo giocato su una cadenza ripetuta permette una riduzione dell’imprevedibilità e parallelamente una strutturazione e un rafforzamento dell’esperienza ricostruita attraverso la parola. Anche in questo caso la ripetizione è funzionale a un’attenuazione della forza destabilizzante della sofferenza psichica. Rientra nella stessa logica il procedimento retorico dell’accumulazione (o elencazione) di sostantivi, aggettivi, avverbi, verbi. Con questo artificio si crea una cadenza che irrobustisce l’impianto della frase, soprattutto intorno a nuclei discorsivi che normalmente risultano delicati perché connessi ad affetti dolorosi. Questa tendenza si evidenzia particolarmente quando la serie sostantivale, aggettivale o di altra natura è disposta in forma di climax ascendente, in cui l’intensità delle singole espressioni disposte in sequenza è progressivamente crescente (‘bello, bellissimo, meraviglioso, mitico!’; ‘una frustrazione, un dispiacere, una tragedia’). Anche nelle forme dell’iterazione e in quelle dell’accumulazione si agisce sul contenitore, imponendogli una struttura e un ritmo che lo rafforzano in modo da proteggere le emozioni veicolate dai suoi contenuti. 2.2 Strategie di attenuazione Alcune soluzioni retoriche comportano un’attenuazione dell’intensità dell’espressione e delle componenti emotive del testo. Esemplari a questo proposito sono la perifrasi e l’eufemismo, due figure che tendono a rendere meno destabilizzanti i contenuti psichici. Un effetto simile può essere ottenuto attraverso l’uso retorico della negazione, come si nota nella litote, nella preterizione e nell’antifrasi. In riferimento ai meccanismi di difesa attivati dall’Io, la preterizione (es. ‘non dico di star male’) è rapportabile all’annullamento retroattivo, in quanto nega una verità dolorosa nel momento in cui la esprime, quasi ponendo uno schermo opaco davanti a ciò che esiste ma si vorrebbe occultare; l’antifrasi (es. ‘questa mattina mi sento proprio in forma!’, detto da una persona che sta male) richiama le dinamiche psichiche della formazione reattiva, poiché l’ironia che 279 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia spesso l’accompagna tende a ribaltare la qualità dell’affetto presente; la litote (es. ‘non sto tanto bene’ per ‘sto davvero male’) ha l’aspetto di un diniego, però solo apparente. Una difesa per alcuni aspetti rapportabile alle precedenti si nota nell’antitesi, figura che contrappone due concetti o situazioni di segno opposto, questa volta nominandole entrambe, ma rifiutando risolutamente quella considerata negativa e dolorosa (es. ‘non amo la solitudine, amo invece la compagnia’). Alla base si trova il meccanismo difensivo della scissione. Nel caso dell’antitesi e della preterizione si nota anche il diniego freudiano, secondo cui nell’inconscio il no è in realtà un sì, la negazione è un’affermazione. 2.3 Dilazione e anticipazione delle emozioni destabilizzanti Altre difese che trovano espressione in strategie retoriche finalizzate a controllare le emozioni destabilizzanti nel testo sono la dilazione (riconducibile alle strategie di evitamento) e, simmetricamente, l’anticipazione. Queste modalità difensive si manifestano rispettivamente nell’uso di frasi parentetiche e incidentali (che qualche manuale considera fenomeni di pertinenza della retorica26) e nel ricorso all’hysteron proteron. Le prime, soprattutto se dotate di una certa estensione, possono lasciar trasparire un desiderio inconscio di rendere meno lineare il tragitto che conduce verso un contenuto mentale disturbante. L’hysteron proteron consiste nel ‘mettere prima ciò che viene dopo’, ossia nel capovolgere l’ordine di successione reale degli eventi quando questi vengono esposti nel testo. Si tratta anche in questo caso di una modalità di boicottaggio della linearità del discorso che conduce a un tema doloroso, però capovolta rispetto alla precedente: si assiste infatti non a un rinvio, ma a un’anticipazione del contenuto doloroso del discorso, quasi per abbreviare l’ansia generata dall’attesa. 2.4 Giochi di somiglianze La similitudine, la metafora, la metonimia e, in parte, la sineddoche sono figure retoriche che presuppongono alcuni meccanismi psichici difensivi come la proiezione, la condensazione e lo spostamento. La similitudine consiste nel proiettare una o più qualità (tertium comparationis) di un oggetto del pensiero (e del discorso) su un secondo oggetto, definito ‘termine di paragone’, con il quale si instaura una relazione di somiglianza espressa solitamente dalla congiunzione ‘come’. In qualche caso può accadere che il secondo termine del paragone possa presentare aspetti in parte eterogenei o imprevisti a livello razionale. La similitudine ‘mi sento gonfio come un pallone’ ha un significato esplicito (‘ho mangiato al punto d’avere la pelle del ventre tesa come la superficie di un pallone pieno d’aria’); a seconda del contesto o dello stato d’animo del soggetto possono emergere però sfumature latenti, collegate al fatto che il pallone in alcuni giochi viene preso a calci o a schiaffi; se è gonfiato con l’idrogeno può perdersi nel cielo; se la pressione interna è eccessiva 26 B. Mortara Garavelli, Le figure retoriche, Milano 1993. 280 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia può esplodere. Alcuni contenuti inconsci possono voler rimanere nell’ombra, ma possono anche trovare una via imprevista di espressione, possono essere contemporaneamente celati e manifestati da questa figura. La proiezione di un contenuto mentale su un oggetto del discorso si può abbinare a uno spostamento, dato che un aspetto significativo può rimanere in ombra, celato da uno più evidente che funge da schermo. Mentre nella similitudine prevalgono i meccanismi della proiezione e dello spostamento, nella metafora si attiva soprattutto la condensazione. Questa figura viene spesso descritta come una similitudine accorciata; notoriamente però il funzionamento mentale che la genera è ben più complesso, come evidenziato da alcuni testi ‘classici’ sull’argomento27. Dal punto di vista psicodinamico siamo in presenza di una regressione a una modalità di pensiero più arcaica, caratteristica della mente infantile, in cui i significati delle parole entrano reciprocamente in contatto secondo modalità intuitive, magiche e analogiche e non secondo percorsi razionali. La metonimia, rispetto alla metafora, è meno creativa e pone in relazione concetti dotati di contiguità semantica. Si può ad esempio usare l’astratto per il concreto (‘amicizie’ al posto di ‘amici), lo strumento per chi lo usa (‘il primo violino), l’autore per l’opera (‘leggere Manzoni’) e così via. Rispetto alla similitudine, la metonimia è meno esplicita e più intuitiva, mentre rispetto alla metafora il termine espresso e quello a cui si rinvia sono meno distanti. Anche nella metonimia si assiste a una condensazione, i cui tratti sono però più vicini rispetto alla metafora, poiché appartengono alla stesso campo semantico. Raffrontando similitudine, metonimia e metafora, si può ipotizzare che la distanza che l’autore della figura retorica cerca di porre inconsciamente tra i due termini del confronto (espliciti o impliciti) sia tanto maggiore quanto più disturbante è l’emozione sottesa al contenuto mentale. Sempre in questo ambito retorico si può collocare la sineddoche, che corrisponde, nella sua manifestazione più ricorrente, ad una relazione tra la parte e il tutto (‘le due ruote’ stanno per la bicicletta o la motocicletta; ‘il viso’ sta per l’intera persona). Per questo artificio retorico vale quanto detto sopra a proposito della metonimia. Inoltre la sineddoche rappresenta una regressione provvisoria alla modalità di pensiero caratterizzata dalla relazione con gli oggetti parziali, come quando, nella primissima infanzia, il seno sta per la madre. 2.5 Altri fenomeni retorici con effetti difensivi L’iperbole «consiste nell’usare parole esagerate per esprimere un concetto oltre i limiti della verosimiglianza»28. È una figura retorica riconducibile ai meccanismi difensivi dell’idealizzazione e della svalutazione. La prima, come U. Eco, Le forme del contenuto, Milano 1971. A. Henry, Metonimia e metafora, Torino 1975. A. Fonzi, E. Negro Sancipriano, La magia delle parole: alla riscoperta della metafora, Torino 1975. F. Rella (a cura di), La critica freudiana, Milano 1977. G. Conte (a cura di), Metafora, Milano 1981. J. Lakoff, M. Johnson, Metafora e vita quotidiana, Milano 1998. 28 A. Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Milano 1978, p. 130. 27 281 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia scrive Freud, «è un processo che ha a che fare con l’oggetto: in virtù di essa l’oggetto, pur non mutando la sua natura, viene amplificato e psichicamente elevato»29. Nella svalutazione il verso del vettore di questa amplificazione è capovolto. L’idealizzazione e la svalutazione possono venire considerate, in prospettiva kleiniana, il risultato di una tendenza alla scissione dell’oggetto buono e idealizzato da quello cattivo e persecutorio. L’idealizzazione quindi appare come una difesa contro le pulsioni distruttive nei confronti dell’oggetto e la svalutazione come una difesa maniacale volta al non riconoscimento della dipendenza e alla creazione di una barriera contro la perdita e la colpa. L’ironia è una figura retorica antifrastica che consiste nel dire un concetto significando il suo contrario. Lo iato tra il livello superficiale e il livello latente della comunicazione comprende a volte una tendenza aggressiva mascherata dal sorriso: per questo motivo il meccanismo difensivo attivato attraverso l’ironia presente nel testo è la formazione reattiva. Anche l’uso del luogo comune è interessante. Questa figura consiste nell’assimilare un caso singolare a una classe generale; in questo modo lo si dota di una verità non discutibile. Di conseguenza il suo uso appare rassicurante e produce nell’autore una sensazione di relazione fusionale e di partecipazione indistinta a una sorta di Altro universale idealizzato. Il luogo comune è il segnale di un bisogno di rinunciare alla propria differenza mimetizzandosi con i concetti condivisi. Esprime un desiderio inconscio di rendersi invisibile e di perdersi nella massa. Corrisponde a una strategia di evitamento nei confronti di una presa di posizione individuale ansiogena e segnala anche il ricorso all’affiliazione, che consiste nell’affidarsi agli altri per riceverne sostegno psichico e per contenere la solitudine e l’isolamento. 3. Qualche annotazione dalle ricerche neuroscientifiche Riportiamo in conclusione solo qualche informazione relativa alla ricerca neuroscientifica e in particolare alla neuroretorica, ambito in cui si studia il funzionamento del cervello quando vengono prodotte e fruite alcune figure retoriche, grazie alle moderne tecniche di neuro-imaging. I risultati sono utilizzati per capire il modo di attivazione cerebrale anche in relazione alle possibilità di successo delle tecniche di persuasione, soprattutto in ambito politico e pubblicitario. Le aree del cervello che si attivano in presenza di figure retoriche sono: - il nucleo accumbens, funzionale alla ricezione delle sensazioni di piacere e di paura e che ci costringe a connetterci empaticamente con il discorso di un’altra persona; - l’amigdala e l’ippocampo, che hanno la funzione di presiedere alla memoria episodica o autobiografica; S. Freud, Introduzione al narcisismo, in Id., Opere, a cura di C. L. Musatti, vol. 7, Torino 1975, p. 464. 29 282 © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia - i lobi frontali corticali e subcorticali, che realizzano la distinzione tra eventi finzionali e reali. Le osservazioni dei neuroscienziati hanno anche ampliato la teoria della lateralizzazione: la aree primarie delle funzioni linguistiche si collocano, com’è noto, nell’emisfero sinistro del cervello; in particolare nell’area di Broca, deputata alla produzione del linguaggio, e nell’area di Wernicke che riguarda la comprensione verbale. Le osservazioni con neuro-imaging mostrano però che anche l’emisfero destro viene coinvolto, soprattutto in presenza di figure retoriche quali l’ironia e la metafora. Se ci soffermiamo brevemente su questi dati, notiamo che l’aspetto più caratterizzante delle figure retoriche studiate dalle neuroscienze consiste nel coinvolgimento delle aree cerebrali connesse ad alcune emozioni, all’empatia, alla relazione tra realtà e finzione e agli aspetti autobiografici della memoria. Ciò conferma le osservazioni psicodinamiche precedenti secondo cui le figure retoriche sono legate ad emozioni (spesso sgradevoli) e alle difese contro queste emozioni, che tendono a modificarle, attenuarle o capovolgerle. Importante poi, sempre nella prospettiva psicoanalitica, è la funzione dell’empatia, essenziale per la comprensione delle figure retoriche, ma anche per la percezione delle emozioni legate ad esse: ciò in riferimento alle figure prodotte da altri ma anche da noi stessi, come confermato dagli studi sui ‘neuroni specchio’, collocati nell’area F5 del cervello, che consentono al destinatario di sintonizzarsi con l’emittente, di ‘incarnarsi’ con lui, di provare ciò che egli prova, di simulare a livello neuronale ciò che egli dice. Nella comunicazione, i neuroni specchio consentono di «comprendere gli effetti empatici che scaturiscono dal rapporto instaurato tra autore, lettore e testo »30. Nella nostra prospettiva aiutano anche a far sì che lo stesso emittente, rispecchiandosi nella propria strategia retorica, attui una sorta di intersoggettività interna, e consentono al ricercatore di sintonizzarsi con le emozioni affidate dall’autore al testo, utilizzando un contatto che non sia solo razionale, ma riprenda il modello dell’attenzione fluttuante di Freud31 e quello della rêverie di Bion32. S. Calabrese, Retorica e scienze neurocognitive, Roma 2013, p. 52. S. Freud, Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico, in Id., Opere, a cura di C. L. Musatti, vol. 6, Torino 1974, pp. 532-546. 32 W. R. Bion, Attenzione e interpretazione, Roma 1973. 30 31 283