Retorica del simbolo non verbale e del segno verbale

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N. 17, 2015 (I) - Tropi del pensiero: retorica e filosofia
Articoli/9:
Retorica del simbolo non verbale e del
segno verbale
Un approccio psicodinamico
Gian Luca Barbieri
Articolo sottoposto a peer-review. Ricevuto il 04/12/2014 Accettato il 15/02/2014
Abstract: The author studies the rhetoric in a psycho-dynamic point of view. In the first section
of the text, he presents the main theories of symbolism in the psycho-analysis, and shows that
this kind of symbol can be precisely a part of the rhetoric. In the second section he analyzes
the figures of speech in the autobiographical tales as expressions of mechanisms of defence.
In conclusion he exposes some neuroscientific theories about rhetoric to confirm his previous
observations.
***
Premessa
Nel presente contributo ci si accosta alla retorica da una prospettiva
psicodinamica, centrando l’attenzione su due diversi ambiti: il primo riguarda
il concetto di simbolo psicoanalitico, riferito a manifestazioni quali il sintomo,
il sogno, il lapsus e gli atti mancati in generale, ritenuti fondamentali per poter
accedere alla sfera inconscia della mente; il secondo è focalizzato sul linguaggio
verbale e sui modi in cui viene utilizzato non solo nella stanza di analisi, ma
anche nei contesti extra-analitici.
In riferimento al simbolo psicoanalitico si indagheranno dapprima i
suoi rapporti con la retorica e a seguire si presenteranno i contributi teorici
più significativi in ambito clinico. Per quanto riguarda la retorica si centrerò
l’attenzione sull’elocutio e in particolare su quelle che già Gorgia definiva figure1.
In conclusione si farà un breve excursus su alcuni risultati della ricerca
neuroscientifica applicata alla retorica.
1. Il simbolo psicoanalitico
La prima questione che vogliamo affrontare riguarda la possibilità di
ricondurre il simbolo psicoanalitico nella sfera di pertinenza della retorica.
Cerchiamo quindi di individuare alcuni aspetti comuni ai due ambiti.
1
R. Barthes, La retorica antica, Milano 1972.
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- Platone2 riteneva che una delle due retoriche da lui individuate, quella
dei retori e dei sofisti, riguardasse l’illusione, mentre l’altra, dei filosofi, fosse
centrata sulla verità. Il sintomo, il sogno e le altre manifestazioni dell’Inconscio
studiate dalla psicoanalisi riguardano mascheramenti e deformazioni (l’illusone
platonica) di una verità che viene rimossa per la sua portata destabilizzante.
- L’elocutio retorica è ‘ornamento’, quindi riguarda in primo luogo la
superficie della comunicazione. Anche i fenomeni indagati dallo psicoanalista
si collocano in superficie; e come gli effetti della retorica si realizzano al di là
dell’epidermide della parola, così nei sintomi, negli atti mancati e nelle altre
espressioni dell’Inconscio, per accedere al livello profondo della significazione
bisogna spingere lo sguardo al di sotto delle manifestazioni simboliche visibili.
- Sia per le figure retoriche del linguaggio che per il simbolo psicoanalitico,
il livello superficiale (‘significante’) e quello profondo (‘significato’) sono separati
da uno spazio psichico. Questo è attraversato da un vettore orientato in una
direzione nel momento dell’elaborazione della figura retorica e del simbolo e
nella direzione opposta quando al tropo e al simbolo si attribuisce un significato.
- In entrambi gli ambiti (tropo, simbolo psicoanalitico), tale significato
non è arbitrario, come nel caso del segno (Saussure3), ma è legato a precisi codici
e processi mentali.
- I modistae, retori e grammatici del XII secolo, collegavano la retorica dei
modi significandi (il senso delle parole) ai modi essendi (le proprietà dell’essere)
e ai modi intelligendi (la comprensione dell’essere). In modo analogo lo sguardo
dell’analista decodifica il senso del simbolo (modus significandi) connettendolo
da un lato ai modi essendi (le dinamiche psichiche prevalentemente inconsce del
soggetto) e dall’altro ai modi intelligendi (la comprensione profonda dei possibili
significati)4.
- Secondo Aristotele5 la retorica è una techne, la cui origine si trova nel
soggetto, non nell’oggetto creato; la medesima caratteristica si riscontra nel
simbolo psicoanalitico.
Tutti gli aspetti elencati evidenziano tangenze e sovrapposizioni tra i
meccanismi di significazione della retorica classica e del simbolo psicoanalitico.
Riteniamo però importante soffermarci anche sulle specificità di ciascuno dei
due ambiti, iniziando dal secondo.
Il processo di simbolizzazione studiato dalla psicoanalisi parte solitamente
da un evento doloroso o da un desiderio inammissibile che generano angoscia e
quindi vengono rimossi, diventando inconsci. Se la censura che separa l’Inconscio
dal Preconscio si allenta (durante il sonno, per una malattia o per qualsiasi
altro motivo), il contenuto rimosso passa attraverso le maglie della censura,
viene da essa deformato e può dare origine a un sintomo, a un atto mancato,
Platone, Gorgia, a cura di G. Zanetto, Milano 1994.
F. de Saussure, Corso di linguistica generale, a cura di T. De Mauro, Roma-Bari 1967.
4
R. Barthes, La retorica antica, cit.
5
Aristotele, Retorica, a cura di M. Dorati, Mondadori 1996.
2
3
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a un’immagine onirica o ad altri fenomeni psichici. Possiamo schematizzare il
processo in questo modo:
Esperienza dolorosa > rimozione > deformazione > simbolo (sintomo, atto
mancato ecc.)
L’interpretazione psicoanalitica parte dal simbolo e gli attribuisce un
significato. Per raggiungere questo obiettivo si ripercorre a ritroso il processo
di simbolizzazione, risalendo dalla componente fenomenica del simbolo
all’esperienza dolorosa rimossa.
Va ricordato che nella psicoanalisi freudiana si parla di interpretazione
come ‘costruzione’, poiché essa consiste non solo nel recuperare il contenuto
rimosso, ma anche nell’attribuirgli un significato in relazione ad alcuni snodi
della vita del paziente.
La ‘chiave’ per interpretare il simbolo varia a seconda del modello teorico
psicoanalitico di riferimento. In ogni caso, l’aspetto condiviso dalle diverse scuole
è che il simbolo viene generato esclusivamente dal meccanismo difensivo della
rimozione. Le altre difese (formazione reattiva, idealizzazione, razionalizzazione
ecc.) non producono simboli. La rimozione occulta completamente il contenuto
doloroso, mentre le altre difese si limitano a deformarlo o attenuarlo. Il simbolo
psicoanalitico rimanda dunque a un contenuto inconscio.
Osserviamo ora il processo di pensiero che si attiva nella elocutio retorica. Se
prendiamo come riferimento una qualsiasi metafora, per decodificarla è necessario
accostarsi ad essa non in modo referenziale ma in una prospettiva figurata. Il
codice per attribuirle un significato, a meno che la figura non sia entrata nell’uso
comune, non è prefissato ma va costruito. Dal livello letterale dell’espressione si
possono ricavare suggestioni per diverse possibili amplificazioni semantiche sulla
base dei tratti soprattutto morfologici e funzionali dell’immagine. Alla metafora
‘Mario è un pallone gonfiato’ si potrebbero attribuire due possibili significati:
‘persona presuntuosa’ e ‘uomo obeso’, poi l’uso ha conservato il primo e ha
escluso il secondo.
I processi mentali che si attivano in presenza di un simbolo psicoanalitico
sono simili: in primo luogo bisogna identificarlo come simbolo e quindi
disporsi ad attribuirgli un significato che ne travalichi la lettera; l’attribuzione
di significato implica che si individui la res a cui il simbolo rimanda (evento
traumatico, desiderio inaccettabile ecc.); l’interpretazione anche in questo caso
non segue un percorso predeterminato a meno che non si tratti di un’immagine
ricorrente; il simbolo viene decodificato soprattutto in relazione alla sua forma
e alla sua funzione.
Fin qui i percorsi si assomigliano. Differiscono però in modo significativo
per la natura della res, per la sua raggiungibilità e per le emozioni coinvolte.
La res del simbolo psicoanalitico si trova nel mondo interno della persona, è
sconosciuta non solo all’analista, ma anche al paziente, in quanto è stata occultata
dalla rimozione e quest’ultima è stata attivata a causa dell’angoscia e degli effetti
traumatici connessi alla stessa res. La res della figura retorica (la persona piena di
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sé dell’esempio riportato) è invece reale, appartiene al mondo esterno. Inoltre,
nell’ambito della retorica, il tropo esiste indipendentemente da quella specifica
res, mentre nella psicoanalisi il simbolo si forma esclusivamente in riferimento
a quella res particolare. Infine, sia la figura retorica che il simbolo psicoanalitico
sono nati a seguito di una deformazione, ma mentre nel primo caso il processo
che la caratterizza è di solito facilmente percorribile e comprensibile, nel secondo
è più difficile perché la deformazione è stata prodotta dal processo primario
(inconscio), non dal processo secondario (conscio) come nel caso della retorica.
In conclusione, soppesate le somiglianze e le differenze, riteniamo del
tutto lecito ricondurre il simbolo psicoanalitico nell’ambito di pertinenza della
retorica, con la consapevolezza che mentre le figure retoriche del discorso si
collocano nel dominio della coscienza e al massimo attingono al Preconscio,
il simbolo psicoanalitico deve fare i conti con l’Inconscio, quindi richiede un
percorso ermeneutico ben più complesso e ispirato a grande cautela.
1.1 Il simbolo e l’assenza
Il simbolo ha la sua ragion d’essere in relazione a un’assenza.
Piaget6 ha evidenziato come nel bambino l’attività simbolica abbia inizio
a partire dal diciottesimo mese, quando acquisisce la permanenza mentale
dell’oggetto; condizione che rende possibile lo sviluppo del pensiero vero e
proprio. La rappresentazione psichica di un oggetto ha la funzione di conservarne
l’immagine interna quando l’oggetto stesso è assente. Quell’immagine è
considerata un simbolo, cioè un significante che rinvia a un referente non
disponibile.
Anche il simbolo psicoanalitico rimanda a un’assenza, ma si differenzia
da quello trattato in altri ambiti della psicologia perché, come si è detto,
rinvia a un contenuto che non è assente dal mondo reale, ma è latente in
quanto è stato occultato attraverso la rimozione, quindi reso inconscio.
1.2 Sigmund Freud. Le basi del simbolismo psicoanalitico
Freud ha fissato i riferimenti teorici fondamentali del simbolismo
psicoanalitico. Prendiamo come testo di riferimento un caso clinico, quello del
piccolo Hans7. Il giovane paziente soffre di una fobia centrata sulla paura di
uscire di casa per il timore di essere morso da un cavallo. Il cavallo immaginato
da Hans, come emerge dall’analisi, rinvia al padre poiché ha dei tratti neri
attorno agli occhi e sopra la bocca (il padre porta gli occhiali e ha i baffi); il
fatto che il cavallo morda rimanda agli aspetti castranti del padre; alcuni cavalli
che compaiono nelle fantasie di Hans trascinano grossi contenitori (omnibus
pieni di gente, carri per traslochi e per il trasporto del carbone): il contenitore
J. Piaget, La formazione del simbolo nel bambino, Firenze 1972.
S. Freud, Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (caso clinico del piccolo Hans), in Id.,
Opere, a cura di C. L. Musatti, vol. 5, Torino 1972, pp. 481-592.
6
7
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simboleggia, secondo Freud, la gravidanza; Hans teme anche che il cavallo cada:
l’immagine si collega da un lato al parto e dall’altro all’eventualità inconsciamente
desiderata che il padre possa morire. Nello stesso caso clinico compare la fantasia
di uno stagnaio che aggredisce Hans mentre fa il bagno nella vasca e gli trapassa
il ventre con un grosso trivello: il trivello sta per il pene del padre, il gesto dello
stagnaio rimanda all’atto sessuale con la madre e l’acqua in cui è immerso il
bambino simboleggia l’alvo materno.
La decodificazione dei simboli, che sono gli stessi nella normalità e nella
psicopatologia, nel bambino e nell’adulto, nel gioco, nel comportamento
quotidiano, nelle fantasie, nell’arte, nei riti, nei miti, nel folklore, nelle leggende
e in ogni ambito del pensiero, segue in qualunque caso le ‘regole’ esposte
nell’Interpretazione dei sogni8. Se il sogno è la via regia all’Inconscio, il codice
onirico diviene la chiave interpretativa generale del simbolismo psicoanalitico.
Gli ambiti a cui far riferimento per attribuire significato ai simboli, nella
prospettiva freudiana, sono piuttosto ristretti e attingono a un’eredità filogenetica
centrata su rimandi semantici quali i genitori, la nascita, la morte, il corpo, la
nudità, i fratelli e soprattutto la sessualità. L’ambito analogico per la decodifica
dei simboli si articola prevalentemente sulla forma, sulla funzione e sull’azione
degli oggetti (il trivello rimanda al pene sia per la sua forma allungata sia perché
produce una penetrazione) e sui ruoli delle persone (Hans che viene trapassato
dal trivello rinvia al femminile e quindi alla figura materna).
Qualche precisazione. Come si nota dai pochi esempi riportati, tutto
confluisce in un ambito simbolico e l’interpretazione può sembrare allo stesso
tempo meccanica e automatica, oltre che poco rigorosa (il cavallo rimanda al
padre per la sua aggressività e anche alla madre-contenitore; la caduta simboleggia
il parto e anche la morte). Il motivo di quest’ultima impressione dipende dal
fatto che i simboli, nonostante rimandino a pochi campi semantici fissi, non
possono essere soggetti a una decodificazione rigida e univoca perché, come
evidenzia Freud, sono per loro natura polisemici, ambigui e sovradeterminati9.
Solo il contesto di significazione che si delinea attraverso le associazioni libere, il
transfert e la rete di rinvii interni al discorso del paziente consentono di attribuire
ai simboli un significato ritenuto pertinente. L’interpretazione freudiana dunque
è ‘combinata’, nel senso che da un lato ha un riferimento soggettivo, ancorato
alle associazioni e alla storia personale del paziente, mentre dall’altro ha un
rimando diverso, esterno, almeno in parte oggettivo, dato che i simboli esistono
indipendentemente dal soggetto e appartengono a una dimensione mentale (e
culturale) condivisa, trasversale agli individui. Spetta all’analista far incontrare i
due poli della significazione attraverso il suo pensiero. Compito molto delicato,
evidentemente: non è un caso che lo stesso Freud sottolinei spesso la necessità di
essere cauti nell’attribuzione di un significato ai simboli.
In relazione alla portata simbolica del sintomo, la patologia forse più
interessante è l’isteria di conversione, in cui il conflitto psichico è trasferito su
8
9
S. Freud, L’interpretazione dei sogni, in Id., Opere, a cura di C. L. Musatti, vol. 3, Torino 1966.
Ibid.
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sintomi somatici quali tremori, paresi, afonia, anestesia o iperestesia, cecità,
allucinazioni, attacchi convulsivi. Questi sintomi sono la manifestazione in
forma simbolica di un conflitto inconscio, che nella maggior parte dei casi rinvia
a dinamiche edipiche. Il caso di Dora10 è esemplare al proposito. Tra il sintomo
e il suo significato latente non esiste una relazione diretta e immediata, ma per
risalire al secondo è necessaria un’indagine approfondita.
Un ulteriore elemento di complessità: il sintomo è spesso influenzato
anche dai condizionamenti culturali dell’epoca in cui vivono sia il paziente che
l’analista.
1.3 Sandor Ferenczi. Il simbolo e il corpo
Una caratteristica peculiare del pensiero psicoanalitico è la connessione
intima tra corpo e mente: la psiche è radicata fin dalla nascita nel soma individuale
e le due dimensioni si implicano reciprocamente. L’importanza di questo legame
per la formazione dei simboli è stata evidenziata da Ferenczi il quale, osservando
quelle che definisce «fasi evolutive del senso di realtà»11, ipotizza che il bambino
attribuisca al mondo esterno delle qualità che appartengono a sé. Infatti, ad un
certo punto del suo sviluppo (non viene indicato un riferimento cronologico
preciso), tende a percepire la realtà secondo una prospettiva animistica: da un
lato ogni oggetto gli appare vivo e dall’altro egli ritrova in ciascun oggetto i
propri organi e le proprie funzioni. Tra il corpo del bambino e il mondo
esterno si crea una rete di corrispondenze morfologiche e funzionali che sono
alla base del simbolismo. I simboli, non solo quelli onirici, hanno origine da
questa fase di sviluppo ontogenetico. La capacità di creare relazioni simboliche
rappresenta il primo vero contatto funzionale del bambino con la realtà.
1.4 Melanie Klein, Hanna Segal e Wilfred Bion. Simbolo e pensiero
Melanie Klein approfondisce la concezione freudiana affermando che
«il simbolismo … non è solo la base di tutte le fantasie e le sublimazioni, ma
qualcosa di più: è su di esso che si edifica il rapporto del soggetto con il mondo
esterno e con la realtà nel suo complesso»12. Il simbolo è dunque il mediatore tra
l’individuo e la realtà, ed è attraverso il simbolo che sono possibili la conoscenza,
il linguaggio, la fantasia, le relazioni con gli oggetti, il sogno, il pensiero, la
sublimazione. Non esiste attività psichica che non sia basata su simbolizzazioni.
S. Freud, Frammento di un’analisi d’isteria (caso clinico di Dora), in Id., Opere, a cura di C. L.
Musatti, vol. 4, Torino 1970, pp. 305-406.
11
S. Ferenczi, Fasi evolutive del senso di realtà, in Id., Fondamenti di psicoanalisi. Parte prima:
Teoria. Volume I. Le parole oscene e altri saggi, a cura di G. Carloni ed E. Molinari, Rimini 1972,
pp. 41-57. Id., Sull’ontogenesi dei simboli, Ivi, pp. 71-75.
12
M. Klein, L’importanza della formazione dei simboli nello sviluppo dell’Io, in Id., Scritti (19211958), Torino 1978, p. 251.
10
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Fin dall’inizio della vita, e poi in modo esemplare con il gioco, il bambino
rappresenta attraverso simboli la propria relazione con l’oggetto, la propria
angoscia e le difese che attiva di volta in volta.
La simbolizzazione è resa possibile dai meccanismi di proiezione, a seguito
dei quali gli oggetti interni vengono espulsi nella realtà esterna. In questo modo
si instaura una connessione e una relazione di possibile equivalenza tra il dentro e
il fuori e in particolare tra il proprio corpo e gli oggetti del mondo esterno. È un
concetto già studiato da Ferenczi, che Melanie Klein riprende e approfondisce.
L’oggetto esterno sta per una parte del proprio corpo o per un oggetto interno.
In questo snodo si colloca la chiave interpretativa dei simboli, che in Melanie
Klein hanno rimandi di natura corporea e prevalentemente genitale, dato che
si saldano alle dinamiche mentali connesse alle fantasie inconsce, che sono
orientate in quella direzione.
La simbolizzazione nasce quindi dalla necessità di liberarsi degli oggetti
interni persecutori e dall’aggressività ed è resa possibile grazie allo sviluppo
dell’Io che affronta l’angoscia già in età molto precoce.
Nella formazione del simbolo ha un ruolo primario la fantasia di aggredire
il corpo materno con i suoi contenuti. La madre dispone nel suo interno di una
ricchezza di oggetti di cui il bambino si vuole inconsciamente appropriare. Questo
attacco sadico, che risponde a un istinto definito dalla Klein ‘epistemofilico’, è il
modello della conoscenza e della simbolizzazione.
Il sadismo del bambino e le conseguenti possibili ritorsioni in fantasia da
parte degli oggetti aggrediti sono fondamentali per lo sviluppo del simbolismo
infantile. Una prematura e troppo rigida difesa dell’Io del bambino contro
il proprio sadismo determina l’arresto del rapporto con la realtà e inibisce lo
sviluppo della capacità di simbolizzazione. A questo proposito si possono
distinguere l’equazione simbolica e la rappresentazione simbolica (o simbolo
vero e proprio). L’equazione simbolica (concetto elaborato da Hanna Segal13, che
sviluppa alcune premesse di Melanie Klein) consiste in una perfetta coincidenza
e sovrapponibilità tra il simbolo e la cosa simbolizzata: il simbolo è la cosa
simbolizzata. Non esiste alcuna distanza tra oggetti e funzioni del mondo esterno
da un lato e contenuti del mondo interno dall’altro. La rappresentazione simbolica
invece è il risultato di un’elaborazione più complessa per cui il simbolo sta per la
cosa simbolizzata; in questo modo si forma uno spazio mentale che consente di
tenere distinti i due poli della simbolizzazione. Nella rappresentazione simbolica,
lo strumento musicale che la paziente suona rappresenta, sta per il suo genitale;
nell’equazione simbolica lo stesso strumento è il suo genitale.
L’equazione simbolica è usata per negare la distinzione tra il soggetto e
l’oggetto e la perdita dell’oggetto; il simbolo autentico invece segnala l’accettazione
della separazione tra il soggetto e l’oggetto e rende pensabile il lutto connesso alla
perdita dell’oggetto, che il soggetto ha accettato.
H. Segal, Note sulla formazione del simbolo, in Id., Scritti psicoanalitici. Un approccio kleiniano
alla pratica clinica, Roma 1984, pp. 60-76. Id., Il simbolismo, in id., Sogno, fantasia e arte, Milano 1991, pp. 37-58. Id., Spazio mentale ed elementi del simbolismo, Ivi, pp. 59-77 .
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In sostanza, l’elaborazione del simbolo dipende: 1) dalla rinuncia a forme
onnipotenti di identificazione che neghino la separazione dall’oggetto; 2) dalla
capacità di tollerare il lutto per la scomparsa dell’oggetto e quindi di accettarne la
perdita e la rappresentazione in absentia; 3) dalla consapevolezza della distinzione
tra realtà esterna e mondo interno14.
Il concetto di equazione simbolica è il riferimento utilizzato da Bion15 per
spiegare il funzionamento mentale del soggetto psicotico, caratterizzato da una
mancanza di confini tra il sé e l’oggetto esterno e dall’alterazione della capacità
di simbolizzazione. In lui non è di fatto assente la funzione simbolica, ma il suo
rapporto con la realtà è intriso di una simbolicità scontata, evidente e ovvia,
basata su presupposti magici e onnipotenti. Il simbolo è direttamente connesso
a un fatto o a un oggetto esterno. Mentre il simbolo consiste normalmente in
un’entità (ad es. una bandiera) che simboleggia un’altra entità (la nazione), nello
psicotico non esiste la distanza che rende possibile la simbolizzazione, così la
prima entità non simboleggia, ma è l’entità a cui rinvia.
1.5 Otto Rank e Anna Freud. Rigidità e duttilità del simbolo
Due autori, Otto Rank e Anna Freud, hanno proposto due modalità di
decodificazione dei simboli psicoanalitici che risultano radicalmente diverse, non
solo per i contenuti, ma soprattutto per le strategie psichiche che stanno alla base
dell’interpretazione e che sono ispirate in un caso alla rigidità e all’uniformità,
nell’altro alla duttilità e alla molteplicità.
Rispetto al modello freudiano e a quello kleiniano, l’interpretazione dei
simboli di Rank16 è molto più rigida e univoca, in quanto ha un unico rimando
semantico, rappresentato dall’evento della nascita. La realtà creata dalla mente
dell’uomo è una catena ininterrotta di simboli che rievocano la realtà originaria
perduta, la nascita appunto, ma che allo stesso tempo la tengono lontana dalla
coscienza. Qualche esempio: i sogni di appagamento del desiderio e di comodità
rinviano alla situazione di beatitudine dell’esistenza intrauterina; quelli d’angoscia
esprimono il trauma della nascita (situazione analoga alla cacciata dal Paradiso);
quelli imperniati sull’imbarazzo e sull’ansia per il superamento di un ostacolo
e quelli centrati sulla sensazione fisica del freddo alludono alle sensazioni, alle
difficoltà e agli impedimenti provati al momento dell’uscita dal corpo della
madre.
La centralità della nascita si espande anche al di fuori della psicoanalisi:
l’eroe invulnerabile della mitologia, sempre secondo Rank, è come avvolto
simbolicamente da un utero permanente che lo protegge. Il trovatello abbandonato
e poi adottato da un’altra famiglia che lo alleva, presente nelle fiabe e nei miti,
ripropone il tema della prima e della seconda separazione (rispettivamente la
nascita e lo svezzamento). Anche la religione viene spiegata da questo autore
come creazione da parte della mente umana di un essere originario protettivo nel
R. D. Hinshelwood, Dizionario di psicoanalisi kleiniana. Milano 1990.
W. R. Bion, Attenzione e interpretazione, Roma 1973.
16
O. Rank, Il trauma della nascita e il suo significato psicoanalitico, Rimini 1972.
14
15
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cui seno ogni individuo possa trovare rifugio dai pericoli. Così la vita ultraterrena
altro non è che la riproposizione del paradiso che è stato perduto con la nascita.
Anna Freud17, al contrario, usa molta cautela nell’interpretare i simboli
che emergono nel materiale analitico. Ritiene che la componente simbolica non
possa mai venire decodificata in maniera diretta e meccanica e che il processo
richieda grande attenzione. Evidenzia anche come il dubbio sia una componente
indispensabile del pensiero dell’analista quando deve accostarsi ai simboli, per
evitare semplificazioni ed errori.
1.6 Jacques Lacan. Il Simbolico e il linguaggio
Lacan18 parla di simbolo esplicitamente in riferimento al linguaggio
verbale. Dalle teorie linguistiche di Jakobson19 ricava alcune suggestioni che lo
orientano verso la cosiddetta svolta dall’Immaginario (che ha la sua espressione
più nota nello ‘stadio dello specchio’) al Simbolico, passaggio che risulta parallelo
a quello dall’immagine al significante linguistico.
Dalla linguistica strutturale Lacan riprende il concetto secondo cui
il linguaggio non è un semplice strumento espressivo usato dall’uomo per le
proprie necessità comunicative, ma è un sistema autonomo dal soggetto; questo
non vi si accosta dall’esterno per utilizzarlo, ma al contrario vi è immerso e ne
viene determinato. L’uomo non parla usando il linguaggio, ma viene parlato dal
linguaggio stesso. L’individuo è soggetto al sistema linguistico e la sua mente ne
viene plasmata. Le regole della lingua diventano regole della mente individuale.
Il linguaggio si identifica con l’ordine Simbolico che controlla il soggetto.
L’alienazione individuale non è più pensata come conseguenza della scissione
dalla propria immagine che emergeva nella fase dello specchio, ma è originata
dal linguaggio, indicato come Altro con la maiuscola per segnalare la differenza
con l’altro inteso sia come immagine speculare sia come individuo diverso da sé
(ordine immaginario). L’Altro coincide con le leggi del linguaggio e, di riflesso,
della cultura, che plasmano la mente dell’uomo.
Il passo successivo di Lacan consiste nel considerare l’Inconscio non più
come l’irrazionale e il primitivo, ma come un linguaggio. Concetto che a rigore
esiste anche in Freud in riferimento al sogno, agli atti mancati, al motto di spirito
e ai sintomi. Con la differenza che Freud usa l’espressione ‘linguaggio’ nella sua
accezione più ampia, come insieme di regole ricostruibili attraverso l’osservazione
delle manifestazioni dell’Inconscio, mentre Lacan si riferisce espressamente al
linguaggio verbale, al punto che le manifestazioni dell’Inconscio sono assimilate
alle figure retoriche, in particolare alla metonimia e alla metafora. Per Lacan,
metonimia e metafora sono effetti di senso che eccedono l’ambito del significato
A. Freud, L’Io e i meccanismi di difesa, Firenze 1967. Id., Normalità e patologia nel bambino.
Milano 1969.
18
J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicanalisi, in Id., Scritti, Volume
I, a cura di G. B. Contri, Torino 1974, pp. 232-316. Id., I Seminari. Libro I. Gli scritti tecnici
di Freud, Torino 1978. Id., I Seminari. Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della
psicoanalisi, a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi 2006.
19
R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Milano 1966.
17
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e vanno al di là di ciò che il soggetto vuol dire; non sono solo due artifici linguistici,
ma costituiscono le modalità di funzionamento simbolico dell’Inconscio: in
particolare la metonimia corrisponde allo spostamento (un’immagine sta al posto
di un’altra), la metafora alla condensazione (un’immagine nasce dalla fusione di
due o più immagini), meccanismi teorizzati da Freud in riferimento al lavoro
onirico, all’Inconscio e al processo primario. Dunque in Lacan il linguaggio
e l’Inconscio, attraverso la metonimia e la metafora, vengono assimilati
reciprocamente.
1.7 Ignacio Matte Blanco.
Il simbolo tra logica simmetrica e asimmetrica
Indispensabile, per accostarsi alla teoria del simbolo di Ignazio Matte
Blanco, è fornire qualche indicazione preliminare sulle due logiche che, nella
sua teoria, sono alla base della costruzione del pensiero20.
La prima è la logica bivalente o asimmetrica, ossia la logica aristotelica:
caratterizza la coscienza (il processo secondario di Freud) e il suo modo di
funzionamento. Nel pensiero occidentale coincide con la logica tout court. In
termini di tempo comprende le idee di passato, presente e futuro; in termini di
spazio il qui e il là, l’interno e l’esterno, il sopra e il sotto, il dentro e il fuori; si
basa sulla distinzione tra il sé e il non sé, tra il tutto e le sue parti, tra l’individuo
e il gruppo di cui fa parte.
La seconda è la logica simmetrica, caratteristica dell’inconscio, che si basa
sulle leggi del processo primario di Freud. Comprende due principi: il principio
di simmetria e quello di generalizzazione.
Il principio di simmetria è quello in base al quale l’inconscio tratta le
relazioni come se fossero uguali al loro inverso. Un esempio di relazione
simmetrica è costituito dalla frase ‘Giovanni è il fratello di Franco’, che può
essere capovolta senza modificarne il senso. Una relazione asimmetrica è invece
quella espressa nella frase ‘Giovanni è il padre di Franco’, che non può essere
capovolta senza stravolgerne il significato. Franco infatti nella prima frase è
fratello di Giovanni, mentre nella seconda Franco non è il padre di Giovanni.
Quest’ultima argomentazione però è stata effettuata secondo i parametri della
logica asimmetrica, in base alla quale se Giovanni è il padre di Franco, Franco
non è il padre di Giovanni. Secondo il principio di simmetria invece le due
proposizioni sono perfettamente compatibili.
Il principio di generalizzazione consiste nel fatto che l’inconscio non conosce
individui, ma solo classi. Nella logica simmetrica dell’inconscio c’è identità tra
l’elemento e la classe, la quale è concepita come sottoclasse di una classe più
ampia, che è a sua volta sottoclasse di un’altra classe ancor più ampia e così via
all’infinito.
Nella logica simmetrica scompaiono i concetti di successione, di spazio e
di tempo; la parte e il tutto si identificano; il principio di non contraddizione
svanisce.
20
I. Matte Blanco, L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla Bi-logica, Torino 1981.
274
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Perché esista un normale processo di pensiero è necessaria la presenza
simultanea di tratti asimmetrici e di tratti simmetrici tanto nella coscienza
quanto nell’inconscio.
A questo punto possiamo capire meglio il concetto di simbolo elaborato
da Matte Blanco. La significazione simbolica, secondo questo autore, si colloca
all’interno di una classe di equivalenza, cioè di una classe costituita da elementi
equivalenti tra di loro, che si rinviano reciprocamente sulla base di connessioni
di natura, appunto, simbolica. Una classe di equivalenza collega due elementi
sulla base di analogie di forma e/o di funzione.
Esistono alcuni simboli fondamentali, come il pene e la vagina, la cui
portata simbolica rinvia alla prospettiva freudiana e kleiniana. La preminenza
del pene e della vagina sugli altri elementi che appartengono alle loro stesse
classi di equivalenza deriva dal fatto che sono i primi ad essere sperimentati dal
bambino nella loro portata biologica, che precede quella simbolica.
Tra il simbolo e la cosa simboleggiata esiste un legame particolare di
significazione che costituisce la classe di equivalenza. Ad esempio l’analista e
il padre sono due elementi che stanno tra di loro in una relazione simbolica
all’interno della stessa classe di equivalenza, che si può definire quella delle
‘persone autoritarie e minacciose’ e che può comprendere anche altre figure
simboliche quali l’insegnante, l’autorità politica, il poliziotto, il giudice.
Gli elementi della classe sono equivalenti, ma non identici, altrimenti si
slitterebbe dalla logica asimmetrica a quella simmetrica, in cui l’identità prende
il posto dell’equivalenza, della somiglianza e di altre relazioni basate sulla
distinzione. Il simbolo si pone dunque a cavallo tra la logica simmetrica e quella
asimmetrica.
Matte Blanco sostiene che la conoscenza e il pensiero sono processi
simbolici. Entrambi si sviluppano attraverso rapporti di equivalenza tra elementi
e tra esperienze. La conoscenza e il pensiero sono possibili solo attraverso relazioni
simboliche. Tra le nuove conoscenze e quelle pregresse devono esistere rapporti
di equivalenza che rendono possibile l’apprendimento. Le classi di equivalenza
del pensiero sono i concetti, strutture astratte derivate dalla realtà fenomenica.
L’individuo viene pensato da Matte Blanco come il punto di intersezione
di infinite classi di equivalenza. La mente è considerata come costituita a sua
volta da infiniti livelli di significazione: a un’estremità di questa gerarchia di
livelli si trova la logica asimmetrica, quindi il modo di essere eterogeneo e
dividente che rende possibile il pensiero grazie alla distanza tra gli elementi posti
in relazione di equivalenza; all’altra estremità si colloca la logica simmetrica,
quindi il modo di essere omogeneo e indivisibile, in cui regna l’identità e non
è più possibile distinguere tra la cosa simbolizzata e il simbolo (si tratta di un
concetto per alcuni aspetti analogo a quello di ‘equazione simbolica’ di Hanna
Segal). Il pensiero è per sua natura dividente ed eterogeneizzante, ma al suo
interno esistono aree misteriose e sfuggenti a cui sono riconducibili gli aspetti
simmetrici e omogeneizzanti del nostro essere che, pur non essendo pensabili né
esprimibili, sono sempre presenti e si materializzano nei simboli.
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1.8 Charles Rycroft ed Ernst Jones.
Polisemia e ambivalenza del simbolo
Molti altri psicoanalisti hanno centrato la loro attenzione sul simbolo.
Riportiamo solo due punti di vista che riteniamo interessanti.
Rycroft21 sostiene che senza simbolizzazione non può esistere il pensiero.
Il motivo è che il processo simbolico è il risultato del bisogno del soggetto di
fronteggiare e mantenere la distanza tra sé e l’oggetto: distanza fondamentale,
perché consente di uscire da una possibile logica confusiva e simbiotica e quindi
di attivare un autentico processo di mentalizzazione. Un altro aspetto importante
teorizzato da Rycroft è la varianza polisemica del simbolo psicoanalitico:
concezione che implica un distacco da ogni automatismo nella connessione tra
un simbolo e il suo significato.
Sempre questo autore introduce una distinzione di grande rilevanza tra il
‘simbolo vero’, creativo, che favorisce il pensiero, e il ‘simbolo falso’, confusivo,
che invece boicotta il pensiero. È una differenza che si aggancia a ciò che in
passato aveva evidenziato Jones22. Secondo quest’ultimo il simbolismo si basa
sull’identificazione, processo attraverso cui la mente del bambino istituisce
connessioni tra ‘oggetti di realtà’ e ‘idee primarie della vita’ quali il Sé corporeo,
la famiglia, la nascita, la sessualità, la morte. I simboli però non hanno tutti
la stessa funzione a livello psichico: alcuni possono avere un ruolo progressivo
ed espansivo e quindi favorire l’attivazione del pensiero; altri invece hanno un
ruolo difensivo e regressivo e sono usati per proteggere il soggetto dal contatto con
aspetti inconsci troppo dolorosi e destabilizzanti.
Ricordiamo che per Freud il simbolo risponde di fatto a una logica
difensiva, mentre Melanie Klein, come si è visto, distingue a sua volta il simbolo
autentico (la ‘rappresentazione simbolica’) dal simbolo che boicotta il pensiero
(definito ‘equazione simbolica’).
2. La retorica e le zone d’ombra del testo
Spostiamo ora l’obiettivo della nostra analisi sul linguaggio verbale e sulla
narrazione autobiografica. Ci poniamo quindi in un ambito che si colloca da
un lato all’interno della psicoanalisi in senso stretto, e dall’altro nella cosiddetta
‘psicoanalisi applicata’, che consiste nell’estensione del punto di vista e dei concetti
psicoanalitici a contesti diversi da quello clinico, con lo scopo di indagare i
processi mentali che si celano al di sotto di fenomeni di varia natura, quali l’arte,
la letteratura, la narrazione, le dinamiche sociali, le relazioni interpersonali ecc.
Esistono alcune differenze fondamentali riguardanti il tipo di osservazione
praticata nei due settori indicati. Nella clinica psicoanalitica si cerca di penetrare
al di sotto del livello superficiale di significazione delle parole del paziente per
Ch. Rycroft, Dizionario critico di psicoanalisi, Roma 1970.
E. Jones, La teoria del simbolismo, in Id., Teoria del simbolismo. Scritti sulla sessualità femminile
e altri saggi, Roma 1972, pp. 94-150.
21
22
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accedere all’Inconscio. Il processo è reso possibile dall’analisi delle resistenze e
delle difese attivate dal soggetto, dalla considerazione degli aspetti ‘analogici’23
della sua comunicazione (i gesti, gli sguardi, le azioni sintomatiche e casuali,
il tono di voce, la postura…) e soprattutto dal transfert del paziente (e, negli
orientamenti relazionali della psicoanalisi, del controtransfert dell’analista).
Al di fuori della stanza di analisi questi strumenti non sono disponibili. Se un
ricercatore sta ascoltando la registrazione di un’intervista oppure sta leggendo
una narrazione autobiografica o le risposte a un questionario, può intercettare
le difese che sono state attivate a livello linguistico dall’autore. Ma nei confronti
degli eventuali contenuti psichici oscurati attraverso le sue strategie narrative,
siano essi inconsci o preconsci, può solo avanzare caute ipotesi. Il suo sguardo
non può travalicare quello del linguaggio verbale, è vincolato ad esso. Quello
che la semiotica definisce ‘autore reale’24 rimane necessariamente confinato al
di fuori del testo con cui il ricercatore si confronta. Egli può risalire all’ ‘autore
implicito’25, cioè all’immagine di sé che l’autore reale ha messo in campo. Poi,
approfondendo lo sguardo sugli aspetti non tanto contenutistici quanto formali
del testo quali la struttura, lo stile, le funzioni dei personaggi, la focalizzazione,
la distanza e i tipi di discorso, le figure retoriche, il non-detto e così via, può
intercettare alcuni aspetti della comunicazione che lo possono far penetrare al di
sotto della superficie del testo e cogliere alcuni scarti nei confronti dell’immagine
di sé che l’autore reale ha affidato al testo più o meno consapevolmente e in
funzione spesso difensiva. Questi segnali che ‘bucano’ la superficie del testo
hanno una funzione analoga a quella dei lapsus e degli atti mancati. Segnalano
uno scarto tra la superficie del testo e la significazione latente, ma non sono
supportati dalle componenti analogiche della comunicazione orale e soprattutto
dal transfert. La conseguenza è che quando si analizza un testo da un punto di vista
psicodinamico, si intercettano gli aspetti riconducibili a meccanismi difensivi
dell’autore, si coglie il mascheramento, la falsificazione, la deformazione e altre
strategie che può notare chi ha una certa pratica con questo tipo di approccio al
testo, si individua il disagio nei confronti di un contenuto psichico sgradevole, il
desiderio di occultare un dolore mentale, un ricordo destabilizzante, ma non si
può interpretare al modo dello psicoanalista, non si deve avere la presunzione di
poter risalire a una presunta verità inconscia. Si possono evidenziare le difese e le
falsificazioni dell’autore, ma per avere credibilità il processo non deve spingersi
oltre. Chi analizza un testo scritto da un punto di vista psicodinamico non deve
scambiare il proprio ruolo con quello dell’analista.
Un ambito particolarmente significativo in questo tipo di analisi riguarda
la componente retorica del testo.
Lo scopo per cui si ricorre normalmente a determinate strategie retoriche,
com’è noto, è la volontà da parte dell’emittente di ottenere determinati effetti nel
P. Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana. Studio
dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Roma 1971.
24
M. Corti, Principi della comunicazione letteraria, Milano 1976.
25
S. Chatman, La struttura della comunicazione letteraria, in «Strumenti critici», XXIII, 1974,
pp. 1-40. M. Corti, cit.
23
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destinatario: convincerlo, commuoverlo, blandirlo, provocarlo. Sono processi
che si collocano nell’ ambito della coscienza.
In riferimento a testi autobiografici prodotti ad esempio all’interno di una
ricerca (interviste, questionari, testi di varia dimensione e forma in cui l’autore
parla di sé), si può notare però anche un uso della retorica che sfugge in qualche
modo al suo statuto ‘classico’. Infatti la figura retorica, in ottica psicodinamica, si
rivela essere la manifestazione di un’attività difensiva inconscia nei confronti di
affetti dolorosi connessi a contenuti mentali che si stanno per esprimere (o sono
stati espressi) nel testo. Attraverso le figure retoriche generate dai meccanismi
difensivi, gli affetti e i contenuti dolorosi da un lato si oscurano sotto il livello di
superficie della parola e dall’altro traspaiono in modo per alcuni aspetti analogo
a quanto accade nel sintomo o nell’atto mancato.
Accade non di rado che ‘ciò che si dice’ (‘significato’) sia una maschera
che viene infranta qua e là proprio dal ‘modo in cui si dice’ (‘significante’). Una
persona, ad esempio, può sostenere di essere soddisfatta della propria condizione,
ma se questo concetto viene ripetuto con eccessiva frequenza (figura retorica
dell’iterazione), si è in presenza di un fenomeno da considerare con attenzione.
C’è anche un altro aspetto da considerare. Se la retorica nella sua accezione
classica è finalizzata alla persuasione dell’altro, nell’approccio psicodinamico
si nota che chi usa figure retoriche nei testi autobiografici attiva più o meno
consapevolmente alcune strategie per risultare persuasivo anche e forse soprattutto
nei riguardi di se stesso. In questa prospettiva, le figure retoriche possono venire
considerate da un lato come strumenti del processo di definizione del Sé,
dall’altro come artifici difensivi nei confronti di affetti dolorosi che vengono
nascosti, mascherati, repressi, ma che traspaiono comunque in filigrana nel testo.
Vediamo alcune figure retoriche e la loro funzione in prospettiva
psicodinamica.
2.1.Rafforzamento della struttura del discorso
Attraverso un rafforzamento strutturale del discorso ottenuto con precise
strategie retoriche si possono tenere sotto controllo gli affetti connessi ai propri
contenuti psichici.
Prendiamo come esempio l’isocolo (parallelismo sintattico): l’architettura
della frase viene rinforzata in base a una strutturazione su linee sintattiche
parallele. Viene creato un isomorfismo tra i diversi segmenti del discorso,
e in questo modo si costituisce una base più bilanciata, meno precaria, che
nella sua ripetitività offre un efficace contenimento emotivo. Si veda questo
esempio: ‘L’anno scorso ho fatto un viaggio in Germania per distrarmi da un
lutto che non riuscivo a elaborare. Anche due mesi fa sono andato in Marocco
per cambiare aria e cercare di mettere tra parentesi un dolore. E già penso che
quest’estate la trascorrerò in Normandia, con un obiettivo simile’. Troviamo tre
periodi accostati e costruiti su uno schema sintattico analogo che comprende:
un’indicazione temporale, un verbo di movimento, un luogo di destinazione
e lo scopo del viaggio. Il fenomeno presenta qualche tratto in comune con la
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coazione a ripetere freudiana. La differenza però è che nell’esempio riportato
il rafforzamento della struttura sintattica consente di attenuare e contenere
il dolore evocato. I meccanismi difensivi connessi all’isocolo sono da un lato
un uso particolare della formazione reattiva, che contiene e riduce il senso di
confusione e di sgretolamento dell’esperienza legata agli eventi attraverso il
rafforzamento strutturale del periodo sintattico; dall’altro l’intellettualizzazione,
infatti gli eventi sono diventati pensabili secondo una logica più astratta. In
termini bioniani si può dire che l’irrobustimento del ‘contenitore’ (la struttura
della frase) rende meno destabilizzanti i ‘contenuti’ (le esperienze rievocate).
Nella stessa prospettiva di rafforzamento strutturale si collocano i fenomeni
retorici centrati sulla ripetizione, come le iterazioni a contatto o a distanza, le
anafore e le anadiplosi. La ricorrenza di una stessa parola o di uno stesso sintagma
in una o più frasi poste a breve distanza genera un effetto analogo a quello
dell’isocolo. Il ritmo giocato su una cadenza ripetuta permette una riduzione
dell’imprevedibilità e parallelamente una strutturazione e un rafforzamento
dell’esperienza ricostruita attraverso la parola. Anche in questo caso la ripetizione
è funzionale a un’attenuazione della forza destabilizzante della sofferenza psichica.
Rientra nella stessa logica il procedimento retorico dell’accumulazione (o
elencazione) di sostantivi, aggettivi, avverbi, verbi. Con questo artificio si crea
una cadenza che irrobustisce l’impianto della frase, soprattutto intorno a nuclei
discorsivi che normalmente risultano delicati perché connessi ad affetti dolorosi.
Questa tendenza si evidenzia particolarmente quando la serie sostantivale,
aggettivale o di altra natura è disposta in forma di climax ascendente, in cui
l’intensità delle singole espressioni disposte in sequenza è progressivamente
crescente (‘bello, bellissimo, meraviglioso, mitico!’; ‘una frustrazione, un
dispiacere, una tragedia’).
Anche nelle forme dell’iterazione e in quelle dell’accumulazione si agisce
sul contenitore, imponendogli una struttura e un ritmo che lo rafforzano in
modo da proteggere le emozioni veicolate dai suoi contenuti.
2.2 Strategie di attenuazione
Alcune soluzioni retoriche comportano un’attenuazione dell’intensità
dell’espressione e delle componenti emotive del testo. Esemplari a questo
proposito sono la perifrasi e l’eufemismo, due figure che tendono a rendere meno
destabilizzanti i contenuti psichici.
Un effetto simile può essere ottenuto attraverso l’uso retorico della
negazione, come si nota nella litote, nella preterizione e nell’antifrasi.
In riferimento ai meccanismi di difesa attivati dall’Io, la preterizione (es.
‘non dico di star male’) è rapportabile all’annullamento retroattivo, in quanto
nega una verità dolorosa nel momento in cui la esprime, quasi ponendo uno
schermo opaco davanti a ciò che esiste ma si vorrebbe occultare; l’antifrasi (es.
‘questa mattina mi sento proprio in forma!’, detto da una persona che sta male)
richiama le dinamiche psichiche della formazione reattiva, poiché l’ironia che
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spesso l’accompagna tende a ribaltare la qualità dell’affetto presente; la litote (es.
‘non sto tanto bene’ per ‘sto davvero male’) ha l’aspetto di un diniego, però solo
apparente.
Una difesa per alcuni aspetti rapportabile alle precedenti si nota nell’antitesi,
figura che contrappone due concetti o situazioni di segno opposto, questa volta
nominandole entrambe, ma rifiutando risolutamente quella considerata negativa
e dolorosa (es. ‘non amo la solitudine, amo invece la compagnia’). Alla base si
trova il meccanismo difensivo della scissione.
Nel caso dell’antitesi e della preterizione si nota anche il diniego freudiano,
secondo cui nell’inconscio il no è in realtà un sì, la negazione è un’affermazione.
2.3 Dilazione e anticipazione delle emozioni destabilizzanti
Altre difese che trovano espressione in strategie retoriche finalizzate a
controllare le emozioni destabilizzanti nel testo sono la dilazione (riconducibile
alle strategie di evitamento) e, simmetricamente, l’anticipazione. Queste modalità
difensive si manifestano rispettivamente nell’uso di frasi parentetiche e incidentali
(che qualche manuale considera fenomeni di pertinenza della retorica26) e nel
ricorso all’hysteron proteron.
Le prime, soprattutto se dotate di una certa estensione, possono lasciar
trasparire un desiderio inconscio di rendere meno lineare il tragitto che conduce
verso un contenuto mentale disturbante.
L’hysteron proteron consiste nel ‘mettere prima ciò che viene dopo’, ossia
nel capovolgere l’ordine di successione reale degli eventi quando questi vengono
esposti nel testo. Si tratta anche in questo caso di una modalità di boicottaggio
della linearità del discorso che conduce a un tema doloroso, però capovolta
rispetto alla precedente: si assiste infatti non a un rinvio, ma a un’anticipazione del
contenuto doloroso del discorso, quasi per abbreviare l’ansia generata dall’attesa.
2.4 Giochi di somiglianze
La similitudine, la metafora, la metonimia e, in parte, la sineddoche sono
figure retoriche che presuppongono alcuni meccanismi psichici difensivi come
la proiezione, la condensazione e lo spostamento.
La similitudine consiste nel proiettare una o più qualità (tertium
comparationis) di un oggetto del pensiero (e del discorso) su un secondo
oggetto, definito ‘termine di paragone’, con il quale si instaura una relazione di
somiglianza espressa solitamente dalla congiunzione ‘come’. In qualche caso può
accadere che il secondo termine del paragone possa presentare aspetti in parte
eterogenei o imprevisti a livello razionale. La similitudine ‘mi sento gonfio come
un pallone’ ha un significato esplicito (‘ho mangiato al punto d’avere la pelle del
ventre tesa come la superficie di un pallone pieno d’aria’); a seconda del contesto
o dello stato d’animo del soggetto possono emergere però sfumature latenti,
collegate al fatto che il pallone in alcuni giochi viene preso a calci o a schiaffi; se è
gonfiato con l’idrogeno può perdersi nel cielo; se la pressione interna è eccessiva
26
B. Mortara Garavelli, Le figure retoriche, Milano 1993.
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può esplodere. Alcuni contenuti inconsci possono voler rimanere nell’ombra,
ma possono anche trovare una via imprevista di espressione, possono essere
contemporaneamente celati e manifestati da questa figura. La proiezione di un
contenuto mentale su un oggetto del discorso si può abbinare a uno spostamento,
dato che un aspetto significativo può rimanere in ombra, celato da uno più
evidente che funge da schermo.
Mentre nella similitudine prevalgono i meccanismi della proiezione e dello
spostamento, nella metafora si attiva soprattutto la condensazione. Questa figura
viene spesso descritta come una similitudine accorciata; notoriamente però il
funzionamento mentale che la genera è ben più complesso, come evidenziato da
alcuni testi ‘classici’ sull’argomento27. Dal punto di vista psicodinamico siamo in
presenza di una regressione a una modalità di pensiero più arcaica, caratteristica
della mente infantile, in cui i significati delle parole entrano reciprocamente
in contatto secondo modalità intuitive, magiche e analogiche e non secondo
percorsi razionali.
La metonimia, rispetto alla metafora, è meno creativa e pone in relazione
concetti dotati di contiguità semantica. Si può ad esempio usare l’astratto
per il concreto (‘amicizie’ al posto di ‘amici), lo strumento per chi lo usa (‘il
primo violino), l’autore per l’opera (‘leggere Manzoni’) e così via. Rispetto alla
similitudine, la metonimia è meno esplicita e più intuitiva, mentre rispetto alla
metafora il termine espresso e quello a cui si rinvia sono meno distanti. Anche
nella metonimia si assiste a una condensazione, i cui tratti sono però più vicini
rispetto alla metafora, poiché appartengono alla stesso campo semantico.
Raffrontando similitudine, metonimia e metafora, si può ipotizzare che
la distanza che l’autore della figura retorica cerca di porre inconsciamente tra i
due termini del confronto (espliciti o impliciti) sia tanto maggiore quanto più
disturbante è l’emozione sottesa al contenuto mentale.
Sempre in questo ambito retorico si può collocare la sineddoche, che
corrisponde, nella sua manifestazione più ricorrente, ad una relazione tra la parte
e il tutto (‘le due ruote’ stanno per la bicicletta o la motocicletta; ‘il viso’ sta per
l’intera persona). Per questo artificio retorico vale quanto detto sopra a proposito
della metonimia. Inoltre la sineddoche rappresenta una regressione provvisoria
alla modalità di pensiero caratterizzata dalla relazione con gli oggetti parziali,
come quando, nella primissima infanzia, il seno sta per la madre.
2.5 Altri fenomeni retorici con effetti difensivi
L’iperbole «consiste nell’usare parole esagerate per esprimere un concetto
oltre i limiti della verosimiglianza»28. È una figura retorica riconducibile ai
meccanismi difensivi dell’idealizzazione e della svalutazione. La prima, come
U. Eco, Le forme del contenuto, Milano 1971. A. Henry, Metonimia e metafora, Torino 1975.
A. Fonzi, E. Negro Sancipriano, La magia delle parole: alla riscoperta della metafora, Torino
1975. F. Rella (a cura di), La critica freudiana, Milano 1977. G. Conte (a cura di), Metafora,
Milano 1981. J. Lakoff, M. Johnson, Metafora e vita quotidiana, Milano 1998.
28
A. Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Milano 1978, p. 130.
27
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scrive Freud, «è un processo che ha a che fare con l’oggetto: in virtù di essa
l’oggetto, pur non mutando la sua natura, viene amplificato e psichicamente
elevato»29. Nella svalutazione il verso del vettore di questa amplificazione è
capovolto.
L’idealizzazione e la svalutazione possono venire considerate, in prospettiva
kleiniana, il risultato di una tendenza alla scissione dell’oggetto buono e idealizzato
da quello cattivo e persecutorio. L’idealizzazione quindi appare come una difesa
contro le pulsioni distruttive nei confronti dell’oggetto e la svalutazione come una
difesa maniacale volta al non riconoscimento della dipendenza e alla creazione di
una barriera contro la perdita e la colpa.
L’ironia è una figura retorica antifrastica che consiste nel dire un concetto
significando il suo contrario. Lo iato tra il livello superficiale e il livello latente
della comunicazione comprende a volte una tendenza aggressiva mascherata dal
sorriso: per questo motivo il meccanismo difensivo attivato attraverso l’ironia
presente nel testo è la formazione reattiva.
Anche l’uso del luogo comune è interessante. Questa figura consiste
nell’assimilare un caso singolare a una classe generale; in questo modo lo si dota
di una verità non discutibile. Di conseguenza il suo uso appare rassicurante e
produce nell’autore una sensazione di relazione fusionale e di partecipazione
indistinta a una sorta di Altro universale idealizzato. Il luogo comune è il segnale
di un bisogno di rinunciare alla propria differenza mimetizzandosi con i concetti
condivisi. Esprime un desiderio inconscio di rendersi invisibile e di perdersi nella
massa. Corrisponde a una strategia di evitamento nei confronti di una presa di
posizione individuale ansiogena e segnala anche il ricorso all’affiliazione, che
consiste nell’affidarsi agli altri per riceverne sostegno psichico e per contenere la
solitudine e l’isolamento.
3. Qualche annotazione dalle ricerche neuroscientifiche
Riportiamo in conclusione solo qualche informazione relativa alla ricerca
neuroscientifica e in particolare alla neuroretorica, ambito in cui si studia il
funzionamento del cervello quando vengono prodotte e fruite alcune figure
retoriche, grazie alle moderne tecniche di neuro-imaging. I risultati sono utilizzati
per capire il modo di attivazione cerebrale anche in relazione alle possibilità
di successo delle tecniche di persuasione, soprattutto in ambito politico e
pubblicitario.
Le aree del cervello che si attivano in presenza di figure retoriche sono:
- il nucleo accumbens, funzionale alla ricezione delle sensazioni di piacere
e di paura e che ci costringe a connetterci empaticamente con il discorso di
un’altra persona;
- l’amigdala e l’ippocampo, che hanno la funzione di presiedere alla memoria
episodica o autobiografica;
S. Freud, Introduzione al narcisismo, in Id., Opere, a cura di C. L. Musatti, vol. 7, Torino
1975, p. 464.
29
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- i lobi frontali corticali e subcorticali, che realizzano la distinzione tra eventi
finzionali e reali.
Le osservazioni dei neuroscienziati hanno anche ampliato la teoria
della lateralizzazione: la aree primarie delle funzioni linguistiche si collocano,
com’è noto, nell’emisfero sinistro del cervello; in particolare nell’area di Broca,
deputata alla produzione del linguaggio, e nell’area di Wernicke che riguarda
la comprensione verbale. Le osservazioni con neuro-imaging mostrano però
che anche l’emisfero destro viene coinvolto, soprattutto in presenza di figure
retoriche quali l’ironia e la metafora.
Se ci soffermiamo brevemente su questi dati, notiamo che l’aspetto più
caratterizzante delle figure retoriche studiate dalle neuroscienze consiste nel
coinvolgimento delle aree cerebrali connesse ad alcune emozioni, all’empatia,
alla relazione tra realtà e finzione e agli aspetti autobiografici della memoria.
Ciò conferma le osservazioni psicodinamiche precedenti secondo cui le figure
retoriche sono legate ad emozioni (spesso sgradevoli) e alle difese contro queste
emozioni, che tendono a modificarle, attenuarle o capovolgerle. Importante poi,
sempre nella prospettiva psicoanalitica, è la funzione dell’empatia, essenziale per
la comprensione delle figure retoriche, ma anche per la percezione delle emozioni
legate ad esse: ciò in riferimento alle figure prodotte da altri ma anche da noi
stessi, come confermato dagli studi sui ‘neuroni specchio’, collocati nell’area F5
del cervello, che consentono al destinatario di sintonizzarsi con l’emittente, di
‘incarnarsi’ con lui, di provare ciò che egli prova, di simulare a livello neuronale
ciò che egli dice. Nella comunicazione, i neuroni specchio consentono di
«comprendere gli effetti empatici che scaturiscono dal rapporto instaurato tra
autore, lettore e testo »30. Nella nostra prospettiva aiutano anche a far sì che lo
stesso emittente, rispecchiandosi nella propria strategia retorica, attui una sorta
di intersoggettività interna, e consentono al ricercatore di sintonizzarsi con le
emozioni affidate dall’autore al testo, utilizzando un contatto che non sia solo
razionale, ma riprenda il modello dell’attenzione fluttuante di Freud31 e quello
della rêverie di Bion32.
S. Calabrese, Retorica e scienze neurocognitive, Roma 2013, p. 52.
S. Freud, Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico, in Id., Opere, a cura di C. L. Musatti, vol. 6, Torino 1974, pp. 532-546.
32
W. R. Bion, Attenzione e interpretazione, Roma 1973.
30
31
283
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