AUTISMO IMPARATE A PENSARE OLTRE LE ETICHETTE Coloro che sono prigionieri delle etichette vogliono sempre delle risposte. Questo modo di pensare può fare un mucchio di danni. Per alcuni, un’etichetta può diventare ciò che li definisce, e facilmente può dare origine a quella che si può definire una mentalità handicappata. Per esempio, una persona che riceve una diagnosi etichetta può cominciare a pensare: “A che serve questa diagnosi?“. Oppure: “Non riuscirò mai a tenermi un lavoro“. Tutta la sua vita inizia a ruotare attorno a quello che non può fare invece che a quello che può fare, o almeno agli aspetti che può tentare di migliorare. Il pensiero prigioniero delle etichette funziona anche in un altro senso: voi potreste trovarvi bene con la vostra diagnosi etichetta, ma potreste preoccuparvi che essa vi definisca agli occhi altrui. Che cosa penserà il vostro capo? E i colleghi? E i vostri cari? Metà di coloro che lavorano nelle aziende della Silicon Valley verrebbero diagnosticati con la Sindrome di Asperger se accettassero di venire esaminati, cosa da cui rifuggono come dalla peste. Una generazione fa, la maggior parte di questi professionisti, che lavorano in aree con un’alta concentrazione di industrie produttrici di tecnologia, sarebbero stati considerati semplicemente delle persone molto dotate. Adesso che c’è una diagnosi, farebbero qualunque cosa per evitare di essere ghettizzati. Il pensiero prigioniero delle etichette può influenzare il modo di affrontare una situazione clinica. Per esempio, capita spesso di sentire medici dire di bambini con disturbi gastrointestinali: “Oh, ha l’autismo. E’ questo il problema” e poi disinteressarsi dei loro problemi gastrointestinali. Questo è assurdo, ma capita sempre più spesso nei nostri ospedali. Solo perché si tratta di una patologia che è comune nelle persone con autismo, non per questo si deve pensare che non sia da indagare e curare. Se volete aiutare bambini con disturbi gastrointestinali, interessatevi alla loro dieta, non al loro autismo. Il pensiero prigioniero delle etichette può influenzare la ricerca. Una delle sciagure in questo campo è l’ampiezza delle barre di errore, che nei dati relativi ai soggetti autistici sembra almeno tre volte maggiore rispetto ai gruppi di controllo. Le barre di errore tre volte troppo grandi rispetto ai gruppi di controllo, dovrebbero far comprendere che nei campioni c’è una enorme oscillazione, e che nella popolazione autistica studiata ci sono sottogruppi che occorre identificare e separare correttamente. Se si introducono nello stesso campione persone che hanno “sindromi” differenti fra loro, si finisce per paragonare mele, pere, arance e banane. Queste barre di errore non sono solamente una sciagura ma rappresentano un ostacolo che i ricercatori si sono creati da soli. Forse, e sottolineiamo forse, le etichette continueranno ad essere importanti nel campo dei sussidi scolastici, dei rimborsi previdenziali, dei programmi sociali e così via. Altre volte però non è così, perché l’autismo non è una diagnosi a “taglia unica”. Comunque la American Psychiatric Association [APA] definisca l’autismo, la diagnosi sarà imprecisa, come sempre quando si fa riferimento a uno spettro. Nel DSM III, la prima serie formale di standard tentò di porre rimedio alla mancanza di una diagnosi, e le edizioni successive del manuale si proponevano di correggere la scarsa precisione delle diagnosi di autismo e disturbi correlati. Purtroppo anche l’ultimo tentativo – il DSM V – non è più utile dei precedenti strumenti nosografici per eliminare la confusione, e sotto certi aspetti ha complicato maggiormente le cose. Nel DSM IV, una diagnosi di autismo dipendeva da tre criteri [modello tradico]. Questi criteri erano: Compromissione dell’interazione sociale. Compromissione della comunicazione sociale. Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati. I primi due criteri potrebbero sembrare simili, in quanto entrambi si riferiscono a problemi di socializzazione. E in effetti questa è la giustificazione ufficiale addotta per farli rientrare in un unico criterio nel DSM V. Nel 2010, in una relazione presentata al Federal Interagency Autism Coordinating Committe, il presidente del gruppo di lavoro del DSM V sui disturbi dello sviluppo disse: I deficit di comunicazione sono intimamente legati ai deficit sociali, in quanto “manifestazioni” di un’unica serie di sintomi che sono presenti al variare dei contesti. Di conseguenza, il DSM V utilizza due criteri [modello diadico]: Persistente compromissione della comunicazione sociale e dell’interazione sociale. Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati. L’idea della American Psychiatric Association di separare il sociale dal comportamentale potrebbe avere basi scientifiche, perché i due ambiti sono biologicamente differenti. Nei test di laboratorio sui ratti, i ricercatori hanno dimostrato che il risperidone, un farmaco antipsicotico, non influenza i comportamenti sociali mentre invece ha effetto sui comportamenti ripetitivi, forse perché in questi esperimenti i ratti vengono sedati. D’altra parte, il loro comportamento sociale risultava migliorato dall’addestramento, mentre ciò non accadeva per i comportamenti ripetitivi. Già questi risultati ci dicono che i comportamenti ripetitivi e i problemi sociali fanno capo ad aree diverse del cervello. Perciò sembrerebbe plausibile un modello diadico che consideri questi due ambiti separati. Quello che non è scientifico nei criteri diagnostici del DSM V è il fatto di equiparare interazione sociale e comunicazione sociale. L’interazione sociale si riferisce a comportamenti non verbali: essere con un’altra persona guardandosi negli occhi, sorridendosi e così via. La comunicazione sociale si riferisce alla capacità, verbale o non verbale, di conversare, per esempio scambiarsi delle idee e condividere degli interessi. Il DSM V modifica anche la portata della diagnosi. Nel DSM IV la categoria in cui rientrava l’autismo era quella dei Disturbi pervasivi dello sviluppo, e comprendeva queste diagnosi: Disturbo autistico [denominato anche autismo “classico”] Disturbo di Asperger Disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato [incluso l’autismo atipico] Disturbo disintegrativo dell’infanzia e Disturbo di Rett esulavano ed esulano tutt’ora dal contesto. Il DSM V contempla invece un’unica diagnosi: Disturbo dello spettro autistico Allora, potreste domandarvi, che cosa è successo al Disturbo di Asperger e al PDD-NOS? Il grande cambiamento a proposito del Disturbo di Asperger e autismo riguarda il ritardo del linguaggio. Prima, se i bambini avevano un ritardo del linguaggio, sarebbero stati collocati sul versante autistico della suddivisione diagnostica [naturalmente, se erano soddisfatti gli altri criteri]. Se i bambini non avevano un ritardo del linguaggio, erano collocati sul versante Asperger. Oggi, alcuni soggetti già diagnosticati come Asperger riceveranno una diagnosi di DSA solo perché soddisfano tutti i criteri per questa diagnosi, anche non hanno un ritardo del linguaggio. La American Psychiatric Association dice che coloro che sono stati già diagnosticati come autistici manterranno la loro diagnosi. Ma che dire tutti quegli Asperger in precedenza non diagnosticati che soddisfano solo la parte sociale dei nuovi criteri del modello diadico, ovvero deficit della comunicazione sociale e dell’interazione sociale, e non hanno comportamenti ripetitivi né fissazioni? Potrebbero ritrovarsi in una sottocategoria del tutto diversa, quella dei Disturbi della comunicazione. Più precisamente, scopriranno di ricevere una diagnosi completamente nuova per il DSM V, quella di Disturbo sociale della comunicazione. Che è, fondamentalmente, autismo senza comportamenti ripetitivi né fissazioni e rappresenta una delle innumerevoli assurdità di questo strumento nosografico che non c’azzecca nulla con la medicina. Infatti, il nucleo dell’autismo è rappresentato dai deficit sociali, più che dai comportamenti ripetitivi, e una simile diagnosi di deficit sociale distinta dall’autismo è come ritrovarsi ad avere una diagnosi di autismo distinta dalla diagnosi di autismo!!! Coloro che invece in precedenza sarebbero stati diagnosticati con Disturbo di Asperger apprenderanno di non appartenere affatto alla categoria dei Disturbi dello Sviluppo, almeno non ufficialmente, bensì a quella che comprende i Disturbi da comportamento dirompente, i Disturbi del controllo degli impulsi e i Disturbi della condotta. La decisione di collocazione resta affidata all’opinione del singolo medico esaminatore, e se tutto ciò vi sembra che non sia scientifico, siamo completamente d’accordo con voi in quanto troviamo “scientificamente sospetta” una categoria che comprende sei diagnosi basate sul nulla. Una simile decisione rilascia il sinistro fetore della puzza di “se li etichettiamo così, correggiamo le statistiche dirompenti e altresì non dovremo assicurare loro i servizi per gli autistici, lasciando che se ne occupino i tutori della legge“. Pertanto il nuovo DSM V avrebbe anche potuto chiamare questa categoria “Sbattili direttamente in galera“. Inoltre, queste diagnosi etichetta trascurano completamente l’essenza dell’essere umano dotato ma frustrato, ovvero il tipico soggetto Asperger o autistico che arranca faticosamente in un ambiente non amichevole. Anche in questo caso vediamo quindi i limiti, e addirittura i pericoli, del pensiero prigioniero delle etichette, la differenza tra quello che il comportamento sembra dall’esterno e come viene vissuto dal diretto interessato. Per quanto riguarda i PDD-NOS, il DSM IV usava una diagnosi onnicomprensiva per descrivere parecchi scenari, compreso l’autismo atipico. Ma nel DSM V le persone che hanno ricevuto questa diagnosi potrebbero ritrovarsi tutte estromesse dall’autismo e collocate in un’altra sottocategoria dei Disturbi dello sviluppo, i Disturbi dello sviluppo intellettivo, e più precisamente Ritardo evolutivo intellettivo o globale non altrimenti specificato. Anche per questo motivo non meraviglia che così tanti genitori si sentano come se appartenessero al “Club della diagnosi dell’anno“. Un sacco di persone resteranno indifferenti di fronte ai cambiamenti introdotti dal DSM V. Purtroppo però, per parecchie persone, queste novità diagnostiche faranno una differenza enorme. Ciò che troviamo irritante e irrispettoso è che la disparità di decisioni dovrebbero far riflettere un genitore quanto uno scienziato. Quali saranno gli effetti sociali di questi cambiamenti? Le persone in precedenza etichettate come Asperger e oggi come autistiche sperimenteranno una diversa risposta del mondo. Forse sperimenteranno una diversa risposta da parte di sé stessi. Questi cambiamenti influiranno sulle coperture assicurative e pensionistiche, Questi cambiamenti influiranno sulla qualità assistenziale e sulla qualità dei servizi sociali erogati. Viceversa gli autistici potrebbero incontrare più difficoltà rispetto agli Asperger qualora venisse a mancare la medesima qualità assistenziale. La questione sarà decisa autonomamente da ogni Stato, da ogni realtà Regionale, ma è certo che si è scoperchiato un vaso di Pandora di possibilità. Quali saranno gli effetti di questi cambiamenti sulla ricerca? Ogni studio sull’autismo che utilizzerà i nuovi criteri del DSM V finirà col rimescolare le mele [ritardo del linguaggio] e le arance [non ritardo del linguaggio]. Per esempio, basta pensare come nella letteratura scientifica i disturbi sensoriali tendono ad essere enormemente più gravi tra i membri della popolazione autistica con ritardo del linguaggio. Come faranno i ricercatori a mettere a confronto gli studi sui problemi sensoriali condotti secondo il DSM V con gli studi precedenti? Questo rimescolamento di carte è molto grave perché aggiungerà ulteriori difficoltà a coloro che hanno i mezzi per dimostrare la correlazione fra autismo e vaccinazioni. Tutti coloro che oggi giocano con le relazioni causa-effetto tra i fattori ambientali e la genetica devono stare molto attenti. Come ogni scienziato sa, correlazione non vuol dire causazione e la controversia autismo vaccinazioni è tutt’altro che chiusa. Infatti, come insegna il recente scandalo emerso ai CDC di Atlanta, vi sono bambini che stanno incredibilmente male e manifestano gravi sintomi congruenti con l’autismo quasi subito dopo essere stati vaccinati. In questi casi è risultata giusta e pertinente la diagnosi di disturbo mitocondriale. Il nucleo di una cellula contiene i cromosomi; è lì che sono codificati i nostri geni. Ma fuori dal nucleo, nel citoplasma della cellula, ci sono degli organelli [il nome viene dall’idea che gli organelli sono per la cellula quello che gli organi – cuore, reni, fegato, polmoni, intestino, etc. etc. – sono per l’organismo], e alcuni di questi organelli sono i mitocondri. Ogni cellula ha centinaia di migliaia di mitocondri, che hanno la funzione di convertire le molecole in energia. I mitocondri hanno il loro DNA, distinto dal DNA dei cromosomi. Il DNA mitocondriale può subire mutazioni. La vaccinazione può causare danno mitocondriale a tal punto da risultare causale all’esordio dei sintomi di autismo. Alcuni sintomi possono essere relativamente lievi, alcuni più severi, fino a mettere a rischio la vita; alcuni potrebbero comprendere la perdita della coordinazione muscolare, problemi visivi e uditivi, disturbi dell’apprendimento, disturbi gastrointestinali, effetti neurologici. Tutti questi sintomi farebbero parte del disturbo mitocondriale, e tutti sarebbero congruenti con la diagnosi di autismo. Le diagnosi etichette del DSM potranno cambiare e continueranno a cambiare, ma oggi possiamo modificare il nostro obiettivo, perché i progressi delle neuroscienze ci permettono di entrare in una fase della storia dell’autismo, in cui è possibile determinare una causa per ciascun soggetto, ma con importanti differenze: 1. la ricerca della causa coinvolge non la mente ma il cervello: non una fantomatica mamma frigorifero ma evidenze neurologiche osservabili; 2. poiché ci rendiamo conto della straordinaria complessità del cervello, sappiamo che questa ricerca non porterà a una causa singola ma a più cause fra le quali le vaccinazioni non sono esenti per semplice atto di fede; 3. dobbiamo cercare una causa o più cause non dell’autismo ma di ogni sintomo presente nell’intero spettro autistico di ogni singolo individuo. Dimenticate le diagnosi etichette e concentratevi sui sintomi. E soprattutto, cari ricercatori, smettetela di snobbare le autobiografie di numerosi individui autistici che hanno un patrimonio di conoscenze da condividere e da considerare con grande attenzione, a tal punto che dovrebbero rappresentare la base per produrre studi scientifici basati sull’evidenza più profonda dell’essere umano coinvolto dalla problematica. Siamo lieti di osservare che molti ricercatori iniziano a pentirsi del loro operato e cominciano ad accorgersi dei limiti delle etichette, e a riconoscere la necessità di una definizione più rigorosa degli obiettivi. Ormai è sempre più chiaro che la probabilità di riuscire a identificare un unico marker per l’autismo è impossibile, proprio per la grande varietà che incontriamo in questo spettro. In tal senso, la definizione di sottogruppi di autismo più piccoli con caratteristiche molto specifiche potrebbe fornire la chiave per chiarire ulteriormente questa complessa patologia. E ancor di più dobbiamo pensare non solo ai sottogruppi di autismo più piccoli definiti dai sintomi, ma ai sintomi stessi. Pensare a singoli sintomi, uno per uno, alla fine permetterà di pensare alla giusta formulazione della diagnosi, paziente per paziente, comprovata da esami strumentali e di laboratorio rigorosi e specifici. Ovvero, tutto il contrario della spazzatura diagnostica e terapeutica con cui abbiamo a che fare oggi con questo pasticcio chiamato DSM.