Ubi societas, ibi ius - prof.ssa Giovannella Gattini

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Aula magna della Corte di Cassazione, Roma
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Dove c’è un gruppo stabilmente organizzato in un territorio, là c’è (e c’è sempre stata) la
necessità di individuare regole di comportamento che hanno lo scopo sia di garantire a
ciascuno un'esistenza pacifica, sia di permettere che le attività umane si svolgano in
maniera sicura.
Il diritto, cioè il complesso di norme e istituzioni giuridiche valide ed operanti in una
data epoca, in un certo territorio, è uno degli elementi che caratterizzano la cultura e la
civiltà di un popolo e costituiscono la sua risposta ai problemi dell'esistenza.
Moltissimi aspetti della nostra vita quotidiana sono condizionati da una serie di regole,
ma le situazioni che possiamo incontrare nella vita di tutti i giorni sono le più disparate e,
a circostanze diverse, corrispondono regole diverse.
Le regole di comportamento che nascono dalla nostra coscienza, cioè dalla convinzione
di agire secondo ciò che è considerato giusto in una determinata società, in un
determinato momento, si chiamano regole "morali".
Le regole che riguardano il vivere associato (cioè lo stare con gli altri) sono dette regole
"sociali".
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Ci sono, inoltre, delle regole che nascono dalla fede religiosa: in tutte le religioni, infatti,
è presente una gran quantità di regole che disciplinano la vita e le azioni di chi abbraccia
un determinato credo.
Le norme giuridiche, vale a dire le regole di diritto, sono un’altra categoria di regole
necessarie per organizzare la vita di società che presentano una rete complessa di
rapporti tra persone.
Queste regole, scaturite dall’autorità dello Stato, si rivolgono a tutti indistintamente e
sono in grado di indirizzare il comportamento di ogni individuo in modo tale da
garantire che le persone possano vivere in una società ordinata e pacifica.
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Nella nostra esperienza giuridica che, come vedremo, prende vita
dall’elaborazione del
diritto romano nel corso di secoli e millenni,
le norme giuridiche presentano alcune caratteristiche fondamentali.
Innanzitutto la generalità: questa caratteristica sta a significare che le norme
giuridiche si rivolgono appunto a tutti i cittadini (cioè alla generalità dei consociati)
senza nessuna discriminazione; tutt'al più, sarà possibile avere delle norme che si
riferiscono a determinate categorie di persone (ad esempio ai commercianti, agli
studenti, ai pensionati, ai portatori di handicap ecc.), ma non incontreremo mai una
norma che si riferisce soltanto a una persona in particolare, perché la Corte
Costituzionale ne dichiarerebbe la nullità.
Altra caratteristica fondamentale è l'obbligatorietà, che consiste nel dovere che tutti
abbiamo di rispettare le norme giuridiche: ciascun cittadino è obbligato a non
trasgredire le norme giuridiche, salvo incorrere in una sanzione.
La sanzione è, dunque, una conseguenza negativa cui si va incontro quando si
contravviene a una norma imperativa e può essere di vario tipo: può consistere nel
pagare una somma di denaro (sanzione pecuniaria) o, in casi particolarmente gravi,
nella limitazione della libertà personale (sanzione penale detentiva).
La minaccia della sanzione serve quindi a far desistere dall'intenzione di violare le
norme giuridiche imperative, mentre l'applicazione della sanzione nei confronti di chi
ha comunque violato la norma rappresenta la punizione per la trasgressione.
Vi è poi l'astrattezza, il che significa che le norme giuridiche prescindono da casi
particolari (sono formulate in modo tale da potersi adattare al maggior numero di
casi possibile), ma si riferiscono a situazioni astratte, le cosiddette situazioni-tipo o
fattispecie astratte.
Una caratteristica comune delle norme giuridiche è quella di prendere la particolare
forza di cui sono dotate dall'autorità dello Stato, così come noi lo intendiamo
nell’accezione attuale: infatti è proprio lo Stato, attraverso i suoi organi, che dà vita
all'ordinamento giuridico.
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Le caratteristiche di un ordinamento giuridico che si ispiri a quanto appena
descritto, sono proprie di un sistema chiuso di produzione del diritto
(presente in Europa a partire dalla rivoluzione francese) dove si trova una
netta separazione tra potere esecutivo (organi che agiscono nell’interesse della
comunità), potere legislativo (organi che creano il diritto) e potere giudiziario
(organi che applicano il diritto in sede giurisdizionale).
Nei sistemi aperti, invece, sia di diritto giurisprudenziale, come fu
prevalentemente il diritto romano, o giudiziale, come gli attuali sistemi di
“common law”, i giuristi a Roma e i giudici nel common law, per risolvere
una controversia tra soggetti, non sono tenuti ad applicare una norma
prefissata, ma possono anche innovare andando oltre i giudizi di valore
precedentemente espressi, autorevoli certamente, ma non immutabili.
Le pronunce dei giuristi e dei giudici funzionano dunque come precedenti.
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Le norme giuridiche di un sistema chiuso
non possono essere disapplicate
salvo che un’altra norma non le abbia abrogate,
cancellandole dall’ordinamento giuridico.
Naturalmente, tanto nell’esperienza romana che nel common law, giuristi e giudici
debbono confrontarsi con norme espresse la cui osservanza è obbligatoria, ad
esempio le regole di procedura per lo svolgimento dei processi.
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L'esperienza romana può essere considerata, fin dalle origini, un sistema aperto di
diritto giurisprudenziale, caratterizzato dall'esistenza di uno specifico ceto di persone
cui era affidato il compito dell'accertamento e dello sviluppo del diritto esistente.
Dalla monarchia, alla res publica, al principato, all’impero, le primitive istituzioni di
diritto privato e l’organizzazione della civitas, scaturite come risposta alle
congiunture, alle necessità, alle vicende che affrontò il popolo romano, furono
trasformate nel tempo per adattarsi ad ordinamenti politico-sociali diversi poggiati
sull’autorità dei capi ai quali era riconosciuto l’imperium indispensabile a tutelare la
vita del gruppo.
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Aula magna Corte di Cassazione, Roma
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Le regole giuridiche vigenti in Roma, fondate sui “mores”, trovavano la loro
legittimità nella corrispondenza ad un ordinamento connaturato alla struttura stessa
dei rapporti socioeconomici e intersoggettivi e proprio per questo flessibile e destinato
a mutare nel tempo.
Nel periodo arcaico la sfera etico-religiosa e quella giuridica erano strettamente
connesse, in quanto a Roma, come in tutte le città-stato del mondo classico esisteva
una religione di stato, per cui l’appartenenza alla civitas comportava la partecipazione
al culto cittadino.
Le norme dell’organizzazione religiosa erano pertanto anche norme della comunità
per garantire la “pax deorum”, cioè un corretto rapporto con la divinità a garanzia
della prosperità delle “familiae” e della città stessa.
Questo legame ai “sacra”, cioè all’aspetto religioso, dall’epoca arcaica fino all’epoca
tardo repubblicana, costituiva il fattore che permeava la società romana e garantiva la
legalità di ogni attività individuale o di gruppo, sia nell’ambito privato che in quello
pubblico: la familia, il matrimonio, i rapporti di filiazione naturale o adottiva, la
successione ereditaria, le contrattazioni commerciali, le procedure processuali nelle
quali era fondamentale la fedeltà del giuramento decisorio per la risoluzione delle
controversie, l’elezione dei magistrati che governavano la res publica.
Ogni azione trovava la sua giustificazione e la sua modalità di svolgimento nei mores
e nel rispetto dei sacra.
Sin verso la fine del III sec. a.C., il compito dell'accertamento del diritto esistente era
svolto dal collegio dei pontifices, il cui capo - il pontifex maximus – impersonava la
massima autorità religiosa dello stato, esercitata dal re nel periodo monarchico (fino al
509 a. C.). L’attività dei pontifices che avevano un ruolo di mediatori fra l’ordinamento
giuridico e la società, non consisteva, dunque, nella produzione di proposizioni
normative di carattere generale ed astratto, ma nella elaborazione di “responsa”, cioè
di pronunce in risposta – almeno in epoca repubblicana - ai quesiti dei magistrati, dei
giudici e dei privati intorno alla regola di diritto da applicare al caso concreto.
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I responsa, conservati negli archivi pontificali (dopo un primo periodo in cui
probabilmente furono tramandati a memoria), erano considerati dei precedenti che,
in certi limiti, vincolavano l'ulteriore attività del collegio, ma - proprio perché
soltanto precedenti - potevano essere modificati e adattati alle nuove esigenze.
Nell'interpretatio pontificum ha origine il carattere di diritto
giurisprudenziale che ha sempre conservato,
l'ordinamento giuridico romano.
A partire dal periodo tardo-repubblicano e nel principato,
gradualmente, il diritto romano si staccò dal legame con i sacra
per assumere un carattere laico,
poggiato in prevalenza sui senatusconsulta e sulle costituzioni del princeps
la cui forza e ragione, chiaramente enunciata
nella “lex de imperio Vespasiani”, era proprio la indiscutibile auctoritas
di chi era investito dell’imperium.
A partire dalla prima metà del V sec. a.C, cioè agli albori della Repubblica, l'inter-
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Pontifex Maximus
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pretatio pontificum, come autonoma attività del collegio pontificale, venne
affiancata da disposizioni normative espresse, le Leges Rogatae deliberate nei
Comitia Centuriata, una sorta di assemblea popolare, in cui il magistrato chiedeva
al popolo l’approvazione dei provvedimenti predisposti per il periodo della sua
carica.
Alcuni studiosi ritengono che anche le XII Tavole (451-450 a.C) fossero una lex rogata: in tal
modo furono codificate le pronunce pontificali conservate negli archivi del collegio, dopo
un’opera di accurata selezione da parte della commissione dei Decemviri presieduta da
Appio Claudio. 4
Le XII Tavole probabilmente ricoprivano l'intero campo del diritto
sacro, pubblico, penale, privato, processuale.
Secondo la tradizione, furono stilate per rispondere alle richieste dai plebei
che volevano norme scritte per frenare
l’arbitrio dei patrizi nell’amministrazione della giustizia.
I responsa non trascritti nelle XII Tavole divennero desueti e furono abbandonati: si
garantì in tal maniera, se non la certezza del diritto - impossibile in un sistema
aperto – almeno quella dei precedenti pontifìcali, cui si potevano rifare i privati ed i
magistrati e di cui dovevano tener conto gli stessi pontifìces nell'ulteriore elaborazione.
Si trattava, comunque, di decisioni di massima, che potevano esser sempre riviste
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Nel 451 a.C. fu istituita una commissione di decemviri legibus scribundis che rimpiazzò le magistrature ordinarie, sia
patrizie che plebee, sospese in quell'anno. I componenti della commissione furono scelti tra gli ex-magistrati patrizi; T.
Livio ce ne fornisce i nomi: Appio Claudio, Tito Genucio, Publio Sestio, Lucio Veturio, Gaio Giulio, Aulo Manlio, Publio
Sulpicio, Publio Curiazio, Tito Romilio e Spurio Postumio. Le Dodici Tavole vennero affisse nel foro, dove rimasero fino
al sacco ed all'incendio di Roma del 390 a.C.
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all’evolversi dei bisogni e della cultura. Anche dopo le XII Tavole, i pontifìces rimasero sempre degli interpretes iuris senza sentirsi limitati, in linea di principio, ai
giudizi di valore su cui si fondavano le regole versate nelle XII Tavole stesse.
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La tecnica interpretativa del collegio pontifìcale
fu affiancata nel periodo tardo repubblicano
dall’opera di prudentes laici
che dettero vita ad una vera e propria scienza del diritto.
Questi giuristi, originariamente senatori e poi funzionari della cancelleria imperiale,
erano non solo esperti di diritto, ma anche autori di una produzione letteraria
consistente nella raccolta di pareri utilizzati sia dai magistrati per emettere una
sentenza, sia dagli avvocati delle parti.
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Marco Tullio Cicerone, senatore e giurista (106 a. C. – 43 a. C.)
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Quando nel periodo del principato, a partire dal I secolo d.C.,
la soluzione di un problema giuridico si dovette ricercare
anche nelle leges o nei senatusconulta
la funzione dei prudentes si trasformò
Evoluzione del Diritto Romano
originando un’attività tesa alla comprensione del testo normativo,
molto simile alla moderna interpretazione giurisprudenziale
Alle leges rogatae, deliberazioni dei comizi centuriati, l'assemblea di tutto il popolo,
si affiancarono nel tempo i plebiscita, delibere prese nei concilia plebis tributa,
organizzazione della plebe esclusa sino al 367 a.C dalle magistrature cittadine,
monopolio della nobiltà patrizia. Nel 287 a.c. con la lex Hortensia i plebiscita,
denominati genericamente lex, vennero equiparate alle leges rogatae votate
dall'intero popolo.
I plebiscita, per tutto il periodo repubblicano, servirono prevalentemente
per aggiornare e integrare istituti giuridici esistenti, non per introdurne di
nuovi,
fatto che si verificò, invece a partire da Augusto che li utilizzò ampiamente
per innovare la disciplina del matrimonio, della famiglia e delle successioni.
Tra il IV e il III secolo a.C. , l’intensificarsi dei rapporti commerciali con l’estero
fece sentire l’inadeguatezza di un diritto affidato prevalentemente
all’interpretazione dei pontifices.
Le situazioni sprovviste di tutela da parte dello ius civile (il diritto della civitas)
fondato sui mores, cominciarono, pertanto, ad essere tutelate
dall’attività del magistrato in carica, il pretore.
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Dopo la fine della monarchia, le funzioni pubbliche furono affidate a funzionari che
svolgevano attività amministrative in vari settori – magistratus minores – mentre il
potere civile e militare, nonché la giurisdizione sugli affari privati, si concentrava
nei due pretori, detti poi consoli, istituiti nel 509 a.c., cui si aggiunse nel 367 a.c. il
pretore urbano.
Nel 242 a.c. a questi magistrati venne associato il pretore peregrino che si occupava
principalmente delle controversie in cui uno dei contendenti era uno straniero.
Tutti questi magistrati la cui azione era svolta nell’interesse del popolo romano (res
publica), all’inizio del loro mandato emanavano un editto con il quale
annunciavano le loro linee di intervento nei processi sottoposti alla loro
giurisdizione.
Con il passare del tempo gli editti non furono più rinnovati di anno in anno, ma
finirono per essere confermati in blocco dal collega successivo, dando vita così
all’edictum tralaticium.
Accanto allo ius civile fondato sui mores,
si venne così a creare lo Ius Honorarium,
che costituiva un nuovo sistema di regole elaborate dai magistrati.
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Aula magna, Corte di Cassazione, Roma
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Durante il Principato, l’assetto politico mutò profondamente rispetto al periodo
repubblicano e questo influenzò gradatamente anche l’ordinamento giuridico che
rimase
fondamentalmente
un
sistema
aperto,
ma
alle
interpretazioni
giurisprudenziali, come già visto, si affiancarono altri modi di produzione del diritto.
La lex rogata cadde in disuso, legata com’era alle strutture repubblicane e fu
sostituita dai senatusconsulta che almeno per tutto il I secolo d.C. conservarono
l’originario valore di consulenza al magistrato nello svolgimento delle sue funzioni
giurisdizionali.
Solo con il regno di Adriano (117/138 d.c.) i senatusconsulta cominciarono a
produrre norme di ius civile, generando effetti diretti e obbligatori sui privati.
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Nel II secolo d.C. il senatusconsultum mutò ulteriormente la sua funzione
trasformandosi in una proposta di legge fatta dall’imperatore e letta da un questore
davanti al Senato.
Anche l’editto pretorio venne codificato nella stesso periodo, perdendo la sua
autonomia nella produzione di ius honorarium, in quanto lo stesso pretore non
aveva più indipendenza di Imperium di fronte all’Imperatore.
Un provvedimento legislativo, la Lex de Imperio, che di fatto era un
senatusconsultum, già nel periodo dei Flavi avvalorava l’assunzione dell’imperium
da parte di imperatori che non potevano vantare legami familiari, seppure adottivi,
con il princeps che li aveva preceduti, né l’appartenenza all’aristocrazia romana.
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La crisi della repubblica con le lotte tra Silla e Cesare per usurpare il potere delle
magistrature cittadine sovvertendo l’ordinamento politico della res publica, portò
Roma sull’orlo della guerra civile. L’impegno militare per spegnere la ribellione di
alcune province e la guerra tra Ottaviano e Antonio per il dominio sull’Egitto
crearono una situazione di pericolosa destabilizzazione aggravata da una carestia che
svuotò le riserve annonarie.
Il Senato e il popolo, per salvare Roma e i suoi mores, furono così indotti ad
appoggiarsi sul Console Ottaviano, figlio adottivo di Cesare, che aveva un potere
immensamente superiore a quello del suo collega sia per il suo personale carisma sia
per la gratitudine tributatagli dal popolo romano per aver liberato Roma dal pericolo
e aver reintegrato, a sue spese, le scorte alimentari.
Acclamato Imperator in quanto generale vittorioso dell’esercito, Ottaviano fece sì che
il Senato gli riconoscesse tale appellativo in via definitiva come status personale che
lo poneva al di sopra di qualsiasi altro magistrato.
Riconosciuto “Princeps Senatus”, cioè la personalità più alta del Senato, non fu più
solo un “primus inter pares”, ma divenne la suprema personalità politica.
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Ottaviano nel corso degli anni, pur mantenendo integre
dal punto di vista formale
le diverse magistrature romane,
ne assommò le funzioni concrete, esautorando di fatto i colleghi
che nominalmente mantenevano la carica.
Per organizzare la guerra contro Antonio, Ottaviano - denominato Augusto per i
suoi meriti e per il suo personale carisma - assunse il comando dell’esercito romano
di cui era già divenuto capo supremo per effetto della “coniuratio Italiae et
provinciarum”, giuramento con il quale tutti i popoli dei territori dominati da Roma
si erano legati a lui con vincoli di fedeltà.
Di fatto, l’ordinamento della res publica rimaneva immutato, ma il potere
esercitato dal Princeps aveva assunto un carattere personalista, consacrato dagli
onori che gli vennero tributati, dai rami di alloro che ornavano l’ingresso delle sue
abitazioni, allo scudo d’oro nella Curia Iulia che lo riconosceva restauratore dello
Stato, alla corona civica che lo riconosceva come salvatore dei cittadini e di Roma,
fino all’assunzione dei “sacra” della sua famiglia da parte della cittadinanza.
Iniziava, nel periodo che vide al potere la gens Iulia e la gens Claudia,
quella divinizzazione della persona del Princeps
che Vespasiano, comandante militare proveniente dalla classe equestre
e dotato di un forte senso dell’ironia, irrise, come racconta Svetonio,
perfino in punto di morte dicendo:
“Ah, credo che sto diventando un dio”.
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La cura et tutela rei publicae, già attribuita a Cesare sul finire della res publica, con
Ottaviano si estese oltre i confini tradizionali del “pomerium”, cioè il confine della
città di Roma, per trasformarsi in cura et tutela rei publicae universa, vale a dire
senza limiti di competenza per materia e territorio e in “cura legum et morum”.
Il dominio di Ottaviano, acclamato “dictator rei publicae constituenda”e “pater
patriae e pontifex maximus”, fu totale sul panorama politico e giunse ad intervenire
anche nei rapporti tra privati con la creazione di una sorta di giudizio di appello, nel
quale le sentenze del giudice erano emesse dopo aver interpellato i giuristi della sua
cancelleria.
Il problema legato alla successione, sia nel periodo della gens Iulia che in quello della
gens Claudia, venne risolta con l’adozione dell’erede designato, al quale venivano
trasmessi in blocco i poteri attribuiti ad Ottaviano Cesare Augusto: fu così che il
nome Caesar, anche dopo l’estinzione della casa Iulia, rimase agli imperatori ad
indicare il legame e la continuità nell’imperium.
Lo strumento giuridico che permetteva la successione nel potere fu
la Lex de imperio
che veniva votata prima dal Senato e poi dal popolo per
acclamazione,
in omaggio ad un rito divenuto ormai solo formale.
In realtà e più incisivamente, fu l’esercito a divenire il vero arbitro nella
proclamazione dei nuovi imperatori, fatto decisivo nell’assunzione del potere da
parte di Vespasiano al termine dell’anno che vide lo scontro tra i quattro imperatori,
Galba, Otone, Vitellio e lo stesso Vespasiano.
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La narrazione della guerra è giunta sino a noi attraverso gli scritti di Publio Cornelio
Tacito che negli Annales e nelle Historiae ha illustrato la storia dell'Impero romano
del I secolo, dalla morte dell'imperatore Augusto, avvenuta nel 14 d. C., fino alla
morte dell'imperatore Domiziano, avvenuta nel 96 d. C. 7
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Dal 68 al 69 d.C. con Galba, Vitellio e Otone la gestione dell’impero era stata divisa in quattro aree di influenza:
legioni siriane, Spagna, legioni germaniche e guardia pretoriana.
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Publio Cornelio Tacito, (nato nella Gallia Narbonense nel 55 e morto nel 120) è stato uno storico, oratore e senatore
romano.
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Tito Flavio Vespasiano, fondatore della dinastia Flavia
- Vespasiano, Tito, Domiziano governò fra il 69 e il 79 col nome di Cesare Vespasiano Augusto.
Divenne imperatore al termine della guerra tra i quattro imperatori
Galba, Otone, Vitellio, Vespasiano,
ponendo fine a un periodo d'instabilità seguito alla morte di Nerone.
Avvalendosi del sistema dei precedenti, Vespasiano con la Lex de imperio, approvata
con un senatusconsutum il 22 dicembre dell'anno 69 d.C, determinò l’estensione del
suo imperium che assommava in sé i poteri che avevano esercitato i suoi predecessori.
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Il princeps, il cui agire era definito ormai “absolutus ex legibus”, spogliava
definitivamente il Senato della sua autonomia organizzativa e si arrogava il potere di
indire e presiederne le sedute.
La supremazia gerarchica della Lex de imperio Vespasiani su tutte le altre norme
ordinarie era sancita dalla clausola del Caput tralaticium de immunitate, che
legittimava in tutte le controversie, sia penali che civili, non solo la condotta del
princeps, ma anche di coloro che in suo nome avevano agito.
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La “commendatio”, introdotta da Cesare per assicurare l’elezione dei suoi favoriti
alle cariche pubbliche e adottata anche da Augusto e dai suoi successori, assunse con
Vespasiano la forza di una norma di diritto, divenendo il metodo usuale con il quale
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Parte della Lex de Imperio Vespasiani conservata in un'iscrizione bronzea, rinvenuta nel 1347 da Cola di Rienzo nella
basilica di San Giovanni in Laterano e conservata presso i Musei Capitolini di Roma.
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il princeps designava i suoi candidati alle cariche pubbliche, anche disattendendo il
tradizionale “cursus honorum”.
In forza dei poteri che aveva assunto come censore
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Vespasiano compilò nuove liste
di senatori e cavalieri in cui furono inclusi molti cittadini delle province. Si favoriva in tal
modo l’accesso alle cariche pubbliche anche delle élites locali, promuovendo
l’integrazione della società con la concessione di diritti di cittadinanza ai provinciali,
specialmente a quelli delle regioni più romanizzate dell'Occidente. La Lex Flavia
Municipalis che estese lo Ius Latii alla Spagna per placare gli animi, come racconta
Plinio il Vecchio, dopo la guerra tra i quattro imperatori, ampliò enormemente non
solo la base sociale dell'impero, ma anche quella per l’imposizione fiscale.
Il nuovo imperatore, oculato amministratore per i suoi sostenitori o gretto avaro per i
detrattori, fu infatti un attento curatore delle finanze dello stato, dissanguate dalle
guerre e dallo sfrenato lusso dei suoi predecessori e delle loro corti.
Tra i tributi introdotti, ricordiamo la famosa tassa sui vespasiani 11 e il fiscus iudaicus
12.
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La magistratura del Censore, che era eletto nei Comitia Centuriata, fu istituita nel 443 a.C. per risolvere i ritardi nei
censimenti fino ad allora di responsabilità dei Consoli. Solo nel 339 a.C. poterono essere eletti alla carica anche
rappresentanti della classe plebea. I censori si occupavano principalmente del censimento della popolazione, della
cura morum (cioè della sorveglianza sui comportamenti individuali e collettivi) e della lectio senatus con la quale i
censori decretavano i candidati alla carica senatoriale. Con il declino e la caduta della Repubblica Romana la carica
venne poi assunta direttamente dagli imperatori, spesso in chiave anti-senatoria. Il criterio del censimento basato sul
reddito relativo alla quantità di terra coltivabile posseduta oppure sul numero di capi di bestiame, fu modificato da
Appio Claudio Cieco nel 312 a.C. che introdusse come unità base il capitale mobile. Questa riforma fu fondamentale
per l'apertura dei Comizi centuriati alle nuove classi sociali in ascesa, che fondavano la propria ricchezza sul
commercio e sull'artigianato piuttosto che sull'agricoltura.
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La tradizione, accolta da Svetonio (70-126) in De vita Caesarum VIII, 23, e ripresa poi da Dione Cassio (155-229) in
Storia LXV, 14, 5, attribuisce a Vespasiano la celebre frase “Pecunia non olet”, il denaro non ha odore, pronunciata per
rispondere alle critiche sull’origine della centesima venalium, la tassa sull'urina raccolta nelle latrine gestite dai privati,
popolarmente denominati da allora "vespasiani". Dall'urina veniva ricavata l'ammoniaca necessaria alla concia delle
pelli.
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Il fiscus iudaicus è la tassa e cui andarono soggetti gli Ebrei sconfitti da Tito, figlio di Vespasiano. Era infatti pagata
dagli ebrei assoggettati all'Impero romano dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme in favore del tempio di
Giove Capitolino in Roma. Anche tramite questo tributo l'imperatore riuscì a risanare le finanze dell'impero dando
slancio all'economia e creando numerose opere pubbliche.
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Fu nel periodo della dinastia dei Flavi che l’apparato dell’amministrazione pubblica,
ormai molto complesso e articolato per funzioni e ruoli, cominciò ad assumere
l’aspetto che conserva ai giorni nostri, con funzioni dirigenziali attribuite non più a
liberti dell’imperatore, ma ai cavalieri ai quali era riconosciuta, a seconda
dell’importanza dell’incarico, una retribuzione di sessantamila, centomila o
duecentomila sesterzi,.
Accanto agli edili cui già in epoca repubblicana era affidata il mantenimento di strade,
templi ed edifici pubblici, durante il principato furono istituiti un servizio antincendi
affidato a coorti dislocate in tutta la città comandate da un praefectus vigilum, servizi
per garantire la navigabilità del Tevere e la manutenzione delle rive e degli impianti
fognari “cura alvei Tiberis et riparum et cloacarum”, la cura degli acquedotti affidata
a un curator aquarum, la supervisione dell’approvvigionamento alimentare affidata al
praefectus annonae, la distribuzione del frumento.
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Sesterzio di Vespasiano, coniato nel 71 per celebrare la vittoria nella prima guerra giudaica; il rovescio della moneta
reca la scritta IVDAEA CAPTA, "Giudea conquistata".
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Tra gli altri compiti svolti dall’amministrazione pubblica ricordiamo anche quelli
assegnati alla polizia urbana per garantire l’ordine nelle ore notturne e ai funzionari
che sovraintendevano alle palestre dei gladiatori e alle biblioteche imperiali.
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Tempio di Vespasiano, intitolato all’imperatore e a suo figlio Tito, si erge nei pressi del Tabularium nel foro Romano
Vespasiano, Copenaghen, Ny Carlsberg Gyptotek
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Il diritto romano è giunto sino a noi ed ha pervaso gli ordinamenti giuridici
di molti paesi dell’Europa continentale
attraverso la poderosa opera di studio, rielaborazione e codificazione
delle leggi romane di epoca repubblicana
e imperiale e dei responsa dei giuristi
ordinata da Giustiniano, Imperatore Romano d’Oriente.
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Giustiniano, Mosaico in San Vitale, Ravenna
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Il 13 febbraio 528 d. C. Giustiniano, da poco nominato imperatore, emanò la
costituzione “Haec quae necessario”, nella quale dichiarava l’intento di riordinare il
settore della giustizia e la materia processuale raccogliendo in un unico Codex i
materiali facenti parte delle statuizioni legislative che si erano susseguite e, spesso,
sovrapposte nel tempo.
Il Codex Iustinianus era costituito da una raccolta ufficiale di costituzioni imperiali
redatta ad opera di una commissione da lui nominata, composta di dieci membri,
funzionari o ex funzionari imperiali, avvocati e capi militari, con l'aggiunta di un
professore di diritto, che aveva il compito – diremmo noi nel linguaggio attuale - di
“semplificare” la vastissima materia scegliendo le norme in vigore ed eliminando,
invece, le disposizioni cadute in desuetudine o abrogate da costituzioni successive.
Il lavoro fu concluso in un anno: il 7 aprile 529, con la Costituzione Summa rei
publicae, Giustiniano emanava il Codice, ordinando di citare nei processi solo le
costituzioni in esso contenute e vietando l'utilizzo di testi diversi.
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17
Triboniano: bassorilievo in marmo alla Camera dei Rappresentanti del Campidoglio di Washington. La sua data di
nascita è ignota, ma si sa che proveniva dalla Panfilia e che forse era pagano. È considerato il più importante giurista
dell'Impero Romano d'Oriente e del suo tempo.
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L’opera di sistemazione di tutto il diritto romano era appena iniziata: l’anno
successivo Giustiniano con la Costituzione Deo auctore conferì a Triboniano,
quaestor sacri palatii, cioè responsabile della giustizia dell’Impero, l’incarico di
selezionare e raccogliere in un'unica opera quanto prodotto dalla giurisprudenza
romana, con la facoltà di apportare le modifiche ai testi giuridici ritenute necessarie al
fine di eliminare le contraddizioni e di adeguarli al diritto vigente (c.d. interpolazioni).
Il lavoro dei commissari si concluse dopo soli tre anni, nel 533, dando vita al
Digesto o Pandette, opera di 50 libri. 18
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Il termine "Digesto" deriva dal verbo latino "digerere", che significa "disporre ordinatamente, razionalmente"; il
termine equivalente con cui viene indicato il Digesto, "Pandette" ha invece etimologia greca, derivando da pandektes
che significa "che riceve o comprende tutto", per indicare la completezza della compilazione.
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Digestorum, seu Pandectarum libri quinquaginta. Lugduni apud Gulielmu[m] Rouillium, 1581. Biblioteca Comunale
"Renato Fucini" di Empoli
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Ciascun libro è a sua volta suddiviso in titoli ed ogni titolo ha una propria rubrica
indicante l'argomento trattato. All'interno dei titoli sono ordinati i frammenti delle
opere della giurisprudenza romana, soprattutto di Ulpiano.
L’opera, ai cui princìpi e istituzioni si ispirano gli attuali codici civili, era utilizzata sia
per la pratica forense, sia per la formazione degli studenti di diritto dal 2º al 4º anno.
Questa la materia dei libri: Principi Generali, Tutela della proprietà e dei diritti reali,
Obbligazioni e Contratti, Diritto di Famiglia, Successioni testamentarie, Successioni
del possesso e pretoria, Diritto criminale.
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Il 21 novembre 533 con la Costituzione Imperatoriam furono pubblicate le Istituzioni di
Giustiniano (in latino: Institutiones), opera didattica in 4 libri voluta dall'imperatore e
realizzata dai giuristi Triboniano, Teofilo e Doroteo utilizzando principalmente le Istituzioni
di Gaio, a cui si ispirava la suddivisione in quattro libri: Persone, Res (la proprietà e le
successioni testamentarie), Obbligazioni (successione legittima e le obbligazioni da atto lecito -
20 Triboniano consegna le Pandette a Giustiniano: parte dell’ affresco “Le virtù e la legge” attribuito ad allievi di Raffaello Sanzio e situato nella
Sala della Signatura , una delle quattro affrescate da Raffaello nei Musei Vaticani.
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obbligazioni contrattuali), Azioni (obbligazioni da atto illecito – delitti, le azioni e il diritto
criminale).
Questa opera, usata a volte per la pratica forense, fu soprattutto utilizzata per la
formazione degli studenti del primo anno di diritto.
Nel 534 su incarico di Giustiniano, una nuova commissione sempre presieduta da
Triboniano, iniziò una revisione del Codex per aggiornarlo ed eliminare le
costituzioni superflue e quelle abrogate.
Il compimento dell’opera fu annunciato dall’imperatore con la Costituzione Cordi
(Cordi nobis est= Ci sta a cuore).
IL CODEX IUSTINIANUS REPETITAE PRAELECTIONIS
è l'unica edizione del Codex ad essere pervenuta fino a noi.
L'opera è divisa in 12 libri, contenenti ognuno numerosi titoli.
Le costituzioni in ogni titolo sono in ordine cronologico.
Le costituzioni, alcune in greco e la maggior parte in latino,
conservano l'INSCRIPTIO contenente il nome dell'imperatore e del destinatario
e la SUBSCRIPTIO con la data e il luogo di pubblicazione.
L'opera comprende 1600 costituzioni
(oltre 1200 dell’imperatore Diocleziano)
ed è divisa per argomenti: Diritto ecclesiastico, Diritto privato, Diritto penale,
Diritto amministrativo e finanziario.
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Oltre a essere utilizzato nel diritto, il codice di Giustiniano veniva studiato dagli
studenti del 5º e ultimo anno di studio di diritto.
Le costituzioni emanate dall'imperatore dopo la pubblicazione del Codex Iustinianus
repetitae praelectionis, dal 535 al 565 anno della sua morte, sono dette Novellae
(nuove costituzioni).
Nell'aspetto esteriore le Novellae differiscono molto dalle costituzioni presenti nel
Codice Giustiniano.
Di esse, infatti, abbiamo il testo pressoché integrale, preceduto da una prefazione in
cui si illustrano i motivi che hanno richiesto l'intervento imperiale, seguita da un
epilogo con le consegne per l'entrata in vigore.
Delle costituzioni facenti parte del Codice, al contrario, abbiamo solo i passi
selezionati dai commissari.
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Statua di Gaio, Tribunale Supremo di Madrid
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Nel III secolo d. C. il Principato si trasformò gradualmente nel Dominato, una
forma di governo caratterizzata dal dispotismo: l'imperatore, non più contrastato
dai residui delle antiche istituzioni della Repubblica Romana, poteva disporre
dell'Impero come se fosse una proprietà privata, dominus et deus, unica fonte del
diritto.
Se dal compromesso con le istituzioni repubblicane era scaturito, per opera di
Augusto, il regime del principato, dall’affermazione dell’imperatore come monarca
assoluto derivò l’assetto che Roma si diede, per sopravvivere, a partire dalla fine del
3° sec. d.C.: il territorio fu ripartito in circoscrizioni periferiche strutturate in cerchi
concentrici - prefetture, diocesi, province - coordinate da una forte burocrazia
centralizzata e lo stesso potere imperiale fu condiviso tra più Domini.
L’impero romano durò fino all’anno 395 d. C.,
quando alla morte di Teodosio I venne suddiviso
in una pars occidentalis e in una pars orientalis.
attraverso la poderosa opera di studio, rielaborazione e codificazione
L’Impero romano d’Occidente terminò la sua storia nell’anno 476 d.C.
con la
deposizione dell’ultimo imperatore legittimo Romolo Augusto ad opera di Flavio
Odoacre, generale di origine germanica e primo rex Italiae.
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Il dominato, pur con diversi aggiustamenti e difficoltà, continuò ad esistere fino al
565 d. C., anno della morte di Giustiniano.
L’Impero romano d'Oriente si protrasse fino all’anno 1453 quando, morto in
battaglia l'imperatore Costantino XI Paleologo, Costantinopoli fu conquistata dagli
Ottomani guidati dal sultano Maometto II.
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Jean Chartier, L'assedio di Costantinopoli, 1470 - Jean Chartier, storiografo francese, monaco dell’Abbazia di SaintDenis.
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L’eredità dell’Impero Romano era stata raccolta e conservata dagli imperatori
bizantini che chiamavano il loro stato "Regno dei Romani", ma in occidente una
nuova forza politica ne rivendicava l’eredità spirituale, il Sacro Romano Impero
(detto poi impero romano – germanico) che si protrassse fino al 1806, anno in cui
l’imperatore Francesco II, dopo l’esito infausto della guerra contro Napoleone,
abdicò, rinunciando per sempre al titolo di Imperatore dei Romani e23 assumendo
il titolo di Imperatore d'Austria con il nome di Francesco I .
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Il titolo aveva ormai solo valore onorifico ed era tramandato internamente alla casa degli Asburgo d'Austria.
Carlo I, detto Carlo Magno, fondatore della dinastia Carolingia
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La pretesa di atteggiarsi come eredi dei romani, sebbene giuridicamente discutibile,
ebbe alcuni innegabili risultati positivi, come il ripristino del diritto romano che, a
partire dalla metà del XII secolo, tramite l'attività delle Università, tornò in Occidente
sostituendosi in larga parte alle legislazioni germaniche, in vigore dai tempi delle
invasioni e a quelle canonistiche diffuse dalle istituzioni ecclesiastiche.
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A partire dal XV secolo, il diritto romano venne riconosciuto come il diritto comune
dell’impero costituendo l’elemento unificante e sussidiario dei singoli ordinamenti
principeschi.
Il Diritto Comune
indica lo sviluppo di studio e interpretazione del diritto romano giustinianeo
nell'Europa continentale e in alcuni paesi dell’Europa Orientale
- Romania, Polonia, Boemia 26
dal X secolo fino alle codificazioni ottocentesche.
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Ottone I nel 962 conquistò l'Italia potendo così cingere la corona imperiale. Da quell'anno ci fu una perenne
identificazione fra le corone tedesca, italiana ed imperiale.
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La Pandettistica
È un movimento di pensiero della scienza giuridica tedesca
attivo in Germania dalla fine del sec. XVII a tutto il secolo XIX.
Per promuovere con metodo rigorosamente scientifico lo studio del diritto
si basò sui testi del diritto romano
e in particolare sulle Pandette (o Digesto) di Giustiniano,
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Francesco II ultimo imperatore del Sacro Romano Impero e primo Imperatore d’Austria.
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I Pandettisti, convinti che il diritto romano (in quanto ius comune) costituisse il
patrimonio spirituale della nazione tedesca, attraverso un’operazione di recupero del
testo originario del Corpus Iuris Giustinianeo, rimasto la fonte del diritto comune
vigente in Germania fino quasi al termine dell’Ottocento e attraverso una precisa
ricostruzione teorica degli istituti privatistici romani, si proponevano di fondare una
giurisprudenza costruttiva, tesa a generare nuovi concetti, e quindi nuove regole, da
concetti precedentemente inseriti nel sistema - cosiddetta piramide sistematica.
Attraverso la ricostruzione degli istituti giuridici romani, i Pandettisti fecero acquisire
alla storia giuridica la conoscenza di istituti che, pur presenti nel Corpus Iuris, erano
stati ignorati dalla pratica giurisprudenziale del diritto comune e contribuirono allo
sviluppo della scienza giuridica contemporanea.
In Inghilterra il sistema giuridico, detto di Common Law,
si sviluppò dalle origini senza rilevanti influenze del Diritto romano,
il che spiega le notevoli differenze
rispetto agli ordinamenti giuridici dei paesi continentali.
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Con il contributo dei Pandettisti il diritto romano
è divenuto un fattore essenziale della costruzione
dei principi del moderno diritto privato
e in Germania come in Italia,
si pone la priorità della dottrina sulla pratica,
delle scuole di diritto sul giudice.
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Giotto, La Giustizia, 1306, Cappella degli Scrovegni, Padova
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Pietro De Francisci – Sintesi storica del diritto romano – Mario Bulzoni editore, 1968
Mario Talamanca – Elementi di diritto privato romano – Giuffrè editore – 2001
Luigi Capogrossi Colognesi – Vespasiano: una ricorrenza
Comitato nazionale per le celebrazioni del bimillenario della nascita di Vespasiano - Atti del Convegno “La Lex
de Imperio Vespasiani” - Roma 20-22 novembre 2008
Elio Lo Cascio – L’amministrazione dell’Italia e delle Province
Comitato nazionale per le celebrazioni del bimillenario della nascita di Vespasiano - Atti del Convegno “La Lex
de Imperio Vespasiani” - Roma 20-22 novembre 2008
Luigi Capogrossi Colognesi – Le Dodici Tavole. Le prime leggi dell’antica Roma – Nuove edizioni romane, 2011
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