La società
L’emergenza
L’incontro
Soldi, soldi, soldi
quei veleni
del calcio ticinese
Popoli in fuga,
per i profughi
è dramma globale
Mario Capecchi:
“Cerco di vedere
ciò che non esiste”
ALLE PAGINE 34 e 35
A PAGINA 37
CATANIA A PAGINA 46
travirgolette
ilcaffè
Il cibo
31 agosto 2014
Il culatello
degno lato “B”
dei salumi
SOCIETÀ | TENDENZE | PROTAGONISTI
RIFLESSIONI D’AUTORE
MORO A PAGINA 36
Siamo davanti
ad un livello
crescente
di elaborazione
estetica di se stessi.
Si coniuga
il narcisismo
dell’uomo digitale,
col desiderio
di registrare
compulsivamente
le tracce di ogni
sua azione
Selfie
UNA SETTIMANA
UNA PAROLA
ELISABETTA MORO
antropologa
S
iamo entrati nell’era dell’autoritratto 2.0. Il
boom di selfie - parola dell’anno 2013 - introduce la foto in una dimensione assolutamente inedita. Per la velocità e la viralità
di condivisione della propria immagine. E
per la democratizzazione della tecnica, dovuta alla
facilità d’uso dei programmi. Diceva Cartier Bresson che le fotografie non si fanno con la macchina,
ma con gli occhi, con il cuore, con la testa. Chissà cosa direbbe oggi vedendoci sorridere beati davanti all’immagine rovesciata di noi stessi. Appagati da foto
senza poesia. Sovraeccitati dal fatto che basta uno
smartphone o una webcam per scattare. Il resto lo fa
il software. Che consente di superare anche quella
tensione fra l’attimo fuggente e l’eternità che l’obiettivo ha cercato da sempre di catturare.
Con un selfie posso fare di me e della mia immagine quello che voglio. È quello che deve aver pensato la segretaria dell’amministrazione federale che,
per combattere la routine del lavoro, si è fotografata
a seno nudo in ufficio. E poi ha postato gli scatti ammiccanti su twitter. Con un account che vanta ben
undicimila followers era difficile che la sua bravata
passasse inosservata. Infatti, nel giro di poco tempo
è scoppiato il selfiegate, e le sue pose, non precisamente professionali, sono diventate di dominio
pubblico. Con immediata sospensione della bella
dipendente, accusata di aver leso la buona reputazione della Confederazione.
Ma evidentemente la facilità del mezzo e la sua
apparente intimità induce molti in tentazione. Ne sa
qualcosa il sindaco di Baden, Geri Müller, che ha inviato ad una 33enne dei selfie, fatti nel suo ufficio,
nei quali il corpo nudo non lascia margini di dubbio. Si tratta di selfie hot. Con l’aggravante di una
inedita tipologia di “abuso d’ufficio”. Perché, nella
sede istituzionale della città che ti ha eletto per essere ben governata, non si possono compiere impunemente atti lontani dal decoro che il ruolo pubblico
impone sempre e comunque. Insomma, nella stan-
za dei bottoni non ci si sbottona. Lo ha ammesso lo
stesso Müller, facendo atto di contrizione davanti alle telecamere. Il sindaco si è però difeso, spiegando
che si trattava di foto private, che tali dovevano rimanere, se non fosse che la sua compagna di voyeurismo virtuale avrebbe minacciato di renderle pubbliche. Così si è visto costretto a giocare d’anticipo
denunciandola per coazione. Inevitabilmente la
storia è diventata di dominio pubblico. E il lato
oscuro del consigliere nazionale dei Verdi, come lui
stesso lo ha definito, è venuto alla luce. Lato oscuro
o lato B, si tratta in ogni caso di debolezze ascrivibili,
in parte, al narcisismo di massa che sta contagiando
Posso fare della mia immagine ciò
che voglio, deve aver pensato quella
segretaria di palazzo federale...
anche persone al di sopra di ogni sospetto. Perché
nell’era digitale è sempre più vero che anche l’occhio vuole la sua parte, soprattutto un occhio costitutivamente guardone come quello del web. Vedere
ed essere visti è diventato un imperativo categorico.
Per conteggiare il nostro share virtuale in pollici di
gradimento. Proprio come fanno i divi di Hollywood
che anche la sera del Golden Globe, davanti ad un
esercito di paparazzi professionisti, si sono accalcati
per un selfie come se fossero una classe in gita scolastica. E quel post ha fatto il giro del mondo in un
nanosecondo. Bruciando sul tempo giornali e tv.
I politici, da sempre sensibili al gradimento della
propria immagine, sfruttano a pieno regime la popolarità di questo mezzo. E posano di buon grado
L’allarme
Lo scatto in autostrada che ci acceca
A PAGINA 29
con gli elettori in cerca di una foto ricordo da condividere con la community. Primo fra tutti il premier
Matteo Renzi, che il giorno di inaugurazione del semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea,
ha elevato il selfie a metafora politica. Quando ha
detto “se oggi l’Europa facesse un selfie che immagine verrebbe fuori? Il volto della stanchezza e della
rassegnazione, il volto della noia. Eppure il tempo ci
mostra delle occasioni meravigliose”. Come dire che
bisogna scegliere bene cosa selfare. E che l’immagine ormai è sostanza.
Perfino la compassata cancelliera tedesca, Angela Merkel, dopo la finale vittoriosa della sua nazionale di calcio ha festeggiato la coppa con una serie infinita di selfie. Con Kedhira, con Podolski e con gli altri
campioni del mondo mentre indossava la beneaugurante giacca rossa. Quella che aveva portato fortuna ai teutonici sin dalla prima partita. Nuove forme
di populismo? Non solo. È che oggi l’immagine, anche per i politici, ha smesso di essere una metafora
per diventare concreta, reale e tangibile. Un secondo
corpo, del cittadino comune come del leader, che
l’autoritratto digitale fa volare sulle onde del web.
Il risultato è un livello crescente, e trasversale, di
elaborazione estetica di se stessi, che coniuga il narcisismo dell’uomo digitale con l’istanza diaristica tipica dell’individuo di massa contemporaneo. Che
registra compulsivamente le tracce di ogni sua azione. E altrettanto compulsivamente le condivide. Con
la complicità di social network come Facebook, Instagram e Flickr, che rilanciano un vecchio arnese
come il ritratto, traducendolo nel linguaggio della
moderna civiltà dell’apparenza. Dove velocità, facilità e viralità hanno preso il posto dell’unicità e dell’irriproducibilità. Assistiamo insomma a un processo
di auto-estetizzazione globale, che sta generando un
nuovo canone orizzontale. Un mi piace planetario,
che sostituisce il vecchio noi comunitario. Mentre il
tessuto connettivo prende il posto di quello collettivo. Proiettandoci nell’era del selfie-made-man.
Domenica
LIBERO D’AGOSTINO
UNA STRIZZATINA
AL SENO
CONTRO L’AIDS
N
ella gara della solidarietà
contro le grandi malattie
si corre sempre più veloci. Anzi senza più freni. Dopo i
gavettoni ghiacciati, con una carica virale da pandemia planetaria, per finanziare la lotta alla
Sla, ecco la strizzatina ai seni per
sostenere la campagna Stop
Aids. Ma non un seno qualsiasi.
Quelli, invece, di dieci note pornostar che solidalmente si fanno
palpegggiare. Succede in Giappone per merito, o demerito a
seconda dei punti vista, di una tv
porno che ha offerto ai suoi telespettatori l’occasione di un’indimenticabile toccatina, in cambio
di una donazione, per combattere l’Aids. Un’iniziativa che, ovviamente, ha suscitato reazioni
contrapposte. Fatto è che anche
l’umana solidarietà quando diventa effimera pubblicità non
conosce più limiti. Sconfinando
oltre il buon senso. Sono tanti i
mali, e non solo le malattie, che
affliggono il mondo. E di questo
passo chissà cosa ancora si escogiterà per raccogliere soldi. Confondendo un nobile scopo con
una miserevole notorietà.