Il Sé nella prospettiva psicologica

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Il Sé nella prospettiva psicologica
Il comportamento come organizzazione unitaria e il concetto di sé
La maggior parte degli psicologi è concorde nel sostenere che il comportamento umano è il
risultato non solo dell'operatività di singole parti ma anche, ed in grado maggiore, della relazione
funzionale ed organica di queste specifiche componenti. Esso si esprime come un insieme
organizzato ed integrato di azioni, non come un aggregato di risposte isolate. Queste ultime,
invece di conseguire differenti obiettivi, magari talvolta in conflitto, sembrano manifestarsi in
funzione di specifiche e comuni prospettive. In effetti, quando il comportamento appare
disorganizzato, disgregato, si sospetta che qualcosa non vada decisamente nella persona.
In che modo quindi possiamo configurare questo modello e la sua organizzazione?
Cosa conferisce al comportamento questa caratteristica integrativa?
In risposta a queste domande è stato spesso utilizzato il concetto di sé.
Tradizionalmente tre considerazioni hanno portato a sottolineare il concetto di sé.
Innanzitutto, la consapevolezza che abbiamo di noi stessi rappresenta un aspetto importante
della nostra esperienza fenomenologica o soggettiva, in secondo luogo un gran numero di
evidenze sperimentali conducono a ritenere che il modo in cui ci sentiamo rispetto a noi stessi
influenzi il nostro comportamento in molte situazioni, infine esso sembra il miglior costrutto in
grado di descrivere gli aspetti organizzati/vi e integrati/vi della personalità
Ma generalmente cosa si intende in psicologia come concetto di sé?
Il concetto di sé rappresenta l'insieme di elementi a cui una persona fa riferimento per
descrivere se stessa e riguarda tutte le conoscenze riguardo alla propria personalità, a partire da
quelle di ruolo, il lavoro o lo status sociale, a quelle descrittive, nome o aspetto fisico, a quelle
più intime e “personali”.
Gli stati di consapevolezza variabili e il concetto di inconscio
Quindi, fino a che punto siamo consapevoli della nostra vita mentale interna e delle cause del
comportamento e che ruolo hanno in tutto ciò gli stati variabili di coscienza?
Posta una certa concordanza nell'ammettere diversi stati di coscienza nella persona, i
ricercatori si sono spesso interessati dell'influenza rispetto alla percezione di sé delle sostanze
psicotrope, di particolari stati di contesto o interni alla persona e delle diverse tecniche di
meditazione. Nella continua esplorazione di un sé consapevole ed integrato ed un sé implicito, i
molti studiosi si sono trovati in difficoltà rispetto al concetto di inconscio classico proveniente
dal modello psicoanalitico, per loro troppo omnicomprensivo e non aggredibile empiricamente.
Sorgono pertanto spontanee delle domande di rilevante importanza nella definizione di sé.
Come spiegare il sostrato attivo di istanze personali che non affiorano a livello cosciente,
pensieri, associazioni, stati emotivi, percezioni e proiezioni?
Fino a che punto le persone sono in grado di far affiorare questa loro vita interna e
descriverla accuratamente?
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Qual è il grado di percezione e misurazione di se stessi e, di converso, degli altri?
Le relazioni tra cognizione, affetti e comportamento manifesto
Nel tentativo di fornire un quadro di riferimento, possiamo definire la personalità come un
insieme integrato di cognizioni, affetti e comportamento manifesto. Gli psicologi della personalità
danno ad ognuna di queste componenti un peso relativo in base alla situazione presa in esame,
certo è che la loro esistenza è indiscussa quanto la loro continua relazione. Allo stesso modo il
riferimento teorico fornisce diverse ipotesi esplicative circa i fenomeni studiati e il modello di
riferimento spesso non è unitario. Giusto per citare le più importanti possiamo ricordare:
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la teoria dinamica della personalità di Freud con il suo modello idraulico di Es, Io e Super
Io
la teoria fenomenologica di Carl Rogers
le teorie incentrate sui tratti di Gordon Allport, Raymond Cattel e Hans Eysenck, i quali
esplorano la personalità tramite colloqui e questionari polarizzati ed indagini fattoriali
la teoria cognitivo-sociale di Bandura.
Ognuna di queste mette in rilievo questo e quell'altro aspetto per originare un costrutto
teorico/esplicativo della personalità e, di conseguenza, del concetto di sé. Come vedremo,
l'approccio cognitivo-sociale, integrato con nuove e moderne discipline in ambito biologico,
neuroscientifico e della teoria dell'informazione, è quello maggiormente in grado di fornire
risposte più esaurienti al problema della natura del sé.
L'influenza sul comportamento del passato, del presente e del futuro
Altra questione rilevante sono le variabili del tempo e dell'esperienza personale. Fino a che
punto siamo “prigionieri del nostro passato” o al contrario veniamo modellati dalla nostra
concezione del futuro?
I teorici concordano nel fatto che solo gli eventi che agiscono nel presente sono in grado di
influenzare il comportamento contingente. Allo stesso modo la percezione e la valutazione dei
fatti emergenti nel presente, l'origine dei fatti stessi, vengono influenzate da memorie passate e
proiezioni future proprie della persona, del suo ruolo, del gruppo in cui è inserita, della società a
cui appartiene.
Le posizioni teoriche a riguardo danno diversa responsabilità al grado di influenza che le
variabili temporali hanno sul quadro generale della persona e nello specifico della ideazione e
rappresentazione del sé. Per portare alcuni esempi, ad un estremo si pone la teoria psicoanalitica
per la quale hanno grande importanza le esperienze passate, anche precoci, all'opposto si situa
la teoria cognitiva la quale dà particolare rilievo ai piani individuali rivolti al futuro. La questione
comunque non è se gli eventi passati o le anticipazioni sul futuro possano avere effetti nel
presente della persona ma come concettualizzare e descrivere in che modo essi si accordano ed
influenzano i vari aspetti della personalità presente.
Riguardo alla questione in esame, ancora una volta, l'approccio multimodale e
multidisciplinare al modellamento della personalità, e nello specifico del sé, appare essere quello
più esauriente ed efficace.
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Il sé e l'identità
Come già detto, i termini sé e identità si riferiscono a differenti processi psicologici relativi
alla costruzione, al mantenimento e al cambiamento dell'autoconsapevolezza e
dell'automonitoraggio comportamentale.
Con l'etichetta “sé” non si indica una cosa o un'entità psicologica circoscritta, ubicata in
qualche parte del cervello, ma una caratteristica funzionale diffusa in grado di sostanziare
numerosi processi mentali, dalla percezione di sé, all'autoregolamento del proprio
comportamento, dalla formulazione di una propria vita psichica e cognitiva alla relazione con
l'ambiente e gli agenti esterni alla persona.
Come il sé, anche l'identità è un costrutto concettuale con cui si indicano gli effetti, cognitivi
ed affettivi, di molteplici processi integrativi sul piano dell'autoconsapevolezza, delle
autorappresentazioni e delle autodefinizioni condivise ed impersonate frutto dell'attribuzione di
ruoli e competenze.
Esiste una circolarità regolativa tra ruoli e sé, dal momento che ogni situazione, episodio o
relazione, implicano cambiamenti o aggiustamenti sul piano dell'autoconsapevolezza, circolarità
attraverso la quale cerca normalmente di mantenere una coerenza tra le sue azioni e la persona
che crede o rivendica di essere.
Il punto centrale su cui gli studiosi del sé concordano è che quest'ultimo emerga sempre da
una qualche forma di relazione, interna o esterna alla persona, affidandosi quindi ad un approccio
teorico e sperimentale di tipo interazionista.
Il sé è quindi il risultato riflesso di un'azione rispetto ad un contesto predefinito e dotato di
significato e si inserisce nel quadro di un ambiente di fatto dipendente dalle intenzioni
conoscitive e adattive del soggetto.
La continua attività di percezione, esplorazione ed interpretazione che il soggetto attua in
ogni istante della sua esistenza e che lo porta alla costruzione di un sé coerente ed adattivo,
porta gli studiosi dell'identità alla formulazione di un modello teorico non solo interazionista ma
anche cognitivista e costruttivista. Questo modello, pur non perdendo di vista le proprietà
funzionali ed organiche della mente/cervello e la dimensione sociale e culturale dell'individuo, si
inserisce in un piano intermedio in cui emergono credenze, aspettative, i linguaggi e le norme
propri della persona.
Finché gli è possibile, l'individuo sostiene attivamente sia un mondo situazionale, ad esempio
il gruppo familiare, sia un'immagine di sé coerente con l'idea che ha della sua persona o che
ritiene più utile mantenere. L'identità è quindi costantemente negoziata fra l'individuo e il
contesto in cui è inserito. Il concetto di sé rappresenta quindi non un'entità psicologica
rigidamente connotata da tratti o caratteristiche indipendenti dai contesti di vita e non è
originata dai soli caratteri intrapsichici ma anche da una continua relazione con l'ambiente e le
altre persone.
Il mondo relazionale però non si esaurisce nel rapporto fra individuo e ambiente ma confluisce
nel continuo processo comunicativo che la persona ha con se stessa. Ognuno di noi è ben
consapevole di due aspetti strettamente correlati tra loro inerenti alla propria identità, il
“soggetto conoscente” (Io) e “l'oggetto conosciuto” (Me).
Il sé si costituisce tramite il linguaggio e l'azione quando l'individuo si percepisce come
un'entità dotata di rilevanza sia sociale che psicologica e in questo continuo formarsi viene
guidato dalla relazione con il prossimo. Il gesto, la parola, il comportamento, in quanto dotati di
significati e scopi, nel momento in cui vengono rivolti ad un altro da sé costituiscono un punto di
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riferimento per l'autopercezione e l'autoregolazione. Allo stesso modo, l'ininterrotto dialogo
interno permette alla persona di modificare o mantenere tratti di sé emergenti tramite
l'esplorazione del “me”.
Pertanto, secondo l'ottica interazionista, i processi del sé si sviluppano attraverso l'impegno
cognitivo e affettivo posto nell'assumere il ruolo dell'altro e nel percepirsi come un'entità
psicologica e sociale tramite l'utilizzazione di simboli linguistici, di giudizi di valore e degli
schemi attributivi elaborati dal gruppo di riferimento.
I buona sostanza, il sé sarebbe il frutto di un continuo “ciclo percettivo” volto ad elaborare
gli stimoli esterni ed interni alla persona nel tentativo di elaborare un costrutto identitario
efficace, coerente e sufficientemente plastico.
Le caratteristiche del sé
L'identità personale è il risultato, come abbiamo visto, di diversi processi psicologici,
interpersonali e intrapersonali, che confluiscono in una struttura organizzatrice della propria
persona. Attraverso di esse, gli uomini e le donne non solo hanno un'esperienza cognitiva ed
emotiva di loro stessi ma sono in grado di:
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elaborare ed integrare in modo coerente l'informazione interna ed esterna che li riguarda
codificare questa stessa elaborazione sotto forma di memoria autobiografica, conferendo
alla storia soggettiva coerenza retrospettiva e continuità futura
selezionare ed attuare i repertori di comportamento più adeguati alla propria identità
sessuale, sviluppando le relative competenze socialmente trasmesse.
L'identità personale è anche un sistema di regole e segnali condivisi attraverso cui l'individuo
da vita ad un'identità sociale. Mediante questa sua capacità di comprensione e manipolazione di
questi significati, l'individuo produce diverse versioni di sé che si adattano al contesto ed al
registro comunicativo. Essa è sostenuta da due processi, l'autoconsapevolezza, ovvero il flusso
di esperienza soggettiva che può manifestarsi a diversi livelli di coscienza, e l'autoregolazione,
intesa come coma la capacità riflessiva di monitoraggio di sé e delle proprie azioni.
Questi due processi interni alla persona permeano tre dimensioni dell'identità personale:
1. il concetto di sé (aspetto intrapersonale)
2. la rappresentazione di sé (aspetto interpersonale e situazionale)
3. l'identità tipizzata (aspetto intra/intergruppo)
Concetto di sé. È definibile come un insieme di categorie semantiche naturali rappresentate
mentalmente. Esso appare più come una “teoria” che la persona ha di se stessa più che un'entità
esistente ed è contraddistinta da caratteristiche psicologiche, somatiche e di ruolo.
Rappresentazione di sé. Le rappresentazioni di sé possono essere intese come emanazioni del
concetto di sé e sono dipendenti dal sistema di relazioni in si manifestano. Esse ne costituiscono
la parte operativa, empiricamente prodotta, proiettata all'assunzione di ruoli. Non da meno
influenzano l'interpretazione degli eventi, i giudizi, in confronti sociali, l'assunzione del proprio
ruolo, agendo sulla motivazione, sul comportamento e sull'organizzazione di sé. L'eventuale
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feedback congruente fornito dall'ambiente rispetto alla rappresentazione di sé messa in atto
dall'individuo è di vitale importanza per un giudizio positivo che il soggetto da a se stesso e al
proprio comportamento.
Identità tipizzata. Si tratta di un insieme di tratti attribuiti a se stessi relativi ad aspetti
disposizionali, comportamentali, espressivi e di ruolo, di natura prototipica e stereotipica. Esso
costituisce per l'individuo un sistema preordinato di orientamento cognitivo per
l'autovalutazione, l'azione, e la realizzazione di un'adeguata immagine di sé. Per quanto possa
sembrare superficiale e suscettibile di correzioni, la tipicizzazione attraverso i tratti è un veicolo
molto importante per la creazione di rappresentazioni di sé efficaci ed è in grado di interagire con
aspetti profondi della persona, non da ultima la stima verso di sé. Quanto più l'individuo si
identifica con le attese e le caratteristiche di un'attività o di un ruolo ascrittogli, tanto più è
portato a condividere le caratteristiche prototipiche associate a tale attività o ruolo. La
vicinanza o la lontananza tra la visione di sé e il prototipo può influire sull'autovalutazione
positiva della propria identità.
La comparsa del sé
Secondo diverse evidenze sperimentali, forme embrionali di autoriconoscimento emergono
entro il primo anno di vita. Secondo una visione a stadi della formazione della personalità, il
bambino crea una visione di sé coerente secondo codici interpretativi di crescita:
 sensoriale (alla nascita)
 percettivo e concettuale (tra i 18 e i 24 mesi)
 semiotico (tra i 9 e gli 11 anni)
Il passaggio da un codice all'altro sarebbe preordinato geneticamente ma i contenuti e le
modalità di queste riorganizzazioni dell'identità sono veicolati dall'esperienza e dall'ambiente. La
conoscenza di sé si costituisce tramite l'interiorizzazione del punto di vista degli altri, adulti e
coetanei, rappresentato da schemi interpretativi e aspettative che il bambino dapprima mima e
quindi interpreta ed assimila. Linguaggio e azione producono quindi un sistema di significati e
regole autoreferenziali da cui emergono diverse facce di sé, sempre suscettibili di integrazione,
sviluppo e differenziazione.
Sé e identità sessuale.
Bambini e bambine, in quanto assegnati fin dalla nascita ad uno dei due ruoli sessuali,
assumono un'identità di genere corrispondente al loro sesso biologico. Ciò avviene mediante la
pressione sociale e un'elaborazione ed una interiorizzazione soggettiva di tale pressione
educativa.
Più o meno consapevolmente, i genitori, ma anche gli altri parenti, indirizzano questo sviluppo
lungo un percorso di autospecchiamenti in cui il bambino o la bambina non potrà far altro che
apprendere i ruoli e identificarsi con gli schemi espressivi e di comportamento sessuale tipizzati.
La ricerca ha evidenziato come sin dai primi giorni di vita il modo di comunicare della madre e
del padre con il neonato sia differente a seconda del suo sesso.
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Durante la crescita del bambino, i rituali, i ruoli e le azioni simboliche, in quanto artefatti
cognitivi ricchi di valenze affettive, sono notevolmente importanti per il suo sviluppo identitario
di genere. Essi offrono una lettura esterna, codificata e “oggettiva” di quali siano i ruoli sessuali
adeguati all'interno della società spesso connotando la maturazione dell'individuo con veri e
propri riti di passaggio.
Inoltre il sesso di appartenenza non influisce solo sul tipo di relazione che gli altri hanno con il
bambino ma anche sulle relazioni che egli intrattiene con se stesso. La visione di sé è frutto
anche dei prototipi sessuali a cui egli va incontro ed alla lettura che fornisce di questi ultimi a se
stesso.
In questo processo di categorizzazione del sé il bambino non è però una figura passiva come si
potrebbe facilmente intendere. Partecipa attivamente nella costruzione di un sé coerente, stabile
e positivo, in sintonia con la propria identità sessuale, condividendone valori ed atteggiamenti.
L'autocaratterizzazione sessuale, pur agendo per tutta la vita attraverso continui
rimodellamenti, ha i suoi momenti apicali e critici nel passaggio dalla seconda infanzia
all'adolescenza, coincidenti ovviamente con i cambiamenti puberali, e avranno effetti importanti
in tutta la giovinezza. Ad ogni modo a questi momenti di svolta non si arriva improvvisamente,
saranno i ruoli sessualmente dimorfici, attribuiti ed agiti, giocati e fantasticati, immaginati ed
osservati, che contribuiranno ad un lento ma progressivo modellamento biografico dell'identità di
genere e personale.
La matrice culturale del sé e la memoria autobiografica.
Le caratteristiche dell'identità dipendono anche dalla matrice etnica e culturale a cui
l'individuo fa innegabilmente riferimento, e spesso, essendo in gran parte inconsapevoli, sono
difficili da modificare. Questo contesto viene spesso trasmesso in modo implicito attraverso il
linguaggio parentale, la socializzazione e la seguente appartenenza ad uno o più gruppi. Esiste
una sostanziale relazione fra concetto di sé, memoria individuale e tradizione comunitaria.
La memoria autobiografica, oltre a dare continuità futura e coerenza retrospettiva all'identità,
costituisce il costante riferimento attraverso il quale viene elaborata e resa significativa
l'informazione su se stessi. Consiste in un processo ricostruttivo che seleziona e riconnette i
ricordi, dando loro un senso attraverso uno schema narrativo ed è stato dimostrato che tali
ricordi possono non essere necessariamente esatti o storicamente veri, prevalendo l'esigenza di
renderli congruenti con una certa rappresentazione di sé. Inoltre i contenuti affettivi della
memoria autobiografica si legano a quegli eventi, periodi, situazioni e autorappresentazioni in cui
si sono radicate le componenti fondamentali della propria immagine di sé.
La memoria autobiografica è impregnata di legami emozionali. Le resistenze a modificare le
concezioni di sé a cu si tiene di più dipendono dal valore emotivo e relazionale delle stesse.
L'autoinganno, oltre ad essere una strategia difensiva atta a sostenere l'autostima, è anche una
spia di come le variabili che costituiscono l'identità personale non siano sempre omogenee.
Lo scarto tra la rappresentazione di sé data e autopercepita, tra gli atteggiamenti e il
comportamento, denuncia incoerenze e dissonanze che l'individuo tenta di colmare, non sempre
efficacemente.
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Sé ed autoregolazione
I diversi sistemi di codifica dell'informazione relativa a se stessi svolgono una parte importante
nell'organizzare l'attività conoscitiva individuale. Tali sistemi sono stati chiamati schemi di sé e
sono generativi sia interpretativi dell'esperienza soggettiva e oggettiva che l'individuo ha di se
stesso in relazione alla realtà ed i suoi contesti.
Gli schemi di sé producono forme di autoconoscenza intrapersonali ed interpersonali,
sensomotorie, simboliche, socio-emotive, socio-cognitive, rappresentazionali e percettive.
Queste forme di autoconoscenza possono essere sia implicite e non consapevoli, sia esplicite e
dotate di una rappresentazione consapevole.
L'impiego di differenti schemi di sé favorisce diversi modi di decodificare l'informazione
relativa a se stessi ed il comportamento conseguente. È chiaro che i fattori contestuali nei quali
questi schemi si attivano hanno un'importanza fondamentale nella loro emersione, rendendo
possibili differenti percezioni, descrizioni, e valutazioni di sé. Tanto maggiore sarà la capacità
dell'individuo di elaborare l'informazione su di sé, tanto più significativa sarà la sua
consapevolezza della sua identità e relativo automonitoraggio. La varietà e la finezza degli
schemi stessi, mobili e automodellanti ma sempre legati da una coerenza interna, darà sempre
maggiori possibilità alla persona di formulare un'idea della propria individualità ricca e proattiva.
Ruoli e rappresentazione di sé
Le persone costruiscono implicitamente e scoprono in modo riflessivo la propria identità
attraverso i ruoli socio-culturali, interpersonali e situazionali.
Il concetto di ruolo indica un insieme di attributi, aspettative e prescrizioni generati dalla
posizione che un individuo occupa, stabilmente o temporaneamente, all'interno dell'interazione
sociale. Esso è capace di vincolare i modi di essere e di agire delle persone ad contesto
relazionale.
Si può distinguere tra ruolo impersonato e ruolo assegnato. Il primo è di natura soggettiva e
riguarda tutte le attività di automonitoraggio, rappresentazione di sé e comportamento che la
persona assume e fa proprie sentendole vicine alla concezione di sé individuale. Il secondo rinvia
più ad uno sfondo sociale e culturale che organizza maschere ed episodi per costruire un sistema
narrativo coerente delle relazioni interpersonali.
Gran parte delle interazioni tra ruoli, in quanto date per scontate, sono invisibili come del
resto le norme psicologiche sottostanti, pur facendo parte del nostro sistema di conoscenze
implicite. Solo certi comportamenti formali fortemente codificati e ritualizzati, o l'improprietà, la
goffaggine e gli errori di condotta ci mettono sull'avviso, ma solo momentaneamente, della
presenza di ruoli e regole. A ben guardare, anche i rapporti più intimi e privati sono regolati da
cerimoniali, atti, significati e norme psicologiche più complesse di quanto si pensi.
Esiste quindi una serie di processi mentali e di atti autoregolativi che sostiene non solo
l'attribuzione a sé del ruolo ma anche ad avvertire quest'ultimo come proprio e credibile.
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