Indagini a livello nazionale

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Direzione Nazionale Antimafia
Il traffico di esseri umani
Il coordinamento investigativo:problemi e prospettive
La tratta di esseri umani si è imposta all’osservazione degli investigatori come
una delle attività più lucrose della criminalità organizzata ma anche come una delle
più turpi, proprio per la violenza che viene esercitata sulle vittime.
Essa rappresenta quasi il lato oscuro della globalizzazione: è in crescita anche
a causa delle fragili economie di alcuni Paesi, degli enormi profitti per i trafficanti,
della condizione sociale della donna, dei pochi rischi e le rare condanne inflitte a chi
la esercita.
La criminalità organizzata ha avuto negli ultimi tempi una radicale
modificazione: accanto a quella che possiamo chiamare tradizionale perché radicata
in un certo territorio con ramificazioni e contatti con altre organizzazioni di altri
Paesi (la mafia siciliana, i cartelli colombiani e simili) vi è quella che oggi
chiamiamo transnazionale; essa è formata da gruppi di persone appartenenti a Paesi
diversi, a etnie diverse, uniti non più dalle comuni origini bensì solo dal comune
interesse e che operano contemporaneamente in più Paesi.
Le indagini sviluppate sulla tratta di persone e sul contrabbando di clandestini
hanno dimostrato la partecipazione di gruppi di persone variamente aggregate: il
gruppo criminale tipico che agisce in queste attività è quello formato da albanesi,
kossovari, bosniaci, rumeni o, per altro verso, nigeriani i quali sviluppano la loro
attività contemporaneamente nei Paesi di origine, di transito e di destinazione;
accanto a questi gruppi è stata constatata l’esistenza di veri e propri cartelli
criminali, in stretto collegamento tra loro, e che si occupano delle varie fasi del
traffico.
E’ a tutti ben nota e non occorrerebbe neppure ribadirla la differenza tra
contrabbando di clandestini e tratta di esseri umani (smuggling e trafficking secondo
la dizione dei due Protocolli annessi alla Convenzione di Palermo).
La principale differenza tra i due fenomeni è che nel primo caso la vittima
vuole venire in Italia e si affida a quelle organizzazioni che le assicurano (!) il
trasferimento nel nostro Paese, dove – una volta arrivati – cessa qualunque rapporto
tra le due parti;
nel secondo caso (tratta) la vittima o viene costretta o aderisce a progetti
diversi da quelli che poi i trafficanti le imporranno e comunque continua a dipendere
quasi esclusivamente dalla volontà di costoro.
Elemento tipico della tratta di persone oltre al reclutamento violento o con
inganno è il trasferimento della vittima attraverso più Paesi, e la vendita della
persona da un gruppo all’altro prima di giungere al luogo di destinazione.
È evidente che questo sistema rende oltremodo difficile individuare tutti gli
autori del traffico e risalire ai vari anelli della catena.
Una ulteriore difficoltà è data dai nuovi connotati che può assumere anche la
riduzione in schiavitù: si è di recente notato che spesso non vi è più continuità nella
segregazione della vittima perché i trafficanti vogliono poter dimostrare che essa era
libera: succede pertanto che la rimandano temporaneamente in Patria, ma sempre
sotto il costante controllo dell’organizzazione.
Già da queste considerazioni, nasce la conseguenza dell’assoluta necessità di
una costante collaborazione internazionale per sviluppare le indagini in tutti i Paesi
attraverso i quali la tratta viene esercitata.
L’Italia è certamente Paese di destinazione ma anche di transito per entrambi i
fenomeni, della tratta di persone e del contrabbando di clandestini, i quali, pur
essendo completamente diversi quanto alle vittime, alle modalità e alle cause, hanno
spesso punti di contatto che possono fornire importanti sviluppi alle indagini,
qualora tempestivamente individuati.
Indagini a livello nazionale
Le indagini sulla tratta seguono quasi sempre lo stesso schema: una donna
(spesso per l’azione svolta dalle ONG) riesce a sfuggire al controllo del suo
protettore, si rivolge alla Polizia e rivela la storia di cui è vittima assieme ad altre
donne.
Va qui subito osservato che la legge n. 228/2003 sulla tratta, è quasi una
ratifica anticipata del Protocollo “Trafficking” annesso alla Convenzione delle
Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (Palermo 2000), ed è
particolarmente importante per vari motivi:
 estende al traffico di esseri umani l’intera legislazione antimafia;
 correttamente bilancia l’aspetto repressivo con quello sociale e di protezione
delle vittime;
 individua e penalizza tutte le varie attività con le quali la tratta può avere inizio
e svilupparsi;
 attribuisce alle DDA la competenza delle indagini trattandosi di fatti commessi
dalla criminalità organizzata.
La legge dunque contiene norme di diritto sostanziale e processuale che offrono
all’operatore nuovi e più incisivi strumenti in queste indagini: si vedano, per tutte, le
modifiche degli artt. 600, 601, 602 c.p. , la nuova fattispecie associativa (art 416/6
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c.p.), le novità introdotte nella disciplina delle intercettazioni, la riconosciuta
possibilità di utilizzare per le indagini l’agente sotto copertura, e soprattutto la
possibilità di offrire i benefici processuali e penitenziari ad eventuali collaboratori di
giustizia.
Provenendo queste norme da quelle della legislazione antimafia, non
necessitano di particolare esame: è solo sufficiente ricordare qui la loro applicabilità
alla nostra materia.
Le DDA maggiormente interessate alle indagini sulla tratta sono quelle di
Trieste, Torino, Perugia, Roma, Napoli, Bari e Lecce.
Da quasi tutte le indagini emerge che l’attività criminale è iniziata nel Paese di
origine della vittima, dove essa è stata minacciata o indotta fraudolentemente a
seguire lo sfruttatore, successivamente sottoposta a violenze fisiche e psichiche,
trasferita in altri Paesi e quindi in Italia, avviata alla prostituzione, segregata con
nessuno o pochi contatti con altre persone.
I soggetti stranieri che curano la tratta dall’estero sono strettamente collegati
con quelli che esercitano lo sfruttamento sul territorio d’arrivo, creandosi in tal
modo quel sodalizio criminoso che ha consentito di contestare il delitto di cui all’art.
416 bis oltre ai reati specifici previsti dagli articoli 600, 601, 602 c.p.
Particolarmente interessante è quanto emerge dalle indagini condotte dalle
DDA di Bari e Lecce sui trafficanti albanesi la cui caratteristica è la loro tendenza al
“nomadismo criminale”, soprattutto da parte di coloro che occupano posizioni di
rilievo nell’organizzazione.
Accanto a questi che sono i capi, operano elementi di medio profilo che possono
definirsi “stanziali” perché risiedono stabilmente in Italia e sono incaricati di
risolvere i vari problemi, legati soprattutto all’esercizio coatto della prostituzione, e
garantire il supporto logistico.
È particolarmente interessante notare che la tratta di persone è gestita
prevalentemente da stranieri e che non risulta l’inserimento di organizzazioni
mafiose in questo settore; gli italiani coinvolti sono numerosi ma non in posizioni di
vertice nell’organizzazione.
In più riunioni su questa materia presso la DNA, varie DDA interessate
(Catanzaro, Palermo, Bari, Reggio Calabria) hanno smentito l’attendibilità di notizie
di stampa sul ruolo della criminalità organizzata calabrese o siciliana nella gestione
degli sbarchi di clandestini o nella tratta di persone. Spesso l’azione di appoggio
logistico è svolta da stranieri da tempo residenti nelle regioni meridionali.
Il rapporto che si può stabilire tra le organizzazioni criminali italiane e quelle
straniere è limitato a relazioni di affari che si traducono nello scambio di servizi.
Le indagini si presentano comunque molto difficoltose per vari motivi, alcuni
interni, altri esterni e internazionali.
Dal punto di vista interno spesso la prassi organizzativa degli uffici di Procura
conduce ad una nociva polverizzazione delle cognizioni in materia, atteso che di
frequente restano isolati ad esempio i dati che provengono da procedimenti aventi ad
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oggetto i numerosi falsi documentali accertati nel corso di indagini sullo
sfruttamento della prostituzione, o gli elementi che emergono da indagini
sull’immigrazione clandestina che è rimasta nelle competenze delle Procure
ordinarie.
Altra notevole difficoltà è data dal rapporto tra il P.M. e le vittime, rapporto
spesso non facile sia per la diffidenza della vittima sia per la poca capacità
psicologica del P.M., più abituato ad interrogare un collaboratore di giustizia, già
integrato nell’organizzazione criminale e poi disposto a riferire quanto è a sua
conoscenza.
La vittima inoltre spesso non è assistita legalmente e conosce solo la realtà del
suo Paese dove la corruzione dei pubblici ufficiali è la regola comune di condotta:
da ciò può nascere una diffidenza, acuita dalla paura sorta allorché ad essa viene
richiesto di riferire i suoi dati e il suo domicilio davanti allo sfruttatore.
Per una maggiore efficacia delle indagini si potrebbero avanzare le seguenti
proposte, raccolte anche da suggerimenti di colleghi e di rappresentanti di varie
ONG:
- creare una squadra di p.g. specializzata in questa materia (tratta e
immigrazione clandestina) che conosca rotte del traffico, segmentazione delle
organizzazioni, lingue;
- creazione presso le DDA di gruppi di lavoro che colgano la specificità dei
gruppi etnici coinvolti nelle indagini, giacché a tale specificità corrisponde un
diverso modello di comportamento ed un uso differenziato della violenza (si
considerino le differenze tra gruppi albanesi e nigeriani);
- centralizzare la raccolta e l’elaborazione delle notizie, dei dati e delle
informazioni che risultano dalle varie indagini riguardanti i due fenomeni
della tratta e dell’immigrazione clandestina, includendovi quei reati che sono
funzionali alla commissione dei relativi delitti (falsi in documenti);
- attivare la collaborazione internazionale per cogliere tutti gli aspetti del
traffico e individuare non solo il livello più basso dei trafficanti normalmente
presente in Italia, ma quello certamente più elevato che opera nei punti
strategici all’estero, che pianifica lo spostamento delle vittime, predispone i
documenti falsi, corrompe i funzionari.
Su questo aspetto si ritornerà più avanti.
Una buona conoscenza di entrambi i fenomeni (clandestini e tratta) consente
di individuare alcuni dati obiettivi al ricorrere dei quali è necessario effettuare un
approfondimento investigativo, perché vi è fondato motivo di ritenere che si è in
presenza di tratta di persone. Questa considerazione vale soprattutto per verificare
se tra i clandestini arrivati via terra o sbarcati via mare vi sono persone vittime di
tratta.
L’ indagine tendente a questa verifica è spesso lacunosa; si ripropone qui il
tema del coordinamento tra Procura Ordinaria e Distrettuale e contemporaneamente
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quello di una maggiore attenzione che le Procure Ordinarie dovrebbero esercitare
per cogliere gli indicatori di tratta e quindi eventualmente operare con l’art. 18
Testo Unico sugli stranieri. Secondo molte ONG questa attenzione spesso manca del
tutto.
Le stesse ONG hanno individuato i seguenti indicatori di tratta:









sradicamento e isolamento della vittima;
privazione del passaporto;
povertà estrema e situazione di bisogno dei familiari;
necessità di dovere restituire le somme per le spese di viaggio;
condizionamenti culturali;
fallimento del progetto migratorio;
paura delle ritorsioni;
mancata libertà di movimento;
violenze subite o minacciate.
Collaborazione internazionale
Si è già accennato alla imprescindibile necessità della collaborazione
giudiziaria internazionale per sviluppare le indagini contemporaneamente nei Paesi
di origine, di transito e di destinazione della Tratta.
Molte Procure hanno però fatto presente che spesso questa necessità non viene
tenuta presente per una serie di ragioni che si possono così sintetizzare:
- tempi di attesa delle risposte troppo lunghi;
- risposte nulle o insufficienti da alcuni Paesi;
- mancanza in alcuni Paesi di norme interne che consentano la collaborazione
in queste materie.
Tuttavia bisogna insistere su questa strada.
La necessità della collaborazione internazionale è anche sottolineata
dall’Unione Europea sia con documenti specifici (Decisione Quadro del Consiglio
del 19/07/2002) che tendono a realizzare una normativa omogenea tra i Paesi
Membri, sia con suggerimenti per coinvolgere nelle indagini le importanti strutture
di Europol e Eurojust.
La Direzione Nazionale Antimafia svolge un importante ruolo per intensificare
lo scambio di informazioni con le Autorità straniere in materia di lotta alla
criminalità organizzata: partecipa a numerosi corsi di preparazione professionale di
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magistrati stranieri e soprattutto ha stipulato Memorandum d’Intesa con le Procure
Generali dei Paesi più sensibili alle varie attività illecite della criminalità
organizzata transnazionale.
Questi Memorandum sono stati accolti con grande interesse dalle Autorità
straniere e qualche volta hanno aperto la strada a successivi accordi di Governo.
Uno scopo che si vuole raggiungere è quello di instaurare anche un rapporto
diretto e personale con le Procure Generali estere in modo da sensibilizzarle nel
caso in cui si presenti la necessità di ottenere informazioni rapide o eseguire una
rogatoria nel loro Paese.
A questo proposito va qui ricordato che la DNA riceve dalle DDA copia di
tutte le rogatorie trasmesse all’estero: ebbene uno degli obiettivi che si vorrebbe
raggiungere è quello di agevolare la singola DDA offrendo la propria esperienza e i
contatti personali con l’organo inquirente straniero; quando non si abbia un contatto
preventivo o la rogatoria abbia avuto esito negativo, sarebbe utile ricevere anche un
brevissimo appunto di informazione per intervenire presso l’Autorità straniera
proprio ai sensi del Memorandum sottoscritto.
Si vuole cioè creare un circolo virtuoso tra la creazione di rapporti con
l’Autorità giudiziaria estera e le indagini delle DDA per offrire a queste ultime un
servizio che faciliti la reciproca comprensione.
Tutela delle vittime
Nei confronti delle vittime della tratta, la legislazioni prevede un sistema
particolare di tutela che è unico in Europa e che è preso come esempio da molti
Paesi.
In realtà per aggredire le organizzazioni criminali vanno sviluppati
contemporaneamente i due volet: quello della repressione contro i trafficanti e quello
della prevenzione e della tutela della vittime; ognuno da solo non è sufficiente.
La normativa fondamentale in questa materia è contenuta nell’art. 18 della
legge 228/98 (legge sugli stranieri).
Questo articolo prevede che quando nel corso di operazioni di polizia o di un
procedimento penale per un delitto grave oppure nel corso di interventi dei servizi
sociali, sono accertate situazioni di violenza o di sfruttamento nei confronti di uno
straniero a causa del suo tentativo di sottrarsi all’associazione criminale, può essere
concesso al medesimo straniero uno speciale permesso di soggiorno per la durata di
6 mesi, che può essere rinnovato.
Nella previsione normativa, pertanto, si affiancano e si sostengono a vicenda
due obiettivi: l’inserimento nel programma sociale nonché la cattura e la condanna
dei colpevoli dei fatti di sfruttamento; e invero la situazione di pericolo che giustifica
la concessione del permesso può derivare sia dal tentativo della vittima di liberarsi
dalla condizione di assoggettamento, che dalle dichiarazioni che essa ha reso
davanti alla Polizia o al PM.
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Conseguentemente il permesso di soggiorno può essere rilasciato su iniziativa
dell’Autorità di Polizia o del Procuratore della Repubblica il quale indicherà gli
elementi di grave e attuale pericolo della vittima e il contributo offerto per l’efficace
contrasto alla criminalità organizzata.
La ragione di questo provvedimento non risiede soltanto nella persuasione
italiana che le vittime debbano essere protette in ogni caso e indipendentemente da
ogni altra considerazione, ma anche nel convincimento che le medesime vittime
possono meglio cooperare con le autorità quando sono poste in una situazione di
sicurezza.
La legge sulla tratta, inoltre, agli articoli 12 e 13 crea il “Fondo per le misure
antitratta” e lo speciale programma di assistenza per le vittime.
Il Fondo è un istituto nuovo, finalizzato al reinserimento sociale della vittima,
che dovrebbe essere alimentato dai proventi della confisca dei beni.
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Il coordinamento investigativo con le DDA, la partecipazione a seminari e
incontri sulla tratta di persone a livello nazionale e internazionale ( ONU, UE,
OSCE), i molteplici contatti con molte ONG, hanno fatto acquisire alla DNA una
vasta e approfondita conoscenza del fenomeno e la consapevolezza che occorreva da
un lato acquisire i dati processuali relativi al fenomeno tratta i più esatti possibili, e
dall’altro riunire tutti gli operatori del settore per trovare, in un’ottica
multidisciplinare, le necessarie sinergie tra le diverse competenze e attività.
E’ stata pertanto svolta la seguente attività che ha dato risultati
sorprendenti, e non sempre in senso positivo.
Prima fase:
Dati dal RE.GE
Sono stati estratti dal RE.GE. delle DDA i dati sui procedimenti penali in
questa materia (vedi cartelle allegate) dai quali emerge che:
a. a fronte del fenomeno che appare sempre più dilagante, i procedimenti ex art.
600,601, 602 c.p. sono relativamente pochi con la maggiore concentrazione
degli indagati nel Centro – Nord (Tabella 1) ; essi sono del tutto assenti nelle
aree di forte presenza delle nostre mafie tradizionali.
Ciò si spiega con il fatto cui abbiamo già accennato che normalmente le nostre
mafie tradizionali non gestiscono direttamente questo traffico che rimane in
mano alle organizzazioni straniere.
Assume però rilievo il dato che i procedimenti per tratta sono assenti in
Distretti (Palermo, Catania ma non solo) nei quali si verificano forti sbarchi di
clandestini o dove comunque i clandestini giungono (alcune sedi del Nord
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Italia come Torino), casi questi che rientrano nella competenza delle Procure
Ordinarie.
Sembrerebbe conseguire da queste osservazioni che dai traffici di clandestini
non emergono mai elementi per ipotizzare tratta di persone.
Come si è già osservato, le ONG ritengono invece che non sia così, ma che
spesso non vengono valutati appieno gli indicatori di tratta.
Probabilmente vi è una realtà sommersa e che va cercata tra i casi contestati
solo come ingresso clandestino o sfruttamento semplice della prostituzione.
b. tra i reati specifici è contestato quasi esclusivamente l’art. 600 c.p. (riduzione
in schiavitù) pochissimo l’art. 601 (tratta) e quasi per nulla l’art. 602 c.p.
(tabella 2)
c. quanto ai reati associativi, va rilevato che questi sono pochissimo contestati,
anche presso Uffici che presentano un elevato numero di procedimenti; sembra
soprattutto strana la limitata contestazione dell’art. 416/6 c.p. che
maggiormente si può adattare all’associazione che gestisce la tratta.
(tabelle 3,4,5)
d. è certamente interessante l’area di provenienza di indagati e vittime.(tabelle
6,7,8,9)
I paesi più coinvolti sono:
nell’Europa Centro-Orientale: Albania, Romania, Bulgaria, Polonia
nell’ Europa Occidentale: Italia
nell’Africa: Nigeria
in Asia: Cina,Thailandia
In troppi casi dal RE.GE. non risulta il Paese di provenienza; si vorrebbe qui
cogliere l’occasione per invitare tutte le Procure a non tralasciare questo dato
per le molte implicazioni che esso può fornire per la conoscenza del fenomeno.
Quanto alla rilevante presenza di indagati italiani si è già detto che essi si
trovano quasi sempre in posizione subordinata;per quanto concerne le vittime
di nazionalità italiana, controllando i loro nomi e le generalità complete, è
facile desumere che esse sono italiane per nascita ma figlie di immigrati
stranieri.
Raffrontando infine i dati per un singolo Paese, si rileva che quasi sempre gli
indagati sono più numerosi delle vittime: in realtà il gruppo criminale che
gestisce il traffico si interessa di vittime appartenenti a nazionalità diverse.
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Dati dal Registro Rogatorie
Estraendo i dati sulla collaborazione giudiziaria internazionale, e in
particolare dalle rogatorie pervenute al nostro Ufficio in questa materia, si nota che
questa collaborazione è inesistente.
Le Rogatorie attive sono in tutto undici inviate dalle DDA di:
- Roma il 7 gennaio 2004 alla Romania, proc. 32601/04;
- Trieste il 21 gennaio 2005 alla Spagna, proc. 6055/02;
- Torino il 6 giugno 2005 alla Romania, proc. 8693/05 ;
- Catanzaro 7 novembre 2005 all’Albania, proc. 1031/05 + altri;
- Bari il 23 giugno 2006 alla Polonia,proc. 23048/05;
- Bari il 6 ottobre 2006 alla Polonia, proc. 23048/05;
- Bari il 18 ottobre 2006 alla Polonia, proc. 23048/05;
- Bari il 17 novembre 2006 alla Polonia, proc. 23048/05;
- Torino il 23 dicembre 2006 alla Bulgaria, proc. 8422/05;
- Napoli il 15 maggio 2007 all’Olanda, proc. 12052/06;
- Bari il 30 aprile 2008 verso la Nigeria, proc.2171/04;
Il dato è significativo forse della difficoltà di ricevere collaborazione da Paesi
“difficili”, ma se non si avanzano richieste non si può svolgere nessun intervento
presso le A.G. straniere, sia da parte del Ministero della Giustizia che della DNA
attraverso i vari Memorandum siglati con le Procure Generali estere.
Permessi di soggiorno alle vittime
Al fine di comprendere quale efficacia abbia la concessione del permesso di
soggiorno ex art. 18 D.lg.vo 286/98 alle vittime di tratta, è stato chiesto al Ministero
dell’Interno un elenco dei permessi rilasciati dalle Questure per
motivi
giudiziari negli anni dal 2003 al 2006.
I permessi sono divisi per Provincia, per Paese di provenienza e per sesso
delle vittime.
Questi permessi sono stati: nel 2003, 559; nel 2004, 165; nel 2005, 111; nel
2006, 214.
Totale 1.089 vittime di tratta, che hanno dato un contributo alle
indagini.Comparando questi dati, sia pure in maniera non sistematica, con il numero
dei procedimenti e degli indagati si nota che il numero di questi ultimi
dovrebbe
essere superiore.
Seconda fase
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La DNA, al fine di dare impulso alle indagini e coordinarle, ha ritenuto di
portare questi dati a conoscenza in primo luogo delle DDA, ma anche delle Procure
Ordinarie e di altri organismi che operano in questa materia.
Ha pertanto organizzato a Roma il 17 maggio 2007 una riunione alla quale
hanno partecipato, per la prima volta, le Procure più direttamente interessate ai due
fenomeni, il Dipartimento Pari Opportunità, le Forze di Polizia, l’OIM
(Organizzazione Internazionale Migranti) e alcune ONG con le quali l’Ufficio è
entrato in contatto negli ultimi anni.
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Dagli interventi dei vari partecipanti è emerso che:
È molto importante il ruolo che possono esercitare le ONG nel rapporto con le
vittime e con lo stesso P.M. per aiutarlo a comprendere comportamenti e
situazioni che indicano la presenza di tratta; fare quindi maggiore ricorso al
già ricordato art. 18, fondamentale per individuare i trafficanti e scoprire le
rotte. Alcune ONG hanno lamentato che le Questure rilasciano il permesso di
soggiorno sulla base di questa disposizione quasi esclusivamente per motivi
giudiziari ma non per motivi sociali;
È fondamentale la necessità di un coordinamento tra le Procure ordinarie e le
DDA per individuare il punto di collegamento tra smuggling e trafficking; ma è
stato anche osservato che questo coordinamento di fatto è poco realizzato,
nonostante i Protocolli firmati con l’intervento delle Procure Generali;
Occorre incrementare e specializzare, ove possibile, la professionalità dei P.M.
destinatari di queste indagini, soprattutto nelle Procure ordinarie, atteso anche
che la tipologia dei procedimenti in questa materia è molto diversa a seconda
del tipo di etnia presa in considerazione;
Analoga preparazione specifica va richiesta alle Forze di Polizia locali;
La preparazione professionale deve estendersi anche all’uguale trattamento per
casi simili: accade che, nella stessa sede, lo stesso fatto può essere considerato
sia come sfruttamento della prostituzione che come riduzione in schiavitù;
Spesso non viene contestato il reato associativo per la difficoltà di dimostrare
l’associazione criminale.
Si è auspicato:
- Che vengano studiati tutti gli indicatori di tratta con una sinergia tra Forze di
Polizia, ONG, Procure;
- Che gli argomenti trattati vengano portati all’attenzione dei Capi degli
Uffici per una riflessione sulla rara contestazione del reato associativo e del
pressoché inesistente ricorso alla collaborazione internazionale.
I due dati appaiono gravi sotto più aspetti: da un lato fanno perdere
l’attribuzione del fenomeno alla criminalità organizzata nei termini previsti dalla
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Convenzione di Palermo e, restringendolo anzi alla sola ipotesi dell’art. 600 c.p.,
sembrano ridurlo a una dimensione nazionale, escludendo il traffico della vittima
dall’estero; dall’altro, evitando di richiedere informazioni e atti alle A.G. straniere si
limitano le indagini ai livelli più bassi dei trafficanti e dei loro sodali, non tentando
neppure di colpire le fonti del grande traffico, e si fa perdere alla tratta la sua
connotazione di delitto transnazionale.
La riunione è stata molto positiva perché, per la prima volta, ha fatto
dialogare direttamente organismi che operano su versanti molti diversi (PM e ONG)
e che spesso hanno difficoltà a trovare il giusto equilibrio tra le diverse esigenze, e
soprattutto ha fatto comprendere l’assoluta esigenza di una preparazione
professionale specifica per affrontare fenomeni ancora abbastanza nuovi e che
mutano continuamente nel modo di presentarsi alla nostra attenzione.
Roma, 7 gennaio 2010
Giusto Sciacchitano
Sostituto Procuratore Nazionale
Antimafia
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