Percorso didattico sul moto per la scuola primaria

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE
FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA
Percorso didattico sul moto
per la scuola primaria
RELATORE
Prof. Lorenzo Bonechi
CANDIDATO
Antonella Baldi
Anno Accademico 2010-2011
Introduzione
5
Capitolo 1 - La fisica nella scuola primaria
7
1.1 Fare scienze nella scuola primaria
9
1.2 L’insegnamento scientifico nelle Indicazioni per il
curricolo
13
1.3 Conflitti, misconcezioni, ostacoli
16
1.4 I bambini, la fisica e il senso comune
18
1.5 La didattica laboratoriale e la pedagogia attiva
20
1.6 Aristotele e Galileo: due scienziati a confronto
27
1.6.1
“E’ vero perché lo dice Aristotele”
27
1.6.2
Il primo motore immobile
29
1.6.3
Sul concetto di moto e sulle sue cause
29
1.6.4
Galileo e l’inizio della scienza moderna
31
1.7 La meccanica
39
1.8 La descrizione del moto dei corpi
40
1.8.1
Il sistema di riferimento
40
1.8.2
La traiettoria
40
1.8.3
Lo spazio percorso
41
1.8.4
Il tempo e la velocità
41
1.8.5
Il moto rettilineo uniforme e il moto vario
42
1.8.6
Il moto uniformemente accelerato
47
1.8.7
La caduta dei corpi
48
1
53
Capitolo 2 - Progettazione del percorso didattico
2.1 Il contesto
55
2.2 Organizzazione di spazi e tempi
55
2.3 Obiettivi
57
2.4 Scelta dei contenuti
58
2.5 Strategie e tecniche didattiche
60
2.6 Strumenti e materiali
64
2.7 Valutazione
65
67
Capitolo 3 - Il progetto passo per passo
3.1 Il problema del linguaggio
69
3.2 Prima di partire
70
3.2.1
Incontro 1 – Il metodo
introduzione alla meccanica
sperimentale;
71
3.2.2
Incontro 2 - Il concetto di velocità attraverso
un’esperienza in cortile
80
3.2.3
Incontro 3 - Le forze come causa dei
cambiamenti di moto: esperienza sulle forze
d’attrito
84
3.2.4
Incontro 4 - Approfondimenti sulle forze e
introduzione alla prima legge di Newton
97
3.2.5
Incontro 5 - Il moto accelerato e la caduta dei
gravi: costruzione di un paracadute
artigianale
106
3.2.6
Incontro 6 - Approfondimento sul modo
accelerato: l’esperienza galileiana del piano
inclinato
122
2
3.2.7
Incontro 7 - Verifica dell’apprendimento
129
Conclusioni
137
Bibliografia
139
3
4
Introduzione
Questa tesi racconta di un percorso didattico sul moto che ha avuto come
destinatari i bambini di una classe IV della scuola primaria.
L’esperienza quotidiana ci porta spesso a vedere ciò che abbiamo intorno
senza però riuscire davvero ad osservare la realtà con sguardo attento e
critico. La scienza ci insegna ad approfondire ogni aspetto dei fenomeni
naturali per poterne comprendere l’intima essenza e per capirne le cause. Per
aiutare i bambini a conoscere e scoprire la fisica implicita presente negli
oggetti e nei fenomeni, ho cercato, con il mio progetto, di partire dalle cose
di tutti i giorni, dalle esperienze dei bambini per riuscire a renderla esplicita e
formalizzarla in modo semplificato ma rigoroso.
L’elaborato si compone di tre capitoli.
Il primo capitolo parla dell’importanza dell’insegnamento delle discipline
scientifiche nella scuola primaria, richiamando anche gli obiettivi esplicitati
dalle Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo
d’istruzione, e tratta delle difficoltà maggiori che si possono incontrare
insegnando tali discipline: conflitti, misconcezioni e senso comune. Ho
analizzato poi l’importanza dell’utilizzo di una didattica laboratoriale che
intreccia il sapere con il fare e permette di partire da una
situazione
problematica per far scaturire un processo dinamico e costruttivo in cui
l’alunno viene sollecitato alla scoperta dei percorsi possibili, sostenuto
dall’insegnante nel suo sforzo.
Sono passata poi a parlare di due scienziati di epoche diverse che hanno
dedicato molti dei loro studi e delle loro riflessioni al moto e al movimento
dei corpi: Aristotele e Galileo. Le argomentazioni di Aristotele si basano su un
piano percettivo, sull’esperienza sensibile e sulle dimostrazioni “per analogia”
5
con fenomeni ritenuti simili ed è per questo che in gran parte possono
ricordare le credenze dei bambini. Galileo, invece, si fida soltanto delle teorie
provate sperimentalmente e, grazie alle strumentazioni disponibili nella sua
epoca, dimostrandosi eccezionalmente abile nel raffinarle e nell’inventarne di
nuove, esegue esperimenti e verifica fatti e ipotesi.
A conclusione del primo capitolo ho affrontato qualche aspetto del moto, dal
punto di vista della fisica galileiana.
Ho dedicato il secondo capitolo alla descrizione della progettazione del
percorso didattico analizzando contesto, obiettivi, contenuti e strategie
didattiche utilizzate.
Nel terzo capitolo ho analizzato il percorso fatto in classe, descrivendo gli
incontri uno per uno, cercando di focalizzare i momenti più salienti e
significativi, fino ad arrivare alla prova di verifica che ho fatto fare ai bambini
per valutare il risultato del progetto didattico.
6
Capitolo 1
La fisica nella scuola primaria
7
8
1.1 Fare scienze nella scuola primaria
“Possiamo trasmettere competenze in fisica, chimica, scienze naturali, […]
senza riflettere sul metodo o sui metodi della scienza, sul ruolo delle teorie e
delle osservazioni, sulla volontà di oggettività che la contrassegna, in breve su
tutto quel lavoro epistemologico che è un po’ l’ombra stessa (o la luce) della
scienza?”1. La scienza nasce dalla curiosità e dal desiderio di spiegare i
fenomeni della natura, cioè di capire come avvengono e da che cosa sono
causati. Lo scienziato raccoglie informazioni, le organizza e cerca di trarne
conclusioni utili per rispondere a domande che si è posto. Per fare questo
segue un metodo, cioè un procedimento basato su un preciso insieme di
regole. Il primo passo nel procedimento scientifico è l’osservazione di ciò che
avviene intorno a noi. In questa fase gli scienziati non usano soltanto i sensi,
che talvolta potrebbero ingannare, ma ricorrono anche a strumenti di misura
e di osservazione che permettono di fare osservazioni oggettive. Il secondo
passo del procedimento scientifico è la formulazione di ipotesi, cioè delle
supposizioni, cercando di immaginare come mai sia accaduta quella cosa e
non un’altra. Queste poi vanno messe alla prova dei fatti e verificate
attraverso degli esperimenti. Quando una ipotesi è stata verificata, abbiamo
una spiegazione del fenomeno e possiamo trarre delle conclusioni che
prendono il nome di legge scientifica2. Ma è importante ricordare che la
scienza non raggiunge mai conclusioni definitive. Le leggi e le teorie
scientifiche sono sempre “verità” provvisorie: esse restano vere solo fino a
quando nuove conoscenze o nuovi esperimenti non rilevino in esse delle
imprecisioni che danno impulso alla formulazione di nuove ipotesi e alla loro
verifica. È proprio così, anzi, che la scienza progredisce.
1
F. Cambi, “Criteri per la costruzione curricolare”, in (a cura di), La progettazione curricolare nella
scuola contemporanea, Roma, Carocci Editore, 2002, p. 75.
2
Un’ipotesi più complessa e generale, che abbraccia diversi fenomeni, è detta di solito teoria
scientifica.
9
“Tre sono gli scopi della scienza: comprensione, spiegazione, predizione. La
comprensione si riferisce alla presenza di un'idea generale di come un
fenomeno si verifica, di quali sono le sue cause generali, e quali le sue
relazioni con altre parti del mondo naturale. Essa implica una
demistificazione della parte del mondo naturale cui il fenomeno appartiene.
La spiegazione va oltre; ci dice perché il fenomeno o il processo in
considerazione si svolge in un modo e non in un altro. La predizione,
ovviamente, è ancora più specifica: ci dice che cosa accadrà nel futuro ad un
sistema ben definito quando siano soddisfatte certe condizioni”3.
Sempre lo stesso autore ci ricorda che solo “raramente si effettuano scoperte
scientifiche avendo in mente lo scopo specifico al quale applicarle. Faraday
non pensava ai motori quando studiava la relazione tra elettricità e
magnetismo. Hertz non pensava alle comunicazioni quando scoprì le onde
radio”4. Ma ci sono, oggi, almeno due modi di pensare la scienza: da un lato
c’è quella scritta sui libri in cui sono esposti i risultati ai quali la scienza è
pervenuta, che non lascia dubbi sulla loro validità e che sono condivisi dalla
comunità scientifica; dall’altro lato si può pensare alla scienza come a un
continuo lavoro di ricerca che procede per tentativi ed errori per affrontare
problemi nuovi o per rivedere criticamente ciò che è già stato appreso. Il
primo modo di considerare la scienza è utile per orientare le ricerche,
permettendo approfondimenti e sviluppi a partire da ciò che è già noto, alla
luce di ciò che è già definito e che ci fa pensare ad essa come a un corpo di
conoscenze organizzate e codificate. Nel secondo modo di pensare ci
riferiamo ad una scienza che non ha certezze assolute ma che è capace di
3
4
V. F. Weisskopf, Il privilegio di essere un fisico, Milano, Jaca Book Editore, 1994, p. 38.
Ibidem, p. 31.
10
assumere il dubbio, l’errore, la crisi come fonte di conoscenza, poiché spinge
all’indagine5.
L’idea di scienza che ha prevalso a lungo nella scuola italiana, è
essenzialmente la prima. Fare scienze a scuola ha spesso significato
trasmettere o cercare di trasmettere ai bambini le conoscenze accreditate
dagli scienziati.
Seguendo l’altra visione della scienza, che poi è anche quella delineata nelle
Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo
d’istruzione del settembre 2007, quella che si riferisce al lavoro di indagine,
alla capacità di porsi dei problemi e di procedere per tentativi ed errori nel
cercare delle risposte, si apre un’altra prospettiva per l’educazione scientifica
nella scuola. Del resto, “l’atteggiamento nativo e integro della fanciullezza,
contrassegnato da ardente curiosità, da fertile immaginazione, e dall’amore
della ricerca sperimentale è vicino, molto vicino, all’atteggiamento dello
spirito scientifico”6 e allora perché non partire da esso per trasmettere certi
tipi di contenuti? Perché non riallacciarsi a tale curiosità, non stimolarne di
nuova e cancellare “questa separazione tra il fare e il conoscere e rendere
possibile, anzi esigere, una dottrina nella quale azione e conoscenza siano
intimamente connesse tra loro”7? Del resto la Fisica è una scienza
sperimentale e educare alla fisica significa, perciò, non solo sviluppare
conoscenza e comprensione delle leggi fisiche ma anche capacità osservative
e operative8.
Secondo Bruner se si riescono a trovare e mantenere dei nessi tra la struttura
della conoscenza (il modo di conoscere in possesso della persona che
5
Cfr. C. G. Hoffman, Fare scienze nella scuola di base, Milano, La Nuova Italia, 2000, p. 63.
J. Dewey, Come pensiamo, traduzione italiana, Firenze, La Nuova Italia, 1961, p. 23.
7
J. Dewey, Esperienza e educazione, traduzione italiana, Firenze, La Nuova Italia, 1972, p. 25.
8
Cfr. D. Allasia, V. Montel, G. Rinaudo, La fisica per maestri, Torino, Edizioni Libreria Cortina, 2004. P.
IX.
6
11
apprende) e la struttura delle discipline, è possibile, praticamente, insegnare
qualsiasi cosa a qualsiasi età. “Ogni idea, ogni problema o insieme di
cognizioni, possono essere presentati in termini sufficientemente semplici da
consentire a ogni scolaro di comprenderli in una forma riconoscibile”9. Egli,
per questo motivo, indica tre criteri che influiscono sulla capacità di
apprendimento: il modo10 in cui viene presentato un certo contenuto, la sua
economia11 e la sua efficacia12. Essi vanno combinati secondo le esigenze
degli alunni per guidarli in un processo graduato che accresca le loro capacità
di “afferrare, trasformare e trasferire ciò che apprendono”13.
A proposito dell’insegnamento scientifico a scuola, mi sembra a questo punto
interessante dedicare un po’ di spazio agli studi e alle ricerche di D’Amore14
che si concentrano sulle differenze esistenti tra le singole e diverse discipline,
la didattica generale e la didattica disciplinare15.
Fino al XX secolo, afferma D’Amore, si può dire che lo sforzo del docente sia
sempre stato quello di ripetere la disciplina, nei modi ritenuti peculiari ad
essa. Invece all’inizio di questo secolo si è sviluppata l’idea di scolarizzare il
sapere, ovvero renderlo insegnabile e sono nati veri e propri studi sulla
didattica intesa come disciplina in sé. Il sapere insegnare una nozione,
9
J. S. Bruner, Verso una teoria dell’istruzione, traduzione italiana, Roma, Armando Editore, 1969, p.
15.
10
Per quanto riguarda il modo egli afferma che ogni campo di conoscenza può essere rappresentato
in tre modi: mediante una rappresentazione attiva, cioè una serie di azioni che portano a un certo
risultato; mediante una rappresentazione iconica: cioè immagini e grafici che rappresentano un
concetto; mediante una rappresentazione simbolica: cioè con proposizioni simboliche o logiche.
(Ibidem, p.16).
11
L’aspetto dell’economia si riferisce alla quantità di informazioni che occorre ricordare ed elaborare
per arrivare alla comprensione di un contenuto. (Ivi).
12
L’efficacia riguarda quanto il modo di strutturare un campo di conoscenza incida sul modo di
ragionare dell’alunno e gli conferisca la capacità di fare collegamenti tra proposizioni o cose. (Ibidem,
p. 19).
13
Ibidem, p. 85.
14
Cfr. B. D’amore, Didattica della matematica, Bologna, Pitagora Editrice, 2001, p. 3.
15
Egli chiama d la disciplina in sé per come è conosciuta e praticata dagli specialisti, dagli scienziati;
chiama ‫ܦ‬ௗ la didattica disciplinare in sé, che ha tutt’altri parametri, paradigmi e scopo e infine
menziona la didattica generale in sé come scienza caratterizzata da asserzioni generali credibili e
garantite da riflessioni condotte da esperti del settore.
12
continua l’autore, è diverso dal sapere quella stessa nozione, quindi intorno
al sapere dell’insegnante deve essere organizzata una specifica “conoscenza
per essere insegnata”. D’Amore parla di trasposizione didattica facendo
riferimento al lavoro di adattamento e di trasformazione del sapere, in
oggetto di insegnamento, in funzione dell’ambiente, degli allievi e delle
finalità didattiche. La trasposizione didattica consiste nell’estrarre un
elemento di sapere dal suo contesto (universitario, sociale) per
ricontestualizzarlo nella propria classe: l’insegnante costruisce le sue lezioni
attingendo dalla fonte dei saperi, tenendo conto delle orientazioni fornite
dalle istituzioni e dai programmi, per adattarlo al livello dei propri allievi e agli
obiettivi da perseguire.
1.2 L’insegnamento scientifico nelle Indicazioni per il curricolo
Nelle Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo
d’istruzione, il mosaico delle discipline di insegnamento viene ricondotto ad
unità attraverso il raggruppamento delle discipline in apposite aree che si
configurano come spazio comune di interazione e collaborazione tra saperi e
docenti di diverse materie. Il concetto di area valorizza l’interscambio e il
collegamento tra le discipline che appartengono allo stesso raggruppamento
e quelle che afferiscono ad aree diverse.
Aree disciplinari
Discipline
Italiano
Lingue comunitarie
Musica
Area linguistico-artistico-
Arte e immagine
espressiva
Corpo movimento sport
13
Storia
Geografia
Area storico-geografica
Matematica
Scienze naturali e sperimentali
Area matematico-scientifico-
Tecnologia
tecnologica
Aree disciplinari e discipline nella scuola del primo ciclo.
Le Indicazioni attribuiscono al lavoro disciplinare dell’area matematicoscientifico-tecnologica il compito di “mettere in stretto rapporto il “pensare”
e il “fare”” e in tal senso promuovono lo sviluppo di apposite funzioni logiche
come il condurre analisi, selezionare, interpretare e collegare tra loro i
fenomeni naturali, concetti, regole, eventi.
“I principi e le pratiche delle scienze, della matematica e delle tecnologie
sviluppano infatti le capacità di critica e di giudizio, la consapevolezza che
occorre
motivare
le
proprie
affermazioni,
l‘attitudine
ad ascoltare,
comprendere e valorizzare argomentazioni e punti di vista diversi dai propri. Lo
sviluppo di un’adeguata competenza scientifica, matematica, tecnologica di
base consente inoltre di leggere e valutare le informazioni che la società di oggi
offre in grande abbondanza. In questo modo consente di esercitare la propria
cittadinanza attraverso decisioni motivate, intessendo relazioni costruttive fra
le tradizioni culturali e i nuovi sviluppi delle conoscenze”16.
Le finalità sopra indicate devono essere perseguite mediante una didattica
laboratoriale poiché all’interno del laboratorio gli alunni imparano a
formulare ipotesi e ad accertarne la validità attraverso la verifica
sperimentale, imparano a progettare percorsi alternativi, arrivano a
16
MPI, Indicazioni, p. 78
14
negoziare significati e chiavi interpretative.17 All’interno del laboratorio le
conoscenze vengono costruite grazie all’interazione con i compagni e gli
apprendimenti sono il risultato di un lavoro partecipato che tiene in
considerazione l’apporto di ognuno. In questo modo l’astrattezza del
pensiero trova un riscontro concreto attraverso il fare.
Le indicazioni sottolineano, inoltre, la centralità che assume la “risoluzione di
problemi”. Questi devono essere presentati come esperienze autentiche e
significative, legate a situazioni reali che gli alunni possono sperimentare
nella loro vita quotidiana.
“Il risolvere problemi offre occasioni per acquisire nuovi concetti e abilità, per
arricchire il significato di concetti già appresi e per verificare l’operatività degli
apprendimenti realizzati in precedenza. Componenti necessarie di questo
comune approccio sono l’impostare e il risolvere problemi, l’utilizzo delle
sensazioni e delle percezioni, la capacità di costruire storie e schemi
interpretativi e di sviluppare argomentazioni, l’affinare il linguaggio naturale e
la capacità di organizzare il discorso”18.
Viene anche enunciata l’importanza di ricorrere ad attività pratiche e
sperimentali e a osservazioni sul campo, con un carattere non episodico e
inserendole in percorsi di conoscenza. La strategia della scoperta deve
guidare le scelte metodologiche e caratterizzare le attività progettate dagli
insegnanti. Ciò che va evitato è il riprodursi di misconcezioni e pregiudizi
legati alle materie scientifiche, promuovendo un atteggiamento corretto
verso di esse e contribuendo allo sviluppo di un’adeguata visione delle
discipline. Le discipline scientifiche, infatti, non devono ridursi ad un insieme
di regole o concetti da memorizzare ed applicare ma devono essere
riconosciute come “strumento di esplorazione e disvelamento di relazioni e
17
Cfr. D. Capperucci, Dalla programmazione educativa e didattica alla progettazione curricolare,
Milano, Franco Angeli Editore, 2008, p. 206.
18
MPI, Indicazioni, p. 92.
15
strutture che l’uomo è riuscito ad individuare grazie al proprio pensiero”19.
Attraverso questi percorsi di indagine i bambini saranno accompagnati nel
passaggio da forme spontanee di pensiero a forme logiche maggiormente
organizzate di cui gli alunni verificheranno di volta in volta la rigorosità.
“All’inizio si evidenzieranno, in situazioni concretamente accessibili, gli aspetti
comuni alle diverse scienze, come pure i primi elementi caratterizzanti. Negli
anni successivi si guideranno gli alunni all’ appropriazione graduale di
contenuti esemplari e metodi di indagine via via più specifici. Il percorso dovrà
comunque mantenere un costante riferimento ai fenomeni, sia dell’esperienza
quotidiana sia scelti come casi emblematici, nel loro realizzarsi a diverse scale
spaziali, temporali e causali. La necessità del concorso di molteplici modi di
guardare reciprocamente integrati (sguardo da fisico, da biologo, da
chimico...), per interpretare se stessi e il mondo attraverso modelli sempre più
raffinati, condurrà alla consapevolezza metacognitiva della necessità di
procedere sempre per separazioni e ricomposizioni degli aspetti diversi dei
fenomeni”20.
1.3 Conflitti, concezioni difformi e ostacoli
Argomenti di studio nelle discipline scientifiche che stanno emergendo con
estrema forza negli ultimi anni riguardano i conflitti e le misconcezioni, o
concezioni difformi, e gli ostacoli all’apprendimento che da essi derivano. È
chiaro che l’alunno non arriva in classe privo di cultura ma con un bagaglio di
conoscenze che egli ha acquisito durante la crescita.21 I modi di guardare il
mondo e di interpretarlo, vengono acquisiti fin dalla primissima infanzia: ogni
bambino si costruisce i propri “modelli esplicativi”, si dà ragione di ciò che
vede accadere, apprendendo direttamente dall’esperienza o facendo propri i
19
D. Capperucci, Dalla programmazione educativa e didattica alla progettazione curricolare, cit., p.
208.
20
MPI, Indicazioni, p. 101.
21
Cfr. A. Giordan, Una didattica per le scienze sperimentali, traduzione italiana, Armando Editore,
Roma, 1978, p. 40.
16
modi di pensare degli adulti che lo circondano22. Lo studente ha, pertanto,
un’immagine (intuitiva o appresa) di un certo concetto e questa può essere
validata e rinforzata nell’iter scolastico o può capitare che tale immagine si
riveli inadeguata rispetto a un'altra dello stesso concetto, proposta, per
esempio, dall’insegnante. Si crea così un conflitto tra la precedente
immagine, che lo studente credeva definitiva, e la nuova. Legata a questa
idea, c’è quella di misconcezione, definibile come un concetto errato in
contrasto con la concezione “accreditata”23. Questa, però, non va vista come
una situazione negativa: spesso per poter raggiungere la costruzione di un
concetto è necessario passare attraverso una misconcezione momentanea, in
corso di sistemazione. Essa è un delicato momento cognitivo necessario, di
passaggio, da una prima concezione elementare, ingenua, spontanea a una
più elaborata e vicina a quella corretta. La nuova immagine è una “conquista
culturale”24.
A volte le concezioni difformi sono molto resistenti. “La resistenza delle
concezioni alle loro modificazioni introdotte con l’insegnamento dipende,
almeno in parte, dalla didattica seguita”25. Qualunque forma di insegnamento
che non si basi sulla comprensione personale degli studenti e sull’attivazione
delle loro concezioni nell’interpretare i contenuti trattati, inciderà ben poco
su queste. È partendo dal “fare” e procedendo per tentativi sperimentali che
l’alunno impara a rimettere in discussione la sua opinione e soprattutto a
giustificarne oggettivamente il cambiamento. Giungere a questo traguardo
richiede da parte dell’insegnante un duplice impegno: occorre che egli parli lo
stesso linguaggio dell’alunno, aiutandolo ad appropriarsi di un linguaggio più
adeguato, e che utilizzi lo stesso sistema di riferimenti, cioè che conosca e
22
Cfr. C. G. Hoffmann, Fare scienze nella scuola di base, Milano, La Nuova Italia Editore, 2000, p.9.
Cfr. B. d’Amore, Didattica della matematica, Bologna, Pitagora Editrice, 2001, p. 51.
24
Ibidem, p. 62.
25
G. Cavallini, La formazione dei concetti scientifici, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia Editrice, 1995,
p. 144.
23
17
abbia ben chiare le rappresentazioni degli alunni. “L’insegnante dovrà aiutare
lo studente a destrutturare la sua rappresentazione, con tutti i problemi di
natura affettiva che tutto ciò può comportare, per consentirgli di costruire
una nuova rete di relazioni ”26. Sarebbe bene, infatti, che in una situazione
nuova le esperienze passate e le credenze maturate potessero venire
recuperate e analizzate criticamente per adattarle alle nuove circostanze.
1.4 I bambini, la fisica e il senso comune
I bambini pensano che, in natura, valgano alcuni principi fisici fondati su ciò
che l’esperienza quotidiana sembra dimostrare. E’ facile notare come molti di
questi principi intuitivi, per quanto concerne la meccanica, siano simili se non
uguali a quelli enunciati da Aristotele circa 300 anni prima di Cristo e ritenuti
validi per moltissimi secoli, fino a che Galileo e altri scienziati non li hanno
confutati. Anche le persone adulte, sostiene Cavallini, hanno molte
convinzioni che divergono dalle concezioni “accreditate” in campo scientifico.
“Le idee che ci facciamo delle cose dipendono da molti contesti di vita diversi.
Alcune sono collegate all’esperienza personale diretta con l’ambiente
materiale, altre rispecchiano le concezioni espresse in famiglia, tra coetanei,
da conoscenti, dai mezzi di comunicazione di massa”27. “La conoscenza non
può essere astratta da un contesto di riferimento, poiché essa viene
elaborata osservando e partecipando alle attività della comunità”28. Anche
Dewey ribadisce che le cose di cui l’uomo ha esperienza gli si presentano
rivestite di significati che hanno la loro origine nel costume e nella tradizione
e che fin dalla nascita un individuo vede attorno a sé persone che trattano le
cose in un certo modo, le assoggettano a certi usi e assegnano a esse certi
26
A. Giordan, Una didattica per le scienze sperimentali, traduzione italiana, Armando Editore, Roma,
1978, p. 43
27
G. Cavallini, La formazione dei concetti scientifici, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia Editrice, 1995,
p. 1.
28
S. Cacciamani, L. Giannandrea, La classe come comunità di apprendimento, Roma, Carocci Editore,
2004, p. 17.
18
poteri29. Guardando la questione da questa angolatura, possiamo provare ad
interrogarci su che cosa abbiano in comune le concezioni intuitive attuali e
quelle del passato per quanto riguarda, ad esempio, il moto dei corpi. Ciò che
possono avere in comune è la mancanza di riferimenti alle conoscenze
accreditate oggi disponibili. Tale mancanza caratterizza tanto le concezioni di
chi è vissuto prima della definizione di tali conoscenze, quanto le concezioni
di coloro, bambini e adulti, che non le possiedono nonostante siano già state
definite. In mancanza di conoscenze accreditate, le concezioni delle persone
si basano su riferimenti percettivi o comunque molto più vincolati
all’interazione percettiva con i contenuti dell’esperienza. Questi contenuti,
sul piano percettivo immediato, si presentano per i contemporanei profani
più o meno identici a come apparivano ai nostri antenati. Le teorie del
passato sono, però, tutt’altro che intuitive. Possono sembrarci tali alla luce
delle conoscenze e concezioni accreditate attuali. In realtà esse sono
costruzioni razionali massimamente astratte e di valore generale e
sistematico
sul
piano
del
pensiero
consapevole.
Esse
apparivano
perfettamente fondate in base ai criteri di conoscenza più evoluti allora
seguiti. “Dal punto di vista concettuale la fisica aristotelica si presenta come
una costruzione imponente e grandiosa”.30 È chiaro che gli studi di Aristotele
sul moto non potevano contare su strumentazioni, conoscenze e misurazioni
che, invece, hanno caratterizzato gli studi, sugli stessi argomenti, di Galileo e
di molti altri scienziati. “Le teorie di ogni epoca sono state sempre formulate
esplicitamente nei termini propri della conoscenza e dei canoni di pensiero
scientifico, o filosofico, o razionale del tempo”31.
29
Cfr. J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, traduzione italiana, Giulio Einaudi Editore, 1949, p. 151.
C. Sini, I filosofi e le opere, Milano, Casa Editrice Principato, 1979, p. 172.
31
G. Cavallini, La formazione dei concetti scientifici, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia Editrice, 1995,
p. 149.
30
19
In ogni caso, oggi, le idee che divergono da quelle scientifiche, e che in varia
misura rientrano nei modi di pensare delle persone, a volte interferiscono
con l’apprendimento scientifico. Il linguaggio e il senso comune sono, quindi,
di ostacolo al ragionamento nei termini della fisica e della scienza in generale,
e impediscono di accettare impostazioni troppo distanti dalle abitudini
mentali e soprattutto in contrasto reale o apparente con l’esperienza.
L’esperienza quotidiana privilegia il piano percettivo sulla riflessione astratta.
Per quanto si può constatare con la percezione, le proprietà degli oggetti, la
loro natura e i loro comportamenti si presentano molto diversi da come
diventa necessario concepirli sul piano razionale e su quello scientifico: i corpi
in movimento finiscono sempre per fermarsi (nessuno di essi si muove di
moto uniforme), cadono tutti verso il basso e quelli più “pesanti” cadono più
in fretta di quelli più “leggeri”, il legno sembra più caldo del ferro32, i colori
appaiono proprietà intrinseche dei vari oggetti33, dei gas non si ha esperienza
se non in particolari condizioni34, e così via.
1.5 La didattica laboratoriale e la pedagogia attiva
“[…] I discorsi nostri hanno a
essere intorno al mondo
32
Quando tocchiamo un oggetto, la percezione di caldo o di freddo che ne ricaviamo, spesso
ingenuamente attribuita (anche negli adulti) esclusivamente ad una proprietà dell’oggetto, in realtà
è il risultato di una relazione complessa che coinvolge tutti i sistemi tra loro in contatto ed in
particolare l’oggetto stesso, la mano e quindi il corpo umano, l’ambiente. Solo imparando a
riconoscere queste interazioni ed a guardarle in termini di flusso di calore scambiato è possibile
interpretare situazioni in apparenza tra di loro contraddittorie, come il fatto che normalmente un
oggetto di metallo è percepito più freddo di uno in legno, ma se sono esposti ad una sorgente di
calore la sensazione termica si capovolge. Il confronto tra sensazione termica e temperatura
dell’oggetto va quindi accompagnato da indagini sulla temperatura corporea e la conducibilità
termica dei materiali.
33
Senza pensare che la luce giunge ai nostri occhi diffusa o riflessa in maniera diversa dalle superfici
illuminate, variamente disposte, di tutti gli oggetti e corpuscoli presenti nell’ambiente.
34
Non avvertiamo, infatti, il peso dell’aria. Al contrario, spesso, le si attribuisce la proprietà di
alleggerire gli oggetti di cui venga considerata parte (in particolare i palloncini), anziché contribuire al
loro peso totale.
20
sensibile e non sopra un
mondo di carta”35.
Ciò che a mio avviso è fondamentale per l’insegnamento scientifico nella
scuola primaria (anche se in realtà questo vale anche per ordini di scuola
superiori) è una didattica laboratoriale che permetta ai bambini di
sperimentare le cose di cui si parla, di verificare e toccare con mano ciò che
viene insegnato. Tutto ciò è tanto più importante quanto più piccoli sono gli
studenti e non tanto perché crescendo gli studenti non abbiano bisogno di
sperimentare, quanto perché la loro capacità di astrazione è sicuramente
maggiore e quindi riescono con più facilità a dominare i concetti. Il bisogno di
appoggiarsi ad esperienze e a situazioni percettive, e l’accettazione delle
alterazioni concettuali che ne derivano, è tanto maggiore quanto più si
anticipa il momento in cui si presenta il contenuto dell’insegnamento. Detto
questo, nei bambini piccoli, ciò che rimane del concetto scientifico insegnato
mediante l’esperimento, è ben lontano dal relativo concetto astratto ma
contribuisce positivamente alla sua formazione. Il completamento della
concezione scientifica comporta molte altre esperienze e sviluppi cognitivi
progressivi e richiede tempi molto lunghi. Nell’immediato, dunque, ciò che si
realizza non è l’apprendimento del concetto fisico in questione, che sarebbe
impossibile ottenere su tempi brevi, quanto piuttosto la stimolazione dei
bambini a modificare le loro idee in direzione di esso. Del resto anche le
Indicazioni per il Curricolo, affermano che “la costruzione del pensiero
scientifico è un processo lungo e progressivo nel quale concetti, abilità,
competenze e atteggiamenti vengono ritrovati, intrecciati, consolidati e
35
G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, 1632.
21
sviluppati a più riprese”36. L’insegnante deve considerare quello che è già
acquisito non come qualcosa di statico, ma come un mezzo e uno strumento
per aprire nuovi campi, che esigono nuovi sforzi dell’osservazione e
dell’intelligente uso della memoria: “[…]continuità nella crescenza, deve
essere il motto d’ordine costante dell’educatore”37. Anche le Indicazioni
riportano tra i criteri di fondo che fanno della scuola un ambiente di
apprendimento quello di “valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli
alunni, per ancorarvi nuovi contenuti. Nel processo di apprendimento
l’alunno porta la ricchezza di esperienze e conoscenze, mette in gioco
aspettative ed emozioni, si presenta con una dotazione di informazioni,
abilità, modalità di apprendere, che l’azione didattica può opportunamente
richiamare, esplorare, problematizzare. In questo modo l’allievo riesce a dare
senso e significato a quello che va imparando”38.
A questo proposito, mi sembra opportuno ricordare la situazione problema39,
definita da D’Amore come “una situazione di apprendimento che comporta la
risoluzione di un problema, ma concepita in modo tale che gli allievi non
possano risolvere la questione per semplice ripetizione o applicazione di
conoscenze o competenze acquisite ma tale che essa necessiti della
formulazione di ipotesi nuove”40. Egli caratterizza questo modello
d’organizzazione di insegnamento partendo dal presupposto che sia
necessario indurre motivazione, suscitare curiosità per un qualche enigma,
per una domanda, per un problema; che l’allievo sappia di essere in una
situazione nella quale è prevista la costruzione di una conoscenza; che la
36
Ministero della Pubblica Istruzione, Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il
primo ciclo d’istruzione, Roma, settembre 2007.
37
J. Dewey, Esperienza e educazione, traduzione italiana, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia Editrice,
1993, p. 61.
38
Ministero della Pubblica Istruzione, Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il
primo ciclo d’istruzione, Roma, settembre 2007, p. 42.
39
Termine coniato da Dewey.
40
B. d’Amore, Didattica della matematica, Bologna, Pitagora Editrice, 2001, p. 107.
22
struttura del compito permetta a ciascun allievo di effettuare le operazioni
mentali richieste per raggiungere l’obiettivo dell’apprendimento; che l’allievo
sia valutato in base alle sue acquisizioni personali. Creare situazioni problema
richiede tempo ed energia. Occorre avere un obiettivo ben preciso da
raggiungere, all’interno di un progetto ben delineato e chiaro. L’insegnante
deve anche conoscere molto bene i propri allievi non solo dal punto di vista
delle competenze di ciascuno, ma anche delle possibilità creative, per capire
bene come motivarli. Deve anche avere molto chiare le operazioni mentali
che tale situazione richiederà per poterle riconoscere nelle attività degli
studenti e guidarle41. Si crea una situazione in cui da una parte c’è
l’insegnante che deve aver predefinito in maniera chiara e precisa il contesto,
gli strumenti, i tempi, dall’altra gli allievi che devono sentirsi liberi di pensare,
ipotizzare, di far uso delle proprie risorse mentali. Come afferma Dewey, è
compito dell’educatore predisporre un “piano intelligente e flessibile”42. Egli
deve esaminare le capacità e i bisogni del gruppo dei suoi allievi e disporre le
condizioni che forniscano materia di studio per esperienze che appaghino
questi bisogni e sviluppino queste capacità43. “Io non so a che servirebbe la
maggiore maturità dell’insegnante e la sua più estesa conoscenza del mondo,
delle materie di studio e degli individui, se egli non fosse in grado di disporre
le condizioni che promuovono l’attività della comunità e l’organizzazione che
esercita controllo sugli impulsi individuali per il mero fatto che tutti sono
impegnati in progetti comuni”44. In quest’ottica, quando l’insegnante pone
una questione ai bambini, egli solleva degli interrogativi e dei dubbi ed è
41
Ibidem, p. 108.
Il principio dell’interazione di Dewey, che permette di interpretare un’esperienza nella sua
funzione ed efficacia educativa (l'organismo riceve gli stimoli dall'ambiente, vi reagisce e, come
conseguenza di ciò, si instaura una nuova situazione), ci fa capire che il mancato adattamento del
materiale ai bisogni e alle attitudini degli individui può provocare un’esperienza non educativa
quanto il mancato adattamento di un individuo al materiale.
43
Cfr. J. Dewey, Esperienza e educazione, traduzione italiana, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia
Editrice, 1993, p. 42.
44
Ibidem p. 43.
42
23
proprio da lì, da quei dubbi, che nasce l’indagine. “Indagare e dubitare sono,
fino a un certo punto, termini sinonimi. Noi indaghiamo quando dubitiamo;
ed indaghiamo quando cerchiamo qualcosa che fornisca una risposta alla
formulazione del nostro dubbio. Pertanto è peculiare della natura stessa della
situazione indeterminata che suscita l’indagine, di essere fonte di dubbio45; o
in termini attuali anziché potenziali di essere incerta, disordinata,
disturbata”46. Sono proprio il dubbio e l’interesse la base della pedagogia di
Dewey: non esiste apprendimento se non quello centrato sugli interessi reali
di chi apprende. E l’interesse è legato al fare e all’attività, e con essa muta e si
evolve. Da esso scaturisce la formazione di ipotesi circa un determinato
contenuto conoscitivo, che è un’operazione cognitiva piuttosto complessa.
Essa implica osservazione delle condizioni circostanti, conoscenza di ciò che è
accaduto in passato in situazioni analoghe (ottenuta in parte con il ricordo
delle esperienze anteriori in parte con l’informazione) e giudizio che raccoglie
insieme ciò che è stato osservato e ciò che è stato richiamato con la
memoria47. Quindi la crescita individuale dipende anche dalla presenza di
difficoltà da superare mediante l’esercizio dell’intelligenza. La responsabilità
dell’insegnante è, in questa sfera, duplice: da una parte è bene che egli tenga
presente che il problema proposto si contenga entro il raggio della capacità
degli alunni, entro la “zona di sviluppo prossimale”48 per dirla con Vygotskij,
dall’altra che esso sia tale da stimolarlo a produrre nuove idee. È nel
momento in cui il soggetto agisce socialmente, cercando di risolvere un
problema che non sarebbe in grado di affrontare autonomamente, attraverso
il “sostegno dialogico” di chi tale problema sa già risolverlo, che egli si
appropria di nuovi strumenti cognitivi. Le idee prodotte dal soggetto, poi,
45
In corsivo nel testo.
J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, traduzione italiana, Giulio Einaudi Editore, 1949, p. 158.
47
Cfr. B. M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale, Roma, Carocci Editore, 2002, p. 91.
48
Definibile come la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale.
46
24
hanno bisogno di essere provate, esperite, viste e comprese. Occorre usare
l’esperienza come mezzo per avviare l’alunno verso un mondo circostante,
fisico e umano, più ampio e meglio organizzato49. Un’attività che non sia
improntata ad osservare quali sono le sue conseguenze, non porta molti
frutti e non conduce al chiarimento e all’espansione delle idee.
Nell’esperienza, la relazione causa-effetto non si presenta in astratto ma nella
forma di relazione tra mezzi impiegati e fini raggiunti ed è importante per i
bambini cogliere tale relazione, anche per i piccolissimi, per avvicinarsi ad una
capacità di discernimento critico che accompagna la capacità di ragionare.
L’attitudine a pensare è altrimenti soffocata dal cumulo delle informazioni
disparate che gli alunni mal digeriscono.
Ma dare rilievo al momento
dell’esperienza diretta e significativa, non implica che l’indagine debba
rimanere al livello del “fare”, cioè al livello “pratico”; può, anzi deve, secondo
Dewey svilupparsi in una ricerca teorica , cioè di ripensamento dell’attività
pratica stessa, di ampliamento e approfondimento delle conoscenze che a
essa sono connesse50. Anche le Indicazioni dicono che “i principi e le pratiche
delle scienze, sviluppano le capacità di critica e di giudizio, la consapevolezza
che occorre motivare le proprie affermazioni, l’attitudine ad ascoltare,
comprendere, valorizzare argomentazioni e punti di vista diversi dai propri”.
E sempre nelle Indicazioni, tra i criteri di fondo che fanno della scuola un
contesto idoneo a promuovere apprendimenti significativi e a garantire il
successo formativo per tutti gli alunni, troviamo scritto:
“Favorire l’esplorazione e la scoperta, al fine di promuovere la passione per la
ricerca di nuove conoscenze. In questa prospettiva, la problematizzazione
svolge una funzione insostituibile: sollecita gli alunni a individuare problemi, a
49
50
Cfr. B. M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale, Roma, Carocci Editore, 2002, p. 105.
Cfr. C. G. Hoffman, Fare scienze nella scuola di base, Milano, La Nuova Italia, 2000, p. 38.
25
sollevare domande, a mettere in discussione le mappe cognitive già elaborate,
a trovare piste d’indagine adeguate ai problemi, a cercare soluzioni anche
originali attraverso un pensiero divergente e creativo.
Incoraggiare l’apprendimento collaborativo. Imparare non è solo un processo
individuale. La dimensione comunitaria dell’apprendimento svolge un ruolo
significativo. In tal senso, molte sono le forme di interazione e collaborazione
che possono essere introdotte (dall’aiuto reciproco all’apprendimento nel
gruppo cooperativo, all’apprendimento tra pari…), sia all’interno della classe,
sia attraverso la formazione di gruppi di lavoro con alunni di classi e di età
diverse.
[…] Realizzare percorsi in forma di laboratorio, per favorire l’operatività e allo
stesso tempo il dialogo e la riflessione su quello che si fa. Il laboratorio è una
modalità di lavoro che incoraggia la sperimentazione e la progettualità,
coinvolge gli alunni nel pensare-realizzare-valutare attività vissute in modo
condiviso e partecipato con altri, e che può essere attivata sia all’interno sia
all’esterno della scuola, valorizzando il territorio come risorsa per
l’apprendimento”51.
Secondo Dewey le attività manuali, di tipo espressivo o costruttivo, sono il
perno attorno al quale organizzare le attività disciplinari e costituiscono il
“centro di correlazione” di ogni studio. In questa visione, un continuo
confronto tra progetto e risultati condurrà a un approfondimento
intellettuale
e
a
un’indagine
continua.
L’esperienza,
la
centralità
dell’interesse e dell’attività, individuale e collettiva, spontanea o guidata,
l’apprendimento attraverso il fare
pratico, sono le linee guida della
rivoluzione scolastica di Dewey e di quella “scuola laboratorio” che venne poi
chiamata “scuola attiva”.52
51
Ministero della Pubblica Istruzione, Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il
primo ciclo d’istruzione, Roma, settembre 2007, pp. 46-46.
52
Cfr. B. M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale, Roma, Carocci Editore, 2002, p. 90.
26
1.6 Aristotele e Galileo: due scienziati a confronto
1.6.1 “È vero perché lo dice Aristotele”
“Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,
vidi 'l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.
53
Tutti lo miran, tutti onor li fanno” .
Nel Medioevo e nel Rinascimento tra gli uomini di cultura era diffusa
l’opinione che gli antichi avessero già scoperto tutto quanto l’uomo poteva
conoscere e in particolare si pensava che tutto quello che c’era da sapere
sulla natura fosse già stato scoperto da Aristotele, il grande filosofo greco
vissuto nel IV secolo prima di Cristo (384-322 a.C.). Ai testi degli autori classici
si aggiungeva un’unica altra fonte di conoscenza: la Bibbia, che,
nell’interpretazione data dagli ecclesiastici, forniva risposte non solo in
campo religioso ma anche scientifico. Per questa ragione, scienza, religione,
magia, superstizione erano spesso confuse le une con le altre. Specialmente
dopo la riforma di Lutero, la Chiesa cattolica condannava ogni scoperta che
modificava le conoscenze tradizionali, perché credeva che creasse
disorientamento tra i fedeli, spingendoli verso la fede protestante54.
Aristotele era stato un brillante osservatore e classificatore dei fenomeni
naturali e degli esseri viventi, ma non aveva effettuato esperimenti per
mettere alla prova le proprie intuizioni. Nonostante ciò, esse si tramandarono
nei secoli come verità assolute, senza che nessuno osasse metterle in
discussione. Fisica è il titolo di un trattato in otto libri di Aristotele. Come
tutte le altre opere aristoteliche, anche la Fisica è il risultato del lavoro di
53
54
D. Alighieri, Divina Commedia, Inferno, IV, 130-133.
Cfr. G. Delbello, M. Lesanna, I segreti del tempo 2, Torino, Il capitello editore, 2005, p.136.
27
ricostruzione, operato probabilmente da Andronico di Rodi, erudito della
scuola peripatetica, intorno al I secolo a.C., su frammenti sparsi scritti dallo
Stagirita55 in epoche diverse, su argomenti diversi, tutti tuttavia attinenti
alla fisica56. L’oggetto proprio della fisica è, secondo Aristotele, l’essere in
movimento. La fisica di Aristotele è perciò essenzialmente una teoria del
movimento e le sostanze fisiche sono distinte e classificate da Aristotele
secondo la natura del loro movimento57.
Il libro I tratta dei principi del Divenire.
Il libro II è un trattato sulle Quattro cause, che riprende in parte il pensiero
di Empedocle.
I libri III, IV, V, VI costituiscono uno studio organico sul concetto di
mutamento (o movimento) e i concetti connessi di: infinito, luogo, tempo,
continuo.
Il libro VII continua, in modo tuttavia autonomo, l'analisi del Movimento,
introducendo il concetto di Motore.
L'ottavo libro postula l'esistenza di un Primo motore immobile ed eterno.
L’intento generale che sorregge la fisica di Aristotele è quello di spiegare, non
solo come il mondo risulti costituito, ma perché esso risulti costituito proprio
così e non possa essere in altra maniera. Egli si propone di pervenire ad una
spiegazione dell’esperienza nella sua concretezza. Aristotele cioè accetta la
teoria di Empedocle dei quattro elementi (aria, terra, fuoco, acqua) non tanto
come corpi fisici, ma quanto come modi di essere. La terra è l’elemento
freddo e secco, che tende verso il basso; essa deve essere controbilanciata
dal suo elemento contrario, il fuoco, che è caldo e secco, e tende verso l’alto.
55
Di abitante della città di Stagira. Il termine indica per antonomasia il filosofo Aristotele in quanto
nato a Stagira.
56
Cfr. www.ips.it/scuola/concorso/Kant/fisar.htm
57
Cfr. N. Abbagnano, G. Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, Torino, Paravia Editore, 1989, p. 176.
28
Fra essi devono esistere altri due elementi con funzioni mediatrici: l’acqua,
fredda e umida, e l’aria, calda e secca. Anche l’acqua tende verso il basso,
come ci viene provato dallo scorrere dei fiumi. L’aria invece tende verso
l’alto, come vediamo dalle bolle d’aria contenute nell’acqua che vengono a
galla.
1.6.2 Il Primo Motore immobile
Basandosi sulla teoria generale del movimento, in cui egli sostiene che tutto
ciò che è mosso deve essere mosso da qualcos'altro, Aristotele deduce che ci
deve essere qualcosa di inizialmente fermo da cui si origina il movimento,
cioè un principio primo immobile ma che di per sé è un motore che fa
muovere tutti gli enti verso di lui, causa finale dell'universo58.
Nella successiva interpretazione e acquisizione del pensiero aristotelico da
parte dei filosofi cristiani medioevali, questo Primo Motore è Dio, non
soggetto al divenire che corrompe, immobile, quindi, e nello stesso tempo
forza d'attrazione del mondo che va verso di lui, verso la sua somma
perfezione.
1.6.3 Sul concetto di moto e sulle sue cause
Il concetto di moto in Aristotele riveste una valenza più generale rispetto alla
nostra attuale concezione59. Egli considera moto non solo il mutamento di
luogo (moto locale) ma anche l’alterazione qualitativa, l’aumento o
diminuzione quantitativi e, in taluni casi, la generazione e la corruzione.
Nel mondo sensibile sono possibili tutte e quattro le forme di
mutamento; in particolare il mutamento secondo il luogo avviene con
58
59
Cfr. N. Abbagnano, G. Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, Torino, Paravia editore, 1989, p. 174.
Cfr. Losee, Filosofia della scienza, Milano, Il saggiatore, 2009, p. 19.
29
moti di tipo rettilineo (dal basso verso l’alto o dall’alto verso il basso).
Per quanto riguarda il mondo celeste, l'unica forma di mutamento
possibile è quella secondo il luogo, e in questo caso si ha un moto circolare a
velocità costante. Ad ogni corpo compete un luogo naturale. Infatti ogni
corpo è, per sua natura, determinato dalla miscela dei quattro elementi che
lo compongono (aria, acqua, terra, fuoco). Nel caso di terra e acqua (elementi
pesanti) il luogo naturale sarà il centro dell’universo, nel caso di aria e fuoco
(elementi leggeri) esso sarà la regione “superiore”. Nel luogo naturale, se non
intervengono cause esterne, i corpi si mantengono in quiete. Essa non
necessita di una causa. Il moto, secondo il filosofo, è qualche cosa che si
“trasferisce” momentaneamente ai corpi, trasformandoli in se stessi e
rispetto agli altri: è il “passaggio” all’atto di ciò che è in potenza. Ogni
movimento, naturale (secondo il quale ogni corpo si muove verso il luogo
naturale) o violento (secondo il quale il corpo si allontana dal luogo naturale,
dunque contro natura), necessita di una causa. La causa del moto naturale è il
ritorno del corpo al suo luogo naturale. La causa del moto violento è
un motore esterno in contatto (non sono ammesse azioni a distanza) con il
mobile. Soppressa la causa, naturale o violenta, il moto cesserà.
Aristotele concepiva l’indagine scientifica come una progressione dalle
osservazioni a princìpi generali, e poi di nuovo un ritorno alle osservazioni.
Asseriva che gli scienziati dovessero indurre i princìpi esplicativi a partire dai
fenomeni che dovevano essere spiegati, e poi dedurre da premesse
comprendenti questi princìpi asserzioni riguardo ai fenomeni (metodo
induttivo-deduttivo)60.
Aristotele riteneva che la scienza fosse un insieme di asserzioni organizzate
deduttivamente. Al più alto livello di generalità vi sono i principi primi di ogni
60
J. Losee, Filosofia della scienza, Milano, Il saggiatore, 2009, p. 18.
30
dimostrazione: i princìpi di identità, di non contraddizione e del terzo escluso
(applicabili a tutti i ragionamenti deduttivi). Al livello immediatamente
inferiore di generalità vi sono le definizioni della scienza particolare. Esse
sono le asserzioni più generali che possono essere fatte riguardo ai predicati
propri di quella scienza. Quelli della fisica, per esempio, comprenderebbero:
Ogni moto è naturale o violento
Ogni moto naturale è moto verso un luogo naturale
Il moto violento è causato dall’azione quantitativa di un agente
Il vuoto è impossibile.
1.6.4 Galileo e l’inizio della scienza moderna61
"E
qual
maggiore
sciocchezza
si
può
immaginare di quella che chiama cose preziose
le gemme, l’argento e l’oro, e vilissima la terra
e il fango? E come non sovviene a queste tali,
che quando fusse tanta scarsità della terra
quanta è delle gioie o de i metalli più pregiati,
non sarebbe principe alcuno che volentieri non
ispendesse una somma di diamanti e rubini e
quattro carrate di oro per aver solamente
tanta terra quanta bastasse per piantare in un
piccol vaso un gelsomino o seminarvi un
arancino della Cina, per vederlo nascere,
crescere e produrre sì belli frondi, fiori odorosi
e sì gentil frutti?"
62
Nonostante gli ostacoli posti dalla Chiesa63, nel Seicento alcuni studiosi
riuscirono a fare nuove scoperte, a diffondere nuove conoscenze e
61
F. Tibone, Facciamo scienze. Altre cose da scoprire, Bologna, Zanichelli editore, 2004, p. S20
G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, giornata prima, 1632.
63
Galileo è nato nel periodo della Controriforma, ossia nel periodo di reazione della Chiesa cattolica
alla riforma luterana. La Controriforma cattolica si attua attraverso: la riaffermazione e ridefinizione
62
31
soprattutto ad adottare un nuovo metodo di ricerca scientifica. Questi
scienziati sostenevano che bisognava cominciare a studiare l’universo, la
natura e il corpo umano attraverso l’osservazione diretta. Non rifiutavano a
priori le teorie di Aristotele e degli altri antichi ma erano disposti ad
accettarle soltanto se potevano essere dimostrate con esperimenti.
Ritenevano che non bastasse osservare i fenomeni, analizzandoli in modo
generale, ma che occorresse anche misurarli e descriverli con la maggior
precisione
possibile
attraverso
il
linguaggio
matematico.
Questo
rinnovamento della scienza, fondato sul metodo sperimentale, fu così
importante che gli storici lo chiamano rivoluzione scientifica. Uno dei
fondatori del metodo sperimentale può essere considerato Galileo64, uno
scienziato nel senso moderno del termine, che dette uno scossone alla
visione aristotelica del mondo. Nato a Pisa nel 1564, il giovane Galileo studiò
medicina. Ma il corpo umano non lo interessava molto: la sua passione
segreta era lo studio della geometria. “La geometria, la matematica e la
statica avevano per Galileo il pregio di non basarsi su affermazioni generiche
ma di giungere a delle conclusioni incontrovertibili da sviluppi rigorosi che
portavano a risultati sempre verificabili in natura”65. Pare che un giorno,
durante la Messa nel Duomo di Pisa, Galileo abbia notato un lampadario che
oscillava, messo in movimento da chi aveva acceso le candele. Al passare del
tempo le oscillazioni diventavano sempre più piccole ed egli decise di
controllare come cambiava il loro periodo, ovvero il tempo impiegato per
un’oscillazione completa, avanti e indietro. Con sorpresa scoprì che il periodo
dei dogmi messi in discussione dal protestantesimo; la condanna della riforma protestante
come eresia; la persecuzione degli eretici; la censura dei testi e di qualsiasi opinione che non fosse
conforme alle idee ecclesiastiche. (Cfr. www.wikipedia.org).
64
Nello stesso periodo anche Keplero (1571-1630) precisò la concezione copernicana dell’Universo,
dimostrando che le orbite compiute dai pianeti non sono circolari ma ellittiche e Newton formulò la
legge della gravitazione universale, che spiega da che cosa sono determinati i movimenti di tutti i
corpi, sia della mela che cade dall’albero, sia della Luna che gira attorno alla Terra.
65
A. Righini, Galileo tra scienza, fede e politica, Bologna, Editrice Compositori, 2008, p.21.
32
non cambiava, nell’ipotesi di piccoli angoli di oscillazione, qualunque fosse
l’ampiezza dell’oscillazione del candeliere (per misurare gli intervalli di tempo
utilizzò le pulsazioni del cuore). Ripeté l’esperimento a casa facendo oscillare
un sasso appeso ad una corda ed ebbe la conferma di ciò che aveva misurato
nel Duomo ma scoprì anche qualcosa di più: il periodo del pendolo non
dipende neppure dal peso del sasso utilizzato. L’unico modo per variare il
periodo di un pendolo è variare la lunghezza della sua corda.
Questo studioso, dunque, vissuto quattrocento anni fa, aveva un modo di
procedere molto “moderno”. Per Galileo, infatti, la spiegazione di un dato
fenomeno, dopo essere stata intuita, doveva essere verificata per mezzo
dell’esperimento. Il metodo sperimentale consiste proprio nel ricostruire il
fenomeno studiandolo quantitativamente, cioè effettuando tutte le possibili
misure delle grandezze che intervengono in esso, e cercando poi di scoprire
le relazioni matematiche che possono spiegare i dati numerici trovati. In una
delle sue opere Galileo fa dire a Simplicio, il personaggio che sostiene le
teorie aristoteliche:
“SIMPLICIO: io resto interamente appagato: e mi credano certo che se io
avessi a ricominciare i miei studii, vorrei seguire il consiglio di Platone e
cominciarmi dalle matematiche, le quali veggo che procedono molto
scrupolosamente, né vogliono ammettere per sicuro fuor che quello che
concludentemente dimostrano”66.
Come abbiamo detto poco sopra, Galileo fin da giovane dimostrò di saper
osservare la natura con occhi nuovi e attenti e non ebbe paura a contestare
quei principi ritenuti “sacri” ai suoi tempi. Attorno al 1609 costruì il
66
G. Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, 1638, giornata prima.
33
cannocchiale67 che gli fornì le prove che molte delle affermazioni degli antichi
circa i corpi celesti erano errate. Grazie ad esso, perfezionato nel 1610, si
spalancarono le porte all’osservazione dell’Universo. Galileo studiò la
superficie lunare, piena di cavità e rilievi, scoprì le macchie solari, i satelliti di
Giove e i loro movimenti, capì che la Via Lattea era un enorme ammasso di
stelle, di cui nessuno sospettava l’esistenza, perché non visibili a occhio nudo.
Le sue osservazioni con il cannocchiale gli fornirono ulteriori prove
dell’ipotesi su cui rifletteva da tempo, basandosi sulla teoria di Copernico:
che la Terra non era al centro dell’Universo, ma che essa ruotava intorno al
Sole con tutti gli altri pianeti. Intanto, la sua fama si diffondeva rapidamente
in tutta Europa68.
Giuseppe Bertini, Galileo Galilei che mostra l’utilizzo del cannocchiale al Doge di Venezia, 1858
67
In realtà, forse, il primo cannocchiale fu costruito tra il XVI e XVII secolo da artigiani italiani e
olandesi. Galilei perfezionò l’idea ma anche il suo strumento era all’inizio molto semplice: un tubo
alle cui estremità erano applicate due lenti da occhiali, una concava e una convessa.
68
Quando, infatti, presentò a Roma il cannocchiale, fu ricevuto con grande solennità e dimostrazioni
di simpatia, anche da parte degli ecclesiastici, ma ben presto si scatenarono le invidie degli altri
studiosi, i sospetti, le accuse. Galilei dedicò tutti i suoi sforzi a dimostrare la verità della teoria
copernicana della rotazione terrestre e a farla accettare anche dalla Chiesa che continuava a
considerare valido l’insegnamento della Bibbia.
34
Da buon cristiano Galileo non voleva contestare nessun principio di fede e
non aveva intenzione di mettersi in contrasto con la Chiesa. Semplicemente
riteneva che scienza e fede fossero due campi diversi e non dovessero
interferire l’uno con l’altro. L’argomento, però, era pericoloso: non solo si
confutava Aristotele ma si entrava anche nell’ambito religioso, coinvolgendo
le Sacre Scritture69. Galileo, affermando “imprudentemente” che il campo
della scienza e quello religioso erano ben distinti e che lo studio dei corpi
celesti e dei loro movimenti era argomento puramente scientifico, si fece
molti nemici tra il clero, tanto che il Santo Uffizio censurò i suoi scritti e gli
proibì di sostenere la teoria eliocentrica di Copernico e di insegnarla70.
Correva l’anno 1616. Galileo dovette promettere obbedienza per non trovarsi
di fronte al Tribunale dell’Inquisizione. Nel 1632, però, pubblicò un’opera che
gli costò una condanna molto dura. Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi
del mondo71 Galileo sosteneva sempre la validità della teoria copernicana,
disubbidendo alla promessa fatta tanti anni prima72. L’opera fu messa
all’indice e ne fu proibita la vendita. Davanti al tribunale dell’Inquisizione il
grande scienziato dovette pronunciare l’abiura73 (1633)74 e sconfessare le
dottrine che aveva sostenuto.
69
Secondo la Bibbia, infatti, era il Sole a girare attorno alla Terra.
Cfr. R. Bonnes, P. De Re, Progetto natura, Firenze, Bulgarini editore, 1989, p.17
71
I due “sistemi” erano quello tolemaico e quello copernicano: Galileo li metteva a confronto e
sosteneva l’esattezza della teoria copernicana (anche se nel sottotitolo dell’opera sosteneva di
portare ragioni “tanto per l’una, quanto per l’altra).
72
“L’opera si ispira chiaramente ai dialoghi di Platone, in cui, ricorrendo essenzialmente alla
dialettica del discorso, […] si indagano i principi fondamentali dell’Universo che, in questo caso,
discendono esclusivamente dall’osservazione dei fenomeni naturali” in A. Righini, Galileo tra
scienza, fede e politica, Bologna, Editrice Compositori, 2008, p.118.
73
“L'atto di abiura (dal latino ab jurare, rinnegare un giuramento) è un documento utilizzato in varie
epoche con il quale, per diverse ragioni, un soggetto (o un gruppo di persone) formalizza con una
dichiarazione la sua abiura, cioè il rigetto di una precedente appartenenza ad una ideologia o, più
frequentemente, ad una religione. Il rilascio di un simile documento è in genere richiesto, sollecitato,
estorto o proprio imposto a fini politici o di propaganda”, in http://it.wikipedia.org.
74
Questo il testo dell’abiura di Galilei: “Io Galileo, fìg.lo del q. Vinc.o Galileo di Fiorenza, dell'età mia
d'anni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Emin.mi e Rev.mi
Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l'eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti
gl'occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto,
70
35
Joseph-Nicolas
Nicolas Robert-Fleury,
Robert
Galileo di fronte al Sant'Uffizio, 1847
La condanna al carcere, che gli fu commutata negli arresti domiciliari, fu
scontata a Roma, poi a Siena e infine ad Arcetri75 dove Galileo trascorse gli
credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la
S.a Cattolica e Apostolica Chiesa. Ma perché da questo S. Off.o,
Off.o, per aver io, dopo d'essermi stato con
precetto dall' istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che
il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si
muova, e che non
on potessi tenere, difendere ne insegnare in qualsivoglia modo, ne in voce ne in
scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d'essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra
Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l'istessa
l'istessa dottrina già dannata e apporto
ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna soluzione, sono stato giudicato
veementemente sospetto d'eresia, cioè d'aver tenuto e creduto che il sole sia centro del mondo e
imobile e che la terra non sia centro e che si muova; Pertanto volendo io levar dalla mente delle
Eminenze V.re e d'ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di me conceputa,
con cuor sincero e fede non fìnta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie, e generalmente
ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla S.ta Chiesa; e giuro che per l'avvenire non
dirò mai più ne asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione;
ma se conoscerò alcun eretico
ico o che sia sospetto d'eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero
all'Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò.
Giuro anco e prometto d'adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o
mi saranno da questo S. Off.o imposte; e contravenendo ad alcuna delle dette mie promesse e
giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da' sacri canoni e
altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate.
promu
Così Dio m'aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani.
Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del
vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione
abiurazione e recitatala di parola
in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633.
Io,, Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria”, in http://www.minerva.unito.it..
75
È una piccola zona collinare a sud del centro di Firenze.. Vi si trovano numerosi edifici storici, come
la casa sede del confino di Galileo Galilei (Villa Il Gioiello), la chiesa di San Leonardo
o in Arcetri,
Arcetri
36
ultimi anni della sua vita, dedicandosi alla ricerca nel campo della meccanica,
e dove morì nel 1642. Solo nel 2000 la Chiesa cattolica ha riconosciuto
pubblicamente l’ingiustizia del processo e della condanna subiti da Galileo.
Nelle sue due opere più importanti, Dialogo sopra i due massimi sistemi del
mondo, pubblicato nel 1632, e Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno
a due nuove scienze, pubblicato nel 1638, egli confutò le convinzioni
aristoteliche.
Frontespizio del Dialogo: Aristotele (a sinistra), Tolomeo (al centro) ha in mano un modello costituito
da sfere concentriche, Copernico (a destra) reca un emblema delle proprie teorie eliocentriche
Entrambe le opere sono elaborate sotto forma di dialogo, si svolgono in
quattro giornate e coinvolgono gli stessi personaggi: due sono personaggi
reali, amici di Galileo, all'epoca già defunti, il fiorentino Filippo Salviati e il
il Convento di San Matteo, l'Osservatorio Astrofisico di Arcetri e la villa in cui è morto Francesco
Guicciardini.
37
veneziano Gianfrancesco Sagredo, mentre il terzo, Simplicio, richiama nel
nome un noto, antico commentatore di Aristotele, oltre a sottintendere il suo
semplicismo scientifico. Egli è il sostenitore del sistema tolemaico, mentre
l'opposizione copernicana è sostenuta dal Salviati. Sagredo, invece, svolge
una funzione più neutrale ma finisce per simpatizzare per l'ipotesi
copernicana.
Nelle opere di Galileo si evince come egli, tra le varie scoperte, invenzioni e
intuizioni, avesse praticamente enunciato il principio di inerzia secondo il
quale in assenza di una forza, un corpo mantiene il suo stato di quiete o di
moto76. Egli scrive che il moto di un corpo su un piano “che non fusse né
acclive né declive” (cioè fosse orizzontale) al quale “fusse dato impeto verso
qualche parte […] seguirebbe il muoversi verso quella parte”. Inoltre esso
continuerebbe a muoversi con velocità uniforme: “il mobile” scrive Galileo
“durasse a muoversi […] tanto quanto durasse la lunghezza di quella
superficie, né erta né china; […] se tale spazio fusse interminato, il moto in
esso sarebbe parimenti senza termine, cioè perpetuo”77. Ciò contraddiceva le
argomentazioni di Aristotele il quale affermava che “ciò che è mosso cessa di
muoversi nel momento stesso in cui il motore che agisce su di esso smette di
muoverlo”78, ossia che un corpo in moto si ferma, quando la forza che lo
spinge smette di agire.
Altre intuizioni importanti circa il moto dei corpi, le leggiamo nel trattato
Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, pubblicato
76
Galileo (nella Seconda Giornata del Dialogo sopra i Due Massimi Sistemi) considerò il moto di un
corpo sopra un piano orizzontale come un caso limite del moto sopra un piano inclinato: la velocità
di un corpo che scende lungo un paino inclinato va aumentando, quella di un corpo che risale su di
esso va diminuendo; su un piano “che non fusse né acclive né declive” (cioè fosse orizzontale) un
corpo al quale viene impressa una certa velocità, in assenza di forze, continua a muoversi per
sempre, mantenendo costante la sua velocità.
77
G. Galilei, Dialogo sopra i due massi sistemi del mondo, giornata seconda, 1632.
78
Ciò viene affermato nella Meccanica, Cfr. www.wikibooks.org.
38
nel 1638, in cui Galileo dichiarò che la differenza di comportamento tra due
corpi in caduta era dovuta soltanto alla presenza dell’attrito con l’aria.
Secondo Galileo, se esso non ci fosse, tutti i corpi cadrebbero “verso ‘l comun
centro de i gravi, cioè del nostro globo terrestre, con movimento
continuamente accelerato, ed accelerato sempre egualmente, cioè che in
tempi uguali si fanno aggiunte uguali di nuovi momenti e gradi di velocità”.
Gli studi successivi hanno dimostrato che questa accelerazione è uguale per
tutti i corpi e non dipende né dalla loro massa, né dal particolare materiale di
cui sono fatti. Le argomentazioni di Galileo erano contrarie all’esperienza
comune e con le strumentazioni esistenti non
era possibile verificare
direttamente queste ipotesi. La conferma definitiva della loro validità giunse
solo qualche decennio più tardi quando fu inventata la prima macchina da
vuoto. Verso il 1650, infatti, Otto von Guericke79 inventò la sua famosa
pompa da vuoto, cominciando a stupire l’Europa con i suoi esperimenti
pubblici.80 In quegli anni Newton costruì un tubo di vetro dal quale estrasse
l'aria e dimostrò che oggetti leggeri come una piuma, non trovando
resistenza del mezzo, cadevano con la stessa accelerazione di altri corpi più
pesanti81.
1.7 La meccanica
I fenomeni fisici sono numerosi e complessi e altrettanto vasta e complessa è
la fisica. Essa, infatti, viene suddivisa in vari campi, secondo la natura dei
fenomeni considerati. Si tratta di una suddivisione dettata da comodità di
studio in quanto, in realtà, tutti i campi della fisica sono in stretta relazione
79
Otto von Guericke (1602-1686), fisico tedesco, fu in carica come borgomastro a Magdeburgo per
sette anni. Approfondì i suoi studi di fisica, fu l'inventore di una macchina pneumatica ed eseguì una
serie di esperimenti sul vuoto. Fra le sue pubblicazioni e scritti, Experimenta nova, Magdeburgica, De
vacuo spatio. (Cfr. http://www.museoelettrico.com).
80
Cfr. http://fisicaho.wordpress.com.
81
Cfr. www.wikipedia.org.
39
tra loro. Ma non solo, tutta la fisica come scienza è a sua volta in stretta
relazione con le altre scienze, dalla matematica, alla chimica, alla geologia,
alla biologia, all’astronomia. La parte della fisica che si occupa e studia il
movimento dei corpi è la meccanica.
1.8 La descrizione del moto dei corpi
1.8.1 Il sistema di riferimento
La descrizione del moto è sempre relativa, cioè dipende dal sistema di
riferimento da cui lo si osserva. Per renderci conto se siamo in quiete, cioè
fermi, o in moto, dobbiamo fare riferimento a qualcosa che consideriamo
fisso e che, nel linguaggio scientifico, si chiama sistema di riferimento ed è ad
esso che dobbiamo sempre riferire le nostre osservazioni. Dunque possiamo
dire che un corpo è in quiete in un sistema di riferimento se, rispetto a quel
sistema di riferimento, non cambia la sua posizione nel tempo. Viceversa, un
corpo è in moto in un sistema di riferimento se, rispetto a quel sistema di
riferimento, cambia la sua posizione nel tempo.
Quando non ci si riferisce ad un sistema di riferimento particolare, ci si
riferisce, implicitamente, alla Terra, pur sapendo che essa non è ferma.
1.8.2 La traiettoria
Se uniamo tutte le successive posizioni che un corpo occupa nel tempo,
otteniamo la sua traiettoria. Essa è detta rettilinea se segue una linea retta,
curvilinea se segue linee curve. Secondo il tipo di linea curva si può avere il
moto circolare, il moto parabolico, il moto ellittico, eccetera.
40
1.8.3 Lo spazio percorso
Per descrivere il moto di un corpo si deve considerare lo spazio percorso82 tra
il punto di partenza e il punto di arrivo, ossia la lunghezza del tratto di
traiettoria percorsa dal corpo in un certo tempo83. Esso si misura in metri o
nei suoi multipli o sottomultipli.
La distanza percorsa si indica con ∆s e, nel caso di un moto rettilineo, è data
dalla differenza tra le due posizioni finale (‫ݏ‬ଶ ) e iniziale (‫ݏ‬ଵ ) individuate lungo
la retta percorsa: ∆‫ݏ = ݏ‬ଶ ି ‫ݏ‬ଵ .
1.8.4 Il tempo e la velocità
Per descrivere il moto di un corpo non è sufficiente conoscere il tipo di
traiettoria che esso ha seguito o quanto spazio ha percorso. È fondamentale
conoscere anche quanto tempo il corpo ha impiegato per compiere quello
spostamento. L’intervallo di tempo (o durata) in cui è avvenuto lo
spostamento si indica con ∆t ed è definito come la differenza tra i due istanti
di tempo finale (‫ݐ‬ଶ ) e iniziale (‫ݐ‬ଵ ): ∆t = ‫ݐ‬ଶ ି ‫ݐ‬ଵ. Gli intervalli di tempo si
misurano in secondi (s) o nei suoi multipli (minuti, ore, giorni etc.) o
sottomultipli. La grandezza che mette in relazione lo spazio percorso con il
tempo impiegato a percorrerlo è la velocità che si riferisce a quanto
rapidamente un oggetto cambia la sua posizione. La velocità è una grandezza
che può rimanere costante (moto uniforme) oppure può variare (moto
vario).
Supponendo che un oggetto percorra uno spazio ∆‫ ݏ‬in un intervallo di tempo
∆‫ݐ‬, la sua velocità viene definita come:
82
Lo spazio percorso è una quantità scalare che si riferisce a quanto spazio ha percorso un oggetto
durante il suo moto; mentre lo spostamento è una quantità vettoriale che si riferisce al
cambiamento di posizione. (Cfr. R. Casalbuoni, S. De Curtis, Fondamenti e Didattica della Fisica,
lezioni tenute al corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria, a.a. 2003-2004, p. 19).
83
Cfr. E. Longoni, Le scienze per temi, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 2000, p.83.
41
‫ݒ‬௠ =
∆‫ݏ‬
∆‫ݐ‬
La velocità così definita è detta velocità media, perché la rapidità con cui la
posizione del corpo cambia può variare durante il tempo ∆‫ ݐ‬considerato. La
velocità istantanea dà un’indicazione più precisa della velocità di un corpo in
un certo istante e si ottiene con un “procedimento al limite”, facendo
diventare sempre più piccolo l’intervallo di tempo ∆‫ݐ‬.
1.8.5 Il moto rettilineo uniforme e il moto vario
Nel moto rettilineo uniforme un corpo percorre spazi uguali a intervalli di
tempo regolari e la velocità è, come abbiamo detto, costante. La relazione
che lega spazio, velocità e tempo prende il nome di legge oraria del moto
rettilineo uniforme:
‫ݏ = ݏ‬଴ + ‫ݐ ∙ ݒ‬
con ‫ = ݏ‬posizione all’istante di tempo t,
‫ݏ‬଴ = posizione all’istante
iniziale t = 0 e ‫ = ݒ‬velocità.
Nel moto vario, invece, la velocità cambia nel tempo: se un ciclista percorre
300 m in 30 s, diciamo che la sua velocità media, in quel tratto di strada, è di
10 m/s.
Se lo spazio si misura in metri e il tempo in secondi, la velocità si misura
quindi in metri al secondo (m/s).
La legge oraria del moto rettilineo uniforme è una funzione matematica e
possiamo rappresentarla sul piano cartesiano (mettendo in ascissa i tempi e
in ordinata gli spazi)84 ottenendo una retta la cui pendenza ci indica la
velocità del corpo. Immaginiamo un’automobile che si muove con velocità
84
Grafico spazio-tempo
42
costante in verso positivo85, ad esempio ‫ = ݒ‬10 m/s . Se assegniamo dei
valori a piacere al tempo t (espressi in secondi) possiamo ricavare i
corrispondenti valori di s (espressi in metri) e costruire la seguente tabella:
t (in s)
0
1
2
3
s (in m)
0
10
20
30
Riportiamo questi valori in un piano cartesiano. In ascissa segniamo gli
intervalli di tempo e in ordinata i valori relativi allo spazio percorso.
Il grafico spazio-tempo di un moto rettilineo vario, invece, non sarà una retta
ma una linea curva che rappresenta la posizione di un corpo in funzione del
tempo e la sua lettura descrive con precisione il moto del corpo e ci permette
di calcolare in ogni tratto il valore della sua velocità. Analizziamo per esempio
il moto di una libellula86 che si muove in linea retta da una foglia a un’altra, si
85
Cfr. R. Casalbuoni, S. De Curtis, Fondamenti e Didattica della Fisica, lezioni tenute al corso di laurea
in Scienze della Formazione Primaria, a.a. 2003-2004, p. 27.
86
Cfr. U. Amaldi, L’Amaldi. Introduzione alla fisica, Bologna, Zanichelli Editore, 2004, p C8.
43
ferma su quest’ultima e poi torna indietro e costruiamo il grafico di questo
moto:
Nella seguente tabella sono mostrate, al fine di effettuare alcune semplici
valutazioni numeriche, le coordinate di alcuni punti del grafico:
t (in s)
0
1
3
5
6
8
10
s (in m)
0
0,5
5
8
8
5,5
3
Osservando l’andamento del grafico spazio-tempo balzano agli occhi alcune
caratteristiche qualitative del moto:
• I tratti più ripidi sono quelli in cui la velocità media è maggiore. Per
esempio nell’intervallo di 2 secondi tra t = 1s e t = 3s la libellula
percorre 4,5 metri; cioè una distanza maggiore di quella (pari a 3
metri) che percorre in un intervallo di tempo uguale, tra ‫ = ݐ‬3‫ ݏ‬e
t = 5s.
44
• Nei tratti orizzontali la libellula è ferma. Per esempio tra t = 5s e
t = 6s la posizione della libellula non cambia: si trova sempre a 8 metri
dal punto di partenza.
• Nei tratti inclinati verso il basso la libellula torna indietro (cioè si
muove in verso negativo). Per esempio tra t = 6s e t = 10s la libellula
si avvicina al punto di partenza.
Dunque, in un moto vario la velocità non è costante (un oggetto può partire,
fermarsi, cambiare velocità, tornare indietro). Il rapporto tra la variazione
della velocità e l’intervallo di tempo in cui questa variazione avviene, prende
il nome di accelerazione e questa grandezza si riferisce a quanto rapidamente
un oggetto cambia la sua velocità.
L’accelerazione media viene definita come il rapporto tra la variazione di
velocità ∆‫ ݒ‬e l’intervallo di tempo ∆‫ ݐ‬in cui essa avviene:
ܽ௠ ୀ
∆‫ݒ‬
∆‫ݐ‬
In un grafico velocità-tempo che rappresenta la velocità di un corpo in
funzione del tempo, in un moto vario, è possibile leggere e descrivere con
precisione il moto del corpo e calcolare in ogni tratto il valore
dell’accelerazione. Consideriamo ad esempio un’automobile che viaggia
lungo una strada dritta (moto rettilineo) e supponiamo di conoscere istante
per istante la sua velocità e di riportarla in un grafico velocità- tempo87.
87
Cfr. U. Amaldi, L’Amaldi. Introduzione alla fisica, Bologna, Zanichelli Editore, 2004, p C25.
45
Come già fatto in precedenza, al fine di effettuare alcune semplici valutazioni
numeriche, nella seguente tabella sono riportate le coordinate di alcuni punti
del grafico:
t (in s)
0
4
7
10
14
17
20
v (in m/s)
0
18
28
33
33
27
22
Osservando l’andamento del grafico velocità-tempo, possiamo osservare
alcune caratteristiche qualitative del moto.
• I tratti più ripidi sono quelli in cui l’accelerazione media è maggiore.
Per esempio nell’intervallo di tre secondi tra t = 4s e t = 7s la velocità
46
dell’automobile cresce di 10 m/s; questo aumento di velocità è
maggiore di quello (pari a 5 m/s) che avviene in un intervallo di tempo
uguale tra t = 7s e t = 10s.
• Nei tratti orizzontali la velocità è costante e, quindi, l’accelerazione è
nulla. Per esempio tra t = 10s e t = 14s la velocità della macchina non
cambia.
• Nei tratti inclinati verso il basso la velocità diminuisce e, quindi,
l’accelerazione è negativa. Per esempio tra t = 14s e t = 20s l’auto
rallenta.
1.8.6 Il moto uniformemente accelerato
Se studiassimo il moto di una mela che cade da un albero e riprendessimo la
caduta con una videocamera che scatta diverse foto del moto a intervalli di
tempo ravvicinati, otterremmo un moto vario del tutto particolare.
Potremmo per esempio calcolare le velocità medie su intervalli di tempo di
un secondo e rappresentare questi dati su un grafico velocità-tempo,
ottenendo una retta come quella rappresentata nel grafico sottostante88:
Il grafico ci dice che la velocità della mela aumenta con il passare del tempo e
che, visto che la pendenza della retta è costante, l’accelerazione è sempre la
88
Cfr. U. Amaldi, L’Amaldi. Introduzione alla fisica, Bologna, Zanichelli Editore, 2004, pp. C25-C26.
47
stessa. Il movimento di un corpo che si sposta lungo una retta con
accelerazione costante è detto moto rettilineo uniformemente accelerato. In
un moto di questo genere la velocità varia di quantità uguali in intervalli di
tempo uguali. La legge oraria del moto uniformemente accelerato è:
ଵ
‫ݏ = ݏ‬଴ + ‫ݒ‬଴ ‫ ݐ‬+ ܽ‫ ݐ‬ଶ
ଶ
con ‫ = ݏ‬posizione all’istante t, ‫ݏ‬଴ = posizione iniziale, ‫ݒ‬଴ = velocità iniziale,
ܽ = accelerazione, ‫ = ݐ‬istante generico di tempo.
Questa legge, nel caso di moto che parta da fermo (‫ݒ‬଴ = 0), esprime la
proporzionalità tra lo spazio percorso rispetto alla posizione iniziale ‫ݏ‬଴ e il
quadrato del tempo impiegato a percorrerlo.
1.8.7 La caduta dei corpi
Aristotele riteneva che un oggetto pesante in caduta libera arrivasse al
suolo, per effetto del proprio peso, più rapidamente di uno leggero lasciato
cadere dalla stessa altezza, basandosi sul presupposto che ogni deduzione
logica dovesse attenersi a ciò che l'esperienza quotidiana mostrava
all'osservatore attento.
Al contrario, Galileo Galilei era dell'opinione che tutti i corpi, pesanti o
leggeri,
dovessero impiegare
spiegando le
lo stesso tempo per arrivare
al
suolo,
differenze riscontrate sui tempi di caduta con l'azione di
disturbo esercitata sul moto dell'oggetto dall’attrito dell’aria.
Egli cercò quindi, attraverso prove sperimentali e ragionamenti speculativi, di
dimostrare la fondatezza della sua teoria. Il moto di caduta libera era, però,
troppo rapido per poterne osservare i particolari con le strumentazioni allora
disponibili, perciò Galileo ricorse all'artificio di diminuire la velocità di caduta
di una sfera facendola rotolare lungo un piano inclinato e usando un orologio
48
ad acqua89 per misurare i tempi impiegati a percorrere spazi di lunghezza
diversa. Galileo descrive in maniera dettagliata questo esperimento nei
Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze:
“In un regolo, o vogliàn dir corrente, di legno, lungo circa 12 braccia, e
largo per un verso mezo bracio e per l'altro 3 dita, si era in questa minor
larghezza incavato un canaletto, poco più largo d'un dito; tiratolo
drittissimo, e, per averlo ben pulito e liscio, incollatovi dentro una carta
pecora zannata e lustrata al possibile, si faceva in esso scendere una
palla di bronzo durissimo, ben rotondata e pulita; costituito che si era il
detto regolo pendente, elevando sopra il piano orizzontale una delle sue
estremità un braccio o due ad arbitrio, si lasciava (come dico) scendere
per il detto canale la palla, notando, nel modo che appresso dirò, il
tempo che consumava nello scorrerlo tutto, replicando il medesimo atto
molte volte per assicurarsi bene della quantità del tempo, nel quale non
si trovava mai differenza né anco della decima parte d'una battuta di
polso. Fatta e stabilita precisamente tale operazione, facemmo scender
la medesima palla solamente per la quarta parte della lunghezza di esso
canale; e misurato il tempo della sua scesa, si trovava sempre
puntualissimamente esser la metà dell'altro: e facendo poi l'esperienze
di altre parti, esaminando ora il tempo di tutta la lunghezza col tempo
della metà, o con quello delli duo terzi o de i 3/4, o in conclusione con
qualunque altra divisione, per esperienze ben cento volte replicate
sempre s'incontrava, gli spazii passati esser tra di loro come i quadrati e
i tempi, e questo in tutte le inclinazioni del piano, cioè del canale nel
quale si faceva scender la palla; dove osservammo ancora, i tempi delle
scese per diverse inclinazioni mantener esquisitamente tra di loro quella
89
Si tratta di un secchio d’acqua, inizialmente pieno, con un foro sul fondo. Nell’istante in cui si
lascia andare la sfera, si apre il foro lasciando libera l’acqua di defluire dal secchio. Se si assume che
la velocità di deflusso dell’acqua a foro aperto sia costante, allora la quantità di acqua defluita misura
il tempo trascorso t, e l’esperimento permette di studiare come varia il tempo di discesa t in
funzione degli altri parametri (inclinazione del piano e spazio percorso dalla sfera). Cfr.
http://www.padova.infm.it
49
proporzione che più a basso troveremo essergli assegnata e dimostrata
dall'Autore. Quanto poi alla misura del tempo, si teneva una gran
secchia piena d'acqua, attaccata in alto, la quale per un sottil cannellino,
saldatogli nel fondo, versava un sottil filo d'acqua, che s'andava
ricevendo con un piccol bicchiero per tutto 'l tempo che la palla scendeva
nel canale e nelle sue parti: le particelle poi dell'acqua, in tal guisa
raccolte, s'andavano di volta in volta con esattissima bilancia pesando,
dandoci le differenze e proporzioni de i pesi loro le differenze e
proporzioni de i tempi; e questo con tal giustezza, che, come ho detto,
tali operazioni, molte e molte volte replicate, già mai non differivano
d'un notabil momento”90.
Con tale esperimento Galileo scoprì che qualunque fosse l’inclinazione del
piano, la velocità della sfera aumentava in modo costante. Egli pensò, quindi,
che ciò dovesse valere anche nel caso limite di un piano verticale ossia di una
caduta libera.
L’ipotesi di Galileo è stata ulteriormente verificata nei decenni successivi e gli
esperimenti ci dicono che l’accelerazione con cui cadono tutti i corpi che si
trovano in prossimità della superficie della Terra è la stessa. Questa
accelerazione è indicata con il simbolo g, è chiamata accelerazione di gravità
e il suo valore è approssimativamente91 9,8
90
௠
௦మ
.
G. Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, 1638, giornata terza.
91
L'effettiva accelerazione che la Terra produce su un corpo in caduta varia al variare del luogo in cui
questa è misurata. Il valore dell'accelerazione aumenta con la latitudine per due ragioni: 1) la
rotazione della Terra, che produce una forza centrifuga che si oppone all'attrazione gravitazionale;
questo effetto da solo fa sì che l'accelerazione di gravità sia 9,823 m/s² ai poli e 9,789 m/s²
all'equatore; 2) lo schiacciamento della Terra ai poli, che allontana ulteriormente dal centro della
Terra ogni corpo che si trova alle basse latitudini facendo sì che la forza di gravità che agisce su di
esso sia leggermente inferiore, dato che la forza di attrazione è inversamente proporzionale al
quadrato della distanza tra i baricentri del corpo considerato e della Terra. La combinazione di questi
due effetti rende il valore di g misurato ai poli circa lo 0,5% più grande di quello misurato
all'equatore. (Cfr. www.wikipedia.org).
50
Dunque, sulla Terra, un oggetto che cade aumenta, ogni secondo, la sua
velocità di quasi 10 m/s (cioè quasi 36 km/h).
51
52
Capitolo 2
Progettazione del percorso didattico
53
54
2.1 Il contesto
La scuola primaria in cui ho svolto il percorso didattico sul moto fa parte
dell’Istituto Comprensivo Montagnola-Gramsci situato nel Quartiere 4, a
Firenze. Si tratta di una scuola e di una classe in cui svolgo la mia attività di
educatrice da diversi anni, per cui conosco molto bene sia i bambini che le
insegnanti della classe. Questo mi ha aiutato molto nell’ideazione e nella
preparazione del progetto didattico. Quando ho annunciato alla maestra
dell’area logico-matematica il mio desiderio di provare a seguire questo
percorso, lei si è dimostrata subito molto entusiasta e si è resa disponibile ad
aiutarmi e sostenermi. La classe, una IV elementare, è composta da 19
bambini. Il percorso proposto era in accordo con il POF dell’Istituto
Comprensivo e rientrava nei contenuti che la maestra aveva deciso di
affrontare durante l’anno anche se in maniera non così dettagliata e analitica.
Il percorso didattico metteva, poi, in campo strumenti e concetti matematici
che la maestra stava affrontando con i bambini nel suo programma didattico
(tabelle, leggi matematiche, grafici) e questo ha permesso l’integrazione
parziale di conoscenze già possedute.
2.2 Organizzazione di spazi e tempi
Per quanto riguarda gli spazi ho ritenuto importante, tranne in
un’occasione92, che i bambini facessero le esperienze e svolgessero le attività
all’interno della loro classe perché mi premeva che capissero che per fare
alcuni tipi di esperimenti non è necessario un luogo “speciale”, che anche la
classe può diventare un laboratorio, magari con qualche piccolo
accorgimento, trasformandola in base alle necessità: spostare i banchi, fare
92
Durante uno degli incontri ci siamo dovuti spostare in un’altra aula, adiacente a quella dei
bambini, perché in essa vi era un tavolo con una superficie molto liscia, condizione necessaria per
svolgere bene l’esperimento.
55
spazio se necessario, disporsi in cerchio per vedere meglio, disporre e
utilizzare con attenzione gli strumenti necessari portati per l’occasione.
Per i tempi mi sono sempre preparata molto bene a casa: l’attività era
fortemente strutturata e prevista in ogni dettaglio metodologico e
contenutistico. È stato fondamentale provare molte volte gli strumenti e le
esperienze che volevo proporre, per essere certa che i tempi calcolati fossero
sufficienti per l’incontro. In classe, infatti, e questo è il bello della scuola, i
tempi si amplificano, le spiegazioni si allungano, le domande si moltiplicano. È
importante che l’insegnante abbia una buona tenuta, sappia moderare e
dirigere l’attività verso l’obiettivo previsto e ricondurre i bambini al percorso
quando essi tendono a divagare, allontanandosi troppo dai contenuti da
affrontare. Nonostante un’accurata preparazione degli incontri, in ogni
attività accadeva sempre qualcosa di imprevisto: il cronometro che
improvvisamente smetteva di funzionare, il piano inclinato troppo lungo per
maneggiarlo con scioltezza e trovargli una sistemazione adeguata, il barattolo
di colore che si rovesciava per terra... Ma anche queste cose hanno reso tutto
il percorso vitale, giocoso, dinamico perché ogni volta abbiamo cercato e
trovato insieme una soluzione per poter procedere. E, credo, che tutto ciò
faccia parte dell’insegnamento, del lavoro con i bambini e della costruzione
del
sapere
condiviso.
Al
di
là
dell’ingegneria
pedagogica
legata
all’articolazione in traguardi, obiettivi di apprendimento, attività, strumenti,
prove di verifica, bisogna lasciare spazio all’imprevisto e all’imprevedibile,
essere pronti a ripensare questo o quell’itinerario formativo qualora dovesse
rivelarsi poco funzionale al raggiungimento degli obiettivi stabiliti.93
Gli incontri sono stati complessivamente sette, della durata di due ore
ciascuno.
93
Cfr. D. Capperucci, C. Cartei, Curricolo e intercultura, Milano, franco Angeli Editore, 2010, p. 34.
56
2.3 Obiettivi
Obiettivi generali di apprendimento
• leggere, scrivere, confrontare numeri decimali;
• rappresentare relazioni e dati e utilizzare le rappresentazioni per
ricavare informazioni;
• usare la nozione di media aritmetica;
• rappresentare relazioni e dati con tabelle e schemi;
• conoscere le principali unità di misura per lunghezze e tempi;
• argomentare sui criteri utilizzati per realizzare classificazioni e
ordinamenti;
• osservare, descrivere, definire;
• operare relazioni.
Obiettivi specifici
• formulare ipotesi e verificare ;
• familiarizzare con il linguaggio specifico;
• acquisire esperienza diretta sul concetto di moto, di forza, di attrito,
compiendo esperienze percettive di esplorazione su oggetti e
nell’ambiente, utilizzando anche strumenti semplici;
• usare i sensi per osservare i fenomeni;
• raccogliere e registrare dati;
• osservare e sperimentare sul campo.
Obiettivi trasversali
• matematica: utilizzare formule, tabelle e dati numerici;
• italiano: utilizzare un lessico specifico per trattare gli argomenti e per
descrivere idee e concetti;
57
• storia: inquadrare storicamente due personaggi che hanno influito
nelle conoscenze sul moto.
2.4 Scelta dei contenuti
Tutto il percorso didattico si è incentrato su esperimenti che avevano come
obiettivo quello di condividere e sperimentare con i bambini l’esattezza delle
intuizioni e delle argomentazioni di Galileo sul moto (primo principio della
dinamica, moto uniformemente accelerato e caduta dei gravi), che
contraddicono i fondamenti della fisica di Aristotele e che spesso appaiono
contrari anche quello che l’esperienza quotidiana sembra mostrare.
• Trattandosi di esperienze sul moto, nel primo incontro ho ritenuto
importante introdurre il concetto di quiete, di moto e le grandezze
che lo descrivono.
• Nel secondo incontro i bambini hanno fatto esperienze dirette sul
moto di oggetti e dal confronto di spazi e tempi, è stato introdotto il
concetto di velocità.
• Per arrivare a spiegare il primo principio della dinamica è stato
necessario introdurre il concetto di forza, che innesca il moto di un
corpo, e quello di attrito, la forza che si esercita tra due superfici a
contatto opponendosi al loro moto relativo.
• Nel quarto incontro, per sperimentare il moto di un oggetto in assenza
(sia pure non completa) di attrito, i bambini hanno fatto un’esperienza
con un dischetto d’alluminio che si muove su una superficie liscia,
sopra un cuscinetto d’aria.
58
• Per arrivare a definire il moto dei gravi in caduta libera (che in assenza
di attrito dell’aria, come aveva enunciato Galileo, cadono a terra
contemporaneamente), è stato opportuno introdurre il concetto di
resistenza dell’aria e di come essa vari, secondo la forma e le
dimensioni del corpo che cade. Durante questa attività (quinto
incontro) i bambini hanno fatto esperienza della caduta di diversi
oggetti e hanno costruito un paracadute per sperimentare la
resistenza dell’aria.
• Per studiare il moto di caduta dei gravi, Galileo aveva fatto diversi
esperimenti sul piano inclinato arrivando a definire il moto
uniformemente accelerato. Durante il sesto incontro, in classe
abbiamo ripetuto l’esperienza di Galileo con il piano inclinato e
abbiamo fatto considerazioni su relazioni tra spazio e tempo in questo
tipo di moto.
• L’ultimo incontro è stato dedicato alla verifica conclusiva.
Nella tabella seguente ho riassunto le tematiche che sono state trattate nei
vari incontri e le attività che sono state svolte dai bambini in ognuno di essi.
Incontro
Attività
Tempo
previsto
1
2
•
il metodo sperimentale
Il lavoro scientifico
•
concetto di quiete e moto
Il movimento dei corpi
•
stabilire un sistema di riferimento
•
spazio e tempo
•
spazio e tempo in giardino
59
2h
2h
Il movimento dei corpi
•
Il moto rettilineo uniforme
La velocità
•
il moto vario
•
la velocità media
•
riflessioni sul concetto di forza
•
la forza che innesca il moto
•
l’attrito
•
effetti che la forza produce sul
3
Le forze
4
Le forze
5
2h
2h
moto di un corpo
•
il moto in assenza di attrito
•
ipotesi sulla gravità terrestre
La gravità
•
esperienze sull’attrito dell’aria
La resistenza dell’aria
•
costruzione di un paracadute
2h
2h
6
Il moto uniformemente
•
accelerato
l’esperienza di Galileo col piano
inclinato
2h
7
Verifica scritta
•
Verifica
2.5 Strategie e tecniche didattiche
Prima di realizzare ogni esperienza in classe ho presentato ai bambini il
fenomeno che avremmo trattato, ho avviato una discussione per verificare le
conoscenze possedute al riguardo, ho cercato di costruire insieme a loro dei
significati condivisi e alla fine di ogni esperienza c’è stato un momento di
sintesi per concettualizzare le cose di cui avevamo parlato e fatto esperienza.
Ad ogni incontro mi sono concessa anche un po’ di tempo per riallacciare i
contenuti trattati la volta precedente in modo da creare un percorso logico di
costruzione concettuale. Ho sempre cercato di dare molta importanza alla
dimensione partecipativa nella costruzione della conoscenza. “Nella tecnica
che si decide di adottare sta gran parte del messaggio che quella determinata
attività può trasmettere. Un’attività, […] contiene sicuramente almeno due
messaggi: il primo sta nel contenuto che propone, nel tipo di impegno fisico e
60
mentale che sollecita; il secondo sta nelle modalità dell’offerta, nella tecnica
di approccio, che ne possono cambiare completamente la fruibilità e la
godibilità, ma possono giungere a cambiarne, a stravolgerne persino il valore
e il significato”94. Credo che sia molto importante variare le modalità di
presentazione della conoscenza da acquisire, utilizzare una varietà di
strategie che permetta di raggiungere il numero più alto possibile di bambini
e che dia la possibilità a tutti gli alunni di partecipare, in un modo o nell’altro.
Elenco qui di seguito le strategie didattiche che ho utilizzato durante la
realizzazione del percorso:
•
brainstorming: utile per conoscere i prerequisiti dei bambini e
costruire attraverso l’unione di varie idee, un’idea più completa ed esatta
riguardo un determinato argomento; è importante utilizzarlo in vari momenti
dell’attività senza paura di “perdere tempo “, cercando di non troncare le
domande primitive e le ipotesi strampalate e di non “ignorare pudicamente
le prime rappresentazioni del fanciullo, necessariamente infondate, ma
quadri di riferimento sui quali il bambino stesso si appoggia per elaborare la
sua immagine della realtà“95;
•
strategie basate sulla scoperta: questa strategia facilita, grazie
all’attivazione e alla valorizzazione delle risorse dei soggetti, un processo di
apprendimento centrato sullo sviluppo di nuove capacità individuali e
collettive; il bambino ha un ruolo attivo e deve pianificare percorsi di ricerca;
l’insegnante stimola interrogativi, dubbi, predispone percorsi di indagine;
•
lezione a carattere dialogico: anziché proporre una lezione frontale o
leggere libri di testo sull’argomento ho preferito porre domande ai ragazzi
per stimolare interrogativi, ipotesi e confronto su alcuni temi, cercando,
94
P. Borin, A scuola con difficoltà. I punti critici della relazione educativa, Roma, Carocci Editore,
2006, p. 88.
95
A. Giordan, Una didattica per le scienze sperimentali, Roma, Armando Editore, 1981, p. 29.
61
attraverso le discussioni di gruppo, di sollevare dubbi e di accompagnare,
senza dirigere, i ragionamenti e i percorsi di ricerca intrapresi dai bambini.
Idee differenti creano vivacità e dinamicità e permettono di lavorare sui
contrasti, sulla competizione e sulla complementarietà delle stesse. Si crea
così un ambiente ricco ed utile per sviluppare le idee emerse in forme nuove
e più raffinate. Il ragionamento che si attiva in una discussione, poi,
contribuisce alla comprensione reciproca, cioè impegna ogni partecipante nel
tentativo di accogliere il punto di vista dell’altro e questi sforzi convergono in
una comprensione collettiva: il risultato di una discussione è patrimonio e
prodotto di un intero gruppo96. Spesso ho anche chiesto ai bambini di
ipotizzare soluzioni di fronte ad un quesito o ad una esperienza da fare,
utilizzando le informazioni ricavate dalle osservazioni e dalla discussione
avvenuta;
•
manipolazione di oggetti e costruzione: i bambini hanno avuto modo
non solo di osservare alcuni fenomeni, ma anche di manipolare e utilizzare
tutti gli strumenti che ogni volta ho portato con me e hanno potuto osservare
e sperimentare gli effetti prodotti dal loro utilizzo. Se le risposte a
determinati interrogativi sono presentate come un’evidenza implicita, come
una verità trasmessa dall’insegnante, i bambini non le assimilano affatto. Le
informazioni devono passare attraverso i sensi, il corpo e le esperienze
concrete piuttosto che attraverso la spiegazione. In questo modo vengono
interiorizzate e si fissano a lungo nella mente, consentendo poi in un secondo
momento di compiere astrazioni. Le più convincenti affermazioni, forse, sono
quelle che dimostrano che un’idea è falsa. Solo così l’alunno impara a
rimettere in discussione la sua opinione immediata e soprattutto a
giustificare oggettivamente il cambiamento. Per esempio, durante il quinto
96
Cfr. S. Cacciamani, L. Giannandrea, La classe come comunità di apprendimento, Roma, Carocci
Editore, 2004, p. 31.
62
incontro, i bambini hanno costruito un paracadute. Nel lavoro manuale sono
coinvolti corpo e mente. Perché il bambino apprenda, proprio i sensi e il
corpo devono essere coinvolti in tale processo;
•
cooperative learning: il lavoro di gruppo è stato utilizzato per compiere
tutte le osservazioni sui vari fenomeni, anche attraverso brainstorming, per la
costruzione di tabelle, cartelloni e per la rielaborazione delle idee discusse
insieme. I bambini che stanno imparando, sono delle risorse: le conoscenze
individuali
attivano
processi
di
apprendimento
di
gruppo
per
il
raggiungimento di obiettivi comuni, la relazione tra i membri è indispensabile
per conseguire il risultato. Attraverso il confronto, la collaborazione, le
controversie si rielaborano e si aggiustano le esperienze vissute e gli
argomenti trattati, attivando processi di riadattamento delle informazioni
apprese. Anche per la realizzazione del paracadute i bambini si sono aiutati a
vicenda e hanno collaborato per portare a termine il lavoro: chi aveva finito il
proprio, si alzava ed era libero di andare ad aiutare chi ancora non aveva
terminato;
•
storia “aneddotica”97: per stimolare la curiosità e l’attenzione dei
bambini verso gli esperimenti che abbiamo realizzato insieme in classe,
spesso, ho introdotto o accompagnato gli incontri con racconti sulla vita di
Galileo, alcuni dei quali forse leggende, e sui suoi esperimenti;
•
verifica individuale: alla fine del percorso, per poter valutare le
conoscenze apprese dai bambini, ho preparato un questionario con domande
aperte e chiuse e un cruciverba riguardante il moto.
97
Come dice D’Amore, la storia aneddotica affascina i bambini e ha una funzione non banale: gli
scienziati, che dedicano la loro vita a qualche cosa che per i più è misterioso, sono esseri umani che
hanno una storia personale e il raccontarla li rende meno estranei agli studenti, creando un fascino
curioso attorno ad essi. (Cfr. B. D’amore, Didattica della matematica, Bologna, Pitagora Editrice,
2001, p. 8).
63
2.6 Strumenti e materiali
Elenco qui di seguito i materiale che ho utilizzato per il progetto:
Fogli grandi per cartelloni
Pennarelli e matite
Lavagna
Palla
Nastro di carta
Cronometro
Biglie
Tempera ad acqua
Dischetto in alluminio con palloncino gonfiabile per lo studio del moto
in assenza attrito
Scivolo di legno
Polistirolo
Carta vetrata
Cartoncino bristol
Panno
Metro
Dischetti di plastica
Pallina morbida di gommapiuma
Buste di nylon
Spago
Mollette di legno
Pasta da modellare
Piano inclinato
Sfere di metallo
Bottigliette d’acqua
64
Macchina fotografica
Schede precompilate
2.7 Valutazione
Qualsiasi percorso progettuale deve fare i conti con la valutazione dei
processi attivati e dei risultati conseguiti. “La valutazione non va concepita
soltanto come un momento finale ma deve essere vista come una misura di
monitoraggio dell’andamento complessivo del progetto, dall’inizio alla fine, in
vista del raggiungimento di obiettivi precedentemente determinati”98.
Durante il mio percorso didattico ho cercato inizialmente di valutare, con
quesiti o brainstorming, le preconoscenze dei bambini riguardo agli
argomenti di volta in volta analizzati. Ad ogni incontro, poi, ho verificato le
conoscenze apprese tramite domande e quesiti che avevano anche lo scopo
di far sedimentare i contenuti trattati e che hanno rappresentato un
collegamento tra un’attività e l’altra. Le discussioni aperte e il dialogo con i
bambini mi hanno permesso di rivedere, ripensare o riadattare certi
contenuti che ho trattato calibrandoli su di loro, sui loro dubbi e sulle loro
acquisizioni. La verifica finale mi ha permesso di valutare il raggiungimento
degli obiettivi.
98
D. Capperucci, Dalla programmazione educativa e didattica alla progettazione curricolare, Milano,
Franco Angeli Editore, 2008, p. 80
65
66
Capitolo 3
Il progetto passo per passo
67
68
3.1 Il problema del linguaggio
Trattando argomenti scientifici in classe, si pone il problema del linguaggio.
Ogni disciplina scientifica ha un proprio linguaggio tecnico e specialistico, un
“codice semiologico proprio”. Per quanto riguarda la fisica c’è anche un uso
di scritture specifiche (linguaggio matematico), di espressioni simboliche,
come le formule. Tutto questo produce un grande risultato di concisione e di
precisione, ma la “densità” dell’informazione che ne risulta è notevole. Sia il
codice specifico verbale che quello scritto sono inseriti in frasi che, per il
resto, appartengono alla lingua comune. E qui ci troviamo di fonte al
“paradosso del linguaggio specifico”, per dirla con D’Amore: da una parte
l’insegnamento è comunicazione e uno dei suoi scopi è favorire
l’apprendimento degli allievi (per prima cosa, allora, chi comunica deve far sì
che il linguaggio utilizzato non sia esso stesso fonte di ostacoli alla
comprensione), dall’altra la fisica e le scienze hanno un loro linguaggio
specifico e uno degli obiettivi di chi la insegna è quello di aiutare gli allievi a
far proprio quel linguaggio specialistico99. È vero che non possiamo
appesantire i bambini pretendendo l’immediato utilizzo di tale linguaggio, del
quale forse non capiscono affatto il significato (e quindi, magari, lo utilizzano
a discapito del senso), ma è vero anche che forse possiamo avvicinarli ai
nuovi termini e ai concetti ai quali essi rimandano a piccoli passi, cercando di
spiegare con il linguaggio comune le parole nuove proprie di una determinata
scienza anche se i bambini, all’inizio, durano fatica a comprenderle. Una volta
che l’insegnante è sicuro che il significato profondo sia stato compreso e che
il senso al quale rimanda quella parola non sfugga, può utilizzare, durante le
attività in classe, il linguaggio tecnico in modo che gli allievi si abituino a
correlare quella specificità con gli aspetti concettuali generali delle
conoscenze scientifiche oggetto di insegnamento. Credo che tutto questo
99
Cfr. B. D’Amore, Didattica della matematica, Bologna, Pitagora Editrice, 2001, p. 94.
69
debba essere fatto fin dalla scuola primaria. Durante il mio percorso didattico
ho cercato di utilizzare il più possibile i termini tecnici e specifici e mi sono
resa conto che, in itinere, i bambini hanno cominciato a correlare i termini ai
concetti ai quali essi rimandano: quando facevo domande e aprivo discussioni
sulle tematiche trattate, essi comprendevano appieno ciò che chiedevo. La
difficoltà maggiore era quella di riuscire a utilizzare tale linguaggio per
esprimersi, per verbalizzare un concetto. Il ricorso a termini tecnici o a
formule matematiche è tutt’altro che semplice e spontaneo e la tentazione di
ricorrere al linguaggio comune o a esempi concreti, piuttosto che
all’astrazione, ha caratterizzato un po’ tutti gli incontri. Tale difficoltà è
risultata evidente anche nella verifica finale nella quale è stato chiaro che le
domande chiuse, in cui non è necessario definire i concetti ma è sufficiente
riconoscerli, sono state svolte in modo più corretto. Le domande aperte che
richiedevano, invece, una costruzione sintattica e lessicale ad hoc, hanno
creato maggiori difficoltà e, anche se si capisce che i bambini hanno
compreso i concetti, essi hanno avuto difficoltà a rappresentare verbalmente
la propria conoscenza. Credo, però, che questo faccia parte del percorso. Il
primo obiettivo importante da raggiungere è quello dell’acquisizione dei
concetti, facilitato senza dubbio da una didattica laboratoriale, ma
contemporaneamente un determinato “oggetto di conoscenza” può avere di
mira anche finalità di costruzione di prerequisiti linguistici necessari per il
lavoro scientifico. Infatti il “blocco” espositivo è spesso causato da una
ristretta e limitata possibilità verbale, dalla difficoltà di far uso di una
terminologia propria.
3.2 Prima di partire
Prima di raccontare come si sono svolte le attività con i bambini, vorrei
precisare, per semplificare la comprensione e la lettura del testo, alcuni
70
dettagli di scrittura: ho utilizzato il discorso tra virgolette quando ho riportato
per intero frasi pronunciate da me durante gli incontri in classe, mentre ho
utilizzato il corsivo per indicare frasi e interventi dei bambini.
3.2.1 Incontro 1 - ll metodo sperimentale; introduzione alla meccanica
Il primo incontro è iniziato con una breve introduzione ai bambini sui motivi
della mia presenza nella loro classe, con un abito professionale diverso da
quello con cui erano soliti vedermi. Ho spiegato che oltre a fare il lavoro per il
quale mi conoscono, io frequento l’università per poter un giorno diventare
una maestra brava come le loro. Ho raccontato che alla fine del percorso
universitario è necessario realizzare un lavoro scritto piuttosto articolato su
un tema scelto insieme ad un professore che ci sostiene e ci aiuta, e che io
avevo proposto di fare il mio lavoro nella loro classe, proprio con loro. I
bambini si sono mostrati molto soddisfatti e onorati e si sono dichiarati
disposti ad aiutarmi. Ho spiegato che le attività che avevo in mente di fare
riguardavano la scienza, anzi una scienza in particolare, ma che glielo avrei
svelato in seguito.
L’obiettivo del primo incontro, infatti, era quello di
sondare le competenze che i bambini avevano riguardo alla conoscenza
scientifica e introdurre l’argomento del moto, delle sue caratteristiche e della
sua descrizione. Mi hanno risposto che la scienza guarda il mondo che è
intorno a noi e insieme siamo arrivati a dire che osserva e scopre dei
fenomeni. Ho chiesto ai bambini di dirmi il nome di alcune scienze che
conoscevano e sono venuti fuori i seguenti nomi che ho trascritto alla
lavagna:
-
geologia
-
meteorologia
-
biologia
71
-
geografia
-
chimica
-
botanica
-
etologia
-
antropologia
-
archeologia
-
paleontologia
-
astronomia
-
meteorologia
-
fisica
-
astrofisica
Dunque, compariva anche la fisica. Un passo avanti. Ho detto loro che per
fare il lavoro che ci stavamo accingendo a fare insieme, avremmo dovuto
sentirci tutti un po’ scienziati. E, per entrare meglio nella parte, ho distribuito
dei cartoncini segnaposto colorati sui quali loro hanno scritto il nome “da
scienziato” con il quale hanno deciso di partecipare al lavoro. Nel nuovo
habitus ci siamo addentrati nel metodo che la scienza utilizza per le proprie
indagini. Era un argomento che i bambini avevano già trattato in altre
occasioni con l’insegnante di classe.
“Come funziona questo metodo? Ne sapete qualcosa?”
Gli scienziati si fanno delle domande.
Fanno degli esperimenti, cioè fanno delle prove.
Alla fine delle prove se nessuno l’ha già fatta possono fare la legge scientifica.
Lo scienziato non si arrende e riparte fino ad ottenere il risultato di cui è
soddisfatto.
72
“Bene. Quindi gli scienziati osservano dei fenomeni, si fanno delle domande e
fanno delle ipotesi che devono essere
verificate”. E insieme abbiamo
tracciato alla lavagna l’iter che uno scienziato segue durante le sue indagini
sulla natura e sui suoi fenomeni.
Poi sono passata a parlare loro della fisica dicendo che essa, al suo interno,
ha molti ambiti di ricerca. Ne abbiamo elencati alcuni alla lavagna.
La fisica studia le cose che si muovono.
“Bene. Questo ambito della fisica si chiama meccanica. Esso studia il
movimento e l’equilibrio dei corpi. Un altro ambito della fisica che voi
bambini conoscete bene è la termologia. Studia i fenomeni legati alla
temperatura e al calore. Un altro campo della fisica è l’acustica. Cosa studia?”
Il rumore.
73
“Forse è meglio dire che studia il suono, le onde sonore, come esse si
propagano“.
Queste onde si propagano attraverso l’aria.
“Bravo. È proprio così. Un altro ambito di ricerca è l’ottica”
Sì, io lo so, studia l’occhio, la vista.
“Più che altro studia le lenti, i fenomeni della luce. Poi c’è il campo
dell’elettromagnetismo. Vi dice qualcosa?”
Sì, elettricità e magnete. Un magnete è una calamita.
Ho detto ai bambini che di molti fenomeni fisici facciamo esperienza ogni
giorno, anche senza saperlo o rendercene conto. Ho proposto loro degli
esempi che essi hanno inserito nei diversi ambiti di studio. “Quando facciamo
bollire l’acqua per fare la pasta, ci stiamo muovendo nell’ambito…?”
In coro:… della termologia.
“Quando rompiamo una noce con lo schiaccianoci o tiriamo un calcio al
pallone…”
Siamo nel campo della meccanica.
“Quando telefoniamo o accendiamo la lavatrice… “
In coro: elettromagnetismo
“Quando ci facciamo fare delle lenti per gli occhiali…”
Ottica.
“Quando ascoltiamo qualcuno che parla…”
Acustica.
74
Ho detto ai bambini che noi ci saremmo concentrati sulla meccanica, che
studia l’equilibrio e il movimento dei corpi.
Ho affrontato il discorso sullo stretto rapporto che c’è tra le scoperte
scientifiche e le invenzioni tecnologiche che sono state possibili grazie ad
esse. Di come, per esempio, l’invenzione della televisione sia stata resa
possibile perché i fisici hanno scoperto gli elettroni (che formano l’immagine
sullo schermo) e le onde elettromagnetiche (che trasportano i segnali
televisivi); e di come nella vita di tutti i giorni vengono utilizzate le scoperte
scientifiche fatte dagli scienziati di tutti i settori.
Poi sono passata ad affrontare l’argomento focale dell’incontro, ossia il moto
dei corpi. Ho scritto su un grande foglio di carta appeso alla lavagna la
seguente domanda: “che cosa significa che un corpo è in movimento (o in
moto)?”, ho distribuito un foglio bianco ad ogni bambino e ho chiesto di
provare a rispondere alla domanda come potevano, con le conoscenze che
avevano.
Primi commenti: sembra una domanda facile ma quando uno si trova a
doverlo spiegare a parole è difficile. Il mio obiettivo era duplice: da una parte
volevo evidenziare le conoscenze pregresse sull’argomento (anche dal punto
di vista lessicale), dall’altra volevo fornire un momento di riflessione
personale che permettesse ai bambini di elaborare e confrontare con i
compagni le proprie concezioni sul tema trattato.
Ho raccolto le definizioni date e, insieme, abbiamo deciso di raggruppare
quelle che ci sono sembrate simili o comunque riconducibili ad una stessa
conclusione. Diversi bambini hanno collegato il moto allo spostamento. Altri
al movimento del corpo umano, alcuni alla caduta degli oggetti. Per prima
cosa ci siamo detti che in fisica quando si usa il termine “corpo” ci si riferisce
75
non necessariamente al corpo umano ma anche ad un qualsiasi oggetto, del
quale si possono descrivere certe caratteristiche come il peso100 o il volume e
del quale siamo in grado di determinaree la posizione o la velocità. Subito
dopo ho introdotto i termini fisici appropriati:: se un corpo si muove si dice
che è in moto,, se è fermo si dice che è in quiete (e l’ho scritto alla lavagna
perché è una parola la cui pronuncia non è semplice e può indurre in errore).
Ho chiesto ai bambini se, secondo loro, era facile stabilire se un corpo è in
moto o in quiete (tutti hanno risposto di sì!) e di provare ad immaginare la
seguente scena: “siete in macchina insieme alla vostra mamma che sta
guidando. Vi state muovendo o siete fermi?”.
In molti: ci stiamo muovendo.
In molti: siamo fermi.
100
Ho preferito non introdurre il concetto di massa. In realtà peso e massa sono grandezze
sostanzialmente diverse: mentre la massa di un corpo è una sua proprietà intrinseca,, indipendente
dalla sua posizione nello spazio e da ogni altra grandezza fisica, il peso è l'effetto prodotto su tale
massa dalla presenza di un campo gravitazionale.
gravitazionale Ne risulta che la massa di un corpo è costante,
mentre il suo peso varia a seconda del luogo in cui
cu viene misurato
76
Ho risposto che avevano ragione tutti perché in realtà, nell’esempio fatto,
erano in quiete rispetto alla macchina sulla quale si stavano muovendo
mentre erano in moto rispetto alla strada che stavano percorrendo. In questo
modo ho introdotto il concetto del riferimento, necessario per definire lo
stato di un corpo. E per essere sicura che avessero capito tutti ho fatto alzare
cinque bambini ai quali ho chiesto di interpretare un ruolo: uno doveva fare il
semaforo, uno doveva interpretare un bambino fermo accanto al semaforo e
gli altri tre erano una bici, una moto e una macchina.
Al mio via i tre mezzi si sono messi in movimento e abbiamo definito insieme
che essi si stavano muovendo rispetto al bambino fermo al semaforo e che,
invece, il semaforo era rimasto in quiete, sempre rispetto al bambino.
Dopodiché abbiamo concluso che un corpo è in moto se cambia la sua
posizione rispetto a quella di altri corpi cui si fa riferimento, mentre si
definisce in quiete se mantiene costante (sempre la stessa) la sua posizione
nel tempo rispetto ad altri corpi cui si fa riferimento. Dopodiché ho chiesto ai
77
bambini di provare ad elencare alcune caratteristiche del moto che potevano
essere importanti per una sua descrizione.
Che si muove verso là.
La strada che fa.
Dove va.
Quanto ci mette.
Ho chiesto se conoscessero il significato del termine traiettoria:
inaspettatamente, questa parola li ha messi in difficoltà. Le risposte sono
state segnate alla lavagna.
È uno spostamento.
È dove vai.
È quando ti muovi.
Le loro idee erano maggiormente legate all’idea dello spostamento piuttosto
che all’idea di percorso seguito. Una traiettoria che conoscevano bene, ho
spiegato, era la scia lasciata in cielo da un aereo. Dopo diversi tentativi di
definizione abbiamo concluso che la traiettoria è la linea immaginaria che
unisce le posizioni successive che un corpo occupa nel tempo.
“Ci sono delle traiettorie che sono ben visibili, come la scia di un aereo o i
solchi lasciati dagli sci di uno sciatore che si muove sulla neve fresca o la linea
che una bici lascia sulla spiaggia, ma molto spesso la traiettoria di un corpo
non è visibile. Per esempio, se io prendo questa biglia e la lascio scorrere sul
pavimento, sareste in grado di dirmi con precisione la traiettoria che essa
segue?”.
78
Sììì.Basta che la guardi con attenzione.
No, di preciso, no.
Più o meno, ma non precisamente.
Allora abbiamo provato, con un piccolo esperimento a rendere visibile la
traiettoria della biglia. Abbiamo preso una bacinella d’acqua, vi abbiamo
aggiunto del colore rosso, vi abbiamo immerso una biglia e poi l’abbiamo
spinta su un foglio di carta appoggiato sul pavimento. Essa ha lasciato
un’impronta, traiettoria del suo moto.
Abbiamo parlato di traiettorie rettilinee e curvilinee.
“Ma cos’è che ci permette di descrivere il moto in modo completo e
preciso?”. Silenzio.
Prima di trovare la risposta, abbiamo fatto un’attività in classe. Ho chiesto a
due bambini di tracciare sul pavimento, con del nastro di carta, due segmenti
79
paralleli lunghi tre metri e distanti 30 cm l’uno dall’altro in modo da rendere
visibile un “corridoio” nel quale far scorrere una palla. Poi ho chiesto ad altri
quattro bambini di aiutarmi. I primi tre avevano il compito di tirare, a turno,
la palla dando il via al momento del lancio e imprimendo sulla palla una forza
sempre maggiore, il quarto bambino invece doveva cronometrare il tempo
che la palla impiegava a percorrere il corridoio, dal momento del via fino
all’istante in cui essa toccava il muro. Abbiamo chiamato i tre percorsi della
palla Moto 1, Moto 2 e Moto 3. E insieme abbiamo creato una tabella alla
lavagna che metteva in corrispondenza lo spazio percorso nei tre Moti
(sempre lo stesso, ossia tre metri) con il tempo che la palla aveva impiegato
per percorrere tale spazio.
In questo modo ci siamo resi conto che due grandezze cui facciamo
riferimento per descrivere il moto di un corpo sono lo spazio (misurato in
metri, chilometri o centimetri, le unità di misura con le quali i bambini hanno
maggiore dimestichezza) che i corpi percorrono e il tempo (misurato in
secondi, minuti, ore) che essi impiegano per percorrerlo. La misura di queste
due grandezze permette di confrontare i risultati ottenuti.
3.2.2 Incontro 2 - Il concetto di velocità attraverso un’esperienza in cortile
L’obiettivo della seconda attività era quello di approfondire le tematiche
trattate nell’incontro precedente in modo che i bambini prendessero
80
familiarità con i concetti di moto, di spazio, di tempo, di traiettoria e con la
terminologia appropriata per descrivere queste grandezze. Per far compiere
l’esperienza del moto in prima persona, ho proposto ai bambini di andare
fuori nel cortile per fare una corsa lungo un percorso definito (da un muro del
cortile fino al muro opposto e ritorno, ossia 31 metri più 31 metri, misurati
insieme a loro utilizzando un flessometro con portata di 5m). Abbiamo così
osservato che la traiettoria che si accingevano a percorrere era una
traiettoria rettilinea, che avrebbero corso in uno spazio di 62 metri e che per
misurare il tempo era necessario uno strumento, nel nostro caso un
cronometro. Ho chiesto ai bambini che cosa avrebbero fatto per ricordare i
tempi di ognuno.
Dobbiamo fare una tabella, come quella che l’altra volta abbiamo fatto alla
lavagna.
Sì, dobbiamo scrivere i nomi dei bambini e accanto a ogni nome il tempo.
“ E lo spazio non lo segniamo da nessuna parte?”.
Sì, ci scriviamo anche quello, tanto è sempre lo stesso, cioè 62.
“Ma secondo voi potremmo confrontare due tempi diversi se lo spazio non
fosse lo stesso?”
Sì, tanto se uno ci mette meno, ci mette meno.
No, perché uno ci può mettere meno perché il suo spazio è più corto.
Sì, oppure uno ha uno spazio lunghissimo da fare, ci credo che ci mette di più.
“Esatto, per poter confrontare il tempo impiegato dai vari bambini è
necessario che lo spazio percorso sia lo stesso, altrimenti è impossibile fare
una comparazione”.
81
Così, uno alla volta, i bambini hanno corso nel cortile e i tempi impiegati da
ognuno sono stati annotati sulla tabella che avevano costruito.
costruito I bambini si
sono divertiti molto e attraverso un’attività ludica è stato possibile trattare i
primi concetti fisici legati al moto. I bambini hanno assunto ogni volta un
compito diverso: c’era chi correva, chi dava il via, chi cronometrava, chi
registrava sulla tabella. Terminata l’attività è emersa la competizione e i
bambini hanno voluto sapere chi avesse impiegato meno tempo e quindi chi
si fosse classificato per primo.
Questi i risultati ottenuti.
La loro domanda sul primo classificato mi ha permesso, una volta rientrati in
classe, di introdurre il concetto di velocità.
“Allora,
Allora, secondo voi, chi è stato il più veloce?”
F.!
82
Sì, tanto vince sempre lui!
Dopo qualche riflessione siamo arrivati a definire la velocità come la rapidità
con cui un corpo cambia posizione nel tempo rispetto a un punto di
riferimento fisso.
fisso Per definirla, esiste una legge matematica che lega lo
spazio al tempo. Abbiamo parlato della legge oraria del moto rettilineo
uniforme,, cioè la legge che descrive la posizione di un oggetto che si muove
con velocità costante ad ogni istante di tempo, e abbiamo
mo detto che, se un
corpo si muovesse con velocità costante lungo un percorso, il valore della
velocità si calcolerebbe così:
Abbiamo notato che quando lo spazio si misura in metri e il tempo in secondi,
la velocità, data dal rapporto di spazio e tempo, si misura in m/s.
Nel caso della loro corsa, però, si doveva parlare di velocità media, perché
essa cambiava nel tempo, non rimaneva costante per tutto il tragitto.
tragitto
83
A quel punto ho chiesto loro se sapevano qualcosa dell’accelerazione.
Vuol dire andare più veloci.
Vuol dire aumentare la velocità.
Vuol dire arrivare a 300 km/h.
“Ci siamo. L’accelerazione riguarda un cambiamento di velocità in un certo
tempo. E possiamo definire l’accelerazione di un corpo come la rapidità con
cui esso cambia velocità nel tempo. Essa descrive come cambiano la velocità
e il movimento del corpo”. Ho lasciato il discorso un po’ in sospeso perché
sapevo che l’avrei ripreso in un incontro successivo. Prima di concludere
l’incontro abbiamo riparlato tutti insieme di che cosa sia la traiettoria di un
corpo, di quali grandezze occorrano per descrivere il moto di un corpo e di
che cosa si intenda per “sistema di riferimento”. Questo perché credo che sia
necessario riprendere spesso i concetti trattati in modo da far familiarizzare i
bambini sia con il lessico specifico sia con l’astrazione alla quale tali concetti
rimandano.
3.2.3 Incontro 3 - Le forze come causa dei cambiamenti di moto: esperienza
sulle forze d’attrito
Per arrivare a sperimentare, per quanto possibile, il primo principio della
dinamica, è stato necessario introdurre il concetto di forza e quello di attrito.
Visto che gli argomenti collegati all’applicazione delle forze sono impegnativi,
ho cercato di limitare la discussione a pochi aspetti, ben individuati e ben
calibrati su situazioni reali conosciute dai bambini, orientando le scelte
didattiche nella direzione del pensiero convergente101 e analitico e del
101
Guilfort distingue il "pensiero convergente" dal "pensiero divergente". Il pensiero convergente,
che tende ad identificarsi con il pensiero logico, viene attivato nelle situazioni che permettono
un'unica risposta pertinente. Esso, quindi, rimane circoscritto entro i confini del problema e segue le
linee interne al problema stesso, aspettando o utilizzando regole già definite e codificate. Esso è
84
pensiero critico. Dopo aver ripreso velocemente (per evitare l’effetto noia) le
idee viste e analizzate nelle attività precedenti (moto, quiete, traiettoria,
velocità, accelerazione), l’incontro è iniziato con la seguente domanda: “cos’è
che, secondo voi, innesca il moto? Cos’è che fa passare un corpo dallo stato
di quiete allo stato di moto?”
La mente.
Con le mani.
Con il corpo.
Con la spostazione del corpo.
Quando ti muovi, prendi l’astuccio e lo butti per terra.
L’astuccio è in quiete e io lo spingo (e gli dà una spinta sul banco).
“Bene, che cosa è intervenuto”?
Le mani.
Il corpo.
“Ma che cosa ha usato F. per far muovere l’astuccio”?
La forza.
“Bravissimi. Quindi per far passare un corpo dallo stato di quiete allo stato di
moto, occorre una forza. Facciamo un esempio pratico”.
caratterizzato dalla ripetizione del già appreso e attivato nelle vecchie risposte. Il pensiero
divergente, il quale comprende in sé le componenti cognitive e della creatività, è invece attivato
nelle situazioni che permettono più vie di uscita o di sviluppo. Esso pertanto va al di là di ciò che è
contenuto nella situazione di partenza, supera la chiusura dei dati del problema, esplora varie
direzioni e produce qualcosa di nuovo e di diverso.
85
Ho fatto alzare una bambina che si è posizionata di fronte al suo banco vuoto
e le ho chiesto che cosa avrebbe fatto per mettere in moto il banco. Mi ha
detto che avrebbe dovuto usare le mani e spingere.
“Dunque se spingo, esso si muove. Quando esercito una spinta, si dice che
sto applicando una forza e il punto in cui esercito la forza si chiama punto di
applicazione”.
“Di che tipo è, secondo voi, la forza che ha esercitato E.?”
La forza delle mani.
La forza del corpo.
La forza delle molecole.
La forza muscolosa.
La forza dei muscoli.
86
“Esatto, in questo caso si tratta di una forza muscolare che ha messo in moto
il banco. E se E. non avesse esercitato nessuna forza, cosa sarebbe successo al
banco?”
Sarebbe rimasto fermo.
“Bene. Ma esiste solo la forza di tipo muscolare, che poi è quella che usate
quando tirate un calcio al pallone o spingete una biglia? Quali altri tipi di
forze vi vengono in mente?”
L’aria.
La forza del vento.
“Ecco sì, la forza del vento si chiama eolica ed è quella che permette ad una
barca a vela di procedere (gonfiando la vela) grazie, appunto, alla spinta che
le impartisce”.
Quando c’è un foglio di carta per terra e arriva un colpo di vento, il foglio si
muove.
“Sì, infatti anche quella è forza eolica che fa passare il foglio da uno stato di
quiete ad uno stato di moto”.
“Secondo voi il tram che passa qui vicino alla vostra scuola come si muove”?
Con la forza dell’elettricità.
“Sì perché si muove grazie alla forza elettrica. Un altro tipo di forza che forse
conoscete è quella che una calamita esercita sugli oggetti di ferro che le
stanno intorno. Questi, infatti, si muovono verso la calamita, che li attrae”.
Sì, è la forza attraente.
La forza attirante.
87
“No, si chiama forza magnetica”.
“Le forze di cui abbiamo parlato sono di natura diversa ma tutte causano un
cambiamento di velocità, quindi un’accelerazione”.
“In tutti gli esempi che abbiamo fatto ci sono sempre due oggetti che
interagiscono: la persona/cosa che fa forza e la persona/cosa su cui si fa
forza. Quindi possiamo dire che la forza caratterizza un’interazione, cioè una
situazione in cui ci sono sempre due oggetti tra i quali c’è una forza in
azione”.
“Dunque, abbiamo detto che se esercitiamo una forza un corpo inizia a
muoversi. Pensate per un attimo di andare in bicicletta. Che tipo di forza
muove la bici, tra tutte quelle che abbiamo menzionato”?
Le ruote.
La forza dei piedi, perché se non uso i piedi per pedalare la bici non va.
La forza muscolare delle gambe.
“Bravi. E che cosa succede, secondo voi, se smettete di pedalare”?
Ci fermiamo.
Prima rallentiamo e poi ci fermiamo.
Se sei in una discesa, no.
“Bene. Facciamo un altro esempio. Pensiamo ad una pallina da golf lanciata
con la mazza. La pallina si muove, rotola ma ad un certo punto che cosa le
succede”?
In coro: si ferma.
88
“Perché questi corpi, la bici o la pallina da golf, ad un certo punto si
fermano”?
Perché non hanno più energia.
Perché non hanno più il corpo che la spinge.
Perché non hanno più una forza che li aiuta a muoversi.
“Vi do un aiuto: in realtà è intervenuta un’altra forza che li ha fatti rallentare
e infine li ha fermati”.
L’aria.
“Bene, una è l’aria, perché essa oppone resistenza al movimento di un corpo.
La sua resistenza, ad esempio, rallenta un paracadute o un foglio di carta che
si lascia cadere dall’alto. Ma ce n’è un’altra”.
L’ossigeno.
Il terreno.
“Esatto, la forza che oppone resistenza e che agisce nel verso opposto a
quello del moto del corpo e che lo fa rallentare e poi fermare, si chiama…”
Attrito.
“Bravissimo F.”!
“L’attrito è la forza che si esercita tra due corpi quando cercano di muoversi
strusciando l’uno rispetto all’altro. Esempi di attrito si possono trovare ogni
volta che degli oggetti scivolano o rotolano.
Si cerca sempre di ridurre l’attrito nei macchinari, affinché funzionino meglio.
Per esempio un oggetto scivola meglio se c’è uno strato liquido tra le
superfici che si sfregano. Ecco perché si lubrificano le macchine (l’olio, per
89
esempio, funziona da lubrificante). Ma un po’ d’attrito in molte circostanze è
necessario. Senza di esso ad esempio non potremmo camminare bene: è
grazie all’attrito tra le suole delle scarpe e il terreno, che possiamo muoverci
senza difficoltà. Pensate per un secondo di camminare con le stesse scarpe
sul ghiaccio: camminereste altrettanto bene? “
In coro: Noooo.
Non riusciremmo nemmeno a stare in piedi.
Le scarpe scivolerebbero via.
“Infatti. Anche i calzini antiscivolo che spesso si utilizzano in casa servono ad
aumentare l’attrito (grazie ai pezzettini di gomma posti sotto la pianta) che ci
permette di non scivolare o di scivolare meno.
Secondo voi tutti i tipi di superficie hanno lo stesso attrito”?
No, secondo me, no.
Anche secondo me. Secondo me sulle superfici lisce le cose scivolano meglio.
“E il contrario di liscio è…” ?
Ruvido!
“Ecco, le superfici ruvide fanno più attrito di quelle lisce”.
L’erba fa attrito perché si attacca. Però se caschi non ti fai male.
Secondo me il tappeto fa un sacco di attrito. Perché se sopra ci si lancia un
beiblade (un gioco, una specie di trottolina di plastica con la quale i ragazzi
fanno diversi tipi di gare), si ferma subito, molto prima che sul pavimento.
“Se il beiblade lo faceste girare sul banco”?
90
Andrebbe velocissimo.
“E sul ghiaccio”?
EHHHH, ancora più veloce.
“Adesso, cari colleghi scienziati, vorrei fare un esperimento insieme a voi. Ho
portato uno scivolo di legno, sul quale far scorrere questo dischetto nero”
nero (ho
mostrato loro un dischetto di plastica del diametro di 3 cm circa). “Poi ho
portato diversi tipi di superficie
superfici che posizioneremo sotto allo
al scivolo e su
ognuna di esse faremo arrivare il dischetto
dischetto lasciandolo scivolare sempre dallo
stesso punto di partenza,
partenza che ho segnato con il lapis.. A cosa ci può servire,
secondo voi, fare questo esperimento?”.
A vedere dove arriva.
A vedere quando il dischetto si ferma prima.
Vedo che differenza c’è tra scivolare sul cartoncino e sul polistirolo.
polist
91
“Sì, e dopo avere verificato il punto in cui si ferma?”.
Capisco che l’attrito è diverso.
Ho mostrato ai bambini le diverse superfici che avevo portato per fare
l’esperimento: un cartoncino bristol, della carta vetrata, un panno, un asse di
legno, un pezzo di polistirolo; come ultima superficie, avremmo utilizzato la
cattedra. Ho congiunto con un foglio di carta lo scivolo con la superficie posta
sotto di esso in modo da eliminare l’angolo vivo che si creava tra scivolo e
appoggio, per rendere la discesa del dischetto più regolare. Poi ho chiesto ai
bambini di fare delle ipotesi su quali sarebbero state, a loro avviso, le
superfici che avrebbero esercitato un maggiore attrito e quindi su quali
superfici il dischetto si sarebbe fermato prima. Ho ricordato che, da bravi
scienziati, dopo avremmo dovuto verificare le ipotesi pensate. Quasi in
accordo totale la lista è stata la seguente:
-
carta vetrata
-
polistirolo
-
panno
-
asse di legno
-
cartoncino bristol
-
cattedra
Dopodiché siamo partiti con il nostro esperimento. Ho chiamato alla cattedra
tre bambini alla volta e ho dato a ciascuno un piccolo compito: uno doveva
occuparsi di lasciar cadere il dischetto dallo scivolo (su ogni superficie,
abbiamo fatto scendere il dischetto ben otto volte, in modo da poter fare una
media delle distanze percorse fino al punto d’arresto e avere così una stima
più attendibile dell’influenza dell’attrito su ciascuna superficie); il secondo
bambino si è occupato di prendere la distanza in cm dalla fine dello scivolo
92
fino al punto
to in cui il dischetto si fermava; il terzo ha annotato le distanze su
un foglio. E così abbiamo fatto per ogni superficie di arrivo. “Sapete che cos’è
la media aritmetica?”
Sì, ma non lo so dire.
No.
Come no? Non ti ricordi? Quando ci sono due misure, si sommano e poi si
divide per due per trovare un valore che sta nel mezzo.
“Esatto, ma la media si può calcolare anche quando si hanno più di due valori,
anche otto, come nel nostro caso. Viene usata per riassumere con un solo
numero un insieme di valori che riguardano una stessa cosa che abbiamo
misurato più volte”.
93
L’attività è stata dinamica e molto collaborativa, i bambini hanno partecipato
con interesse e attenzione per verificare che le ipotesi da cui eravamo partiti
risultassero esatte.
Per i bambini
mbini è stato importante seguire passo passo ciò che veniva fatto e
detto e una volta giunti alla cattedra per il loro turno di esperimento,
controllavano la verità e l’attendibilità di tutte le cose discusse insieme ad
alta voce. Del resto, avevano partecipato
partecipato alla costruzione di conoscenza e
nell’esperienza da fare potevano riconoscere il proprio contributo e quello
dei compagni.
Le numerose “discese” del dischetto, sulle quali operare la media aritmetica,
hanno permesso a tutti i bambini di partecipare in prima persona e
comunque sono sempre state seguite con attenzione tutte le azioni svolte dai
compagni,
suggerendo
e
collaborando
dell’esperimento.
94
per
la
migliore
riuscita
Una volta eseguito l’esperimento su tutte le superfici, effettuate le misure e
fatta la media aritmetica, i risultati ottenuti sono stati i seguenti:
95
Insieme ai bambini abbiamo osservato e verificato che le ipotesi da loro
pensate erano per lo più giuste, tranne per il polistirolo che, in realtà, ha
mostrato di avere meno attrito del
d previsto.
Subito dopo abbiamo fatto insieme delle considerazioni su quale fosse stata
la superficie che aveva esercitato maggiore attrito e siamo arrivati alla
conclusione che più ruvide e rugose sono le superfici, maggiore risulta
l’attrito che esse esercitano
ercitano e dunque più rapidamente un oggetto che si
muove su di esse, perde la sua velocità.
Mi sono soffermata sul fatto che le distanze ottenute fino al punto d’arresto
sarebbero state diverse se avessimo lasciato cadere un altro oggetto, con
un'altra forma e dimensione, e che ad occhio nudo le superfici a volte
sembrano più o meno lisce di come sono in realtà. Ho tirato fuori
fuori una lente di
ingrandimento e ho chiamato i bambini alla cattedra per vedere “da vicino”
com’era la trama delle superfici sulle quali avevamo lavorato. E anche il
dischetto nero, che ad occhio nudo sembrava perfettamente liscio, in realtà,
aveva una superficie
perficie formata da tanti cerchi concentrici che sicuramente
facevano più attrito, di quello che poteva sembrare a prima vista, con le
superfici di contatto.
96
3.2.4 Incontro 4 - Approfondimenti sulle forze e introduzione alla prima
legge di Newton
In questa attività abbiamo approfondito il concetto di forza, toccando altri
aspetti che non avevamo considerato nel precedente incontro, per arrivare a
definire quale potrebbe essere il moto di un corpo se non intervenissero su di
esso delle forze.
“ Vi ricordate che l’ultima volta abbiamo parlato di ciò che mette in moto un
corpo?”
Sì, la forza dei muscoli.
“Non solo.”
La forza del vento, quella elettrica.
“Sì, e poi altri tipi di forze ancora. Ma proviamo a definire una forza. Cosa
faceva l’altra volta E. per far muovere il banco?”
In coro: lo spingeva
“Bene. Quindi una forza può essere una spinta. Ma come avrebbe potuto
anche farlo muovere?”
Tirandolo.
“Infatti. È una spinta o una trazione che mette un corpo in movimento. E
basta? Può avere solo questi effetti?”
No, lo può anche lanciare.
“Sì, ma anche in quel caso lo mette in moto. Dalla quiete lo porta in uno stato
di moto”.
Può anche fermarlo. Se io stoppo il pallone da calcio.
97
“Ok, bravo L.! Mancano ancora un paio di cose. La forza può anche cambiare
la direzione del movimento di un corpo”.
Sì, come quando il portiere cerca di deviare la palla per non far fare un goal.
O quando l’altro giorno in giardino mentre giocavamo a palla avvelenata, il
vento faceva cambiare la direzione della palla.
“Bravi. Ma una forza può anche cambiare la forma di un corpo. Adesso
facciamo delle prove per vedere insieme tutti gli effetti che una forza può
avere su di esso”.
Ho chiamato a turno dei bambini per verificare, con una pallina di
gommapiuma, le cose di cui avevamo parlato fino a quel momento. Abbiamo
verificato che una forza, mediante una spinta, mette in moto un corpo,
può fermarlo,
98
può far cambiare la direzione del suo moto,
99
può cambiare la sua forma.
“Poi, però, la volta scorsa, abbiamo detto che quando un corpo è in
movimento ad un certo punto si ferma. Perché? Chi è intervenuto?”
L’attrito.
“Bene. E che cosa avevamo detto dell’attrito?”
Che se un corpo si muove su una superficie più liscia, l’attrito è meno.
E che se c’è meno attrito il corpo va più avanti.
“Esatto. Minore è l’attrito, maggiore sarà lo spazio percorso dal corpo prima
che esso si fermi”.
Abbiamo ripensato insieme a quello che avevamo detto circa un corpo che si
muove sul ghiaccio, ossia che esso troverà poco attrito perché la superficie è
molto liscia. A questo proposito, ho parlato loro di un gioco che si trova
spesso al luna-park: si svolge su un tavolo e lo scopo è quello di fare goal
nella rete dell’avversario, che si trova sul lato opposto, spingendo un
dischetto che si muove sulla superficie del tavolo.
100
Ah, sì, quello che scorre sull’aria?
Sull’aria?
Sì, ci sono dei buchini sul tavolo, dai quali esce l’aria e il dischetto si muove
sull’aria.
E il dischetto va velocissimo.
“Sì, proprio quelli. E sapete perché il dischetto scorre così bene?”
Perché sotto c’è l’aria.
“Sì, l’aria sulla quale il dischetto si muove elimina l’attrito che si crea tra il
dischetto e la superficie di appoggio. Se voi immaginate un tavolo di questo
tipo molto molto lungo e pensate di dare una spinta al dischetto, esso si
muoverebbe senza strusciare sul tavolo (venendo cioè frenato soltanto dalla
resistenza dell’aria) e vedreste che continuerebbe il suo moto per molto
tempo, sempre con la stessa velocità”. Ho detto loro che se fosse possibile far
muovere un corpo in totale assenza di attrito, esso si muoverebbe di moto
rettilineo uniforme, cioè su di una retta, mantenendo sempre la stessa
velocità.
Gli occhi erano increduli. E il silenzio parlava chiaro.
Cioè non si fermerebbe?
Mai mai mai?
“No, non si fermerebbe. Basterebbe una piccola spinta per farlo procedere in
avanti sempre con la stessa velocità e non si fermerebbe mai. Facciamo una
prova?”.
Sìììììììììì.
101
E come si fa?
Mica abbiamo il gioco del luna-park…
luna
Ho detto loro che avevo preparato
prepar
una sorpresa. Ci siamo spostati nell’aula
accanto perché in essa si trovava una cattedra senza scalfitture e incisioni,
molto meno danneggiata di quella presente in classe. Ho tirato fuori dalla
borsa gli oggetti che mi servivano per fare l’esperimento
l’esperimento e li ho appoggiati
sulla cattedra.
Ho chiesto a che cosa, secondo loro, potevano servire.
Allora, tu gonfi il palloncino e lo metti nel cilindro.
cilindro
“Sì, e poi?”
Poi, boh…
Intanto toccavano e guardavano tutti i pezzi.
102
Poi fai uscire l’aria.
“Sì, e a che cosa servirebbe questo dischetto di metallo?”
Io lo so. Tu attacchi il palloncino al cilindro e poi alla base rotonda e poi esce
l’aria dal palloncino.
“E da dove esce?”
Ci fai domande troppo difficili.
Un bambino ha alzato il dischetto di metallo e si è accorto che alla base c’era
un piccolo foro dal quale sarebbe potuta uscire l’aria.
Da qui.
Sì, è vero, c’è un buchino.
“E questo per fare cosa?”
103
Per non fare toccare la cattedra.
Per far scorrere il dischetto sull’aria, così come nel giochino del luna-park.
Ho detto loro che erano stati molto bravi ed intuitivi e che avremmo fatto
l’esperimento per vedere come sarebbe stato il moto del dischetto sulla
superficie della cattedra una volta che il dischetto si fosse mosso su un
cuscinetto d’aria invece che appoggiato direttamente sulla superficie. Ho
ribadito che non era possibile farlo in assenza totale di attrito perché
comunque l’aria esercitava resistenza contro il moto del corpo e che per farlo
in maniera perfetta avremmo dovuto farlo nel vuoto, cosa per noi
impossibile. Per prima cosa abbiamo lasciato scorrere il dischetto (senza il
cuscinetto d’aria) sulla superficie della cattedra, imprimendogli delle piccole
spinte. Esso si è mosso a stento e con difficoltà e si è fermato quasi subito.
Poi ho chiesto ai bambini di sistemarsi intorno alla cattedra spiegando che
avrebbero dovuto di nuovo esercitare una piccola spinta sul dischetto quando
si fosse avvicinato, in modo da non farlo cadere dalla cattedra ed aiutarlo a
continuare il suo moto. Poi ho gonfiato il palloncino e sotto gli occhi stupiti di
tutti ho esercitato una piccola spinta e il dischetto ha cominciato a muoversi
lentamente ma con velocità costante, senza fermarsi. I bambini hanno voluto
provare più e più volte, impressionati dalla diversità di conseguenze (il moto
senza impedimenti rispetto a quello difficoltoso e frenato) che una stessa
causa (una piccola spinta) poteva provocare.
104
105
I bambini hanno voluto provare a gonfiare i palloncini per rifare
l’esperimento e ne ho distribuiti alcuni che avevo portato apposta per loro.
L’esperimento è riuscito molto bene e i bambini hanno continuato a mostrare
stupore nel vedere quale potesse essere il moto di un corpo in assenza,
anche se non totale, di attrito e nell’immaginare quel moto all’infinito. Hanno
voluto provare tutti a imprimere delle spinte, diverse volte. Erano contenti e
mi hanno chiesto se avrei fatto provare loro altre cose, se avremmo fatto
insieme altri esperimenti.
3.2.5 Incontro 5 - Il moto accelerato e la caduta dei gravi: costruzione di un
paracadute artigianale
L’obiettivo del quinto incontro era quello di parlare della gravità e della
resistenza dell’aria sulla caduta dei corpi, per arrivare successivamente a
definire il moto dei gravi in caduta libera. L’incontro è iniziato, come sempre,
con una domanda che collegava la conoscenza da acquisire con gli argomenti
affrontati nelle volte precedenti. Ho chiesto ai bambini cosa sarebbe
accaduto ad un oggetto che tenevano in mano, se lo avessero lasciato. Sono
stati tutti concordi nel dire che sarebbe caduto a terra.
“Giusto. Ma allora esso passa dalla quiete (perché lo tenete voi fermo in
mano) al moto (perché per arrivare a terra si muove). E cos’è che, abbiamo
106
detto, fa cambiare lo stato di un corpo? Cos’è che lo fa passare dalla quiete al
moto?”
Un piccolo gruppo: una forza.
“Bene. Quindi vuol dire che è intervenuta una forza. Che tipo di forza
interviene, secondo voi?”
L’aria.
La forza dei muscoli perché lo faccio cascare.
La gravità.
“Sul corpo è intervenuta la forza di attrazione che la Terra esercita su di esso
e si chiama forza peso. Più in generale possiamo dire che la forza peso è la
forza di attrazione esercitata dalla Terra su tutti i corpi che si trovano nelle
sue vicinanze. Vi ricordate che abbiamo detto che la forza caratterizza
l’interazione tra due oggetti? Ecco, la forza-peso caratterizza l’interazione tra
la Terra e gli oggetti che le stanno vicino”.
Sennò anche noi si volerebbe per l’aria.
“Sì, se non ci fosse non saremmo attratti sulla Terra, ben saldi al suolo”.
A questo punto ho disegnato alla lavagna tre cerchi che, ho detto,
rappresentavano la Terra. Ho chiamato una bambina alla lavagna e le ho
chiesto di indicare su di essi la posizione che avrebbero avuto, a suo avviso,
tre bambini che vivevano rispettivamente al Polo Nord, al Polo Sud e
all’equatore. Il disegno fatto ha mostrato che le cose non erano chiare per
tutti.
107
Ho chiesto al resto della classe se fosse d’accordo con il disegno fatto e, molti
non si sono
no espressi, chiaramente confusi;
conf
molti si sono mostrati in
disaccordo perché V. aveva disegnato un bambino con il corpo all’interno
all’inte
della Terra.. Un compagno ha chiesto di poter venire alla lavagna a correggere
quanto fatto. E il disegno che è venuto fuori è quello sottostante. È stata
apportata una modifica soltanto al bambino situato al Polo Sud.
108
“Qualcuno ha qualcosa da aggiungere o da correggere?”.
Solo tre bambini hanno affermato che loro avrebbero disegnato il bambino
all’equatore in un altro modo e si sono alzati per andare alla lavagna a
modificare il disegno.
“Adesso ci siamo. Avete capito tutti? Vi torna?”
Ma se quell’omino al Polo Sud parte e fa il giro?
“Farà il giro del globo terrestre ma sempre con i piedi ancorati al suolo”.
Ma al Polo Nord si trova meglio che al Polo Sud e all’equatore, perché il
sangue non gli va alla testa.
“Lui sta sempre bene, come noi adesso. Sta sempre nello stesso modo, con i
piedi in basso e la testa in alto. Perché noi siamo vincolati, come dicevamo
prima, alla superficie terrestre a meno di non essere sottoposti ad una forza
che ci permetta di sfuggire all’influenza del nostro pianeta”.
109
Infine ho chiamato un altro bambino e gli ho chiesto di disegnare con una
freccia in quale modo sarebbe caduto un sasso (in rosso nel disegno) dalle
mani dei tre bambini. Il primo disegno è stato questo:
Ma in molti hanno chiesto di poterlo correggere e quindi insieme abbiamo
concluso che la direzione della forza peso è sempre una retta che unisce
l’oggetto al centro della Terra e il verso della forza punta al centro della Terra
perché la forza con cui lo attrae è verso di essa.
110
E che quindi la stessa sensazione di stare in piedi, ben saldo al suolo, ce l’ha
chiunque viva nel globo terrestre. Anche chi si trova nell’emisfero opposto al
nostro, quello australe, non ha la sensazione di stare a testa in giù. I suoi piedi
sono appoggiati al suolo, come i nostri.
“E questo perché tutto l’universo è regolato da una forza, che agisce tra tutti i
corpi, detta forza gravitazionale”. Ma allora perché, ci siamo chiesti, non si
vede l’attrazione esercitata da un quaderno o da un essere umano? E insieme
siamo arrivati a dire che la forza di gravità esercitata dalla Terra è molte volte
più grande di quella esercitata da un quaderno o da una persona e pertanto
queste ultime sono assolutamente trascurabili. Il concetto non era semplice
ma, in linea di massima, mi è sembrato che i bambini fossero riusciti a
seguirlo.
Abbiamo quindi deciso di provare ad eseguire un esperimento per descrivere
e cercare di capire ciò che avviene ad un oggetto che cade. Ho fatto alzare un
bambino e gli ho chiesto di lasciar cadere dalla stessa altezza un foglio di
carta e una gomma per cancellare, tenuti rispettivamente nelle mani destra e
sinistra.
“Quale oggetto, secondo voi, cadrà a terra per primo?”.
In coro: la gomma!
“E perché?”.
Perché pesa di più.
“Ok, vediamo”.
J. ha lasciato cadere i due oggetti e, in effetti, la gomma è caduta a terra per
prima.
111
Poi ho preso due fogli, ho chiesto loro se fossero identici e se avessero lo
stesso peso. Tutti hanno risposto affermativamente. Allora ne ho
accartocciato uno e ho chiesto ad un altro bambino di lasciar cadere dalla
stessa altezza i due fogli, uno aperto e l’altro accartocciato.
“E adesso quale cadrà a terra per primo?”.
In coro: quello accartocciatooo.
oo.
“E come mai?”.
Erano tutti concordi nel dire che sarebbe arrivato prima a terra il foglio
accartocciato ma le ragioni di ciò non erano in grado di trovarle.
Qualche timida voce: perché pesa di più.
p
Maa mentre lo dicevano si rendevano conto che il peso era lo stesso, come
loro stessi avevano affermato pochi attimi prima.
112
In effetti quello accartocciato non può pesare di più perché è lo stesso foglio!
È vero.
Sì, hai ragione.
Poi hanno iniziato ad ipotizzare le cause dell’attrito ma senza saper bene
spiegare come mai su un corpo l’aria facesse maggiore attrito che sull’altro
corpo.
Alla fine sono arrivate le soluzioni adeguate:
Dipende dal contorno.
Dipende dal fatto che il foglio aperto è più grande.
Dipende dalla forma.
“Quindi a seconda della forma e delle dimensioni del corpo che cade, la
resistenza dell’aria sarà diversa. Cioè più grande e ampia è la superficie a
contatto con l’aria, maggiore sarà la forza di attrito che essa esercita
sull’oggetto”.
Quindi ho appoggiato lo stesso foglio aperto su un libro e ho chiesto ai
bambini come, secondo loro, sarebbero caduti il libro e il foglio.
113
Il libro cade velocemente, il foglio si stacca e cade lentamente.
Sì, anche secondo me.
Il foglio cade più piano. Se il foglio stava sotto, cadeva insieme al quaderno.
Il foglio si stacca, rimane indietro e cade lentamente.
Il foglio vola via, ci resta poco sopra al quaderno.
114
Il libro cade molto prima.
Ma, una volta lasciati cadere i due oggetti,, si sono resi conto che le cose non
stavano così.
Sono caduti insieme!!
Non si è staccato!!!
Ci credo, sul libro c’era la copertina di plastica trasparente e il foglio è rimasto
appiccicato!
Proviamo con questo quaderno.
115
Abbiamo fatto la prova con un altro quaderno, senza copertina di plastica.
Era buffo come i bambini non credessero a quello che avevano visto. Erano
talmente convinti che sarebbe successa un’altra cosa, che non si arrendevano
all’evidenza.
In realtà il foglio rimane attaccato al libro e cadono a terra nello stesso
istante. I bambini sono rimasti sorpresi. Poi è stato il momento delle
spiegazioni.
“Perché secondo voi è successo questo? Perché il foglio non è caduto a terra
lentamente come è successo prima?”
Qualche tentativo sbagliato: per la forza di gravità.
Perché l’aria ha esercitato la forza peso.
“Cos’è che faceva cadere lentamente il foglio, prima?”
L’aria.
“Esatto. E adesso c’era l’aria sotto al foglio?”
Qualche attimo di silenzio.
“Voglio dire, il foglio nel suo lato inferiore, era a contatto con l’aria, come
prima?”.
No, perché c’era il libro sotto.
“Appunto. Quindi l’aria non ha potuto esercitare resistenza sul foglio. L’ha
esercitata sul libro, con il quale era a contatto diretto ma non sul foglio.
Pertanto il foglio è caduto con lo stesso moto del corpo sul quale si trovava”.
“Vi viene in mente un esempio di un oggetto, che avete visto tante volte, che
cade dall’alto, sul quale l’aria fa molta resistenza?”
116
L’aquilone.
Il paracadute!
“Bene. Avete voglia di costruire un paracadute, così sperimentiamo la
resistenza che l’aria esercita su di esso?”
Sììììììììììììììììì!
Facendomi aiutare da alcuni bambini ho distribuito il materiale (ad ognuno il
proprio) che avevo portato per la costruzione del paracadute. Un pezzo di
nylon sul quale i bambini hanno disegnato e poi ritagliato un quadrato di lato
30 cm;
un pezzo di spago lungo un metro che i bambini hanno tagliato in quattro
pezzi uguali da 25 cm l’uno; la metà di una molletta da panni, di legno, che i
bambini hanno decorato a piacimento e che rappresentava il paracadutista;
117
della pasta da modellare colorata
colorata che, simbolicamente, rappresentava il
casco del paracadutista ma che in realtà serviva per tenere uniti i 4 pezzi di
spago con la molletta. E poi, al lavoro!
Una volta tagliato il quadrato di nylon e i quattro pezzetti di spago, i bambini
dovevano attaccare
taccare un pezzetto di spago ad ogni angolo del quadrato. Infine
con la pasta da modellare dovevano attaccare i quattro lembi dello spago
rimasti liberi,, uniti tra loro, alla molletta decorata.
118
E poi, per la gioia di tutti, il risultato finale! Grandi lanci e anche un po’ di
confusione, di quella sana, però…
A questo punto è stato chiaro a tutti il significato di “resistenza dell’aria”.
Poi ho parlato ai bambini dell’esperimento che Galileo fece lasciando cadere
dalla torre di Pisa due sfere di metallo, una piena e una vuota, lasciando
119
attoniti tutti i presenti. Prima di andare avanti nel racconto ho proposto di
fare un altro esperimento. Avevo portato a scuola due bottigliette d’acqua da
mezzo litro, identiche. Una, però, era vuota, l’altra quasi completamente
piena. Le ho fatte girare tra i banchi per essere certa che tutti potessero
verificare quanto avevo detto. Sono salita su una sedia e ho chiesto ai
bambini quale delle due bottigliette, secondo loro, sarebbe arrivata a terra
per prima una volta che le avessi lasciate andare.
In coro hanno risposto che sarebbe arrivata prima quella piena, perché più
pesante. Le ho lasciate andare e il fatto che le due bottigliette toccassero
terra esattamente nello stesso momento ha lasciato tutti a bocca aperta.
120
Rifacciamolo!
Sì, dai, facciamo un’altra prova.
Ancora non ci credo.
Ma com’è possibile?
Tu hai un trucco.
Abbiamo ripetuto l’esperimento per tre o quattro volte perché sembrava che
i bambini non volessero arrendersi all’evidenza. Poi siamo passati alle
spiegazioni. Abbiamo ricordato tutti insieme che nella caduta di un corpo
intervengono alcuni fattori, come la resistenza dell’aria, e abbiamo ricordato
come questa resistenza fosse diversa sulla superficie del foglio aperto e su
quella del foglio appallottolato. Abbiamo detto nuovamente che la resistenza
dell’aria dipende dalla forma del corpo che cade ed era per quel motivo che
avevo portato due bottigliette identiche, in modo che la resistenza fosse la
stessa su entrambi i corpi in caduta. Poi ho precisato che tutti gli oggetti che
vengono lasciati liberi di cadere a terra, come ha scoperto Galileo circa
quattrocento anni fa, sono sottoposti ad un aumento costante di velocità,
cioè ad un’accelerazione costante. Gli scienziati hanno così misurato questa
accelerazione e hanno compreso che la velocità dei corpi che cadono
aumenta
di
circa
36
km/h
per
ogni
secondo
che
trascorre,
indipendentemente dal loro peso. Se quindi due oggetti iniziano a cadere con
la stessa velocità (che nel nostro caso è nulla perché sono inizialmente fermi)
e la loro velocità aumenta della stessa quantità ad intervalli di tempo
regolari, essi cadranno a terra contemporaneamente, ammesso che non ci
siano altri effetti diversi dalla forza di gravità terrestre che agiscano in modo
diverso sui due oggetti.
“Che cosa significa, secondo voi, creare il vuoto in questa stanza?”
121
Che si svuota la stanza.
Che togliamo tutto.
Che non rimane niente.
“Creare il vuoto in un contenitore, ad esempio, significa riuscire a togliere
tutta l’aria che esso contiene. Allo stesso modo, creare il vuoto in questa
stanza significherebbe togliere tutta l’aria che essa contiene”.
Ma poi muoriamo.
“Sì, in effetti se ci riuscissimo, non potremmo stare più qui dentro perché noi
abbiamo bisogno dell’ossigeno, che è contenuto nell’aria. Ma prendiamo
l’esempio di un contenitore: se noi riuscissimo a togliere l’aria, e gli scienziati
per i loro esperimenti sono in grado di farlo, e lasciassimo cadere una piuma
e una sfera di metallo, esse cadrebbero contemporaneamente perché l’aria
su questi due corpi non potrebbe esercitare nessuna resistenza (non c’è aria
nel contenitore!). Per questo motivo i due corpi arriverebbero a terra nello
stesso istante. Questi esperimenti hanno confermato le ipotesi di Galileo sulla
caduta dei corpi”.
3.2.6 Incontro 6 - Approfondimento sul moto accelerato: l’esperienza
galileiana del piano inclinato
L’obiettivo dell’incontro era di far capire ai bambini come Galileo fosse
arrivato a studiare il moto dei corpi in caduta libera: avendo difficoltà a
esaminarlo e misurarlo (perché troppo veloce), egli fece degli esperimenti su
un piano inclinato e scoprì il moto accelerato.
L’incontro è iniziato riprendendo il concetto di moto rettilineo uniforme del
quale avevamo già discusso durante le attività all’inizio del percorso
didattico. I bambini, però, non erano in grado di darne una definizione. Allora
122
abbiamo analizzato insieme parola per parola. Moto: significa corpo in
movimento, rettilineo: che si muove su una retta, uniforme: ha destato
diverse perplessità. Qualcuno, scomponendo la parola, ha detto che si
trattava di una forma. Piano piano siamo arrivati a spiegare che questa parola
si riferiva a qualcosa di costante, sempre uguale.
“Cos’è che è costante nel moto rettilineo uniforme? Ve lo ricordate”?
La velocità.
Sì, è vero, la velocità.
Sì, è sempre la stessa.
Abbiamo disegnato alla lavagna una macchina che si muoveva, di moto
rettilineo uniforme, su una retta e che percorreva la strada a 30 km/h. E ci
siamo soffermati sul fatto che in qualsiasi punto la considerassimo (A, B, C,
nel disegno), essa si muoveva sempre con la stessa velocità. Poi ho posto loro
un quesito: “Se per arrivare da un punto A ad un punto B una macchina, che
si muove di moto rettilineo uniforme, impiega 4 ore, quanto tempo
impiegherà per arrivare da A a C (con C posto a metà della distanza
precedente)?”
123
Tutti in coro hanno riposto che avrebbe impiegato 2 ore.
“E per arrivare da A a D (con D posto a un quarto della distanza iniziale)?”
Di nuovo coralmente hanno risposto che avrebbe impiegato un’ora.
Il concetto perciò era chiaro. A quel punto ho detto loro che avremmo fatto
un esperimento, lo stesso che Galileo aveva fatto molti anni prima e che gli
aveva permesso di scoprire delle cose molto interessanti sul moto dei corpi.
Avevo portato in classe, non senza qualche difficoltà, un piano inclinato
costituito da una canaletta metallica con sezione a U di lunghezza ݈ = 3m,
una sfera di metallo da far rotolare lungo il piano, un cronometro, un metro.
Le dimensioni della sfera erano un po’ maggiori della larghezza della
canaletta e quindi la sfera poteva rotolare appoggiandosi sui bordi della guida
metallica. Ho chiamato tre bambini ad aiutarmi, stando attenta a rispettare
una certa omogeneità e un certo ordine nello scegliere gli aiutanti per le varie
attività, visto che tutti hanno sempre mostrato il desiderio di partecipare in
prima persona con molto entusiasmo, e abbiamo iniziato il nostro
esperimento. La prima volta abbiamo posto il piano con un’estremità a terra
l’altra ad un’altezza di 22 cm, appoggiata su alcune scatole.
124
Un bambino aveva il compito di misurare tale altezza, un altro di lasciar
rotolare la sfera, un altro di prendere il tempo che la sfera impiegava a
percorrere la distanza per intero, ossia 3 metri. Poi, cambiando gli aiutanti,
abbiamo ripetuto l’esperimento lasciando rotolare la sfera a partire dalla
metà del piano inclinato, in modo che percorresse una distanza di 1,5 metri.
Prima di lasciare andare la sfera, ho chiesto ai bambini quanto tempo,
125
secondo loro, avrebbe impiegato per percorrere tale distanza. Erano tutti
concordi nel dire che avrebbe impiegato la metà del tempo richiesto per la
prova precedente, quando la sferetta doveva percorrere una distanza di tre
metri. Il risultato li ha lasciati stupiti,
stupiti perché non è stato così.. Ma siamo
andati avanti e abbiamo ripetuto la prova lasciando scendere la sfera, questa
volta, per un tratto di 0,75 metri, ossia un quarto della distanza iniziale.
Abbiamo trascritto i risultati su una tabella e abbiamo fatto le nostre
considerazioni. Per impiegare circa la metà del tempo, la sfera doveva
percorre un quarto della distanza e non la metà, come accade nel moto
rettilineo uniforme.
126
Questo nuovo tipo di moto avviene con accelerazione costante e viene
chiamato moto uniformemente accelerato; la velocità della sfera non è
sempre la stessa durante il tragitto lungo il piano inclinato, ma aumenta in
modo costante; la legge matematica che descrive questo moto è complessa e
ho ritenuto che non fosse il caso di affrontarla con i bambini. Abbiamo
ripetuto che l’accelerazione di un oggetto si riferisce alla rapidità con la quale
l’oggetto cambia la sua velocità.
Ho raccontato ai bambini che fino a che Galileo non aveva effettuato i suoi
esperimenti ed era arrivato a conclusioni rilevanti e innovative (come la
definizione e lo studio di questo tipo di moto), gli scienziati ritenevano che
fosse vero tutto ciò che aveva detto e scritto Aristotele nel 300 a. C..
Ho raccontato ai bambini che con l’esperimento del piano inclinato Galileo
aveva concentrato l’attenzione, appunto, sull’accelerazione, un livello del
moto ignorato da Aristotele: il moto di un corpo che scende su un piano
127
inclinato accelera, cioè varia la sua velocità. Ma Galileo con i suoi esperimenti
si accorse che la sfera accelerava in modo costante a ogni unità di tempo
qualunque fosse l’inclinazione del piano e ho detto ai bambini che questo
moto prende il nome di moto uniformemente accelerato. Di nuovo ho
disegnato un’automobile alla lavagna che si muoveva su un tratto rettilineo di
moto uniformemente accelerato e abbiamo indicato le varie velocità ai tempi
‫ݐ‬ଵ , ‫ݐ‬ଶ , ‫ݐ‬ଷ , ‫ݐ‬ସ considerando un’accelerazione costante di 15 km/(h·s),
corrispondente all’accelerazione di un’automobile che ad ogni secondo
trascorso aumenta la sua velocità di 15 km/h. Abbiamo fatto i calcoli insieme,
a voce.
C’era qualcuno che non aveva capito del tutto.
Ma come fate a calcolarlo?
E’ facile. Se l’accelerazione è sempre la stessa e la macchina parte da ferma
devi fare 0 (la velocità iniziale )+15 (la variazione di velocità dopo un certo
intervallo di tempo) e poi 15+15=30 e poi 30+15=45 e poi di nuovo 45+15=60
e scopri ogni volta a che velocità va la macchina.
Cioè aumenta sempre dello stesso numero.
Ma alla fine va molto più veloce.
Sì perché è partita da 0 e arriva fino a 60 km/h. Con mio stupore, perché il
concetto di aumento costante non è dei più banali, sembravano aver capito
quasi tutti. Per soffermarmi ancora sull’idea analizzata, ho raccontato loro la
storiella di una signora che, durante un periodo di forte inflazione, un giorno
si reca al panificio a comprare un filone da ½ kg di pane e che il negoziante, al
momento del pagamento, le dice che il prezzo è di 1€. Una settimana dopo la
signora va nuovamente al negozio per acquistare il solito filone ma questa
volta il negoziante le dice che il prezzo è di 1, 20 €. Passa ancora una
128
settimana e per il filone il prezzo è di 1,40 €. La signora, un po’ indignata, dice
al negoziante: “Ma insomma, il pane aumenta sempre di più!”. E il negoziante
le risponde: “No, signora, l’aumento è sempre lo stesso (in effetti è di 20
centesimi alla settimana), ma è vero che il pane costa sempre di più”. In
questa semplice storiella l’aumento del prezzo rappresenta l’accelerazione,
per l’appunto costante, e il costo finale rappresenta la velocità, che in effetti
aumenta.
Abbiamo ripetuto l’esperimento con il piano inclinato alzandolo fino a 39 cm
da terra e abbiamo notato che, in effetti, le cose si ripetevano come prima.
La sfera impiegava cioè metà del tempo per percorrere un quarto della
distanza.
3.2.7 Incontro 7 – Verifica dell’apprendimento
Durante l’ultimo incontro si è svolta la verifica finale del percorso didattico,
composta da 20 quesiti, alcuni dei quali contenevano domande aperte e altri
domande chiuse. La logica con la quale ho ideato la prova è stata quella di
ripercorrere l’iter delle attività fatte con i bambini per far emergere i risultati
129
delle nuove acquisizioni o le zone problematiche ancora da approfondire. In
più, una volta terminata la compilazione dei quesiti, ho distribuito un
cruciverba che i bambini hanno mostrato di apprezzare molto. Ho espresso il
giudizio tramite un punteggio che segue il seguente criterio: 2 punti per le
risposte corrette, 1 punto per le risposte parziali, 0 punti per le risposte
errate. Prima dell’inizio della prova i bambini erano emozionati e anche un
po’ impauriti. Ma, una volta lette insieme le domande e chiariti i dubbi, sono
stati tranquilli e in silenzio durante tutto lo svolgimento della prova. Il
cruciverba li ha particolarmente divertiti.
Elenco qui di seguito le domande della verifica e indico i risultati e i punteggi
ottenuti ai vari quesiti. Per facilitare la lettura ed avere una visione più
immediata, ho riportato i risultati su un istogramma e su una tabella
riassuntiva.
Domande:
1) Metti in ordine cronologico le tappe che vengono seguite nel metodo
sperimentale: verifica dell’ipotesi - problema/domanda – ipotesi –
osservazione della natura – risposta/teoria.
2) Cosa significa che un corpo è in quiete?
3) Cosa significa che un corpo è in moto?
4) Lo spazio e il tempo sono due grandezze che ci servono per descrivere il
moto di un corpo. Indica se vero o falso.
o vero
o falso
5) La grandezza che indica la rapidità con la quale un corpo cambia posizione
nel tempo rispetto a un punto fisso è:
o la velocità
o l’accelerazione
130
o la traiettoria
6) La traiettoria è la linea immaginaria che unisce tutte le successive posizioni
che un corpo occupa nel tempo. Indica se vero o falso.
o vero
o falso
Fai qualche esempio di una traiettoria che ti è capitato di vedere:
7) Che cos’è una forza? Indica se vero o falso
è una spinta che si esercita su un corpo
è una trazione che si esercita su un corpo
V F
O O
O O
Fai qualche esempio di forze che conosci:
8) Quali tipi di azione può esercitare una forza su un corpo che si muove?
9) Secondo la tua esperienza, cosa succede in genere quando un oggetto viene
lasciato libero di muoversi su un piano orizzontale? Pensa ad una pallina da
golf che rotola sul prato.
10) L’attrito è una forza che si esercita tra due corpi in contatto tra loro quando
questi cerchino di muoversi strusciando l’uno sull’altro. Indica se è vero o
falso.
o vero
o falso
11) Se non intervenisse l’attrito, che cosa succederebbe ad un corpo che si
muove?
12) Quale tipo di forza agisce su un corpo che cade? Indica accanto alle risposte
se vero o falso.
V
F
La forza di attrito
O
O
La forza di gravità
O
O
La forza di attrito dell’aria
O
O
13) I tre cerchi sottostanti rappresentano il globo terrestre. Indica nel primo la
posizione di un uomo che vive al Polo nord, nel secondo la posizione di un
131
uomo che vive al Polo Sud e nel terzo la posizione di un uomo che vive
all’equatore.
Polo Nord
Polo Nord
Equatore
Polo Sud
Polo Nord
Equatore
Polo Sud
Polo Sud
14) Se lascio cadere a terra dalla stessa altezza due fogli di carta, uno
accartocciato e l’altro aperto, quale cadrà a terra per primo? Perché?
15) Se appoggio un foglio di carta aperto su un libro e li lascio cadere dall’alto,
cosa accadrà ai due oggetti?
16) Nel moto rettilineo uniforme cos’è che rimane costante?
La velocità
O
Lo spazio
O
17) Per quale tipo di esperimento Galileo ha utilizzato il piano inclinato?
18) A cosa è legata l’accelerazione?
Alla variazione di velocità
Alla variazione di tempo
Alla variazione di spazio
O
O
O
19) Qual è la caratteristica del moto uniformemente accelerato?
20) Cosa accade, secondo te, a due bottigliette d’acqua (una vuota e una piena)
che cadono dalla stessa altezza? Quale arriva a terra per prima? Perché?
132
Questo il cruciverba che ho fatto completare ai bambini:
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
ORIZZONTALI
1
3
5
6
9
10
12
14
15
16
Viene percorso da un corpo che si muove (spazio)
Viene misurato con il cronometro (tempo)
Le formula lo scienziato dopo aver osservato un fenomeno (ipotesi)
Esiste quella elettrica e quella di gravità (forza)
È la forza che fa muovere la barca a vela (eolica)
Si trova utilizzando la formula spazio / tempo (velocità)
È la forza che attrae i corpi verso il centro della Terra (gravità)
La oppone l’aria sulla superficie di un corpo che cade (resistenza)
Anche così si può chiamare il movimento di un corpo (moto)
Il contrario di movimento (quiete)
VERTICALI
2
La forza che fa fermare una pallina che rotola per terra (attrito)
133
4
7
8
11
13
La forza che fa muovere il ferro verso una calamita (magnetica)
La variazione di velocità in un certo intervallo di tempo (accelerazione)
È necessario eseguirlo per verificare un’ipotesi scientifica (esperimento)
Una tra le unità di misura dello spazio (metro)
Oppone resistenza su un corpo che cade (aria)
Nel seguente grafico sono riassunti i risultati della prova di verifica. Sull’asse
delle ascisse è riportato l’indice identificativo della domanda, mentre
sull’asse delle ordinate è riportato il numero di volte in cui alla domanda sono
state date risposte corrette (blu), semi-corrette o incomplete (rosso
bordeaux), errate (verde).
20
18
Numero di risposte
16
14
12
10
2 punti
8
1 punto
6
0 punti
4
2
0
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
Numero della domanda
Come si evince dalla lettura dell’istogramma i risultati della verifica sono stati
piuttosto buoni. È diverso tempo, ormai, che conosco i bambini di questa
classe, ma sono rimasta stupita di fronte alle prestazioni di certi alunni posti
in situazioni di scoperta e di collaborazione: l’attivazione di strategie
didattiche attive e partecipative ha permesso anche agli studenti di solito
meno brillanti e vivaci, di tirare fuori capacità intuitive e ideative che sono
state un’importante risorsa per l’intera classe e per la costruzione condivisa
di significati. A questo proposito vorrei ricordare la possibilità di promuovere
134
lo sviluppo di quello che alcuni autori chiamano un “pensiero esperto” entro
un ambiente di apprendimento, superando la visione della conoscenza come
oggetto “statico”, che deve semplicemente essere memorizzato: “l’esperto
viene caratterizzato non tanto dal possesso di generiche abilità cognitive di
alto livello, cioè di tipo astratto e generalizzato, quanto dalla conoscenza
specifica e contestualizzata rispetto al proprio ambito di azione che può
essere continuamente sviluppata”.102 E proprio i bambini che hanno trovato
nel laboratorio o nella discussione condivisa un ambiente appropriato e
accogliente nel quale apportare nuove idee o intuizioni, hanno dimostrato,
anche nella verifica, di aver acquisito conoscenze e concetti nuovi. Questo
conferma che le attività pratiche facilitano l’acquisizione di conoscenze anche
da parte di bambini per i quali i contenuti non sono sempre così scontati.
Credo che sia stato molto importante far esplicitare ai bambini le proprie
concezioni sollecitando interpretazioni di un determinato fenomeno e aiutarli
ad affinare la consapevolezza delle proprie rappresentazioni e di quelle altrui,
attraverso discussioni. Per molti questo processo ha funzionato e il conflitto
concettuale ha indotto i bambini a rivedere le concezioni possedute alla luce
delle nuove informazioni. Ma la strategia del conflitto concettuale si è
mostrata non per tutti efficace perché non è risultato automatico il
riconoscimento di una divergenza tra le proprie idee e un’evidenza empirica
anche palesemente contraria. Come è accaduto per esempio con la domanda
20 (quella che si riferiva alla caduta delle due bottigliette d’acqua, una vuota
e una piena), per rispondere alla quale tre bambini hanno affermato che
sarebbe caduta prima a terra la bottiglietta piena. Nella domanda 14 (quella
che chiedeva di motivare la caduta anticipata del foglio accartocciato) ci sono
stati cinque bambini che hanno asserito che era per via del peso maggiore.
102
S. Cacciamani, L. Giannandrea, La classe come comunità di apprendimento, Roma, Carocci Editore,
2004, p. 11.
135
Anche nella domanda 13 (quella sulla posizione dei bambini ai Poli e
all’equatore) c’è stato chi si è trovato in difficoltà nonostante i numerosi
esempi alla lavagna e le discussioni intorno al tema. Il cambiamento di una
“teoria cornice”103 proprio perché implica che mutino presupposizioni e
credenze radicate da tempo, si presenta, per alcuni, lungo e difficile. Ed è per
questo che è importante che l’insegnante ne sia consapevole e che certi
argomenti e concetti vengano ripresi più volte, a distanza di tempo, rivisti e
ridiscussi.
Un’altra importante considerazione da fare è sul linguaggio. Alcuni bambini
hanno mostrato di avere notevoli difficoltà nell’utilizzo dei termini tecnici, sia
nel questionario finale, sia nel suo impiego durante le discussioni in classe.
Nella correzione della verifica, ho considerato corrette le risposte nelle quali
era evidente la comprensione del concetto, nonostante la difficoltà e il
disordine nella verbalizzazione di esso.
Il cruciverba è stato completato da tutti in poco tempo e in modo corretto!!
103
Pontecorvo C. (a cura di), Manuale di psicologia dell’educazione, Bologna, Il Mulino Editore, 1999,
p. 254.
136
Conclusioni
Sono stata molto contenta del progetto. È stato impegnativo e laborioso ma
mi sono anche divertita moltissimo, sia a preparare a casa gli esperimenti, sia
ad eseguirli con i bambini in classe. Le attività sono state dinamiche e vitali e
hanno raccolto gli apporti di tutti gli alunni, in un modo o nell’altro. Credo
fortemente nella didattica laboratoriale e in tutte quelle strategie che vedono
l’alunno attivo e partecipe in prima persona. I concetti scientifici sono spesso
molto complessi per i bambini perché richiedono un livello di astrazione che
gli alunni della scuola primaria ancora non possiedono. La difficoltà maggiore
nell’insegnare tali discipline credo che sia quella di scomporre questa
complessità in pochi aspetti salienti e significativi, da acquisire in maniera
esperienziale e diretta in modo da risultare meno lontani dai sistemi di
apprendimento dell’infanzia. Soltanto dopo che si sono create delle concrete
basi concettuali, almeno sotto l’aspetto della comprensione, si può procedere
per ampliare le conoscenze. Lavorando a questo progetto ho compreso
quanto sia indispensabile che l’insegnamento, se si vuole che abbia un senso,
rispetti, aspetti e si adegui ai ritmi dell’apprendimento infantile. I concetti sui
quali abbiamo lavorato in classe sono stati per lo più e dai più compresi ma
avrebbero bisogno di essere ripresi, rivisti e ridiscussi ancora molte volte, tra
passi avanti e passi indietro. I bambini hanno sicuramente sviluppato
un’attenzione per l’aspetto dell’osservazione e dell’elaborazione di ipotesi e
hanno acquisito anche capacità di manipolazione e di gestione di spazi e
strumenti, collegando cause ad effetti misurabili.
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