Università degli Studi di Firenze Viaggio alla scoperta del cielo: una

Università degli Studi di Firenze
Facoltà di Scienze della Formazione
Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria
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Tesi di Laurea
in Didattica della Fisica
Viaggio alla scoperta del cielo:
una proposta didattica per la Scuola Primaria
Relatore:
Dott. Samuele Straulino
Studentessa:
Martina Tattini
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Anno Accademico 2009/2010
Indice
Introduzione………………………………………………………………………5
I CAPITOLO
La scienza nella scuola primaria
1. Insegnare scienze oggi: quali prospettive?………………………………………..8
2. Il laboratorio nella didattica delle scienze……………………………………….13
II CAPITOLO
La scuola tra normativa e realtà
1. Programmazione e Progettazione curricolare: uno sguardo alle scienze nei
Programmi del 1985 e nelle Indicazioni per il curricolo del 2007………………….18
2. La dimensione affettiva. Insegnanti e alunni nelle classi di oggi ………………...31
III CAPITOLO
Lo sviluppo mentale e la formazione dei concetti scientifici: teorie
e modelli di riferimento
1. Il modello piagetiano…………………………………………………………....36
2. Vygotskij e lo sviluppo dei concetti scientifici nell’infanzia……………………...40
IV CAPITOLO
Il progetto: “Col naso all’insù: un’astronomia a portata di
bambino”
1. L’astronomia nella scuola primaria: una sfida (purtroppo!) ancora attuale………46
1.1 La scuola e gli attori del progetto……………………………………………48
2. Schema riepilogativo degli incontri svolti in classe……………………………...51
3. Progettazione del primo incontro………………………………………………53
4. Primo incontro svolto in classe. Perché tutto cade? Storia di una misteriosa forza……..60
4.1 Perché tutto cade? …………………………………………………………..61
4.2 Gli oggetti più pesanti cadono più velocemente? ……………………………64
3
4.3 Il peso e la massa sono la stessa cosa? ………………………………………69
4.4 Dov’è il basso? ……………………………………………………………...71
4.5 Perché la luna non cade sulla Terra visto che tutto attira tutto? ……………..73
5. Progettazione del secondo incontro. Dimensioni e distanza relative del sistema TerraSole………………………………………………………………………………...77
6. Secondo incontro svolto in classe………………………………………………81
7. Progettazione del terzo incontro. Luminosità vera e apparente delle stelle……………90
8. Terzo incontro svolto in classe…………………………………………………99
9. Progettazione del quarto incontro. Inclinazione dei raggi solari sulla terra………….104
9.1 Costruzione di due modelli per spiegare i cambiamenti stagionali dal punto di
vista astronomico……………………………………………………………....110
10. Quarto incontro svolto in classe. Perché fa più caldo in estate che in inverno? ……...116
11. La valutazione………………………………………………………………..126
11.1 Resoconto sulla prova relativa al primo e al secondo incontro…………..128
11.2 Resoconto sulla prova relativa al terzo e al quarto incontro……………..135
Conclusione ……………………………………………………………………141
Bibliografia……………………………………………………………………..144
4
Introduzione
L’idea del progetto nasce da una strana antinomia: la passione e la predilezione che
da sempre nutro per le materie scientifiche da un lato, e l’approccio scolasticolibresco con cui sono stata iniziata al mondo delle scienze dai miei insegnanti,
dall’altro. Presto però, molto prima di intraprendere gli studi universitari nel corso in
Scienze della Formazione Primaria, mi sono avvicinata all’universo infantile e così ho
avuto modo di riscoprire la genuina capacità dei bambini di stupirsi di fronte a tutto
ciò che di meraviglioso il mondo ci offre. Nella mia mente i pensieri hanno iniziato a
volteggiare in voli pindarici immaginando come quell’ardente voglia di sapere potesse
essere nutrita ed orientata, attraverso una didattica di tipo partecipativo piuttosto che
trasmissivo (esplorazioni sensoriali, esperienze ludiche, ecc.), verso una conquista
crescente del mondo a cui apparteniamo.
Attraverso una didattica dinamica, sperimentale e coinvolgente ho cercato di
disancorare quell’abitudinarietà che spesso nella vita quotidiana ci porta ad appiattire
la realtà circostante in un quadro statico, incolore, inodore, per munire i bambini di
una lente attenta e critica attraverso la quale sbirciare e scoprire sempre più
nell’essenza i fenomeni naturali.
Nonostante le innumerevoli riforme scolastiche, attraverso le quali si è cercato di
apportare un rinnovamento anche ai contenuti e alle modalità del fare scienze, si
registra ancora oggi una certa resistenza al cambiamento: la canonica lezione frontale
e l’uso del libro di testo come unico strumento didattico restano ancora la prassi più
diffusa al di là di ogni dichiarazione d’intenti. Come non giustificare allora il rifiuto o
lo scarso interesse da parte di tanti studenti per le scienze, a fronte di un metodo
trasmissivo e nozionistico per una disciplina essenzialmente sperimentale?
Nel primo capitolo di questo elaborato ho fatto alcune riflessioni su come oggi si
studiano le scienze a scuola e su quali, invece, potrebbero essere gli strumenti e le
metodologie per migliorare l’acquisizione di procedimenti, abilità, contenuti e
competenze da parte degli studenti.
Il ruolo delle scienze nella scuola di base si è trasformato nel corso della storia
scolastica: in particolare, nell’ultimo ventennio le discipline scientifiche hanno visto
riconosciuta la loro autonomia e il loro ruolo fondante per una completa formazione
dei bambini. È l’argomento trattato nel secondo capitolo, dove ho ritenuto altresì
importante ritagliare uno spazio da dedicare ad una dimensione trasversale a qualsiasi
5
disciplina, che difficilmente può essere valutata ma che costituisce un fondamento
intrinseco alla relazione tra docente e discente: la dimensione affettiva. L’educazione
è un processo di formazione dei singoli individui all’interno di un contesto sociale in
cui si interagisce con altri soggetti. Non può esistere educazione senza relazione; là
dove non vi sia rapporto intersoggettivo, il massimo risultato conseguibile è la mera
trasmissione di saperi e contenuti. Dobbiamo dunque tenere presente il ruolo
delicato che ricoprono le componenti emotive che coinvolgiamo con il nostro
modello di insegnanti, consapevoli del fatto che spesso insegnamo più con gli
atteggiamenti e i modi di essere che con i discorsi e le conoscenze che trasmettiamo.
Essere attivamente coinvolti insieme agli alunni nel processo di ricerca e costruzione
della conoscenza e far percepire loro l’importanza del contributo originale di
ciascuno, che può altresì determinare una ristrutturazione e revisione della
conoscenza dello stesso insegnante, favorisce nei ragazzi un senso di piacere e
soddisfazione che rappresenta uno dei fattori più importanti per l’apprendimento.
Nel terzo capitolo ho fatto alcune considerazioni circa la formazione dei concetti
scientifici. Ripercorrendo le tappe fondamentali di alcune teorie psico-pedagogiche
ho cercato di mettere in luce quei meccanismi che, secondo gli autori, si innescano
nella testa del bambino quando si accinge ad esplorare la realtà e, dunque, quando
inizia a formarsi delle idee per comprenderla; conoscere lo sviluppo della mente
infantile e i suoi modi di operare diventa un presupposto fondamentale per operare
delle scelte oculate e calibrate in vista di un’azione educativa sensata ed efficace.
L’ultimo capitolo è stato dedicato interamente al progetto: dopo una breve
introduzione ed un’analisi sul contesto specifico in cui ho operato, vi sono riportati i
quattro incontri svolti in classe, ciascuno preceduto dalla descrizione della
progettazione, in cui si discutono gli argomenti trattati e le esperienze da proporre in
classe descritte nei dettagli (obiettivi specifici, tempi previsti, materiali, ecc.).
Al centro del progetto vi sono dunque le Scienze, considerate da una prospettiva che,
purtroppo, possiamo ancora definire innovatrice e, ovviamente, i bambini, uniche
creature che più di chiunque altro necessitano di attenzioni e stimoli quanto più vari,
per far sì che le molteplici intelligenze (le otto intelligenze di cui parla Gardner)
possano sviluppare al massimo il loro potenziale. I recettori sono finestre sul mondo,
tutte aperte; solo le cattive abitudini possono chiuderne alcune. Dobbiamo
continuamente sollecitarli e nutrirli impiegando una pluralità di metodi perché
nessuno venga messo da parte da un’educazione che troppo a lungo è stata segno di
selezione, ma affinché ognuno possa essere rispettato e sostenuto in base alle proprie
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potenzialità senza sforzarsi nell’inutile tentativo di tendere verso uno sterile prototipo
imposto dall’alto.
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I Capitolo
La scienza nella scuola primaria
1. Insegnare scienze oggi: quali prospettive?
Insegnare è certamente un fenomeno complesso. Poiché l’uomo è complesso!
L’insegnante si trova nella delicata posizione di precario equilibrio tra un “universo
bambino”
e
un
“universo
adulto”
costantemente
da
raccordare
e,
contemporaneamente, si trova a dover interagire con due diversi mondi di esperti: i
disciplinaristi da un lato e psicologi/filosofi/sociologi dall’altro, i quali fin dai da
tempi ormai lontani si avvicendano gli uni per selezionare e proporre i fondamenti da
insegnare, gli altri per conoscere sempre più oggettivamente e dettagliatamente la
complicata macchina cognitiva che è la mente dell’uomo ai diversi stadi di
maturazione, per indagare l’epistemologia delle scienze e infine studiare quanto
intervenga in tali processi cognitivi l’ambiente circostante. La funzione
dell’insegnante si fa necessariamente critica poiché ha il compito di cercare di
stabilire un raccordo tra la conoscenza comune e la conoscenza scientifica,
oltrepassando il radicale divario che vi intercorre e abbattendo l’idea consolidata che
la conoscenza scientifica si costituisca in contesti a parte, attraverso linguaggi
specifici. L’obiettivo è quello di creare un collegamento diretto tra la conoscenza
scientifica e il modo di conoscere di un bambino, non con l’intento di formare un
piccolo scienziato ma per sviluppare e consolidare una formazione culturale come
strumento necessario per far fronte alla innumerevoli situazioni cui la vita ci
sottopone intervenendo in maniera coerente ed efficace. All’insegnante dunque non
può e non deve sfuggire nessuno dei molteplici aspetti chiamati in causa: dagli eruditi
saperi da smontare, alle modalità di ricezione e ri-costruzione diverse da soggetto a
soggetto, considerando poi che per educazione scientifica di base non si intendono
percorsi perseguibili strutturati e certi, né tanto meno contenuti nozionistici tecnici e
specifici. Si tratta piuttosto di un’inesauribile ricerca che ci conduce verso sempre
nuovi percorsi esplorativi senza però dimenticare, di tanto in tanto, di tornare
indietro per ri-organizzare vecchie conoscenze e contenuti alla luce di nuovi
strumenti e conquistate strutture che innalzano progressivamente la conoscenza in
un inesauribile percorso a spirale.
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Educare alla scienza coinvolge i modi di pensare, di agire, di parlare e dunque incide
sul relazionarsi col mondo circostante e sulle modalità di interpretare tale realtà.
Inutile dire che per sviluppare la capacità di cogliere, apprezzare ed indagare sempre
più approfonditamente il senso di una conoscenza scientifica è necessario che il
mondo culturale adulto in cui i ragazzi sono immersi ne riconosca per primo il
significato e il valore (finché si continuerà a relegare le conoscenze scientifiche in un
universo a sé stante se ne impedirà l’interazione con la vita comune, impotenti di
fornire alla cultura strumenti più consapevoli di conoscenza).
Se la scienza ha un significato umano e sociale oltre che culturale deve far parte del
programma scolastico con le debite considerazioni.
Uno degli obiettivi primari dell’educazione nella scuola di base dovrebbe esser quello
di promuovere lo sviluppo e il progressivo articolarsi nei diversi contesti che la vita
offre, delle potenzialità a tutto tondo di ciascuno. Questo però è destinato a rimanere
un enunciato sterile e astratto se non supportato da uno schema di teoria della
conoscenza sufficientemente complesso, organico e consapevole. Le teorie non sono
meri costrutti discorsivi: esse sono di fondamentale importanza affinché possa aver
luogo un confronto sulla base di un linguaggio condiviso, per poter progettare,
verificare ed eventualmente rivedere la strada intrapresa. Intorno al tavolo
dovrebbero sedere personalità dalle diverse competenze rompendo la rigida
suddivisione dei ruoli per compartimenti stagni secondo cui alcuni teorizzano
sull’educazione, altri traducono tali teorie in progetti didattici e infine gli insegnanti
eseguono l’applicazione.
La scienza come la vogliamo intendere qui non è esclusivamente un insieme di leggi e
nozioni ma un modo di porsi di fronte alla realtà, di interagire con essa e quindi lo
studio delle scienze fornisce un contributo per interpretare criticamente il mondo
senza subirlo passivamente. Fornire l’informazione si può considerare oramai
dominio esclusivo dei mezzi di comunicazione di massa i quali hanno da tempo
sorpassato di gran lunga scuola e famiglia; ai genitori e agli educatori “resta” il
difficile compito di servirsene in modo critico-strumentale.
Tutta la conoscenza nasce dall’esperienza, diceva Kant: da dove cominciare allora se
non dall’indagare con i sensi il mondo circostante? Ecco che si spiega l’importanza
delle “esperienze sensoriali” su cui innestare ogni tipo di riflessione e da cui far
scaturire qualsiasi conoscenza. Non perché è giusto così, né perché così vuole una
qualche teoria della conoscenza, piuttosto perché come sapientemente ci ha
insegnato Kant operando una vera e propria rivoluzione copernicana, siamo noi con
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le nostre “categorie a priori”, con le nostre aperture sensoriali a conferire alla realtà
circostante certe forme e colori; dunque la realtà esterna ci perviene scomposta e
filtrata attraverso canali sensoriali diversi, inconsciamente re-intrecciata in un tutto di
senso compiuto.
Progettare un intervento educativo non significa selezionare i migliori materiali
strutturati, innescare il progetto a partire da attività espressive o dal racconto di un
episodio avvincente accaduto durante le vacanze al mare; si tratta piuttosto di saper
cogliere gli stimoli che la vita di tutti i giorni ci offre a partire dai quali costruire
contesti significativi di apprendimento e di elaborazione di esperienze, linguaggi e
conoscenze. Un’indagine diretta della realtà induce i bambini a porsi domande e
quindi a divenire soggetti consapevoli nel ‘bagno’ di fatti in cui fin da piccolissimi
sono immersi e, a poco a poco, a costruire ed affinare gli strumenti attraverso i quali
leggere e collegare tali fatti in un quadro coerente-razionale-unificante. Si impara a
percepire lo scarto tra le interpretazioni “costruite” in prima persona e quelle dateci
dall’alto senza subirle passivamente e in maniera totalizzante.
Funzione centrale ed immancabile della figura di insegnante in un qualsiasi
intervento didattico di tipo scientifico è quella di stimolatore nonché moderatore
degli interventi dei singoli bambini in modo tale da permetterne l’espressione
individuale, l’ascolto reciproco e la contaminazione delle proprie idee con quelle
altrui per favorire un più ampio spazio di riflessione. La discussione non nasce
spontaneamente e in ogni caso necessita della direzione del maestro d’orchestra che,
oltre ad accendere l’interesse verso situazioni problematiche e quindi a motivare i
bambini, deve aver a disposizione gli strumenti e le competenze necessarie a poter
indagare ed esplicitare le strutture di pensiero e gli innumerevoli schemi di
spiegazione che ciascun bambino inconsapevolmente mette in atto nel processo di
apprendimento.
Conoscere tali strutture cognitive diviene fondamentale per impiegare modelli e
strumenti ad esse affini e proporzionati per accrescere ed articolare progressivamente
sia le conoscenze che le medesime strutture di conoscenza. Sovente accade che più si
avanza di ordine e grado nell’iter scolastico e più aumentano le probabilità di isolarsi
in monadi a sé stanti, prive di finestre comunicative con l’esterno, così che le
strutture mentali di un ragazzo si cristallizzano in quell’esclusiva modalità che lo vede
unico interlocutore di se stesso. La vitale interazione con l’alterità e le conseguenti
differenze, analogie, confronti, scontri, contraddizioni e contaminazioni che ne
scaturiscono devono costantemente essere sollecitate e nutrite affinché ogni
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conoscenza possa essere riletta e reinterpretata criticamente e dinamicamente, alla
luce dei sempre più affinati strumenti e delle abilità cognitive via via conquistati.
Ecco che l’insegnante per primo deve presentare gli argomenti attraverso spiegazioni,
discussioni, esperienze manipolative, giochi, materiali audiovisivi o interattivi,
inserendoli per quanto possibile in un processo dinamico di de-costruzione e ristrutturazione del patrimonio delle conoscenze e dei modi di accedervi; da qui si
capisce l’importanza di tornare su argomenti già trattati richiamandoli alla mente con
l’ausilio di schemi sinottici, cartelloni, foto, immagini, video, precedentemente
utilizzati/realizzati per tessere l’intreccio complesso e articolato di una conoscenza
che si accresce seguendo un tracciato a spirale e non per compartimenti stagni.
Gli strumenti formali, spesso ritenuti specifici di una singola disciplina e per questo
proposti ed esercitati entro confini ristretti, dovrebbero piuttosto essere sperimentati
dagli stessi bambini nelle loro indagini empiriche o intellettive con cui cercano di
trovare risposte a questioni problematiche. Individuare una procedura formale o una
regola, empiricamente, cercando una risposta per tentativi ad una situazione
problematica reale, poiché intrinsecamente intrecciata alla realtà e a procedimenti
logici spontanei che essa chiama in causa, ha sicuramente più presa e significatività
rispetto ad un’acquisizione seguita alla meccanica applicazione della regola in un
contesto di pura esercitazione – si potrebbe anche dire di cieco addestramento – di
cui rimarrebbe certamente ignoto il fondamento. Non può esserci un’acquisizione
significativa di processi, schemi, strumenti cognitivi in contesti artificiosi,
aprioristicamente predisposti, gli unici a saper isolare certi aspetti di un sapere
specifico
destinati
però
a
rimanere
un
puro
formalismo
da
applicare
macchinosamente in una circoscritta situazione e non nella situazioni di vita o a finire
ben presto dimenticati. In una frase potremmo dire: non si trovano risposte a
domande che non ci siamo posti!
Per risolvere un problema, infatti, bisogna innanzitutto porselo, dargli consistenza.
Porsi un quesito, attivare processi mentali razionali, ipotetici e controllabili, agire per
validare o falsificare le previsioni fatte, rende protagonisti attivi i singoli soggetti e
dunque promuove un comportamento responsabilizzante. Senza dubbio è più
impegnativo per il docente tracciare una strada ad ostacoli piuttosto che spianare la
strada ai propri discenti, ma proprio in questo consiste il suo dovere di insegnante:
nella capacità di aiutarli a divenire soggetti autonomi.
Un sapere eccessivo, risultato di un accumularsi di nozioni disorganizzate piuttosto
che integrate, opprime la mente senza riuscire a potenziarne le strutture razionali.
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L’istruzione di base in primis dovrebbe essere permeata da una ‘democratizzazione’
delle scienze, provvedendo a tracciare possibili strade percorribili al fine non di
accostare nozioni le une alle altre quanto di creare una forma mentis creativa,
propositiva, allenata a procedere per ipotesi e verifiche. Da non trascurare poi è la
dimensione soggettiva intrinsecamente connessa a quella cognitiva: che sia del
proprio io interiore o della realtà esteriore il modello di ognuno di noi è centrato su
se stesso, egocentrico; dal mondo esterno si cerca di ricavare quante più informazioni
utili per raggiungere un obiettivo e, al tempo stesso, sapersi adattare alle situazioni.
Per questo è importante costruire percorsi ad hoc perseguendo scopi precedentemente
fissati, proporzionati a livello cognitivo secondo il grado di maturazione raggiunto
per spingersi via via verso strati più profondi della conoscenza grazie al supporto di
lenti di ingrandimento sempre più potenti.
Educazione scientifica significa anche educare alla presa di coscienza che non esiste
una verità trascendentale, assoluta, trasferibile agli altri. Se ciò che abbiamo
controllato non è ulteriormente sottoponibile a verifiche questo non significa che
non lo sarà nel futuro! Niente è definitivo e per sempre, ma provvisorio e revocabile.
E se è vero che nessun discorso scientifico sfugge a tali controlli, è altrettanto vero
che nessuna considerazione è da scartare aprioristicamente: è proprio in questo che
possiamo individuare il più alto valore pedagogico dell’educazione scientifica. Aprirsi
al confronto con l’alterità, nel rispetto delle idee altrui, rompendo le barriere
dell’egocentrismo è il fondamento di una vita comunitaria regolata da una
convivenza civile e democratica, è l’antidoto d’eccellenza all’intolleranza, alla
repressione di espressione, al dogmatismo.
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2. Il laboratorio nella didattica delle scienze
Si apprende in maniera duratura, per assimilazione e accomodamento, quando ciò
che di nuovo ci si accinge a conoscere ci viene presentato in maniera accattivante;
non è certo e non è neppure presupposto sufficiente perché questo accada, ma è
molto probabile che non vi sia alcun apprendimento quando un argomento viene
presentato in modo poco interessante.
La scelta del modello che sottende al proprio modo di lavoro nella scuola di base
non è inutile né tanto meno indifferente: purtroppo però spesso si passa, come
sostiene Fiorentini, da un disciplinarismo ottuso, che si avvale semplicemente ed
esclusivamente del libro di testo, allo sperimentalismo fine a se stesso o, in
alternativa, ad un metodologismo pedagogico vuoto.1 Ciò che invece può apportare –
e per alcune scuole si può parlare in toni affermativi, ma sono ancora troppe poche!
– un contributo d’innovazione costruttiva è la didattica laboratoriale, non tanto
nell’accezione con cui già veniva concepita cinquant’anni or sono di spazio fisico
organizzato, ma come metodo di lavoro attivo e partecipato. L’insegnante, unico
interlocutore con l’ausilio del libro nella didattica tradizionale, rinuncia al suo
protagonismo per agire sullo sfondo: predispone situazioni problematiche, teatro di
ricerca in cui sono i bambini stessi a ricoprire il ruolo di attori, protagonisti del loro
apprendere. Un insegnamento fondato sul problem solving, sul metodo euristicoinduttivo, è un motore d’innesco di riflessioni divergenti a partire dal fare, dall’agire.
Non avrebbe senso – o per lo meno sarebbe alquanto riduttivo – presentare prima
una teoria e secondariamente provarne l’effettiva funzionalità pratica; non è questa
l’accezione con cui si vuole qui valorizzare questa pratica didattica. Il laboratorio
vuole essere inteso come forma mentis, come processo euristico che oltre alle
conoscenze dichiarative e alle abilità individuali mette in atto competenze procedurali
(saper porre domande coerenti per avanzare nella ricerca, capacità di analisi e sintesi,
saper valutare, ecc.), metacognitive (la capacità di pensare e riflettere su ciò che
abbiamo fatto) e relazionali (saper comunicare con gli altri, saper ascoltare, ecc.).
“Lavorare con le mani” prima, ed essere guidati poi ad estrapolare le teorie e le
conoscenze
che
stanno
sotto
a
quel
“fare”,
coinvolge
i
bambini
in
un’autocostruzione e un autosviluppo epistemico. Si tratta di “fare” non solo con le
mani, ma anche e soprattutto con la mente, impegnata operativamente ad elaborare
strategie di risoluzione; ecco che il fare si lega dialetticamente al pensare.
1
AA.VV., L’educazione scientifica nelle scuole della Toscana. Atti del Convegno. Firenze, 7
dicembre 2001, Giunti, Prato 2002.
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Questo modo di lavorare va posto nella medesima ottica dei metodi ipoteticodeduttivi, problematici, propri della scienza. La contraddizione e l’errore sono parte
essenziale di questa modalità: momenti di apprendimento e di formazione funzionali
ad un accrescimento della conoscenza nella misura in cui rappresentano un anello del
processo cognitivo da cui partire per procedere oltre. Già Enriques nel lontano 1936
scriveva: “Il maestro sa che la comprensione degli errori dei suoi allievi è la cosa più
importante della sua arte didattica […] Tante specie di errori possibili sono
altrettante occasioni di apprendere”.2 O come sosteneva ancora prima Manzoni:
“L’errore porta indirettamente questa utilità, che, cercando nelle cose aspetti nuovi,
provoca le menti savie a osservare più in là, e dà occasione anzi necessità di scoprire.
È come una pietra dove inciampa e cade chi va avanti alla cieca; e per chi sa alzare il
piede diventa scalino.”
Questa metodologia implica, inoltre, un lavoro collaborativo che al tempo stesso è
momento formativo per ciascun soggetto partecipe, sia sul piano cognitivo che
sociale: trovarsi di fronte ad un problema reale ci mette nella condizione di scoprirci
come risorsa e ci aiuta a incrementare le nostre idee combinandole con quelle altrui.
Se anche le nostre tesi non si dimostreranno corrette, il solo fatto di averle
“partorite” con la nostra testa farà sì che le conoscenze scaturite trovino una
collocazione permanente poiché intrise di una motivazione e di un significato
personale. Attraverso una ricerca condivisa, partecipata e ricca di propositività si è
indotti a costruire cooperativamente quanto si deve apprendere. Lavorare in gruppo
richiede però la condivisione e il rispetto di certe regole: non si può improvvisare da
un momento all’altro un lavoro di gruppo, ma è necessario essere iniziati
gradualmente a tale prassi fin dalle prime esperienze di apprendimento. L’abitudine a
lavorare in gruppo porta i componenti di questa piccola comunità a sottoscrivere
tacitamente una sorta di “contratto”; condividendo le regole accettano una
collaborazione reciproca tra pari, tesa ad abbattere le reazioni inibitorie, a sconfiggere
l’atteggiamento difensivo di chiusura tipico di alcuni soggetti, per far convergere le
complesse componenti psicologiche, affettive, cognitive sorte dall’interazione di tutti
verso un obiettivo comune.
Se la conquista del sapere si presenta nelle vesti di una piacevole sfida l’individuo si
predispone positivamente a ricordare ed introiettare l’input recepito; viceversa, se
percepisce la situazione come stressante, si prepara a fronteggiare il pericolo
distogliendo “l’attenzione” dall’indirizzare le informazioni nella memoria a lungo
2
F. Enriques, Il significato della storia del pensiero scientifico, Zanichelli, Bologna 1936, p. 14.
14
termine. Per questo i contenuti “presentati” in forma problematizzata devono situarsi
ad uno step appena superiore rispetto alle conoscenze pregresse3 ed ammettere più
ipotesi plausibili perché possano essere individuate dalle diverse menti operative e
discusse in un confronto aperto. Se la nostra mente viene stimolata da qualcosa che
non conosce ma che percepisce di poter conquistare autonomamente, attiva processi
creativi ed originali. Perché questo si verifichi è richiesto un lavoro preliminare di
progettazione del contenitore-laboratorio e l’individuazione dei passaggi cruciali. Al
docente spetta inoltre il compito di seguire, sostenere e controllare il dispiegarsi dei
percorsi intrapresi dai vari gruppi e re-indirizzarli là dove sia necessario. L’insegnante
guida il cammino dirigendo le operazioni di apprendimento dei discenti; è un
“facilitatore” del percorso che cerca inoltre di promuovere l’interazione dei
componenti i quali fortificano il senso di fiducia negli altri e di autostima.
Un lavoro cooperativo implica una molteplicità di fattori che il docente non solo
deve aver presente, ma che deve soprattutto saper gestire per creare un ambiente di
apprendimento quanto più favorevole. Oltre a saper organizzare un progetto –
definirne gli obiettivi, i contenuti, le risorse e i materiali necessari, prevedere tempi e
spazi adeguati, mettere a punto verifiche e valutazioni – il docente, ingegnere e
costruttore di un ambiente di apprendimento complesso, deve aver sviluppato un
nuovo profilo professionale in cui concorrono differenti competenze: si passa dal
saper lavorare in team alla competenza gestionale del gruppo classe (quindi saper
organizzare i gruppi seguendo un criterio per la loro formazione); saper rilevare i
bisogni degli studenti, e dunque diversificare e personalizzare le consegne per
potenziare l’autostima di chi si dimostra più fragile o ammonire atteggiamenti di
disturbo di altri. Questo modo di lavorare rafforza l’autorevolezza dell’insegnante,
costantemente percepita dagli alunni a discapito di un atteggiamento autoritario.
Dare centralità al bambino che apprende, che si trova a doversi misurare con compiti
complessi, significa considerarlo nella sua interezza, come personalità in continua
evoluzione. Imparare a leggerlo nella sua integrità comporta la capacità di saper
decifrare tutti quei linguaggi non verbali che ciascuno di noi mette in atto nel
relazionarsi con l’alterità: saper utilizzare e interpretare i movimenti corporei, i gesti,
3
Perché vi sia apprendimento non è sufficiente una memorizzazione delle conoscenze, ma è
necessario che queste si integrino con le vecchie conoscenze, che entrino nella struttura del
ragazzo implicandone una modificazione permanente seppur non definitiva poiché si raggiungono
momenti in cui tale struttura non riesce più a contenere le conoscenze e va dunque incontro ad una
ristrutturazione approdando ad un livello superiore. Implementare le strutture mentali serve ad
acquisire competenze trasferibili: possiamo non ricordare tutte le formule studiate in passato se il
nostro percorso non ci ha più richiesto di metterle in atto, ma certamente permane la struttura
logico-matematica che ci consente di impiegare quel modo di ragionare in altri ambiti.
15
l’espressività del volto appartiene alla competenza cosiddetta cinesica, mentre se si
parla di competenza prossemica ci si riferisce alla vicinanza e al contatto con
l’interlocutore.
L’insegnante deve imparare a far tesoro degli ostacoli che insorgono per proporre
strategie innovative: l’insegnante deve saper cambiare!
Privilegiando un metodo didattico induttivo si impara ad apprendere; si impara ad
“interrogare il compito”: analizzare i dati a disposizione, chiedere chiarimenti,
esternare supposizioni, criticare le ipotesi con argomentazioni per giungere a concetti
condivisi e infine verificare quanto proposto.
Tutti i soggetti, se adeguatamente sollecitati, possono apprendere; questo non implica
che tali apprendimenti si tramutino in competenze. Le competenze sono
strettamente correlate all’interesse ed è responsabilità della scuola condurre gli alunni
a scoprire tali interessi. Si dovrebbe ricercare una personalizzazione della didattica
che sia vicina agli interessi dei bambini.
Questo non vuol dire che sia semplice da realizzare! Se l’insegnante è solo – e visti i
tempi che corrono lo sarà sempre di più – e, viceversa i bambini nelle classi
aumentano sempre di più, non è cosa da poco riuscire a seguire tutti i gruppi: captare
l’intervento e il coinvolgimento dei singoli, nonché le modalità di procedere di
ciascun gruppo scaturite dall’incontro sincretico dei diversi software mentali che vi
operano. In un’ottica di continuità (intendo la presenza pluriennale dell’insegnante, e
auspicabilmente non di un solo insegnante ma di un team di docenti), il tempo
dovrebbe essere alleato dell’insegnante per imparare a conoscere sempre più
profondamente i suoi allievi – i loro modi di operare, di pensare, di esporsi, di
proporsi, ecc. In conseguenza di ciò la rilevazione di queste variabili e la successiva
valutazione del lavoro di gruppo diviene più agile.
Al docente è richiesta una professionalità nuova che faccia del metodo scientifico un
paradigma fondante dell’insegnamento: conferire una più generosa considerazione al
feedback permetterebbe di valutare più oggettivamente le scelte operate oltrepassando
la validità stimata aprioristicamente di un determinato intervento didattico.
Riscontrare con consapevolezza l’insuccesso o il limite di una strategia applicata non
è sinonimo di fallimento ma presa di coscienza di dover rimettere in discussione il
percorso intrapreso a favore di una strada alternativa più adeguata a quella specifica
realtà in cui ci troviamo ad operare. Talvolta il medico avanza delle ipotesi sulla base
dei sintomi denunciati dal paziente e prescrive una cura che può dimostrarsi nel
tempo inefficace: questo non significa che non sia un buon medico. La capacità sta
16
nel leggere i dati che abbiamo a disposizione in modo da poter formulare più ipotesi
possibili per scegliere quella che riteniamo più adeguata a quel caso: così si misura la
professionalità del docente.
Con un metodo come quello appena illustrato non si ha la presunzione di trattare il
sapere o una sua parte in maniera esaustiva, ma si vuole fornire a ciascun individuo
un kit di strumenti indispensabili per una ricerca autonoma nel mondo complesso e
in continuo assestamento del sapere.
17
II Capitolo
La scuola tra normativa e realtà
1. Programmazione e Progettazione curricolare: uno
sguardo alle scienze nei Programmi del 1985 e nelle
Indicazioni per il curricolo del 2007
La premessa che ritengo necessario fare è che un’analisi e un confronto tra
Programmi e Indicazioni, riferimento di notevole importanza per ciascun insegnante,
sarà certamente incompleta o più o meno distorta, dal momento in cui venga
condotta, come nel mio caso, da chi nella scuola ancora non può operare
attivamente. Nonostante il corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria
adotti come manifesto quello di affiancare ai corsi teorici laboratori e tirocinio, credo
che ancora vi sia un divario profondo tra essere insegnanti e studiare per diventarlo;
divario che, secondo il mio modesto parere, potrebbe essere se non colmato,
certamente ridimensionato attraverso un maggior intervento di ricerca-azione
dell’Università nella scuola.
I Programmi ministeriali sono stati definiti come “l’edizione nazionale del curricolo
scritta dal legislatore”.4 I caratteri di questo documento normativo, che ha segnato
gran parte della storia scolastica del nostro Paese, possono essere individuati nella
loro unicità sul territorio nazionale, baluardo di un’offerta formativa che garantisse a
tutti le medesime opportunità – senza però tener di conto delle profonde diversità
ambientali e culturali! Non c’è ingiustizia più grande di fare parti eguali fra diseguali,
diceva don Milani. È inoltre un documento prescrittivo, centrato sul raggiungimento
di determinati obiettivi e contenuti didattici e caratterizzato da una forte rigidità in
quanto i destinatari di tali programmi vengono ancora assimilati ad individui astratti,
idealizzati in modelli unidirezionali.5
4
F. Fabbroni, Le dieci parole della didattica, Ethel Editoriale Giorgio Mondatori, Milano 1994, p.
35.
5
Questa accezione tradizionale di programma didattico ha caratterizzato la realtà scolastica
italiana dei primi tre quarti del Novecento, allorché i programmi ministeriali vennero affiancati
dalla programmazione educativo-didattica per rispondere alle specifiche esigenze delle singole
18
I Programmi didattici emanati nel 1985 costituiscono un documento che rompe
drasticamente con la tradizione della scuola italiana.
Da parte di molti insegnanti ci fu una valutazione iniziale piuttosto negativa, che
metteva in evidenza un eccessivo carico contenutistico dei programmi e una
inevitabile trattazione libresca, frontale nonché superficiale di tali innumerevoli
argomenti; a questo giudizio è seguita nel tempo una rivalutazione da parte di molti
di loro.
Per quanto riguarda le discipline scientifiche – che qui prenderemo in considerazione
in quanto oggetto di studio di questo lavoro – un evidente cambiamento rispetto ai
programmi del ‘55 è il conquistato smembramento dalla storia e dalla geografia, con
cui fino a quel momento le scienze erano state accorpate ed insegnate a partire dalla
classe terza. Non più “ancella” di altre discipline o insieme ad altre racchiusa in
generiche ‘Nozioni varie’, ora l’area didattica delle “Scienze” diviene autonoma e
presente fin dal primo anno di scuola. “Per la prima volta, il programma prevede uno
spazio riservato all’insegnamento delle scienze, che consentirà una più approfondita
comprensione della realtà naturale ed umana e del mondo tecnologico.
Questa disciplina - sarebbe corretto dire Area disciplinare -, insieme alla matematica, tende
a sviluppare la capacità di percepire i problemi e a dare spiegazioni rigorose delle
soluzioni. - o meglio, le soluzioni andrebbero avanzate e verificate! -”.6
Ottenute tali conquiste, non tanto perché mancassero affinità metodologiche né
contenutistiche con la storia e la geografia, quanto per concedere uno spazio
autonomo alle scienze che rimuovesse la cristallizzata priorità delle abilità formali del
leggere, scrivere e far di conto, le scienze hanno rivendicato la loro importanza
formativa che non giustificava il ritardato insegnamento nella scuola di base.
Si parla di “acquisizione di conoscenze e abilità che arricchiscano la capacità di
comprendere e rapportarsi con il mondo” come fine generale dell’educazione
scientifica che ha ancora un po’ il sapore di ricezione passiva da parte del discente.
Sensazione che viene però del tutto rimossa già nel primo dei quattro obiettivi
fondamentali in cui si articola la tassonomia che segue la finalità generale appena
analizzata: “lo sviluppo di atteggiamenti di base nei confronti del mondo, come la
tendenza a porre proprie domande, o a coglierle nel discorso degli altri come
motivazione all’osservazione e alla scoperta; l’intraprendenza inventiva soprattutto
scuole (la programmazione diventa definitivamente pratica scolastica prevista per legge con la
L.517/77). Fabbroni la definisce, infatti, l’“edizione locale del manifesto nazionale del curricolo”.
6
Decreto del Presidente della Repubblica 12 febbraio 1985, n. 104. Programmi didattici per la
scuola primaria, (corsivo mio).
19
per quanto riguarda la formulazione di ipotesi e spiegazioni”.7 Fa da protagonista
quella particolare metodologia didattica che va sotto il nome di insegnamento per
problemi, il porsi in maniera interrogativa di fronte al mondo di cui molti fenomeni ci
sfuggono e che, attraverso indagini multidimensionali, libere e prive di pregiudizi,
cerchiamo di arrivare a dominare abbracciando così un raggio sempre maggiore della
misteriosa realtà che ci circonda.
E queste capacità di ragionamento logico, “capacità di analisi delle situazioni e dei
loro elementi costitutivi, la capacità di collegare i dati dell’esperienza in sequenze e
schemi che consentano di prospettare soluzioni e, in certi casi, di effettuare
previsioni, la capacità di distinguere ciò che è certo da ciò che è probabile, la capacità
di formulare semplici ragionamenti ipotetico-deduttivi”, vengono esplicitate nel
secondo ordine di obiettivi. Al terzo ordine, invece, è riservato il controllo e
l’accertamento di validità delle previsioni fatte: dalla semplice osservazione
all’impiego delle tecniche più sofisticate, quali il procedimento sperimentale che
consiste nel ricreare artificialmente le condizioni per verificare o smentire le
previsioni avanzate. Infine, la piramide viene chiusa dalla necessaria praticità e
concretezza del ‘fare’ che viene intimamente ad intrecciarsi col ‘pensare’ in maniera
sempre più stretta ed articolata. Fondamento che riguarda assai da vicino anche
l’educazione tecnica che troverà terreno fertile nel campo delle scienze, con la debita
attenzione e consapevolezza che ad essa non deve assoggettarsi come supplemento
ausiliario: la sua autonomia non deve essere compromessa!
Racchiusa nel titolo ‘Obiettivi e contenuti’ troviamo la seconda parte del programma
di scienze che espone, oltre ai contenuti, alcune indicazioni sul modo di procedere
nell’insegnamento scientifico e sull’impronta matematica da conferirgli, nonché
talune attività da poter svolgere.
Gli argomenti da trattare nel quinquennio vengono enucleati in cinque grandi classi,
generiche al punto da non consentire lacune ma al tempo stesso da lasciare libertà
all’insegnante:
- gli esseri viventi, ivi compresi l’uomo, loro strutture e funzioni, nonché loro
interazioni e rapporti con l’ambiente;
- il mantenimento e la difesa della salute;
- la Terra e il suo posto nell’Universo;
- la gestione delle risorse naturali;
- i materiali e le loro caratteristiche.
7
Ibidem.
20
Punto di partenza per sviluppare la conoscenza che, trasversalmente, fa da sfondo a
tutte le discipline è la vita di tutti i giorni, le esperienze quotidiane direttamente legate
ai bambini e dunque ai loro interessi; proprio per questo si parla di grandi temi
d’integrazione didattica pluri-disciplinare: poiché i problemi attingono elementi
concettuali e operativi da una molteplicità di domini conoscitivi non confinabili entro
singole discipline.
La sezione centrale dei Programmi è dedicata ad una particolareggiata proposta di
attività che funge da bagaglio di risorse da cui gli insegnanti possono attingere per i
loro interventi didattici. Si fa appello alla programmazione quale strumento proprio
dell’insegnante, grazie al quale mettere in atto parte del programma, calibrandolo
sulla classe reale in cui si trova ad operare, tenendo conto dei soggetti in carne ed
ossa che la costituiscono, dei loro background, delle conoscenze teoriche-pratiche in
loro possesso e della loro eventuale rispondenza con i prerequisiti necessari al
perseguimento degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Anche la parte delle
proposte operative è suddivisa in quattro grandi aree tematiche:
- fenomeni fisici e chimici;
- ambienti e cicli naturali;
- organismi: piante, animali, uomo;
- uomo e natura;
a cui è stata aggiunta la tematica ‘uomo – mondo della produzione’ per supplire alla
mancanza di un’area didattica autonoma dell’educazione tecnica.
Un accenno ad alcuni argomenti astronomici di base lo troviamo nell’area
denominata ‘ambienti e cicli naturali’: “Verranno effettuate osservazioni sulle
trasformazioni periodiche degli ambienti naturali durante i cicli stagionali, compiendo
anche rilevazioni quantitative di condizioni e parametri che variano durante l’anno
(temperatura, umidità, piovosità, lunghezza del giorno).
Vanno infine osservati e considerati il movimento apparente del sole e le sue
variazioni nell’arco dell’anno (anche con lo studio delle ombre e la costruzione di
meridiane), la misura del tempo, il movimento e le fasi della luna, il cielo stellato e il
movimento apparente delle stelle.”8
L’ultimo paragrafo della parte dedicata alle scienze è titolato ‘Indicazioni didattiche’.
Si parla di indicazioni quando si vuole mettere a disposizione degli addetti ai lavori
alcune linee guida messe a punto da specialisti che si siano misurati e cimentati in un
particolare argomento. In questo paragrafo, in realtà, più che un supporto al docente
8
Ibidem.
21
vengono espresse norme metodologiche, pedagogiche e didattiche proprie delle
scienze. Queste indicazioni hanno una duplice accezione: se da un lato debbono
lasciare un margine di flessibilità d’attuazione per consentire al docente di adeguarle
al peculiare e sempre mutevole contesto in cui si trova ad operare, dall’altro tali
norme costituiscono l’essenza stessa del metodo scientifico, substrato intrinseco sia
dei fini educativi che dei contenuti didattici. Vediamole una per una.
- La programmazione verrà stilata ogni anno sulla base “degli interessi cognitivi, delle
capacità di comprensione, delle conoscenze già presenti negli alunni delle varie età,
delle opportunità che offre l’ambiente”.9 Si mira ad una progressione del sapere che
gradualmente tende a farsi disciplinare, partendo sempre da un insegnamento per
problemi, che converge in un’interazione diretta con l’oggetto di studio da ricercarsi
nell’esplorazione dell’ambiente circostante oltre che nelle aule di laboratorio;
conoscenza che deve, altresì, essere integrata da informazioni e approfondimenti
ricavati, là dove necessario, da fonti di altro tipo (libri, riviste, audiovisivi, ecc.).
- I contenuti da trattare non sono suddivisi gerarchicamente anno per anno, ma
debbono ciclicamente essere ripresi in un percorso a spirale che torna su se stesso
innalzandosi progressivamente. Tra il primo ed il secondo ciclo c’è, invece, una netta
distinzione metodologica: si partirà con lo stimolare atteggiamenti già presenti nei
bambini – “osservare, descrivere e confrontare gli elementi della realtà circostante
[…] per individuarne somiglianze, differenze ed interrelazioni”10 – fino a sviluppare
progressivamente in loro il metodo scientifico rigoroso. Benché i fondamenti di tale
metodo – coerenza logica e controllabilità – siano già attivabili dalle prime classi, in
linea con la tradizione che introduceva le scienze a partire dalla classe terza, si è
voluto optare per una scelta più morbida e graduale.
- Vi sono numerose proposte operative sulla misura; tema, come vuole la tradizione
d’insegnamento, inserito nel programma di matematica benché sia di pertinenza delle
scienze!
- La base empirica dell’insegnamento scientifico si fa necessaria sia perché costituisce
l’essenza stessa delle scienze – sebbene per alcune, come la chimica e la fisica, sia più
importante che per altre – sia per intercettare “la naturale predisposizione al ‘fare’
(dei bambini), che affina le loro capacità percettive e motorie”, sia perchè “alimenta
la loro vita mentale”.11 La ricchezza delle fonti empiriche rappresenta una risorsa di
9
Ibidem.
Ibidem.
11
Ibidem.
10
22
vitale importanza per la didattica, permettendole di radicare le conoscenze
scientifiche nella realtà dei bambini, connotandole in tal modo di significatività.
- Immancabile, quindi, in un simile contesto il richiamo allo sviluppo dell’educazione
tecnica: “lo smontaggio e rimontaggio attento, a scopo interrogativo o conoscitivo, di
giocattoli, oggetti e semplici apparecchi di uso comune […] sono indispensabili
affinché l’alunno padroneggi l’ambiente artificiale in cui è profondamente immerso”.
Viene inoltre ricordata l’importanza delle visite d’istruzione, sebbene si debba
sottolineare che queste dovrebbero inserirsi nella programmazione in maniera
organica, considerando che non è la lontananza della meta – che introduce molti
problemi di organizzazione! – a misurarne l’efficacia e la qualità!
- Solo un breve cenno viene fatto in merito all’errore: “l’insegnante cercherà di far
emergere dalle discussioni di gruppo gli eventuali errori compiuti nell’attività di
ricerca e nella conseguente interpretazione dei risultati. Ciò in relazione alla necessità
di motivare negli alunni il superamento di quegli errori”.12 La sterminata letteratura
sulla pedagogia dell’errore si riduce qui a queste poche battute che perlomeno non si
lasciano sfuggire l’importanza del confronto nelle discussioni di gruppo: la scienza
socializza l’errore! Nel rispetto delle idee di tutti una didattica siffatta permette altresì
una verifica dei dati che non lascia adito ad interpretazioni soggettive.
- La chiusa delle Indicazioni didattiche vuole essere una valorizzazione della storia
della scienza per incentivare ancor di più la ricerca di tecniche di indagine sempre più
sofisticate che, come in passato, possono portarci a nuove scoperte in un incessante
progresso.
Per quanto riguarda l’accusa mossa ai Programmi dell’85 di “secondarizzare” la
scuola elementare, individuerei il movente sia nella mancanza di formazione degli
attuatori dei programmi e quindi nell’inadeguatezza delle loro competenze, sia nella
carenza di lavoro collegiale.
Nella scuola di base dobbiamo prediligere la qualità a discapito della quantità: pur
essendo animati da buona volontà le ore a disposizione per le scienze sono poche e
le strutture cognitive si distinguono per fasce d’età. Ciò che si propone deve essere
alla portata del discente, del suo sviluppo cognitivo e motivazionale; altrimenti che
senso avrebbe coinvolgere e attivare discussioni su argomenti che i bambini non
sono in grado di comprendere e dunque di assimilare? In ogni caso c’è da fare una
12
Ibidem.
23
distinzione tra i contenuti dei documenti ministeriali e quelli dei sussidiari, dei
manuali, delle attuazioni in classe da parte dei singoli insegnanti.
Se non vi sono adeguati aggiornamenti, se le ore di programmazione si riducono
drasticamente, se le Facoltà di Scienze della Formazione non interagiscono di più
con la scuola, diventa altamente improbabile costruire un contesto intessuto di senso
in cui le conoscenze-abiltà-competenze possano attecchire, mettendo a rischio anche
lo sviluppo di quegli apprendimenti di base perseguiti oltre un secolo fa!
È nell’ultimo decennio che registriamo l’impegno a ricercare un’ulteriore virata, con
l’intenzione di segnare un profondo cambiamento col passato.
Con l’autonomia scolastica,13 dice Cambi, “la scuola cambiava volto non solo
formalmente, ma nel suo ‘vissuto’. Gli insegnanti da esecutori (= funzionari) si
facevano depositari e costruttori di un progetto culturale-formativo, si avvicinavano
ad un tipo di professione più liberale (= esperti di formazione e progettazione
curricolare), erano più uomini di cultura e meno burocrati. L’organizzazione
scolastica metteva al centro il Collegio dei docenti e il Consiglio di classe, chiamati a
fare il lavoro di progettazione formativa ampia e articolata e responsabile.”14
Un sistema di tipo centralistico risulta del tutto inadeguato a soddisfare la domanda
formativa di un territorio vasto ed eterogeneo. Credo che intraprendere un percorso
teso a incentivare un certo grado di autonomia didattica ed organizzativa da parte
delle comunità scolastiche locali sia stata una risposta fondamentale per affermare la
centralità dell’alunno, scardinando programmi rigidi ed eteronomi che avrebbero
dovuto dare risposte uniformi a realtà profondamente diverse.
La teoria del curricolo fa da fondamento alla complessa architettura dell’autonomia
scolastica; il curricolo15 altro non è che il percorso formativo di un certo grado
scolastico o di una disciplina, con la duplice valenza di programma qualora si
considerino i contenuti formativi e di programmazione nel caso in cui si prenda in
esame la sua organizzazione didattica.16
Il passaggio dalla programmazione educativa e didattica alla progettazione dell’offerta
formativa e didattica, intesa come dispositivo più flessibile, definisce il declino dei
13
Regolamento sull'autonomia scolastica DPR (8 marzo 1999 n°275).
F. Cambi, Saperi e competenze, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 7.
15
Il curricolo si ripartisce in due “quote” più una aggiuntiva: la quota nazionale pari al 75-80%
del monte ore scolastico definisce le competenze essenziali, quella locale pari al 20-25% del
monte ore totale, è a disposizione delle scuole per stabilire i contenuti culturali e gli obiettivi
formativi calibrati sui bisogni reali dei propri alunni ed infine una quota extra curricolare che
offre agli alunni la possibilità di scelta tra varie attività facoltative.
16
M. Baldacci, Ripensare il curricolo. Principi educativi e strategie didattiche, Carocci, Roma
2006, p.67.
14
24
Programmi Ministeriali e l’inizio della stagione delle Indicazioni. La funzione della
scuola, dall’alfabetizzazione delle masse e successiva diffusione dei saperi, viene
ripensata a favore della promozione di conoscenze e competenze da costruire per
divenire cittadini attivi e partecipi alla vita sociale, politica, economica. Da ambiente
deputato alla selezione diviene agenzia per la promozione dell’apprendimento di tutti.
E non solo: “ai bambini e alle bambine che la frequentano va offerta l’opportunità di
sviluppare le dimensioni cognitive, emotive, affettive, sociali, corporee, etiche e
religiose, e di acquisire i saperi irrinunciabili. Si pone come scuola formativa che,
attraverso gli alfabeti delle discipline, permette di esercitare differenti potenzialità di
pensiero, ponendo così le premesse per lo sviluppo del pensiero riflessivo e critico.
Per questa via si formano cittadini consapevoli e responsabili a tutti i livelli, da quello
locale a quello europeo”.17 Si mira a guidare lo sviluppo di ogni singola personalità
perché possa integrarsi attivamente e consapevolmente nella società complessa e
poliedrica qual è la società attuale. Proprio per questo, alla programmazione
educativo-didattica che affiancava i Programmi Ministeriali per rispondere
maggiormente alle esigenze locali, subentra un altro dispositivo – la progettazione –
gestito non più a livello centrale dal Ministero, ma direttamente dagli operatori
scolastici per tracciare linee d’azione, costruire traiettorie d’intervento sperimentali
rispondenti ai bisogni specifici e modificabili in itinere per una massima efficienza. La
definizione del curricolo non può estromettere l’intervento diretto degli insegnanti;
perché sia realistica e non mero costrutto teorico deve nascere all’interno del
contesto delle esperienze scolastiche reali, con indicazioni provenienti dalla base, da
chi la scuola la fa, da chi conosce a fondo la vita di classe perché vi partecipa in tutti i
suoi aspetti.
La pura applicazione di un progetto confezionato, seppur di ottima qualità, potrebbe
essere del tutto inadeguata a una specifica realtà scolastica. Un lavoro costruttivo lo si
ottiene non dalla somma di contributi diversificati di esperti specialisti, ma
dall’incontro fecondo del gruppo che collabora e coopera in équipe, nel tentativo di
tracciare una linea didattica capace di integrare le competenze di ciascuno in una
sinergia funzionale al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Un progetto tale non
può essere ingrigliato in una programmazione rigida e definitiva ma, come strumento
pedagogico e didattico a supporto dell’insegnante, dovrebbe configurarsi in linee
guida continuamente plasmabili sui nuovi problemi che sorgono di volta in volta.
17
MPI, Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, p.
42.
25
Una struttura portante che prende forma diversa in risposta al contesto culturale ed
educativo in cui viene attuata.
I docenti dovrebbero interrogarsi circa il modello di scuola e di fare scuola che
hanno nella mente e su quello che più o meno consciamente in realtà fanno e
trasmettono agli alunni stando in classe.
Con le Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo
ciclo d’istruzione redatte nel 2007 si propone la struttura portante del curricolo
lasciando alle singole scuole il compito di riempire tali tracciati di contenuti, metodi e
modalità valutative misurandole col proprio contesto operativo.
Lo stretto rapporto tra scuola e società emerge fin dalla prima parte del documento –
“Cultura Scuola Persona” – che rappresenta la cornice entro la quale si contestualizza
il nuovo progetto curricolare, il cui obiettivo più ampio è quello di “educare alla
convivenza proprio attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali
di ogni studente”.18 Adesso al centro dell’azione formativa non vi è l’idealizzazione
dello studente-tipo, bensì la persona reale con il suo bagaglio esistenzialeesperienziale, nella sua unicità ed irripetibilità. Ecco che diviene compito prioritario
della scuola quello di affiancare “all’insegnare ad apprendere”, “l’insegnare a essere”
(come viene detto nel paragrafo “Per una nuova cittadinanza”).19
Le discipline vengono aggregate in aree disciplinari (linguistico-artistico-espressiva,
storico-geografica, matematico-scientifico-tecnologica) in vista di un costante
dinamismo ed un reciproco flusso tra i saperi, per evitarne la frammentazione a
favore di esperienze interdisciplinari, non solo all’interno di ciascuna area ma anche
tra aree diverse. Tale ripartizione non risponde a motivi organizzativi come invece
accadeva nei Programmi del 1985, ma vuole costituire uno spazio aperto a
contaminazioni epistemologiche tra le diverse discipline. In questo senso la scuola
può assolvere al difficile compito che la vorrebbe come ambiente di apprendimento
dagli orizzonti significativi; perché questo non resti solo sulla carta ma possa
altrimenti divenire fattivo è necessario raggiungere la giusta miscela che unisca
autonomia progettuale delle singole scuole e criteri direttivi validi per tutte le
istituzioni scolastiche. Viene da chiedersi quindi quanto siano prescrittive le
Indicazioni per il curricolo. Ciò che i progetti didattici non devono perdere di vista sono
le competenze e gli obiettivi di apprendimento chiaramente esplicitati nelle
Indicazioni; come raggiungerli lo stabiliscono i team docenti attraverso i processi
18
19
Ibidem, p. 19.
Ibidem.
26
attuativi che chiamano in causa peculiari metodologie, strumenti e attività didattiche
che più di altre ritengono idonee ad incrociare i bisogni e lo stile cognitivo dei
bambini che hanno di fronte. I. Fiorin ha definito questa impostazione “prescrittività
criteriale”, ovvero lasciare quanto più possibile la gestione degli aspetti organizzativodidattici alle singole scuole e renderle al tempo stesso coscienti di quale debba essere
il modello di scuola verso cui tendere, attraverso l’esercizio di un’autonomia tesa a
promuovere il successo formativo di ogni studente.
Matematica, scienze dell’uomo e della natura, tecnologia ed informatica sono gli
argomenti racchiusi nell’area disciplinare matematico-scientifico-tecnologica. Fin
dalle prime righe dedicate a questo campo disciplinare viene posto l’accento sul
collegamento stretto che intercorre tra il “fare” e il “pensare” volto a sviluppare le
“capacità di critica e di giudizio, la consapevolezza che occorre motivare le proprie
affermazioni, l’attitudine ad ascoltare, comprendere e valorizzare argomentazioni e
punti di vista diversi dai propri. Lo sviluppo di un’adeguata competenza scientifica,
matematica, tecnologica di base consente inoltre di leggere e valutare le informazioni
che la società di oggi offre in grande abbondanza”.20 Quale miglior contenitore
didattico di quello laboratoriale offre la possibilità di esercitarsi nella risoluzione dei
problemi cimentandosi in esperienze reali e significative? Grazie all’applicazione
sperimentale si cerca di dare concretezza al pensiero astratto, di imparare a negoziare
visioni ed argomentazioni personali con quelle altrui al fine di costruire conoscenze
valide seppur provvisorie. Due parole vanno spese per chiarire cosa si intende per
problema: un problema è tutto ciò che crea un disequilibrio in una persona o una
provocazione alle sue capacità attraverso un indovinello, un gioco, una situazione
irrisolta in cui ci si imbatte. Perché un problema sia recepito come tale deve sorgere
ai confini tra ciò che conosciamo e l’infinito mondo delle nostre incompetenze, in
quella che Vygotskij definisce “area di sviluppo prossimale”, così da trovare terreno
fertile in cui porre solide radici e da lì, con la guida di un adulto, slanciarsi per la
conquista di un nuovo pezzettino dell’immenso ignoto.21
L’insegnante dovrà inoltre favorire l’acquisizione di linguaggi e strumenti adeguati a
sviluppare il pensiero scientifico.
Metodologia principe delle scienze è quella euristica che, a partire dall’esperienza
diretta, si fa guida “naturale”, non dogmatica né forzatamente indotta, verso una
20
21
Ibidem, p. 91.
Cfr. U. Cattabrini, Matematica, schede per la scuola di base, Le Monnier, Firenze 2001.
27
sempre maggiore organizzazione del pensiero spontaneo procedendo in una sua
graduale formalizzazione.
Per quanto riguarda la scuola primaria,22 per non cadere in un banale nozionismo
enciclopedico, le Indicazioni non prescrivono una lista di contenuti, ma individuano
dei Traguardi per lo sviluppo delle competenze23 per ciascuna disciplina, da raggiungere al
termine della scuola primaria e Obiettivi di apprendimento (strategici per giungere a
conquistare i suddetti traguardi) da raggiungere al termine del terzo e del quinto
anno; i contenuti suggeriti vogliono essere solo esempi di scelte possibili, poiché è
competenza degli insegnanti individuare gli argomenti da trattare oltre a costruire il
reticolo interdisciplinare in cui inserirli.
Gli specifici obiettivi formativi previsti per il quinto anno – livello a cui si colloca il
mio progetto didattico – sono:
Oggetti, materiali e trasformazioni
- Costruire operativamente in connessione a contesti concreti di esperienza quotidiana i
concetti geometrici e fisici fondamentali, in particolare: lunghezze, angoli, superfici,
capacità/volume, peso, temperatura, forza, luce, ecc..
- Passare gradualmente dalla seriazione in base ad una proprietà (ad esempio ordinare oggetti per
peso crescente in base ad allungamenti crescenti di una molla), alla costruzione, taratura e utilizzo
di strumenti anche di uso comune (ad esempio molle per misure di peso, recipienti della vita
quotidiana per misure di volumi/capacità), passando dalle prime misure in unità arbitrarie
(spanne, piedi, …) alle unità convenzionali.
- Indagare i comportamenti di materiali comuni in molteplici situazioni sperimentabili
per individuarne proprietà (consistenza, durezza, trasparenza, elasticità, densità …);
produrre miscele eterogenee e soluzioni, passaggi di stato e combustioni; interpretare
i fenomeni osservati in termini di variabili e di relazioni tra esse, espresse in forma
grafica ed aritmetica.
- Riconoscere invarianze e conservazioni, in termini proto-fisici e proto-chimici, nelle trasformazioni
che caratterizzano l’esperienza quotidiana.
- Riconoscere la plausibilità di primi modelli qualitativi, macroscopici e microscopici,
di trasformazioni fisiche e chimiche. Avvio esperienziale alle idee di irreversibilità e
di energia.
Osservare e sperimentare sul campo
- Proseguire con osservazioni frequenti e regolari a occhio nudo, con la lente di ingrandimento e con lo
stesso stereomicroscopio, con i compagni e da solo di una porzione dell’ambiente nel tempo: un albero,
una siepe, una parte di giardino, per individuare elementi, connessioni e trasformazioni.
- Indagare strutture del suolo, relazione tra suoli e viventi; acque come fenomeno e
come risorsa.
- Distinguere e ricomporre le componenti ambientali, anche grazie all’esplorazione dell’ambiente
naturale e urbano circostante.
-Cogliere la diversità tra ecosistemi (naturali e antropizzati, locali e di altre aree geografiche).
22
Prendo in considerazione solo la scuola primaria perché è ciò che interessa in questa sede.
I traguardi sono da intendersi come “riferimenti per gli insegnanti, indicano piste da percorrere e
aiutano a finalizzare l’azione educativa allo sviluppo integrale dell’alunno” (MPI, Indicazioni, p.
24). Il documento dovrebbe, altresì, esplicitare in maniera più chiara il legame tra detti traguardi e
gli obiettivi di apprendimento.
23
28
- Individuare la diversità dei viventi (intraspecifica e interspecifica) e dei loro comportamenti
(differenze/somiglianze tra piante, animali, funghi e batteri).
- Accedere alla classificazione come strumento interpretativo statico e dinamico delle somiglianze e
delle diversità.
- Proseguire le osservazioni del cielo diurno e notturno su scala mensile e annuale avviando,
attraverso giochi col corpo e costruzione di modelli tridimensionali, all’interpretazione dei moti
osservati, da diversi punti di vista, anche in connessione con l’evoluzione storica dell’astronomia.
L’uomo i viventi e l’ambiente
- Studiare le percezioni umane (luminose, sonore, tattili, di equilibrio, …) e le loro basi biologiche.
- Indagare le relazioni tra organi di senso, fisiologia complessiva e ambienti di vita (anche
confrontando diversi animali appartenenti a gruppi diversi, quali vermi , insetti, anfibi, ecc).
- Confrontare con i sensori artificiali e il loro utilizzo nella vita quotidiana.
- Proseguire lo studio del funzionamento degli organismi e comparare la riproduzione dell’uomo,
degli animali e delle piante.
- Rispettare il proprio corpo in quanto entità irripetibile (educazione alla salute, alimentazione,
rischi per la salute).
- Proseguire l’osservazione e l’interpretazione delle trasformazioni ambientali, ivi
comprese quelle globali, in particolare quelle conseguenti all’azione modificatrice
dell’uomo.
Rispetto
ai
programmi
del
1985
troviamo
elementi
innovativi
che
contraddistinguono la voce in cui si accenna agli argomenti astronomici: non si fa più
riferimento alla mera osservazione di alcuni fenomeni celesti ma, attraverso giochi col
corpo e la costruzione di modelli tridimensionali si avviano i bambini a imparare ad
interpretare ciò che si è osservato, da quanti più possibili punti di vista, tenendo sempre
presente, inoltre, il profondo intreccio con la storia dell’astronomia.
In generale si è andati incontro ad un progressivo riconoscimento e a una
valorizzazione delle discipline scientifiche che, oltre ad anticipare il loro ingresso
nella scuola fin dai primi anni, hanno cambiato volto: da puro nozionismo a sapere in
continua evoluzione e ri-costruzione.
Da questa breve analisi emerge, inoltre, il punto di svolta e di non ritorno: le
Indicazioni, attuale manifesto educativo, rappresentano solo un punto di partenza per
le scuole responsabili della progettazione autonoma di curricoli rispondenti alle
esigenze locali, senza prescindere però dalle disposizioni fornite dal centro a scopo di
assicurare unitarietà al sistema. Un ulteriore passo avanti sia rispetto alle precedenti
Indicazioni (ancora nazionali) e, a maggior ragione, rispetto ai vecchi programmi
ministeriali quali punto d’arrivo verso cui far convergere indiscriminatamente l’azione
di tutte le scuole.
Un unico inconveniente: il documento ministeriale non fornisce alcuna indicazione
circa le metodologie, le tecniche e le strategie didattiche o sulle pratiche di
insegnamento. D’accordo sul fatto che non vi debbano essere in merito indicazioni
29
univoche e vincolanti, nutro altresì in merito alcune perplessità in quanto la
discussione viene rimandata alla preparazione degli insegnanti e alla valutazione del
loro operato; ma si apre un nuovo capitolo che non trova qui il debito spazio per una
esauriente trattazione. Anche ammettendo che le scuole siano soggetti pensanti,
riflessivi, criticamente attivi ed operativi, resta il fatto che le pratiche didattiche
maturate e validate nel tempo da sperimentazioni sul campo restano ad oggi
patrimonio di pochi. Credo che sia di vitale importanza costruire una struttura a rete,
che raggiunga le innumerevoli istituzioni presenti sul territorio per creare uno spazio
comune aperto al dialogo, al confronto, (perché no?) allo scontro – purché
costruttivo – volto a raccogliere, documentare e condividere i preziosi contributi di
ciascuno. Questo per far sì che un documento ricco di spunti e contenuti non resti
vuoto formalismo ma possa trovare una reale attuazione e una capillare diffusione.
Ciò che non viene recuperato dalle tanto discusse Indicazioni Nazionali del 2003 è il
portfolio, un dispositivo volto a certificare non solo le conoscenze acquisite ma anche
le competenze sviluppate ed incrementate in itinere, da parte dell’insegnante e dello
studente stesso, incentivando così lo sviluppo di un atteggiamento auto-valutativo e
meta-riflessivo rispetto ai nuovi livelli raggiunti e alle modalità e ai processi messi in
atto per giungervi. Grazie a questo strumento-documento si costruisce gradualmente
la biografia del ragazzo.
Per un’educazione ad un comportamento critico e responsabile è necessario che
l’insegnante abbia piena coscienza della conoscenza di fondo di ciascun soggetto
affinché possa guidare ognuno a prendere consapevolezza dei propri limiti e da lì
partire per superarli; ecco che il processo di individualizzazione dei programmi si fa
automaticamente indispensabile per raggiungere gli obiettivi prefissati, pur partendo
da situazioni iniziali certamente diverse. Quindi è necessario che gli insegnanti
valutino costantemente il livello raggiunto da ciascun bambino per reindirizzarlo nel
lavoro individuale e di gruppo; questo strumento diviene automaticamente un
riferimento insostituibile, sia per gli insegnanti che per i ragazzi, lungo tutto il
percorso scolastico.
30
2. La dimensione affettiva. Insegnanti e alunni nelle classi
di oggi
Da sempre la prassi scolastica ha volto l’attenzione ai fattori più facilmente
verificabili e “oggettivabili”, dunque alla rendicontazione finale delle conoscenze
apprese (risoluzione di problemi, produzione di testi, ecc.) attraverso prove a cui gli
alunni venivano (e vengono tuttora) sottoposti. Ma proprio quell’approccio
scientifico che assume come propri i paradigmi dell’oggettività, della quantificabilità,
della verificabilità, si è addentrato nell’intricato mondo della soggettività iniziando ad
indagare la complessità dell’individuo, la sfera affettivo-emotiva, i processi mentali, il
non-ripetibile. Il “buco nero” dell’interiorità, di cui nulla sembrava possibile
conoscere, inizia a poco a poco a disvelarsi alle neuroscienze che, scandagliando
l’elaborata architettura della mente umana, hanno evidenziato il profondo intreccio
tra corpo e mente, tra comportamenti esteriori e vissuti interiori.
La dicotomia antitetica mente-corpo affonda le sue radici nell’antichità e non è
ancora stata del tutto superata: soprattutto a scuola il corpo è stato concepito come
una scatola contenente la mente, come qualcosa di minor valenza. L’insegnante
infatti si preoccupava di lavorare sull’acquisizione di conoscenze, di saperi razionali,
mentre il corpo era represso dietro al banco, in una rigorosa immobilità passiva. La
piramide gerarchica delle materie poneva al vertice quelle più prettamente cognitive
(matematica, italiano, storia, ecc.), mentre scivolavano in un piano nettamente
inferiore quelle materie che danno maggiore spazio alla dimensione corporale,
emozionale (educazione fisica, disegno, musica, ecc.). Oggi sono indubbiamente
molteplici i progressi metodologici e didattici cui siamo giunti (un ruolo
importantissimo, ad esempio, è svolto dal gioco e dall’esperienza pratica
laboratoriale); mi domando però, tra programmazioni, progetti e metodologie
innovative, quanti siano gli insegnanti che realmente abbiano ripercorso il proprio
vissuto per un’attenta analisi autoriflessiva; chi, attraverso un processo
metacognitivo, ha ristrutturato i propri schemi mentali e operativi, troppo spesso
orientati a rilevare performance esteriormente osservabili e confrontate con modelli
standard? Ancora oggi soffriamo la mancanza di una formazione alla corporeità, di
un approccio olistico dell’individuo. L’individuo nella sua essenza è tenuto fuori dalla
classe in cui oggi si ripropone di mettere il grembiule affinché si debelli la diversità;
ma, sotto quel grembiule dell’uguaglianza apparente, l’individualità di ognuno,
31
fortunatamente, resta preservata. Come già diceva don Milani più di quarant’anni fa:
“non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali”.24
Le animate contestazioni alle soglie degli anni ‘70 contro una società statica,
portatrice di certi valori politici, sociali, religiosi, ipocriti e borghesi, aprirono la strada
ad una riorganizzazione del paese, chiamato a garantire al cittadino non solo un
intervento di tipo sanitario ed economico necessario per la dignità umana, ma anche
uno sviluppo nell’ambito sociale. Gli interventi sempre più parcellizzati e
differenziati richiedono una crescente specializzazione per rispondere alla specificità
delle esigenze; e così come il contesto sociale nella sua interezza è andato
ridefinendosi negli ultimi trent’anni, di riflesso anche la scuola ha modificato la sua
identità. Le classi sono cambiate, sono eterogenee, abitate da bambini stranieri,
bambini con deficit mentale, fisico o sociale, bambini adottati; creature che
costituiscono un unicum irripetibile, una multi-diversità che ci impedisce
(fortunatamente) di categorizzarli in standard predefiniti.
Nel Villaggio Globale si moltiplicano le opportunità, le tensioni, le interazioni, ma
allo stesso tempo aumentano anche i rischi, le difficoltà da sciogliere e le complessità
da interpretare: l’insegnante spesso non ha l’abilità o il coraggio di ri-pensarsi e riplasmarsi in una società che evolve e si trasforma (nei suoi saperi, nelle scoperte,
nell’umanità esistenziale, …) e tende a rimanere ancorato ad un passato stereotipato;
tutto ciò che è conosciuto e dominato genera una certa ‘rassicurazione di controllo’.
Certo non è facile, quando si è parte del sistema in trasformazione, riuscire a porre
l’occhio fuori dello stesso sistema per operare un’analisi quanto più oggettiva e una
riflessione metacognitiva.
Se da una parte la società postmoderna tende a recuperare il bisogno, il disagio, la
marginalità, dall’altra lo genera: siamo abbagliati dal materialismo più puro,
dall’apparenza ingannevole, dal correre freneticamente tra un centro commerciale e
l’altro dimenticando la nostra essenza e la nostra essenza-nel-mondo, in un
incolmabile impoverimento di attenzione alle relazioni, ai colori, ai sapori, a tutto ciò
che ci circonda. Siamo assaliti da un senso di vuoto, da un malessere dilagante che
cerchiamo di curare attraverso la finzione di sicurezza con gli adulti e ponendoci in
una posizione difensiva e giustificativa con i più piccoli, anziché dialogare con noi
stessi e con gli altri e interrogarci sul perché non sia stato raggiunto un obiettivo e di
chi sia la responsabilità. È necessario rivedere il concetto di educazione affinché
24
Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, San Casciano (Fi)
1986, p.55.
32
possa rispondere a bisogni reali e non stereotipati; è indispensabile un’educazione
che includa la fondamentale dimensione di cura. Ma “solo chi è in grado di prendersi
cura di se stesso, potrà riuscire a prendersi cura degli altri”,25 di agire stando
con/vicino a/collaborando/ascoltando/condividendo, di captare empaticamente
l’individualità dei discenti per poterli meglio comprendere e orientare nel loro
percorso formativo.
È fondamentale avere la consapevolezza delle proprie capacità ma è anche necessario
non fermarsi a ciò che dominiamo; è importante acquisire sempre nuovi strumenti
per una formazione che si perpetua per tutto il corso della vita, per un continuo
aggiornamento, per ri-mettersi in gioco e confrontarsi incessantemente con se stessi.
La formazione va intesa come azione rigenerativa che non ha punto di arrivo, ma è
sempre una ripartenza. Il peggiore dei mali per l’uomo contemporaneo è lo spirito
annoiato, vuoto, stanco; l’anima, di contro, per sopravvivere al proprio tempo,
viverci e diventare “uomo-nel-mondo”, ha bisogno di un esercizio attivo interiore,
del pensiero critico. Ciascuno di noi è artefice del proprio viaggio esistenziale e al
contempo è la migliore cura per se stesso. Interrogarsi, dunque, significa prima di
tutto fare una lettura di sé mediante una sorta di autoconfessione per una
ricomposizione della personalità talvolta sfrangiata, inquieta, irritata; uno scandaglio
interiore che tocca anche i punti più dolorosi ci permette di ricostruire la nostra
esistenza e di prenderne coscienza così da poterla offrire come chiave
d’interpretazione agli altri. L’individualità non è un unicum ma è multipla, una
pluralità di elementi che dialogano e interagiscono dando forma all’uomo; essere
consapevole della complessità dell’essere umano (delle componenti corporea,
mentale ed emozionale di cui si compone ma nella cui semplice giustapposizione non
si risolve!) è fondamentale per l’insegnante che, quindi, dovrà sapersi muovere in
diverse direzioni, cogliendo la multidimensionalità costituente ciascuna personalità
senza avventare risposte univoche o cercare di cristallizzare soluzioni definitive.
L’identità si forma all’interno di un contesto sociale complesso, fluido, che
disorienta, talvolta inquieta perché invia una miriade di impulsi anche contrastanti;
dunque una formazione dinamica vede il soggetto impegnato in una permanente
conversazione con la cultura del proprio tempo, con gli uomini del proprio tempo, in
una tensione in progress che lo porta costantemente a riprogettarsi.
25
A. Mannucci, L. Collacchioni, Insegnante di sostegno ed educatore: incontro tra professionalità
diverse, Aracne, Roma 2008.
33
Là dove c’è diversità nasce il dialogo, il confronto, lo scontro, comunque un
arricchimento che ci abitua a pensare, a considerare le diverse visioni del mondo che
ognuno di noi ha, senza ritenere che tutto ciò che ci viene offerto sia verità assoluta.
La diversità è un elemento valoriale che non può e non deve essere motivo di
segregazione, di esclusione e neppure di tolleranza. Il dialogo è la miglior forma per
tenere in vita la conoscenza e deve essere valorizzato come potenzialità che ci
consente una maggiore comprensione degli altri e di noi stessi, un più alto grado di
consapevolezza; produce vicinanza, comunicazione, empatia. Che insegnante
potrebbe essere colui che non ha intelligenza emotiva, corporea, empatica?
Professionalità significa empatia, ascolto, attenzione, dialogo. Oggi, a differenza di
ieri, l’insegnante dovrebbe essere una persona accogliente (accoglie gli altri facendo
capire che è sempre presente), incoraggiante (si può partire dall’errore per evitare di
ripeterlo), empatica (ascolta l’altro in modo partecipato). Avere un approccio
professionale di cura vuol dire avere una forte motivazione, imparare a confrontarsi
con situazioni che possono mettere in crisi, con problematiche che insorgono dal
relazionarsi con personalità e istituzioni diverse; all’insegnante è richiesto di saper
gestire la classe, non basta il solo sapere disciplinare né il saper insegnare. Il contatto
con il disagio può arrivare a logorare e non c’è riconoscimento sociale né tanto meno
economico. È facile cadere in uno scontro aperto con se stessi e con le proprie
difficoltà se non si ha una buona capacità di equilibrio tra distacco e coinvolgimento
emotivo. La scuola, oltre ad essere portatrice di apprendimenti, di conoscenze
tecniche in costruzione, è anche un susseguirsi di momenti di inculturazione,
caratterizzati dalla cultura e dal modo di stare insieme della comunità (famiglia,
classe, amici, gruppo di lavoro) di cui ciascuno di noi fa parte; questo sapere non
tecnico scaturisce dai processi di socializzazione e rappresenta un momento saliente
della formazione, perché entra a far parte del nostro vivere e agire quotidiano.
Purtroppo, o per fortuna, questi valori costituenti la persona stessa non sono
acquisibili sui libri di testo, né verificabili con una prova oggettiva; l’insegnante, con
la sua sensibilità e professionalità, deve riuscire a leggere, anche là dove non siano
esplicitamente manifesti, quei messaggi e quei segnali che i bambini continuamente
inviano, interpretandone così i bisogni educativi speciali.26 Non può prescindere da
tali capacità comunicative e relazionali perchè costituiscono la premessa per creare
un rapporto attento e rispettoso dell’altro, per saper guardare con occhi nuovi
26
A. Mannucci, L. Collacchioni, Insegnante di sostegno ed educatore: incontro tra professionalità
diverse, Aracne, Roma 2008.
34
all’individuo nella sua dimensione globale che tra i domini conoscitivi comprende,
oltre a quelli sensoriale-percettivo e razionale, una sfera emozionale, corporale,
sessuale, affettivo-relazionale, certo non trascurabili.
Ma gli insegnanti per primi ascoltano il proprio “Io”? O meglio lo ri-cercano?
Sperimentano il loro corpo come strumento d’indagine e d’espressione? Hanno mai
fatto esercizi teatrali sulla fiducia in se stessi e nell’altro? Giocano ancora? Solo
quando gli insegnanti cercheranno queste risposte e smantelleranno tutte quelle
barriere imposte ai più piccoli come limiti invalicabili, si potrà forse instaurare un
rapporto di fiducia e di ascolto reciproco in un rapporto alla “pari”, dove i bambini
potranno sentirsi protagonisti, ricercatori di nuovi interrogativi a cui trovare risposte;
si potrà così tentare l’impresa titanica di formare futuri cittadini del mondo, critici,
responsabili e rispettosi di principi che diverranno principi etici e modi di pensiero e
di vita, piuttosto che adoperarci nell’inutile e fallimentare tentativo di imporre regole
eteronome, cioè dettate dall’esterno e quindi sicuramente violate. Sviluppare un
pensiero critico significa emanciparsi, rendersi autonomi di scegliere.
35
III Capitolo
Lo sviluppo mentale e la formazione dei concetti
scientifici: teorie e modelli di riferimento
1. Il modello piagetiano
A partire dalla metà del secolo scorso la pedagogia fu attraversata da un’onda
rivoluzionaria, alimentata da ricerche psicopedagogiche e linguistiche, che iniziarono
ad indagare la mente umana ponendo l’attenzione alle strutture del pensiero, ai
processi di costruzione del linguaggio e dei concetti, apportando significativi
contributi allo studio di problemi educativi quali l’apprendimento e lo sviluppo
cognitivo.
Uno dei protagonisti della scena è certamente Piaget,27 psicologo svizzero il cui
interesse fu rivolto fin dal principio all’epistemologia (in particolare Piaget ha
teorizzato l’epistemologia genetica, quella disciplina che cerca di spiegare i processi
cognitivi umani attraverso i quali maturano le strutture logiche della mente). Proprio
per proseguire alcune sue ricerche su base empirica in questo campo, Piaget si
avvicinò alla psicologia dell’età evolutiva. Studiò a lungo il pensiero e giunse, oltre a
distinguere qualitativamente il pensiero adulto da quello infantile, a scandire lo
sviluppo cognitivo della mente infantile in quattro differenti fasi:
- Lo stadio senso-motorio (dalla nascita fino ai due anni), in cui il bambino non
distingue il sé dal mondo circostante, ma attraverso il corpo inizia ad interagire con
esso; sposta gli oggetti, li manipola, li smonta e li rimonta ed è questo agire
spontaneo con e sulle cose che lo porta a captare certi rapporti formali tra gli oggetti
e lo spazio che lo circondano. Si formano i primi schemi elementari: il bambino
ripete ciò che gli è funzionale e il successo del risultato farà assimilare tale
comportamento in uno schema; potrà capitare però che l’applicazione di questo
schema d’azione non risponda, in una nuova situazione, alle esigenze; ecco che il
bambino dovrà sperimentarsi in nuovi comportamenti fino a quando si sarà
accomodato alla nuova situazione. Si tratta di un periodo di straordinaria importanza
per il successivo sviluppo psichico della persona, che consiste, come afferma lo
27
Jean Piaget (Neuchatel 1896 – Ginevra 1980), psicologo svizzero.
36
stesso Piaget, nella conquista di tutto l’universo pratico che circonda il bambino, per
mezzo della percezione e del movimento. L’intelligenza sensomotoria si sviluppa a
partire dall’esperienza e permette il passaggio da una percezione sincretica (globale e
non strutturata) ad una analitica e sintetica.
- Lo stadio preoperatorio (dai due ai sette anni) è ancora contrassegnato da un
pensiero egocentrico, in quanto il bambino si percepisce come distinto dalla realtà
ma non riconosce ancora punti di vista diversi dal proprio. A questo stadio ha inizio
lo sviluppo del pensiero, inteso come “sequenza di processi mentali sostitutivi di
un’azione (leggi: esperienza)”;28 grazie allo sviluppo della funzione simbolica e del
linguaggio il bambino diviene capace di tradurre, rappresentarsi e raccontare azioni
passate o pronostici futuri (strutture fondamentali che verranno ampiamente messe
in atto nell’apprendimento delle conoscenze scientifiche). Dai quattro ai sette anni,
nel periodo del pensiero intuitivo, il pensiero del bambino segue il dispiegarsi del suo
parlare, pur non avendo consapevolezza di tutto ciò che dice. Ma le immagini
mentali si susseguono in sequenze lineari ed irreversibili: la realtà, agli occhi del
bambino, è una struttura immutabile.29
- Lo stadio operatorio concreto (dai sette agli undici anni)30 si caratterizza per la
perdita di rigidità del pensiero a favore della componibilità e della reversibilità:
ordinare secondo il criterio di grandezza, smontare e ricomporre un meccanismo,
classificare degli oggetti secondo un certo criterio prestabilito, ecc., sono tutte
operazioni che richiedono la facoltà di poter cancellare mentalmente un’operazione e
sostituirla con la sua complementare, uguale e contraria; tale abilità resta, a questo
stadio, ancora legata all’azione, ma risulta indispensabile perché abbia inizio una
conoscenza di tipo scientifico.31 Il pensiero da sequenziale si fa reticolare, capace di
comporre singole rappresentazioni o relazioni in strutture d’insieme più complesse,
benché esso abbia origine sempre dall’esperienza diretta; ma la capacità di rilevare lo
stato di un sistema come risultato di una trasformazione rappresenta una conquista
essenziale per l’apprendimento scientifico. Anche gli schemi del pensiero pre28
L. Trisciuzzi, M.A. Galanti, Pedagogia e didattica speciale per insegnanti di sostegno e
operatori della formazione, ETS, Pisa 2001, p.128.
29
Una conseguenza del pensiero irreversibile nell’apprendimento scientifico è quella, per
esempio, di non percepire il principio di conservazione della materia nelle trasformazioni fisiche.
Agli occhi del bambino, la quantità di pongo contenuta in un cubetto che venga modellato in un
cilindro, risulterà maggiorata o diminuita a seconda che la sua percezione catturi la lunghezza o il
diametro del cilindretto.
30
Livello in cui rientrano i bambini, di dieci e undici anni, con i quali ho svolto il mio progetto
didattico.
31
Grazie a questa nuova conquista, il bambino può uscire dalle impressioni soggettive per aprirsi
ad un confronto continuo con la realtà in cui trovare conferme o contraddizioni con le proprie
aspettative; egli inizia, quindi, a percepire correttamente il rapporto causale degli eventi fisici.
37
operatorio trovano qui una sintesi unitaria. Il bambino inizia a decentrarsi uscendo a
poco a poco dalla precedente visione fissista della realtà: un tipico esempio è dato dal
gioco di gruppo in cui vi sono delle regole condivise che da un lato lasciano libertà
d’azione e al tempo stesso la racchiudono entro i confini imposti dalla regola stessa.
Anche la visione della realtà diviene più operativa: dall’età di otto anni si comincia a
percepire la prospettiva e quindi i molteplici potenziali punti di vista di uno stesso
oggetto.
- Lo stadio operatorio astratto (dagli undici ai quindici anni), rappresenta il livello in
cui il pensiero diviene adulto, raggiungendo il massimo sviluppo strutturale;
spogliandosi dei contenuti immediatamente percettibili resta la pura forma, ovvero la
capacità di operare in astratto su semplici ipotesi e procedere per via deduttiva.
Questo passaggio è reso possibile grazie alla maturazione di una nuova struttura
logica in grado di operare sul solo ragionamento formale senza doversi appellare
all’esperienza e dunque al supporto della sperimentazione concreta.
La matrice dell’apprendimento viene individuata da Piaget nell’interazione tra
individuo e ambiente, in particolare nel processo di adattamento dell’organismo
all’ambiente attraverso il quale il soggetto costruisce e ricostruisce attivamente la
conoscenza, in una perpetua ricerca di equilibrio.32 Fin dalla primissima infanzia,
infatti, la mente del bambino stabilisce un contatto percettivo continuo con
l’ambiente e da questa interazione si formano schemi e strutture che il bambino
assimila come stabili e costitutivi della mente stessa, fino a che una nuova esperienza
evidenzierà la loro inefficacia e costringerà il bambino a ristrutturare i propri schemi
raggiungendo nella sua mente un nuovo equilibrio. L’evoluzione graduale
dell’intelligenza muove da una visione soggettivistica, animistica e artificiale della
realtà, ma attraverso scoperte, contraddizioni, adattamenti, giunge a sviluppare
operazioni sempre più complesse fino a percepire oggettivamente la realtà e a
dominare un uso formale dei concetti logici. Tali principi psico-biologici che stanno
alla base dello sviluppo delle funzioni cognitive dovrebbero trovare una trasposizione
pratica in una scuola attiva che mira a far apprendere agli alunni “un metodo che
servirà loro per tutta la vita”.
Per quanto riguarda le scienze Piaget attribuisce grande rilievo sia all’insegnamento di
questa disciplina che alle procedure didattiche attraverso le quali veicolarlo. Sono
secoli ormai che l’uomo indaga la natura per giungere a decifrare il linguaggio in cui è
32
Questa esigenza di riequilibrio costante con l’ambiente nasce dal bisogno dell’individuo di
controllare il mondo esterno, di ampliare sempre di più il dominio degli avvenimenti nello spazio
e nel tempo; tale bisogno costituisce la base stessa dell’apprendimento.
38
scritto questo splendido libro a cielo aperto, apparentemente semplice ma in realtà
assai complesso e misterioso: attraverso l’osservazione e l’esperienza gli scienziati
cercano sempre nuove regole capaci di spiegare e prevedere i fenomeni naturali.
Anche l’obiettivo principale dell’educazione scientifica non è tanto quello di trasferire
ai bambini i contenuti svelati e dominati dagli intellettuali, ma di renderli soggetti
pensanti capaci di operare attraverso il linguaggio simbolico e formale, di pensare in
astratto e procedere con ragionamenti in termini di pura logica formale, grazie alla
maturazione delle strutture logico-matematiche.
Alla luce di quanto detto sulle diverse fasi di sviluppo delle facoltà mentali, diventa
obbligatorio per l’insegnamento scientifico, perché risulti appropriato ed efficace,
proporzionare contenuti e metodi di insegnamento alle strutture recettive interiori
del bambino; il lavoro didattico nel suo complesso deve tener di conto delle effettive
capacità del bambino affinché i concetti possano essere ricavati dall’esperienza, fissati
operativamente e quindi assimilati. L’intelligenza, come si è detto, è di origine
biologica e procede nella propria evoluzione di pari passo alla maturazione del
sistema nervoso e, quindi, all’età del soggetto; conoscere lo sviluppo delle strutture
mentali significa conoscere i modi ed i tempi di edificazione e funzionamento del
pensiero, da cui l’insegnante dovrebbe partire per programmare l’intervento didattico
con consapevolezza, calibrandolo con lo sviluppo mentale del discente. Per questo è
importante perfezionare o trovare nuovi strumenti capaci di supportare gli insegnanti
nell’indagine, perché possano capire gli effettivi livelli di maturazione delle funzioni
psichiche dei loro allievi.
Ancora oggi si riscontra un’oggettiva difficoltà, e una conseguente avversità, degli
studenti per le materie scientifiche; la conoscenza della psicologia dello sviluppo
dall’infanzia all’età adolescenziale può aiutare un insegnante a scegliere obiettivi,
contenuti e metodi adeguati al livello di maturazione raggiunto dai propri allievi per
una programmazione curricolare appropriata.
Forse la mente infantile descritta da Piaget è stata ‘universalizzata’ benché le sue
ricerche fossero state fatte su bambini tipicamente occidentali, forse è
eccessivamente scientifica e poco socializzata, ma indubbiamente resta un punto di
riferimento per lo studio dell’apprendimento e delle metodologie educative.
39
2. Vygotskij e lo sviluppo dei concetti scientifici
nell’infanzia
Un altro indubbio riconoscimento per i contributi apportati nello studio dei processi
cognitivi e sull’origine del linguaggio va a Vygotskij,33 psicologo sovietico anch’esso
protagonista della pedagogia del Novecento, la cui ricerca si muove però agli antipodi
di quella piagetiana, fortemente criticata per taluni aspetti. L’attività mentale
governata da operazioni di tipo logico, secondo la teoria piagetiana, costituisce il
filtro attraverso il quale costruiamo la conoscenza. La mente è un insieme di
operazioni logiche che vengono costituendosi con l’interiorizzazione delle azioni e
potenziandosi allorché il pensiero stesso diviene oggetto di tali operazioni. Benché
non si evinca quale sia il motore o la causa di questo progressivo sviluppo, è invece
certo, per Piaget, che la mente segue il medesimo percorso in tutti i soggetti
indipendentemente dai diversi vissuti che la accompagnano. Sebbene fosse
incompleta ed eccessivamente rigida, la teoria psicologico-evolutiva a base
cognitivistica, avanzata da Piaget, sanciva una netta rottura col passato e poneva le
basi della nuova pedagogia cognitiva. Il metodo clinico dello studioso mise in luce il
pensiero e il linguaggio del bambino rivoluzionandone lo studio; fu un contributo di
indiscussa importanza, che non tenne però di conto del ruolo formativo del contesto
storico-sociale in cui ciascun individuo nasce e si sviluppa. Vygotskij non considerava
possibile guardare alla mente come un sistema endogeno, chiuso rispetto al contesto
interrelazionale che ci permea, al sistema culturale cui apparteniamo. Era necessario
tenere “in considerazione le esigenze, le pulsioni del bambino, gli impulsi, i motivi
della sua attività, senza i quali […] non avviene mai il passaggio del bambino da una
fase all’altra”.
Il “bambino epistemico”, di cui Piaget aveva indagato le strutture cognitive
attraverso le quali si costruisce e si trasforma continuamente la conoscenza, diviene
adesso un “bambino culturale”, immerso in un “bagno” storico-culturale che
contamina e modifica le funzioni psichiche nel corso del loro sviluppo.
L’originalità dello studio di Piaget è attribuibile principalmente all’indagine – fondata
su un metodo di analisi empirico – delle caratteristiche e dei comportamenti mentali
qualitativamente distintivi del pensiero del bambino rispetto a quello adulto.
Vygotskij non nega l’importanza di questo apporto per la ricerca sulla psicologia
infantile, ma supera tale posizione riconoscendo nella comunicazione e nel contatto
33
Lev Vygotskij (Gomel 1896 – Mosca 1934), psicologo sovietico.
40
sociale la funzione primaria dello sviluppo cognitivo infantile. L’apprendimento,
secondo lo psicologo, è “socializzato”, ha inizio cioè nel momento in cui il bambino
comincia ad interagire con le persone del proprio ambiente – quindi precede la
competenza individuale – e attraverso tale interazione egli modifica ed autoregola il
proprio comportamento.
La scuola è uno dei principali luoghi di formazione dei concetti, ed è per questo che
Vygotskij riconosce all’istruzione una funzione determinante per lo sviluppo del
bambino; non più, come voleva Piaget, quella di soppiantare gradualmente i modi di
pensare del bambino con quelli dell’adulto, ma la responsabilità di dirigere
adeguatamente ed efficacemente lo sviluppo mentale del bambino affinché diventi
cosciente dei propri processi di sviluppo.
La scuola porta il bambino a diretto contatto con i concetti scientifici, i quali
richiedono consapevolezza e controllo intenzionale ed esercitano così le più alte
funzioni psichiche e intellettive. “L’istruzione scolastica induce un tipo di percezione
generalizzante e in tal modo svolge un ruolo decisivo nel far sì che il bambino diventi
cosciente dei propri processi mentali. I concetti scientifici, con il loro sistema
gerarchico di interrelazioni, sembrano essere il mezzo nel quale la consapevolezza e
la padronanza si sviluppano per primi, per trasferirsi più tardi in altri concetti ed in
altre aree del pensiero”.34
Un concetto diviene consapevole e controllabile allorché diventa parte integrante di
un più ampio sistema gerarchico con diversi gradi di generalità. I concetti scientifici
ricoprono un ruolo particolarmente importante poiché sono essi stessi portatori
intrinseci di rapporti di generalità; sono loro infatti a porre le basi, nella mente del
bambino, di una sistematizzazione successivamente estesa ai concetti quotidiani, che
vengono via via ristrutturati in ordini di livello sempre più elevato e complesso.
Anche Piaget si era preoccupato di distinguere i concetti spontanei da quelli
influenzati dal mondo adulto, ma riteneva che solo i primi potessero svelare le
caratteristiche del pensiero del bambino, e che gradualmente venissero del tutto
sostituite sino al completo sviluppo del pensiero adulto. Differentemente, per
Vygotskij, lo sviluppo e l’apprendimento non sono più un susseguirsi predeterminato
di strutture di conoscenza sempre più rispondenti alla realtà (vista come complesso
di eventi fisici) rispetto a quelle antecedenti; nel passare da uno stadio all’altro,
cambia la natura stessa dello sviluppo che, da una dimensione biologica dominata da
processi psichici naturali, passa ad una dimensione socio-storica governata da
34
L.S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, trad. it., Giunti Editore, Prato 2007, pp. 118, 119.
41
processi superiori e culturali. Queste due matrici dello sviluppo cognitivo, l’una
naturale e l’altra culturale, portano alla formazione di due diversi tipi di concetti,
quelli spontanei e quelli scientifici, tra cui intercorre una stretta relazione e influenza
reciproca: i primi sono frutto di un apprendimento costruito spontaneamente,
attraverso l’esperienza, che procede dal basso verso l’alto in un percorso ascendente,
mentre i secondi sono il risultato di un apprendimento intenzionale35 e cosciente che
muove dalla direzione opposta; parte infatti dall’alto per scendere gradualmente
verso un livello più elementare fino ad incontrare i concetti spontanei: da qui ha
inizio una graduale ristrutturazione dei concetti di ordine quotidiano in un sistema
organizzato, per giungere infine ad un loro uso deliberato e cosciente. “La coscienza
riflessiva arriva al bambino attraverso i concetti scientifici”.36 Questo fu il rapporto e
il processo di formazione dei concetti37 avanzato da Vygotskij per rispondere ai
quesiti che si era posto: “Che cosa accade, nella mente del bambino, dei concetti
scientifici ch’egli apprende a scuola? Quale rapporto esiste tra l’assimilazione
dell’informazione e lo sviluppo interno del concetto scientifico nella coscienza del
bambino?”.38 Egli, infatti, non riteneva valida nessuna delle due teorie allora in
vigore: una sosteneva un puro assorbimento dei concetti scientifici, senza
considerare alcuno sviluppo interno dei suddetti. Ma appare immediatamente
evidente la futilità e l’inefficacia di insegnare direttamente un concetto; sarebbe come
voler insegnare ad un bambino ad andare in bicicletta con le leggi dell’equilibrio!
L’unico risultato ottenibile altro non sarebbe che una pura ripetizione mnemonica
volta soltanto a coprire un vuoto. E non accreditava neppure l’altra teoria che
riconosceva sì un processo di sviluppo nella conquista dei concetti scientifici, senza
però distinguerlo dal processo di sviluppo dei concetti spontanei. Le due principali
teorie cui si ricorreva per dare spiegazione alla formazione dei concetti si limitavano,
l’una a definire verbalmente il contenuto del concetto – senza considerare, oltretutto,
35
Perché un concetto scientifico possa essere assorbito è necessario che il concetto spontaneo ad
esso corrispondente abbia raggiunto un determinato livello; non sono affatto due processi
indipendenti e da questo consegue che l’insegnante non può ignorare le modalità e i tempi in cui il
bambino sviluppa i concetti spontanei.
36
L.S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, trad. it., Giunti Editore, Prato 2007, p. 119.
37
Il processo di formazione dei concetti si articola in tre fasi: la fase del mucchio, in cui il
bambino associa ad una parola un agglomerato di oggetti confusi che per qualche motivo si sono
fusi nella sua mente, a cui segue il modo di pensare per “complessi”, che riunisce gli oggetti in
raggruppamenti ancora fattuali ma in base ad attributi e rapporti effettivamente sussistenti (a cui
appartengono gli pseudo-concetti, acquisiti attraverso la mediazione degli adulti e i concetti
potenziali, ovvero raggruppamenti fatti per astrazione di una caratteristica comune); infine si
giunge alla formazione dei concetti veri e propri procedendo per generalizzazioni o attraverso
operazioni di astrazione e di scelta.
38
L.S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, trad. it., Giunti Editore, Prato 2007, p. 107.
42
che il significato delle parole evolve in una crescente generalizzazione – mentre l’altra
teneva di conto il ruolo giocato dai processi psichici nella formazione del concetto,
dimenticando però quello della parola. L’apprendimento da cui si genera la
conoscenza non può scaturire da un insegnamento per definizione né da un processo
d’astrazione, ma nasce da un confronto e dalla negoziazione di significati con gli altri.
Non esiste una Conoscenza da conquistare una volta per tutte, ma un processo attivo
e consapevole di auto-generazione della conoscenza stessa da sviluppare, attraverso il
quale trasformarla e contestualizzarla per tutto l’arco della vita. La scuola, pertanto,
diviene luogo di sperimentazione e di ricerca, in cui si impara ad apprendere. Si
evince la sua nuova funzione strategica che, da luogo di trasmissione di contenuti, la
trasforma in occasione di emancipazione di ciascun soggetto, perseguendo lo
sviluppo e la maturazione di un processo di apprendimento autonomo e capace di
autoalimentarsi.
“L’insegnamento è una delle fonti principali dei concetti dello scolaro, ed è anche
una forza che può dirigere molto efficacemente la loro evoluzione; esso determina il
destino di tutto lo sviluppo mentale del bambino”.39
Sebbene Vygotskij riconosca uno sviluppo studiale delle funzioni psico-intellettive,
diversamente da Piaget non ammette un procedere sequenziale/rettilineo/lineare del
processo di maturazione degli stadi evolutivi, bensì li connota di possibili
interferenze,
involuzioni,
contaminazioni
provenienti
dall’ambiente;
sulla
maturazione di tutti i soggetti cultura ed istruzione possono incidere moltissimo e
risulta, dunque, impossibile individuare un ingranaggio meccanicistico alla base dei
processi cognitivi e di apprendimento. A questo proposito introduce concetti
importanti quali quello di anticipazione e sviluppo potenziale. “Il divario tra l’età
mentale effettiva di un bambino e il livello ch’egli raggiunge risolvendo certi
problemi con un po’ d’aiuto, indica la zona del suo sviluppo ‘prossimale’”.40 Da
questo si evince l’importanza e l’influenza dell’insegnamento e dell’aiuto degli adulti
durante lo sviluppo infantile e adolescenziale, grazie al quale gli alunni che abbiano
raggiunto il livello minimo di maturità delle funzioni coinvolte in un certo
insegnamento possono progredire nel loro sviluppo arrivando a risolvere
cooperativamente problemi che non sarebbero stati in grado di risolvere da soli.
Lavorando con gli adulti o tra pari che abbiano raggiunto livelli superiori di sviluppo,
il bambino può arrivare là dove da solo avrebbe fallito ed essere in grado, da quel
39
40
Ibidem, p. 111.
Ibidem, p. 132.
43
momento in poi, di giungervi in modo indipendente. Da questo si deduce quanto sia
importante il lavoro collaborativo ed interattivo con l’alterità, che caratterizza
l’apprendimento come prettamente sociale. Agire in anticipo su funzioni che si
trovano ad uno stadio embrionale ne velocizza i processi di maturazione. Il processo
di apprendimento non segue il processo di sviluppo, né i due processi coincidono e
tanto meno sono assolutamente distinti e indipendenti l’uno dall’altro: piuttosto,
l’apprendimento – che crea l’area di sviluppo prossimale – anticipa e guida il
processo di sviluppo. L’istruzione, dunque, anziché cristallizzare le potenzialità delle
facoltà mentali rimanendo ad un livello adatto, giusto e misurato sullo sviluppo
raggiunto senza apportare così alcun progresso nello sviluppo stesso, deve precedere
e guidare lo sviluppo.
Proporre un argomento nuovo comporta, quindi, come premessa necessaria, il saper
condurre un’indagine in grado di rilevare possibili pregiudizi, preconoscenze,
immagini legate all’immaginario fantastico che ciascun bambino si costruisce durante
i primi anni della propria esistenza, legati al senso comune o trasmessi dai mezzi di
comunicazione di massa che entrano a far parte del bagaglio cognitivo del bambino
come verità stabili, con una forza che perdura nel corso degli anni sebbene non siano
altrettanto profondamente compresi e consapevoli. Questo ci permette di dedurre
quali siano le strutture cognitive attraverso le quali i bambini costruiscono le
conoscenze e, di conseguenza, osservare le nuove strutturazioni utili e funzionali che
si formano nel tempo, il linguaggio naturale a cui i bambini ricorrono e le immagini
che associano a certi concetti basilari per affrontare l’argomento. Si tratta di un
procedimento ineludibile se vogliamo agire sulla zona di sviluppo prossimale, in un
processo ascendente che poggi però su ciò che già si conosce.
Gli studi vygotskijani rappresentano ancora oggi un’ottima risorsa circa la messa a
punto di ambienti di apprendimento significativi ed attivi, luoghi prediletti in cui far
nascere dialoghi, argomentazioni, discussioni e confronti attraverso i quali ciascuno
può scoprire e superare l’incoerenza delle proprie idee pregresse grazie ad
un’interazione guidata.
Sebbene gli apporti di questi modelli siano diversi e talvolta discordanti, essi
suggeriscono riflessioni che debbono tradursi sul piano didattico e metodologico per
rispondere ai bisogni e agli interessi degli studenti. L’insegnante che abbia gli
strumenti per indagare gli schemi conoscitivi presenti nel bambino ha la facoltà di
scegliere consapevolmente le proposte didattiche nel rispetto degli stadi di sviluppo
raggiunti (secondo la teoria piagetiana), ma anche la possibilità di prevedere quanto
44
sia opportuno insistere su una situazione problematica perché vada ad agire nella
zona di sviluppo prossimale, seguendo la lezione di Vygotskij.
45
IV Capitolo
Il progetto: “Col naso all’insù: un’astronomia a portata
di bambino”
1.
L’astronomia
nella
scuola
primaria:
una
sfida
(purtroppo!) ancora attuale
L’Astronomia è una scienza antichissima: fin dalla notte dei tempi l’uomo, osservata
la periodicità di alcuni fenomeni celesti, ha sentito l’esigenza di studiarli e
comprenderne il ripetersi, giungendo così a “leggere” il cielo per orientarsi e per
organizzare il proprio lavoro agricolo (le costellazioni venivano usate per
l’orientamento e la navigazione, i mutamenti stagionali come riferimenti per
l’agricoltura).
Eppure a tutt’oggi la scienza del cosmo sembra troppo spesso appartenere alla realtà
scolastica come puro nozionismo, di contro a ciò che sosteneva Galileo: “I discorsi
nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta”.41
Sarebbe auspicabile, infatti, intervenire attraverso attività quali il gioco o l’esperienza
pratica laboratoriale che rappresentano il miglior involucro nel quale avvolgere
l’insegnamento: strumenti utili per sviluppare e affinare la motricità fine, che
enfatizzano la capacità di osservazione, la curiosità e la manualità così presenti in
germe in tutti i bambini senza lasciare, come troppo spesso avviene, che queste
risorse non stimolate a poco a poco si addormentino: la meraviglia, come sosteneva
Bacone, è il seme da cui si genera la conoscenza e, come affermava Kant, “non c’è
alcun dubbio che ogni nostra conoscenza cominci con l’esperienza”. Chi da piccolo
non rimane affascinato e terribilmente incuriosito dal suggestivo mondo della natura?
Nella società globale in cui viviamo oggi, le distanze geografiche sembrano ormai
irrilevanti (messaggi, persone e prodotti si trasferiscono facilmente da una parte
all’altra del globo terrestre), comportamenti e gusti divengono sempre più
standardizzati, e siamo continuamente bombardati da appariscenti messaggi
pubblicitari che attraverso sofisticate tecniche diffondono globalmente informazioni
strumentalizzate che ci assuefanno ad un passivo stordimento; è assolutamente
41
Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano.
46
indispensabile che l’insegnante si proponga come guida attiva, per creare un quadro
di vita che desti lo stato di attenzione necessario all’osservazione degli stimoli
dell’ambiente, nutrendo e incoraggiando la curiosità del bambino, il suo innato
piacere di esplorare, essenziale per far fiorire le sue potenziali capacità intellettive e
quindi permetterne un arricchimento mentale, sensoriale, emozionale. L’“attività
continua del bambino può infatti trovare nell’ambiente esterno stimoli e sostegni
oppure negazioni, ostacoli e divieti. Essa è, comunque, orientata e condizionata”.42
Questo “atteggiamento nativo e integro della fanciullezza, contrassegnato da ardente
curiosità, da fertile immaginazione, e dall’amore della ricerca sperimentale è vicino,
molto vicino, all’atteggiamento dello spirito scientifico”:43 così come i bambini, mossi
da innumerevoli ed incessanti “Perché?” imparano a pensare formulando teorie che
portano ad una sempre maggiore presa di coscienza del mondo in cui vivono, così
anche la Scienza si confronta con interrogativi sempre nuovi.
Avvicinare gli studenti alla Scienza e al metodo scientifico significa equipaggiarli di
strumenti essenziali per comprendere e gestire in modo più consapevole il rapporto
tra l’uomo e l’ambiente.
42
43
C.G. Hoffmann, Fare scienze nella scuola di base, La Nuova Italia, Milano 2000.
J. Dewey, Come pensiamo (1933), trad. it., La Nuova Italia, Firenze 1961.
47
1.1 La scuola e gli attori del progetto
Non si può trovare immediata soluzione ai problemi che nascono nel fare scuola
realizzando progetti anche estremamente innovativi e all’avanguardia, se questi sono
condotti da persone estranee alla vita di classe, di quella specifica classe con tutti i
suoi peculiari attributi, e neanche sommando i contributi dei migliori esperti.
Conoscere in profondità i singoli costituenti di un gruppo, le dinamiche che si
innescano nella convivenza quotidiana e, dunque, calibrare conseguentemente
l’intervento didattico-pedagogico-psicologico, è qualcosa che si capisce e su cui si
agisce a piccoli passi, nello stare insieme minuto dopo minuto, giorno dopo giorno,
in un percorso che si protrae – o almeno dovrebbe! – nel tempo.
Nel mio caso, ho dovuto prima riflettere, progettare e mettere a punto il progetto e,
solo dopo essermi confrontata con la realtà della classe, apportare le dovute
modifiche per attuarlo nel modo più adeguato ed efficiente. È enorme la distanza che
intercorre tra il progetto ideale che prende forma nella nostra testa e le difficoltà o
lacune che si riscontrano poi nel tentativo di realizzarlo. Certamente il bilancio di
questa esperienza è da considerarsi positivo: me lo ha dimostrato l’insegnante
accogliente, con la quale mi sono costantemente confrontata a tal proposito, e me lo
hanno dimostrato i bambini, chiedendomi incessantemente quando mi intravedevano
anche da lontano: “Oggi facciamo astronomia? E quando allora?”. Ma non sono
certo mancate le difficoltà o le incongruenze con ciò che auspicavo trovare.
Dall’inadeguatezza degli spazi (non era immediato neppure oscurare la stanza!), alla
mancanza di strumenti (diventava un’impresa titanica anche poter usufruire di un
videoproiettore), alla constatazione della prassi di lavorare individualmente: tutti
elementi determinanti che hanno implicato certe revisioni obbligate.
Un altro limite per la realizzazione del progetto è stato il tempo a disposizione:
poiché la parte astronomica si colloca come ultima tappa nel programma di scienze,
mi sono trovata a dover fare i conti con tutti gli impegni straordinari che nell’ultimo
mese e mezzo di scuola si sovrappongono (gite e uscite, giornalino della scuola, recite
di fine anno e via dicendo!). Se avessi attuato il progetto da insegnante della classe
anziché nelle vesti di tirocinante avrei certamente gestito diversamente il tempo che,
contrariamente, mi sono trovata a dover centellinare sacrificando momenti
fondamentali di rinforzo e ritorno o comunque a comprimerli enormemente.
Prima di dar avvio al progetto condotto in prima persona ho preso parte alla vita di
classe in vari suoi momenti, primi fra tutti quelli didattici caratterizzati per lo più da
lezioni frontali e durante i quali mi sono resa conto che non era consuetudinario –
48
ma neppure saltuario! – lavorare per gruppi ma, a momenti di spiegazione frontale
venivano alternati spazi per esercitazioni individuali;44 a conferma di questa prima
intuizione, una domanda postami ripetute volte da alcuni bambini dopo i primi
incontri: con preoccupazione, stupore – perché ancora non l’avessimo fatto – e un
certo rammarico – nel constatare che neppure l’avremmo fatto – mi chiedevano se
avessimo utilizzato il libro di testo… da qui la deduzione di quanto fossero attaccati
ed assorbiti da questa pratica consuetudinaria tanto da avvertire una sorta di
smarrimento nel momento in cui questo riferimento era venuto a mancare.
Da qui la decisione di procedere sempre attraverso il metodo euristico ma
coinvolgendo l’intera classe come unico grande gruppo anziché suddividerli in piccoli
gruppi, dato che il tempo a disposizione non era affatto compatibile con i tempi
necessari per imparare a lavorare secondo una modalità che tanto si distanzia dalla
canonica lezione frontale.
Vi sono diversi strumenti e percorsi perseguibili a seconda dei casi, che l’insegnante
può suggerire o addirittura pianificare per far sì che il processo didattico possa esser
espletato al meglio dagli alunni.
Come ho già detto, ritengo che l’approccio laboratoriale sia di fondamentale
importanza poiché è un modo di lavorare che, all’operatività e quindi al “realizzare”,
intreccia il “pensare” e il “valutare” ciò che si fa, favorendo il dialogo con gli altri
nonché una consapevole riflessione sulle attività che in questo modo divengono un
vissuto personale di ciascun alunno; ecco la complessità e la poliedricità di questo
approccio, che oltre all’apprendimento delle specifiche discipline favorisce lo
sviluppo di competenze trasversali come l’imparare ad apprendere, di abilità sociali,
di modi di agire e pensare.
Vi è la duplice possibilità di partire da una situazione problematica per poi costruire e
articolare riflessioni e ipotesi intorno ad essa e infine trovare conferme o smentite
negli esperimenti direttamente condotti, visibili e tangibili o, viceversa, partire da un
esperimento su cui effettuare riflessioni sistematiche fino ad estrapolare il concetto
scientifico interessato. La maggior parte delle lezioni si è aperta con un quesito in
grado di innescare la giusta curiosità e motivazione nei bambini ed attivare processi
di riflessione. Una volta che la discussione era giunta a maturazione si passava a
44
Come ho spiegato più dettagliatamente nel paragrafo “Il laboratorio nella didattica delle
scienze”, il lavoro per gruppi non può essere improvvisato da un giorno all’altro: i componenti
devono condividere e sottostare a certe “norme di comportamento” poste dalla modalità stessa di
lavoro collaborativo e cooperativo. Ci si abitua così a valutare percorsi alternativi per il
raggiungimento dell’obiettivo prefissato e a scegliere i più convenienti.
49
riprodurre ciò che ci eravamo accinti ad indagare, per poi fare il punto della
situazione a voce e graficamente con l’ausilio di schemi e cartelloni realizzati dai
bambini.
Ho scelto di lavorare con un unico grande gruppo con la mia guida attiva perché i
tempi di riflessione dei bambini sono di per sé molto lunghi e in gruppi di pari,
autogestiti, questi tempi si dilatano ulteriormente. Tutti devono disporre del tempo
necessario per pensare e poter formulare le loro ipotesi, confrontarle con quelle degli
altri e, se necessario, rivedere e ristrutturare l’idea originale alla luce di nuove
considerazioni. Considerando che la classe era composta da 18 bambini (ma ci sono
classi che arrivano addirittura a contare 30 alunni) si può ben capire che la gestione
ed il controllo non è affatto semplice. Inoltre, ciascun bambino è diverso dall’altro
nella sua essenza e dunque nei suoi modi di proporsi, così come nei bisogni di
ascolto. Ci sono bambini con un ricco bagaglio cognitivo, quelli che, se anche
mancano di competenza, suppliscono con la loro personalità forte; ci sono invece
bambini che devono essere continuamente sollecitati e morbidamente invitati a
prender parte alla discussione perché preferiscono non esporsi o quelli che
percepiscono un senso di inadeguatezza nel confronto con gli altri, chi subisce il
limite del proprio sapere, chi si smarrisce e chi si entusiasma…
In questa prima fase intrisa di emotività e soggettività diverse mi sono trovata a
dover intuire in tempi brevi le singole personalità, imparare a leggerle, al fine di
coordinare efficacemente il gruppo; frenando, ad esempio gli innumerevoli
“Perché?” di alunni eccessivamente protagonisti per spronare invece chi,
disorientato, non cercava neppure di risolvere le contraddizioni in cui ci
imbattevamo. Con questa ricerca di equilibrio-precario il docente cerca di dosare i
problemi presentandone gradualmente i vari passi, in modo che siano avvertiti dai
bambini con la “giusta” distanza da sé in modo che, spinti a colmare e a conquistare
il divario, siano capaci di avanzare autonomamente nel processo risolutivo.
Benché il progetto sia “riuscito” e le soddisfazioni non siano mancate, credo che
questa debba essere considerata una prima sperimentazione del progetto che potrà e
dovrà trovarne di nuove, più ricche, approfondite ed estese nel tempo (per garantire i
tempi necessari di maturazione e metabolizzazione di concetti anche piuttosto
complessi) per una ri-progettazione aperta a più aree disciplinari e condivisa dai
rispettivi docenti.
50
2. Schema riepilogativo degli incontri svolti in classe
PROGETTO
INCONTRO
Col naso all’insù:
osserviamo e
ragioniamo
sul cielo
1. Forza di gravità
Obiettivi di
apprendimento:
- Favorire la
comprensione
della realtà
circostante
partendo da
esperienze dirette
di osservazione
metodica e
sistematica
dei fenomeni celesti
o riproducendo tali
fenomeni
artificialmente.
- Sviluppare
capacità di
osservazione,
interpretazione e
astrazione dei
fenomeni.
- Saper costruire un
modello.
- Interiorizzare e
razionalizzare
alcuni concetti
astronomici.
- Correlare
grandezze fisiche
diverse.
- Comprendere la
scala delle
dimensioni
dell’universo.
- Acquisire capacità
critiche per valutare
2. Dimensioni e
distanze relative
dei corpi celesti
OBIETTIVI
SPECIFIVI
- Capire
intuitivamente che
ogni corpo esercita
un’attrazione sugli
altri corpi.
- Capire che tale
attrazione dipende
dalle masse e dalla
distanza dei corpi.
- Capire che peso e
massa non sono la
stessa cosa.
- Comprendere che
la velocità di caduta
di un corpo sulla
Terra è condizionata
dall’attrito dell’aria,
che rallenta il
movimento.
- Capire
intuitivamente
perché la Luna
permane nel suo
moto orbitale
attorno alla Terra.
- Misurare
dimensioni lineari e
superficiali.
- Confrontare il
diametro della Terra
con quello del Sole.
- Confrontare la
superficie della
Terra con
quella del Sole
(considerando i due
corpi come se
fossero superfici
piane).
- Confrontare
intuitivamente il
volume della
Terra con quello del
Sole.
- Acquisire l’idea che
il Sistema Solare
È prevalentemente
“vuoto” di
CONTENUTI
Attrazione
gravitazionale
Misura di lunghezze,
di superficie,
unità di
misura di lunghezza,
di superficie,
rapporti tra
unità di misura.
51
la correttezza delle
informazioni.
- Riprodurre un
fenomeno in
laboratorio dopo
aver evidenziato
gli elementi
fondamentali.
- Imparare a
verificare le ipotesi
per giungere a
conclusioni
attendibili.
materia.”.
- Capire che le
dimensioni dei corpi
del Sistema Solare
sono trascurabili
rispetto alle
distanze che li
separano.
3. Luminosità vera
e apparente delle
stelle
4. Inclinazione dei
raggi solari sulla
Terra
- Confronto
apparente e assoluto
tra due sorgenti
luminose.
- Relazione fra
luminosità
apparente,
luminosità intrinseca
e distanza di un
oggetto celeste.
- Comprendere
intuitivamente la
legge dell’inverso del
quadrato della
distanza
sull’intensità della
luce.
- Metodo della
parallasse:
comprensione delle
relazioni fra angolo
di parallasse,
distanza dell’oggetto
e distanza fra i punti
di osservazione.
- Comprendere il
fenomeno delle
stagioni.
- Comprendere che
in ogni punto
sulla Terra esistono
cambiamenti
stagionali.
Luminosità
apparente,
luminosità intrinseca
assoluta,
distanza da una
sorgente luminosa,
effetto di parallasse.
Stagioni,
modelli,
flusso di radiazione.
52
3. Progettazione del primo incontro
Il progetto vuole essere un’avventura alla scoperta del cielo, per conoscere e
comprendere alcuni aspetti di ciò che succede nell’Universo di cui fa parte, insieme a
innumerevoli altri corpi, il nostro pianeta, la Terra. La Terra, la Luna, il Sole fanno
parte del Sistema Solare e la prima tappa di questo viaggio ha inizio proprio dal
Sistema Solare.
Le stesse parole “Sistema Solare”, cioè sistema del Sole, indicano l’insieme di corpi
celesti anche molto diversi gli uni dagli altri che orbitano attorno al Sole. Il Sole
attrae tutti gli altri corpi, legandoli a sé; questi corpi quindi non sono isolati, ma
fanno parte di uno stesso insieme; è per questo che parliamo di Sistema. Il Sole
contiene circa il 99% di tutta la materia del Sistema Solare, quindi quasi la totalità: per
questo motivo si aggiunge giustamente l’aggettivo Solare.
La Terra e il Sole sono certamente noti a qualsiasi bambino: l’una perché tutti noi ci
viviamo da quando siamo nati, l’altro perché lo vediamo tutti i giorni. Analizziamoli
un po’ più a fondo dal punto di vista scientifico.
La Terra è stata considerata per lunghissimo tempo come un disco piatto. La prima
intuizione circa la sua sfericità risale a Pitagora (V sec. a.C.),45 confermata da prove
empiriche condotte in epoche successive (per esempio la misura del raggio terrestre
realizzata da Eratostene nel III secolo a.C.); infine, grazie alle spedizioni spaziali, la
Terra è stata fotografata dall’esterno. Perché allora nella realtà di tutti i giorni ci
appare piatta? Questo è dovuto al fatto che la Terra è molto grande: il raggio medio è
pari a circa 6.370 km, quindi la sua circonferenza è di circa 40.000 km. Noi che
viviamo sulla sua superficie ne possiamo vedere solo una porzione relativamente
piccola ed è per questo che ci appare piatta, ma uscendo dal sistema stesso è evidente
la sua sfericità, come mostrano le immagini riprese dallo spazio.
Figura 1
Immagini della Terra riprese dallo spazio a distanze crescenti.
45
In realtà la Terra non è una sfera regolare ma la figura che più le si avvicina è un ellissoide di
rotazione - un solido generato dalla rotazione di un’ellisse intorno al suo asse minore - essendo più
schiacciata ai poli e più rigonfia all'equatore.
53
Come conseguenza della sfericità della Terra, se partiamo da un punto P e
immaginiamo di viaggiare sempre in linea retta, possiamo ritornare al punto di
partenza.
È utile far notare ai bambini che il Sole è una stella comune, anche se questo può
sembrare strano, poiché dall’esperienza sappiamo che le stelle sono visibili durante la
notte mentre il Sole lo vediamo di giorno. Le altre stelle sono assai più distanti e
quindi la loro luce ci appare molto più debole, come la luce di un lampione molto
lontano. Quando il cielo è illuminato dal Sole, la sua luce ci impedisce di vedere
quella di tutte le altre stelle. Per scorgere quei suggestivi puntini luminosi che
trapuntano il cielo è necessario attendere il tramonto: guardando in direzione
opposta al Sole possiamo vedere le prime stelle! Ma se osservassimo il Sole
dall’esterno del Sistema Solare esso ci apparirebbe simile alle altre innumerevoli stelle
che popolano l’universo.
Gli astronomi dicono che il Sole è una stella relativamente piccola e tranquilla;
nonostante questo, se la mettiamo a confronto della Terra le sue dimensioni risultano
decisamente enormi: se prendiamo il raggio terrestre RT come valore di riferimento
(circa 6.370 km), il raggio del Sole è 109 volte più grande e la distanza Terra-Sole è
23.500 RT. Di conseguenza il volume del Sole è circa 1.300.000 volte maggiore di
quello della Terra (bisogna calcolare 109×109×109!).
Figura 2
L’immagine rappresenta le dimensioni in scala della Terra e del
Sole. La distanza, invece, non è in scala poiché, per rispettarla,
avremmo dovuto collocare i due corpi a circa 13 m l’uno dall’altro.
Il Sole è una gigantesca sfera di gas la cui densità risulta essere circa un quarto di
quella terrestre a causa della prevalenza dell’idrogeno tra i suoi costituenti. La
temperatura del Sole si aggira intorno ai 5.500 gradi Celsius sulla superficie e aumenta
54
addentrandosi verso il centro della stella. Per avere un’idea di quanto è caldo, basta
pensare che quando cociamo una torta, il forno della cucina è solo a 200 °C.
Il Sistema Solare è un insieme di corpi: ma com’è che questi restano legati assieme e
quali sono i loro rapporti?
Il Sole è il protagonista tra i molteplici attori ed è proprio lui a tenere legati a sé tutti
gli altri corpi, creando quello che chiamiamo campo gravitazionale; la forza che attrae le
masse si chiama gravitazione. Potremmo presentare questa forza agli alunni,
paragonandola ad una sorta di “rete” invisibile che tiene legati i corpi, un po’ come la
rete, nella foto qui sotto, tiene legati i pesci.
Figura 3
In realtà ogni corpo attrae gli altri corpi, ma maggiore è la quantità di materia che un
corpo contiene, tanto più forte è la sua attrazione rispetto a quella degli altri corpi. Il
Sole è il centro d’attrazione del Sistema Solare proprio grazie alla sua massa.
Nel 1684 Newton enunciò la legge di gravitazione universale: tra due corpi qualsiasi
con masse m1 e m2, posti ad una distanza r, si esercita una forza attrattiva F
proporzionale alle masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro
distanza. Ecco l’equazione che la descrive:
F=G
m1m2
r2
(G è chiamata costante di gravitazione universale e nel sistema internazionale di unità
di misura ha un valore di circa 7 10– 11 = 0.00000000007).
Se abbiamo un sasso in mano e lo lasciamo, certamente non ci stupiremmo nel
vederlo cadere ai nostri piedi: la Terra attira il sasso, ma anche il sasso attira la Terra?
Esperienza 3.a
Contenuti
Attrazione gravitazionale
55
Obiettivi specifici
Capire intuitivamente che ciascun corpo esercita un’attrazione gravitazionale su
tutti gli altri: maggiore è la sua massa, tanto più grande sarà l’attrazione che
esercita sugli altri corpi, ma esiste comunque un’azione reciproca.
Tempo di esecuzione
10 minuti
Materiale occorrente
Una fune
Procedimento
Prendere una fune e farla impugnare ad una estremità da un bambino e da alcuni
suoi compagni di classe dall’altra. Il bambino da solo rappresenterà il sasso e i suoi
compagni la Terra. Pronti, attenti, via: i bambini iniziano a tirare e, per quanta
forza potrà avere chi si trova da solo, sicuramente verrà trascinato dagli altri, ma
anche lui riuscirà a spostarli, sebbene di poco. Non è facile accorgersene, ma
pensando che i compagni non farebbero alcuno sforzo se non ci fosse nessuno
all’altro capo della corda può apparire più intuitivo! Si può dire che più grande è il
corpo, maggiore è l’attrazione che questo corpo esercita sugli altri, ma esiste
comunque un’azione reciproca.
La Luna è attirata dalla Terra, ma anche la Terra è attratta dalla Luna? Sì, esse si
attraggono vicendevolmente, così come il sasso e la Terra, con una forza identica,
detta di gravità. Perché la Luna non cade sulla Terra? Proviamo a farcene una idea.
La Luna possiede una certa velocità tangenziale46 rispetto alla Terra, che è il centro
della sua rotazione; altrimenti, se la Luna non fosse in moto rispetto al nostro
pianeta, precipiterebbe in breve tempo su di noi.
In estate in riva al mare capita spesso di sfidare qualcuno in una gara di lancio di
sassi. Chi sarà il vincitore? Se tutti i giocatori fanno partire il sasso dalla medesima
altezza lanciandolo parallelo alla superficie dell’acqua, vince chi riesce a dotare la
pietra della velocità più alta. Alla fine della corsa ogni sasso cade in acqua, ma cosa
46
In un moto circolare uniforme la velocità tangenziale è un vettore con modulo costante e
direzione variabile poiché sarà sempre tangente alla circonferenza (cioè passante per un punto
della circonferenza e perpendicolare al raggio in detto punto).
56
accadrebbe se riuscissimo a lanciare il nostro sasso con velocità sempre maggiore?
Cadrebbe sempre più lontano, finché, se riuscissimo a raggiungere l’eccezionale
velocità di quasi 40.000 km/h, la pietra non toccherebbe più terra (ovviamente nella
condizione ideale in cui non ci fosse alcun attrito); percorrerebbe piuttosto una
traiettoria chiusa attorno al nostro pianeta: entrerebbe cioè in orbita attorno alla
Terra! Questo è proprio ciò che accade al sasso gigante che ruota attorno al nostro
pianeta, cioè la Luna: cade sulla Terra, ma la manca continuamente.
Esperienza 3.b
Contenuti
La velocità di rotazione della Luna fa sì che il nostro satellite si muova in orbita
attorno alla Terra alla distanza di circa 400.000 km.47
Obiettivi specifici
Capire intuitivamente che se lanciassimo un corpo verso lo spazio con una velocità
sufficientemente alta questo corpo entrerebbe in orbita, rotando “eternamente”
intorno alla Terra; qualora, invece, la sua velocità non fosse sufficiente esso
ricadrebbe inevitabilmente sul pianeta.
Tempo di esecuzione
10 minuti
Materiale occorrente
- Una palla
- Un piombino
- Filo metallico
- Gancetto
Procedimento
Inserire un’estremità del filo metallico (di circa 30 cm di lunghezza) nel buco per
l’aria di un pallone da calcetto. Legare l’altra estremità ad un gancetto e fissare al
medesimo gancio, un filo di spago di circa 50 cm a cui si era precedentemente
attaccato un piombino.
47
L’orbita è ellittica; nel punto di massima distanza dalla Terra (apogeo) la Luna dista circa
406.000 km, mentre al perigeo, il punto più vicino, la distanza è di circa 363.000 km.
57
Tenere con una mano il gancetto a cui risultano appese le due sfere rappresentanti
rispettivamente la Terra e il suo satellite. Con le dita dare un leggero colpetto al
piombino: cosa accade? Il piombino si solleva per poi ricadere più o meno nello
stesso punto della superficie della palla. Provando invece a spingere lateralmente il
piombino si nota che questo ricadrà ad una certa distanza dal punto di partenza.
Ripetere l’esperimento imprimendo una maggiore forza al piombino: percorrerà
l’intera orbita prima di tornare al punto di partenza. Provare infine ad allontanare il
satellite dalla palla-Terra con un colpetto e con un secondo a spingerlo
parallelamente alla superficie: la sferetta gira intorno alla palla senza toccarla; è
dunque entrata in orbita e continuerebbe a rimanervi se non fosse per l’attrito
dell’aria che a poco a poco rallenta la sua corsa.
Esperienza 3.c
Contenuti
L’attrazione gravitazionale fa sì che un corpo dotato di una certa velocità di
partenza orbiti lungo una traiettoria circolare attorno ad un altro corpo senza
cadervi sopra. La Luna è come un enorme proiettile lanciato con una velocità tale
da non riuscire più ad atterrare. D’altra parte la Luna non si allontana perdendosi
nello spazio perché la forza di gravità della Terra, attraendola, la fa
ininterrottamente cadere su di sé ma la superficie terrestre sfugge continuamente
sotto al suo satellite impedendo così alla Luna di raggiungerla.
Obiettivi specifici
Ammettere che la Luna è trattenuta nella sua orbita dalla stessa forza che fa cadere
un sasso sulla Terra ha rappresentato una delle imprese titaniche della scienza;
figuriamoci se può risultare immediatamente comprensibile ad un bambino! Ma è
proprio questo l’obiettivo: prendere coscienza del fatto che due corpi qualsiasi –
due stelle, la Terra e il Sole, due tavoli così come due atomi o qualsiasi altra cosa –
58
si attraggono con una forza che è direttamente proporzionale alle loro masse e
inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
Tempo di esecuzione
10 minuti
Materiale occorrente
- Una cordicella
- Una palla
Procedimento
Prendere una palla e legarla ad una cordicella. Un bambino impugna la cordicella e
inizia a farla rotare in un piano verticale: sentirà la tendenza della palla ad
allontanarsi, vinta però da qualcosa che la trattiene. Se ad un certo punto della
rotazione si lascia la presa del cordino la palla vola via. È la medesima cosa che
succede alla Luna, che orbita attorno alla Terra. Proprio come la palla, essa cerca di
allontanarsi ma qualcosa la trattiene. Naturalmente nel nostro esempio è la
cordicella a trattenere la palla, ma cosa trattiene la Luna? È la forza di gravità; essa
modifica continuamente la direzione del moto della Luna, come se vi fosse un filo
a trattenere legato alla Terra il suo satellite, impedendogli di “partire per la
tangente”.
È la presenza congiunta della forza di attrazione gravitazionale e della velocità di
rotazione a dar luogo al girotondo lunare; altrimenti, in assenza di altri corpi, la
Luna procederebbe indisturbata lungo una linea retta!48
48
Il primo principio della dinamica afferma, infatti, che un corpo continua a rimanere nel suo stato
di quiete o di moto uniforme in linea retta fino a che la risultante delle forze che agiscono su di
esso è nulla.
59
4. Primo incontro svolto in classe
Perché tutto cade? Storia di una misteriosa forza
La “storia della grande G” è una lunga storia che copre molti anni di ricerche e di
scoperte. Tutto cominciò nell’autunno del 1665 quando Isaac Newton era seduto nel
suo giardino all’ombra di un grande albero; mentre la sua mente viaggiava assorbita
da mille pensieri una mela cadde… e fu proprio allora che Newton formulò il grande
interrogativo che avrebbe portato ad una delle più sensazionali scoperte: “Perché
tutto cade?”. C’è forse una qualche forza invisibile che trascina gli oggetti verso terra?
Ammettendo che l’albero cresca tanto da raggiungere la Luna, la mela cadrebbe lo
stesso? Perché non dovrebbe? Ma se questo è vero perché la Luna non cade sulla
Terra? Ho rivolto queste domande agli alunni come punto di partenza del nostro
percorso sulla gravità.
Figura 4
Per essere il primo incontro le domande formulate in apertura erano già molte e di
notevole portata. Questa prima lezione sulla gravità è stata guidata da una storia a cui
non ho saputo rinunciare;49 appena letta ne sono rimasta immediatamente colpita per
la perfetta sintesi tra semplicità e “scientificità”. Si percepisce l’origine del testo
partorito da un fisico con l’esigenza di rivolgersi ad un pubblico “piccolo”, che
incessantemente si interroga su questa forza sperimentata nella vita di tutti i giorni,
nel tentativo – ben riuscito! – di fornire delle risposte corrette e, al tempo stesso, a
portata di bambino. Le discussioni e le esperienze si sono perfettamente inserite
nello sviluppo della storia (di cui riporto alcuni brani nei paragrafi che seguono).
49
Il libro cui si fa riferimento in questa e nel corso delle prossime pagine è La Gravità o perché
tutto cade. L’autore, Jean-Philippe Uzan è un fisico, ricercatore del CNRS che lavora presso
l’Istituto di Astrofisica di Parigi dove si occupa, in particolare, di gravità e cosmologia.
60
4.1 Perché tutto cade?
Alice – […] perché le cose cadono?
Marie – Perché vengono attratte dalla Terra.
Alice – Ci prendi in giro, questa non è una spiegazione!
Marie – È vero! Questa attrazione in realtà è la conseguenza di una forza
che si chiama “gravitazione”.
Antonio – Una forza? Cos’è?.
Ho chiesto ai bambini cosa fosse, secondo loro, una forza. I propositi erano buoni,
molte mani hanno cominciato ad alzarsi, ma una volta chiamati i bambini non
riuscivano ad esprimere ciò che forse avevano confusamente nelle loro teste. Li ho
rassicurati perché non era certo una domanda semplice.
Marie – Una forza è un’azione che cambia il movimento di un oggetto.
Un pallone che rimbalza, un aereo che decolla grazie alla spinta dei suoi
motori, una porta che sbatte per una corrente d’aria, sono tutte
conseguenze di una o più forze…
Sandro – E la gravitazione?
Marie – È la forza che fa sì che tutti gli oggetti, di qualunque tipo si
attraggano a vicenda: i pianeti, le persone, le mele, tutto.
L., anticipando la battuta successiva della nostra storia, interviene: “È una specie di
calamita”.
Più o meno… La differenza è che le calamite possono sia attrarsi che – e i
bambini ancora rubando le parole alla storia hanno anticipato –
“respingersi”(corsivo mio); la gravitazione, invece, è solo attrattiva. Due
oggetti non si possono mai respingere. Si attraggono a distanza, senza
bisogno di toccarsi.
Sandro – Vuoi dire che tutte le cose, tutto quello che ci circonda,
l’altalena, la panchina, i tavoli, si attraggono continuamente? Anche noi?
Marie – Esattamente! Si dice che la gravitazione è “universale”: significa
che niente e nessuno può sfuggirle.
Giustamente M. osserva: “Ma questa forza non la sentiamo”. Anche i bambini della
nostra storia restano perplessi:
Antonio – C’è qualcosa che non torna! In questo momento sono accanto a
Sandro, eppure non ci stiamo attirando a vicenda. Avete proprio delle
strane idee, nella famiglia Cosmo!
Marie – La tua osservazione è giustissima! Per farvi capire perché non
sentite questa attrazione devo dirvi qualcosa di più.
Abbiamo fatto alcuni esempi con delle biglie: ho mostrato ai bambini due biglie
identiche; ammettendo che pesino entrambe 1, se sostituiamo una delle due biglie
con un’altra che pesa il doppio si attireranno due volte di più. Se, invece, le
61
sostituisco entrambe con due biglie che pesano 2, quante volte si attrarranno in più?
I bambini hanno risposto sicuri: “Quattro volte di più”. Quindi, più gli oggetti sono
pesanti più – e i bambini di nuovo in coro – “si attraggono”! Bene, potevamo
proseguire con la storia:
Sandro – Per favore, Marie! Non siamo venuti ai giardini perché tu ci
faccia ripassare le tabelline. Ci pensa già la maestra! […] ma Alice,
impaziente, chiede:
– E poi?
Marie – La seconda cosa importante per comprendere la gravitazione è
che più gli oggetti sono lontani l’uno dall’altro, meno si attraggono.
Se le nostre biglie sono a un metro l’una dall’altra e le spostiamo a due metri di
distanza si attraggono quattro volte meno, se le allontaniamo ancora fino a tre metri,
nove volte meno. Ai bambini qualcosa non torna e attenti chiedono: “Nove?
Perché?”. Ottima domanda, mi complimento con loro. Questa Forza, allontanando i
corpi, diminuisce con il quadrato della distanza: se le biglie fossero distanti 6 metri si
attrarrebbero…ma non riesco a concludere la frase che E. esclama “36 volte meno”!
Così, capisco che il concetto di quadrato della distanza non gli era affatto
sconosciuto.
Quindi per comprendere la gravitazione dobbiamo sapere come si attraggono due
oggetti:
ƒ
Più gli oggetti sono pesanti, più si attraggono.
ƒ
Più gli oggetti sono lontani l’uno dall’altro, meno si attraggono.
Sandro, sempre pensieroso, riassume mentalmente quello che ha appena
detto Marie: “più pesante, attrae di più; più lontano, attrae meno”, ma
Antonio ha l’impressione che la sua domanda non abbia ricevuto
risposta, e insiste:
– E questo ci dovrebbe spiegare perché io e Sandro non ci attiriamo a
vicenda?
Marie – Devi immaginare che tu e Sandro vi attirate effettivamente l’un
l’altro, ma in modo molto debole. Anche solo un soffio di vento è più
forte. Se pesaste una tonnellata ciascuno e vi trovaste a dieci centimetri
l’uno dall’altro, vi attirereste un milione di volte meno di quanto la Terra
attira voi.
Mostro ai bambini una gomma da cancellare: se lasciamo cadere questa gomma da
una certa altezza dove andrà a finire?
Bambini: “Per terra!” Bravissimi, e chi l’avrà attirata?
Bambini: “La Terra”. Giusto, ma le masse si attirano a vicenda… Angelo attira
Bianca e Bianca attira Angelo. Nell’esempio che abbiamo appena fatto i corpi in
62
questione erano la gomma e la Terra; la Terra attira la gomma, ma la Terra sarà
attirata dalla gomma?
Bambini: “No”, e qualcuno aggiunge “Perché se no si sposterebbe!”. Facciamo un
esperimento. Per prima cosa abbiamo spostato alcuni banchi per avere uno spazio
sufficientemente grande di fronte alla cattedra. Abbiamo preso una lunga fune gialla
che è stata impugnata ad un capo da una bambina sola e dall’altro da una decina di
suoi compagni.50 Quando questi iniziano a tirare,51 sebbene all’altro capo ci sia C. che
tenta con tutte le sue forze resistere, a nessuno sembrerà di durare alcuna fatica per
spostarla e condurla in giro per la classe; ma la presenza di C. influisce comunque,
seppur in minima parte, a opporre una certa resistenza. Ad ogni azione corrisponde
una reazione: in questo caso la forza pur piccolissima di C.! I bambini ne hanno
avuta conferma provando a tirare la corda, questa volta senza la presenza di C.
all’altro capo della fune.
Figura 5
Allora, tornando al nostro esperimento, la Terra verrà attratta dalla gomma o no?
La maggior parte dei bambini risponde sicura “Sì!”; soltanto un paio ancora esitano a
crederlo.
Ma com’è la massa della Terra in confronto a noi?
Bambini: “Immensa”, “Enorme”.
Marie – […] Intorno a noi ci sono un sacco di cose che ci attraggono in
tutte le direzioni – gli alberi, le case, le macchine, le altre persone… – ma,
alla fine, siamo sensibili soltanto all’attrazione della Terra, perché è molto
più pesante di tutto il resto.
Antonio – Ma, se ci allontaniamo dalla Terra, ci attirerà di meno?
50
Vedi Esperienza 3.a, descritta a p. 55.
Ho ritenuto necessario fare una premessa per evitare ogni tipo di pericolo: a C. era concesso di
tirare fuori tutte le sue forze per opporre la massima resistenza. Al contrario era necessario che gli
altri non mettessero molta forza nel tirare perché, era evidente prima ancora di iniziare
l’esperienza, avrebbero potuto farla cadere.
51
63
Chiedo ai bambini di esprimersi e la loro risposta negativa mi fa capire che ancora il
concetto non è stato assimilato; devono ancora appropriarsene. Ma non è poi così
strano se pensiamo a quanto sia controintuitivo! Abbiamo detto che questa forza
dipende dalla massa e dalla… “distanza”. Benissimo, e sappiamo anche che più ci
allontaniamo… “meno ci attira”, più debole è la forza: quindi se ci allontaniamo dalla
Terra, la forza con cui la Terra ci attrae cambia!
Marie – […] Per tutti noi che viviamo sulla Terra, la conseguenza più
importante della gravitazione è l’attrazione da parte del nostro pianeta, la
Terra, perché è l’oggetto più pesante e più vicino a noi. È quello che
chiamiamo “forza di gravità”. Si tratta, quindi, di un caso particolare della
legge di gravitazione e ciò spiega perché tutti gli oggetti cadono verso la
Terra, tutti allo stesso modo.
4.2 Gli oggetti più pesanti cadono più velocemente?
Antonio – Tutti allo stesso modo, ne sei proprio sicura?
Se facciamo cadere un foglio e un quaderno dalla stessa altezza, chi dei due arriverà a
terra per primo? Tutti i bambini rispondono all’unanimità: “Il quaderno”. Questa
previsione ha trovato conferma in un’esperienza diretta.
Se, invece, lasciamo cadere dalla stessa altezza due fogli di carta identici, uno dei quali
accartocciato a pallina e l’altro no, quale dei due arriverà per primo a terra? I bambini
rispondono ancora una volta senza alcuna esitazione: “Quello a forma di pallina”.
Ancora una volta abbiamo avuto la riprova sperimentale:
Figura 6
64
Ho chiesto ai bambini quale fosse, secondo loro, la causa del fenomeno osservato.
B.: “Il foglio è più sottile e quindi ha meno peso rispetto alla pallina”.
Ma abbiamo detto che i fogli sono identici e quindi contengono la stessa quantità di
materia. Sprono i bambini ad avanzare altre ipotesi.
M.: “La massa è più concentrata nel foglio accartocciato mentre nel foglio disteso è
meno concentrata e ci mette di più”.
L.: “È più attirato dalla terra”.
Ripensiamo a ciò che abbiamo detto prima: da cosa dipende come si attirano due
corpi?
E.: “Dalla massa e dalla distanza”.
Ammettiamo che siano alla stessa distanza, la Terra è sempre uguale a se stessa e i
due fogli hanno la stessa massa; quindi dovrebbero attirarsi esattamente nello stesso
modo.
A.: “Il foglio normale è più lento perchè c’è più aria”.
È esatto; è quello che aveva detto M. affermando che la massa è sempre la stessa ma
nel foglio liscio è più estesa, meno concentrata e quindi l’aria fa più attrito. L’aria,
infatti, benché sia inodore, invisibile e non si possa neppure toccare è pur fatta di
qualcosa. La Terra è abbracciata dall’atmosfera che è fatta di aria; e che cos’è secondo
voi?
B.: “È l’ossigeno”.
P.: “È un gas”.
Bravissimi, è un gas è fatto di… “particelle”, dice M., e poi prosegue: “il foglio
disteso incontra più particelle”.
L’aria è formata da innumerevoli particelle in movimento che disturbano la caduta
degli oggetti. Essa ha un effetto grande sugli oggetti estesi e leggeri poiché nella
caduta incontrano più particelle dell’aria. Ecco perché il foglio accartocciato incontra
meno resistenza dell’aria rispetto a quello integro, proprio per la forma che gli
abbiamo dato.
E se il foglio lo mettiamo sopra al quaderno, cosa accadrà?
A.: “Il quaderno è più veloce e il foglio si stacca dal quaderno”.
P.: “Il foglio è meno pesante”.
M.: “La pesantezza del quaderno fa aumentare la velocità”.
Anche questa volta abbiamo fatto ricorso ad una prova pratica:
65
Figura 7
Che cosa è successo?
E.: “Le due cose si attirano perché sono unite. Cioè il foglio e il quaderno si
attraggono e per questo rimangono appiccicati”.
Ma allora anche tu e A. dovreste appiccicarvi! È ciò che non tornava a M., che poco
fa chiedeva perché non si sentisse attirato dal banco o dal suo astuccio; abbiamo
detto che noi questa forza non la percepiamo perché è troppo debole al punto che
un battito di ali di farfalla è più forte, ma sentiamo la cosa più grossa che c’è, la massa
della Terra che ci tiene legati al suolo. Proviamo a cercare altre soluzioni possibili.
L.: “Il foglio sta attaccato al quaderno ed è più leggero. Non incontra delle particelle
sicché va più veloce perché è protetto dal quaderno”.
A.: “Gli fa da scudo e incontra meno particelle”.
Molto bene. Il foglio si trova la strada spianata perché è il quaderno che per primo
incontra l’aria ed è proprio lui a tagliarla.
Se non ci fosse l’aria tutti gli oggetti cadrebbero nello stesso modo,
indipendentemente dalla massa e dal materiale di cui sono fatti.
Antonio – Sì, ma un oggetto più pesante cade più velocemente. Lo sanno
tutti!
Sicuramente vi sarà capitato di vedere alla televisione un paracadutista che si lancia
da un aereo: secondo voi pesa di più prima o dopo il lancio?
66
G.: “È più pesante prima”.
E.: “Pesa di più quando si apre”.
D.: “Pesa di più chiuso”.
E secondo voi cade più velocemente prima o dopo aver aperto il paracadute? Ho
chiamato una bambina, la quale dopo essere salita in piedi su una seggiola ha lasciato
cadere un paracadutista di plastica col suo paracadute chiuso e successivamente una
seconda bambina lo ha fatto cadere col paracadute aperto: cosa succede?
Figura 8
M.: “Quando si apre il paracadute fa attrito perché prende sotto tutte le particelle”.
P.: “Hanno lo stesso peso ma diverso attrito quando il paracadute è chiuso o aperto”.
Marie – Esatto! Il paracadute frena a causa dell’aria che lo gonfia e
dell’attrito dell’aria che lo rallenta. […] Se sulla Terra non ci fosse l’aria…
cadrebbero allo stesso modo.
Se andiamo sulla Luna, dove non c’è atmosfera, e lasciamo cadere dalla stessa altezza
un chilo di piombo e un chilo di piume, questi raggiungeranno il suolo esattamente
nello stesso istante, anche se stentiamo a crederlo perché intorno a noi l’atmosfera
rallenta più le piume del piombo.
Alice – Ma io continuo a non capire, quello che hai detto non è logico!
Hai detto che, nel caso di oggetti più pesanti, l’attrazione è più forte.
Allora la Terra deve attirare di più gli oggetti pesanti che non quelli
leggeri. Questo sì che sarebbe logico!
Marie – Hai ragione, Alice, un oggetto più ‘pesante’ viene attratto
maggiormente dalla Terra rispetto ad un oggetto leggero. Ma ciò non
significa che cada più velocemente. Bisogna fare una distinzione tra la
67
forza con cui un oggetto viene attratto verso la Terra e la velocità con cui
cade.
Immaginiamo che sulla Terra non ci sia l’aria che fa attrito. Se consideriamo un
pallone e una biglia, la Terra attira entrambi ma le masse più grandi si attirano di più;
quindi la Terra chi attira di più in questo caso? “Il pallone”. Ma allora perché se non
ci fosse l’aria dovrebbero arrivare in terra nello stesso momento?
“Forse perché la biglia è fatta di un materiale più pesante”. Ma abbiamo detto che in
assenza di aria, piume, oro, legno, pietre, qualsiasi cosa arriverebbe esattamente nello
stesso momento.
Facciamo un esempio per capire meglio: se dobbiamo mettere in movimento due
carrelli, uno dei quali pesa il doppio dell’altro, quale dei due dobbiamo tirare con più
forza?
Figura 9
“Quello che pesa il doppio!” rispondono tutti i bambini.
Perché la palla e la biglia arrivano insieme a terra? È vero che la palla ha una massa
maggiore rispetto alla biglia, ma è anche vero che la Terra la attira con una forza
maggiore. Per visualizzarlo disegneremo la freccia che indica l’attrazione più lunga
rispetto a quella della biglia. I due oggetti cadono insieme, con la stessa velocità.
Marie – Ricordate: un oggetto due volte più pesante di un altro viene
attratto precisamente due volte di più dalla Terra. Nel vuoto, quindi, i due
oggetti cadranno con la stessa velocità, anche se non hanno la stessa
massa.
68
4.3 Il peso e la massa sono la stessa cosa?
Marie – La massa indica la quantità di materia di un oggetto. Non dipende
dal luogo in cui ci si trova. Il peso è il modo in cui questa massa viene
attratta dalla Terra o da un altro pianeta, e quindi può dipendere dal
luogo in cui ci si trova.
“Perché sulla Luna si possono fare dei grandi balzi?”. La domanda sollevata da M. ad
inizio lezione era stata lasciata in sospeso ed era giunto il momento per risolverla e
quindi la ripropongo ai bambini; uno di loro avanza la seguente ipotesi: “Perché la
Luna pesa meno rispetto alla Terra; la Luna è più piccola, pesa di meno e attrae di
meno.”
Se viaggiando arrivassimo sulla Luna che ha una massa molto più “piccola” della
Terra, come sarebbe la forza con cui verremmo attratti? “Molto più debole”,
rispondono correttamente i piccoli scienziati!
Figura 10
Una persona che sulla Terra pesa ottanta chili, una volta arrivata sulla Luna –
nonostante la sua massa rimanga sempre la medesima – si sentirebbe molto più
leggera: riuscirebbe a fare dei grandi balzi e salendo sulla bilancia vedrebbe che il suo
peso sarebbe sceso a circa tredici chili (senza neppure lo sforzo della dieta!). Ho
mostrato ai bambini questi disegni da me realizzati (v. figure 10, 11, 12).
69
Figura 11
La gravità è l’attrazione che subiamo da parte del nostro pianeta; se il pianeta è più
pesante…ci attrae di più!
Su Giove nessun essere umano riuscirebbe a muoversi facilmente. La gravità è tale
che il peso di un uomo di ottanta chili su quel pianeta corrisponderebbe a un uomo
di duecento chili sulla Terra!
Figura 12
70
4.4 Dov’è il basso?
Sandro – Ci parli sempre di oggetti che cadono a terra, la gravità li attira
verso il basso, e va bene. Ma dall’altro lato della Terra […]
Già, che succede dall’altra parte della Terra?
Alla lavagna un bambino viene invitato a disegnare la Terra e a collocarci sopra due
bambini, uno al polo nord e l’altro al polo sud. Questo è il risultato:
Figura 13
Sono bastati pochi secondi perché molte mani si protendessero verso l’alto, pronte a
proporre nuove ipotesi; quindi un altro bambino ha disegnato alla lavagna la propria
idea:
Figura 14
Dopo una discussione collettiva tra le due ipotesi, tutti i bambini a poco a poco si
convincono per la seconda soluzione, anche se non mancano le proposte più
bizzarre o le domande interessanti come quella di P.: “Ma se un bambino dal polo
71
nord volesse andare al polo sud e per arrivarci facesse una buca lunghissima
sbucherebbe dall’altra parte a testa all’ingiù”!
Un’altra bambina viene chiamata alla lavagna. Le chiedo di immaginare che questi
due bambini, che si trovano vicino ai due poli terrestri, abbiano in mano una pietra
ciascuno: se la lasciano andare dove cadrà? E. disegna due frecce rivolte verso il
pavimento della nostra classe; chiedo se qualcuno la pensa diversamente.
L.: “Secondo me non è possibile che il sasso del bambino al polo sud cada in su”.
Secondo te dove va? La invito a mostrarci la sua ipotesi disegnandola alla lavagna.
Ecco che la freccia del sasso lanciato dal bambino del polo sud viene rivolta verso la
superficie terrestre; alcuni suggeriscono poi di prolungare la freccia fino al centro
della Terra ed oltre, a raggiungere l’estremo opposto.
Figura 15
Non avevamo ipotizzato la presenza di gallerie che attraversassero il globo terrestre,
ma sono i bambini a porre la domanda: “Ma se c’è un piccolo tunnel che passa dal
nucleo della Terra e arriva dall’altra parte, quelli che si trovano di là come ricevono il
sasso?”. Decido allora di sottoporre loro un’ulteriore situazione problematica,
mostrando un’immagine della Terra con due ipotetici tunnel, l’uno congiunto col
centro della Terra e l’altro leggermente deviato rispetto ad esso.
Figura 16
72
Chiedo: “Secondo voi la pietra che direzione prende?” Tutti rispondono all’unisono:
“Il tunnel numero 2”. Perché?
L.: “Perché è il nucleo che attira le cose”.
M.: “Per me il sasso rimane al centro della Terra”.
Siete davvero in gamba!
Marie – Secondo voi, come si fa a stabilire dove si trova il basso?
Alice – Si potrebbe dire, forse, che il basso è la direzione in cui cade un
oggetto…
Antonio – Così, ognuno avrebbe il “suo” alto e il basso sarebbe verso il
centro della Terra.
Figura 17
Marie – […] l’attrazione da parte della Terra attira tutti gli oggetti verso di
essa, ovunque ci si trovi, in Italia, in Cina o in Patagonia… È per questo
che l’acqua degli oceani non scorre via verso lo spazio, ma continua a
circondare la Terra.
Sulla superficie terrestre agisce tale forza ed è abbastanza potente da tenerci ancorati
a terra. Una vera fortuna, no?
4.5 Perché la Luna non cade sulla Terra visto che tutto
attira tutto?
Se salgo in cima ad una collina e lancio un sasso questo cadrà alcuni metri più in là.
Figura 18
73
Ma cosa accadrebbe se il sasso venisse lanciato da un’altezza incredibile con una
forza sovrumana?
Figura 19
L.: “Arriva a metà”.
B.: “Va a diritto”.
M.: “Va nello spazio e poi torna indietro”.
E.: “Rimbalza da una parte all’altra e gira intorno all’equatore”.
D.: “Galleggia nello spazio”.
Le idee sono assolutamente ricche di fantasia ma un po’ confuse. Proviamo a capire
cosa accade al nostro pianeta e al suo satellite con l’aiuto di una pallone e di una
pallina di creta precedentemente realizzata dai bambini.52 Il pallone rappresenta la
Terra mentre la piccola sfera di creta simboleggia la Luna; le due sfere sono state
collegate a due fili distinti, tenuti insieme all’altro capo da un nodo. Abbiamo
posizionato il pallone sulla cattedra ed io sostenevo alla debita altezza il nodo
affinché il filo congiunto con la Terra risultasse teso e verticale. Il nostro modello era
pronto per l’uso: il cerchio dei bambini si è stretto attorno alla cattedra e uno di loro
è stato chiamato per dare un colpetto al satellite, il quale si è spostato per ricadere
poco oltre la posizione di partenza sulla superficie della palla; l’esperienza è stata
ripetuta una seconda volta, imprimendo però una maggiore forza alla piccola Luna,
che ha potuto rimanere in volo per un tratto maggiore prima di ricadere sulla
superficie terrestre. Alla fine, con una spinta più grande, la Luna ha iniziato a rotare
attorno alla sfera terrestre senza entrare in contatto con la sua superficie, proprio
come se fosse entrata in orbita.
52
Vedi Esperienza 3.b, descritta a p. 57.
74
Figura 20
Il disegno a sinistra mostra un lancio immaginario tale da far entrare in
orbita la pallina; a destra, invece, la foto del modello realizzato in classe e
impiegato per condurre l’esperienza.
A questo punto abbiamo ripreso la discussione iniziale sul sasso lanciato da una
montagna con una velocità altissima: questo cadrebbe continuamente sulla Terra
(così come la sferetta di creta sul pallone), ma la superficie terrestre è sferica e il sasso
non la raggiungerebbe mai. Anche la Luna cade sulla Terra ma la manca
continuamente!
Sandro – Ma, la Luna, nessuno l’ha lanciata!
Ci sono varie ipotesi sull’origine della Luna. Una di queste afferma che la Luna si sia
formata da uno scontro tra un asteroide e la Terra: una parte dell’asteroide si è
staccato e aveva proprio la velocità giusta per rimanere in orbita attorno alla Terra:
proprio come la pallina attaccata ad un filo che i bambini hanno provato a far rotare.
Figura 21
75
Hanno potuto constatare che se lasciavano la presa del filo, la pallina schizzava via
verso l’esterno (“La pallina tende ad andare via”, hanno detto), mentre se
diminuivano troppo la velocità di rotazione la pallina cadeva.53
La Luna tenderebbe a viaggiare in linea retta, perdendosi nello spazio cosmico, ma
qualcosa la trattiene in orbita attorno alla Terra: è proprio quella forza invisibile che
chiamiamo gravità.
Ho chiesto ai bambini perché, secondo loro, la Luna e la Terra non cadono l’una
sull’altra:
E.: “È la forza di gravità”.
A.: “È anche grazie alla velocità”.
E.: “Con la velocità non cade e anche per il movimento rotatorio che fa”.
A questo punto i bambini hanno ripetuto l’esperienza, questa volta con la pallina
posta all’interno di un secchiello legato ad una cordicella, verificando che la pallina
resta nel secchiello anche quando questo è rovesciato verso il basso, purché sia in
movimento con una velocità di rotazione sufficientemente alta.
Figura 22
La gravità attira sempre la pallina verso il suolo ma l’effetto della rotazione compensa
la forza di gravità impedendo alla pallina di cadere fuori dal secchiello. Proprio quello
che succede alla Luna!
53
Vedi Esperienza 3.c, descritta a p. 58.
76
5. Progettazione del secondo incontro
Dimensioni e distanze relative del sistema Terra-Sole
Prima di addentrarci in uno studio guidato ed approfondito del Sistema Solare è
opportuno capire come i bambini lo immaginano per valutare quali siano i loro
preconcetti. È utile quindi proporre un iniziale brainstorming per fare emergere gli
stereotipi di un’astronomia che sovente si avvicina più alla fantascienza che alla
scienza. Invitare i bambini a disegnare il Sistema Solare così come lo immaginano
consentirà di riproporre lo stesso disegno a conclusione del progetto come verifica
dell’apprendimento dei concetti di base.
Le dimensioni e le distanze sono un nucleo concettuale fra i più importanti in
Astronomia. Non è per niente intuitivo per i bambini capire quale sia il rapporto tra
le dimensioni dei corpi celesti e le distanze nel cosmo, né i libri di testo in genere
facilitano la comprensione di questo concetto. Comprensibili esigenze di
impaginazione costringono spesso a raffigurare il Sistema Solare sui libri di testo
senza alcun rispetto della scala delle distanze dei pianeti dal Sole. Questo è un tipico
esempio di rappresentazione sbagliata che contribuisce a cristallizzare una
misconcezione formatasi spontaneamente e che diventa un ostacolo alla formazione
del concetto corretto alimentando equivoci e problemi nell’apprendimento degli
allievi.
Questa lezione si propone di introdurre al confronto delle dimensioni del Sole e della
Terra. L’unità si articola in due fasi: la prima fase parte dal confronto tra i diametri
dei due oggetti per giungere alla costruzione, in scala, di modelli piani, mentre la
seconda prevede la realizzazione di modellini tridimensionali. Lo studio del sistema
potrà portare ad utilizzare due diverse scale di rappresentazione (una per le
dimensioni intrinseche del Sole e del pianeta Terra, l’altra per la distanza reciproca) a
seconda dello spazio che si ha a disposizione.
Esperienza 5.a
Contenuti
- Misura di lunghezze
- Calcolo di superfici
- Unità di misura di lunghezza e di superficie
- Rapporti tra unità di misura
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Obiettivi specifici
- Misurare dimensioni lineari e superficiali.
- Confrontare il diametro della Terra con quello del Sole.
- Confrontare la superficie della Terra con quella del Sole (considerando i due
corpi come se fossero superfici piane).
Tempo di esecuzione
Circa mezz’ora
Materiale occorrente
- Coriandoli colorati (0,5 cm di diametro)
- Un foglio di carta da pacchi
Procedimento
¾ Confronto tra il diametro del Sole e il diametro della Terra.
- Nel nostro caso assumeremo come modello rappresentativo della Terra un
coriandolo con diametro di 0,5 cm. Recuperando da una precedente ricerca
affidata ai bambini, o fornendo loro direttamente il valore del raggio della Terra e
di quello del Sole, si scopre che è possibile rappresentare il raggio del Sole nella
scala scelta incollando uno dopo l’altro 109 coriandoli (109 e’ il valore
approssimato del rapporto fra i raggi del Sole e della Terra) per un confronto delle
dimensioni lineari.
- Discussione collettiva per confrontare i diametri dei due corpi e passare poi al
confronto delle superfici ricavate a partire da tali diametri.
¾ Confronto tra le superfici del Sole e della Terra, considerati come
oggetti piani.
- A partire dal raggio ottenuto allineando 109 coriandoli, disegnare una
circonferenza. Incollare tanti coriandoli fino a coprire l’intera superficie tenendo a
mente il numero dei coriandoli utilizzati per giungere questa volta ad un confronto
di superfici: quanti coriandoli-Terra sono necessari per coprire il cerchio del Sole
(immagine bidimensionale)?
- Far osservare ai bambini che il procedimento che abbiamo scelto non è esatto
bensì approssimato, poiché tra un coriandolo e l’altro rimangono spazi vuoti.
78
- Discussione collettiva per mettere a confronto le superfici dei due cerchi ottenuti
con le previsioni precedentemente riportate nei disegni dei bambini, per passare
infine a lavorare con i volumi.
Esperienza 5.b
Contenuti
- Misura di volume
- Concetto di vuoto di materia all’interno del Sistema Solare
Obiettivi specifici
- Comprendere la tridimensionalità del cielo.
- Confrontare intuitivamente il volume della Terra con quello del Sole.
- Acquisire l’idea che lo spazio compreso fra il Sole e i pianeti del Sistema Solare è
“vuoto” di materia.
- Capire che le dimensioni dei corpi del Sistema Solare sono estremamente piccole
rispetto alle distanze che li separano.
Tempo di esecuzione
Circa un’ora
Materiale occorrente
- Materiale vario per la realizzazione di sferette di dimensione adeguata per la
riproduzione di Terra e Sole in scala oppure biglie e palline di dimensioni varie e
calibro per sceglierne due di dimensioni proporzionali a quelle reali.
- Una cordella metrica
Procedimento
¾ Riproduzione in scala del sistema Terra-Sole
- Recuperare i dati necessari per la rappresentazione in scala del sistema Terra-Sole
(dimensioni e distanza Terra-Sole).
- Scegliere uno spazio opportuno all’aperto (corridoio, corte o giardino della
scuola) dove riprodurre il sistema in scala: far misurare la massima distanza
disponibile per posizionare i nostri corpi celesti.
- Calcolare le dimensioni e le distanze in scala tenendo conto sia dello spazio
79
disponibile sia della successiva fase di costruzione della Terra e del Sole.
- Costruzione dei modelli tridimensionali “sferici” in scala del pianeta Terra e della
stella Sole dove la scelta del rapporto di scala spetta ai bambini.
- Discussione collettiva sui modelli realizzati per far emergere che per
rappresentare correttamente il sistema Terra-Sole dobbiamo tenere conto anche
della distanza che li separa.
- Posizionare sul terreno il Sole e misurare la distanza corretta a cui porre la Terra.
- Far passeggiare i bambini all’interno del sistema in scala per mettere in evidenza il
“vuoto di materia”.
80
6. Secondo incontro svolto in classe
Dimensioni e distanze relative del sistema Terra-Sole
La lezione si è aperta con una domanda: cosa significa disegnare qualcosa in scala? Ci
sono state varie risposte, principalmente riferite alla scala alimentare oppure a sistemi
di misura quali, ad esempio, la scala Richter o la scala delle eruzioni vulcaniche.
Nessuno, insomma, aveva centrato il tema di cui volevo parlare. Ho provato quindi a
sollecitarli con un esempio: se volessimo rappresentare via della Chiesa (dove si trova
la scuola) e piazza Tasso su una pagina del vostro quaderno non avremmo sufficiente
spazio, quindi dovremmo certamente “rimpicciolirle”. Ma di quanto? Se
disegnassimo via della Chiesa così
e piazza Tasso così
cos’è che non avremmo rispettato?
G.: “Le dimensioni”.
M.: “Le misure”.
Certamente, come abbiamo già detto le dimensioni non possono essere quelle reali,
ma soprattutto un disegno così non sarebbe… “in scala”. Giusto! Avete mai sentito
dire che una carta geografica – voi studiate le regioni e sui vostri libri ci sono le carte
geografiche – oppure gli stradari – anche la mappa del vostro quartiere che avete in
classe – sono in scala? Che cosa significa rappresentare in scala? “Devono essere
ridotti nello stesso modo”, “Anche i modellini”. Sì, sono tridimensionali ma sempre
in scala; domani quando andrete al museo di “Firenze com’era” vedrete il plastico
della Florentia romana riprodotto in scala.
Ho fatto alcuni esempi concreti per far capire agli alunni cosa significa ridurre in
scala le dimensioni di un oggetto e come si procede nei casi concreti, per esempio
quando vogliamo fare una rappresentazione in scala sul nostro quaderno. La scala è
espressa dal rapporto tra la misura sulla carta e la misura reale.
A questo punto ho chiesto ai bambini di disegnare sui loro quaderni la Terra e il Sole
cercando di porre attenzione non tanto alla qualità artistica dell’immagine, quanto alle
dimensioni dei due corpi: quanto immaginavano più grande il Sole rispetto alla Terra.
81
Figura 23
Alcuni disegni dei bambini.
Spesso nei libri di scuola il Sole e la Terra non vengono rappresentati rispettando le
proporzioni e ciò è dovuto al fatto che le dimensioni dei due corpi celesti sono molto
diverse. Proviamo a capire come potremmo operare per riprodurre le loro
dimensioni e la loro distanza in scala. Non è semplice immaginarlo perché si tratta di
dimensioni enormi e anche perché noi siamo sulla Terra, facciamo parte del sistema e
quindi non possiamo vederlo dall’esterno. Analizziamo questi dati, ma ci rendiamo
subito conto che numeri così grandi sono difficilmente commensurabili a mente:
Raggio terrestre (RT) = 6.370 km
Raggio solare (RS) = circa 700.000 km
Distanza media Terra-Sole (D) = circa 150.000.000 km
Tutti voi avete disegnato sui vostri quaderni il Sole più grande rispetto alla Terra; ma
come facciamo a sapere quanto è più grande? Dobbiamo capire quante volte il raggio
terrestre è contenuto nel raggio solare. Purtroppo, contro ogni aspettativa, ho
constatato che i bambini ancora non avevano studiato la circonferenza e quindi non
sapevano neppure cosa fosse il raggio; con una piccola integrazione abbiamo
colmato la lacuna e proseguito nel nostro percorso. E., quindi, suggerisce: “Si
divide”; che cosa? “Il raggio del Sole diviso il raggio della Terra”. Bravi! Dobbiamo
vedere quante volte il raggio della Terra sta dentro a quello del Sole come se lo
riportassimo tante volte sino a coprire l’intero raggio solare e contassimo quante
volte il raggio terrestre è contenuto all’interno di quello del Sole.
L. munito di calcolatrice esegue l’operazione:
82
700.000 km : 6.370 km = 109 circa
Questo significa che il raggio terrestre è contenuto più o meno 109 volte in quello
del Sole; il raggio del Sole è uguale a 109 raggi terrestri:
↓
RS = 109 × RT
E. vorrebbe fare la riprova ed accolgo la proposta poiché è proprio il modo di
operare di un vero scienziato.
Nonostante il Sole sia una stella classificata dagli astronomi come relativamente
piccola, le sue dimensioni messe a confronto della Terra risultano decisamente
enormi.
La distanza tra la Terra e il Sole è circa 150.000.000 km: se prendiamo ancora una
volta il raggio della Terra (RT) come valore di riferimento, quante volte sarà
contenuto nella distanza Terra-Sole?
150.000.000 km : 6.370 km = 23.500
Domando: 23.500 cosa?
L.: “Chilometri”.
E.: “Centimetri”.
Chiedo ai bambini di porre maggiore attenzione e A. annuisce aggiungendo “raggi
terrestri”. La distanza tra la Terra e il Sole è 23.500 raggi terrestri.
↓
D = 23.500 × RT
Su un foglio azzurro alcuni bambini hanno disegnato e ritagliato un cerchio con
raggio pari a 0,7 cm. Come possiamo calcolare il raggio del Sole perché sia
proporzionato alla nostra Terra? I bambini avanzano l’ipotesi di moltiplicare il raggio
della piccola Terra azzurra per 109. Proprio in questo modo abbiamo calcolato
quanto sarebbe dovuto essere il raggio solare perché il nostro disegno risultasse in
scala. Armati di filo e un paio di lapis abbiamo improvvisato un bel compasso
sufficientemente grande da permetterci di disegnare un cerchio di raggio pari a 76,3
cm.
83
Figura 24
La foto mostra alcuni bambini al lavoro.
Una volta terminata l’opera, abbiamo posto accanto al gigante la piccola Terra: beh,
la meraviglia non è stata poca nel constatare la grandezza del Sole rispetto al nostro
pianeta; se la Terra che i bambini avevano disegnato sui loro quaderni non aveva
dimensioni poi tanto diverse da quella del nostro esperimento lo stesso non si poteva
dire per il Sole, decisamente più piccolo, rispetto a quello riprodotto in scala! Uno
solo, tra tutti i bambini, aveva intuito che la differenza doveva essere ben marcata ed
aveva quindi provveduto a sistemare il Sole in due pagine di quaderno, anziché nella
singola e, peraltro, a disegnarne circa un quarto della sua superficie lasciando
all’osservatore il dovere di prolungare con una linea immaginaria il cerchio solare.
Niente male come considerazione, ma ancora molto lontana dalle giuste proporzioni!
Figura 25
Nella foto si vedono il cerchietto azzurro, a simboleggiare
la Terra, posto accanto al Sole, disegnato in lapis su un
foglio di carta da pacchi, col diametro in scala con quello
della Terra.
Ma la Terra e il Sole sono dei cerchi?
84
A.: “Sono sfere”. Esatto! Il nostro pianeta non è affatto un cerchio piatto; quando
però siamo a casa, camminiamo per strada, o adesso che siamo in classe, non ci
sembra una sfera rotonda. Perché nella realtà di tutti i giorni la Terra ci appare piatta?
“Forse perché è grande e non ci rendiamo conto che è tonda”, dice E., “come
l’orizzonte”, aggiunge L. Avevano immediatamente centrato il bersaglio! Abbiamo
fatto una semplice esperienza per ridurre lo sforzo mentale e vedere più da vicino
cosa accade: ci siamo muniti di un palloncino e lo abbiamo gonfiato. Abbiamo
notato che all’inizio la sua superficie è molto curva, ma via via che si gonfia essa si
distende sempre un po’ di più. Se il palloncino è molto grande e lo guardiamo da una
certa distanza la sua forma ci appare chiaramente sferica, ma se avviciniamo l’occhio
alla sua superficie non siamo più in grado di apprezzare questa caratteristica.
Figura 26
Le foto mostrano in successione un bambino mentre gonfia un palloncino, il palloncino
fotografato da una certa distanza e, infine, una superficie ridotta del medesimo palloncino
ottenuta avvicinando ad esso l’“occhio” della macchina fotografica.
Ecco perché la Terra ci appare piatta: essa è molto grande e noi che viviamo sulla sua
superficie riusciamo a vederne solo una porzione relativamente piccola, così la sua
lieve curvatura ci appare piatta. La sfericità della Terra risulta, invece, evidente non
appena ci si allontana.
A questo punto volevamo riprodurre la nostra rappresentazione del sistema TerraSole in tre dimensioni!
Ho fatto semplicemente un accenno al diverso comportamento del cerchio e della
sfera per cui se raddoppiassimo il raggio non raddoppierebbero allo stesso modo
l’area del cerchio e il volume della sfera. Ecco comparire in nostro soccorso un
pallone da basket che rappresenterà… “la Terra”, suggeriscono i bambini. Li
correggo, rappresenterà il Sole; agli sguardi perplessi dei bambini associo la
meraviglia per un Sole di dimensioni tanto modeste da stare in una busta! Li
rassicuro: avremmo trovato una sferetta tanto piccola da poter simulare il nostro
pianeta in proporzione alle dimensioni del pallone; e, se ho scelto un Sole non
85
troppo grande un motivo c’è: questa volta disporremo Sole e Terra non l’uno a
fianco all’altra, ma alla debita distanza, rispettandone le proporzioni!
Il nostro pallone da basket ha il diametro di 24 cm e quindi il raggio di 12 cm: se esso
rappresenta simbolicamente il Sole, quale dovrà essere il diametro della sferetta che
rappresenterà la nostra Terra per essere in scala?
Abbiamo discusso alcuni minuti prima di riuscire a formulare correttamente
l’operazione necessaria per raggiungere il risultato finale. Ho scoperto che gli alunni
hanno avuto alcune difficoltà, probabilmente dovute al fatto che il dividendo (12) era
più piccolo del divisore (109) e questo a loro sembrava anomalo. Ho ripetuto ancora
una volta la nostra deduzione; conoscevamo già la relazione tra i raggi del Sole e della
Terra: quello terrestre è 109 volte più piccolo del raggio del Sole e lo stesso rapporto
si ha fra i due diametri. I bambini, con l’aiuto della calcolatrice, hanno svolto la
divisione e abbiamo trovato che:
RT = 12 cm : 109 = 0,1 cm = 1 mm, e quindi il diametro della sferetta dovrà essere di
2 mm!
Figura 27
Una sferetta con diametro 2 mm è posta accanto ad
una moneta da 1 euro per rendere meglio l’idea delle
sue dimensioni.
Ho mostrato la sferetta, che mi ero precedentemente procurata, e nella sua
piccolezza ha destato grande curiosità; le domande sono cadute a pioggia – dove
l’avevo trovata, per cosa veniva utilizzata, di che materiale era fatta, ecc. – ma dopo
una breve panoramica sulla sua identità ho richiamato l’attenzione chiedendo quale
dato avremmo dovuto ancora ricavare per realizzare il nostro sistema. “La distanza”,
mi hanno risposto i bambini in coro! I nostri sguardi si sono nuovamente rivolti
verso la lavagna che conservava tutti i passaggi del ragionamento; la distanza tra la
Terra e il Sole è 23.500 volte il raggio della Terra, quindi:
D = 23.500 × 0,1 cm = 2.350 cm = 23,50 m
E. mi suggerisce un’altra modalità con cui avremmo potuto ridurre le dimensioni del
sistema: “Avremmo potuto prendere 6.370, che è il raggio della Terra, e considerarlo
in cm anziché in chilometri”. Giusta osservazione: quello che ci aveva proposto E.
86
era un metodo corretto per ridurre in scala ma, nel nostro caso, le dimensioni
sarebbero rimaste comunque troppo grandi e avremmo dovuto procedere dividendo
per dieci, cento, mille, ecc. fino ad ottenere numeri compatibili con le distanze
massime a nostra disposizione per riuscire a sistemare le due sfere alla debita distanza
(nel nostro caso il corridoio).
Chiedo ai bambini se, secondo loro, in classe abbiamo a disposizione 23,5 m, ma
sono tutti concordi con L. che suggerisce di spostarci in corridoio; accolta la
proposta, anticipo ai bambini che l’operazione dovrà svolgersi in un “rigorosissimo”
silenzio per non disturbare le altre classi al lavoro.
Prima di uscire sollevo un quesito: posizioniamo la sferetta-Terra ad un’estremità del
corridoio, misuriamo 23,5 m e sistemiamo in questo punto il pallone-Sole; tornando
nel punto in cui si trova la Terra come ci apparirà il pallone? “Piccolino, perché lo
mettiamo a una distanza grande”. Provo a spiegarmi meglio con un’altra domandastimolo: ci sarà un’analogia, una somiglianza con la realtà? Il pallone lo vedremo più
grande o più piccolo rispetto a come vediamo il Sole nella realtà? I bambini sono
ancora propensi a sostenere la tesi secondo cui esso apparirà più piccolo, benché
questa non sia retta da argomentazioni. Procediamo nella discussione collettiva:
come abbiamo operato per ottenere tali misure e distanze? Non le abbiamo ridotte
casualmente, ma… “in scala”. È vero che il Sole reale è molto, molto più grande del
nostro pallone ma esso è anche molto, molto più distante da noi! Noi abbiamo
calcolato esattamente a che distanza sarebbe il Sole se fosse grande come il pallone;
non finisco di parlare che E. irrompe esclamando: “come la forma della palla!” e
capisco, nonostante il discorso non sia ben articolato, che vuole essere la risposta al
quesito iniziale; ha colto esattamente il punto. Non tutti ne sono convinti ma ci
spostiamo per osservare direttamente ciò che avevamo immaginato mentalmente.
Figura 28
I bambini al lavoro nel corridoio della scuola.
87
I bambini, muniti di rotella metrica, hanno provveduto a misurare, nel corridoio della
scuola, ventitrè metri e mezzo per sistemare alle due estremità di tale distanza la
sferetta ed il pallone.
Figura 29
La foto è stata scattata in corrispondenza della posizione
della sferetta; si vede, indicato dalla freccia rossa il
pallone che rappresenta il Sole posto a 23,5 m di
distanza dalla sfera.
Dopodichè, posizionati in corrispondenza della sferetta che rappresentava la Terra,
hanno osservato il Sole e verificato che le sue dimensioni apparivano simili a quelle
del disco luminoso che vediamo in cielo. Le proporzioni erano mantenute!
88
Che cos’è l’universo per un bambino? E quanto è grande nel suo immaginario?
Probabilmente diventa tanto più grande quanto più spazio ha a disposizione per
calpestarlo con i suoi piedi in un sistema tridimensionale che ne riproduca le
proporzioni e, quindi, quanto più il suo sguardo diventa sensibile a ciò che si estende
intorno e sopra di noi. Se il pensiero pone le sue basi sull’aver visto, toccato,
incontrato, esperito, allora è possibile che abbiano luogo operazioni di
generalizzazione ed astrazione pur sempre connotate di significato e coscienza.
Occorre potenziare tutte le capacità percettive per imparare a “fidarsi” dei propri
sensi, mettendoli massimamente a frutto come mezzi d’indagine senza rischiare però
di esserne ingannati!
89
7. Progettazione del terzo incontro
Luminosità vera e apparente delle stelle
Quante volte si alzano gli occhi al cielo per godere dello spettacolo che ogni notte –
nuvole a parte! – compare sopra di noi. Oggi la maggior parte dei ragazzi vive in città
ed è sicuramente più difficile poter contemplare tale bellezza a causa
dell’illuminazione artificiale e delle polveri diffuse nell’atmosfera che limitano la
visibilità delle stelle. Ma chi ha trascorso una serata estiva in campagna o sulla
spiaggia sotto il cielo stellato si sarà sicuramente interrogato sulla natura di questi
affascinanti corpi celesti!
Le stelle sono oggetti lontanissimi che vengono generalmente identificate in base alla
costellazione di appartenenza (gruppi di stelle a cui l’uomo, fin dall’antichità, ha dato
nomi legati alle figure mitologiche che sembravano disegnare sulla volta celeste).
Nei secoli passati si è creduto a lungo che le stelle fossero tutte alla stessa distanza da
noi; oggi sappiamo che non è affatto così.
La stella più vicina alla Terra si trova nella costellazione del Centauro; Proxima
Centauri, questo il suo nome, si trova a 4,3 anni luce54 da noi (che corrispondono a 40
mila miliardi di chilometri) e ciò significa che quando giunge a noi la sua luce ha
viaggiato per oltre 4 anni.
Il Sole è una normale stella e ci accorgiamo tutti i giorni che, non appena sorge, la
sua luce è sufficiente ad illuminare il cielo intero; come si spiega allora il fatto che le
innumerevoli stelle della Galassia (circa 100 miliardi) non illuminano il cielo
notturno? Perché la distanza delle stelle è enorme e, nonostante siano moltissime, la
loro luce ci arriva molto debole.
Ma se queste sono le distanze, come fanno gli astronomi a studiare le stelle? Essi
ricavano una grande quantità di informazioni importantissime dalla luce (dove si
trovano, se sono giovani o vecchie, come si muovono nello spazio, ecc.). In realtà, la
luce ci dice come la stella era in passato. Quanto più la stella è lontana, tanto più
tempo ha impiegato la sua luce per giungere fino a noi. Nel frattempo è sicuramente
invecchiata e potrebbe addirittura esser morta.
54
L’anno luce (a.l.) è una delle unità di misura che gli astronomi usano per misurare la distanza
delle stelle: un anno luce è la distanza che la luce percorre nel vuoto in un anno; tenendo conto che
la velocità della luce è circa 300.000 km al secondo, la distanza percorsa in un anno ammonta a
circa 9.500 miliardi di km.
90
Le stelle che possiamo vedere ad occhio nudo sono circa 5.000: come fanno gli
astronomi a studiare le innumerevoli stelle più deboli o quelle che l’occhio umano
non può neppure percepire?
A partire dalla messa a punto del cannocchiale di Galileo, da cui sono derivati i più
potenti e sofisticati telescopi moderni, l’indagine dell’universo si è spinta verso
confini sempre più lontani. Come può essere d’aiuto uno strumento come il
telescopio? Il telescopio è costruito in modo da raccogliere con uno specchio più
luce possibile. Oggi si realizzano telescopi enormi con specchi del diametro di alcuni
metri. Maggiore è il diametro, maggiore è la quantità di luce raccolta; questo è di
fondamentale importanza per catturare la luce delle stelle più deboli. Per capire
meglio, possiamo immaginare il flusso della luce proveniente dalle stelle più brillanti
come il flusso di una fitta ed incessante pioggia. Quello che a noi interessa, è scoprire
più stelle possibili; dunque stelle sempre più deboli, che possiamo paragonare ad una
timida pioggerellina: se non sussiste alcuna difficoltà a raccogliere gocce di pioggia
torrenziale anche con un semplice bicchiere – quindi, fuor di metafora, a raccogliere
la luce dei corpi più brillanti col nostro occhio – la faccenda diviene più complessa
allorché il numero di gocce si faccia sempre più rado e meno frequente: il bicchiere
dovrà essere sostituito con un secchio tanto più largo quanto minore è il numero di
gocce che cadono dal cielo. Cosa accadrebbe, infatti, se piovesse e in giardino
avessimo disposto due bacinelle di diversa grandezza? Così come il telescopio
raccoglie più luce del nostro occhio, allo stesso modo la bacinella più larga raccoglie
più gocce di pioggia di quella più piccola; fenomeno che diverrebbe ancor più
evidente allorché la pioggia rallentasse la sua caduta così che le gocce sempre più
piccole e meno frequenti cadrebbero ancora in quantitativo piuttosto consistente
nella bacinella più grande, mentre quella piccola riuscirebbe a raccoglierne
pochissime, come mostra la figura.
Figura 30
Il telescopio assomiglia appunto alla bacinella grande: quanto più grande è il suo
specchio quanti più granelli di luce riuscirà a raccogliere, a riflettere e a far
convergere in un unico punto dove vengono misurati ed analizzati.
91
Un altro enorme limite del nostro occhio è quello di non trattenere il segnale
luminoso per più di un decimo di secondo inviandolo immediatamente dopo al
cervello. Quindi se il segnale luminoso è molto debole è possibile che in un decimo
di secondo non arrivino abbastanza granelli di luce, la quantità minima di segnale
richiesta, perché il cervello la riconosca e possa dunque formare l’immagine. Ecco
perchè occorre uno strumento per immagazzinare la luce stellare raccolta. Gli
astronomi ricorrono infatti a pellicole fotografiche, che registrano e trattengono il
segnale luminoso oppure, più di recente, a strumenti elettronici chiamati CCD,
dispositivi che troviamo anche nelle macchine fotografiche digitali.
Esperienza 7.a
Contenuti
- Luminosità apparente e luminosità assoluta
- Distanza dalla sorgente luminosa
Obiettivi specifici
Far comprendere come la luminosità e la distanza di una fonte luminosa siano
strettamente correlate e concorrano a determinare lo splendore di ciascun astro,
così come lo vediamo dalla Terra.
Tempo di esecuzione
10 minuti
Materiale occorrente
Nessun materiale particolare
Procedimento
Qualche giorno prima dello svolgimento della lezione sulle stelle si invitano i
bambini a fare questa esperienza, una sera che tornati a casa avranno qualche
minuto libero da dedicarle: unica prerogativa è che sia calata la luce del sole e
nell’oscurità si siano accese le luci della città. Si chiede loro di guardare da una
finestra di casa: cosa si osserva? Ci saranno finestre illuminate, lampioni di strade e
altre luci. È possibile stabilire quale sia la luce più vicina? E quella più luminosa?
Non conoscendo quali sono le case più vicine e non sapendo quali lampade sono
quelle più luminose resteranno dei dubbi, e ciò che dovrà emergere sarà proprio
92
l’oggettiva impossibilità di stabilirlo.
Per conoscere la luminosità di una stella si deve quindi cominciare a misurarne lo
splendore apparente: misura realizzabile mediante uno strumento detto fotometro
applicato a un telescopio e in grado di trasformare la radiazione in corrente elettrica
dalla cui intensità si quantifica la luminosità della stella. Già gli antichi astronomi, a
partire dai tempi di Ipparco (II sec. a.C.), avevano classificato le stelle in base alla
loro luminosità stimando lo splendore apparente delle stelle visibili a occhio nudo
(circa 5.000) in sei classi: da quelle più splendenti dette “di prima grandezza”
(magnitudine apparente 0) a quelle “di sesta grandezza”, al limite della visibilità
(magnitudine apparente 6). Oggi, con i fotometri moderni e con una nuova scala di
magnitudine predisposta sull’esempio di quella di Ipparco, si classificano stelle che
vanno da magnitudini negative (particolarmente brillanti, come Sirio) a magnitudini
di circa 24 (stelle estremamente deboli).
Esperienza 7.b
Contenuti
Luminosità apparente delle stelle
Obiettivi specifici
Costruire un semplice strumento per catalogare le stelle secondo la loro luminosità
apparente (cioè dividerle in classi di luminosità) e prendere consapevolezza che
esiste un limite del nostro occhio per cui deve esserci un certo grado di differenza
di luminosità tra una stella e l’altra, altrimenti non riusciamo a percepirlo.
Tempo di esecuzione
15 minuti per la costruzione dello strumento e quanto tempo si ha a disposizione
per l’osservazione delle stelle
Materiale occorrente
- Un cartoncino con dimensioni 10 cm × 20 cm nero, abbastanza rigido
- Carta da modelli bianca tagliata delle stesse dimensioni del cartoncino
- Una moneta da 1 euro con cui disegnare le circonferenze
93
Procedimento
- Utilizzando la moneta o qualcosa di analogo disegnare sul cartoncino cinque
circonferenze.
- Tagliare le circonferenze lungo il bordo formando nel cartoncino cinque fori.
- Tagliare 20 pezzi di carta da modelli delle dimensioni del cartoncino.
- Tutti i foglietti così ottenuti devono essere attaccati al bordo più stretto del
cartoncino nero in modo da coprire da sotto i fori.
- Tagliare i fogli di carta bianca in modo tale che il foro più distante dall’attaccatura
rimanga scoperto, il penultimo risulti coperto da 5 fogli di carta, quello ancora
precedente da 10, il secondo da 15, ed infine quello più vicino all’attaccatura da 20.
- In questo modo ogni foro risulterà coperto da un numero diverso di strisce. Il
diverso spessore della carta permetterà di vedere o non vedere alcune stelle e non
altre.
- Numerare i vari fori da 1 a 5 partendo da quello con il maggior numero di strati
di carta.
- A questo punto lo strumento è pronto per l’osservazione e la catalogazione delle
stelle. Le stelle che risultano visibili solo dal foro senza carta avranno luminosità 5,
quelle che invece saranno ancora visibili dal primo foro, quello con 20 fogli
bianchi sovrapposti, avranno luminosità 1. Risulteranno quindi più brillanti quelle
di luminosità 1.
Un’altra legge che ci proponiamo di studiare è l’andamento dell’intensità luminosa
con la distanza dalla sorgente.
Allontanandosi da una sorgente, l’intensità della luce diminuisce in modo
proporzionale al quadrato della distanza r, cioè come 1/r².
Esperienza 7.c
Contenuti
- Intensità della luce
- Distanza dalla sorgente
- La legge dell’inverso del quadrato della distanza
Obiettivi specifici
Dimostrare che l’intensità della luce emessa da una sorgente decresce in modo
proporzionale al quadrato della distanza (1/r²).
94
Tempo di esecuzione
30 minuti
Materiale occorrente
Torcia e parete bianca su cui proiettare la luce
Procedimento
Dopo aver oscurato l’aula, accendere la torcia e puntarla contro una parete bianca.
Questa proietta sul muro un cerchio di luce. Provare ad allontanare dal muro la
sorgente luminosa: cosa accade? La macchia di luce si allarga, ma diviene anche
meno intensa. Potrebbe esserci una relazione tra l’intensità della luce e la distanza
dalla sorgente? Come fare per scoprirlo? Guidare i bambini in una discussione
collettiva e attraverso alcuni tentativi con la torcia, cercare di ricavare la legge che
regola tale rapporto.
Se avessimo due torce uguali e le mettessimo a distanze diverse queste
proietterebbero sul muro due fasci di luce di diversa intensità. Ma se potessimo
vedere solo la luce sul muro, senza conoscere la grandezza e la potenza delle torce,
come faremmo a dedurre se emettono una luce diversa o se sono semplicemente a
distanze diverse? Resta appunto da capire se una stella debole è semplicemente più
lontana rispetto ad altre apparentemente molto brillanti.
Per sapere se davvero una stella è più luminosa di un’altra, dovremmo metterle alla
stessa distanza per poi confrontarle e, dato che questo non è proprio possibile, ecco
che diventa di fondamentale importanza per gli astronomi misurare la distanza delle
stelle! Ma come? Sulla Terra possiamo utilizzare righelli, aste, corde, cordelle
metriche, ecc. per misurare in modo diretto la distanza tra due oggetti, ma certo
questo non si può fare con una stella o un pianeta! Ci sono però alcuni metodi
indiretti per calcolare la distanza di una stella a partire da altri dati. Uno di questi
prende il nome di metodo della parallasse. La parallasse è lo spostamento apparente di
un oggetto rispetto allo sfondo, quando viene osservato da due punti diversi.
Esperienza 7.d
Contenuti
Metodo della parallasse: si chiama angolo di parallasse quell’angolo che si forma
95
fra le due direzioni in cui possiamo osservare un oggetto da due punti distinti;
corrisponde all’angolo sotto il quale sarebbe vista la distanza tra i detti punti,
chiamata linea di base, da un ipotetico osservatore posto sull’oggetto (nel caso delle
stelle, sull’astro stesso).
Obiettivi specifici
Comprensione della relazione fra angolo di parallasse, distanza dell’oggetto e
distanza dei punti d’osservazione; acquisizione intuitiva del concetto di calcolo
della distanza di un oggetto attraverso il metodo della parallasse.
Tempo di esecuzione
10 minuti
Materiale occorrente
Nessun materiale particolare
Procedimento
Ciascun bambino, a turno, viene chiamato a osservare un suo compagno
posizionato su uno sfondo con dei punti di riferimento attorno (v. figura 31).
L’osservatore verrà invitato poi a spostarsi verso destra: l’amico nasconde sempre
le stesse cose dello sfondo? Certamente la sua posizione rispetto allo sfondo sarà
cambiata, sebbene lui non si sia mosso! Conoscendo di quanto si è spostato
l’osservatore, possiamo misurare lo spostamento apparente dell’amico rispetto al
punto di riferimento che avevamo preso sullo sfondo e successivamente quanto
dista il compagno dall’osservatore stesso.
Figura 31
L’immagine mostra lo spostamento
apparente rispetto alla porta sullo
sfondo di una persona osservata
dalla
posizione
1
e
successivamente dalla 2.
96
È proprio questa la proprietà che viene usata dagli astronomi per misurare la distanza
di una stella. Questo metodo viene usato soltanto per le stelle più vicine, di cui si può
apprezzare uno spostamento apparente rispetto allo sfondo costituito da stelle
lontanissime. Per avere due punti di osservazione sufficientemente distanti si utilizza
lo spostamento della Terra lungo l’orbita attorno al Sole (v. figura 32).
Esperienza 7.e
Contenuti
Effetto di parallasse
Obiettivi specifici
Mantenendo fissa la linea di base, cioè la distanza tra i due punti di osservazione, vi
è un rapporto di proporzionalità inversa tra angolo di parallasse e distanza:
raddoppiando la distanza l’angolo viene dimezzato, triplicando la distanza l’angolo
si riduce ad un terzo e così via.
Tempo di esecuzione
10 minuti
Materiale occorrente
Nessun materiale particolare
Procedimento
Osservare sempre un compagno rispetto ad uno sfondo di riferimento, ma questa
volta posto a una distanza maggiore, pari ad alcuni metri. Cosa succede? Il suo
spostamento apparente rispetto allo sfondo si è molto ridotto e diminuirà ancora
fino a diventare praticamente nullo via via che ci si allontana dal soggetto
osservato.
Da queste esperienze si trova conferma che l’effetto di parallasse dipende da due
fattori:
ƒ
la distanza a cui è posto l’oggetto;
ƒ
la distanza fra le due posizioni di osservazione.
97
Maggiore è lo spazio disponibile per l’osservazione e maggiore è la distanza a cui può
trovarsi l’oggetto osservato perché si possa continuare a vedere lo spostamento
apparente.
Figura 32
I due pallini viola in alto rappresentano le due posizioni
apparenti di una stella vicina a distanza di sei mesi.
L’angolo p è la parallasse della stella.
Durante l’anno, la stella sembra percorrere nel cielo
un’ellisse, detta ellisse di parallasse, rispetto alle stelle
che stanno sullo sfondo. In realtà non è la stella ad
essersi spostata, ma è la Terra che descrive tale ellisse
orbitando attorno al Sole!
98
8. Terzo incontro svolto in classe
La luminosità vera e apparente delle stelle
Prima del rientro in classe dei bambini dall’intervallo ho provveduto a
sistemare due torce su due banchi posti a distanza diversa dalla lavagna su cui
avremmo proiettato le luci; ho coperto le torce con della stoffa colorata perchè i
bambini non vedessero che erano identiche. Anche questo incontro ha avuto inizio
con un quesito: che cos’è il Sole? I bambini non hanno avuto alcun dubbio nel
classificarlo come stella. Tutti i giorni questa stella provvede ad illuminare il cielo
intero: perché allora i miliardi di stelle della notte ci appaiono come puntini e non
illuminano il cielo?
Le stelle sono oggetti lontanissimi; la più vicina si chiama Proxima Centauri e si trova a
4,3 anni luce da noi (40.000 miliardi di km): questo significa che la sua luce per
giungere sino alla Terra deve viaggiare per oltre 4 anni. Per rendere l’idea delle
immense distanze, ho suggerito ai bambini di immaginare – attraverso un
esperimento mentale – di poter raggiungere il Sole con un passo: per arrivare fino a
Proxima Centauri, mantenendo le debite proporzioni, avrebbero dovuto fare 200.000
passi, cioè camminare ininterrottamente per circa due giorni!
Figura 33
L’immagine mostra l’enorme distanza della stella più vicina a noi in relazione a quanto
dista il Sole.
Gli astronomi misurano le distanze delle stelle in anni luce. Un anno luce è uguale alla
distanza che la luce percorre nel vuoto in un anno, circa 9.500 miliardi di km. La
velocità della luce è circa 300.000 km/s. Anche in questo caso per capire quanto
siano grandi i numeri nello spazio abbiamo fatto un confronto con la velocità di
un’automobile. Una macchina che viaggia ad una velocità piuttosto sostenuta
percorre 100 km all’ora; dunque, con qualche calcolo siamo giunti a stabilire che la
luce ne percorrerebbe 1.080.000.000 in un’ora. Anche le sonde spaziali di ultima
generazione impiegherebbero centinaia di anni per raggiungere la stella più vicina!
99
Come fanno allora gli astronomi a studiare questi oggetti misteriosi? Non possono
raggiungerle e neppure portarsele comodamente in laboratorio! Una cosa che
possiedono e che studiano, poiché contiene delle informazioni importantissime, è la
luce. In realtà la luce, prima di arrivare sulla Terra, ha dovuto percorrere una distanza
grandissima, quindi è stata emessa dalla stella molti anni fa: quanto più la stella è
lontana, tanto più tempo ha impiegato la sua luce per giungere fino a noi. Questo
vuol dire che la luce ci “parla” di come la stella era in passato! Come se ci parlassero
di una persona anziana che non conosciamo e per figurarcela meglio ci mostrassero
una foto di quando era giovane.
Ma le stelle sono davvero luminose come ci appaiono? Come possiamo fare per
scoprirlo? A questo punto sono entrate in azione le torce che fin dall’inizio avevano
destato grande curiosità nei bambini. Le abbiamo accese ed è parso subito evidente
che le due proiezioni sullo sfondo nero della lavagna erano diverse. E le nostre
“stelle artificiali” saranno diverse?
Figura 34
Foto delle proiezioni di luce di due torce identiche poste a diversa
distanza dalla lavagna.
P.: “C’è differenza tra luci artificiali proiettate”.
L.: “La potenza della luce è diversa”.
L.: “Potremmo metterle alla stessa distanza”.
B.: “La torcia vicina sembra più piccola”.
A.: “Sono uguali ma con distanze diverse”.
M.: “Le stelle meno luminose non so se sono più opache per la loro giovinezza o per
la distanza”.
L.: “Ci sono altri soli?”
100
D.: “Le stelle sono anche venti volte più luminose del Sole”.
M.: “La più luminosa è più vicina”.
A.: “Quella più lontana fa una luce più grande ma più debole, quella più vicina è più
piccola ma è più forte”.
E.: “Forse la stella meno luminosa sarà la stella più vecchia”.
Certo le idee non mancavano ed alcune sembravano davvero interessanti. Come fare
allora a confrontare le torce? Lo aveva suggerito in maniera esemplare A.: mettendole
alla stessa distanza! Ed è così che abbiamo scoperto che le due torce erano
esattamente identiche.
Ho chiesto ai bambini se viaggiando di notte avessero mai fatto caso ai fari delle
automobili che provengono dalla direzione opposta al proprio senso di marcia:
inizialmente, quando avvistiamo l’auto in lontananza, i suoi fari appaiono deboli; ma
via via che si avvicina cosa accade? B. giustamente osserva: “Quando i fari della
macchina si avvicinano si ingrossano”. Proprio così, si fanno sempre più potenti.
Infatti più una sorgente di luce è lontana, più sembra debole, più è vicina e più
sembra brillante. Di nuovo, abbiamo trovato conferma con l’aiuto questa volta di
una sola torcia, provando ad avvicinarla ed allontanarla dalla lavagna osservando
come cambiava la luce proiettata al variare della distanza.
Da cosa dipende quindi la luminosità di una stella?
M.: “Dalla distanza”.
L.: “Dal colore che emettono”.
A.: “Grazie alla luna”.
E.: “Dalla grandezza e dalla lontananza”.
Sono bastati pochi istanti di riflessione perché tutti aderissero all’ipotesi di E.
Ecco perché di due torce uguali poste a distanze diverse dal muro, se non ci è dato
conoscere alcunché di esse, al di là della luce di diversa intensità che proiettano sul
muro, risulta impossibile stabilire se emettono una luce diversa o se sono
semplicemente a distanze diverse.
Tornando al nostro interrogativo iniziale, come si spiega allora che la luce del Sole sia
sufficiente ad illuminare il cielo intero e miliardi di stelle della Galassia non
illuminano il cielo notturno? Il cielo ci appare oscuro perché la distanza delle stelle è
enorme; quindi, nonostante siano moltissime, la loro luce ci arriva molto debole.
Che cosa succederebbe se il Sole si trovasse a distanze molto maggiori di quella alla
quale si trova, se ad esempio potessimo collocarlo alla distanza della stelle a noi più
101
vicina? Se il Sole si trovasse alla stessa distanza di Proxima Centauri ci apparirebbe un
semplice puntino nel cielo: esattamente come le altre stelle!
Dunque l’apparenza di una stella (dimensione, luminosità) dipende certamente dalle
sue qualità intrinseche (energia irradiata nell’unità di tempo), ma soprattutto dalla sua
distanza da noi.
Fin dall’antichità le stelle sono state classificate in base alla loro luminosità apparente,
pensando che fossero tutte alla stessa distanza, ma questo non è vero. Per sapere se
una stella è davvero più luminosa di un’altra, dovremmo conoscere la sua luminosità
assoluta, ottenuta mettendo le stelle alla stessa distanza e poi confrontandole, proprio
come abbiamo fatto con le nostre torce. Ovviamente con le stelle questo non è
possibile! Ci serve quindi un modo per ottenere la distanza di una stella, e ricavare
così la sua vera luminosità. Come fare?
Ho proposto allora un piccolo esperimento che ci permettesse di capire in modo
semplice il metodo della parallasse. Ad un bambino è stato chiesto di rimanere fermo
in prossimità dello stipite della porta mentre i compagni lo osservavano da due punti
diversi della stanza.55 L’esperimento è stato ripetuto aumentando questa volta la
distanza fra i due punti di osservazione.56 Ai bambini era stato chiesto di porre
attenzione a come osservavano il compagno rispetto allo sfondo – la cornice della
porta ed alcuni disegni attaccati al muro – da ciascuna delle due posizioni:
G.: “Dalla mia posizione sembra più vicino, da un’altra posizione è più piccino”.
B.: “Dalla lavagna si vede di più la parete”.
E.: “Eravamo noi a cambiare posizione, non D.”.
Non è stato affatto semplice far emergere il concetto di spostamento apparente,
necessario per introdurre il metodo a cui ricorrono gli astronomi per misurare la
distanza di una stella. La parallasse è lo spostamento apparente di un oggetto rispetto
allo sfondo, quando viene osservato da due punti diversi.
La seconda volta che avete ripetuto l’esperienza, nelle due postazioni più lontane
rispetto a D., cosa avete notato di diverso nel suo spostamento apparente rispetto
allo sfondo? “Le cose dietro si spostavano meno”, “Sì, sembrava che rimanesse più
fermo”. Il suo spostamento apparente diminuiva; infatti la parallasse è sempre più
piccola man mano che la distanza dall’oggetto aumenta.
Questo metodo può essere usato per misurare la distanza delle stelle. Le stelle però
sono molto lontane; perciò anche spostandoci di alcuni chilometri non noteremmo
55
56
Vedi Esperienza 7.d, descritta a p. 95.
Vedi Esperienza 7.e, descritta a p. 97.
102
alcuna differenza nella loro posizione rispetto alle stelle vicine sulla volta celeste. Per
poter vedere la parallasse stellare, cioè osservare una differenza nella posizione di una
stella rispetto a quelle più distanti, bisogna osservarla da due posizioni molto distanti
tra loro: quanto maggiore è la base di osservazione tanto maggiore sarà lo
spostamento apparente della stella rispetto allo sfondo e quindi tanto maggiore sarà
la distanza che possiamo misurare. Ma quale è la più grande base di osservazione che
possiamo avere a disposizione sulla Terra? I bambini a questo punto hanno proposto
due punti opposti dell’equatore ma, con sorpresa, hanno scoperto che neppure
questa distanza era sufficiente, e che l’unico modo per misurare la parallasse stellare è
osservare la stella da due estremi opposti dell’orbita terrestre! La Terra, rotando
attorno al Sole, si sposta di circa 300 milioni di km in sei mesi!
Figura 35
Osservando una stella vicina in dicembre e ripetendo l’operazione a
distanza di sei mesi, registreremo una diversa posizione della suddetta
stella rispetto alle stelle che stanno sullo sfondo, tanto lontane che noi le
percepiamo in posizioni fisse nel cielo.
Se stasera osservassimo una stella “vicina”, e ripetessimo l’operazione tra sei mesi,
essa apparirebbe in un punto leggermente diverso rispetto alle altre stelle che si
vedono sullo sfondo.
Avremmo così osservato la stella dalla più ampia base che possiamo avere a
disposizione, ottenuta dal movimento annuo della Terra intorno al Sole: 300 milioni
di chilometri, appena sufficienti per misurare la distanza delle stelle più vicine a noi!
103
9. Progettazione del quarto incontro
Inclinazione dei raggi solari sulla Terra
Perché ci sono le stagioni? Perchè d’estate fa caldo e d’inverno fa freddo? E come si
spiega che ogni dodici mesi le stagioni si ripetono? Attraverso semplici osservazioni
dilatate nel tempo è possibile osservare alcuni cambiamenti nell’aspetto del cielo.
™ Il moto delle costellazioni
Stabilito un punto di osservazione e un orario, osservare una costellazione per alcuni
mesi, a distanza di una settimana. Come cambia la sua posizione? In quanto tempo?
™ L’ombra di un oggetto
Piantata un’asta verticale a terra, osservarne l’ombra giorno dopo giorno, sempre alla
stessa ora, al trascorrere dei mesi. Come cambia la posizione del Sole nel corso
dell’anno quando si trova nel punto di massima altezza sull’orizzonte raggiunto
durante il giorno, ovvero in culminazione? C’è una relazione tra questo e il fenomeno
sopra descritto?
™ L’arco percorso dal Sole
Far osservare ai bambini come varia nel corso dell’anno l’arco percorso dal Sole
durante il dì: c’è una relazione con l’ombra dell’asta?
Come legare poi le osservazioni fatte con le diverse posizioni sull’orizzonte che
durante l’anno il Sole va ad occupare quando nasce e quando tramonta? Che cosa
determinano i fenomeni descritti nelle osservazioni?
Ripercorriamo brevemente i moti del nostro pianeta. La Terra ruota su se stessa da
Ovest verso Est ed impiega un giorno (24 ore circa) per compiere il giro totale.
Inoltre il nostro pianeta ha un moto di rivoluzione, che compie attorno al Sole
impiegando un anno (365 giorni circa) per completare un intero giro. Bisogna anche
considerare che l’asse di rotazione terrestre è inclinato rispetto all’eclittica, il piano sul
quale la Terra orbita intorno al Sole. In effetti, l’asse terrestre punta sempre una
medesima direzione nel cielo – verso la stella polare – e tale inclinazione rispetto al
104
piano dell’eclittica, di 66° e 33', rimane costante durante la rivoluzione (l’asse rimane
parallelo a se stesso). 57
Figura 36
L’immagine riporta le condizioni di illuminazione che il Sole produce
sulla Terra nelle diverse posizioni che essa assume durante il moto
di rivoluzione.
Cerchiamo di capire perché una delle conseguenze più rilevanti della rivoluzione e
dell’inclinazione dell’asse siano proprio le stagioni.
È molto diffuso, nel senso comune, associare le variazioni stagionali alle diverse
distanze che la Terra assume rispetto al Sole: nel corso dell’anno in effetti il percorso
che la Terra segue spostandosi intorno al Sole non è un cerchio perfetto, ma
un’ellisse; ma è pur vero che tale ellisse è molto meno schiacciata, cioè allungata,
rispetto a come, spesso, la vediamo raffigurata nelle immagini dei libri (si discosta
ben poco da una traiettoria circolare). Il Sole occupa uno dei due fuochi dell’ellisse e
questo significa che la distanza Terra-Sole non è costante: il punto dell’orbita in cui la
distanza Terra-Sole è maggiore viene chiamato afelio, mentre il perielio è il punto in
cui la distanza è minima; ma la distanza all’afelio differisce dalla distanza al perielio
soltanto del 3% circa.
57
In effetti questo non è rigorosamente vero su tempi lunghi: l’asse terrestre si sposta molto
lentamente nello spazio, descrivendo un cono in un periodo di circa 26.000 anni. Come
conseguenza di questo movimento, fra qualche migliaio di anni la stella polare non sarà più un
adeguato riferimento per individuare il Nord. Ma per i nostri scopi questo ha poco interesse.
105
A smentire ulteriormente la tesi secondo cui dovrebbe far più caldo quando la Terra
è più vicina al Sole concorre un altro fatto: che, cioè, nel nostro emisfero avviene
esattamente il contrario. Infatti, durante il periodo estivo la Terra è più lontana dal
Sole rispetto all’inverno.
L’alternanza delle stagioni, caratterizzate da peculiarità climatiche e meteorologiche
che ciclicamente si ripetono, è quindi collegata principalmente a due cause, entrambe
dovute all’inclinazione dell’asse terrestre: la diversa durata del dì e della notte e la
diversa inclinazione dei raggi solari rispetto al suolo nei vari periodi dell’anno.
Analizziamo uno per uno entrambi i fenomeni.
I raggi solari, che per la grande distanza della sorgente possiamo considerare paralleli,
in ogni istante illuminano metà della sfera terrestre; la circonferenza che delimita la
parte illuminata da quella in ombra è detta circolo di illuminazione.
Nel corso dell’anno, mentre la Terra percorre l’anello intorno al Sole, il circolo di
illuminazione cambia posizione sulla superficie terrestre, come possiamo vedere dalle
figure che seguono.
Figura 37
Illuminazione prodotta dal Sole sul nostro pianeta ai solstizi e agli
equinozi. Nella figura il Sole non è riportato, ma dobbiamo
immaginarcelo dalla parte destra della pagina.
106
A causa del moto diurno di rotazione del nostro pianeta, ogni giorno vediamo il Sole
sorgere, culminare (cioè raggiungere la sua massima altezza sull’orizzonte) e
tramontare. Soffermiamoci per semplicità sul momento della culminazione, che si
verifica al cosiddetto mezzogiorno locale: pur restando fermi in uno stesso punto
della superficie terrestre, l’inclinazione dei raggi solari in arrivo cambia di giorno in
giorno, come è illustrato nella figura riportata qui sopra. Al solstizio d’inverno – che
cade intorno al 22 dicembre – il Polo Sud è rivolto verso il Sole e continuamente
illuminato dai suoi raggi nelle 24 ore (si vede il Sole sopra l’orizzonte anche a
mezzanotte!), mentre il Polo Nord resta sempre al buio durante tutta la rotazione
della Terra. Al solstizio d’inverno i raggi del Sole sono perpendicolari al suolo al
Tropico del Capricorno che si trova nell’emisfero Sud.
La situazione al solstizio d’estate (21 giugno) è complementare a quella del solstizio
d’inverno: in tale posizione i raggi solari arrivano perpendicolari al suolo su una linea
situata nell’emisfero Nord della Terra detta Tropico del Cancro; è il periodo nel quale
il Sole illumina il Polo Nord per tutte le 24 ore. Agli equinozi nessun polo è orientato
preferenzialmente verso il Sole; sono i giorni nei quali l’illuminazione per qualsiasi
punto della Terra ha esattamente la stessa durata. I raggi del Sole all’equinozio
arrivano perpendicolari al suolo sull’equatore.
Possiamo quindi dedurre che durante l’anno il punto della Terra nel quale il Sole
raggiunge lo Zenit58 varia in maniera ciclica, da Nord a Sud e di nuovo a Nord. Ciò
significa che in certe stagioni è più illuminato l’emisfero Nord, in altre l’emisfero Sud.
L’altezza del Sole non è fissa neppure durante la giornata a causa della rotazione
terrestre: il Sole sorge, a mezzogiorno raggiunge la massima altezza, cioè la
culminazione, quindi tramonta. L’angolo di incidenza dei raggi solari a mezzogiorno
dipende dalla latitudine del luogo e dal periodo dell’anno: alle nostre latitudini,
durante il suo cammino apparente, il Sole s’innalza poco sopra l’orizzonte in inverno;
invece s’innalza molto di più in estate.
58
Data una qualunque località sulla Terra, lo Zenit è un punto dato dall’intersezione fra la
direzione verticale nel luogo considerato e la volta celeste. Il Sole raggiunge lo Zenit in qualche
momento dell’anno soltanto in alcune località della Terra, comprese fra i due tropici. Quando il
Sole è allo Zenit, si trova … esattamente sopra la nostra testa!
107
Figura 38
L’immagine a sinistra mostra il percorso apparente del Sole nei vari periodi dell’anno
per una località posta nella zona temperata dell’emisfero boreale, mentre a destra
possiamo vedere l’arco che il Sole percorre durante il dì equinoziale, all’equatore, a
45° e a 75° di latitudine. È evidente quanto sia più alto ed ampio l’arco percorso
all’equatore rispetto alle altre latitudini.
Nei diversi punti del globo terrestre, al passare delle stagioni, cambia la direzione di
arrivo dei raggi solari e quindi cambia l’angolo che essi formano col piano
dell’orizzonte. Facendo riferimento alla figura riportata qui sotto, se il Sole si trova in
prossimità dello Zenit i suoi raggi, che arrivano sul globo terrestre, devono riscaldare
una superficie più piccola rispetto al caso in cui il Sole sia molto basso sull’orizzonte.
Infatti la stessa quantità di energia si distribuisce nei due casi su superfici diverse.
Figura 39
Un fascio di raggi che giunge a terra perpendicolarmente illumina
una superficie minore e dunque la sua energia risulta essere più
“concentrata”; un fascio di uguale ampiezza che raggiunga la
superficie con incidenza obliqua distribuisce la stessa energia
irradiata su una superficie maggiore: è intuitivo allora capire che il
riscaldamento nel secondo caso sarà minore.
108
Figura 40
Dato un raggio di luce incidente su una superficie, chiamiamo α
l’angolo formato dalla direzione del raggio con la retta
perpendicolare alla superficie nel punto di incidenza. Nel caso
dell’irraggiamento solare, se il Sole è allo Zenit l’angolo α è pari
a zero, mentre si hanno angoli prossimi a 90° quando il Sole è
molto basso sull’orizzonte.
È ovvio che durante l’estate, col Sole alto nel cielo, la quantità di luce e di calore che
giunge sulla Terra è maggiore, poiché i raggi arrivano con un angolo di incidenza
molto piccolo (v. figura 40) e riscaldano così il suolo molto più di quelli del Sole
invernale, che colpiscono invece il suolo con un angolo α più grande.
Anche se il diverso numero di ore di Sole nelle varie stagioni è un fattore importante
per interpretare le variazioni climatiche che si registrano durante l’anno, l’angolo di
incidenza dei raggi solari è l’elemento più importante. Il Sole onnipresente – 24 ore al
giorno – nell’estate artica produce comunque una temperatura media piuttosto bassa,
perché l’angolo di incidenza dei raggi solari è sempre molto grande.
La quantità di radiazione effettiva che giunge al suolo dipende anche dal tratto di
atmosfera che i raggi solari devono attraversare: quanto più è lungo il percorso, tanti
più saranno i fenomeni di diffusione ed assorbimento che si avranno durante tale
percorso. Quando il Sole è basso sull’orizzonte, i suoi raggi attraversano uno
spessore di atmosfera maggiore e quindi l’intensità della radiazione è inferiore,
mentre d’estate, a mezzogiorno, cadendo quasi verticali, attraversano uno strato di
atmosfera minore e vengono così “filtrati” di meno.
109
9.1 Costruzione di due modelli per spiegare i cambiamenti
stagionali dal punto di vista astronomico
Un primo modello bidimensionale riproduce il meccanismo di incidenza dei raggi
solari sulla superficie. La semplicità dello strumento non intacca l’efficacia per la
spiegazione del diverso riscaldamento della superficie terrestre con l’unico limite di
essere appunto ridotto a due dimensioni.
Esperienza 9.a
Contenuti
Un semplice strumento permette di capire la causa del diverso riscaldamento nei
vari punti della Terra e l’alternanza delle stagioni.
Obiettivi specifici
Mostrare, attraverso il modello realizzato, come i fasci luminosi provenienti dal
Sole colpiscono superfici terrestri di dimensioni diverse per introdurre il concetto
di calore fornito per unità di superficie: se la zona colpita è più ampia il calore per
unità di superficie è minore; al contrario, per una superficie più piccola il calore
fornito per unità di area è maggiore.
Materiale occorrente
- Un foglio A4
- Un ferma-campione
- Forbici
- Colla
- Matite colorate o pennarelli
Tempo di esecuzione
10 minuti per la realizzazione del modello e il tempo necessario, non prevedibile,
per la discussione.
Procedimento
- Prendere un foglio di carta formato A4 e tagliarlo a metà sul lato più lungo.
- Tagliare sul lato più lungo di una di queste due parti una striscia di 4 cm; si
otterranno tre pezzi di carta di dimensioni diverse.
110
- La parte più grande verrà colorata di azzurro, a rappresentare il cielo diurno.
- Colorare in verde la seconda parte più grande in ordine di grandezza, a
simboleggiare un prato.
- Colorare, infine, la striscia più sottile di giallo a rappresentare il fascio luminoso
proveniente dal Sole; essa deve debordare dal foglio azzurro poiché l’azzurro
rappresenta la nostra atmosfera illuminata dal Sole e il Sole si trova al di fuori
dell’atmosfera.
- Si posiziona la parte verde sovrapposta per circa un terzo su quella azzurra e,
dopo aver piegato le parti eccedenti, si incollano sul retro.
- Inserire la striscia gialla tra la parte azzurra e quella verde e fissarla con un fermacampione così da permetterle di rotare (non è necessario che sia esattamente al
centro del foglio). Attenzione a non spingere la striscia troppo sotto l’orizzonte,
altrimenti il fascio luminoso non avrà una buona rotazione!
- La linea di confine tra l’azzurro ed il verde rappresenta una piccolissima porzione
del nostro orizzonte.
- Una volta realizzato il modello provare empiricamente a maneggiarlo e osservarlo
per dare in seguito avvio ad una discussione. I bambini possono liberamente
avanzare e argomentare le loro ipotesi per giungere infine ad enunciare insieme
quelle corrette ed eliminare quelle inesatte. È importante che tutte le ipotesi
vengano accettate e discusse, senza scartarne a priori nessuna.
- Durante la discussione è importante far emergere il limite di tale modello: esso
infatti è bidimensionale e quindi i bambini vedono i fasci di luce come delle strisce
piane.
111
Un’ulteriore esperienza laboratoriale può essere d’aiuto ai bambini per interiorizzare
e consolidare il concetto dell’irraggiamento: la stessa quantità di energia viene
distribuita su aree tanto più estese quanto più grande è l’angolo di incidenza.
Esperienza 9.b
Contenuti
Illustrare il collegamento fra le differenze di clima che si riscontrano in luoghi
diversi del nostro pianeta e gli angoli di incidenza dei raggi solari.
Obiettivi specifici
Valutare in modo qualitativo la superficie che viene colpita dai raggi solari a
seconda della loro diversa inclinazione, constatando che più i raggi del sole sono
inclinati più la superficie illuminata è vasta.
Tempo di esecuzione
20 minuti
Materiale occorrente
- Una pila
- Carta millimetrata
- 2 squadre
- Alcuni libri
Procedimento
Prendere una torcia e un foglio di carta millimetrata che rappresenteranno
rispettivamente il Sole e la superficie terrestre; porre alcuni libri uno sull’altro e
sistemare sopra ai tomi una squadra in modo da formare un angolo di 60°. Dopo
aver oscurato la stanza in cui si effettua l’esperienza, impugnare la torcia seguendo
l’inclinazione della squadra: si otterrà così un fascio di luce che colpirà la carta
millimetrata sottostante con una inclinazione di 60°. A questo punto evidenziare la
parte illuminata della carta e annotare in una tabella il valore della sua superficie.
Ripetere poi l’esperienza inclinando questa volta la torcia di 45°; infine mettere la
torcia in verticale, cioè perpendicolare rispetto al foglio, misurando sempre i mm²
delle rispettive aree illuminate.
112
Cosa si può dedurre dall’esperienza? Come cambia l’area illuminata aumentando
l’inclinazione del fascio di luce?
Per spiegare i cambiamenti stagionali che osserviamo nel corso dell’anno sarà utile
ricorrere ad un modello tridimensionale Sole-Terra.
Esperienza 9.c
Contenuti
Osservare la situazione dell’irraggiamento sulla Terra a diverse latitudini attraverso
l’impiego di modelli che ne riproducano le condizioni .
Obiettivi specifici
Comprendere il fenomeno delle stagioni e che i cambiamenti stagionali esistono in
ogni punto sulla Terra. Riprodurre tale fenomeno in un’esperienza laboratoriale
per imparare a verificare le ipotesi e giungere così a conclusioni attendibili.
Tempo di esecuzione
3 ore
Materiale occorrente
Fase I
- Una palla sufficientemente grande
- Una lampada
- Tre termometri
113
Fase II
- Candele e portacandele
- Spiedini
- Palline di gommapiuma
- Spillo con capocchia di plastica colorata
Procedimento
¾ FASE I
- Esperienza che generalizza la precedente alle tre dimensioni, riferendoci in
particolare al sistema Terra-Sole. Lo scopo è misurare la temperatura in punti
diversi della Terra utilizzando un modello.
- È necessario munirsi di tre termometri di cui si sia verificato che, posti in
medesime condizioni, registrino lo stesso valore di temperatura. Una lampada
molto potente rappresenterà il Sole, mentre un pallone da educazione
psicomotoria, del diametro di circa un metro, costituirà la Terra; dopo aver fissato
i termometri in tre punti diversi del pallone, ne misureremo le temperature.
- Una volta compiuta la prova, una discussione collettiva condurrà alla deduzione
che sulla Terra le temperature variano a seconda dell’ampiezza della superficie
colpita dal fascio luminoso.
¾ FASE II
- Esperienza che può essere condotta sia dall’intero gruppo classe sia a piccoli
gruppi (in questo caso è necessario che ogni gruppo abbia a disposizione tutto il
materiale occorrente: una candela, una pallina di gommapiuma, uno spiedino, uno
spillo e un portacandele). I vari oggetti rappresentano rispettivamente il Sole, la
Terra, l’asse terrestre e un uomo che poniamo in un punto qualunque della Terra
(possibilmente ad una latitudine simile a quella della città in cui si abita).
- Oscurare la stanza, accendere la candela ed infilare lo stecchino nella pallina di
gommapiuma: la Terra ruota sull’asse.
- A questo punto, analizzando ciò che hanno a disposizione, i bambini
cominceranno a formulare ipotesi e verificarle finché giungeranno a quella corretta
in grado di giustificare l’alternanza dell’estate e dell’inverno in ogni punto della
Terra.
- I bambini probabilmente introdurranno il moto di rivoluzione che la Terra
compie attorno al Sole, ma con altrettanta probabilità disporranno l’asse terrestre
114
perpendicolare al piano dell’orbita.
- Intervenire, se necessario, con alcune domande-stimolo affinché si deducano le
condizioni da modificare nel modello perché si ottenga l’alternanza delle stagioni.
- Discutere collettivamente le ipotesi via via proposte, verificarne la validità o
proporne di nuove.
Da queste esperienze dovrebbe essere chiaro che le variazioni di temperatura al suolo
dipendono dall’altezza del Sole sull’orizzonte e quindi dall’ampiezza della superficie
illuminata; è importante accertarsi che i bambini non associno erroneamente la
diversa altezza del Sole sull’orizzonte con la diversa distanza dalla Terra: quando il
Sole è più alto in cielo non è più lontano da noi!
Durante lo svolgimento di tutta l’unità può essere utile per i bambini disegnare e
descrivere le varie ipotesi avanzate nonché le conclusioni tratte dalla discussione
collettiva, per organizzare gli appunti e stendere una relazione che registri passo dopo
passo l’attività, in modo che l’insegnante possa verificare l’apprendimento e ritornare
sulle esperienze durante la fase di elaborazione riflessiva e di astrazione, nonché di
consolidamento concettuale.
115
10. Quarto incontro svolto in classe
Perché fa più caldo in estate che in inverno?
Perchè d’estate fa caldo e d’inverno fa freddo? E perché le stagioni si ripetono?
Queste sono state le domande che ho rivolto ai bambini ad inizio lezione e, come
potevamo aspettarci, nella risposta che gli alunni mi hanno subito dato si attribuiva la
causa di questo fenomeno alla diversa distanza che la Terra assume rispetto al Sole.
Soltanto un bambino ha citato confusamente, evidentemente cercando di ripetere
quello che su qualche libro aveva letto senza comprenderne completamente il
concetto, l’inclinazione dell’asse terrestre. Dovevamo procedere per gradi poiché a
me non interessava fornire ai bambini una verità assoluta da memorizzare come dato
di fatto, ma volevo che capissero profondamente, alla radice, la risposta a ciò che era
stato loro chiesto. Non è vero, dunque, che le variazioni stagionali siano causate dalla
maggiore o minore vicinanza del Sole. È vero che la Terra, movendosi intorno al
Sole, assume posizioni più o meno vicine alla nostra stella, ma la differenza fra la
distanza minima e la distanza massima è piuttosto piccola: per farvi un’idea delle
dimensioni relative, pensate che se la distanza minima fra Terra e Sole fosse pari a
1 m, la distanza massima la supererebbe di soli 3 cm!
Che non sia questa la causa delle differenze di temperatura fra estate e inverno, lo
dimostra anche il fatto che, quando nel nostro emisfero è estate, la Terra è più
lontana dal Sole rispetto all’inverno. E allora perché d’estate fa caldo e d’inverno fa
freddo? Le cause non sono certo intuitive né immediate da percepire e comprendere;
per questo, per poter avviare la riflessione, i bambini si sono subito messi all’opera
per realizzare un modellino cartaceo59 che permettesse loro di vedere con i loro occhi
cosa effettivamente accade al variare dell’inclinazione con cui un fascio di luce giunge
a terra.
Considerato il tempo ridotto che avevamo a disposizione, era stata mia premura
recuperare fogli di carta colorata già pronti per essere tagliati ed assemblati, piuttosto
che procedere con carta bianca e pennarelli/matite/tempere per colorarla. Muniti di
forbici, colla ed un ferma-campione ciascuno, i bambini hanno realizzato
individualmente il modello, senza riscontrare alcuna difficoltà.
59
Vedi Esperienza 9.a, descritta a p. 110.
116
Figura 41
Foto che mostrano i bambini al lavoro.
Ho chiesto ai bambini di porre attenzione alla linea di demarcazione tra cielo e terra
ed in particolare alla parte investita dal nostro fascio di luce solare che hanno
disposto prima perpendicolarmente rispetto al prato verde e poi gradualmente rotato:
cosa accade alla superficie colpita dai raggi man mano che questi divengono sempre
più obliqui rispetto al terreno? Non hanno esitato ad osservare che la superficie si
estende sempre di più, mentre non è stato altrettanto immediato capire come questo
fatto fosse connesso al nostro quesito iniziale. Innanzitutto ho cercato un’immagine
visiva esemplificativa: immaginando che il fascio luminoso sia composto da un certo
numero di “pacchetti di energia”, “particelle di calore” – che ho disegnato sul mio
modello – queste, rimanendo invariate nel numero poiché il fascio è sempre il
medesimo, nelle due situazioni vanno a colpire aree di diversa superficie. In quale dei
due casi avvertiremo maggiore calore? Manipolando il modello cartaceo immersi in
riflessioni pindariche, i bambini hanno finalmente esclamato “nel primo caso, quello
dove la superficie è più piccola!”. Ho chiesto loro di provare a spiegarmi meglio il
perché di quella affermazione: “perché nel primo caso le particelle di calore sono
concentrate in uno spazio più piccolo e nel secondo si distribuiscono in uno spazio
più grande, quindi faranno meno caldo”; “più i raggi sono dritti e più il terreno
colpito è piccolo, quindi farà più caldo”. Proprio così! Il modello era riuscito
esattamente a concretizzare il concetto, rendendolo direttamente visibile e tangibile ai
bambini.
Ho ritenuto importante far condurre ai bambini un’ulteriore esperienza60 per favorire
un consolidamento del concetto collegato al fenomeno che ci interessava. Questa
esperienza ha inoltre consentito ai bambini di lavorare con la luce emessa da una
torcia: dettaglio non trascurabile per impedire di ridurre i fasci di luce a strisce piane,
come avveniva nel precedente modello. Abbiamo preso un foglio di carta a
60
Vedi Esperienza 9.b, descritta a p. 112.
117
simboleggiare una piccola porzione della superficie terrestre e lo abbiamo illuminato
con una torcia, il cui fascio luminoso rappresentava per l’occasione un fascio di raggi
solari. I bambini hanno potuto osservare che un fascio luminoso che arriva a terra
perpendicolare al suolo illumina una superficie minore rispetto al medesimo fascio
inclinato, prendendo la torcia e puntandola sul foglio con angolo diverso: i bambini
hanno circoscritto con un pennarello le due aree illuminate.
Figura 42
Foto che mostrano i bambini al lavoro.
Come cambia l’area illuminata, aumentando l’inclinazione del fascio di luce?
“Diventa sempre più grande”. La risposta era corretta ma restava un’altra importante
osservazione da fare: con la torcia inclinata rispetto al foglio la superficie illuminata è
più grande, ma cosa accade alla luce? “È più opaca”, “sì, è più debole”, “è molto
meno forte”. La stessa energia viene distribuita su un’area maggiore: ne consegue un
riscaldamento minore! In estate, il Sole è alto nel cielo e i suoi raggi riscaldano il
suolo molto di più rispetto ai raggi del Sole invernale.
Inoltre, a seconda del punto sulla Terra in cui ci troviamo, l’angolo di incidenza dei
raggi solari cambia e la superficie illuminata da uno stesso fascio di luce risulta più o
meno vasta.
Figura 43
Ma perché durante l’anno, mentre la Terra lentamente si sposta nel suo incessante
cammino intorno al Sole, questo angolo cambia?
Prima di tutto dobbiamo dire che la Terra ruota su se stessa da Ovest verso Est ed
impiega un giorno (24 ore circa) per compiere il giro totale (moto di rotazione). Essa,
118
inoltre, compie un moto di rivoluzione attorno al Sole impiegando un anno (365 giorni
circa) per completare un intero giro. Ho mostrato ai bambini questo disegno che
avevo precedentemente realizzato, facendo attenzione a sottolineare che, sebbene i
due moti siano simultanei, essi non sono affatto la stessa cosa.
Figura 44
Ho preso una pallina attraversata da una parte all’altra da uno stecchino (quelli lunghi
da spiedini) e ho fissato in un punto intermedio tra l’equatore e il polo nord uno
spillo dalla capocchia colorata. Ho posizionato la sfera con lo stecchino
perpendicolare al piano della cattedra e ho chiesto ai bambini come arrivano,
secondo loro, i raggi solari in quel punto:
B.: “Non proprio dritti”. Ho chiesto a B. se per “dritti” intendesse perpendicolari alla
superficie e ne ho avuto conferma.
D.: “Sì, ma non sono neanche tanto obliqui come al polo nord”. Quindi, ho
suggerito loro di avanzare un’ipotesi circa la temperatura che avremmo potuto
registrare se ci fossimo trovati in quel punto del globo.
M.: “Secondo me, non farebbe caldo caldo ma nemmeno freddo”.
P.: “Io invece penso che farebbe abbastanza freddo”.
G.: “Ma se non sono proprio perpendicolari al terreno e nemmeno proprio
orizzontali, allora sarà una via di mezzo tra il caldo e il freddo”.
L.: “Sì, farà calduccio come ora che è primavera”.
Molto bene, e questo punto in cui abbiamo fissato il nostro spillo potrebbe più o
meno rappresentare la posizione dell’Italia sulla Terra. Nonostante la conferma
istintiva di molti alunni, abbiamo verificato sul mappamondo la veridicità della mia
affermazione. Simulando il moto di rotazione e contemporaneamente quello di
rivoluzione lungo un’orbita immaginaria disposta sul piano della cattedra
(mantenendo ancora una volta l’asse di rotazione perpendicolare al piano dell’orbita),
ho domandato ai bambini come arrivano i raggi solari sul nostro punto di riferimento
119
man mano che la pallina-Terra si sposta lungo il suo percorso. Probabilmente era
talmente ovvia, che suonava strana come domanda: “arriveranno sempre nello stesso
modo!”. Ma allora come spieghiamo il fatto che in Italia non vi sia una perenne
primavera, ma si alternino anno dopo anno le quattro stagioni? Stavolta il quesito
non era certo scontato! Ho chiesto ai bambini se sapevano indicarmi il polo nord e il
polo sud della nostra sfera, che era dotata di asse di rotazione: subito le mani si sono
alzate verso l’alto La maggior parte di loro faceva giustamente coincidere i due poli
con i due estremi opposti della palla attraversati dallo stecchino. Immaginando di
tracciare una linea congiungente i due poli (per noi rappresentata dallo stecchino)
questa rappresenta l’asse attorno al quale la Terra compie un intero giro ogni 24 ore.
Osservando il mappamondo, ci siamo accorti che l’asse terrestre è inclinato. Ma
inclinato rispetto a cosa? È importante esplicitare questa domanda per capire le tacite
ma fondamentali informazioni che questo modello racchiude. Il piano d’appoggio del
nostro mappamondo rappresenta il piano su cui la Terra descrive l’orbita attorno al
Sole rotando per circa 365 giorni, mentre contemporaneamente gira su se stessa ogni
24 ore. Con l’ausilio del mappamondo abbiamo riprodotto e preso visione dei due
moti simulandoli. L’asse terrestre – come aveva ricordato all’inizio della lezione P.,
senza però riuscire a spiegare ciò che confusamente affermava – è inclinato, rispetto
al piano su cui giace l’orbita terrestre, di un angolo pari a circa 66°. Come vediamo,
anche il mappamondo ha l’asse inclinato; il piedistallo mantiene fisso l’asse che passa
per i poli.
Un’altra caratteristica importante dell’asse terrestre è questa: oltre a mantenere
costante la sua inclinazione rispetto al piano dell’orbita, rimane parallelo a se stesso
durante i moti di rotazione e rivoluzione, puntando sempre nella stessa direzione.
Figura 45
120
È per questo che nel luogo in cui ci troviamo i raggi solari non arrivano sempre nello
stesso modo, ma via via che la Terra si sposta nel suo lento girotondo intorno al Sole
il loro angolo d’incidenza cambia, determinando le diverse stagioni che ciclicamente
si ripetono.
Figura 46
Il disegno, da me realizzato, raffigura la Terra colpita dai raggi solari. L’asse terrestre è
stato aggiunto sovrapponendo all’immagine un foglio di carta lucida, per mostrare ai
bambini l’irraggiamento nelle varie condizioni che si verificano durante l’anno.
In dicembre la Terra si trova in una posizione tale che il Polo Sud è rivolto verso il
Sole, e, poiché i poli sono gli unici punti che nel movimento di rotazione restano
fermi, il Sole resta sopra l’orizzonte per sei lunghi mesi dando luogo al fenomeno
chiamato “sole di mezzanotte”, mentre il Polo Nord rimane in ombra. I raggi solari
arrivano perpendicolari al suolo in un punto che si trova nell’emisfero Sud, che si
trova quindi in piena estate; al contrario nel nostro emisfero stiamo attraversando il
rigido inverno. Dopo sei mesi la Terra avrà compiuto metà del suo viaggio intorno al
Sole: questa volta è il Polo Nord ad essere orientato preferenzialmente verso il Sole e
la sua luce arriva perpendicolare alla superficie terrestre in un punto situato
nell’emisfero Nord. In Italia, infatti, siamo in piena estate! Al contrario, nell’emisfero
meridionale sarà calato l’inverno. In questo momento dell’anno, a causa
dell’inclinazione dell’asse terrestre il Polo Sud non viene raggiunto dai raggi solari e
dunque resta nell’oscurità. Nelle due posizioni intermedie, chiamate equinozi, che
cadono in marzo e in settembre, nessuno dei due poli è orientato direttamente verso
il Sole: i raggi cadono perpendicolari al suolo in un punto dell’equatore.
Non avevamo ancora avuto però una prova diretta del diverso riscaldamento nei vari
punti del globo terrestre. Per raggiungere tale obiettivo e raccordare tutte le
osservazioni fatte fino a quel momento sul fenomeno studiato, abbiamo condotto
una nuova esperienza. Ancora una volta ci siamo serviti del mappamondo; una
lampada molto potente, da 1250 Watt, ha svolto nel nostro sistema la funzione del
Sole e, infine, un sensore di temperatura a infrarossi, che mi era stato dato in prestito,
ci ha consentito di misurare la temperatura su due punti ben distinti del
mappamondo.
121
Accendiamo la lampada da 1250 W e il nostro modello è pronto per essere utilizzato;
esso riproduce in piccolo ciò che accade sul pianeta Terra.
Avevamo sistemato il mappamondo e la lampada in modo tale da ricreare la
situazione in cui si trova la Terra agli equinozi; puntando il sensore di temperatura
prima su un punto colpito dalla luce con angolo di incidenza approssimativamente
pari a zero, e successivamente sul Polo Nord colpito, invece, con un angolo di
incidenza vicino a 90°, i bambini hanno registrato le due temperature trovando una
conferma sperimentale sulle previsioni fatte: la temperatura all’equatore risultava
28 °C, mentre al Polo Nord si registrava una temperatura decisamente più bassa, pari
a 21 °C.
Figura 47
La prima foto a partire da sinistra mostra il sistema Terra–Sole e lo strumento utilizzato
per misurare la temperatura; le successive due immagini mostrano le temperature
registrate rispettivamente all’equatore e al Polo Nord, rivelando un sensibile scarto di 7 °C.
Ho spiegato ai bambini che, oltre alla diversa inclinazione dei raggi solari rispetto alla
superficie terrestre, dobbiamo considerare un’altra causa che concorre a determinare
i cambiamenti climatici nelle diverse stagioni.
Come ben sapete ogni giorno è composto da alcune ore di luce e altre di buio: ho
chiesto ai bambini se, secondo loro, la notte e il dì avessero sempre la stessa durata
durante l’arco di un intero anno. Le poche risposte affermative fornite
impulsivamente da alcuni bambini, sono state immediatamente compromesse dalla
contrarietà di tutti gli altri. “D’estate il giorno dura di più”, “fa buio più tardi”. Per
prima cosa dovevamo capire perché e come si alternassero il dì e la notte.
I raggi del Sole arrivano da così lontano che possiamo considerarli paralleli tra loro:
essi illuminano continuamente metà della Terra; la circonferenza che delimita la parte
illuminata del globo da quella in ombra è detta circolo di illuminazione.
Ho preso nuovamente la pallina attraversata da una parte all’altra dallo stecchino e,
dopo averla illuminata con una candela mantenendo l’asse perpendicolare rispetto al
122
piano di riferimento rappresentato dalla cattedra, ho chiesto ad un bambino di
tracciare con un pennarello il circolo di illuminazione; dopodichè ho sistemato tre
spilli con la capocchia colorata, immaginari abitanti del pianeta, a latitudini diverse
lungo uno stesso meridiano. Facendo rotare la sfera su se stessa (con l’asse
perpendicolare al piano della cattedra) ho chiesto ai bambini se i tre abitanti
vedevano sorgere e tramontare il Sole nello stesso istante. Con decisione hanno
risposto positivamente al quesito sollevato. Quindi in tutti i punti del globo la durata
del giorno e della notte è la medesima; dopo 12 ore dove c’era il giorno ci sarà la
notte e viceversa. Ma l’esperienza della nostra vita ci dice che le ore di illuminazione
e di oscurità non sono sempre uguali durante l’anno. Che spiegazione potevamo
dare? Un bambino, anticipando il mio intervento, ha fatto notare che non avrei
dovuto tenere lo stecchino verticale! Ottima osservazione! Anche questa volta
occorre considerare l’inclinazione dell’asse di rotazione terrestre.
Figura 48
Le immagini mostrano la diversa condizione di illuminazione del globo qualora si
inclini l’asse terrestre. Nelle fotografie non si vede molto bene la differenza, ma
l’esperimento dal vero aveva una resa migliore di quanto possano testimoniare le
fotografie.
Ho mostrato ai bambini l’immagine che segue e ho chiesto loro se le ore di luce
fossero uguali per due persone che si trovassero l’una in prossimità del parallelo
disegnato in figura e l’altra sull’equatore. Non è stato immediato per i bambini capire
cosa accadesse.
Figura 49
123
Nei luoghi che si trovano lungo il parallelo situato a Nord dell’equatore la durata del
dì è minore di quella che si ha all’equatore; questo appare ancora più evidente
nell’immagine sottostante.
Figura 50
Nel corso dell’anno quindi, mentre la Terra percorre l’anello intorno al Sole, uno
stesso luogo sulla sua superficie viene illuminato più o meno a seconda del periodo.
Inoltre, in uno stesso momento dell’anno, regioni diverse vengono diversamente
illuminate e riscaldate dai raggi del Sole.
Questi fenomeni sono collegati essenzialmente a due cause, entrambe dovute
all’inclinazione dell’asse terrestre:
ƒ
la diversa durata del dì e della notte,
ƒ
la diversa inclinazione dei raggi solari rispetto al suolo nei vari periodi
dell’anno.
Considerazioni didattiche
Questo incontro ha indubbiamente avuto la presunzione di mettere in gioco molti
concetti complessi e poco intuitivi, che spesso si scontrano con misconcezioni
formatesi da conoscenze pregresse e che necessitano quindi di tempi lunghi ed
interventi molteplici affinché possano essere ripensati, interiorizzati e, infine,
consolidati.
Ho intenzionalmente scelto di ricorrere a più modelli, strumenti fondamentali
dell’analisi scientifica, per cercare di affrontare uno stesso fenomeno secondo
prospettive diverse, con l’auspicio che questo potesse offrire una varietà di stimoli
alla mente di ognuno, e per evitare che i bambini potessero formarsi degli stereotipi e
giungere alla falsa conclusione che un unico modello possa rappresentare un
fenomeno in tutte le sue caratteristiche.
124
È importante non perdere mai di vista il fenomeno nel suo complesso e per questo è
necessario essere consapevoli dei limiti di applicabilità degli strumenti e dei modelli.
Questo modo di lavorare si prefigge soprattutto di abituare gli studenti ad osservare
prima di pensare, per sviluppare il senso critico e interpretare le osservazioni, per
imparare a misurare e verificare – se possibile – il fenomeno indagato nella realtà,
costruendo infine un modello adeguato. Attraverso la discussione tra docente e
allievi si favorisce, inoltre, l’esercizio di esprimere le proprie idee e la capacità di
ascoltare ed accettare quelle altrui. Queste caratteristiche contribuiscono a sviluppare
l’abilità a formulare ipotesi e la capacità di astrazione per saper cogliere gli aspetti
essenziali di un fenomeno.
Per questi motivi, nonostante il tempo limitato a disposizione non abbia lasciato agli
alunni il giusto spazio per un opportuno ripensamento affinché il processo di
concettualizzazione potesse avere un’adeguata sedimentazione, credo comunque che
sia fondamentale proporre ai bambini argomenti scientifici come quelli presi in
esame.
125
11. La valutazione
Valutare è necessario poiché costituisce un feedback sia per gli allievi che hanno
bisogno di un’informazione di ritorno sul loro processo di apprendimento per
proseguire sul tracciato delineato o orientarlo diversamente, sia per incrementare il
senso di stima e di fiducia in se stessi e nel proprio modo di operare; ma questa è una
preziosa informazione da cui non può prescindere neppure l’insegnante, chiamato
costantemente a verificare il suo operato (l’appropriatezza di obiettivi, metodi e
contenuti proposti) ed eventualmente modificare i passi successivi dell’azione
didattica. Nella conduzione del mio intervento didattico, per quanto denso e
concentrato in un arco di tempo assai ristretto, ho cercato di controllare e modulare
l’interazione cognitiva ed affettiva con gli allievi, cercando sempre di incoraggiarli e
far percepire loro la mia profonda stima per le capacità di ragionamento, gli
atteggiamenti propositivi e creativi dimostrati. Osservare gli insegnanti durante le ore
di tirocinio diretto svolto presso le scuole, nel corso degli anni, mi ha fatto riflettere
su quanto possano essere negativi, immobilizzanti e difensivi i meccanismi che si
innescano in studenti che siano stati rifiutati, scherniti, considerati con leggerezza o
aspramente criticati dagli insegnanti.
Credo che non sia possibile rilevare modi di essere, di fare, di pensare attraverso
strumenti “scientifici” e attraverso prove di verifica indiscutibilmente oggettive e non
opinabili; credo, altresì, che dare importanza allo sviluppo di abilità, atteggiamenti e
competenze, che vanno oltre all’acquisizione di nozioni e contenuti, ponga
l’insegnante in un atteggiamento flessibile e attento nel rilevarli: ciascun momento
della lezione è stato, infatti, anche momento di verifica e rilevazione di quei segnali
che mi hanno permesso di leggere le motivazioni, i comportamenti e i metodi di
indagine messi in atto da ciascun bambino, seppur ad uno stadio embrionale.
Osservare come intervengono i bambini, come agiscono, come ragionano, diventa
occasione fondamentale per valutare atteggiamenti e competenze trasversali
(dimostrare interesse, partecipare alle discussioni, saper esporre le proprie riflessioni;
la capacità di problematizzare, intesa come curiosità e impegno a conoscere il nuovo,
nonché a formulare strategie alternative di risoluzione a questioni problematiche;
sistematizzare le conoscenze, ovvero integrare le nuove con quelle possedute in vista
di una coerenza interna, ecc.).
126
Fare una valutazione oggettiva61 richiede dei requisiti da cui non è possibile
prescindere; voler formulare un giudizio a tutti i costi, considerata la modalità del
nostro operare in parte condizionata da tempi così brevi, avrebbe voluto dire
sottoporre i bambini ad una rigida valutazione basata esclusivamente su una
quantificazione delle conoscenze acquisite, attuando così un modello sanzionatorio
piuttosto che farlo divenire un momento di crescita. Inoltre i bambini sottoposti ad
un giudizio dichiarato, talvolta, si intimoriscono e, in conseguenza a tale inibizione, la
loro prestazione risulta falsata. Per questo ho voluto concepire tale prova più come
un rinforzo per consolidare, o almeno fermare, nelle menti dei bambini i numerosi
concetti piuttosto complessi implicitamente connessi alle nostre esperienze ed
esplicitamente affrontati nelle discussioni collettive, che non come una vera e propria
verifica.
La prima prova è stata svolta dai bambini a metà del percorso, dopo le prime due
lezioni. Si componeva di due parti: dieci domande relative alla forza di gravità e
cinque riferite alle dimensioni e distanze relative del sistema Terra-Sole. La seconda,
invece, è stata distribuita a conclusione del percorso e, nella medesima tipologia della
precedente, si componeva di sei domande relative alla luminosità vera e apparente
delle stelle e otto quesiti sulle variazioni stagionali, oltre a due domande a risposta
aperta sulla gradevolezza dell’esperienza. Ho dovuto strutturare la prova con
domande principalmente a risposta multipla per il limite di tempo a disposizione.
Avrei fortemente voluto una collaborazione con l’insegnante di italiano per trovare
un più ampio spazio di lavoro che garantisse ai bambini la possibilità di espressione
su ciò che indagavamo di volta in volta cosicché, attraverso la descrizione scritta, le
conoscenze e le esperienze “agite” potessero trovare una progressiva organizzazione
e sistemazione ad un livello sempre più esplicito e conscio. Purtroppo questa
richiesta non è stata accolta e, con grande rammarico, ho dovuto rinunciare al
fondamentale contributo che avrebbe potuto apportare l’opportunità di integrare il
progetto con un lavoro di espressione linguistico-artistica.
61
Per una programmazione ed una valutazione completa di un intervento didattico è necessario
partire da una valutazione diagnostica, la quale fornisce un giudizio preventivo circa
l’adeguatezza o meno delle soluzioni pratiche da operare in riferimento agli intenti da raggiungere
(valutare se vi sono i prerequisiti necessari per il raggiungimento degli obiettivi, sviluppo
cognitivo, stili e ritmi di apprendimento, ecc.); interviene poi, durante il processo di
apprendimento, la valutazione cosiddetta formativa, con lo scopo di fornirci informazioni circa il
modo in cui gli allievi accedono ad una certa procedura di apprendimento e come procedono
attraverso di essa, quali abilità sta maturando e quali costituiscono invece un ostacolo. Questo
consente all’insegnante di intervenire durante il processo di apprendimento attivando gli interventi
compensativi opportuni. Infine la valutazione sommativa permette di raccogliere i dati per tentare
un bilancio conclusivo dell’attività didattica.
127
I risultati si possono considerare nel complesso piuttosto soddisfacenti. A differenza
della prima prova in cui erano tutti presenti, la seconda è stata svolta soltanto da dieci
bambini, poco più della metà; purtroppo non è stato possibile ripeterla neppure in un
momento successivo dato che mancavano pochi giorni alla conclusione della scuola e
gli impegni della classe erano davvero molti. Di seguito sono riportate le prove e gli
istogrammi che raffigurano gli esiti relativi a ciascuna domanda.
11.1 Resoconto sulla prova relativa al primo e al secondo incontro
La forza di gravità
1. La forza di gravità fa sì che tutti gli oggetti si attraggano a vicenda; ma nella vita di
tutti i giorni non ci accorgiamo di questa attrazione. Perchè?
A- Tutto ciò che ci circonda ci attrae in tutte le direzioni ma siamo sensibili solo
all’attrazione della Terra perché la sua massa è enorme in confronto a tutto il resto.
B- Perché questa forza vale in tutto l’universo tranne che sulla Terra.
C- Perché non siamo fatti di metallo.
%
100
80
60
40
20
0
A
B
C
risposta
2. Hai in mano un bicchiere d’acqua; supponi adesso di essere esattamente dalla parte
opposta del globo.
Che cosa succede all’acqua dall’altra parte del globo?
A- Resta al suo posto.
B- Esce dal bicchiere.
128
%
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
A
B
risposte
Tre bambini dimostrano di non avere ancora afferrato il concetto. Sono gli stessi che
durante le discussioni in classe dovevo continuamente sollecitare a partecipare per la
loro tendenza a non intervenire. Sono certamente i bambini che hanno risentito
maggiormente della mancanza di esperienze di rinforzo. Essi sbagliano anche la
domanda n. 3 e si astengono dal completare la frase.
3. Nell’immagine qui sotto puoi vedere alcuni uomini sparsi in vari punti del globo
con in mano una pietra.
Che cosa succede alla pietra tenuta dall’uomo dall’altra parte del globo, quando viene
lasciata andare?
A- Cade ai piedi della persona.
B- Cade verso la parte bassa della pagina.
%
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
A
B
risposta
129
La …………, infatti, si manifesta nello stesso modo in ogni luogo della terra; quello
che vale per te vale anche per una persona che si trova…………parte del mondo.
4. Un oggetto lasciato cadere, in quale tunnel cade?
A- Nel tunnel numero 1.
B- Nel tunnel numero 2.
Infatti ogni corpo lasciato cadere si muove verso il ………. della Terra, quindi il
nostro oggetto cadrà nel tunnel numero…
%
100
80
60
40
20
0
A
B
risposta
Soltanto due bambini non rispondono correttamente e coincidono ancora con due
dei tre alunni che avevano sbagliato i quesiti precedenti.
5. Rispondi alle seguenti domande:
5a) Noi viviamo:
5b) Se lasciamo cadere un oggetto
esso si muove:
A- Intorno a tutto il globo terrestre.
A- Verso il centro della Terra.
B- Nella regione piatta della Terra.
B- Verso il basso.
C- Alla sommità della Terra.
C- Verso Sud.
130
%
%
80
70
60
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
50
40
30
20
10
0
A
B
C
n
risposta
A
B
C
risposta
6. La massa di un corpo dipende da:
A- La sua forma.
B- Il suo volume.
C- La distanza dal pianeta su cui si trova.
D- La quantità di materia di cui è formato.
%
60
50
40
30
20
10
0
A
B
C
D
risposta
Si evince chiaramente dall’andamento del grafico che il concetto non è stato
affrontato in maniera esauriente poiché solo cinque bambini rispondono
correttamente, mentre ben nove alunni collegano la massa di un corpo alla distanza
dal pianeta su cui si trova il corpo stesso. L’argomento era stato effettivamente
trattato piuttosto velocemente. Al contrario, però, i bambini sembrano aver
pienamente acquisito il concetto di peso, tanto che solo uno di loro non risponde
correttamente alla domanda n. 7.
7. Il peso di un uomo sulla Terra è diverso dal peso che avrebbe se venisse
trasportato sulla Luna, benché la sua massa resti invariata. Questo accade perché il
peso di un corpo dipende:
A- Dalla forma e dimensione del corpo.
B- Dalla massa del corpo e dalla gravità, cioè l’attrazione che subiamo da parte del
pianeta su cui ci troviamo.
131
%
100
80
60
40
20
0
A
risposta
B
8. Immagina di trovarti sulla Luna (ricorda che la Luna, diversamente dalla Terra è
priva di atmosfera) e di lasciar cadere dalla stessa altezza 2 kg di piombo e 1 kg di
piume: chi raggiungerà per primo il suolo?
A- 2 kg di piombo.
B- 1 kg di piume.
%
50
40
30
20
10
0
A
B
AB
risposta
In una eventuale attribuzione di punteggi avrei sicuramente eliminato questa
domanda dal conteggio poiché, oltre ad essere piuttosto perfida, non si inserisce nel
giusto contesto: tutte le altre domande prevedono un’unica risposta corretta e avrei
dovuto dichiarare esplicitamente nella consegna che vi potevano essere più risposte
giuste. Solo sette bambini rispondono barrando entrambe le opzioni, mentre tutti gli
altri ne scelgono una soltanto. Otto di questi scelgono la risposta B, probabilmente
ricordando le esperienze e le discussioni sviluppatesi durante la lezione senza
considerare, altresì, la possibilità di scegliere entrambe le risposte; decidono, quindi,
per una soluzione diversa da quella che si verificherebbe sulla Terra, ma non è quella
corretta.
132
9. Se trasportassimo un corpo sulla Luna come varierebbe la sua massa? Ed il suo
peso?
9a) MASSA
9b) PESO
A- Non varia
A- Non varia
B- Diminuisce
B- Diminuisce
C- Aumenta
C- Aumenta
%
%
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
50
40
30
20
10
0
A
B
C
risposta
A
B
C
risposte
Qui si ha una conferma a quanto emerso dall’analisi della domanda n. 6 su una
mancata comprensione del concetto di massa; si evince, però, che neppure il
concetto di peso risulta chiaro ai bambini.
Dimensioni e distanze relative del sistema Terra-Sole
1. Le immagini riprese dallo spazio hanno da tempo confermato la sfericità della
Terra; sai spiegare allora perchè nella realtà di tutti i giorni ci appare piatta?
A- Noi viviamo in una regione specifica della Terra che è piatta.
B- Non sono veramente convinto che la Terra sia sferica.
C- La Terra è sferica, ma è così grande che noi possiamo vederne solo una piccola
parte e la sua curvatura ci appare piatta.
D- La Terra non è proprio sferica, ma un solido con moltissime facce piatte e noi
viviamo su una di esse.
%
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
A
B
C
D
n
risposta
Solo due bambini non rispondono.
133
2. Il raggio del sole è molto più grande di quello terrestre: di quante volte? Se non te
lo ricordi lo puoi facilmente ricavare sapendo che il raggio terrestre è circa 6.370 km
mentre il raggio del Sole è circa 700.000 km.
…………………………………………………………………………………
Ben otto bambini sottraggono il raggio terrestre dalla misura di quello solare.
Dall’analisi di questo dato deduco che avrei dovuto formulare più chiaramente il
testo della domanda, cassando ogni ambiguità.
3. Per riprodurre in scala il sistema Terra-Sole, il raggio del pallone che avevamo a
disposizione era di 12 cm; abbiamo ricavato il raggio della sferetta rappresentante la
Terra pari a ……cm. Quindi abbiamo sistemato la Terra a …… m di distanza dal
Sole.
La maggior parte degli alunni ha ricavato (o ricordato?) correttamente il raggio della
sferetta, mentre solo la metà di loro ha risposto correttamente anche alla seconda
richiesta. Certamente il quesito doveva riportare tra i dati la distanza tra la Terra e il
Sole per consentire ai bambini di ricavare la risposta e non ridurre così la prova ad un
inutile sforzo mnemonico (altri dati utili potevano essere ricavati dall’esercizio n. 2).
Considerazione da estendere alla domanda successiva a cui rispondono
correttamente quattordici bambini per quanto riguarda il primo quesito, mentre
nessuno risponde al secondo.
4. Se il raggio della Terra fosse 10 cm, mantenendo inalterate le proporzioni, quale
dovrebbe esser il raggio del Sole? A quale distanza dovremmo collocarli sempre
rispettando le proporzioni?
………………………………………………………………………………….
5. Supponi, ora, di voler rappresentare il Sole con una sfera col raggio di 109 cm.
Quanti centimetri misurerà il raggio della Terra?
A- 1 cm
B- 10 cm
C- 3 cm
134
%
60
50
40
30
20
10
0
A
B
C
n
risposta
La maggior parte dei bambini dimostra di non padroneggiare ancora il sistema di
riduzione in scala; molti di loro, infatti, anche durante la discussione in classe
necessitavano di una guida che li conducesse nel ragionamento.
11.2 Resoconto sulla prova relativa al terzo e al quarto incontro
Luminosità vera e apparente delle stelle
1. La luce del Sole è sufficiente ad illuminare il cielo intero. Perché, allora, le stelle
della Galassia (circa 100 miliardi) non illuminano il cielo notturno?
A- Perché sono molto più deboli del Sole.
B- Perché il Sole è una stella molto più luminosa di tutte le altre.
C- Perché la distanza delle stelle è enorme, quindi ci appaiono deboli e puntiformi
(come punti).
%
100
80
60
40
20
0
A
B
C
risposta
2. La luce delle stelle che arriva a noi:
A- È partita un istante prima di giungere sulla Terra.
B- Viaggia circa 4 anni prima di giungere sino alla Terra.
C- Viaggia tanto di più, quanto è più lontana da noi.
135
%
60
50
40
30
20
10
0
A
B
C
risposta
La maggior parte dei bambini risponde correttamente; altri, invece, dimostrano una
minore capacità d’astrazione e restano ancorati all’esempio fatto in classe della stella
a noi più vicina, generalizzando questo caso specifico.
3. Due torce proiettano sul muro due macchie di luce di intensità diversa: potendo
vedere solo la luce sul muro potresti dire se le due torce sono uguali o diverse?
A- Sì, perché se le torce emettono una luce diversa sono anch’esse sicuramente
diverse.
B- No, perché non sappiamo se sono a distanze uguali o diverse dal muro.
%
100
80
60
40
20
0
A
B
risposta
4. Quanto più una sorgente di luce è ……………… , più sembra debole; viceversa,
più una sorgente di luce è ……………, più appare luminosa.
5. La luce di una stella, vista dalla Terra, può essere più o meno intensa. Questo
dipende da due cose: sapresti dire quali?
ƒ
Dalla……………della luce della stella.
ƒ
Dalla………………….della stella dalla Terra, dove ci troviamo noi che la
osserviamo.
136
La concettualizzazione circa la luminosità apparente e assoluta di una stella sembra
essere consolidata in tutti gli alunni, i quali hanno risposto correttamente sia al
quesito n. 4 (con un solo astenuto), sia al quesito n. 5. Non possiamo dire altrettanto
per quanto riguarda il metodo della parallasse sul quale non si esprimono ben sei
bambini su dieci. La causa, probabilmente, è da attribuirsi più al momento in cui è
stato affrontato l’argomento (sul finire della lezione i bambini mostravano evidente
stanchezza e conseguente distrazione) che non alla sua reale complessità (anche
perché lo abbiamo affrontato in maniera intuitiva senza ricorrere ad alcuna regola di
geometria!).
6. Il metodo della parallasse viene utilizzato dagli astronomi per misurare la
…………. delle…………più vicine a noi, osservandole da due estremi opposti
dell’orbita terrestre.
Le variazioni stagionali
Segna con una crocetta la risposta che ritieni corretta.
1. L’alternarsi del dì e della notte è spiegato dalla rotazione della Terra attorno al Sole
A- Vero
B- Falso
%
60
50
40
30
20
10
0
A
B
risposta
2. L’alternarsi delle stagioni è spiegato dalla rotazione della Terra attorno al Sole
A- Vero
B- Falso
%
80
60
40
20
0
A
B
risposta
137
3. D’inverno è più freddo perché la Terra è più lontana dal Sole
A- Vero
B- Falso
%
100
80
60
40
20
0
A
risposta
B
4. Quando il Sole è più basso sull’orizzonte succede che:
A- I fasci luminosi colpiscono una zona più ampia della superficie terrestre.
B- I fasci luminosi colpiscono una zona più ristretta della superficie terrestre.
%
100
80
60
40
20
0
A
B
risposta
5. Quando il Sole è più basso sull’orizzonte succede che:
A- Si misurano temperature più basse.
B- Si misurano temperature più alte.
%
100
80
60
40
20
0
A
B
risposta
138
I grafici dimostrano la comprensione degli argomenti trattati da parte della quasi
totalità degli alunni, con l’unica eccezione del primo quesito. L’errore, però, potrebbe
essere attribuito ad una lettura superficiale del testo e, dunque, ad una sua erronea
interpretazione dato che, il moto a cui si fa riferimento non viene denotato con il suo
nome specifico (moto di rivoluzione).
Segna con una crocetta la risposta (o le risposte) che ritieni corrette.
6. D’estate:
A- Fa più caldo perché la Terra è più vicina al Sole.
B- I fasci luminosi colpiscono una zona più ristretta della superficie terrestre.
C- Il Sole è più basso sull’orizzonte rispetto all’inverno.
%
100
80
60
40
20
0
A
B
C
risposta
7. Al mattino il Sole è più basso sull’orizzonte rispetto al mezzogiorno:
A- Questo vuol dire che è più vicino a noi.
B- Questo significa che i fasci luminosi colpiscono una zona più ampia della
superficie terrestre.
C- Le ombre sono più lunghe.
%
50
40
30
20
10
0
A
B
C
BeC
risposta
139
Gli alunni che hanno risposto contrassegnando anche l’opzione C hanno dimostrato
un’ottima capacità di ragionamento poiché, durante la lezione, non avevamo parlato
delle ombre.
8. L’inclinazione dell’asse terrestre e la rivoluzione della Terra attorno al Sole ci
permettono di spiegare:
A- Le variazioni stagionali di tutti i punti della Terra.
B- Il Sole di mezzanotte nelle zone polari.
C- L’alternarsi del dì e della notte.
%
50
40
30
20
10
0
A
B
C
AeB
AeC
risposta
9. Descrivi ciò che più ti ha colpito delle esperienze alla scoperta del cielo e quella
che ti è piaciuta di meno.
10. La cosa che ti ha stupito di più, che non ti saresti mai immaginato.
Non tutti i bambini hanno avuto il tempo necessario per rispondere a queste ultime
due domande sul gradimento dell’esperienza; nonostante il numero limitato di
risposte, per me è stato davvero sorprendente e divertente scoprire cosa pensassero i
bambini: una alunna dichiara di aver gradito l’intera avventura, mentre gli altri hanno
espresso ciò che più li aveva colpiti e, senza timore, anche quello che avevano
apprezzato di meno.
140
Conclusione
Si conclude così questo percorso di ricerca collettivo, che ha visto coinvolti i bambini
di una classe quinta, l’insegnante di matematica e scienze e la sottoscritta. Volendo
fare un bilancio dell’esperienza devo necessariamente tenere in considerazione una
molteplicità di fattori. Posso dire con certezza che per i bambini è stata un’esperienza
positiva ma, come studentessa e regista del progetto non posso negare un certo
malessere nel constatare uno scollamento tra quanto si apprenda all’Università
attraverso innumerevoli e specifici corsi teorici e quale sia invece la realtà scolastica
che caratterizza, credo, la maggior parte degli istituti.
Le difficoltà sono state varie e di diversa natura. Innanzitutto non è stato scontato
trovare il linguaggio e i modi più appropriati per adeguarsi alle capacità dei bambini e
rendere gli argomenti chiari ed accessibili. Per questo ho ritenuto importante ripetere
gli stessi concetti, spesso complessi e controintuitivi, formulandoli secondo
prospettive diverse.
Ho riscontrato una certa difficoltà nel poter usufruire degli strumenti e delle aule
speciali della scuola, probabilmente non sufficienti per il numero di classi che la
scuola accoglie (ad esempio ho dovuto ricorrere al mio computer personale per
vedere, insieme ai bambini, una presentazione finalizzata a rinforzare i concetti tanto
difficili che avevamo affrontato nell’ultimo incontro). Questo ha incrementato
ancora di più la variabile di imprevedibilità intrinseca ad ogni situazione.
Provare le esperienze a casa è stato sicuramente importante: è necessario avere una
conferma che le cose vadano realmente come ce le eravamo immaginate.
Ho sempre cercato di dar avvio alle lezioni attraverso discussioni collettive articolate
attorno ad una o più domande stimolo, così da favorire il pensiero critico dei
bambini, la loro capacità di esprimere considerazioni personali, di formulare ipotesi,
di saperle modificare in seguito all’ascolto delle previsioni altrui. Ritengo
fondamentale che la parte verbale e sperimentale si integrino e si supportino a
vicenda, anche per riconoscere in pieno il valore didattico delle esperienze
laboratoriali, che altrimenti scadrebbero in sistematiche convalide di teorie “date” e
dunque di conoscenze etero-dirette e non auto-costruite. Sono, però, assolutamente
consapevole che avrei dovuto lavorare molto di più sul rinforzo, affinché fosse
garantito ad ogni bambino il tempo necessario per rielaborare le informazioni
scoperte attraverso le esperienze e le discussioni, per tradurle in immagini mentali
141
nitide e stabili e, infine, per farle entrare a far parte della struttura cognitiva come
concetti acquisiti. Così, non solo si attiva ma si porta a compimento un processo di
apprendimento significativo. Il progetto era certamente ambizioso poiché gli
argomenti trattati chiamano in causa concetti complessi, talvolta di non facile
intuizione. I bambini hanno comunque aderito e partecipato con entusiasmo alle
attività rispondendo agli stimoli sollecitati. Solo a fine lezione notavo in alcuni di loro
una maggiore tendenza a distrarsi dettata probabilmente dalla stanchezza mentale di
aver affrontato temi sostanziosi in breve tempo; a questo proposito, se dovessi
riproporre il progetto, oltre a prevedere uno spazio di riflessione individuale,
organizzerei il lavoro su un arco di tempo decisamente più ampio; ciascuna lezione
dovrebbe essere divisa in almeno due incontri, senza considerare il tempo da
dedicare ad una corretta valutazione (diagnostica, formativa, sommativa,
organizzativa) che dovrebbe investire l’intero percorso didattico.
Benché gli alunni non avessero tutti i prerequisiti necessari per affrontare gli
argomenti trattati, si sono comunque dimostrati recettivi e maturi nel seguire le
integrazioni volte a colmare tali vuoti e ciò che più mi ha stupito è stata proprio la
loro capacità di ragionare sulla base dei dati e degli stimoli forniti. Realizzare un
progetto non è facile, poiché l’idea che ci si è fatti prende vita in un contesto
caratterizzato da certi connotati: lo sviluppo cognitivo degli alunni, le loro
competenze specifiche, l’acquisizione degli strumenti e dei procedimenti
fondamentali per l’apprendimento scientifico, i bisogni dei bambini e i loro interessi;
tutti fattori che concorrono a concretizzare il progetto in una esperienza unica e
irripetibile. Non bisogna sottovalutare i limiti imposti dagli spazi e dalle scarse
risorse: un insegnante deve dedicare molto tempo alla preparazione dei materiali e
soprattutto ricorrere a mezzi e strumenti propri che la scuola non offre; basti pensare
che a scuola non mi è stato possibile neppure fare le fotocopie!
Sono rimasta comunque molto colpita dall’entusiasmo e dalla propositività di molti
bambini a fronte di un’abitudinarietà a lavorare seguendo percorsi lineari e poco
dinamici. I bambini sin dal principio si sono dimostrati interessati e inclini ad
imparare e condividere le “regole del gioco” da me proposto e a contribuire con un
loro apporto originale di idee, per una efficace condivisione delle responsabilità del
processo di insegnamento/apprendimento.
Con questo progetto ho cercato di instillare nei bambini un insieme di competenze
teoriche ed operative, affinché questo ambizioso traguardo non rimanesse un
142
enunciato speculativo, ma costituisse l’inizio di un lungo processo di ricerca e
costruzione personale delle conoscenze scientifiche.
Conclusione che auspico sia più un punto di ri-partenza piuttosto che una fine, un
progetto vissuto, ampliato e arricchito da altre menti grandi e piccine con la voglia,
l’entusiasmo e il coraggio di andare in scena accompagnati da quel desiderio-paura di
scoprire cose nuove, di conoscere l’insaputo, capace di mobilitare energie inaspettate
in ciascuno di noi. In una dimensione laboratoriale, l’insegnante è mosso da una
ricerca permanente di sempre nuove vie percorribili per rinnovare lo sguardo
attraverso cui guardare e invitare a guardare ciò che sta proprio sopra le nostre teste e
sotto ai nostri piedi; ecco che cielo e terra divengono straordinari ambienti educativi,
custodi di segreti ancora da svelare per sentirsi sempre più vivi e parte essenziale del
mondo.
L’astronomia ormai da anni fa parte del programma in tutti gli ordini scolastici ma
stenta ancora ad entrare nella scuola. Anziché appiattire l’universo in disegni e
descrizioni talvolta scorrette e spesso incomprensibili, sarebbe utile piuttosto invitare
gli studenti ad alzare lo sguardo al cielo, alle danze lente e ritmiche dei corpi che lo
popolano imparando a lasciarsi suggerire da questi stessi oggetti e fenomeni
osservati, nuovi interrogativi e nuove conoscenze.
Avendo a disposizione tempi distesi, pazienza, collaborazione dei genitori per
estendere l’osservazione in notturna e soprattutto l’entusiasmo e il coraggio necessari
per intraprendere un’avventura che ha poco di ordinario, penso che sia possibile
guardare e percepire con occhi diversi ciò che ci circonda, “incontrando” e non
“studiando” la conoscenza che il nostro prezioso mondo ci offre.
Se un giorno riuscirò mai a coronare il sentito auspicio di insegnare in una scuola,
porterei sì l’astronomia dentro la scuola, ma proverei con tutti i mezzi possibili anche
a portare i bambini a scrutare il cielo e l’universo, in un’astronomia diretta, osservata
e non solo riprodotta: quale miglior laboratorio di quell’immenso e ricco spazio che
si dispiega infinito al di là del portone della scuola?
143
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