Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze della Formazione Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria _______________________________________________________ Tesi di Laurea in Didattica della Fisica Viaggio alla scoperta del cielo: una proposta didattica per la Scuola Primaria Relatore: Dott. Samuele Straulino Studentessa: Martina Tattini _______________________________________________________ Anno Accademico 2009/2010 Indice Introduzione………………………………………………………………………5 I CAPITOLO La scienza nella scuola primaria 1. Insegnare scienze oggi: quali prospettive?………………………………………..8 2. Il laboratorio nella didattica delle scienze……………………………………….13 II CAPITOLO La scuola tra normativa e realtà 1. Programmazione e Progettazione curricolare: uno sguardo alle scienze nei Programmi del 1985 e nelle Indicazioni per il curricolo del 2007………………….18 2. La dimensione affettiva. Insegnanti e alunni nelle classi di oggi ………………...31 III CAPITOLO Lo sviluppo mentale e la formazione dei concetti scientifici: teorie e modelli di riferimento 1. Il modello piagetiano…………………………………………………………....36 2. Vygotskij e lo sviluppo dei concetti scientifici nell’infanzia……………………...40 IV CAPITOLO Il progetto: “Col naso all’insù: un’astronomia a portata di bambino” 1. L’astronomia nella scuola primaria: una sfida (purtroppo!) ancora attuale………46 1.1 La scuola e gli attori del progetto……………………………………………48 2. Schema riepilogativo degli incontri svolti in classe……………………………...51 3. Progettazione del primo incontro………………………………………………53 4. Primo incontro svolto in classe. Perché tutto cade? Storia di una misteriosa forza……..60 4.1 Perché tutto cade? …………………………………………………………..61 4.2 Gli oggetti più pesanti cadono più velocemente? ……………………………64 3 4.3 Il peso e la massa sono la stessa cosa? ………………………………………69 4.4 Dov’è il basso? ……………………………………………………………...71 4.5 Perché la luna non cade sulla Terra visto che tutto attira tutto? ……………..73 5. Progettazione del secondo incontro. Dimensioni e distanza relative del sistema TerraSole………………………………………………………………………………...77 6. Secondo incontro svolto in classe………………………………………………81 7. Progettazione del terzo incontro. Luminosità vera e apparente delle stelle……………90 8. Terzo incontro svolto in classe…………………………………………………99 9. Progettazione del quarto incontro. Inclinazione dei raggi solari sulla terra………….104 9.1 Costruzione di due modelli per spiegare i cambiamenti stagionali dal punto di vista astronomico……………………………………………………………....110 10. Quarto incontro svolto in classe. Perché fa più caldo in estate che in inverno? ……...116 11. La valutazione………………………………………………………………..126 11.1 Resoconto sulla prova relativa al primo e al secondo incontro…………..128 11.2 Resoconto sulla prova relativa al terzo e al quarto incontro……………..135 Conclusione ……………………………………………………………………141 Bibliografia……………………………………………………………………..144 4 Introduzione L’idea del progetto nasce da una strana antinomia: la passione e la predilezione che da sempre nutro per le materie scientifiche da un lato, e l’approccio scolasticolibresco con cui sono stata iniziata al mondo delle scienze dai miei insegnanti, dall’altro. Presto però, molto prima di intraprendere gli studi universitari nel corso in Scienze della Formazione Primaria, mi sono avvicinata all’universo infantile e così ho avuto modo di riscoprire la genuina capacità dei bambini di stupirsi di fronte a tutto ciò che di meraviglioso il mondo ci offre. Nella mia mente i pensieri hanno iniziato a volteggiare in voli pindarici immaginando come quell’ardente voglia di sapere potesse essere nutrita ed orientata, attraverso una didattica di tipo partecipativo piuttosto che trasmissivo (esplorazioni sensoriali, esperienze ludiche, ecc.), verso una conquista crescente del mondo a cui apparteniamo. Attraverso una didattica dinamica, sperimentale e coinvolgente ho cercato di disancorare quell’abitudinarietà che spesso nella vita quotidiana ci porta ad appiattire la realtà circostante in un quadro statico, incolore, inodore, per munire i bambini di una lente attenta e critica attraverso la quale sbirciare e scoprire sempre più nell’essenza i fenomeni naturali. Nonostante le innumerevoli riforme scolastiche, attraverso le quali si è cercato di apportare un rinnovamento anche ai contenuti e alle modalità del fare scienze, si registra ancora oggi una certa resistenza al cambiamento: la canonica lezione frontale e l’uso del libro di testo come unico strumento didattico restano ancora la prassi più diffusa al di là di ogni dichiarazione d’intenti. Come non giustificare allora il rifiuto o lo scarso interesse da parte di tanti studenti per le scienze, a fronte di un metodo trasmissivo e nozionistico per una disciplina essenzialmente sperimentale? Nel primo capitolo di questo elaborato ho fatto alcune riflessioni su come oggi si studiano le scienze a scuola e su quali, invece, potrebbero essere gli strumenti e le metodologie per migliorare l’acquisizione di procedimenti, abilità, contenuti e competenze da parte degli studenti. Il ruolo delle scienze nella scuola di base si è trasformato nel corso della storia scolastica: in particolare, nell’ultimo ventennio le discipline scientifiche hanno visto riconosciuta la loro autonomia e il loro ruolo fondante per una completa formazione dei bambini. È l’argomento trattato nel secondo capitolo, dove ho ritenuto altresì importante ritagliare uno spazio da dedicare ad una dimensione trasversale a qualsiasi 5 disciplina, che difficilmente può essere valutata ma che costituisce un fondamento intrinseco alla relazione tra docente e discente: la dimensione affettiva. L’educazione è un processo di formazione dei singoli individui all’interno di un contesto sociale in cui si interagisce con altri soggetti. Non può esistere educazione senza relazione; là dove non vi sia rapporto intersoggettivo, il massimo risultato conseguibile è la mera trasmissione di saperi e contenuti. Dobbiamo dunque tenere presente il ruolo delicato che ricoprono le componenti emotive che coinvolgiamo con il nostro modello di insegnanti, consapevoli del fatto che spesso insegnamo più con gli atteggiamenti e i modi di essere che con i discorsi e le conoscenze che trasmettiamo. Essere attivamente coinvolti insieme agli alunni nel processo di ricerca e costruzione della conoscenza e far percepire loro l’importanza del contributo originale di ciascuno, che può altresì determinare una ristrutturazione e revisione della conoscenza dello stesso insegnante, favorisce nei ragazzi un senso di piacere e soddisfazione che rappresenta uno dei fattori più importanti per l’apprendimento. Nel terzo capitolo ho fatto alcune considerazioni circa la formazione dei concetti scientifici. Ripercorrendo le tappe fondamentali di alcune teorie psico-pedagogiche ho cercato di mettere in luce quei meccanismi che, secondo gli autori, si innescano nella testa del bambino quando si accinge ad esplorare la realtà e, dunque, quando inizia a formarsi delle idee per comprenderla; conoscere lo sviluppo della mente infantile e i suoi modi di operare diventa un presupposto fondamentale per operare delle scelte oculate e calibrate in vista di un’azione educativa sensata ed efficace. L’ultimo capitolo è stato dedicato interamente al progetto: dopo una breve introduzione ed un’analisi sul contesto specifico in cui ho operato, vi sono riportati i quattro incontri svolti in classe, ciascuno preceduto dalla descrizione della progettazione, in cui si discutono gli argomenti trattati e le esperienze da proporre in classe descritte nei dettagli (obiettivi specifici, tempi previsti, materiali, ecc.). Al centro del progetto vi sono dunque le Scienze, considerate da una prospettiva che, purtroppo, possiamo ancora definire innovatrice e, ovviamente, i bambini, uniche creature che più di chiunque altro necessitano di attenzioni e stimoli quanto più vari, per far sì che le molteplici intelligenze (le otto intelligenze di cui parla Gardner) possano sviluppare al massimo il loro potenziale. I recettori sono finestre sul mondo, tutte aperte; solo le cattive abitudini possono chiuderne alcune. Dobbiamo continuamente sollecitarli e nutrirli impiegando una pluralità di metodi perché nessuno venga messo da parte da un’educazione che troppo a lungo è stata segno di selezione, ma affinché ognuno possa essere rispettato e sostenuto in base alle proprie 6 potenzialità senza sforzarsi nell’inutile tentativo di tendere verso uno sterile prototipo imposto dall’alto. 7 I Capitolo La scienza nella scuola primaria 1. Insegnare scienze oggi: quali prospettive? Insegnare è certamente un fenomeno complesso. Poiché l’uomo è complesso! L’insegnante si trova nella delicata posizione di precario equilibrio tra un “universo bambino” e un “universo adulto” costantemente da raccordare e, contemporaneamente, si trova a dover interagire con due diversi mondi di esperti: i disciplinaristi da un lato e psicologi/filosofi/sociologi dall’altro, i quali fin dai da tempi ormai lontani si avvicendano gli uni per selezionare e proporre i fondamenti da insegnare, gli altri per conoscere sempre più oggettivamente e dettagliatamente la complicata macchina cognitiva che è la mente dell’uomo ai diversi stadi di maturazione, per indagare l’epistemologia delle scienze e infine studiare quanto intervenga in tali processi cognitivi l’ambiente circostante. La funzione dell’insegnante si fa necessariamente critica poiché ha il compito di cercare di stabilire un raccordo tra la conoscenza comune e la conoscenza scientifica, oltrepassando il radicale divario che vi intercorre e abbattendo l’idea consolidata che la conoscenza scientifica si costituisca in contesti a parte, attraverso linguaggi specifici. L’obiettivo è quello di creare un collegamento diretto tra la conoscenza scientifica e il modo di conoscere di un bambino, non con l’intento di formare un piccolo scienziato ma per sviluppare e consolidare una formazione culturale come strumento necessario per far fronte alla innumerevoli situazioni cui la vita ci sottopone intervenendo in maniera coerente ed efficace. All’insegnante dunque non può e non deve sfuggire nessuno dei molteplici aspetti chiamati in causa: dagli eruditi saperi da smontare, alle modalità di ricezione e ri-costruzione diverse da soggetto a soggetto, considerando poi che per educazione scientifica di base non si intendono percorsi perseguibili strutturati e certi, né tanto meno contenuti nozionistici tecnici e specifici. Si tratta piuttosto di un’inesauribile ricerca che ci conduce verso sempre nuovi percorsi esplorativi senza però dimenticare, di tanto in tanto, di tornare indietro per ri-organizzare vecchie conoscenze e contenuti alla luce di nuovi strumenti e conquistate strutture che innalzano progressivamente la conoscenza in un inesauribile percorso a spirale. 8 Educare alla scienza coinvolge i modi di pensare, di agire, di parlare e dunque incide sul relazionarsi col mondo circostante e sulle modalità di interpretare tale realtà. Inutile dire che per sviluppare la capacità di cogliere, apprezzare ed indagare sempre più approfonditamente il senso di una conoscenza scientifica è necessario che il mondo culturale adulto in cui i ragazzi sono immersi ne riconosca per primo il significato e il valore (finché si continuerà a relegare le conoscenze scientifiche in un universo a sé stante se ne impedirà l’interazione con la vita comune, impotenti di fornire alla cultura strumenti più consapevoli di conoscenza). Se la scienza ha un significato umano e sociale oltre che culturale deve far parte del programma scolastico con le debite considerazioni. Uno degli obiettivi primari dell’educazione nella scuola di base dovrebbe esser quello di promuovere lo sviluppo e il progressivo articolarsi nei diversi contesti che la vita offre, delle potenzialità a tutto tondo di ciascuno. Questo però è destinato a rimanere un enunciato sterile e astratto se non supportato da uno schema di teoria della conoscenza sufficientemente complesso, organico e consapevole. Le teorie non sono meri costrutti discorsivi: esse sono di fondamentale importanza affinché possa aver luogo un confronto sulla base di un linguaggio condiviso, per poter progettare, verificare ed eventualmente rivedere la strada intrapresa. Intorno al tavolo dovrebbero sedere personalità dalle diverse competenze rompendo la rigida suddivisione dei ruoli per compartimenti stagni secondo cui alcuni teorizzano sull’educazione, altri traducono tali teorie in progetti didattici e infine gli insegnanti eseguono l’applicazione. La scienza come la vogliamo intendere qui non è esclusivamente un insieme di leggi e nozioni ma un modo di porsi di fronte alla realtà, di interagire con essa e quindi lo studio delle scienze fornisce un contributo per interpretare criticamente il mondo senza subirlo passivamente. Fornire l’informazione si può considerare oramai dominio esclusivo dei mezzi di comunicazione di massa i quali hanno da tempo sorpassato di gran lunga scuola e famiglia; ai genitori e agli educatori “resta” il difficile compito di servirsene in modo critico-strumentale. Tutta la conoscenza nasce dall’esperienza, diceva Kant: da dove cominciare allora se non dall’indagare con i sensi il mondo circostante? Ecco che si spiega l’importanza delle “esperienze sensoriali” su cui innestare ogni tipo di riflessione e da cui far scaturire qualsiasi conoscenza. Non perché è giusto così, né perché così vuole una qualche teoria della conoscenza, piuttosto perché come sapientemente ci ha insegnato Kant operando una vera e propria rivoluzione copernicana, siamo noi con 9 le nostre “categorie a priori”, con le nostre aperture sensoriali a conferire alla realtà circostante certe forme e colori; dunque la realtà esterna ci perviene scomposta e filtrata attraverso canali sensoriali diversi, inconsciamente re-intrecciata in un tutto di senso compiuto. Progettare un intervento educativo non significa selezionare i migliori materiali strutturati, innescare il progetto a partire da attività espressive o dal racconto di un episodio avvincente accaduto durante le vacanze al mare; si tratta piuttosto di saper cogliere gli stimoli che la vita di tutti i giorni ci offre a partire dai quali costruire contesti significativi di apprendimento e di elaborazione di esperienze, linguaggi e conoscenze. Un’indagine diretta della realtà induce i bambini a porsi domande e quindi a divenire soggetti consapevoli nel ‘bagno’ di fatti in cui fin da piccolissimi sono immersi e, a poco a poco, a costruire ed affinare gli strumenti attraverso i quali leggere e collegare tali fatti in un quadro coerente-razionale-unificante. Si impara a percepire lo scarto tra le interpretazioni “costruite” in prima persona e quelle dateci dall’alto senza subirle passivamente e in maniera totalizzante. Funzione centrale ed immancabile della figura di insegnante in un qualsiasi intervento didattico di tipo scientifico è quella di stimolatore nonché moderatore degli interventi dei singoli bambini in modo tale da permetterne l’espressione individuale, l’ascolto reciproco e la contaminazione delle proprie idee con quelle altrui per favorire un più ampio spazio di riflessione. La discussione non nasce spontaneamente e in ogni caso necessita della direzione del maestro d’orchestra che, oltre ad accendere l’interesse verso situazioni problematiche e quindi a motivare i bambini, deve aver a disposizione gli strumenti e le competenze necessarie a poter indagare ed esplicitare le strutture di pensiero e gli innumerevoli schemi di spiegazione che ciascun bambino inconsapevolmente mette in atto nel processo di apprendimento. Conoscere tali strutture cognitive diviene fondamentale per impiegare modelli e strumenti ad esse affini e proporzionati per accrescere ed articolare progressivamente sia le conoscenze che le medesime strutture di conoscenza. Sovente accade che più si avanza di ordine e grado nell’iter scolastico e più aumentano le probabilità di isolarsi in monadi a sé stanti, prive di finestre comunicative con l’esterno, così che le strutture mentali di un ragazzo si cristallizzano in quell’esclusiva modalità che lo vede unico interlocutore di se stesso. La vitale interazione con l’alterità e le conseguenti differenze, analogie, confronti, scontri, contraddizioni e contaminazioni che ne scaturiscono devono costantemente essere sollecitate e nutrite affinché ogni 10 conoscenza possa essere riletta e reinterpretata criticamente e dinamicamente, alla luce dei sempre più affinati strumenti e delle abilità cognitive via via conquistati. Ecco che l’insegnante per primo deve presentare gli argomenti attraverso spiegazioni, discussioni, esperienze manipolative, giochi, materiali audiovisivi o interattivi, inserendoli per quanto possibile in un processo dinamico di de-costruzione e ristrutturazione del patrimonio delle conoscenze e dei modi di accedervi; da qui si capisce l’importanza di tornare su argomenti già trattati richiamandoli alla mente con l’ausilio di schemi sinottici, cartelloni, foto, immagini, video, precedentemente utilizzati/realizzati per tessere l’intreccio complesso e articolato di una conoscenza che si accresce seguendo un tracciato a spirale e non per compartimenti stagni. Gli strumenti formali, spesso ritenuti specifici di una singola disciplina e per questo proposti ed esercitati entro confini ristretti, dovrebbero piuttosto essere sperimentati dagli stessi bambini nelle loro indagini empiriche o intellettive con cui cercano di trovare risposte a questioni problematiche. Individuare una procedura formale o una regola, empiricamente, cercando una risposta per tentativi ad una situazione problematica reale, poiché intrinsecamente intrecciata alla realtà e a procedimenti logici spontanei che essa chiama in causa, ha sicuramente più presa e significatività rispetto ad un’acquisizione seguita alla meccanica applicazione della regola in un contesto di pura esercitazione – si potrebbe anche dire di cieco addestramento – di cui rimarrebbe certamente ignoto il fondamento. Non può esserci un’acquisizione significativa di processi, schemi, strumenti cognitivi in contesti artificiosi, aprioristicamente predisposti, gli unici a saper isolare certi aspetti di un sapere specifico destinati però a rimanere un puro formalismo da applicare macchinosamente in una circoscritta situazione e non nella situazioni di vita o a finire ben presto dimenticati. In una frase potremmo dire: non si trovano risposte a domande che non ci siamo posti! Per risolvere un problema, infatti, bisogna innanzitutto porselo, dargli consistenza. Porsi un quesito, attivare processi mentali razionali, ipotetici e controllabili, agire per validare o falsificare le previsioni fatte, rende protagonisti attivi i singoli soggetti e dunque promuove un comportamento responsabilizzante. Senza dubbio è più impegnativo per il docente tracciare una strada ad ostacoli piuttosto che spianare la strada ai propri discenti, ma proprio in questo consiste il suo dovere di insegnante: nella capacità di aiutarli a divenire soggetti autonomi. Un sapere eccessivo, risultato di un accumularsi di nozioni disorganizzate piuttosto che integrate, opprime la mente senza riuscire a potenziarne le strutture razionali. 11 L’istruzione di base in primis dovrebbe essere permeata da una ‘democratizzazione’ delle scienze, provvedendo a tracciare possibili strade percorribili al fine non di accostare nozioni le une alle altre quanto di creare una forma mentis creativa, propositiva, allenata a procedere per ipotesi e verifiche. Da non trascurare poi è la dimensione soggettiva intrinsecamente connessa a quella cognitiva: che sia del proprio io interiore o della realtà esteriore il modello di ognuno di noi è centrato su se stesso, egocentrico; dal mondo esterno si cerca di ricavare quante più informazioni utili per raggiungere un obiettivo e, al tempo stesso, sapersi adattare alle situazioni. Per questo è importante costruire percorsi ad hoc perseguendo scopi precedentemente fissati, proporzionati a livello cognitivo secondo il grado di maturazione raggiunto per spingersi via via verso strati più profondi della conoscenza grazie al supporto di lenti di ingrandimento sempre più potenti. Educazione scientifica significa anche educare alla presa di coscienza che non esiste una verità trascendentale, assoluta, trasferibile agli altri. Se ciò che abbiamo controllato non è ulteriormente sottoponibile a verifiche questo non significa che non lo sarà nel futuro! Niente è definitivo e per sempre, ma provvisorio e revocabile. E se è vero che nessun discorso scientifico sfugge a tali controlli, è altrettanto vero che nessuna considerazione è da scartare aprioristicamente: è proprio in questo che possiamo individuare il più alto valore pedagogico dell’educazione scientifica. Aprirsi al confronto con l’alterità, nel rispetto delle idee altrui, rompendo le barriere dell’egocentrismo è il fondamento di una vita comunitaria regolata da una convivenza civile e democratica, è l’antidoto d’eccellenza all’intolleranza, alla repressione di espressione, al dogmatismo. 12 2. Il laboratorio nella didattica delle scienze Si apprende in maniera duratura, per assimilazione e accomodamento, quando ciò che di nuovo ci si accinge a conoscere ci viene presentato in maniera accattivante; non è certo e non è neppure presupposto sufficiente perché questo accada, ma è molto probabile che non vi sia alcun apprendimento quando un argomento viene presentato in modo poco interessante. La scelta del modello che sottende al proprio modo di lavoro nella scuola di base non è inutile né tanto meno indifferente: purtroppo però spesso si passa, come sostiene Fiorentini, da un disciplinarismo ottuso, che si avvale semplicemente ed esclusivamente del libro di testo, allo sperimentalismo fine a se stesso o, in alternativa, ad un metodologismo pedagogico vuoto.1 Ciò che invece può apportare – e per alcune scuole si può parlare in toni affermativi, ma sono ancora troppe poche! – un contributo d’innovazione costruttiva è la didattica laboratoriale, non tanto nell’accezione con cui già veniva concepita cinquant’anni or sono di spazio fisico organizzato, ma come metodo di lavoro attivo e partecipato. L’insegnante, unico interlocutore con l’ausilio del libro nella didattica tradizionale, rinuncia al suo protagonismo per agire sullo sfondo: predispone situazioni problematiche, teatro di ricerca in cui sono i bambini stessi a ricoprire il ruolo di attori, protagonisti del loro apprendere. Un insegnamento fondato sul problem solving, sul metodo euristicoinduttivo, è un motore d’innesco di riflessioni divergenti a partire dal fare, dall’agire. Non avrebbe senso – o per lo meno sarebbe alquanto riduttivo – presentare prima una teoria e secondariamente provarne l’effettiva funzionalità pratica; non è questa l’accezione con cui si vuole qui valorizzare questa pratica didattica. Il laboratorio vuole essere inteso come forma mentis, come processo euristico che oltre alle conoscenze dichiarative e alle abilità individuali mette in atto competenze procedurali (saper porre domande coerenti per avanzare nella ricerca, capacità di analisi e sintesi, saper valutare, ecc.), metacognitive (la capacità di pensare e riflettere su ciò che abbiamo fatto) e relazionali (saper comunicare con gli altri, saper ascoltare, ecc.). “Lavorare con le mani” prima, ed essere guidati poi ad estrapolare le teorie e le conoscenze che stanno sotto a quel “fare”, coinvolge i bambini in un’autocostruzione e un autosviluppo epistemico. Si tratta di “fare” non solo con le mani, ma anche e soprattutto con la mente, impegnata operativamente ad elaborare strategie di risoluzione; ecco che il fare si lega dialetticamente al pensare. 1 AA.VV., L’educazione scientifica nelle scuole della Toscana. Atti del Convegno. Firenze, 7 dicembre 2001, Giunti, Prato 2002. 13 Questo modo di lavorare va posto nella medesima ottica dei metodi ipoteticodeduttivi, problematici, propri della scienza. La contraddizione e l’errore sono parte essenziale di questa modalità: momenti di apprendimento e di formazione funzionali ad un accrescimento della conoscenza nella misura in cui rappresentano un anello del processo cognitivo da cui partire per procedere oltre. Già Enriques nel lontano 1936 scriveva: “Il maestro sa che la comprensione degli errori dei suoi allievi è la cosa più importante della sua arte didattica […] Tante specie di errori possibili sono altrettante occasioni di apprendere”.2 O come sosteneva ancora prima Manzoni: “L’errore porta indirettamente questa utilità, che, cercando nelle cose aspetti nuovi, provoca le menti savie a osservare più in là, e dà occasione anzi necessità di scoprire. È come una pietra dove inciampa e cade chi va avanti alla cieca; e per chi sa alzare il piede diventa scalino.” Questa metodologia implica, inoltre, un lavoro collaborativo che al tempo stesso è momento formativo per ciascun soggetto partecipe, sia sul piano cognitivo che sociale: trovarsi di fronte ad un problema reale ci mette nella condizione di scoprirci come risorsa e ci aiuta a incrementare le nostre idee combinandole con quelle altrui. Se anche le nostre tesi non si dimostreranno corrette, il solo fatto di averle “partorite” con la nostra testa farà sì che le conoscenze scaturite trovino una collocazione permanente poiché intrise di una motivazione e di un significato personale. Attraverso una ricerca condivisa, partecipata e ricca di propositività si è indotti a costruire cooperativamente quanto si deve apprendere. Lavorare in gruppo richiede però la condivisione e il rispetto di certe regole: non si può improvvisare da un momento all’altro un lavoro di gruppo, ma è necessario essere iniziati gradualmente a tale prassi fin dalle prime esperienze di apprendimento. L’abitudine a lavorare in gruppo porta i componenti di questa piccola comunità a sottoscrivere tacitamente una sorta di “contratto”; condividendo le regole accettano una collaborazione reciproca tra pari, tesa ad abbattere le reazioni inibitorie, a sconfiggere l’atteggiamento difensivo di chiusura tipico di alcuni soggetti, per far convergere le complesse componenti psicologiche, affettive, cognitive sorte dall’interazione di tutti verso un obiettivo comune. Se la conquista del sapere si presenta nelle vesti di una piacevole sfida l’individuo si predispone positivamente a ricordare ed introiettare l’input recepito; viceversa, se percepisce la situazione come stressante, si prepara a fronteggiare il pericolo distogliendo “l’attenzione” dall’indirizzare le informazioni nella memoria a lungo 2 F. Enriques, Il significato della storia del pensiero scientifico, Zanichelli, Bologna 1936, p. 14. 14 termine. Per questo i contenuti “presentati” in forma problematizzata devono situarsi ad uno step appena superiore rispetto alle conoscenze pregresse3 ed ammettere più ipotesi plausibili perché possano essere individuate dalle diverse menti operative e discusse in un confronto aperto. Se la nostra mente viene stimolata da qualcosa che non conosce ma che percepisce di poter conquistare autonomamente, attiva processi creativi ed originali. Perché questo si verifichi è richiesto un lavoro preliminare di progettazione del contenitore-laboratorio e l’individuazione dei passaggi cruciali. Al docente spetta inoltre il compito di seguire, sostenere e controllare il dispiegarsi dei percorsi intrapresi dai vari gruppi e re-indirizzarli là dove sia necessario. L’insegnante guida il cammino dirigendo le operazioni di apprendimento dei discenti; è un “facilitatore” del percorso che cerca inoltre di promuovere l’interazione dei componenti i quali fortificano il senso di fiducia negli altri e di autostima. Un lavoro cooperativo implica una molteplicità di fattori che il docente non solo deve aver presente, ma che deve soprattutto saper gestire per creare un ambiente di apprendimento quanto più favorevole. Oltre a saper organizzare un progetto – definirne gli obiettivi, i contenuti, le risorse e i materiali necessari, prevedere tempi e spazi adeguati, mettere a punto verifiche e valutazioni – il docente, ingegnere e costruttore di un ambiente di apprendimento complesso, deve aver sviluppato un nuovo profilo professionale in cui concorrono differenti competenze: si passa dal saper lavorare in team alla competenza gestionale del gruppo classe (quindi saper organizzare i gruppi seguendo un criterio per la loro formazione); saper rilevare i bisogni degli studenti, e dunque diversificare e personalizzare le consegne per potenziare l’autostima di chi si dimostra più fragile o ammonire atteggiamenti di disturbo di altri. Questo modo di lavorare rafforza l’autorevolezza dell’insegnante, costantemente percepita dagli alunni a discapito di un atteggiamento autoritario. Dare centralità al bambino che apprende, che si trova a doversi misurare con compiti complessi, significa considerarlo nella sua interezza, come personalità in continua evoluzione. Imparare a leggerlo nella sua integrità comporta la capacità di saper decifrare tutti quei linguaggi non verbali che ciascuno di noi mette in atto nel relazionarsi con l’alterità: saper utilizzare e interpretare i movimenti corporei, i gesti, 3 Perché vi sia apprendimento non è sufficiente una memorizzazione delle conoscenze, ma è necessario che queste si integrino con le vecchie conoscenze, che entrino nella struttura del ragazzo implicandone una modificazione permanente seppur non definitiva poiché si raggiungono momenti in cui tale struttura non riesce più a contenere le conoscenze e va dunque incontro ad una ristrutturazione approdando ad un livello superiore. Implementare le strutture mentali serve ad acquisire competenze trasferibili: possiamo non ricordare tutte le formule studiate in passato se il nostro percorso non ci ha più richiesto di metterle in atto, ma certamente permane la struttura logico-matematica che ci consente di impiegare quel modo di ragionare in altri ambiti. 15 l’espressività del volto appartiene alla competenza cosiddetta cinesica, mentre se si parla di competenza prossemica ci si riferisce alla vicinanza e al contatto con l’interlocutore. L’insegnante deve imparare a far tesoro degli ostacoli che insorgono per proporre strategie innovative: l’insegnante deve saper cambiare! Privilegiando un metodo didattico induttivo si impara ad apprendere; si impara ad “interrogare il compito”: analizzare i dati a disposizione, chiedere chiarimenti, esternare supposizioni, criticare le ipotesi con argomentazioni per giungere a concetti condivisi e infine verificare quanto proposto. Tutti i soggetti, se adeguatamente sollecitati, possono apprendere; questo non implica che tali apprendimenti si tramutino in competenze. Le competenze sono strettamente correlate all’interesse ed è responsabilità della scuola condurre gli alunni a scoprire tali interessi. Si dovrebbe ricercare una personalizzazione della didattica che sia vicina agli interessi dei bambini. Questo non vuol dire che sia semplice da realizzare! Se l’insegnante è solo – e visti i tempi che corrono lo sarà sempre di più – e, viceversa i bambini nelle classi aumentano sempre di più, non è cosa da poco riuscire a seguire tutti i gruppi: captare l’intervento e il coinvolgimento dei singoli, nonché le modalità di procedere di ciascun gruppo scaturite dall’incontro sincretico dei diversi software mentali che vi operano. In un’ottica di continuità (intendo la presenza pluriennale dell’insegnante, e auspicabilmente non di un solo insegnante ma di un team di docenti), il tempo dovrebbe essere alleato dell’insegnante per imparare a conoscere sempre più profondamente i suoi allievi – i loro modi di operare, di pensare, di esporsi, di proporsi, ecc. In conseguenza di ciò la rilevazione di queste variabili e la successiva valutazione del lavoro di gruppo diviene più agile. Al docente è richiesta una professionalità nuova che faccia del metodo scientifico un paradigma fondante dell’insegnamento: conferire una più generosa considerazione al feedback permetterebbe di valutare più oggettivamente le scelte operate oltrepassando la validità stimata aprioristicamente di un determinato intervento didattico. Riscontrare con consapevolezza l’insuccesso o il limite di una strategia applicata non è sinonimo di fallimento ma presa di coscienza di dover rimettere in discussione il percorso intrapreso a favore di una strada alternativa più adeguata a quella specifica realtà in cui ci troviamo ad operare. Talvolta il medico avanza delle ipotesi sulla base dei sintomi denunciati dal paziente e prescrive una cura che può dimostrarsi nel tempo inefficace: questo non significa che non sia un buon medico. La capacità sta 16 nel leggere i dati che abbiamo a disposizione in modo da poter formulare più ipotesi possibili per scegliere quella che riteniamo più adeguata a quel caso: così si misura la professionalità del docente. Con un metodo come quello appena illustrato non si ha la presunzione di trattare il sapere o una sua parte in maniera esaustiva, ma si vuole fornire a ciascun individuo un kit di strumenti indispensabili per una ricerca autonoma nel mondo complesso e in continuo assestamento del sapere. 17 II Capitolo La scuola tra normativa e realtà 1. Programmazione e Progettazione curricolare: uno sguardo alle scienze nei Programmi del 1985 e nelle Indicazioni per il curricolo del 2007 La premessa che ritengo necessario fare è che un’analisi e un confronto tra Programmi e Indicazioni, riferimento di notevole importanza per ciascun insegnante, sarà certamente incompleta o più o meno distorta, dal momento in cui venga condotta, come nel mio caso, da chi nella scuola ancora non può operare attivamente. Nonostante il corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria adotti come manifesto quello di affiancare ai corsi teorici laboratori e tirocinio, credo che ancora vi sia un divario profondo tra essere insegnanti e studiare per diventarlo; divario che, secondo il mio modesto parere, potrebbe essere se non colmato, certamente ridimensionato attraverso un maggior intervento di ricerca-azione dell’Università nella scuola. I Programmi ministeriali sono stati definiti come “l’edizione nazionale del curricolo scritta dal legislatore”.4 I caratteri di questo documento normativo, che ha segnato gran parte della storia scolastica del nostro Paese, possono essere individuati nella loro unicità sul territorio nazionale, baluardo di un’offerta formativa che garantisse a tutti le medesime opportunità – senza però tener di conto delle profonde diversità ambientali e culturali! Non c’è ingiustizia più grande di fare parti eguali fra diseguali, diceva don Milani. È inoltre un documento prescrittivo, centrato sul raggiungimento di determinati obiettivi e contenuti didattici e caratterizzato da una forte rigidità in quanto i destinatari di tali programmi vengono ancora assimilati ad individui astratti, idealizzati in modelli unidirezionali.5 4 F. Fabbroni, Le dieci parole della didattica, Ethel Editoriale Giorgio Mondatori, Milano 1994, p. 35. 5 Questa accezione tradizionale di programma didattico ha caratterizzato la realtà scolastica italiana dei primi tre quarti del Novecento, allorché i programmi ministeriali vennero affiancati dalla programmazione educativo-didattica per rispondere alle specifiche esigenze delle singole 18 I Programmi didattici emanati nel 1985 costituiscono un documento che rompe drasticamente con la tradizione della scuola italiana. Da parte di molti insegnanti ci fu una valutazione iniziale piuttosto negativa, che metteva in evidenza un eccessivo carico contenutistico dei programmi e una inevitabile trattazione libresca, frontale nonché superficiale di tali innumerevoli argomenti; a questo giudizio è seguita nel tempo una rivalutazione da parte di molti di loro. Per quanto riguarda le discipline scientifiche – che qui prenderemo in considerazione in quanto oggetto di studio di questo lavoro – un evidente cambiamento rispetto ai programmi del ‘55 è il conquistato smembramento dalla storia e dalla geografia, con cui fino a quel momento le scienze erano state accorpate ed insegnate a partire dalla classe terza. Non più “ancella” di altre discipline o insieme ad altre racchiusa in generiche ‘Nozioni varie’, ora l’area didattica delle “Scienze” diviene autonoma e presente fin dal primo anno di scuola. “Per la prima volta, il programma prevede uno spazio riservato all’insegnamento delle scienze, che consentirà una più approfondita comprensione della realtà naturale ed umana e del mondo tecnologico. Questa disciplina - sarebbe corretto dire Area disciplinare -, insieme alla matematica, tende a sviluppare la capacità di percepire i problemi e a dare spiegazioni rigorose delle soluzioni. - o meglio, le soluzioni andrebbero avanzate e verificate! -”.6 Ottenute tali conquiste, non tanto perché mancassero affinità metodologiche né contenutistiche con la storia e la geografia, quanto per concedere uno spazio autonomo alle scienze che rimuovesse la cristallizzata priorità delle abilità formali del leggere, scrivere e far di conto, le scienze hanno rivendicato la loro importanza formativa che non giustificava il ritardato insegnamento nella scuola di base. Si parla di “acquisizione di conoscenze e abilità che arricchiscano la capacità di comprendere e rapportarsi con il mondo” come fine generale dell’educazione scientifica che ha ancora un po’ il sapore di ricezione passiva da parte del discente. Sensazione che viene però del tutto rimossa già nel primo dei quattro obiettivi fondamentali in cui si articola la tassonomia che segue la finalità generale appena analizzata: “lo sviluppo di atteggiamenti di base nei confronti del mondo, come la tendenza a porre proprie domande, o a coglierle nel discorso degli altri come motivazione all’osservazione e alla scoperta; l’intraprendenza inventiva soprattutto scuole (la programmazione diventa definitivamente pratica scolastica prevista per legge con la L.517/77). Fabbroni la definisce, infatti, l’“edizione locale del manifesto nazionale del curricolo”. 6 Decreto del Presidente della Repubblica 12 febbraio 1985, n. 104. Programmi didattici per la scuola primaria, (corsivo mio). 19 per quanto riguarda la formulazione di ipotesi e spiegazioni”.7 Fa da protagonista quella particolare metodologia didattica che va sotto il nome di insegnamento per problemi, il porsi in maniera interrogativa di fronte al mondo di cui molti fenomeni ci sfuggono e che, attraverso indagini multidimensionali, libere e prive di pregiudizi, cerchiamo di arrivare a dominare abbracciando così un raggio sempre maggiore della misteriosa realtà che ci circonda. E queste capacità di ragionamento logico, “capacità di analisi delle situazioni e dei loro elementi costitutivi, la capacità di collegare i dati dell’esperienza in sequenze e schemi che consentano di prospettare soluzioni e, in certi casi, di effettuare previsioni, la capacità di distinguere ciò che è certo da ciò che è probabile, la capacità di formulare semplici ragionamenti ipotetico-deduttivi”, vengono esplicitate nel secondo ordine di obiettivi. Al terzo ordine, invece, è riservato il controllo e l’accertamento di validità delle previsioni fatte: dalla semplice osservazione all’impiego delle tecniche più sofisticate, quali il procedimento sperimentale che consiste nel ricreare artificialmente le condizioni per verificare o smentire le previsioni avanzate. Infine, la piramide viene chiusa dalla necessaria praticità e concretezza del ‘fare’ che viene intimamente ad intrecciarsi col ‘pensare’ in maniera sempre più stretta ed articolata. Fondamento che riguarda assai da vicino anche l’educazione tecnica che troverà terreno fertile nel campo delle scienze, con la debita attenzione e consapevolezza che ad essa non deve assoggettarsi come supplemento ausiliario: la sua autonomia non deve essere compromessa! Racchiusa nel titolo ‘Obiettivi e contenuti’ troviamo la seconda parte del programma di scienze che espone, oltre ai contenuti, alcune indicazioni sul modo di procedere nell’insegnamento scientifico e sull’impronta matematica da conferirgli, nonché talune attività da poter svolgere. Gli argomenti da trattare nel quinquennio vengono enucleati in cinque grandi classi, generiche al punto da non consentire lacune ma al tempo stesso da lasciare libertà all’insegnante: - gli esseri viventi, ivi compresi l’uomo, loro strutture e funzioni, nonché loro interazioni e rapporti con l’ambiente; - il mantenimento e la difesa della salute; - la Terra e il suo posto nell’Universo; - la gestione delle risorse naturali; - i materiali e le loro caratteristiche. 7 Ibidem. 20 Punto di partenza per sviluppare la conoscenza che, trasversalmente, fa da sfondo a tutte le discipline è la vita di tutti i giorni, le esperienze quotidiane direttamente legate ai bambini e dunque ai loro interessi; proprio per questo si parla di grandi temi d’integrazione didattica pluri-disciplinare: poiché i problemi attingono elementi concettuali e operativi da una molteplicità di domini conoscitivi non confinabili entro singole discipline. La sezione centrale dei Programmi è dedicata ad una particolareggiata proposta di attività che funge da bagaglio di risorse da cui gli insegnanti possono attingere per i loro interventi didattici. Si fa appello alla programmazione quale strumento proprio dell’insegnante, grazie al quale mettere in atto parte del programma, calibrandolo sulla classe reale in cui si trova ad operare, tenendo conto dei soggetti in carne ed ossa che la costituiscono, dei loro background, delle conoscenze teoriche-pratiche in loro possesso e della loro eventuale rispondenza con i prerequisiti necessari al perseguimento degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Anche la parte delle proposte operative è suddivisa in quattro grandi aree tematiche: - fenomeni fisici e chimici; - ambienti e cicli naturali; - organismi: piante, animali, uomo; - uomo e natura; a cui è stata aggiunta la tematica ‘uomo – mondo della produzione’ per supplire alla mancanza di un’area didattica autonoma dell’educazione tecnica. Un accenno ad alcuni argomenti astronomici di base lo troviamo nell’area denominata ‘ambienti e cicli naturali’: “Verranno effettuate osservazioni sulle trasformazioni periodiche degli ambienti naturali durante i cicli stagionali, compiendo anche rilevazioni quantitative di condizioni e parametri che variano durante l’anno (temperatura, umidità, piovosità, lunghezza del giorno). Vanno infine osservati e considerati il movimento apparente del sole e le sue variazioni nell’arco dell’anno (anche con lo studio delle ombre e la costruzione di meridiane), la misura del tempo, il movimento e le fasi della luna, il cielo stellato e il movimento apparente delle stelle.”8 L’ultimo paragrafo della parte dedicata alle scienze è titolato ‘Indicazioni didattiche’. Si parla di indicazioni quando si vuole mettere a disposizione degli addetti ai lavori alcune linee guida messe a punto da specialisti che si siano misurati e cimentati in un particolare argomento. In questo paragrafo, in realtà, più che un supporto al docente 8 Ibidem. 21 vengono espresse norme metodologiche, pedagogiche e didattiche proprie delle scienze. Queste indicazioni hanno una duplice accezione: se da un lato debbono lasciare un margine di flessibilità d’attuazione per consentire al docente di adeguarle al peculiare e sempre mutevole contesto in cui si trova ad operare, dall’altro tali norme costituiscono l’essenza stessa del metodo scientifico, substrato intrinseco sia dei fini educativi che dei contenuti didattici. Vediamole una per una. - La programmazione verrà stilata ogni anno sulla base “degli interessi cognitivi, delle capacità di comprensione, delle conoscenze già presenti negli alunni delle varie età, delle opportunità che offre l’ambiente”.9 Si mira ad una progressione del sapere che gradualmente tende a farsi disciplinare, partendo sempre da un insegnamento per problemi, che converge in un’interazione diretta con l’oggetto di studio da ricercarsi nell’esplorazione dell’ambiente circostante oltre che nelle aule di laboratorio; conoscenza che deve, altresì, essere integrata da informazioni e approfondimenti ricavati, là dove necessario, da fonti di altro tipo (libri, riviste, audiovisivi, ecc.). - I contenuti da trattare non sono suddivisi gerarchicamente anno per anno, ma debbono ciclicamente essere ripresi in un percorso a spirale che torna su se stesso innalzandosi progressivamente. Tra il primo ed il secondo ciclo c’è, invece, una netta distinzione metodologica: si partirà con lo stimolare atteggiamenti già presenti nei bambini – “osservare, descrivere e confrontare gli elementi della realtà circostante […] per individuarne somiglianze, differenze ed interrelazioni”10 – fino a sviluppare progressivamente in loro il metodo scientifico rigoroso. Benché i fondamenti di tale metodo – coerenza logica e controllabilità – siano già attivabili dalle prime classi, in linea con la tradizione che introduceva le scienze a partire dalla classe terza, si è voluto optare per una scelta più morbida e graduale. - Vi sono numerose proposte operative sulla misura; tema, come vuole la tradizione d’insegnamento, inserito nel programma di matematica benché sia di pertinenza delle scienze! - La base empirica dell’insegnamento scientifico si fa necessaria sia perché costituisce l’essenza stessa delle scienze – sebbene per alcune, come la chimica e la fisica, sia più importante che per altre – sia per intercettare “la naturale predisposizione al ‘fare’ (dei bambini), che affina le loro capacità percettive e motorie”, sia perchè “alimenta la loro vita mentale”.11 La ricchezza delle fonti empiriche rappresenta una risorsa di 9 Ibidem. Ibidem. 11 Ibidem. 10 22 vitale importanza per la didattica, permettendole di radicare le conoscenze scientifiche nella realtà dei bambini, connotandole in tal modo di significatività. - Immancabile, quindi, in un simile contesto il richiamo allo sviluppo dell’educazione tecnica: “lo smontaggio e rimontaggio attento, a scopo interrogativo o conoscitivo, di giocattoli, oggetti e semplici apparecchi di uso comune […] sono indispensabili affinché l’alunno padroneggi l’ambiente artificiale in cui è profondamente immerso”. Viene inoltre ricordata l’importanza delle visite d’istruzione, sebbene si debba sottolineare che queste dovrebbero inserirsi nella programmazione in maniera organica, considerando che non è la lontananza della meta – che introduce molti problemi di organizzazione! – a misurarne l’efficacia e la qualità! - Solo un breve cenno viene fatto in merito all’errore: “l’insegnante cercherà di far emergere dalle discussioni di gruppo gli eventuali errori compiuti nell’attività di ricerca e nella conseguente interpretazione dei risultati. Ciò in relazione alla necessità di motivare negli alunni il superamento di quegli errori”.12 La sterminata letteratura sulla pedagogia dell’errore si riduce qui a queste poche battute che perlomeno non si lasciano sfuggire l’importanza del confronto nelle discussioni di gruppo: la scienza socializza l’errore! Nel rispetto delle idee di tutti una didattica siffatta permette altresì una verifica dei dati che non lascia adito ad interpretazioni soggettive. - La chiusa delle Indicazioni didattiche vuole essere una valorizzazione della storia della scienza per incentivare ancor di più la ricerca di tecniche di indagine sempre più sofisticate che, come in passato, possono portarci a nuove scoperte in un incessante progresso. Per quanto riguarda l’accusa mossa ai Programmi dell’85 di “secondarizzare” la scuola elementare, individuerei il movente sia nella mancanza di formazione degli attuatori dei programmi e quindi nell’inadeguatezza delle loro competenze, sia nella carenza di lavoro collegiale. Nella scuola di base dobbiamo prediligere la qualità a discapito della quantità: pur essendo animati da buona volontà le ore a disposizione per le scienze sono poche e le strutture cognitive si distinguono per fasce d’età. Ciò che si propone deve essere alla portata del discente, del suo sviluppo cognitivo e motivazionale; altrimenti che senso avrebbe coinvolgere e attivare discussioni su argomenti che i bambini non sono in grado di comprendere e dunque di assimilare? In ogni caso c’è da fare una 12 Ibidem. 23 distinzione tra i contenuti dei documenti ministeriali e quelli dei sussidiari, dei manuali, delle attuazioni in classe da parte dei singoli insegnanti. Se non vi sono adeguati aggiornamenti, se le ore di programmazione si riducono drasticamente, se le Facoltà di Scienze della Formazione non interagiscono di più con la scuola, diventa altamente improbabile costruire un contesto intessuto di senso in cui le conoscenze-abiltà-competenze possano attecchire, mettendo a rischio anche lo sviluppo di quegli apprendimenti di base perseguiti oltre un secolo fa! È nell’ultimo decennio che registriamo l’impegno a ricercare un’ulteriore virata, con l’intenzione di segnare un profondo cambiamento col passato. Con l’autonomia scolastica,13 dice Cambi, “la scuola cambiava volto non solo formalmente, ma nel suo ‘vissuto’. Gli insegnanti da esecutori (= funzionari) si facevano depositari e costruttori di un progetto culturale-formativo, si avvicinavano ad un tipo di professione più liberale (= esperti di formazione e progettazione curricolare), erano più uomini di cultura e meno burocrati. L’organizzazione scolastica metteva al centro il Collegio dei docenti e il Consiglio di classe, chiamati a fare il lavoro di progettazione formativa ampia e articolata e responsabile.”14 Un sistema di tipo centralistico risulta del tutto inadeguato a soddisfare la domanda formativa di un territorio vasto ed eterogeneo. Credo che intraprendere un percorso teso a incentivare un certo grado di autonomia didattica ed organizzativa da parte delle comunità scolastiche locali sia stata una risposta fondamentale per affermare la centralità dell’alunno, scardinando programmi rigidi ed eteronomi che avrebbero dovuto dare risposte uniformi a realtà profondamente diverse. La teoria del curricolo fa da fondamento alla complessa architettura dell’autonomia scolastica; il curricolo15 altro non è che il percorso formativo di un certo grado scolastico o di una disciplina, con la duplice valenza di programma qualora si considerino i contenuti formativi e di programmazione nel caso in cui si prenda in esame la sua organizzazione didattica.16 Il passaggio dalla programmazione educativa e didattica alla progettazione dell’offerta formativa e didattica, intesa come dispositivo più flessibile, definisce il declino dei 13 Regolamento sull'autonomia scolastica DPR (8 marzo 1999 n°275). F. Cambi, Saperi e competenze, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 7. 15 Il curricolo si ripartisce in due “quote” più una aggiuntiva: la quota nazionale pari al 75-80% del monte ore scolastico definisce le competenze essenziali, quella locale pari al 20-25% del monte ore totale, è a disposizione delle scuole per stabilire i contenuti culturali e gli obiettivi formativi calibrati sui bisogni reali dei propri alunni ed infine una quota extra curricolare che offre agli alunni la possibilità di scelta tra varie attività facoltative. 16 M. Baldacci, Ripensare il curricolo. Principi educativi e strategie didattiche, Carocci, Roma 2006, p.67. 14 24 Programmi Ministeriali e l’inizio della stagione delle Indicazioni. La funzione della scuola, dall’alfabetizzazione delle masse e successiva diffusione dei saperi, viene ripensata a favore della promozione di conoscenze e competenze da costruire per divenire cittadini attivi e partecipi alla vita sociale, politica, economica. Da ambiente deputato alla selezione diviene agenzia per la promozione dell’apprendimento di tutti. E non solo: “ai bambini e alle bambine che la frequentano va offerta l’opportunità di sviluppare le dimensioni cognitive, emotive, affettive, sociali, corporee, etiche e religiose, e di acquisire i saperi irrinunciabili. Si pone come scuola formativa che, attraverso gli alfabeti delle discipline, permette di esercitare differenti potenzialità di pensiero, ponendo così le premesse per lo sviluppo del pensiero riflessivo e critico. Per questa via si formano cittadini consapevoli e responsabili a tutti i livelli, da quello locale a quello europeo”.17 Si mira a guidare lo sviluppo di ogni singola personalità perché possa integrarsi attivamente e consapevolmente nella società complessa e poliedrica qual è la società attuale. Proprio per questo, alla programmazione educativo-didattica che affiancava i Programmi Ministeriali per rispondere maggiormente alle esigenze locali, subentra un altro dispositivo – la progettazione – gestito non più a livello centrale dal Ministero, ma direttamente dagli operatori scolastici per tracciare linee d’azione, costruire traiettorie d’intervento sperimentali rispondenti ai bisogni specifici e modificabili in itinere per una massima efficienza. La definizione del curricolo non può estromettere l’intervento diretto degli insegnanti; perché sia realistica e non mero costrutto teorico deve nascere all’interno del contesto delle esperienze scolastiche reali, con indicazioni provenienti dalla base, da chi la scuola la fa, da chi conosce a fondo la vita di classe perché vi partecipa in tutti i suoi aspetti. La pura applicazione di un progetto confezionato, seppur di ottima qualità, potrebbe essere del tutto inadeguata a una specifica realtà scolastica. Un lavoro costruttivo lo si ottiene non dalla somma di contributi diversificati di esperti specialisti, ma dall’incontro fecondo del gruppo che collabora e coopera in équipe, nel tentativo di tracciare una linea didattica capace di integrare le competenze di ciascuno in una sinergia funzionale al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Un progetto tale non può essere ingrigliato in una programmazione rigida e definitiva ma, come strumento pedagogico e didattico a supporto dell’insegnante, dovrebbe configurarsi in linee guida continuamente plasmabili sui nuovi problemi che sorgono di volta in volta. 17 MPI, Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, p. 42. 25 Una struttura portante che prende forma diversa in risposta al contesto culturale ed educativo in cui viene attuata. I docenti dovrebbero interrogarsi circa il modello di scuola e di fare scuola che hanno nella mente e su quello che più o meno consciamente in realtà fanno e trasmettono agli alunni stando in classe. Con le Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione redatte nel 2007 si propone la struttura portante del curricolo lasciando alle singole scuole il compito di riempire tali tracciati di contenuti, metodi e modalità valutative misurandole col proprio contesto operativo. Lo stretto rapporto tra scuola e società emerge fin dalla prima parte del documento – “Cultura Scuola Persona” – che rappresenta la cornice entro la quale si contestualizza il nuovo progetto curricolare, il cui obiettivo più ampio è quello di “educare alla convivenza proprio attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali di ogni studente”.18 Adesso al centro dell’azione formativa non vi è l’idealizzazione dello studente-tipo, bensì la persona reale con il suo bagaglio esistenzialeesperienziale, nella sua unicità ed irripetibilità. Ecco che diviene compito prioritario della scuola quello di affiancare “all’insegnare ad apprendere”, “l’insegnare a essere” (come viene detto nel paragrafo “Per una nuova cittadinanza”).19 Le discipline vengono aggregate in aree disciplinari (linguistico-artistico-espressiva, storico-geografica, matematico-scientifico-tecnologica) in vista di un costante dinamismo ed un reciproco flusso tra i saperi, per evitarne la frammentazione a favore di esperienze interdisciplinari, non solo all’interno di ciascuna area ma anche tra aree diverse. Tale ripartizione non risponde a motivi organizzativi come invece accadeva nei Programmi del 1985, ma vuole costituire uno spazio aperto a contaminazioni epistemologiche tra le diverse discipline. In questo senso la scuola può assolvere al difficile compito che la vorrebbe come ambiente di apprendimento dagli orizzonti significativi; perché questo non resti solo sulla carta ma possa altrimenti divenire fattivo è necessario raggiungere la giusta miscela che unisca autonomia progettuale delle singole scuole e criteri direttivi validi per tutte le istituzioni scolastiche. Viene da chiedersi quindi quanto siano prescrittive le Indicazioni per il curricolo. Ciò che i progetti didattici non devono perdere di vista sono le competenze e gli obiettivi di apprendimento chiaramente esplicitati nelle Indicazioni; come raggiungerli lo stabiliscono i team docenti attraverso i processi 18 19 Ibidem, p. 19. Ibidem. 26 attuativi che chiamano in causa peculiari metodologie, strumenti e attività didattiche che più di altre ritengono idonee ad incrociare i bisogni e lo stile cognitivo dei bambini che hanno di fronte. I. Fiorin ha definito questa impostazione “prescrittività criteriale”, ovvero lasciare quanto più possibile la gestione degli aspetti organizzativodidattici alle singole scuole e renderle al tempo stesso coscienti di quale debba essere il modello di scuola verso cui tendere, attraverso l’esercizio di un’autonomia tesa a promuovere il successo formativo di ogni studente. Matematica, scienze dell’uomo e della natura, tecnologia ed informatica sono gli argomenti racchiusi nell’area disciplinare matematico-scientifico-tecnologica. Fin dalle prime righe dedicate a questo campo disciplinare viene posto l’accento sul collegamento stretto che intercorre tra il “fare” e il “pensare” volto a sviluppare le “capacità di critica e di giudizio, la consapevolezza che occorre motivare le proprie affermazioni, l’attitudine ad ascoltare, comprendere e valorizzare argomentazioni e punti di vista diversi dai propri. Lo sviluppo di un’adeguata competenza scientifica, matematica, tecnologica di base consente inoltre di leggere e valutare le informazioni che la società di oggi offre in grande abbondanza”.20 Quale miglior contenitore didattico di quello laboratoriale offre la possibilità di esercitarsi nella risoluzione dei problemi cimentandosi in esperienze reali e significative? Grazie all’applicazione sperimentale si cerca di dare concretezza al pensiero astratto, di imparare a negoziare visioni ed argomentazioni personali con quelle altrui al fine di costruire conoscenze valide seppur provvisorie. Due parole vanno spese per chiarire cosa si intende per problema: un problema è tutto ciò che crea un disequilibrio in una persona o una provocazione alle sue capacità attraverso un indovinello, un gioco, una situazione irrisolta in cui ci si imbatte. Perché un problema sia recepito come tale deve sorgere ai confini tra ciò che conosciamo e l’infinito mondo delle nostre incompetenze, in quella che Vygotskij definisce “area di sviluppo prossimale”, così da trovare terreno fertile in cui porre solide radici e da lì, con la guida di un adulto, slanciarsi per la conquista di un nuovo pezzettino dell’immenso ignoto.21 L’insegnante dovrà inoltre favorire l’acquisizione di linguaggi e strumenti adeguati a sviluppare il pensiero scientifico. Metodologia principe delle scienze è quella euristica che, a partire dall’esperienza diretta, si fa guida “naturale”, non dogmatica né forzatamente indotta, verso una 20 21 Ibidem, p. 91. Cfr. U. Cattabrini, Matematica, schede per la scuola di base, Le Monnier, Firenze 2001. 27 sempre maggiore organizzazione del pensiero spontaneo procedendo in una sua graduale formalizzazione. Per quanto riguarda la scuola primaria,22 per non cadere in un banale nozionismo enciclopedico, le Indicazioni non prescrivono una lista di contenuti, ma individuano dei Traguardi per lo sviluppo delle competenze23 per ciascuna disciplina, da raggiungere al termine della scuola primaria e Obiettivi di apprendimento (strategici per giungere a conquistare i suddetti traguardi) da raggiungere al termine del terzo e del quinto anno; i contenuti suggeriti vogliono essere solo esempi di scelte possibili, poiché è competenza degli insegnanti individuare gli argomenti da trattare oltre a costruire il reticolo interdisciplinare in cui inserirli. Gli specifici obiettivi formativi previsti per il quinto anno – livello a cui si colloca il mio progetto didattico – sono: Oggetti, materiali e trasformazioni - Costruire operativamente in connessione a contesti concreti di esperienza quotidiana i concetti geometrici e fisici fondamentali, in particolare: lunghezze, angoli, superfici, capacità/volume, peso, temperatura, forza, luce, ecc.. - Passare gradualmente dalla seriazione in base ad una proprietà (ad esempio ordinare oggetti per peso crescente in base ad allungamenti crescenti di una molla), alla costruzione, taratura e utilizzo di strumenti anche di uso comune (ad esempio molle per misure di peso, recipienti della vita quotidiana per misure di volumi/capacità), passando dalle prime misure in unità arbitrarie (spanne, piedi, …) alle unità convenzionali. - Indagare i comportamenti di materiali comuni in molteplici situazioni sperimentabili per individuarne proprietà (consistenza, durezza, trasparenza, elasticità, densità …); produrre miscele eterogenee e soluzioni, passaggi di stato e combustioni; interpretare i fenomeni osservati in termini di variabili e di relazioni tra esse, espresse in forma grafica ed aritmetica. - Riconoscere invarianze e conservazioni, in termini proto-fisici e proto-chimici, nelle trasformazioni che caratterizzano l’esperienza quotidiana. - Riconoscere la plausibilità di primi modelli qualitativi, macroscopici e microscopici, di trasformazioni fisiche e chimiche. Avvio esperienziale alle idee di irreversibilità e di energia. Osservare e sperimentare sul campo - Proseguire con osservazioni frequenti e regolari a occhio nudo, con la lente di ingrandimento e con lo stesso stereomicroscopio, con i compagni e da solo di una porzione dell’ambiente nel tempo: un albero, una siepe, una parte di giardino, per individuare elementi, connessioni e trasformazioni. - Indagare strutture del suolo, relazione tra suoli e viventi; acque come fenomeno e come risorsa. - Distinguere e ricomporre le componenti ambientali, anche grazie all’esplorazione dell’ambiente naturale e urbano circostante. -Cogliere la diversità tra ecosistemi (naturali e antropizzati, locali e di altre aree geografiche). 22 Prendo in considerazione solo la scuola primaria perché è ciò che interessa in questa sede. I traguardi sono da intendersi come “riferimenti per gli insegnanti, indicano piste da percorrere e aiutano a finalizzare l’azione educativa allo sviluppo integrale dell’alunno” (MPI, Indicazioni, p. 24). Il documento dovrebbe, altresì, esplicitare in maniera più chiara il legame tra detti traguardi e gli obiettivi di apprendimento. 23 28 - Individuare la diversità dei viventi (intraspecifica e interspecifica) e dei loro comportamenti (differenze/somiglianze tra piante, animali, funghi e batteri). - Accedere alla classificazione come strumento interpretativo statico e dinamico delle somiglianze e delle diversità. - Proseguire le osservazioni del cielo diurno e notturno su scala mensile e annuale avviando, attraverso giochi col corpo e costruzione di modelli tridimensionali, all’interpretazione dei moti osservati, da diversi punti di vista, anche in connessione con l’evoluzione storica dell’astronomia. L’uomo i viventi e l’ambiente - Studiare le percezioni umane (luminose, sonore, tattili, di equilibrio, …) e le loro basi biologiche. - Indagare le relazioni tra organi di senso, fisiologia complessiva e ambienti di vita (anche confrontando diversi animali appartenenti a gruppi diversi, quali vermi , insetti, anfibi, ecc). - Confrontare con i sensori artificiali e il loro utilizzo nella vita quotidiana. - Proseguire lo studio del funzionamento degli organismi e comparare la riproduzione dell’uomo, degli animali e delle piante. - Rispettare il proprio corpo in quanto entità irripetibile (educazione alla salute, alimentazione, rischi per la salute). - Proseguire l’osservazione e l’interpretazione delle trasformazioni ambientali, ivi comprese quelle globali, in particolare quelle conseguenti all’azione modificatrice dell’uomo. Rispetto ai programmi del 1985 troviamo elementi innovativi che contraddistinguono la voce in cui si accenna agli argomenti astronomici: non si fa più riferimento alla mera osservazione di alcuni fenomeni celesti ma, attraverso giochi col corpo e la costruzione di modelli tridimensionali si avviano i bambini a imparare ad interpretare ciò che si è osservato, da quanti più possibili punti di vista, tenendo sempre presente, inoltre, il profondo intreccio con la storia dell’astronomia. In generale si è andati incontro ad un progressivo riconoscimento e a una valorizzazione delle discipline scientifiche che, oltre ad anticipare il loro ingresso nella scuola fin dai primi anni, hanno cambiato volto: da puro nozionismo a sapere in continua evoluzione e ri-costruzione. Da questa breve analisi emerge, inoltre, il punto di svolta e di non ritorno: le Indicazioni, attuale manifesto educativo, rappresentano solo un punto di partenza per le scuole responsabili della progettazione autonoma di curricoli rispondenti alle esigenze locali, senza prescindere però dalle disposizioni fornite dal centro a scopo di assicurare unitarietà al sistema. Un ulteriore passo avanti sia rispetto alle precedenti Indicazioni (ancora nazionali) e, a maggior ragione, rispetto ai vecchi programmi ministeriali quali punto d’arrivo verso cui far convergere indiscriminatamente l’azione di tutte le scuole. Un unico inconveniente: il documento ministeriale non fornisce alcuna indicazione circa le metodologie, le tecniche e le strategie didattiche o sulle pratiche di insegnamento. D’accordo sul fatto che non vi debbano essere in merito indicazioni 29 univoche e vincolanti, nutro altresì in merito alcune perplessità in quanto la discussione viene rimandata alla preparazione degli insegnanti e alla valutazione del loro operato; ma si apre un nuovo capitolo che non trova qui il debito spazio per una esauriente trattazione. Anche ammettendo che le scuole siano soggetti pensanti, riflessivi, criticamente attivi ed operativi, resta il fatto che le pratiche didattiche maturate e validate nel tempo da sperimentazioni sul campo restano ad oggi patrimonio di pochi. Credo che sia di vitale importanza costruire una struttura a rete, che raggiunga le innumerevoli istituzioni presenti sul territorio per creare uno spazio comune aperto al dialogo, al confronto, (perché no?) allo scontro – purché costruttivo – volto a raccogliere, documentare e condividere i preziosi contributi di ciascuno. Questo per far sì che un documento ricco di spunti e contenuti non resti vuoto formalismo ma possa trovare una reale attuazione e una capillare diffusione. Ciò che non viene recuperato dalle tanto discusse Indicazioni Nazionali del 2003 è il portfolio, un dispositivo volto a certificare non solo le conoscenze acquisite ma anche le competenze sviluppate ed incrementate in itinere, da parte dell’insegnante e dello studente stesso, incentivando così lo sviluppo di un atteggiamento auto-valutativo e meta-riflessivo rispetto ai nuovi livelli raggiunti e alle modalità e ai processi messi in atto per giungervi. Grazie a questo strumento-documento si costruisce gradualmente la biografia del ragazzo. Per un’educazione ad un comportamento critico e responsabile è necessario che l’insegnante abbia piena coscienza della conoscenza di fondo di ciascun soggetto affinché possa guidare ognuno a prendere consapevolezza dei propri limiti e da lì partire per superarli; ecco che il processo di individualizzazione dei programmi si fa automaticamente indispensabile per raggiungere gli obiettivi prefissati, pur partendo da situazioni iniziali certamente diverse. Quindi è necessario che gli insegnanti valutino costantemente il livello raggiunto da ciascun bambino per reindirizzarlo nel lavoro individuale e di gruppo; questo strumento diviene automaticamente un riferimento insostituibile, sia per gli insegnanti che per i ragazzi, lungo tutto il percorso scolastico. 30 2. La dimensione affettiva. Insegnanti e alunni nelle classi di oggi Da sempre la prassi scolastica ha volto l’attenzione ai fattori più facilmente verificabili e “oggettivabili”, dunque alla rendicontazione finale delle conoscenze apprese (risoluzione di problemi, produzione di testi, ecc.) attraverso prove a cui gli alunni venivano (e vengono tuttora) sottoposti. Ma proprio quell’approccio scientifico che assume come propri i paradigmi dell’oggettività, della quantificabilità, della verificabilità, si è addentrato nell’intricato mondo della soggettività iniziando ad indagare la complessità dell’individuo, la sfera affettivo-emotiva, i processi mentali, il non-ripetibile. Il “buco nero” dell’interiorità, di cui nulla sembrava possibile conoscere, inizia a poco a poco a disvelarsi alle neuroscienze che, scandagliando l’elaborata architettura della mente umana, hanno evidenziato il profondo intreccio tra corpo e mente, tra comportamenti esteriori e vissuti interiori. La dicotomia antitetica mente-corpo affonda le sue radici nell’antichità e non è ancora stata del tutto superata: soprattutto a scuola il corpo è stato concepito come una scatola contenente la mente, come qualcosa di minor valenza. L’insegnante infatti si preoccupava di lavorare sull’acquisizione di conoscenze, di saperi razionali, mentre il corpo era represso dietro al banco, in una rigorosa immobilità passiva. La piramide gerarchica delle materie poneva al vertice quelle più prettamente cognitive (matematica, italiano, storia, ecc.), mentre scivolavano in un piano nettamente inferiore quelle materie che danno maggiore spazio alla dimensione corporale, emozionale (educazione fisica, disegno, musica, ecc.). Oggi sono indubbiamente molteplici i progressi metodologici e didattici cui siamo giunti (un ruolo importantissimo, ad esempio, è svolto dal gioco e dall’esperienza pratica laboratoriale); mi domando però, tra programmazioni, progetti e metodologie innovative, quanti siano gli insegnanti che realmente abbiano ripercorso il proprio vissuto per un’attenta analisi autoriflessiva; chi, attraverso un processo metacognitivo, ha ristrutturato i propri schemi mentali e operativi, troppo spesso orientati a rilevare performance esteriormente osservabili e confrontate con modelli standard? Ancora oggi soffriamo la mancanza di una formazione alla corporeità, di un approccio olistico dell’individuo. L’individuo nella sua essenza è tenuto fuori dalla classe in cui oggi si ripropone di mettere il grembiule affinché si debelli la diversità; ma, sotto quel grembiule dell’uguaglianza apparente, l’individualità di ognuno, 31 fortunatamente, resta preservata. Come già diceva don Milani più di quarant’anni fa: “non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali”.24 Le animate contestazioni alle soglie degli anni ‘70 contro una società statica, portatrice di certi valori politici, sociali, religiosi, ipocriti e borghesi, aprirono la strada ad una riorganizzazione del paese, chiamato a garantire al cittadino non solo un intervento di tipo sanitario ed economico necessario per la dignità umana, ma anche uno sviluppo nell’ambito sociale. Gli interventi sempre più parcellizzati e differenziati richiedono una crescente specializzazione per rispondere alla specificità delle esigenze; e così come il contesto sociale nella sua interezza è andato ridefinendosi negli ultimi trent’anni, di riflesso anche la scuola ha modificato la sua identità. Le classi sono cambiate, sono eterogenee, abitate da bambini stranieri, bambini con deficit mentale, fisico o sociale, bambini adottati; creature che costituiscono un unicum irripetibile, una multi-diversità che ci impedisce (fortunatamente) di categorizzarli in standard predefiniti. Nel Villaggio Globale si moltiplicano le opportunità, le tensioni, le interazioni, ma allo stesso tempo aumentano anche i rischi, le difficoltà da sciogliere e le complessità da interpretare: l’insegnante spesso non ha l’abilità o il coraggio di ri-pensarsi e riplasmarsi in una società che evolve e si trasforma (nei suoi saperi, nelle scoperte, nell’umanità esistenziale, …) e tende a rimanere ancorato ad un passato stereotipato; tutto ciò che è conosciuto e dominato genera una certa ‘rassicurazione di controllo’. Certo non è facile, quando si è parte del sistema in trasformazione, riuscire a porre l’occhio fuori dello stesso sistema per operare un’analisi quanto più oggettiva e una riflessione metacognitiva. Se da una parte la società postmoderna tende a recuperare il bisogno, il disagio, la marginalità, dall’altra lo genera: siamo abbagliati dal materialismo più puro, dall’apparenza ingannevole, dal correre freneticamente tra un centro commerciale e l’altro dimenticando la nostra essenza e la nostra essenza-nel-mondo, in un incolmabile impoverimento di attenzione alle relazioni, ai colori, ai sapori, a tutto ciò che ci circonda. Siamo assaliti da un senso di vuoto, da un malessere dilagante che cerchiamo di curare attraverso la finzione di sicurezza con gli adulti e ponendoci in una posizione difensiva e giustificativa con i più piccoli, anziché dialogare con noi stessi e con gli altri e interrogarci sul perché non sia stato raggiunto un obiettivo e di chi sia la responsabilità. È necessario rivedere il concetto di educazione affinché 24 Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, San Casciano (Fi) 1986, p.55. 32 possa rispondere a bisogni reali e non stereotipati; è indispensabile un’educazione che includa la fondamentale dimensione di cura. Ma “solo chi è in grado di prendersi cura di se stesso, potrà riuscire a prendersi cura degli altri”,25 di agire stando con/vicino a/collaborando/ascoltando/condividendo, di captare empaticamente l’individualità dei discenti per poterli meglio comprendere e orientare nel loro percorso formativo. È fondamentale avere la consapevolezza delle proprie capacità ma è anche necessario non fermarsi a ciò che dominiamo; è importante acquisire sempre nuovi strumenti per una formazione che si perpetua per tutto il corso della vita, per un continuo aggiornamento, per ri-mettersi in gioco e confrontarsi incessantemente con se stessi. La formazione va intesa come azione rigenerativa che non ha punto di arrivo, ma è sempre una ripartenza. Il peggiore dei mali per l’uomo contemporaneo è lo spirito annoiato, vuoto, stanco; l’anima, di contro, per sopravvivere al proprio tempo, viverci e diventare “uomo-nel-mondo”, ha bisogno di un esercizio attivo interiore, del pensiero critico. Ciascuno di noi è artefice del proprio viaggio esistenziale e al contempo è la migliore cura per se stesso. Interrogarsi, dunque, significa prima di tutto fare una lettura di sé mediante una sorta di autoconfessione per una ricomposizione della personalità talvolta sfrangiata, inquieta, irritata; uno scandaglio interiore che tocca anche i punti più dolorosi ci permette di ricostruire la nostra esistenza e di prenderne coscienza così da poterla offrire come chiave d’interpretazione agli altri. L’individualità non è un unicum ma è multipla, una pluralità di elementi che dialogano e interagiscono dando forma all’uomo; essere consapevole della complessità dell’essere umano (delle componenti corporea, mentale ed emozionale di cui si compone ma nella cui semplice giustapposizione non si risolve!) è fondamentale per l’insegnante che, quindi, dovrà sapersi muovere in diverse direzioni, cogliendo la multidimensionalità costituente ciascuna personalità senza avventare risposte univoche o cercare di cristallizzare soluzioni definitive. L’identità si forma all’interno di un contesto sociale complesso, fluido, che disorienta, talvolta inquieta perché invia una miriade di impulsi anche contrastanti; dunque una formazione dinamica vede il soggetto impegnato in una permanente conversazione con la cultura del proprio tempo, con gli uomini del proprio tempo, in una tensione in progress che lo porta costantemente a riprogettarsi. 25 A. Mannucci, L. Collacchioni, Insegnante di sostegno ed educatore: incontro tra professionalità diverse, Aracne, Roma 2008. 33 Là dove c’è diversità nasce il dialogo, il confronto, lo scontro, comunque un arricchimento che ci abitua a pensare, a considerare le diverse visioni del mondo che ognuno di noi ha, senza ritenere che tutto ciò che ci viene offerto sia verità assoluta. La diversità è un elemento valoriale che non può e non deve essere motivo di segregazione, di esclusione e neppure di tolleranza. Il dialogo è la miglior forma per tenere in vita la conoscenza e deve essere valorizzato come potenzialità che ci consente una maggiore comprensione degli altri e di noi stessi, un più alto grado di consapevolezza; produce vicinanza, comunicazione, empatia. Che insegnante potrebbe essere colui che non ha intelligenza emotiva, corporea, empatica? Professionalità significa empatia, ascolto, attenzione, dialogo. Oggi, a differenza di ieri, l’insegnante dovrebbe essere una persona accogliente (accoglie gli altri facendo capire che è sempre presente), incoraggiante (si può partire dall’errore per evitare di ripeterlo), empatica (ascolta l’altro in modo partecipato). Avere un approccio professionale di cura vuol dire avere una forte motivazione, imparare a confrontarsi con situazioni che possono mettere in crisi, con problematiche che insorgono dal relazionarsi con personalità e istituzioni diverse; all’insegnante è richiesto di saper gestire la classe, non basta il solo sapere disciplinare né il saper insegnare. Il contatto con il disagio può arrivare a logorare e non c’è riconoscimento sociale né tanto meno economico. È facile cadere in uno scontro aperto con se stessi e con le proprie difficoltà se non si ha una buona capacità di equilibrio tra distacco e coinvolgimento emotivo. La scuola, oltre ad essere portatrice di apprendimenti, di conoscenze tecniche in costruzione, è anche un susseguirsi di momenti di inculturazione, caratterizzati dalla cultura e dal modo di stare insieme della comunità (famiglia, classe, amici, gruppo di lavoro) di cui ciascuno di noi fa parte; questo sapere non tecnico scaturisce dai processi di socializzazione e rappresenta un momento saliente della formazione, perché entra a far parte del nostro vivere e agire quotidiano. Purtroppo, o per fortuna, questi valori costituenti la persona stessa non sono acquisibili sui libri di testo, né verificabili con una prova oggettiva; l’insegnante, con la sua sensibilità e professionalità, deve riuscire a leggere, anche là dove non siano esplicitamente manifesti, quei messaggi e quei segnali che i bambini continuamente inviano, interpretandone così i bisogni educativi speciali.26 Non può prescindere da tali capacità comunicative e relazionali perchè costituiscono la premessa per creare un rapporto attento e rispettoso dell’altro, per saper guardare con occhi nuovi 26 A. Mannucci, L. Collacchioni, Insegnante di sostegno ed educatore: incontro tra professionalità diverse, Aracne, Roma 2008. 34 all’individuo nella sua dimensione globale che tra i domini conoscitivi comprende, oltre a quelli sensoriale-percettivo e razionale, una sfera emozionale, corporale, sessuale, affettivo-relazionale, certo non trascurabili. Ma gli insegnanti per primi ascoltano il proprio “Io”? O meglio lo ri-cercano? Sperimentano il loro corpo come strumento d’indagine e d’espressione? Hanno mai fatto esercizi teatrali sulla fiducia in se stessi e nell’altro? Giocano ancora? Solo quando gli insegnanti cercheranno queste risposte e smantelleranno tutte quelle barriere imposte ai più piccoli come limiti invalicabili, si potrà forse instaurare un rapporto di fiducia e di ascolto reciproco in un rapporto alla “pari”, dove i bambini potranno sentirsi protagonisti, ricercatori di nuovi interrogativi a cui trovare risposte; si potrà così tentare l’impresa titanica di formare futuri cittadini del mondo, critici, responsabili e rispettosi di principi che diverranno principi etici e modi di pensiero e di vita, piuttosto che adoperarci nell’inutile e fallimentare tentativo di imporre regole eteronome, cioè dettate dall’esterno e quindi sicuramente violate. Sviluppare un pensiero critico significa emanciparsi, rendersi autonomi di scegliere. 35 III Capitolo Lo sviluppo mentale e la formazione dei concetti scientifici: teorie e modelli di riferimento 1. Il modello piagetiano A partire dalla metà del secolo scorso la pedagogia fu attraversata da un’onda rivoluzionaria, alimentata da ricerche psicopedagogiche e linguistiche, che iniziarono ad indagare la mente umana ponendo l’attenzione alle strutture del pensiero, ai processi di costruzione del linguaggio e dei concetti, apportando significativi contributi allo studio di problemi educativi quali l’apprendimento e lo sviluppo cognitivo. Uno dei protagonisti della scena è certamente Piaget,27 psicologo svizzero il cui interesse fu rivolto fin dal principio all’epistemologia (in particolare Piaget ha teorizzato l’epistemologia genetica, quella disciplina che cerca di spiegare i processi cognitivi umani attraverso i quali maturano le strutture logiche della mente). Proprio per proseguire alcune sue ricerche su base empirica in questo campo, Piaget si avvicinò alla psicologia dell’età evolutiva. Studiò a lungo il pensiero e giunse, oltre a distinguere qualitativamente il pensiero adulto da quello infantile, a scandire lo sviluppo cognitivo della mente infantile in quattro differenti fasi: - Lo stadio senso-motorio (dalla nascita fino ai due anni), in cui il bambino non distingue il sé dal mondo circostante, ma attraverso il corpo inizia ad interagire con esso; sposta gli oggetti, li manipola, li smonta e li rimonta ed è questo agire spontaneo con e sulle cose che lo porta a captare certi rapporti formali tra gli oggetti e lo spazio che lo circondano. Si formano i primi schemi elementari: il bambino ripete ciò che gli è funzionale e il successo del risultato farà assimilare tale comportamento in uno schema; potrà capitare però che l’applicazione di questo schema d’azione non risponda, in una nuova situazione, alle esigenze; ecco che il bambino dovrà sperimentarsi in nuovi comportamenti fino a quando si sarà accomodato alla nuova situazione. Si tratta di un periodo di straordinaria importanza per il successivo sviluppo psichico della persona, che consiste, come afferma lo 27 Jean Piaget (Neuchatel 1896 – Ginevra 1980), psicologo svizzero. 36 stesso Piaget, nella conquista di tutto l’universo pratico che circonda il bambino, per mezzo della percezione e del movimento. L’intelligenza sensomotoria si sviluppa a partire dall’esperienza e permette il passaggio da una percezione sincretica (globale e non strutturata) ad una analitica e sintetica. - Lo stadio preoperatorio (dai due ai sette anni) è ancora contrassegnato da un pensiero egocentrico, in quanto il bambino si percepisce come distinto dalla realtà ma non riconosce ancora punti di vista diversi dal proprio. A questo stadio ha inizio lo sviluppo del pensiero, inteso come “sequenza di processi mentali sostitutivi di un’azione (leggi: esperienza)”;28 grazie allo sviluppo della funzione simbolica e del linguaggio il bambino diviene capace di tradurre, rappresentarsi e raccontare azioni passate o pronostici futuri (strutture fondamentali che verranno ampiamente messe in atto nell’apprendimento delle conoscenze scientifiche). Dai quattro ai sette anni, nel periodo del pensiero intuitivo, il pensiero del bambino segue il dispiegarsi del suo parlare, pur non avendo consapevolezza di tutto ciò che dice. Ma le immagini mentali si susseguono in sequenze lineari ed irreversibili: la realtà, agli occhi del bambino, è una struttura immutabile.29 - Lo stadio operatorio concreto (dai sette agli undici anni)30 si caratterizza per la perdita di rigidità del pensiero a favore della componibilità e della reversibilità: ordinare secondo il criterio di grandezza, smontare e ricomporre un meccanismo, classificare degli oggetti secondo un certo criterio prestabilito, ecc., sono tutte operazioni che richiedono la facoltà di poter cancellare mentalmente un’operazione e sostituirla con la sua complementare, uguale e contraria; tale abilità resta, a questo stadio, ancora legata all’azione, ma risulta indispensabile perché abbia inizio una conoscenza di tipo scientifico.31 Il pensiero da sequenziale si fa reticolare, capace di comporre singole rappresentazioni o relazioni in strutture d’insieme più complesse, benché esso abbia origine sempre dall’esperienza diretta; ma la capacità di rilevare lo stato di un sistema come risultato di una trasformazione rappresenta una conquista essenziale per l’apprendimento scientifico. Anche gli schemi del pensiero pre28 L. Trisciuzzi, M.A. Galanti, Pedagogia e didattica speciale per insegnanti di sostegno e operatori della formazione, ETS, Pisa 2001, p.128. 29 Una conseguenza del pensiero irreversibile nell’apprendimento scientifico è quella, per esempio, di non percepire il principio di conservazione della materia nelle trasformazioni fisiche. Agli occhi del bambino, la quantità di pongo contenuta in un cubetto che venga modellato in un cilindro, risulterà maggiorata o diminuita a seconda che la sua percezione catturi la lunghezza o il diametro del cilindretto. 30 Livello in cui rientrano i bambini, di dieci e undici anni, con i quali ho svolto il mio progetto didattico. 31 Grazie a questa nuova conquista, il bambino può uscire dalle impressioni soggettive per aprirsi ad un confronto continuo con la realtà in cui trovare conferme o contraddizioni con le proprie aspettative; egli inizia, quindi, a percepire correttamente il rapporto causale degli eventi fisici. 37 operatorio trovano qui una sintesi unitaria. Il bambino inizia a decentrarsi uscendo a poco a poco dalla precedente visione fissista della realtà: un tipico esempio è dato dal gioco di gruppo in cui vi sono delle regole condivise che da un lato lasciano libertà d’azione e al tempo stesso la racchiudono entro i confini imposti dalla regola stessa. Anche la visione della realtà diviene più operativa: dall’età di otto anni si comincia a percepire la prospettiva e quindi i molteplici potenziali punti di vista di uno stesso oggetto. - Lo stadio operatorio astratto (dagli undici ai quindici anni), rappresenta il livello in cui il pensiero diviene adulto, raggiungendo il massimo sviluppo strutturale; spogliandosi dei contenuti immediatamente percettibili resta la pura forma, ovvero la capacità di operare in astratto su semplici ipotesi e procedere per via deduttiva. Questo passaggio è reso possibile grazie alla maturazione di una nuova struttura logica in grado di operare sul solo ragionamento formale senza doversi appellare all’esperienza e dunque al supporto della sperimentazione concreta. La matrice dell’apprendimento viene individuata da Piaget nell’interazione tra individuo e ambiente, in particolare nel processo di adattamento dell’organismo all’ambiente attraverso il quale il soggetto costruisce e ricostruisce attivamente la conoscenza, in una perpetua ricerca di equilibrio.32 Fin dalla primissima infanzia, infatti, la mente del bambino stabilisce un contatto percettivo continuo con l’ambiente e da questa interazione si formano schemi e strutture che il bambino assimila come stabili e costitutivi della mente stessa, fino a che una nuova esperienza evidenzierà la loro inefficacia e costringerà il bambino a ristrutturare i propri schemi raggiungendo nella sua mente un nuovo equilibrio. L’evoluzione graduale dell’intelligenza muove da una visione soggettivistica, animistica e artificiale della realtà, ma attraverso scoperte, contraddizioni, adattamenti, giunge a sviluppare operazioni sempre più complesse fino a percepire oggettivamente la realtà e a dominare un uso formale dei concetti logici. Tali principi psico-biologici che stanno alla base dello sviluppo delle funzioni cognitive dovrebbero trovare una trasposizione pratica in una scuola attiva che mira a far apprendere agli alunni “un metodo che servirà loro per tutta la vita”. Per quanto riguarda le scienze Piaget attribuisce grande rilievo sia all’insegnamento di questa disciplina che alle procedure didattiche attraverso le quali veicolarlo. Sono secoli ormai che l’uomo indaga la natura per giungere a decifrare il linguaggio in cui è 32 Questa esigenza di riequilibrio costante con l’ambiente nasce dal bisogno dell’individuo di controllare il mondo esterno, di ampliare sempre di più il dominio degli avvenimenti nello spazio e nel tempo; tale bisogno costituisce la base stessa dell’apprendimento. 38 scritto questo splendido libro a cielo aperto, apparentemente semplice ma in realtà assai complesso e misterioso: attraverso l’osservazione e l’esperienza gli scienziati cercano sempre nuove regole capaci di spiegare e prevedere i fenomeni naturali. Anche l’obiettivo principale dell’educazione scientifica non è tanto quello di trasferire ai bambini i contenuti svelati e dominati dagli intellettuali, ma di renderli soggetti pensanti capaci di operare attraverso il linguaggio simbolico e formale, di pensare in astratto e procedere con ragionamenti in termini di pura logica formale, grazie alla maturazione delle strutture logico-matematiche. Alla luce di quanto detto sulle diverse fasi di sviluppo delle facoltà mentali, diventa obbligatorio per l’insegnamento scientifico, perché risulti appropriato ed efficace, proporzionare contenuti e metodi di insegnamento alle strutture recettive interiori del bambino; il lavoro didattico nel suo complesso deve tener di conto delle effettive capacità del bambino affinché i concetti possano essere ricavati dall’esperienza, fissati operativamente e quindi assimilati. L’intelligenza, come si è detto, è di origine biologica e procede nella propria evoluzione di pari passo alla maturazione del sistema nervoso e, quindi, all’età del soggetto; conoscere lo sviluppo delle strutture mentali significa conoscere i modi ed i tempi di edificazione e funzionamento del pensiero, da cui l’insegnante dovrebbe partire per programmare l’intervento didattico con consapevolezza, calibrandolo con lo sviluppo mentale del discente. Per questo è importante perfezionare o trovare nuovi strumenti capaci di supportare gli insegnanti nell’indagine, perché possano capire gli effettivi livelli di maturazione delle funzioni psichiche dei loro allievi. Ancora oggi si riscontra un’oggettiva difficoltà, e una conseguente avversità, degli studenti per le materie scientifiche; la conoscenza della psicologia dello sviluppo dall’infanzia all’età adolescenziale può aiutare un insegnante a scegliere obiettivi, contenuti e metodi adeguati al livello di maturazione raggiunto dai propri allievi per una programmazione curricolare appropriata. Forse la mente infantile descritta da Piaget è stata ‘universalizzata’ benché le sue ricerche fossero state fatte su bambini tipicamente occidentali, forse è eccessivamente scientifica e poco socializzata, ma indubbiamente resta un punto di riferimento per lo studio dell’apprendimento e delle metodologie educative. 39 2. Vygotskij e lo sviluppo dei concetti scientifici nell’infanzia Un altro indubbio riconoscimento per i contributi apportati nello studio dei processi cognitivi e sull’origine del linguaggio va a Vygotskij,33 psicologo sovietico anch’esso protagonista della pedagogia del Novecento, la cui ricerca si muove però agli antipodi di quella piagetiana, fortemente criticata per taluni aspetti. L’attività mentale governata da operazioni di tipo logico, secondo la teoria piagetiana, costituisce il filtro attraverso il quale costruiamo la conoscenza. La mente è un insieme di operazioni logiche che vengono costituendosi con l’interiorizzazione delle azioni e potenziandosi allorché il pensiero stesso diviene oggetto di tali operazioni. Benché non si evinca quale sia il motore o la causa di questo progressivo sviluppo, è invece certo, per Piaget, che la mente segue il medesimo percorso in tutti i soggetti indipendentemente dai diversi vissuti che la accompagnano. Sebbene fosse incompleta ed eccessivamente rigida, la teoria psicologico-evolutiva a base cognitivistica, avanzata da Piaget, sanciva una netta rottura col passato e poneva le basi della nuova pedagogia cognitiva. Il metodo clinico dello studioso mise in luce il pensiero e il linguaggio del bambino rivoluzionandone lo studio; fu un contributo di indiscussa importanza, che non tenne però di conto del ruolo formativo del contesto storico-sociale in cui ciascun individuo nasce e si sviluppa. Vygotskij non considerava possibile guardare alla mente come un sistema endogeno, chiuso rispetto al contesto interrelazionale che ci permea, al sistema culturale cui apparteniamo. Era necessario tenere “in considerazione le esigenze, le pulsioni del bambino, gli impulsi, i motivi della sua attività, senza i quali […] non avviene mai il passaggio del bambino da una fase all’altra”. Il “bambino epistemico”, di cui Piaget aveva indagato le strutture cognitive attraverso le quali si costruisce e si trasforma continuamente la conoscenza, diviene adesso un “bambino culturale”, immerso in un “bagno” storico-culturale che contamina e modifica le funzioni psichiche nel corso del loro sviluppo. L’originalità dello studio di Piaget è attribuibile principalmente all’indagine – fondata su un metodo di analisi empirico – delle caratteristiche e dei comportamenti mentali qualitativamente distintivi del pensiero del bambino rispetto a quello adulto. Vygotskij non nega l’importanza di questo apporto per la ricerca sulla psicologia infantile, ma supera tale posizione riconoscendo nella comunicazione e nel contatto 33 Lev Vygotskij (Gomel 1896 – Mosca 1934), psicologo sovietico. 40 sociale la funzione primaria dello sviluppo cognitivo infantile. L’apprendimento, secondo lo psicologo, è “socializzato”, ha inizio cioè nel momento in cui il bambino comincia ad interagire con le persone del proprio ambiente – quindi precede la competenza individuale – e attraverso tale interazione egli modifica ed autoregola il proprio comportamento. La scuola è uno dei principali luoghi di formazione dei concetti, ed è per questo che Vygotskij riconosce all’istruzione una funzione determinante per lo sviluppo del bambino; non più, come voleva Piaget, quella di soppiantare gradualmente i modi di pensare del bambino con quelli dell’adulto, ma la responsabilità di dirigere adeguatamente ed efficacemente lo sviluppo mentale del bambino affinché diventi cosciente dei propri processi di sviluppo. La scuola porta il bambino a diretto contatto con i concetti scientifici, i quali richiedono consapevolezza e controllo intenzionale ed esercitano così le più alte funzioni psichiche e intellettive. “L’istruzione scolastica induce un tipo di percezione generalizzante e in tal modo svolge un ruolo decisivo nel far sì che il bambino diventi cosciente dei propri processi mentali. I concetti scientifici, con il loro sistema gerarchico di interrelazioni, sembrano essere il mezzo nel quale la consapevolezza e la padronanza si sviluppano per primi, per trasferirsi più tardi in altri concetti ed in altre aree del pensiero”.34 Un concetto diviene consapevole e controllabile allorché diventa parte integrante di un più ampio sistema gerarchico con diversi gradi di generalità. I concetti scientifici ricoprono un ruolo particolarmente importante poiché sono essi stessi portatori intrinseci di rapporti di generalità; sono loro infatti a porre le basi, nella mente del bambino, di una sistematizzazione successivamente estesa ai concetti quotidiani, che vengono via via ristrutturati in ordini di livello sempre più elevato e complesso. Anche Piaget si era preoccupato di distinguere i concetti spontanei da quelli influenzati dal mondo adulto, ma riteneva che solo i primi potessero svelare le caratteristiche del pensiero del bambino, e che gradualmente venissero del tutto sostituite sino al completo sviluppo del pensiero adulto. Differentemente, per Vygotskij, lo sviluppo e l’apprendimento non sono più un susseguirsi predeterminato di strutture di conoscenza sempre più rispondenti alla realtà (vista come complesso di eventi fisici) rispetto a quelle antecedenti; nel passare da uno stadio all’altro, cambia la natura stessa dello sviluppo che, da una dimensione biologica dominata da processi psichici naturali, passa ad una dimensione socio-storica governata da 34 L.S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, trad. it., Giunti Editore, Prato 2007, pp. 118, 119. 41 processi superiori e culturali. Queste due matrici dello sviluppo cognitivo, l’una naturale e l’altra culturale, portano alla formazione di due diversi tipi di concetti, quelli spontanei e quelli scientifici, tra cui intercorre una stretta relazione e influenza reciproca: i primi sono frutto di un apprendimento costruito spontaneamente, attraverso l’esperienza, che procede dal basso verso l’alto in un percorso ascendente, mentre i secondi sono il risultato di un apprendimento intenzionale35 e cosciente che muove dalla direzione opposta; parte infatti dall’alto per scendere gradualmente verso un livello più elementare fino ad incontrare i concetti spontanei: da qui ha inizio una graduale ristrutturazione dei concetti di ordine quotidiano in un sistema organizzato, per giungere infine ad un loro uso deliberato e cosciente. “La coscienza riflessiva arriva al bambino attraverso i concetti scientifici”.36 Questo fu il rapporto e il processo di formazione dei concetti37 avanzato da Vygotskij per rispondere ai quesiti che si era posto: “Che cosa accade, nella mente del bambino, dei concetti scientifici ch’egli apprende a scuola? Quale rapporto esiste tra l’assimilazione dell’informazione e lo sviluppo interno del concetto scientifico nella coscienza del bambino?”.38 Egli, infatti, non riteneva valida nessuna delle due teorie allora in vigore: una sosteneva un puro assorbimento dei concetti scientifici, senza considerare alcuno sviluppo interno dei suddetti. Ma appare immediatamente evidente la futilità e l’inefficacia di insegnare direttamente un concetto; sarebbe come voler insegnare ad un bambino ad andare in bicicletta con le leggi dell’equilibrio! L’unico risultato ottenibile altro non sarebbe che una pura ripetizione mnemonica volta soltanto a coprire un vuoto. E non accreditava neppure l’altra teoria che riconosceva sì un processo di sviluppo nella conquista dei concetti scientifici, senza però distinguerlo dal processo di sviluppo dei concetti spontanei. Le due principali teorie cui si ricorreva per dare spiegazione alla formazione dei concetti si limitavano, l’una a definire verbalmente il contenuto del concetto – senza considerare, oltretutto, 35 Perché un concetto scientifico possa essere assorbito è necessario che il concetto spontaneo ad esso corrispondente abbia raggiunto un determinato livello; non sono affatto due processi indipendenti e da questo consegue che l’insegnante non può ignorare le modalità e i tempi in cui il bambino sviluppa i concetti spontanei. 36 L.S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, trad. it., Giunti Editore, Prato 2007, p. 119. 37 Il processo di formazione dei concetti si articola in tre fasi: la fase del mucchio, in cui il bambino associa ad una parola un agglomerato di oggetti confusi che per qualche motivo si sono fusi nella sua mente, a cui segue il modo di pensare per “complessi”, che riunisce gli oggetti in raggruppamenti ancora fattuali ma in base ad attributi e rapporti effettivamente sussistenti (a cui appartengono gli pseudo-concetti, acquisiti attraverso la mediazione degli adulti e i concetti potenziali, ovvero raggruppamenti fatti per astrazione di una caratteristica comune); infine si giunge alla formazione dei concetti veri e propri procedendo per generalizzazioni o attraverso operazioni di astrazione e di scelta. 38 L.S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, trad. it., Giunti Editore, Prato 2007, p. 107. 42 che il significato delle parole evolve in una crescente generalizzazione – mentre l’altra teneva di conto il ruolo giocato dai processi psichici nella formazione del concetto, dimenticando però quello della parola. L’apprendimento da cui si genera la conoscenza non può scaturire da un insegnamento per definizione né da un processo d’astrazione, ma nasce da un confronto e dalla negoziazione di significati con gli altri. Non esiste una Conoscenza da conquistare una volta per tutte, ma un processo attivo e consapevole di auto-generazione della conoscenza stessa da sviluppare, attraverso il quale trasformarla e contestualizzarla per tutto l’arco della vita. La scuola, pertanto, diviene luogo di sperimentazione e di ricerca, in cui si impara ad apprendere. Si evince la sua nuova funzione strategica che, da luogo di trasmissione di contenuti, la trasforma in occasione di emancipazione di ciascun soggetto, perseguendo lo sviluppo e la maturazione di un processo di apprendimento autonomo e capace di autoalimentarsi. “L’insegnamento è una delle fonti principali dei concetti dello scolaro, ed è anche una forza che può dirigere molto efficacemente la loro evoluzione; esso determina il destino di tutto lo sviluppo mentale del bambino”.39 Sebbene Vygotskij riconosca uno sviluppo studiale delle funzioni psico-intellettive, diversamente da Piaget non ammette un procedere sequenziale/rettilineo/lineare del processo di maturazione degli stadi evolutivi, bensì li connota di possibili interferenze, involuzioni, contaminazioni provenienti dall’ambiente; sulla maturazione di tutti i soggetti cultura ed istruzione possono incidere moltissimo e risulta, dunque, impossibile individuare un ingranaggio meccanicistico alla base dei processi cognitivi e di apprendimento. A questo proposito introduce concetti importanti quali quello di anticipazione e sviluppo potenziale. “Il divario tra l’età mentale effettiva di un bambino e il livello ch’egli raggiunge risolvendo certi problemi con un po’ d’aiuto, indica la zona del suo sviluppo ‘prossimale’”.40 Da questo si evince l’importanza e l’influenza dell’insegnamento e dell’aiuto degli adulti durante lo sviluppo infantile e adolescenziale, grazie al quale gli alunni che abbiano raggiunto il livello minimo di maturità delle funzioni coinvolte in un certo insegnamento possono progredire nel loro sviluppo arrivando a risolvere cooperativamente problemi che non sarebbero stati in grado di risolvere da soli. Lavorando con gli adulti o tra pari che abbiano raggiunto livelli superiori di sviluppo, il bambino può arrivare là dove da solo avrebbe fallito ed essere in grado, da quel 39 40 Ibidem, p. 111. Ibidem, p. 132. 43 momento in poi, di giungervi in modo indipendente. Da questo si deduce quanto sia importante il lavoro collaborativo ed interattivo con l’alterità, che caratterizza l’apprendimento come prettamente sociale. Agire in anticipo su funzioni che si trovano ad uno stadio embrionale ne velocizza i processi di maturazione. Il processo di apprendimento non segue il processo di sviluppo, né i due processi coincidono e tanto meno sono assolutamente distinti e indipendenti l’uno dall’altro: piuttosto, l’apprendimento – che crea l’area di sviluppo prossimale – anticipa e guida il processo di sviluppo. L’istruzione, dunque, anziché cristallizzare le potenzialità delle facoltà mentali rimanendo ad un livello adatto, giusto e misurato sullo sviluppo raggiunto senza apportare così alcun progresso nello sviluppo stesso, deve precedere e guidare lo sviluppo. Proporre un argomento nuovo comporta, quindi, come premessa necessaria, il saper condurre un’indagine in grado di rilevare possibili pregiudizi, preconoscenze, immagini legate all’immaginario fantastico che ciascun bambino si costruisce durante i primi anni della propria esistenza, legati al senso comune o trasmessi dai mezzi di comunicazione di massa che entrano a far parte del bagaglio cognitivo del bambino come verità stabili, con una forza che perdura nel corso degli anni sebbene non siano altrettanto profondamente compresi e consapevoli. Questo ci permette di dedurre quali siano le strutture cognitive attraverso le quali i bambini costruiscono le conoscenze e, di conseguenza, osservare le nuove strutturazioni utili e funzionali che si formano nel tempo, il linguaggio naturale a cui i bambini ricorrono e le immagini che associano a certi concetti basilari per affrontare l’argomento. Si tratta di un procedimento ineludibile se vogliamo agire sulla zona di sviluppo prossimale, in un processo ascendente che poggi però su ciò che già si conosce. Gli studi vygotskijani rappresentano ancora oggi un’ottima risorsa circa la messa a punto di ambienti di apprendimento significativi ed attivi, luoghi prediletti in cui far nascere dialoghi, argomentazioni, discussioni e confronti attraverso i quali ciascuno può scoprire e superare l’incoerenza delle proprie idee pregresse grazie ad un’interazione guidata. Sebbene gli apporti di questi modelli siano diversi e talvolta discordanti, essi suggeriscono riflessioni che debbono tradursi sul piano didattico e metodologico per rispondere ai bisogni e agli interessi degli studenti. L’insegnante che abbia gli strumenti per indagare gli schemi conoscitivi presenti nel bambino ha la facoltà di scegliere consapevolmente le proposte didattiche nel rispetto degli stadi di sviluppo raggiunti (secondo la teoria piagetiana), ma anche la possibilità di prevedere quanto 44 sia opportuno insistere su una situazione problematica perché vada ad agire nella zona di sviluppo prossimale, seguendo la lezione di Vygotskij. 45 IV Capitolo Il progetto: “Col naso all’insù: un’astronomia a portata di bambino” 1. L’astronomia nella scuola primaria: una sfida (purtroppo!) ancora attuale L’Astronomia è una scienza antichissima: fin dalla notte dei tempi l’uomo, osservata la periodicità di alcuni fenomeni celesti, ha sentito l’esigenza di studiarli e comprenderne il ripetersi, giungendo così a “leggere” il cielo per orientarsi e per organizzare il proprio lavoro agricolo (le costellazioni venivano usate per l’orientamento e la navigazione, i mutamenti stagionali come riferimenti per l’agricoltura). Eppure a tutt’oggi la scienza del cosmo sembra troppo spesso appartenere alla realtà scolastica come puro nozionismo, di contro a ciò che sosteneva Galileo: “I discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta”.41 Sarebbe auspicabile, infatti, intervenire attraverso attività quali il gioco o l’esperienza pratica laboratoriale che rappresentano il miglior involucro nel quale avvolgere l’insegnamento: strumenti utili per sviluppare e affinare la motricità fine, che enfatizzano la capacità di osservazione, la curiosità e la manualità così presenti in germe in tutti i bambini senza lasciare, come troppo spesso avviene, che queste risorse non stimolate a poco a poco si addormentino: la meraviglia, come sosteneva Bacone, è il seme da cui si genera la conoscenza e, come affermava Kant, “non c’è alcun dubbio che ogni nostra conoscenza cominci con l’esperienza”. Chi da piccolo non rimane affascinato e terribilmente incuriosito dal suggestivo mondo della natura? Nella società globale in cui viviamo oggi, le distanze geografiche sembrano ormai irrilevanti (messaggi, persone e prodotti si trasferiscono facilmente da una parte all’altra del globo terrestre), comportamenti e gusti divengono sempre più standardizzati, e siamo continuamente bombardati da appariscenti messaggi pubblicitari che attraverso sofisticate tecniche diffondono globalmente informazioni strumentalizzate che ci assuefanno ad un passivo stordimento; è assolutamente 41 Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano. 46 indispensabile che l’insegnante si proponga come guida attiva, per creare un quadro di vita che desti lo stato di attenzione necessario all’osservazione degli stimoli dell’ambiente, nutrendo e incoraggiando la curiosità del bambino, il suo innato piacere di esplorare, essenziale per far fiorire le sue potenziali capacità intellettive e quindi permetterne un arricchimento mentale, sensoriale, emozionale. L’“attività continua del bambino può infatti trovare nell’ambiente esterno stimoli e sostegni oppure negazioni, ostacoli e divieti. Essa è, comunque, orientata e condizionata”.42 Questo “atteggiamento nativo e integro della fanciullezza, contrassegnato da ardente curiosità, da fertile immaginazione, e dall’amore della ricerca sperimentale è vicino, molto vicino, all’atteggiamento dello spirito scientifico”:43 così come i bambini, mossi da innumerevoli ed incessanti “Perché?” imparano a pensare formulando teorie che portano ad una sempre maggiore presa di coscienza del mondo in cui vivono, così anche la Scienza si confronta con interrogativi sempre nuovi. Avvicinare gli studenti alla Scienza e al metodo scientifico significa equipaggiarli di strumenti essenziali per comprendere e gestire in modo più consapevole il rapporto tra l’uomo e l’ambiente. 42 43 C.G. Hoffmann, Fare scienze nella scuola di base, La Nuova Italia, Milano 2000. J. Dewey, Come pensiamo (1933), trad. it., La Nuova Italia, Firenze 1961. 47 1.1 La scuola e gli attori del progetto Non si può trovare immediata soluzione ai problemi che nascono nel fare scuola realizzando progetti anche estremamente innovativi e all’avanguardia, se questi sono condotti da persone estranee alla vita di classe, di quella specifica classe con tutti i suoi peculiari attributi, e neanche sommando i contributi dei migliori esperti. Conoscere in profondità i singoli costituenti di un gruppo, le dinamiche che si innescano nella convivenza quotidiana e, dunque, calibrare conseguentemente l’intervento didattico-pedagogico-psicologico, è qualcosa che si capisce e su cui si agisce a piccoli passi, nello stare insieme minuto dopo minuto, giorno dopo giorno, in un percorso che si protrae – o almeno dovrebbe! – nel tempo. Nel mio caso, ho dovuto prima riflettere, progettare e mettere a punto il progetto e, solo dopo essermi confrontata con la realtà della classe, apportare le dovute modifiche per attuarlo nel modo più adeguato ed efficiente. È enorme la distanza che intercorre tra il progetto ideale che prende forma nella nostra testa e le difficoltà o lacune che si riscontrano poi nel tentativo di realizzarlo. Certamente il bilancio di questa esperienza è da considerarsi positivo: me lo ha dimostrato l’insegnante accogliente, con la quale mi sono costantemente confrontata a tal proposito, e me lo hanno dimostrato i bambini, chiedendomi incessantemente quando mi intravedevano anche da lontano: “Oggi facciamo astronomia? E quando allora?”. Ma non sono certo mancate le difficoltà o le incongruenze con ciò che auspicavo trovare. Dall’inadeguatezza degli spazi (non era immediato neppure oscurare la stanza!), alla mancanza di strumenti (diventava un’impresa titanica anche poter usufruire di un videoproiettore), alla constatazione della prassi di lavorare individualmente: tutti elementi determinanti che hanno implicato certe revisioni obbligate. Un altro limite per la realizzazione del progetto è stato il tempo a disposizione: poiché la parte astronomica si colloca come ultima tappa nel programma di scienze, mi sono trovata a dover fare i conti con tutti gli impegni straordinari che nell’ultimo mese e mezzo di scuola si sovrappongono (gite e uscite, giornalino della scuola, recite di fine anno e via dicendo!). Se avessi attuato il progetto da insegnante della classe anziché nelle vesti di tirocinante avrei certamente gestito diversamente il tempo che, contrariamente, mi sono trovata a dover centellinare sacrificando momenti fondamentali di rinforzo e ritorno o comunque a comprimerli enormemente. Prima di dar avvio al progetto condotto in prima persona ho preso parte alla vita di classe in vari suoi momenti, primi fra tutti quelli didattici caratterizzati per lo più da lezioni frontali e durante i quali mi sono resa conto che non era consuetudinario – 48 ma neppure saltuario! – lavorare per gruppi ma, a momenti di spiegazione frontale venivano alternati spazi per esercitazioni individuali;44 a conferma di questa prima intuizione, una domanda postami ripetute volte da alcuni bambini dopo i primi incontri: con preoccupazione, stupore – perché ancora non l’avessimo fatto – e un certo rammarico – nel constatare che neppure l’avremmo fatto – mi chiedevano se avessimo utilizzato il libro di testo… da qui la deduzione di quanto fossero attaccati ed assorbiti da questa pratica consuetudinaria tanto da avvertire una sorta di smarrimento nel momento in cui questo riferimento era venuto a mancare. Da qui la decisione di procedere sempre attraverso il metodo euristico ma coinvolgendo l’intera classe come unico grande gruppo anziché suddividerli in piccoli gruppi, dato che il tempo a disposizione non era affatto compatibile con i tempi necessari per imparare a lavorare secondo una modalità che tanto si distanzia dalla canonica lezione frontale. Vi sono diversi strumenti e percorsi perseguibili a seconda dei casi, che l’insegnante può suggerire o addirittura pianificare per far sì che il processo didattico possa esser espletato al meglio dagli alunni. Come ho già detto, ritengo che l’approccio laboratoriale sia di fondamentale importanza poiché è un modo di lavorare che, all’operatività e quindi al “realizzare”, intreccia il “pensare” e il “valutare” ciò che si fa, favorendo il dialogo con gli altri nonché una consapevole riflessione sulle attività che in questo modo divengono un vissuto personale di ciascun alunno; ecco la complessità e la poliedricità di questo approccio, che oltre all’apprendimento delle specifiche discipline favorisce lo sviluppo di competenze trasversali come l’imparare ad apprendere, di abilità sociali, di modi di agire e pensare. Vi è la duplice possibilità di partire da una situazione problematica per poi costruire e articolare riflessioni e ipotesi intorno ad essa e infine trovare conferme o smentite negli esperimenti direttamente condotti, visibili e tangibili o, viceversa, partire da un esperimento su cui effettuare riflessioni sistematiche fino ad estrapolare il concetto scientifico interessato. La maggior parte delle lezioni si è aperta con un quesito in grado di innescare la giusta curiosità e motivazione nei bambini ed attivare processi di riflessione. Una volta che la discussione era giunta a maturazione si passava a 44 Come ho spiegato più dettagliatamente nel paragrafo “Il laboratorio nella didattica delle scienze”, il lavoro per gruppi non può essere improvvisato da un giorno all’altro: i componenti devono condividere e sottostare a certe “norme di comportamento” poste dalla modalità stessa di lavoro collaborativo e cooperativo. Ci si abitua così a valutare percorsi alternativi per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato e a scegliere i più convenienti. 49 riprodurre ciò che ci eravamo accinti ad indagare, per poi fare il punto della situazione a voce e graficamente con l’ausilio di schemi e cartelloni realizzati dai bambini. Ho scelto di lavorare con un unico grande gruppo con la mia guida attiva perché i tempi di riflessione dei bambini sono di per sé molto lunghi e in gruppi di pari, autogestiti, questi tempi si dilatano ulteriormente. Tutti devono disporre del tempo necessario per pensare e poter formulare le loro ipotesi, confrontarle con quelle degli altri e, se necessario, rivedere e ristrutturare l’idea originale alla luce di nuove considerazioni. Considerando che la classe era composta da 18 bambini (ma ci sono classi che arrivano addirittura a contare 30 alunni) si può ben capire che la gestione ed il controllo non è affatto semplice. Inoltre, ciascun bambino è diverso dall’altro nella sua essenza e dunque nei suoi modi di proporsi, così come nei bisogni di ascolto. Ci sono bambini con un ricco bagaglio cognitivo, quelli che, se anche mancano di competenza, suppliscono con la loro personalità forte; ci sono invece bambini che devono essere continuamente sollecitati e morbidamente invitati a prender parte alla discussione perché preferiscono non esporsi o quelli che percepiscono un senso di inadeguatezza nel confronto con gli altri, chi subisce il limite del proprio sapere, chi si smarrisce e chi si entusiasma… In questa prima fase intrisa di emotività e soggettività diverse mi sono trovata a dover intuire in tempi brevi le singole personalità, imparare a leggerle, al fine di coordinare efficacemente il gruppo; frenando, ad esempio gli innumerevoli “Perché?” di alunni eccessivamente protagonisti per spronare invece chi, disorientato, non cercava neppure di risolvere le contraddizioni in cui ci imbattevamo. Con questa ricerca di equilibrio-precario il docente cerca di dosare i problemi presentandone gradualmente i vari passi, in modo che siano avvertiti dai bambini con la “giusta” distanza da sé in modo che, spinti a colmare e a conquistare il divario, siano capaci di avanzare autonomamente nel processo risolutivo. Benché il progetto sia “riuscito” e le soddisfazioni non siano mancate, credo che questa debba essere considerata una prima sperimentazione del progetto che potrà e dovrà trovarne di nuove, più ricche, approfondite ed estese nel tempo (per garantire i tempi necessari di maturazione e metabolizzazione di concetti anche piuttosto complessi) per una ri-progettazione aperta a più aree disciplinari e condivisa dai rispettivi docenti. 50 2. Schema riepilogativo degli incontri svolti in classe PROGETTO INCONTRO Col naso all’insù: osserviamo e ragioniamo sul cielo 1. Forza di gravità Obiettivi di apprendimento: - Favorire la comprensione della realtà circostante partendo da esperienze dirette di osservazione metodica e sistematica dei fenomeni celesti o riproducendo tali fenomeni artificialmente. - Sviluppare capacità di osservazione, interpretazione e astrazione dei fenomeni. - Saper costruire un modello. - Interiorizzare e razionalizzare alcuni concetti astronomici. - Correlare grandezze fisiche diverse. - Comprendere la scala delle dimensioni dell’universo. - Acquisire capacità critiche per valutare 2. Dimensioni e distanze relative dei corpi celesti OBIETTIVI SPECIFIVI - Capire intuitivamente che ogni corpo esercita un’attrazione sugli altri corpi. - Capire che tale attrazione dipende dalle masse e dalla distanza dei corpi. - Capire che peso e massa non sono la stessa cosa. - Comprendere che la velocità di caduta di un corpo sulla Terra è condizionata dall’attrito dell’aria, che rallenta il movimento. - Capire intuitivamente perché la Luna permane nel suo moto orbitale attorno alla Terra. - Misurare dimensioni lineari e superficiali. - Confrontare il diametro della Terra con quello del Sole. - Confrontare la superficie della Terra con quella del Sole (considerando i due corpi come se fossero superfici piane). - Confrontare intuitivamente il volume della Terra con quello del Sole. - Acquisire l’idea che il Sistema Solare È prevalentemente “vuoto” di CONTENUTI Attrazione gravitazionale Misura di lunghezze, di superficie, unità di misura di lunghezza, di superficie, rapporti tra unità di misura. 51 la correttezza delle informazioni. - Riprodurre un fenomeno in laboratorio dopo aver evidenziato gli elementi fondamentali. - Imparare a verificare le ipotesi per giungere a conclusioni attendibili. materia.”. - Capire che le dimensioni dei corpi del Sistema Solare sono trascurabili rispetto alle distanze che li separano. 3. Luminosità vera e apparente delle stelle 4. Inclinazione dei raggi solari sulla Terra - Confronto apparente e assoluto tra due sorgenti luminose. - Relazione fra luminosità apparente, luminosità intrinseca e distanza di un oggetto celeste. - Comprendere intuitivamente la legge dell’inverso del quadrato della distanza sull’intensità della luce. - Metodo della parallasse: comprensione delle relazioni fra angolo di parallasse, distanza dell’oggetto e distanza fra i punti di osservazione. - Comprendere il fenomeno delle stagioni. - Comprendere che in ogni punto sulla Terra esistono cambiamenti stagionali. Luminosità apparente, luminosità intrinseca assoluta, distanza da una sorgente luminosa, effetto di parallasse. Stagioni, modelli, flusso di radiazione. 52 3. Progettazione del primo incontro Il progetto vuole essere un’avventura alla scoperta del cielo, per conoscere e comprendere alcuni aspetti di ciò che succede nell’Universo di cui fa parte, insieme a innumerevoli altri corpi, il nostro pianeta, la Terra. La Terra, la Luna, il Sole fanno parte del Sistema Solare e la prima tappa di questo viaggio ha inizio proprio dal Sistema Solare. Le stesse parole “Sistema Solare”, cioè sistema del Sole, indicano l’insieme di corpi celesti anche molto diversi gli uni dagli altri che orbitano attorno al Sole. Il Sole attrae tutti gli altri corpi, legandoli a sé; questi corpi quindi non sono isolati, ma fanno parte di uno stesso insieme; è per questo che parliamo di Sistema. Il Sole contiene circa il 99% di tutta la materia del Sistema Solare, quindi quasi la totalità: per questo motivo si aggiunge giustamente l’aggettivo Solare. La Terra e il Sole sono certamente noti a qualsiasi bambino: l’una perché tutti noi ci viviamo da quando siamo nati, l’altro perché lo vediamo tutti i giorni. Analizziamoli un po’ più a fondo dal punto di vista scientifico. La Terra è stata considerata per lunghissimo tempo come un disco piatto. La prima intuizione circa la sua sfericità risale a Pitagora (V sec. a.C.),45 confermata da prove empiriche condotte in epoche successive (per esempio la misura del raggio terrestre realizzata da Eratostene nel III secolo a.C.); infine, grazie alle spedizioni spaziali, la Terra è stata fotografata dall’esterno. Perché allora nella realtà di tutti i giorni ci appare piatta? Questo è dovuto al fatto che la Terra è molto grande: il raggio medio è pari a circa 6.370 km, quindi la sua circonferenza è di circa 40.000 km. Noi che viviamo sulla sua superficie ne possiamo vedere solo una porzione relativamente piccola ed è per questo che ci appare piatta, ma uscendo dal sistema stesso è evidente la sua sfericità, come mostrano le immagini riprese dallo spazio. Figura 1 Immagini della Terra riprese dallo spazio a distanze crescenti. 45 In realtà la Terra non è una sfera regolare ma la figura che più le si avvicina è un ellissoide di rotazione - un solido generato dalla rotazione di un’ellisse intorno al suo asse minore - essendo più schiacciata ai poli e più rigonfia all'equatore. 53 Come conseguenza della sfericità della Terra, se partiamo da un punto P e immaginiamo di viaggiare sempre in linea retta, possiamo ritornare al punto di partenza. È utile far notare ai bambini che il Sole è una stella comune, anche se questo può sembrare strano, poiché dall’esperienza sappiamo che le stelle sono visibili durante la notte mentre il Sole lo vediamo di giorno. Le altre stelle sono assai più distanti e quindi la loro luce ci appare molto più debole, come la luce di un lampione molto lontano. Quando il cielo è illuminato dal Sole, la sua luce ci impedisce di vedere quella di tutte le altre stelle. Per scorgere quei suggestivi puntini luminosi che trapuntano il cielo è necessario attendere il tramonto: guardando in direzione opposta al Sole possiamo vedere le prime stelle! Ma se osservassimo il Sole dall’esterno del Sistema Solare esso ci apparirebbe simile alle altre innumerevoli stelle che popolano l’universo. Gli astronomi dicono che il Sole è una stella relativamente piccola e tranquilla; nonostante questo, se la mettiamo a confronto della Terra le sue dimensioni risultano decisamente enormi: se prendiamo il raggio terrestre RT come valore di riferimento (circa 6.370 km), il raggio del Sole è 109 volte più grande e la distanza Terra-Sole è 23.500 RT. Di conseguenza il volume del Sole è circa 1.300.000 volte maggiore di quello della Terra (bisogna calcolare 109×109×109!). Figura 2 L’immagine rappresenta le dimensioni in scala della Terra e del Sole. La distanza, invece, non è in scala poiché, per rispettarla, avremmo dovuto collocare i due corpi a circa 13 m l’uno dall’altro. Il Sole è una gigantesca sfera di gas la cui densità risulta essere circa un quarto di quella terrestre a causa della prevalenza dell’idrogeno tra i suoi costituenti. La temperatura del Sole si aggira intorno ai 5.500 gradi Celsius sulla superficie e aumenta 54 addentrandosi verso il centro della stella. Per avere un’idea di quanto è caldo, basta pensare che quando cociamo una torta, il forno della cucina è solo a 200 °C. Il Sistema Solare è un insieme di corpi: ma com’è che questi restano legati assieme e quali sono i loro rapporti? Il Sole è il protagonista tra i molteplici attori ed è proprio lui a tenere legati a sé tutti gli altri corpi, creando quello che chiamiamo campo gravitazionale; la forza che attrae le masse si chiama gravitazione. Potremmo presentare questa forza agli alunni, paragonandola ad una sorta di “rete” invisibile che tiene legati i corpi, un po’ come la rete, nella foto qui sotto, tiene legati i pesci. Figura 3 In realtà ogni corpo attrae gli altri corpi, ma maggiore è la quantità di materia che un corpo contiene, tanto più forte è la sua attrazione rispetto a quella degli altri corpi. Il Sole è il centro d’attrazione del Sistema Solare proprio grazie alla sua massa. Nel 1684 Newton enunciò la legge di gravitazione universale: tra due corpi qualsiasi con masse m1 e m2, posti ad una distanza r, si esercita una forza attrattiva F proporzionale alle masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Ecco l’equazione che la descrive: F=G m1m2 r2 (G è chiamata costante di gravitazione universale e nel sistema internazionale di unità di misura ha un valore di circa 7 10– 11 = 0.00000000007). Se abbiamo un sasso in mano e lo lasciamo, certamente non ci stupiremmo nel vederlo cadere ai nostri piedi: la Terra attira il sasso, ma anche il sasso attira la Terra? Esperienza 3.a Contenuti Attrazione gravitazionale 55 Obiettivi specifici Capire intuitivamente che ciascun corpo esercita un’attrazione gravitazionale su tutti gli altri: maggiore è la sua massa, tanto più grande sarà l’attrazione che esercita sugli altri corpi, ma esiste comunque un’azione reciproca. Tempo di esecuzione 10 minuti Materiale occorrente Una fune Procedimento Prendere una fune e farla impugnare ad una estremità da un bambino e da alcuni suoi compagni di classe dall’altra. Il bambino da solo rappresenterà il sasso e i suoi compagni la Terra. Pronti, attenti, via: i bambini iniziano a tirare e, per quanta forza potrà avere chi si trova da solo, sicuramente verrà trascinato dagli altri, ma anche lui riuscirà a spostarli, sebbene di poco. Non è facile accorgersene, ma pensando che i compagni non farebbero alcuno sforzo se non ci fosse nessuno all’altro capo della corda può apparire più intuitivo! Si può dire che più grande è il corpo, maggiore è l’attrazione che questo corpo esercita sugli altri, ma esiste comunque un’azione reciproca. La Luna è attirata dalla Terra, ma anche la Terra è attratta dalla Luna? Sì, esse si attraggono vicendevolmente, così come il sasso e la Terra, con una forza identica, detta di gravità. Perché la Luna non cade sulla Terra? Proviamo a farcene una idea. La Luna possiede una certa velocità tangenziale46 rispetto alla Terra, che è il centro della sua rotazione; altrimenti, se la Luna non fosse in moto rispetto al nostro pianeta, precipiterebbe in breve tempo su di noi. In estate in riva al mare capita spesso di sfidare qualcuno in una gara di lancio di sassi. Chi sarà il vincitore? Se tutti i giocatori fanno partire il sasso dalla medesima altezza lanciandolo parallelo alla superficie dell’acqua, vince chi riesce a dotare la pietra della velocità più alta. Alla fine della corsa ogni sasso cade in acqua, ma cosa 46 In un moto circolare uniforme la velocità tangenziale è un vettore con modulo costante e direzione variabile poiché sarà sempre tangente alla circonferenza (cioè passante per un punto della circonferenza e perpendicolare al raggio in detto punto). 56 accadrebbe se riuscissimo a lanciare il nostro sasso con velocità sempre maggiore? Cadrebbe sempre più lontano, finché, se riuscissimo a raggiungere l’eccezionale velocità di quasi 40.000 km/h, la pietra non toccherebbe più terra (ovviamente nella condizione ideale in cui non ci fosse alcun attrito); percorrerebbe piuttosto una traiettoria chiusa attorno al nostro pianeta: entrerebbe cioè in orbita attorno alla Terra! Questo è proprio ciò che accade al sasso gigante che ruota attorno al nostro pianeta, cioè la Luna: cade sulla Terra, ma la manca continuamente. Esperienza 3.b Contenuti La velocità di rotazione della Luna fa sì che il nostro satellite si muova in orbita attorno alla Terra alla distanza di circa 400.000 km.47 Obiettivi specifici Capire intuitivamente che se lanciassimo un corpo verso lo spazio con una velocità sufficientemente alta questo corpo entrerebbe in orbita, rotando “eternamente” intorno alla Terra; qualora, invece, la sua velocità non fosse sufficiente esso ricadrebbe inevitabilmente sul pianeta. Tempo di esecuzione 10 minuti Materiale occorrente - Una palla - Un piombino - Filo metallico - Gancetto Procedimento Inserire un’estremità del filo metallico (di circa 30 cm di lunghezza) nel buco per l’aria di un pallone da calcetto. Legare l’altra estremità ad un gancetto e fissare al medesimo gancio, un filo di spago di circa 50 cm a cui si era precedentemente attaccato un piombino. 47 L’orbita è ellittica; nel punto di massima distanza dalla Terra (apogeo) la Luna dista circa 406.000 km, mentre al perigeo, il punto più vicino, la distanza è di circa 363.000 km. 57 Tenere con una mano il gancetto a cui risultano appese le due sfere rappresentanti rispettivamente la Terra e il suo satellite. Con le dita dare un leggero colpetto al piombino: cosa accade? Il piombino si solleva per poi ricadere più o meno nello stesso punto della superficie della palla. Provando invece a spingere lateralmente il piombino si nota che questo ricadrà ad una certa distanza dal punto di partenza. Ripetere l’esperimento imprimendo una maggiore forza al piombino: percorrerà l’intera orbita prima di tornare al punto di partenza. Provare infine ad allontanare il satellite dalla palla-Terra con un colpetto e con un secondo a spingerlo parallelamente alla superficie: la sferetta gira intorno alla palla senza toccarla; è dunque entrata in orbita e continuerebbe a rimanervi se non fosse per l’attrito dell’aria che a poco a poco rallenta la sua corsa. Esperienza 3.c Contenuti L’attrazione gravitazionale fa sì che un corpo dotato di una certa velocità di partenza orbiti lungo una traiettoria circolare attorno ad un altro corpo senza cadervi sopra. La Luna è come un enorme proiettile lanciato con una velocità tale da non riuscire più ad atterrare. D’altra parte la Luna non si allontana perdendosi nello spazio perché la forza di gravità della Terra, attraendola, la fa ininterrottamente cadere su di sé ma la superficie terrestre sfugge continuamente sotto al suo satellite impedendo così alla Luna di raggiungerla. Obiettivi specifici Ammettere che la Luna è trattenuta nella sua orbita dalla stessa forza che fa cadere un sasso sulla Terra ha rappresentato una delle imprese titaniche della scienza; figuriamoci se può risultare immediatamente comprensibile ad un bambino! Ma è proprio questo l’obiettivo: prendere coscienza del fatto che due corpi qualsiasi – due stelle, la Terra e il Sole, due tavoli così come due atomi o qualsiasi altra cosa – 58 si attraggono con una forza che è direttamente proporzionale alle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Tempo di esecuzione 10 minuti Materiale occorrente - Una cordicella - Una palla Procedimento Prendere una palla e legarla ad una cordicella. Un bambino impugna la cordicella e inizia a farla rotare in un piano verticale: sentirà la tendenza della palla ad allontanarsi, vinta però da qualcosa che la trattiene. Se ad un certo punto della rotazione si lascia la presa del cordino la palla vola via. È la medesima cosa che succede alla Luna, che orbita attorno alla Terra. Proprio come la palla, essa cerca di allontanarsi ma qualcosa la trattiene. Naturalmente nel nostro esempio è la cordicella a trattenere la palla, ma cosa trattiene la Luna? È la forza di gravità; essa modifica continuamente la direzione del moto della Luna, come se vi fosse un filo a trattenere legato alla Terra il suo satellite, impedendogli di “partire per la tangente”. È la presenza congiunta della forza di attrazione gravitazionale e della velocità di rotazione a dar luogo al girotondo lunare; altrimenti, in assenza di altri corpi, la Luna procederebbe indisturbata lungo una linea retta!48 48 Il primo principio della dinamica afferma, infatti, che un corpo continua a rimanere nel suo stato di quiete o di moto uniforme in linea retta fino a che la risultante delle forze che agiscono su di esso è nulla. 59 4. Primo incontro svolto in classe Perché tutto cade? Storia di una misteriosa forza La “storia della grande G” è una lunga storia che copre molti anni di ricerche e di scoperte. Tutto cominciò nell’autunno del 1665 quando Isaac Newton era seduto nel suo giardino all’ombra di un grande albero; mentre la sua mente viaggiava assorbita da mille pensieri una mela cadde… e fu proprio allora che Newton formulò il grande interrogativo che avrebbe portato ad una delle più sensazionali scoperte: “Perché tutto cade?”. C’è forse una qualche forza invisibile che trascina gli oggetti verso terra? Ammettendo che l’albero cresca tanto da raggiungere la Luna, la mela cadrebbe lo stesso? Perché non dovrebbe? Ma se questo è vero perché la Luna non cade sulla Terra? Ho rivolto queste domande agli alunni come punto di partenza del nostro percorso sulla gravità. Figura 4 Per essere il primo incontro le domande formulate in apertura erano già molte e di notevole portata. Questa prima lezione sulla gravità è stata guidata da una storia a cui non ho saputo rinunciare;49 appena letta ne sono rimasta immediatamente colpita per la perfetta sintesi tra semplicità e “scientificità”. Si percepisce l’origine del testo partorito da un fisico con l’esigenza di rivolgersi ad un pubblico “piccolo”, che incessantemente si interroga su questa forza sperimentata nella vita di tutti i giorni, nel tentativo – ben riuscito! – di fornire delle risposte corrette e, al tempo stesso, a portata di bambino. Le discussioni e le esperienze si sono perfettamente inserite nello sviluppo della storia (di cui riporto alcuni brani nei paragrafi che seguono). 49 Il libro cui si fa riferimento in questa e nel corso delle prossime pagine è La Gravità o perché tutto cade. L’autore, Jean-Philippe Uzan è un fisico, ricercatore del CNRS che lavora presso l’Istituto di Astrofisica di Parigi dove si occupa, in particolare, di gravità e cosmologia. 60 4.1 Perché tutto cade? Alice – […] perché le cose cadono? Marie – Perché vengono attratte dalla Terra. Alice – Ci prendi in giro, questa non è una spiegazione! Marie – È vero! Questa attrazione in realtà è la conseguenza di una forza che si chiama “gravitazione”. Antonio – Una forza? Cos’è?. Ho chiesto ai bambini cosa fosse, secondo loro, una forza. I propositi erano buoni, molte mani hanno cominciato ad alzarsi, ma una volta chiamati i bambini non riuscivano ad esprimere ciò che forse avevano confusamente nelle loro teste. Li ho rassicurati perché non era certo una domanda semplice. Marie – Una forza è un’azione che cambia il movimento di un oggetto. Un pallone che rimbalza, un aereo che decolla grazie alla spinta dei suoi motori, una porta che sbatte per una corrente d’aria, sono tutte conseguenze di una o più forze… Sandro – E la gravitazione? Marie – È la forza che fa sì che tutti gli oggetti, di qualunque tipo si attraggano a vicenda: i pianeti, le persone, le mele, tutto. L., anticipando la battuta successiva della nostra storia, interviene: “È una specie di calamita”. Più o meno… La differenza è che le calamite possono sia attrarsi che – e i bambini ancora rubando le parole alla storia hanno anticipato – “respingersi”(corsivo mio); la gravitazione, invece, è solo attrattiva. Due oggetti non si possono mai respingere. Si attraggono a distanza, senza bisogno di toccarsi. Sandro – Vuoi dire che tutte le cose, tutto quello che ci circonda, l’altalena, la panchina, i tavoli, si attraggono continuamente? Anche noi? Marie – Esattamente! Si dice che la gravitazione è “universale”: significa che niente e nessuno può sfuggirle. Giustamente M. osserva: “Ma questa forza non la sentiamo”. Anche i bambini della nostra storia restano perplessi: Antonio – C’è qualcosa che non torna! In questo momento sono accanto a Sandro, eppure non ci stiamo attirando a vicenda. Avete proprio delle strane idee, nella famiglia Cosmo! Marie – La tua osservazione è giustissima! Per farvi capire perché non sentite questa attrazione devo dirvi qualcosa di più. Abbiamo fatto alcuni esempi con delle biglie: ho mostrato ai bambini due biglie identiche; ammettendo che pesino entrambe 1, se sostituiamo una delle due biglie con un’altra che pesa il doppio si attireranno due volte di più. Se, invece, le 61 sostituisco entrambe con due biglie che pesano 2, quante volte si attrarranno in più? I bambini hanno risposto sicuri: “Quattro volte di più”. Quindi, più gli oggetti sono pesanti più – e i bambini di nuovo in coro – “si attraggono”! Bene, potevamo proseguire con la storia: Sandro – Per favore, Marie! Non siamo venuti ai giardini perché tu ci faccia ripassare le tabelline. Ci pensa già la maestra! […] ma Alice, impaziente, chiede: – E poi? Marie – La seconda cosa importante per comprendere la gravitazione è che più gli oggetti sono lontani l’uno dall’altro, meno si attraggono. Se le nostre biglie sono a un metro l’una dall’altra e le spostiamo a due metri di distanza si attraggono quattro volte meno, se le allontaniamo ancora fino a tre metri, nove volte meno. Ai bambini qualcosa non torna e attenti chiedono: “Nove? Perché?”. Ottima domanda, mi complimento con loro. Questa Forza, allontanando i corpi, diminuisce con il quadrato della distanza: se le biglie fossero distanti 6 metri si attrarrebbero…ma non riesco a concludere la frase che E. esclama “36 volte meno”! Così, capisco che il concetto di quadrato della distanza non gli era affatto sconosciuto. Quindi per comprendere la gravitazione dobbiamo sapere come si attraggono due oggetti: Più gli oggetti sono pesanti, più si attraggono. Più gli oggetti sono lontani l’uno dall’altro, meno si attraggono. Sandro, sempre pensieroso, riassume mentalmente quello che ha appena detto Marie: “più pesante, attrae di più; più lontano, attrae meno”, ma Antonio ha l’impressione che la sua domanda non abbia ricevuto risposta, e insiste: – E questo ci dovrebbe spiegare perché io e Sandro non ci attiriamo a vicenda? Marie – Devi immaginare che tu e Sandro vi attirate effettivamente l’un l’altro, ma in modo molto debole. Anche solo un soffio di vento è più forte. Se pesaste una tonnellata ciascuno e vi trovaste a dieci centimetri l’uno dall’altro, vi attirereste un milione di volte meno di quanto la Terra attira voi. Mostro ai bambini una gomma da cancellare: se lasciamo cadere questa gomma da una certa altezza dove andrà a finire? Bambini: “Per terra!” Bravissimi, e chi l’avrà attirata? Bambini: “La Terra”. Giusto, ma le masse si attirano a vicenda… Angelo attira Bianca e Bianca attira Angelo. Nell’esempio che abbiamo appena fatto i corpi in 62 questione erano la gomma e la Terra; la Terra attira la gomma, ma la Terra sarà attirata dalla gomma? Bambini: “No”, e qualcuno aggiunge “Perché se no si sposterebbe!”. Facciamo un esperimento. Per prima cosa abbiamo spostato alcuni banchi per avere uno spazio sufficientemente grande di fronte alla cattedra. Abbiamo preso una lunga fune gialla che è stata impugnata ad un capo da una bambina sola e dall’altro da una decina di suoi compagni.50 Quando questi iniziano a tirare,51 sebbene all’altro capo ci sia C. che tenta con tutte le sue forze resistere, a nessuno sembrerà di durare alcuna fatica per spostarla e condurla in giro per la classe; ma la presenza di C. influisce comunque, seppur in minima parte, a opporre una certa resistenza. Ad ogni azione corrisponde una reazione: in questo caso la forza pur piccolissima di C.! I bambini ne hanno avuta conferma provando a tirare la corda, questa volta senza la presenza di C. all’altro capo della fune. Figura 5 Allora, tornando al nostro esperimento, la Terra verrà attratta dalla gomma o no? La maggior parte dei bambini risponde sicura “Sì!”; soltanto un paio ancora esitano a crederlo. Ma com’è la massa della Terra in confronto a noi? Bambini: “Immensa”, “Enorme”. Marie – […] Intorno a noi ci sono un sacco di cose che ci attraggono in tutte le direzioni – gli alberi, le case, le macchine, le altre persone… – ma, alla fine, siamo sensibili soltanto all’attrazione della Terra, perché è molto più pesante di tutto il resto. Antonio – Ma, se ci allontaniamo dalla Terra, ci attirerà di meno? 50 Vedi Esperienza 3.a, descritta a p. 55. Ho ritenuto necessario fare una premessa per evitare ogni tipo di pericolo: a C. era concesso di tirare fuori tutte le sue forze per opporre la massima resistenza. Al contrario era necessario che gli altri non mettessero molta forza nel tirare perché, era evidente prima ancora di iniziare l’esperienza, avrebbero potuto farla cadere. 51 63 Chiedo ai bambini di esprimersi e la loro risposta negativa mi fa capire che ancora il concetto non è stato assimilato; devono ancora appropriarsene. Ma non è poi così strano se pensiamo a quanto sia controintuitivo! Abbiamo detto che questa forza dipende dalla massa e dalla… “distanza”. Benissimo, e sappiamo anche che più ci allontaniamo… “meno ci attira”, più debole è la forza: quindi se ci allontaniamo dalla Terra, la forza con cui la Terra ci attrae cambia! Marie – […] Per tutti noi che viviamo sulla Terra, la conseguenza più importante della gravitazione è l’attrazione da parte del nostro pianeta, la Terra, perché è l’oggetto più pesante e più vicino a noi. È quello che chiamiamo “forza di gravità”. Si tratta, quindi, di un caso particolare della legge di gravitazione e ciò spiega perché tutti gli oggetti cadono verso la Terra, tutti allo stesso modo. 4.2 Gli oggetti più pesanti cadono più velocemente? Antonio – Tutti allo stesso modo, ne sei proprio sicura? Se facciamo cadere un foglio e un quaderno dalla stessa altezza, chi dei due arriverà a terra per primo? Tutti i bambini rispondono all’unanimità: “Il quaderno”. Questa previsione ha trovato conferma in un’esperienza diretta. Se, invece, lasciamo cadere dalla stessa altezza due fogli di carta identici, uno dei quali accartocciato a pallina e l’altro no, quale dei due arriverà per primo a terra? I bambini rispondono ancora una volta senza alcuna esitazione: “Quello a forma di pallina”. Ancora una volta abbiamo avuto la riprova sperimentale: Figura 6 64 Ho chiesto ai bambini quale fosse, secondo loro, la causa del fenomeno osservato. B.: “Il foglio è più sottile e quindi ha meno peso rispetto alla pallina”. Ma abbiamo detto che i fogli sono identici e quindi contengono la stessa quantità di materia. Sprono i bambini ad avanzare altre ipotesi. M.: “La massa è più concentrata nel foglio accartocciato mentre nel foglio disteso è meno concentrata e ci mette di più”. L.: “È più attirato dalla terra”. Ripensiamo a ciò che abbiamo detto prima: da cosa dipende come si attirano due corpi? E.: “Dalla massa e dalla distanza”. Ammettiamo che siano alla stessa distanza, la Terra è sempre uguale a se stessa e i due fogli hanno la stessa massa; quindi dovrebbero attirarsi esattamente nello stesso modo. A.: “Il foglio normale è più lento perchè c’è più aria”. È esatto; è quello che aveva detto M. affermando che la massa è sempre la stessa ma nel foglio liscio è più estesa, meno concentrata e quindi l’aria fa più attrito. L’aria, infatti, benché sia inodore, invisibile e non si possa neppure toccare è pur fatta di qualcosa. La Terra è abbracciata dall’atmosfera che è fatta di aria; e che cos’è secondo voi? B.: “È l’ossigeno”. P.: “È un gas”. Bravissimi, è un gas è fatto di… “particelle”, dice M., e poi prosegue: “il foglio disteso incontra più particelle”. L’aria è formata da innumerevoli particelle in movimento che disturbano la caduta degli oggetti. Essa ha un effetto grande sugli oggetti estesi e leggeri poiché nella caduta incontrano più particelle dell’aria. Ecco perché il foglio accartocciato incontra meno resistenza dell’aria rispetto a quello integro, proprio per la forma che gli abbiamo dato. E se il foglio lo mettiamo sopra al quaderno, cosa accadrà? A.: “Il quaderno è più veloce e il foglio si stacca dal quaderno”. P.: “Il foglio è meno pesante”. M.: “La pesantezza del quaderno fa aumentare la velocità”. Anche questa volta abbiamo fatto ricorso ad una prova pratica: 65 Figura 7 Che cosa è successo? E.: “Le due cose si attirano perché sono unite. Cioè il foglio e il quaderno si attraggono e per questo rimangono appiccicati”. Ma allora anche tu e A. dovreste appiccicarvi! È ciò che non tornava a M., che poco fa chiedeva perché non si sentisse attirato dal banco o dal suo astuccio; abbiamo detto che noi questa forza non la percepiamo perché è troppo debole al punto che un battito di ali di farfalla è più forte, ma sentiamo la cosa più grossa che c’è, la massa della Terra che ci tiene legati al suolo. Proviamo a cercare altre soluzioni possibili. L.: “Il foglio sta attaccato al quaderno ed è più leggero. Non incontra delle particelle sicché va più veloce perché è protetto dal quaderno”. A.: “Gli fa da scudo e incontra meno particelle”. Molto bene. Il foglio si trova la strada spianata perché è il quaderno che per primo incontra l’aria ed è proprio lui a tagliarla. Se non ci fosse l’aria tutti gli oggetti cadrebbero nello stesso modo, indipendentemente dalla massa e dal materiale di cui sono fatti. Antonio – Sì, ma un oggetto più pesante cade più velocemente. Lo sanno tutti! Sicuramente vi sarà capitato di vedere alla televisione un paracadutista che si lancia da un aereo: secondo voi pesa di più prima o dopo il lancio? 66 G.: “È più pesante prima”. E.: “Pesa di più quando si apre”. D.: “Pesa di più chiuso”. E secondo voi cade più velocemente prima o dopo aver aperto il paracadute? Ho chiamato una bambina, la quale dopo essere salita in piedi su una seggiola ha lasciato cadere un paracadutista di plastica col suo paracadute chiuso e successivamente una seconda bambina lo ha fatto cadere col paracadute aperto: cosa succede? Figura 8 M.: “Quando si apre il paracadute fa attrito perché prende sotto tutte le particelle”. P.: “Hanno lo stesso peso ma diverso attrito quando il paracadute è chiuso o aperto”. Marie – Esatto! Il paracadute frena a causa dell’aria che lo gonfia e dell’attrito dell’aria che lo rallenta. […] Se sulla Terra non ci fosse l’aria… cadrebbero allo stesso modo. Se andiamo sulla Luna, dove non c’è atmosfera, e lasciamo cadere dalla stessa altezza un chilo di piombo e un chilo di piume, questi raggiungeranno il suolo esattamente nello stesso istante, anche se stentiamo a crederlo perché intorno a noi l’atmosfera rallenta più le piume del piombo. Alice – Ma io continuo a non capire, quello che hai detto non è logico! Hai detto che, nel caso di oggetti più pesanti, l’attrazione è più forte. Allora la Terra deve attirare di più gli oggetti pesanti che non quelli leggeri. Questo sì che sarebbe logico! Marie – Hai ragione, Alice, un oggetto più ‘pesante’ viene attratto maggiormente dalla Terra rispetto ad un oggetto leggero. Ma ciò non significa che cada più velocemente. Bisogna fare una distinzione tra la 67 forza con cui un oggetto viene attratto verso la Terra e la velocità con cui cade. Immaginiamo che sulla Terra non ci sia l’aria che fa attrito. Se consideriamo un pallone e una biglia, la Terra attira entrambi ma le masse più grandi si attirano di più; quindi la Terra chi attira di più in questo caso? “Il pallone”. Ma allora perché se non ci fosse l’aria dovrebbero arrivare in terra nello stesso momento? “Forse perché la biglia è fatta di un materiale più pesante”. Ma abbiamo detto che in assenza di aria, piume, oro, legno, pietre, qualsiasi cosa arriverebbe esattamente nello stesso momento. Facciamo un esempio per capire meglio: se dobbiamo mettere in movimento due carrelli, uno dei quali pesa il doppio dell’altro, quale dei due dobbiamo tirare con più forza? Figura 9 “Quello che pesa il doppio!” rispondono tutti i bambini. Perché la palla e la biglia arrivano insieme a terra? È vero che la palla ha una massa maggiore rispetto alla biglia, ma è anche vero che la Terra la attira con una forza maggiore. Per visualizzarlo disegneremo la freccia che indica l’attrazione più lunga rispetto a quella della biglia. I due oggetti cadono insieme, con la stessa velocità. Marie – Ricordate: un oggetto due volte più pesante di un altro viene attratto precisamente due volte di più dalla Terra. Nel vuoto, quindi, i due oggetti cadranno con la stessa velocità, anche se non hanno la stessa massa. 68 4.3 Il peso e la massa sono la stessa cosa? Marie – La massa indica la quantità di materia di un oggetto. Non dipende dal luogo in cui ci si trova. Il peso è il modo in cui questa massa viene attratta dalla Terra o da un altro pianeta, e quindi può dipendere dal luogo in cui ci si trova. “Perché sulla Luna si possono fare dei grandi balzi?”. La domanda sollevata da M. ad inizio lezione era stata lasciata in sospeso ed era giunto il momento per risolverla e quindi la ripropongo ai bambini; uno di loro avanza la seguente ipotesi: “Perché la Luna pesa meno rispetto alla Terra; la Luna è più piccola, pesa di meno e attrae di meno.” Se viaggiando arrivassimo sulla Luna che ha una massa molto più “piccola” della Terra, come sarebbe la forza con cui verremmo attratti? “Molto più debole”, rispondono correttamente i piccoli scienziati! Figura 10 Una persona che sulla Terra pesa ottanta chili, una volta arrivata sulla Luna – nonostante la sua massa rimanga sempre la medesima – si sentirebbe molto più leggera: riuscirebbe a fare dei grandi balzi e salendo sulla bilancia vedrebbe che il suo peso sarebbe sceso a circa tredici chili (senza neppure lo sforzo della dieta!). Ho mostrato ai bambini questi disegni da me realizzati (v. figure 10, 11, 12). 69 Figura 11 La gravità è l’attrazione che subiamo da parte del nostro pianeta; se il pianeta è più pesante…ci attrae di più! Su Giove nessun essere umano riuscirebbe a muoversi facilmente. La gravità è tale che il peso di un uomo di ottanta chili su quel pianeta corrisponderebbe a un uomo di duecento chili sulla Terra! Figura 12 70 4.4 Dov’è il basso? Sandro – Ci parli sempre di oggetti che cadono a terra, la gravità li attira verso il basso, e va bene. Ma dall’altro lato della Terra […] Già, che succede dall’altra parte della Terra? Alla lavagna un bambino viene invitato a disegnare la Terra e a collocarci sopra due bambini, uno al polo nord e l’altro al polo sud. Questo è il risultato: Figura 13 Sono bastati pochi secondi perché molte mani si protendessero verso l’alto, pronte a proporre nuove ipotesi; quindi un altro bambino ha disegnato alla lavagna la propria idea: Figura 14 Dopo una discussione collettiva tra le due ipotesi, tutti i bambini a poco a poco si convincono per la seconda soluzione, anche se non mancano le proposte più bizzarre o le domande interessanti come quella di P.: “Ma se un bambino dal polo 71 nord volesse andare al polo sud e per arrivarci facesse una buca lunghissima sbucherebbe dall’altra parte a testa all’ingiù”! Un’altra bambina viene chiamata alla lavagna. Le chiedo di immaginare che questi due bambini, che si trovano vicino ai due poli terrestri, abbiano in mano una pietra ciascuno: se la lasciano andare dove cadrà? E. disegna due frecce rivolte verso il pavimento della nostra classe; chiedo se qualcuno la pensa diversamente. L.: “Secondo me non è possibile che il sasso del bambino al polo sud cada in su”. Secondo te dove va? La invito a mostrarci la sua ipotesi disegnandola alla lavagna. Ecco che la freccia del sasso lanciato dal bambino del polo sud viene rivolta verso la superficie terrestre; alcuni suggeriscono poi di prolungare la freccia fino al centro della Terra ed oltre, a raggiungere l’estremo opposto. Figura 15 Non avevamo ipotizzato la presenza di gallerie che attraversassero il globo terrestre, ma sono i bambini a porre la domanda: “Ma se c’è un piccolo tunnel che passa dal nucleo della Terra e arriva dall’altra parte, quelli che si trovano di là come ricevono il sasso?”. Decido allora di sottoporre loro un’ulteriore situazione problematica, mostrando un’immagine della Terra con due ipotetici tunnel, l’uno congiunto col centro della Terra e l’altro leggermente deviato rispetto ad esso. Figura 16 72 Chiedo: “Secondo voi la pietra che direzione prende?” Tutti rispondono all’unisono: “Il tunnel numero 2”. Perché? L.: “Perché è il nucleo che attira le cose”. M.: “Per me il sasso rimane al centro della Terra”. Siete davvero in gamba! Marie – Secondo voi, come si fa a stabilire dove si trova il basso? Alice – Si potrebbe dire, forse, che il basso è la direzione in cui cade un oggetto… Antonio – Così, ognuno avrebbe il “suo” alto e il basso sarebbe verso il centro della Terra. Figura 17 Marie – […] l’attrazione da parte della Terra attira tutti gli oggetti verso di essa, ovunque ci si trovi, in Italia, in Cina o in Patagonia… È per questo che l’acqua degli oceani non scorre via verso lo spazio, ma continua a circondare la Terra. Sulla superficie terrestre agisce tale forza ed è abbastanza potente da tenerci ancorati a terra. Una vera fortuna, no? 4.5 Perché la Luna non cade sulla Terra visto che tutto attira tutto? Se salgo in cima ad una collina e lancio un sasso questo cadrà alcuni metri più in là. Figura 18 73 Ma cosa accadrebbe se il sasso venisse lanciato da un’altezza incredibile con una forza sovrumana? Figura 19 L.: “Arriva a metà”. B.: “Va a diritto”. M.: “Va nello spazio e poi torna indietro”. E.: “Rimbalza da una parte all’altra e gira intorno all’equatore”. D.: “Galleggia nello spazio”. Le idee sono assolutamente ricche di fantasia ma un po’ confuse. Proviamo a capire cosa accade al nostro pianeta e al suo satellite con l’aiuto di una pallone e di una pallina di creta precedentemente realizzata dai bambini.52 Il pallone rappresenta la Terra mentre la piccola sfera di creta simboleggia la Luna; le due sfere sono state collegate a due fili distinti, tenuti insieme all’altro capo da un nodo. Abbiamo posizionato il pallone sulla cattedra ed io sostenevo alla debita altezza il nodo affinché il filo congiunto con la Terra risultasse teso e verticale. Il nostro modello era pronto per l’uso: il cerchio dei bambini si è stretto attorno alla cattedra e uno di loro è stato chiamato per dare un colpetto al satellite, il quale si è spostato per ricadere poco oltre la posizione di partenza sulla superficie della palla; l’esperienza è stata ripetuta una seconda volta, imprimendo però una maggiore forza alla piccola Luna, che ha potuto rimanere in volo per un tratto maggiore prima di ricadere sulla superficie terrestre. Alla fine, con una spinta più grande, la Luna ha iniziato a rotare attorno alla sfera terrestre senza entrare in contatto con la sua superficie, proprio come se fosse entrata in orbita. 52 Vedi Esperienza 3.b, descritta a p. 57. 74 Figura 20 Il disegno a sinistra mostra un lancio immaginario tale da far entrare in orbita la pallina; a destra, invece, la foto del modello realizzato in classe e impiegato per condurre l’esperienza. A questo punto abbiamo ripreso la discussione iniziale sul sasso lanciato da una montagna con una velocità altissima: questo cadrebbe continuamente sulla Terra (così come la sferetta di creta sul pallone), ma la superficie terrestre è sferica e il sasso non la raggiungerebbe mai. Anche la Luna cade sulla Terra ma la manca continuamente! Sandro – Ma, la Luna, nessuno l’ha lanciata! Ci sono varie ipotesi sull’origine della Luna. Una di queste afferma che la Luna si sia formata da uno scontro tra un asteroide e la Terra: una parte dell’asteroide si è staccato e aveva proprio la velocità giusta per rimanere in orbita attorno alla Terra: proprio come la pallina attaccata ad un filo che i bambini hanno provato a far rotare. Figura 21 75 Hanno potuto constatare che se lasciavano la presa del filo, la pallina schizzava via verso l’esterno (“La pallina tende ad andare via”, hanno detto), mentre se diminuivano troppo la velocità di rotazione la pallina cadeva.53 La Luna tenderebbe a viaggiare in linea retta, perdendosi nello spazio cosmico, ma qualcosa la trattiene in orbita attorno alla Terra: è proprio quella forza invisibile che chiamiamo gravità. Ho chiesto ai bambini perché, secondo loro, la Luna e la Terra non cadono l’una sull’altra: E.: “È la forza di gravità”. A.: “È anche grazie alla velocità”. E.: “Con la velocità non cade e anche per il movimento rotatorio che fa”. A questo punto i bambini hanno ripetuto l’esperienza, questa volta con la pallina posta all’interno di un secchiello legato ad una cordicella, verificando che la pallina resta nel secchiello anche quando questo è rovesciato verso il basso, purché sia in movimento con una velocità di rotazione sufficientemente alta. Figura 22 La gravità attira sempre la pallina verso il suolo ma l’effetto della rotazione compensa la forza di gravità impedendo alla pallina di cadere fuori dal secchiello. Proprio quello che succede alla Luna! 53 Vedi Esperienza 3.c, descritta a p. 58. 76 5. Progettazione del secondo incontro Dimensioni e distanze relative del sistema Terra-Sole Prima di addentrarci in uno studio guidato ed approfondito del Sistema Solare è opportuno capire come i bambini lo immaginano per valutare quali siano i loro preconcetti. È utile quindi proporre un iniziale brainstorming per fare emergere gli stereotipi di un’astronomia che sovente si avvicina più alla fantascienza che alla scienza. Invitare i bambini a disegnare il Sistema Solare così come lo immaginano consentirà di riproporre lo stesso disegno a conclusione del progetto come verifica dell’apprendimento dei concetti di base. Le dimensioni e le distanze sono un nucleo concettuale fra i più importanti in Astronomia. Non è per niente intuitivo per i bambini capire quale sia il rapporto tra le dimensioni dei corpi celesti e le distanze nel cosmo, né i libri di testo in genere facilitano la comprensione di questo concetto. Comprensibili esigenze di impaginazione costringono spesso a raffigurare il Sistema Solare sui libri di testo senza alcun rispetto della scala delle distanze dei pianeti dal Sole. Questo è un tipico esempio di rappresentazione sbagliata che contribuisce a cristallizzare una misconcezione formatasi spontaneamente e che diventa un ostacolo alla formazione del concetto corretto alimentando equivoci e problemi nell’apprendimento degli allievi. Questa lezione si propone di introdurre al confronto delle dimensioni del Sole e della Terra. L’unità si articola in due fasi: la prima fase parte dal confronto tra i diametri dei due oggetti per giungere alla costruzione, in scala, di modelli piani, mentre la seconda prevede la realizzazione di modellini tridimensionali. Lo studio del sistema potrà portare ad utilizzare due diverse scale di rappresentazione (una per le dimensioni intrinseche del Sole e del pianeta Terra, l’altra per la distanza reciproca) a seconda dello spazio che si ha a disposizione. Esperienza 5.a Contenuti - Misura di lunghezze - Calcolo di superfici - Unità di misura di lunghezza e di superficie - Rapporti tra unità di misura 77 Obiettivi specifici - Misurare dimensioni lineari e superficiali. - Confrontare il diametro della Terra con quello del Sole. - Confrontare la superficie della Terra con quella del Sole (considerando i due corpi come se fossero superfici piane). Tempo di esecuzione Circa mezz’ora Materiale occorrente - Coriandoli colorati (0,5 cm di diametro) - Un foglio di carta da pacchi Procedimento ¾ Confronto tra il diametro del Sole e il diametro della Terra. - Nel nostro caso assumeremo come modello rappresentativo della Terra un coriandolo con diametro di 0,5 cm. Recuperando da una precedente ricerca affidata ai bambini, o fornendo loro direttamente il valore del raggio della Terra e di quello del Sole, si scopre che è possibile rappresentare il raggio del Sole nella scala scelta incollando uno dopo l’altro 109 coriandoli (109 e’ il valore approssimato del rapporto fra i raggi del Sole e della Terra) per un confronto delle dimensioni lineari. - Discussione collettiva per confrontare i diametri dei due corpi e passare poi al confronto delle superfici ricavate a partire da tali diametri. ¾ Confronto tra le superfici del Sole e della Terra, considerati come oggetti piani. - A partire dal raggio ottenuto allineando 109 coriandoli, disegnare una circonferenza. Incollare tanti coriandoli fino a coprire l’intera superficie tenendo a mente il numero dei coriandoli utilizzati per giungere questa volta ad un confronto di superfici: quanti coriandoli-Terra sono necessari per coprire il cerchio del Sole (immagine bidimensionale)? - Far osservare ai bambini che il procedimento che abbiamo scelto non è esatto bensì approssimato, poiché tra un coriandolo e l’altro rimangono spazi vuoti. 78 - Discussione collettiva per mettere a confronto le superfici dei due cerchi ottenuti con le previsioni precedentemente riportate nei disegni dei bambini, per passare infine a lavorare con i volumi. Esperienza 5.b Contenuti - Misura di volume - Concetto di vuoto di materia all’interno del Sistema Solare Obiettivi specifici - Comprendere la tridimensionalità del cielo. - Confrontare intuitivamente il volume della Terra con quello del Sole. - Acquisire l’idea che lo spazio compreso fra il Sole e i pianeti del Sistema Solare è “vuoto” di materia. - Capire che le dimensioni dei corpi del Sistema Solare sono estremamente piccole rispetto alle distanze che li separano. Tempo di esecuzione Circa un’ora Materiale occorrente - Materiale vario per la realizzazione di sferette di dimensione adeguata per la riproduzione di Terra e Sole in scala oppure biglie e palline di dimensioni varie e calibro per sceglierne due di dimensioni proporzionali a quelle reali. - Una cordella metrica Procedimento ¾ Riproduzione in scala del sistema Terra-Sole - Recuperare i dati necessari per la rappresentazione in scala del sistema Terra-Sole (dimensioni e distanza Terra-Sole). - Scegliere uno spazio opportuno all’aperto (corridoio, corte o giardino della scuola) dove riprodurre il sistema in scala: far misurare la massima distanza disponibile per posizionare i nostri corpi celesti. - Calcolare le dimensioni e le distanze in scala tenendo conto sia dello spazio 79 disponibile sia della successiva fase di costruzione della Terra e del Sole. - Costruzione dei modelli tridimensionali “sferici” in scala del pianeta Terra e della stella Sole dove la scelta del rapporto di scala spetta ai bambini. - Discussione collettiva sui modelli realizzati per far emergere che per rappresentare correttamente il sistema Terra-Sole dobbiamo tenere conto anche della distanza che li separa. - Posizionare sul terreno il Sole e misurare la distanza corretta a cui porre la Terra. - Far passeggiare i bambini all’interno del sistema in scala per mettere in evidenza il “vuoto di materia”. 80 6. Secondo incontro svolto in classe Dimensioni e distanze relative del sistema Terra-Sole La lezione si è aperta con una domanda: cosa significa disegnare qualcosa in scala? Ci sono state varie risposte, principalmente riferite alla scala alimentare oppure a sistemi di misura quali, ad esempio, la scala Richter o la scala delle eruzioni vulcaniche. Nessuno, insomma, aveva centrato il tema di cui volevo parlare. Ho provato quindi a sollecitarli con un esempio: se volessimo rappresentare via della Chiesa (dove si trova la scuola) e piazza Tasso su una pagina del vostro quaderno non avremmo sufficiente spazio, quindi dovremmo certamente “rimpicciolirle”. Ma di quanto? Se disegnassimo via della Chiesa così e piazza Tasso così cos’è che non avremmo rispettato? G.: “Le dimensioni”. M.: “Le misure”. Certamente, come abbiamo già detto le dimensioni non possono essere quelle reali, ma soprattutto un disegno così non sarebbe… “in scala”. Giusto! Avete mai sentito dire che una carta geografica – voi studiate le regioni e sui vostri libri ci sono le carte geografiche – oppure gli stradari – anche la mappa del vostro quartiere che avete in classe – sono in scala? Che cosa significa rappresentare in scala? “Devono essere ridotti nello stesso modo”, “Anche i modellini”. Sì, sono tridimensionali ma sempre in scala; domani quando andrete al museo di “Firenze com’era” vedrete il plastico della Florentia romana riprodotto in scala. Ho fatto alcuni esempi concreti per far capire agli alunni cosa significa ridurre in scala le dimensioni di un oggetto e come si procede nei casi concreti, per esempio quando vogliamo fare una rappresentazione in scala sul nostro quaderno. La scala è espressa dal rapporto tra la misura sulla carta e la misura reale. A questo punto ho chiesto ai bambini di disegnare sui loro quaderni la Terra e il Sole cercando di porre attenzione non tanto alla qualità artistica dell’immagine, quanto alle dimensioni dei due corpi: quanto immaginavano più grande il Sole rispetto alla Terra. 81 Figura 23 Alcuni disegni dei bambini. Spesso nei libri di scuola il Sole e la Terra non vengono rappresentati rispettando le proporzioni e ciò è dovuto al fatto che le dimensioni dei due corpi celesti sono molto diverse. Proviamo a capire come potremmo operare per riprodurre le loro dimensioni e la loro distanza in scala. Non è semplice immaginarlo perché si tratta di dimensioni enormi e anche perché noi siamo sulla Terra, facciamo parte del sistema e quindi non possiamo vederlo dall’esterno. Analizziamo questi dati, ma ci rendiamo subito conto che numeri così grandi sono difficilmente commensurabili a mente: Raggio terrestre (RT) = 6.370 km Raggio solare (RS) = circa 700.000 km Distanza media Terra-Sole (D) = circa 150.000.000 km Tutti voi avete disegnato sui vostri quaderni il Sole più grande rispetto alla Terra; ma come facciamo a sapere quanto è più grande? Dobbiamo capire quante volte il raggio terrestre è contenuto nel raggio solare. Purtroppo, contro ogni aspettativa, ho constatato che i bambini ancora non avevano studiato la circonferenza e quindi non sapevano neppure cosa fosse il raggio; con una piccola integrazione abbiamo colmato la lacuna e proseguito nel nostro percorso. E., quindi, suggerisce: “Si divide”; che cosa? “Il raggio del Sole diviso il raggio della Terra”. Bravi! Dobbiamo vedere quante volte il raggio della Terra sta dentro a quello del Sole come se lo riportassimo tante volte sino a coprire l’intero raggio solare e contassimo quante volte il raggio terrestre è contenuto all’interno di quello del Sole. L. munito di calcolatrice esegue l’operazione: 82 700.000 km : 6.370 km = 109 circa Questo significa che il raggio terrestre è contenuto più o meno 109 volte in quello del Sole; il raggio del Sole è uguale a 109 raggi terrestri: ↓ RS = 109 × RT E. vorrebbe fare la riprova ed accolgo la proposta poiché è proprio il modo di operare di un vero scienziato. Nonostante il Sole sia una stella classificata dagli astronomi come relativamente piccola, le sue dimensioni messe a confronto della Terra risultano decisamente enormi. La distanza tra la Terra e il Sole è circa 150.000.000 km: se prendiamo ancora una volta il raggio della Terra (RT) come valore di riferimento, quante volte sarà contenuto nella distanza Terra-Sole? 150.000.000 km : 6.370 km = 23.500 Domando: 23.500 cosa? L.: “Chilometri”. E.: “Centimetri”. Chiedo ai bambini di porre maggiore attenzione e A. annuisce aggiungendo “raggi terrestri”. La distanza tra la Terra e il Sole è 23.500 raggi terrestri. ↓ D = 23.500 × RT Su un foglio azzurro alcuni bambini hanno disegnato e ritagliato un cerchio con raggio pari a 0,7 cm. Come possiamo calcolare il raggio del Sole perché sia proporzionato alla nostra Terra? I bambini avanzano l’ipotesi di moltiplicare il raggio della piccola Terra azzurra per 109. Proprio in questo modo abbiamo calcolato quanto sarebbe dovuto essere il raggio solare perché il nostro disegno risultasse in scala. Armati di filo e un paio di lapis abbiamo improvvisato un bel compasso sufficientemente grande da permetterci di disegnare un cerchio di raggio pari a 76,3 cm. 83 Figura 24 La foto mostra alcuni bambini al lavoro. Una volta terminata l’opera, abbiamo posto accanto al gigante la piccola Terra: beh, la meraviglia non è stata poca nel constatare la grandezza del Sole rispetto al nostro pianeta; se la Terra che i bambini avevano disegnato sui loro quaderni non aveva dimensioni poi tanto diverse da quella del nostro esperimento lo stesso non si poteva dire per il Sole, decisamente più piccolo, rispetto a quello riprodotto in scala! Uno solo, tra tutti i bambini, aveva intuito che la differenza doveva essere ben marcata ed aveva quindi provveduto a sistemare il Sole in due pagine di quaderno, anziché nella singola e, peraltro, a disegnarne circa un quarto della sua superficie lasciando all’osservatore il dovere di prolungare con una linea immaginaria il cerchio solare. Niente male come considerazione, ma ancora molto lontana dalle giuste proporzioni! Figura 25 Nella foto si vedono il cerchietto azzurro, a simboleggiare la Terra, posto accanto al Sole, disegnato in lapis su un foglio di carta da pacchi, col diametro in scala con quello della Terra. Ma la Terra e il Sole sono dei cerchi? 84 A.: “Sono sfere”. Esatto! Il nostro pianeta non è affatto un cerchio piatto; quando però siamo a casa, camminiamo per strada, o adesso che siamo in classe, non ci sembra una sfera rotonda. Perché nella realtà di tutti i giorni la Terra ci appare piatta? “Forse perché è grande e non ci rendiamo conto che è tonda”, dice E., “come l’orizzonte”, aggiunge L. Avevano immediatamente centrato il bersaglio! Abbiamo fatto una semplice esperienza per ridurre lo sforzo mentale e vedere più da vicino cosa accade: ci siamo muniti di un palloncino e lo abbiamo gonfiato. Abbiamo notato che all’inizio la sua superficie è molto curva, ma via via che si gonfia essa si distende sempre un po’ di più. Se il palloncino è molto grande e lo guardiamo da una certa distanza la sua forma ci appare chiaramente sferica, ma se avviciniamo l’occhio alla sua superficie non siamo più in grado di apprezzare questa caratteristica. Figura 26 Le foto mostrano in successione un bambino mentre gonfia un palloncino, il palloncino fotografato da una certa distanza e, infine, una superficie ridotta del medesimo palloncino ottenuta avvicinando ad esso l’“occhio” della macchina fotografica. Ecco perché la Terra ci appare piatta: essa è molto grande e noi che viviamo sulla sua superficie riusciamo a vederne solo una porzione relativamente piccola, così la sua lieve curvatura ci appare piatta. La sfericità della Terra risulta, invece, evidente non appena ci si allontana. A questo punto volevamo riprodurre la nostra rappresentazione del sistema TerraSole in tre dimensioni! Ho fatto semplicemente un accenno al diverso comportamento del cerchio e della sfera per cui se raddoppiassimo il raggio non raddoppierebbero allo stesso modo l’area del cerchio e il volume della sfera. Ecco comparire in nostro soccorso un pallone da basket che rappresenterà… “la Terra”, suggeriscono i bambini. Li correggo, rappresenterà il Sole; agli sguardi perplessi dei bambini associo la meraviglia per un Sole di dimensioni tanto modeste da stare in una busta! Li rassicuro: avremmo trovato una sferetta tanto piccola da poter simulare il nostro pianeta in proporzione alle dimensioni del pallone; e, se ho scelto un Sole non 85 troppo grande un motivo c’è: questa volta disporremo Sole e Terra non l’uno a fianco all’altra, ma alla debita distanza, rispettandone le proporzioni! Il nostro pallone da basket ha il diametro di 24 cm e quindi il raggio di 12 cm: se esso rappresenta simbolicamente il Sole, quale dovrà essere il diametro della sferetta che rappresenterà la nostra Terra per essere in scala? Abbiamo discusso alcuni minuti prima di riuscire a formulare correttamente l’operazione necessaria per raggiungere il risultato finale. Ho scoperto che gli alunni hanno avuto alcune difficoltà, probabilmente dovute al fatto che il dividendo (12) era più piccolo del divisore (109) e questo a loro sembrava anomalo. Ho ripetuto ancora una volta la nostra deduzione; conoscevamo già la relazione tra i raggi del Sole e della Terra: quello terrestre è 109 volte più piccolo del raggio del Sole e lo stesso rapporto si ha fra i due diametri. I bambini, con l’aiuto della calcolatrice, hanno svolto la divisione e abbiamo trovato che: RT = 12 cm : 109 = 0,1 cm = 1 mm, e quindi il diametro della sferetta dovrà essere di 2 mm! Figura 27 Una sferetta con diametro 2 mm è posta accanto ad una moneta da 1 euro per rendere meglio l’idea delle sue dimensioni. Ho mostrato la sferetta, che mi ero precedentemente procurata, e nella sua piccolezza ha destato grande curiosità; le domande sono cadute a pioggia – dove l’avevo trovata, per cosa veniva utilizzata, di che materiale era fatta, ecc. – ma dopo una breve panoramica sulla sua identità ho richiamato l’attenzione chiedendo quale dato avremmo dovuto ancora ricavare per realizzare il nostro sistema. “La distanza”, mi hanno risposto i bambini in coro! I nostri sguardi si sono nuovamente rivolti verso la lavagna che conservava tutti i passaggi del ragionamento; la distanza tra la Terra e il Sole è 23.500 volte il raggio della Terra, quindi: D = 23.500 × 0,1 cm = 2.350 cm = 23,50 m E. mi suggerisce un’altra modalità con cui avremmo potuto ridurre le dimensioni del sistema: “Avremmo potuto prendere 6.370, che è il raggio della Terra, e considerarlo in cm anziché in chilometri”. Giusta osservazione: quello che ci aveva proposto E. 86 era un metodo corretto per ridurre in scala ma, nel nostro caso, le dimensioni sarebbero rimaste comunque troppo grandi e avremmo dovuto procedere dividendo per dieci, cento, mille, ecc. fino ad ottenere numeri compatibili con le distanze massime a nostra disposizione per riuscire a sistemare le due sfere alla debita distanza (nel nostro caso il corridoio). Chiedo ai bambini se, secondo loro, in classe abbiamo a disposizione 23,5 m, ma sono tutti concordi con L. che suggerisce di spostarci in corridoio; accolta la proposta, anticipo ai bambini che l’operazione dovrà svolgersi in un “rigorosissimo” silenzio per non disturbare le altre classi al lavoro. Prima di uscire sollevo un quesito: posizioniamo la sferetta-Terra ad un’estremità del corridoio, misuriamo 23,5 m e sistemiamo in questo punto il pallone-Sole; tornando nel punto in cui si trova la Terra come ci apparirà il pallone? “Piccolino, perché lo mettiamo a una distanza grande”. Provo a spiegarmi meglio con un’altra domandastimolo: ci sarà un’analogia, una somiglianza con la realtà? Il pallone lo vedremo più grande o più piccolo rispetto a come vediamo il Sole nella realtà? I bambini sono ancora propensi a sostenere la tesi secondo cui esso apparirà più piccolo, benché questa non sia retta da argomentazioni. Procediamo nella discussione collettiva: come abbiamo operato per ottenere tali misure e distanze? Non le abbiamo ridotte casualmente, ma… “in scala”. È vero che il Sole reale è molto, molto più grande del nostro pallone ma esso è anche molto, molto più distante da noi! Noi abbiamo calcolato esattamente a che distanza sarebbe il Sole se fosse grande come il pallone; non finisco di parlare che E. irrompe esclamando: “come la forma della palla!” e capisco, nonostante il discorso non sia ben articolato, che vuole essere la risposta al quesito iniziale; ha colto esattamente il punto. Non tutti ne sono convinti ma ci spostiamo per osservare direttamente ciò che avevamo immaginato mentalmente. Figura 28 I bambini al lavoro nel corridoio della scuola. 87 I bambini, muniti di rotella metrica, hanno provveduto a misurare, nel corridoio della scuola, ventitrè metri e mezzo per sistemare alle due estremità di tale distanza la sferetta ed il pallone. Figura 29 La foto è stata scattata in corrispondenza della posizione della sferetta; si vede, indicato dalla freccia rossa il pallone che rappresenta il Sole posto a 23,5 m di distanza dalla sfera. Dopodichè, posizionati in corrispondenza della sferetta che rappresentava la Terra, hanno osservato il Sole e verificato che le sue dimensioni apparivano simili a quelle del disco luminoso che vediamo in cielo. Le proporzioni erano mantenute! 88 Che cos’è l’universo per un bambino? E quanto è grande nel suo immaginario? Probabilmente diventa tanto più grande quanto più spazio ha a disposizione per calpestarlo con i suoi piedi in un sistema tridimensionale che ne riproduca le proporzioni e, quindi, quanto più il suo sguardo diventa sensibile a ciò che si estende intorno e sopra di noi. Se il pensiero pone le sue basi sull’aver visto, toccato, incontrato, esperito, allora è possibile che abbiano luogo operazioni di generalizzazione ed astrazione pur sempre connotate di significato e coscienza. Occorre potenziare tutte le capacità percettive per imparare a “fidarsi” dei propri sensi, mettendoli massimamente a frutto come mezzi d’indagine senza rischiare però di esserne ingannati! 89 7. Progettazione del terzo incontro Luminosità vera e apparente delle stelle Quante volte si alzano gli occhi al cielo per godere dello spettacolo che ogni notte – nuvole a parte! – compare sopra di noi. Oggi la maggior parte dei ragazzi vive in città ed è sicuramente più difficile poter contemplare tale bellezza a causa dell’illuminazione artificiale e delle polveri diffuse nell’atmosfera che limitano la visibilità delle stelle. Ma chi ha trascorso una serata estiva in campagna o sulla spiaggia sotto il cielo stellato si sarà sicuramente interrogato sulla natura di questi affascinanti corpi celesti! Le stelle sono oggetti lontanissimi che vengono generalmente identificate in base alla costellazione di appartenenza (gruppi di stelle a cui l’uomo, fin dall’antichità, ha dato nomi legati alle figure mitologiche che sembravano disegnare sulla volta celeste). Nei secoli passati si è creduto a lungo che le stelle fossero tutte alla stessa distanza da noi; oggi sappiamo che non è affatto così. La stella più vicina alla Terra si trova nella costellazione del Centauro; Proxima Centauri, questo il suo nome, si trova a 4,3 anni luce54 da noi (che corrispondono a 40 mila miliardi di chilometri) e ciò significa che quando giunge a noi la sua luce ha viaggiato per oltre 4 anni. Il Sole è una normale stella e ci accorgiamo tutti i giorni che, non appena sorge, la sua luce è sufficiente ad illuminare il cielo intero; come si spiega allora il fatto che le innumerevoli stelle della Galassia (circa 100 miliardi) non illuminano il cielo notturno? Perché la distanza delle stelle è enorme e, nonostante siano moltissime, la loro luce ci arriva molto debole. Ma se queste sono le distanze, come fanno gli astronomi a studiare le stelle? Essi ricavano una grande quantità di informazioni importantissime dalla luce (dove si trovano, se sono giovani o vecchie, come si muovono nello spazio, ecc.). In realtà, la luce ci dice come la stella era in passato. Quanto più la stella è lontana, tanto più tempo ha impiegato la sua luce per giungere fino a noi. Nel frattempo è sicuramente invecchiata e potrebbe addirittura esser morta. 54 L’anno luce (a.l.) è una delle unità di misura che gli astronomi usano per misurare la distanza delle stelle: un anno luce è la distanza che la luce percorre nel vuoto in un anno; tenendo conto che la velocità della luce è circa 300.000 km al secondo, la distanza percorsa in un anno ammonta a circa 9.500 miliardi di km. 90 Le stelle che possiamo vedere ad occhio nudo sono circa 5.000: come fanno gli astronomi a studiare le innumerevoli stelle più deboli o quelle che l’occhio umano non può neppure percepire? A partire dalla messa a punto del cannocchiale di Galileo, da cui sono derivati i più potenti e sofisticati telescopi moderni, l’indagine dell’universo si è spinta verso confini sempre più lontani. Come può essere d’aiuto uno strumento come il telescopio? Il telescopio è costruito in modo da raccogliere con uno specchio più luce possibile. Oggi si realizzano telescopi enormi con specchi del diametro di alcuni metri. Maggiore è il diametro, maggiore è la quantità di luce raccolta; questo è di fondamentale importanza per catturare la luce delle stelle più deboli. Per capire meglio, possiamo immaginare il flusso della luce proveniente dalle stelle più brillanti come il flusso di una fitta ed incessante pioggia. Quello che a noi interessa, è scoprire più stelle possibili; dunque stelle sempre più deboli, che possiamo paragonare ad una timida pioggerellina: se non sussiste alcuna difficoltà a raccogliere gocce di pioggia torrenziale anche con un semplice bicchiere – quindi, fuor di metafora, a raccogliere la luce dei corpi più brillanti col nostro occhio – la faccenda diviene più complessa allorché il numero di gocce si faccia sempre più rado e meno frequente: il bicchiere dovrà essere sostituito con un secchio tanto più largo quanto minore è il numero di gocce che cadono dal cielo. Cosa accadrebbe, infatti, se piovesse e in giardino avessimo disposto due bacinelle di diversa grandezza? Così come il telescopio raccoglie più luce del nostro occhio, allo stesso modo la bacinella più larga raccoglie più gocce di pioggia di quella più piccola; fenomeno che diverrebbe ancor più evidente allorché la pioggia rallentasse la sua caduta così che le gocce sempre più piccole e meno frequenti cadrebbero ancora in quantitativo piuttosto consistente nella bacinella più grande, mentre quella piccola riuscirebbe a raccoglierne pochissime, come mostra la figura. Figura 30 Il telescopio assomiglia appunto alla bacinella grande: quanto più grande è il suo specchio quanti più granelli di luce riuscirà a raccogliere, a riflettere e a far convergere in un unico punto dove vengono misurati ed analizzati. 91 Un altro enorme limite del nostro occhio è quello di non trattenere il segnale luminoso per più di un decimo di secondo inviandolo immediatamente dopo al cervello. Quindi se il segnale luminoso è molto debole è possibile che in un decimo di secondo non arrivino abbastanza granelli di luce, la quantità minima di segnale richiesta, perché il cervello la riconosca e possa dunque formare l’immagine. Ecco perchè occorre uno strumento per immagazzinare la luce stellare raccolta. Gli astronomi ricorrono infatti a pellicole fotografiche, che registrano e trattengono il segnale luminoso oppure, più di recente, a strumenti elettronici chiamati CCD, dispositivi che troviamo anche nelle macchine fotografiche digitali. Esperienza 7.a Contenuti - Luminosità apparente e luminosità assoluta - Distanza dalla sorgente luminosa Obiettivi specifici Far comprendere come la luminosità e la distanza di una fonte luminosa siano strettamente correlate e concorrano a determinare lo splendore di ciascun astro, così come lo vediamo dalla Terra. Tempo di esecuzione 10 minuti Materiale occorrente Nessun materiale particolare Procedimento Qualche giorno prima dello svolgimento della lezione sulle stelle si invitano i bambini a fare questa esperienza, una sera che tornati a casa avranno qualche minuto libero da dedicarle: unica prerogativa è che sia calata la luce del sole e nell’oscurità si siano accese le luci della città. Si chiede loro di guardare da una finestra di casa: cosa si osserva? Ci saranno finestre illuminate, lampioni di strade e altre luci. È possibile stabilire quale sia la luce più vicina? E quella più luminosa? Non conoscendo quali sono le case più vicine e non sapendo quali lampade sono quelle più luminose resteranno dei dubbi, e ciò che dovrà emergere sarà proprio 92 l’oggettiva impossibilità di stabilirlo. Per conoscere la luminosità di una stella si deve quindi cominciare a misurarne lo splendore apparente: misura realizzabile mediante uno strumento detto fotometro applicato a un telescopio e in grado di trasformare la radiazione in corrente elettrica dalla cui intensità si quantifica la luminosità della stella. Già gli antichi astronomi, a partire dai tempi di Ipparco (II sec. a.C.), avevano classificato le stelle in base alla loro luminosità stimando lo splendore apparente delle stelle visibili a occhio nudo (circa 5.000) in sei classi: da quelle più splendenti dette “di prima grandezza” (magnitudine apparente 0) a quelle “di sesta grandezza”, al limite della visibilità (magnitudine apparente 6). Oggi, con i fotometri moderni e con una nuova scala di magnitudine predisposta sull’esempio di quella di Ipparco, si classificano stelle che vanno da magnitudini negative (particolarmente brillanti, come Sirio) a magnitudini di circa 24 (stelle estremamente deboli). Esperienza 7.b Contenuti Luminosità apparente delle stelle Obiettivi specifici Costruire un semplice strumento per catalogare le stelle secondo la loro luminosità apparente (cioè dividerle in classi di luminosità) e prendere consapevolezza che esiste un limite del nostro occhio per cui deve esserci un certo grado di differenza di luminosità tra una stella e l’altra, altrimenti non riusciamo a percepirlo. Tempo di esecuzione 15 minuti per la costruzione dello strumento e quanto tempo si ha a disposizione per l’osservazione delle stelle Materiale occorrente - Un cartoncino con dimensioni 10 cm × 20 cm nero, abbastanza rigido - Carta da modelli bianca tagliata delle stesse dimensioni del cartoncino - Una moneta da 1 euro con cui disegnare le circonferenze 93 Procedimento - Utilizzando la moneta o qualcosa di analogo disegnare sul cartoncino cinque circonferenze. - Tagliare le circonferenze lungo il bordo formando nel cartoncino cinque fori. - Tagliare 20 pezzi di carta da modelli delle dimensioni del cartoncino. - Tutti i foglietti così ottenuti devono essere attaccati al bordo più stretto del cartoncino nero in modo da coprire da sotto i fori. - Tagliare i fogli di carta bianca in modo tale che il foro più distante dall’attaccatura rimanga scoperto, il penultimo risulti coperto da 5 fogli di carta, quello ancora precedente da 10, il secondo da 15, ed infine quello più vicino all’attaccatura da 20. - In questo modo ogni foro risulterà coperto da un numero diverso di strisce. Il diverso spessore della carta permetterà di vedere o non vedere alcune stelle e non altre. - Numerare i vari fori da 1 a 5 partendo da quello con il maggior numero di strati di carta. - A questo punto lo strumento è pronto per l’osservazione e la catalogazione delle stelle. Le stelle che risultano visibili solo dal foro senza carta avranno luminosità 5, quelle che invece saranno ancora visibili dal primo foro, quello con 20 fogli bianchi sovrapposti, avranno luminosità 1. Risulteranno quindi più brillanti quelle di luminosità 1. Un’altra legge che ci proponiamo di studiare è l’andamento dell’intensità luminosa con la distanza dalla sorgente. Allontanandosi da una sorgente, l’intensità della luce diminuisce in modo proporzionale al quadrato della distanza r, cioè come 1/r². Esperienza 7.c Contenuti - Intensità della luce - Distanza dalla sorgente - La legge dell’inverso del quadrato della distanza Obiettivi specifici Dimostrare che l’intensità della luce emessa da una sorgente decresce in modo proporzionale al quadrato della distanza (1/r²). 94 Tempo di esecuzione 30 minuti Materiale occorrente Torcia e parete bianca su cui proiettare la luce Procedimento Dopo aver oscurato l’aula, accendere la torcia e puntarla contro una parete bianca. Questa proietta sul muro un cerchio di luce. Provare ad allontanare dal muro la sorgente luminosa: cosa accade? La macchia di luce si allarga, ma diviene anche meno intensa. Potrebbe esserci una relazione tra l’intensità della luce e la distanza dalla sorgente? Come fare per scoprirlo? Guidare i bambini in una discussione collettiva e attraverso alcuni tentativi con la torcia, cercare di ricavare la legge che regola tale rapporto. Se avessimo due torce uguali e le mettessimo a distanze diverse queste proietterebbero sul muro due fasci di luce di diversa intensità. Ma se potessimo vedere solo la luce sul muro, senza conoscere la grandezza e la potenza delle torce, come faremmo a dedurre se emettono una luce diversa o se sono semplicemente a distanze diverse? Resta appunto da capire se una stella debole è semplicemente più lontana rispetto ad altre apparentemente molto brillanti. Per sapere se davvero una stella è più luminosa di un’altra, dovremmo metterle alla stessa distanza per poi confrontarle e, dato che questo non è proprio possibile, ecco che diventa di fondamentale importanza per gli astronomi misurare la distanza delle stelle! Ma come? Sulla Terra possiamo utilizzare righelli, aste, corde, cordelle metriche, ecc. per misurare in modo diretto la distanza tra due oggetti, ma certo questo non si può fare con una stella o un pianeta! Ci sono però alcuni metodi indiretti per calcolare la distanza di una stella a partire da altri dati. Uno di questi prende il nome di metodo della parallasse. La parallasse è lo spostamento apparente di un oggetto rispetto allo sfondo, quando viene osservato da due punti diversi. Esperienza 7.d Contenuti Metodo della parallasse: si chiama angolo di parallasse quell’angolo che si forma 95 fra le due direzioni in cui possiamo osservare un oggetto da due punti distinti; corrisponde all’angolo sotto il quale sarebbe vista la distanza tra i detti punti, chiamata linea di base, da un ipotetico osservatore posto sull’oggetto (nel caso delle stelle, sull’astro stesso). Obiettivi specifici Comprensione della relazione fra angolo di parallasse, distanza dell’oggetto e distanza dei punti d’osservazione; acquisizione intuitiva del concetto di calcolo della distanza di un oggetto attraverso il metodo della parallasse. Tempo di esecuzione 10 minuti Materiale occorrente Nessun materiale particolare Procedimento Ciascun bambino, a turno, viene chiamato a osservare un suo compagno posizionato su uno sfondo con dei punti di riferimento attorno (v. figura 31). L’osservatore verrà invitato poi a spostarsi verso destra: l’amico nasconde sempre le stesse cose dello sfondo? Certamente la sua posizione rispetto allo sfondo sarà cambiata, sebbene lui non si sia mosso! Conoscendo di quanto si è spostato l’osservatore, possiamo misurare lo spostamento apparente dell’amico rispetto al punto di riferimento che avevamo preso sullo sfondo e successivamente quanto dista il compagno dall’osservatore stesso. Figura 31 L’immagine mostra lo spostamento apparente rispetto alla porta sullo sfondo di una persona osservata dalla posizione 1 e successivamente dalla 2. 96 È proprio questa la proprietà che viene usata dagli astronomi per misurare la distanza di una stella. Questo metodo viene usato soltanto per le stelle più vicine, di cui si può apprezzare uno spostamento apparente rispetto allo sfondo costituito da stelle lontanissime. Per avere due punti di osservazione sufficientemente distanti si utilizza lo spostamento della Terra lungo l’orbita attorno al Sole (v. figura 32). Esperienza 7.e Contenuti Effetto di parallasse Obiettivi specifici Mantenendo fissa la linea di base, cioè la distanza tra i due punti di osservazione, vi è un rapporto di proporzionalità inversa tra angolo di parallasse e distanza: raddoppiando la distanza l’angolo viene dimezzato, triplicando la distanza l’angolo si riduce ad un terzo e così via. Tempo di esecuzione 10 minuti Materiale occorrente Nessun materiale particolare Procedimento Osservare sempre un compagno rispetto ad uno sfondo di riferimento, ma questa volta posto a una distanza maggiore, pari ad alcuni metri. Cosa succede? Il suo spostamento apparente rispetto allo sfondo si è molto ridotto e diminuirà ancora fino a diventare praticamente nullo via via che ci si allontana dal soggetto osservato. Da queste esperienze si trova conferma che l’effetto di parallasse dipende da due fattori: la distanza a cui è posto l’oggetto; la distanza fra le due posizioni di osservazione. 97 Maggiore è lo spazio disponibile per l’osservazione e maggiore è la distanza a cui può trovarsi l’oggetto osservato perché si possa continuare a vedere lo spostamento apparente. Figura 32 I due pallini viola in alto rappresentano le due posizioni apparenti di una stella vicina a distanza di sei mesi. L’angolo p è la parallasse della stella. Durante l’anno, la stella sembra percorrere nel cielo un’ellisse, detta ellisse di parallasse, rispetto alle stelle che stanno sullo sfondo. In realtà non è la stella ad essersi spostata, ma è la Terra che descrive tale ellisse orbitando attorno al Sole! 98 8. Terzo incontro svolto in classe La luminosità vera e apparente delle stelle Prima del rientro in classe dei bambini dall’intervallo ho provveduto a sistemare due torce su due banchi posti a distanza diversa dalla lavagna su cui avremmo proiettato le luci; ho coperto le torce con della stoffa colorata perchè i bambini non vedessero che erano identiche. Anche questo incontro ha avuto inizio con un quesito: che cos’è il Sole? I bambini non hanno avuto alcun dubbio nel classificarlo come stella. Tutti i giorni questa stella provvede ad illuminare il cielo intero: perché allora i miliardi di stelle della notte ci appaiono come puntini e non illuminano il cielo? Le stelle sono oggetti lontanissimi; la più vicina si chiama Proxima Centauri e si trova a 4,3 anni luce da noi (40.000 miliardi di km): questo significa che la sua luce per giungere sino alla Terra deve viaggiare per oltre 4 anni. Per rendere l’idea delle immense distanze, ho suggerito ai bambini di immaginare – attraverso un esperimento mentale – di poter raggiungere il Sole con un passo: per arrivare fino a Proxima Centauri, mantenendo le debite proporzioni, avrebbero dovuto fare 200.000 passi, cioè camminare ininterrottamente per circa due giorni! Figura 33 L’immagine mostra l’enorme distanza della stella più vicina a noi in relazione a quanto dista il Sole. Gli astronomi misurano le distanze delle stelle in anni luce. Un anno luce è uguale alla distanza che la luce percorre nel vuoto in un anno, circa 9.500 miliardi di km. La velocità della luce è circa 300.000 km/s. Anche in questo caso per capire quanto siano grandi i numeri nello spazio abbiamo fatto un confronto con la velocità di un’automobile. Una macchina che viaggia ad una velocità piuttosto sostenuta percorre 100 km all’ora; dunque, con qualche calcolo siamo giunti a stabilire che la luce ne percorrerebbe 1.080.000.000 in un’ora. Anche le sonde spaziali di ultima generazione impiegherebbero centinaia di anni per raggiungere la stella più vicina! 99 Come fanno allora gli astronomi a studiare questi oggetti misteriosi? Non possono raggiungerle e neppure portarsele comodamente in laboratorio! Una cosa che possiedono e che studiano, poiché contiene delle informazioni importantissime, è la luce. In realtà la luce, prima di arrivare sulla Terra, ha dovuto percorrere una distanza grandissima, quindi è stata emessa dalla stella molti anni fa: quanto più la stella è lontana, tanto più tempo ha impiegato la sua luce per giungere fino a noi. Questo vuol dire che la luce ci “parla” di come la stella era in passato! Come se ci parlassero di una persona anziana che non conosciamo e per figurarcela meglio ci mostrassero una foto di quando era giovane. Ma le stelle sono davvero luminose come ci appaiono? Come possiamo fare per scoprirlo? A questo punto sono entrate in azione le torce che fin dall’inizio avevano destato grande curiosità nei bambini. Le abbiamo accese ed è parso subito evidente che le due proiezioni sullo sfondo nero della lavagna erano diverse. E le nostre “stelle artificiali” saranno diverse? Figura 34 Foto delle proiezioni di luce di due torce identiche poste a diversa distanza dalla lavagna. P.: “C’è differenza tra luci artificiali proiettate”. L.: “La potenza della luce è diversa”. L.: “Potremmo metterle alla stessa distanza”. B.: “La torcia vicina sembra più piccola”. A.: “Sono uguali ma con distanze diverse”. M.: “Le stelle meno luminose non so se sono più opache per la loro giovinezza o per la distanza”. L.: “Ci sono altri soli?” 100 D.: “Le stelle sono anche venti volte più luminose del Sole”. M.: “La più luminosa è più vicina”. A.: “Quella più lontana fa una luce più grande ma più debole, quella più vicina è più piccola ma è più forte”. E.: “Forse la stella meno luminosa sarà la stella più vecchia”. Certo le idee non mancavano ed alcune sembravano davvero interessanti. Come fare allora a confrontare le torce? Lo aveva suggerito in maniera esemplare A.: mettendole alla stessa distanza! Ed è così che abbiamo scoperto che le due torce erano esattamente identiche. Ho chiesto ai bambini se viaggiando di notte avessero mai fatto caso ai fari delle automobili che provengono dalla direzione opposta al proprio senso di marcia: inizialmente, quando avvistiamo l’auto in lontananza, i suoi fari appaiono deboli; ma via via che si avvicina cosa accade? B. giustamente osserva: “Quando i fari della macchina si avvicinano si ingrossano”. Proprio così, si fanno sempre più potenti. Infatti più una sorgente di luce è lontana, più sembra debole, più è vicina e più sembra brillante. Di nuovo, abbiamo trovato conferma con l’aiuto questa volta di una sola torcia, provando ad avvicinarla ed allontanarla dalla lavagna osservando come cambiava la luce proiettata al variare della distanza. Da cosa dipende quindi la luminosità di una stella? M.: “Dalla distanza”. L.: “Dal colore che emettono”. A.: “Grazie alla luna”. E.: “Dalla grandezza e dalla lontananza”. Sono bastati pochi istanti di riflessione perché tutti aderissero all’ipotesi di E. Ecco perché di due torce uguali poste a distanze diverse dal muro, se non ci è dato conoscere alcunché di esse, al di là della luce di diversa intensità che proiettano sul muro, risulta impossibile stabilire se emettono una luce diversa o se sono semplicemente a distanze diverse. Tornando al nostro interrogativo iniziale, come si spiega allora che la luce del Sole sia sufficiente ad illuminare il cielo intero e miliardi di stelle della Galassia non illuminano il cielo notturno? Il cielo ci appare oscuro perché la distanza delle stelle è enorme; quindi, nonostante siano moltissime, la loro luce ci arriva molto debole. Che cosa succederebbe se il Sole si trovasse a distanze molto maggiori di quella alla quale si trova, se ad esempio potessimo collocarlo alla distanza della stelle a noi più 101 vicina? Se il Sole si trovasse alla stessa distanza di Proxima Centauri ci apparirebbe un semplice puntino nel cielo: esattamente come le altre stelle! Dunque l’apparenza di una stella (dimensione, luminosità) dipende certamente dalle sue qualità intrinseche (energia irradiata nell’unità di tempo), ma soprattutto dalla sua distanza da noi. Fin dall’antichità le stelle sono state classificate in base alla loro luminosità apparente, pensando che fossero tutte alla stessa distanza, ma questo non è vero. Per sapere se una stella è davvero più luminosa di un’altra, dovremmo conoscere la sua luminosità assoluta, ottenuta mettendo le stelle alla stessa distanza e poi confrontandole, proprio come abbiamo fatto con le nostre torce. Ovviamente con le stelle questo non è possibile! Ci serve quindi un modo per ottenere la distanza di una stella, e ricavare così la sua vera luminosità. Come fare? Ho proposto allora un piccolo esperimento che ci permettesse di capire in modo semplice il metodo della parallasse. Ad un bambino è stato chiesto di rimanere fermo in prossimità dello stipite della porta mentre i compagni lo osservavano da due punti diversi della stanza.55 L’esperimento è stato ripetuto aumentando questa volta la distanza fra i due punti di osservazione.56 Ai bambini era stato chiesto di porre attenzione a come osservavano il compagno rispetto allo sfondo – la cornice della porta ed alcuni disegni attaccati al muro – da ciascuna delle due posizioni: G.: “Dalla mia posizione sembra più vicino, da un’altra posizione è più piccino”. B.: “Dalla lavagna si vede di più la parete”. E.: “Eravamo noi a cambiare posizione, non D.”. Non è stato affatto semplice far emergere il concetto di spostamento apparente, necessario per introdurre il metodo a cui ricorrono gli astronomi per misurare la distanza di una stella. La parallasse è lo spostamento apparente di un oggetto rispetto allo sfondo, quando viene osservato da due punti diversi. La seconda volta che avete ripetuto l’esperienza, nelle due postazioni più lontane rispetto a D., cosa avete notato di diverso nel suo spostamento apparente rispetto allo sfondo? “Le cose dietro si spostavano meno”, “Sì, sembrava che rimanesse più fermo”. Il suo spostamento apparente diminuiva; infatti la parallasse è sempre più piccola man mano che la distanza dall’oggetto aumenta. Questo metodo può essere usato per misurare la distanza delle stelle. Le stelle però sono molto lontane; perciò anche spostandoci di alcuni chilometri non noteremmo 55 56 Vedi Esperienza 7.d, descritta a p. 95. Vedi Esperienza 7.e, descritta a p. 97. 102 alcuna differenza nella loro posizione rispetto alle stelle vicine sulla volta celeste. Per poter vedere la parallasse stellare, cioè osservare una differenza nella posizione di una stella rispetto a quelle più distanti, bisogna osservarla da due posizioni molto distanti tra loro: quanto maggiore è la base di osservazione tanto maggiore sarà lo spostamento apparente della stella rispetto allo sfondo e quindi tanto maggiore sarà la distanza che possiamo misurare. Ma quale è la più grande base di osservazione che possiamo avere a disposizione sulla Terra? I bambini a questo punto hanno proposto due punti opposti dell’equatore ma, con sorpresa, hanno scoperto che neppure questa distanza era sufficiente, e che l’unico modo per misurare la parallasse stellare è osservare la stella da due estremi opposti dell’orbita terrestre! La Terra, rotando attorno al Sole, si sposta di circa 300 milioni di km in sei mesi! Figura 35 Osservando una stella vicina in dicembre e ripetendo l’operazione a distanza di sei mesi, registreremo una diversa posizione della suddetta stella rispetto alle stelle che stanno sullo sfondo, tanto lontane che noi le percepiamo in posizioni fisse nel cielo. Se stasera osservassimo una stella “vicina”, e ripetessimo l’operazione tra sei mesi, essa apparirebbe in un punto leggermente diverso rispetto alle altre stelle che si vedono sullo sfondo. Avremmo così osservato la stella dalla più ampia base che possiamo avere a disposizione, ottenuta dal movimento annuo della Terra intorno al Sole: 300 milioni di chilometri, appena sufficienti per misurare la distanza delle stelle più vicine a noi! 103 9. Progettazione del quarto incontro Inclinazione dei raggi solari sulla Terra Perché ci sono le stagioni? Perchè d’estate fa caldo e d’inverno fa freddo? E come si spiega che ogni dodici mesi le stagioni si ripetono? Attraverso semplici osservazioni dilatate nel tempo è possibile osservare alcuni cambiamenti nell’aspetto del cielo. Il moto delle costellazioni Stabilito un punto di osservazione e un orario, osservare una costellazione per alcuni mesi, a distanza di una settimana. Come cambia la sua posizione? In quanto tempo? L’ombra di un oggetto Piantata un’asta verticale a terra, osservarne l’ombra giorno dopo giorno, sempre alla stessa ora, al trascorrere dei mesi. Come cambia la posizione del Sole nel corso dell’anno quando si trova nel punto di massima altezza sull’orizzonte raggiunto durante il giorno, ovvero in culminazione? C’è una relazione tra questo e il fenomeno sopra descritto? L’arco percorso dal Sole Far osservare ai bambini come varia nel corso dell’anno l’arco percorso dal Sole durante il dì: c’è una relazione con l’ombra dell’asta? Come legare poi le osservazioni fatte con le diverse posizioni sull’orizzonte che durante l’anno il Sole va ad occupare quando nasce e quando tramonta? Che cosa determinano i fenomeni descritti nelle osservazioni? Ripercorriamo brevemente i moti del nostro pianeta. La Terra ruota su se stessa da Ovest verso Est ed impiega un giorno (24 ore circa) per compiere il giro totale. Inoltre il nostro pianeta ha un moto di rivoluzione, che compie attorno al Sole impiegando un anno (365 giorni circa) per completare un intero giro. Bisogna anche considerare che l’asse di rotazione terrestre è inclinato rispetto all’eclittica, il piano sul quale la Terra orbita intorno al Sole. In effetti, l’asse terrestre punta sempre una medesima direzione nel cielo – verso la stella polare – e tale inclinazione rispetto al 104 piano dell’eclittica, di 66° e 33', rimane costante durante la rivoluzione (l’asse rimane parallelo a se stesso). 57 Figura 36 L’immagine riporta le condizioni di illuminazione che il Sole produce sulla Terra nelle diverse posizioni che essa assume durante il moto di rivoluzione. Cerchiamo di capire perché una delle conseguenze più rilevanti della rivoluzione e dell’inclinazione dell’asse siano proprio le stagioni. È molto diffuso, nel senso comune, associare le variazioni stagionali alle diverse distanze che la Terra assume rispetto al Sole: nel corso dell’anno in effetti il percorso che la Terra segue spostandosi intorno al Sole non è un cerchio perfetto, ma un’ellisse; ma è pur vero che tale ellisse è molto meno schiacciata, cioè allungata, rispetto a come, spesso, la vediamo raffigurata nelle immagini dei libri (si discosta ben poco da una traiettoria circolare). Il Sole occupa uno dei due fuochi dell’ellisse e questo significa che la distanza Terra-Sole non è costante: il punto dell’orbita in cui la distanza Terra-Sole è maggiore viene chiamato afelio, mentre il perielio è il punto in cui la distanza è minima; ma la distanza all’afelio differisce dalla distanza al perielio soltanto del 3% circa. 57 In effetti questo non è rigorosamente vero su tempi lunghi: l’asse terrestre si sposta molto lentamente nello spazio, descrivendo un cono in un periodo di circa 26.000 anni. Come conseguenza di questo movimento, fra qualche migliaio di anni la stella polare non sarà più un adeguato riferimento per individuare il Nord. Ma per i nostri scopi questo ha poco interesse. 105 A smentire ulteriormente la tesi secondo cui dovrebbe far più caldo quando la Terra è più vicina al Sole concorre un altro fatto: che, cioè, nel nostro emisfero avviene esattamente il contrario. Infatti, durante il periodo estivo la Terra è più lontana dal Sole rispetto all’inverno. L’alternanza delle stagioni, caratterizzate da peculiarità climatiche e meteorologiche che ciclicamente si ripetono, è quindi collegata principalmente a due cause, entrambe dovute all’inclinazione dell’asse terrestre: la diversa durata del dì e della notte e la diversa inclinazione dei raggi solari rispetto al suolo nei vari periodi dell’anno. Analizziamo uno per uno entrambi i fenomeni. I raggi solari, che per la grande distanza della sorgente possiamo considerare paralleli, in ogni istante illuminano metà della sfera terrestre; la circonferenza che delimita la parte illuminata da quella in ombra è detta circolo di illuminazione. Nel corso dell’anno, mentre la Terra percorre l’anello intorno al Sole, il circolo di illuminazione cambia posizione sulla superficie terrestre, come possiamo vedere dalle figure che seguono. Figura 37 Illuminazione prodotta dal Sole sul nostro pianeta ai solstizi e agli equinozi. Nella figura il Sole non è riportato, ma dobbiamo immaginarcelo dalla parte destra della pagina. 106 A causa del moto diurno di rotazione del nostro pianeta, ogni giorno vediamo il Sole sorgere, culminare (cioè raggiungere la sua massima altezza sull’orizzonte) e tramontare. Soffermiamoci per semplicità sul momento della culminazione, che si verifica al cosiddetto mezzogiorno locale: pur restando fermi in uno stesso punto della superficie terrestre, l’inclinazione dei raggi solari in arrivo cambia di giorno in giorno, come è illustrato nella figura riportata qui sopra. Al solstizio d’inverno – che cade intorno al 22 dicembre – il Polo Sud è rivolto verso il Sole e continuamente illuminato dai suoi raggi nelle 24 ore (si vede il Sole sopra l’orizzonte anche a mezzanotte!), mentre il Polo Nord resta sempre al buio durante tutta la rotazione della Terra. Al solstizio d’inverno i raggi del Sole sono perpendicolari al suolo al Tropico del Capricorno che si trova nell’emisfero Sud. La situazione al solstizio d’estate (21 giugno) è complementare a quella del solstizio d’inverno: in tale posizione i raggi solari arrivano perpendicolari al suolo su una linea situata nell’emisfero Nord della Terra detta Tropico del Cancro; è il periodo nel quale il Sole illumina il Polo Nord per tutte le 24 ore. Agli equinozi nessun polo è orientato preferenzialmente verso il Sole; sono i giorni nei quali l’illuminazione per qualsiasi punto della Terra ha esattamente la stessa durata. I raggi del Sole all’equinozio arrivano perpendicolari al suolo sull’equatore. Possiamo quindi dedurre che durante l’anno il punto della Terra nel quale il Sole raggiunge lo Zenit58 varia in maniera ciclica, da Nord a Sud e di nuovo a Nord. Ciò significa che in certe stagioni è più illuminato l’emisfero Nord, in altre l’emisfero Sud. L’altezza del Sole non è fissa neppure durante la giornata a causa della rotazione terrestre: il Sole sorge, a mezzogiorno raggiunge la massima altezza, cioè la culminazione, quindi tramonta. L’angolo di incidenza dei raggi solari a mezzogiorno dipende dalla latitudine del luogo e dal periodo dell’anno: alle nostre latitudini, durante il suo cammino apparente, il Sole s’innalza poco sopra l’orizzonte in inverno; invece s’innalza molto di più in estate. 58 Data una qualunque località sulla Terra, lo Zenit è un punto dato dall’intersezione fra la direzione verticale nel luogo considerato e la volta celeste. Il Sole raggiunge lo Zenit in qualche momento dell’anno soltanto in alcune località della Terra, comprese fra i due tropici. Quando il Sole è allo Zenit, si trova … esattamente sopra la nostra testa! 107 Figura 38 L’immagine a sinistra mostra il percorso apparente del Sole nei vari periodi dell’anno per una località posta nella zona temperata dell’emisfero boreale, mentre a destra possiamo vedere l’arco che il Sole percorre durante il dì equinoziale, all’equatore, a 45° e a 75° di latitudine. È evidente quanto sia più alto ed ampio l’arco percorso all’equatore rispetto alle altre latitudini. Nei diversi punti del globo terrestre, al passare delle stagioni, cambia la direzione di arrivo dei raggi solari e quindi cambia l’angolo che essi formano col piano dell’orizzonte. Facendo riferimento alla figura riportata qui sotto, se il Sole si trova in prossimità dello Zenit i suoi raggi, che arrivano sul globo terrestre, devono riscaldare una superficie più piccola rispetto al caso in cui il Sole sia molto basso sull’orizzonte. Infatti la stessa quantità di energia si distribuisce nei due casi su superfici diverse. Figura 39 Un fascio di raggi che giunge a terra perpendicolarmente illumina una superficie minore e dunque la sua energia risulta essere più “concentrata”; un fascio di uguale ampiezza che raggiunga la superficie con incidenza obliqua distribuisce la stessa energia irradiata su una superficie maggiore: è intuitivo allora capire che il riscaldamento nel secondo caso sarà minore. 108 Figura 40 Dato un raggio di luce incidente su una superficie, chiamiamo α l’angolo formato dalla direzione del raggio con la retta perpendicolare alla superficie nel punto di incidenza. Nel caso dell’irraggiamento solare, se il Sole è allo Zenit l’angolo α è pari a zero, mentre si hanno angoli prossimi a 90° quando il Sole è molto basso sull’orizzonte. È ovvio che durante l’estate, col Sole alto nel cielo, la quantità di luce e di calore che giunge sulla Terra è maggiore, poiché i raggi arrivano con un angolo di incidenza molto piccolo (v. figura 40) e riscaldano così il suolo molto più di quelli del Sole invernale, che colpiscono invece il suolo con un angolo α più grande. Anche se il diverso numero di ore di Sole nelle varie stagioni è un fattore importante per interpretare le variazioni climatiche che si registrano durante l’anno, l’angolo di incidenza dei raggi solari è l’elemento più importante. Il Sole onnipresente – 24 ore al giorno – nell’estate artica produce comunque una temperatura media piuttosto bassa, perché l’angolo di incidenza dei raggi solari è sempre molto grande. La quantità di radiazione effettiva che giunge al suolo dipende anche dal tratto di atmosfera che i raggi solari devono attraversare: quanto più è lungo il percorso, tanti più saranno i fenomeni di diffusione ed assorbimento che si avranno durante tale percorso. Quando il Sole è basso sull’orizzonte, i suoi raggi attraversano uno spessore di atmosfera maggiore e quindi l’intensità della radiazione è inferiore, mentre d’estate, a mezzogiorno, cadendo quasi verticali, attraversano uno strato di atmosfera minore e vengono così “filtrati” di meno. 109 9.1 Costruzione di due modelli per spiegare i cambiamenti stagionali dal punto di vista astronomico Un primo modello bidimensionale riproduce il meccanismo di incidenza dei raggi solari sulla superficie. La semplicità dello strumento non intacca l’efficacia per la spiegazione del diverso riscaldamento della superficie terrestre con l’unico limite di essere appunto ridotto a due dimensioni. Esperienza 9.a Contenuti Un semplice strumento permette di capire la causa del diverso riscaldamento nei vari punti della Terra e l’alternanza delle stagioni. Obiettivi specifici Mostrare, attraverso il modello realizzato, come i fasci luminosi provenienti dal Sole colpiscono superfici terrestri di dimensioni diverse per introdurre il concetto di calore fornito per unità di superficie: se la zona colpita è più ampia il calore per unità di superficie è minore; al contrario, per una superficie più piccola il calore fornito per unità di area è maggiore. Materiale occorrente - Un foglio A4 - Un ferma-campione - Forbici - Colla - Matite colorate o pennarelli Tempo di esecuzione 10 minuti per la realizzazione del modello e il tempo necessario, non prevedibile, per la discussione. Procedimento - Prendere un foglio di carta formato A4 e tagliarlo a metà sul lato più lungo. - Tagliare sul lato più lungo di una di queste due parti una striscia di 4 cm; si otterranno tre pezzi di carta di dimensioni diverse. 110 - La parte più grande verrà colorata di azzurro, a rappresentare il cielo diurno. - Colorare in verde la seconda parte più grande in ordine di grandezza, a simboleggiare un prato. - Colorare, infine, la striscia più sottile di giallo a rappresentare il fascio luminoso proveniente dal Sole; essa deve debordare dal foglio azzurro poiché l’azzurro rappresenta la nostra atmosfera illuminata dal Sole e il Sole si trova al di fuori dell’atmosfera. - Si posiziona la parte verde sovrapposta per circa un terzo su quella azzurra e, dopo aver piegato le parti eccedenti, si incollano sul retro. - Inserire la striscia gialla tra la parte azzurra e quella verde e fissarla con un fermacampione così da permetterle di rotare (non è necessario che sia esattamente al centro del foglio). Attenzione a non spingere la striscia troppo sotto l’orizzonte, altrimenti il fascio luminoso non avrà una buona rotazione! - La linea di confine tra l’azzurro ed il verde rappresenta una piccolissima porzione del nostro orizzonte. - Una volta realizzato il modello provare empiricamente a maneggiarlo e osservarlo per dare in seguito avvio ad una discussione. I bambini possono liberamente avanzare e argomentare le loro ipotesi per giungere infine ad enunciare insieme quelle corrette ed eliminare quelle inesatte. È importante che tutte le ipotesi vengano accettate e discusse, senza scartarne a priori nessuna. - Durante la discussione è importante far emergere il limite di tale modello: esso infatti è bidimensionale e quindi i bambini vedono i fasci di luce come delle strisce piane. 111 Un’ulteriore esperienza laboratoriale può essere d’aiuto ai bambini per interiorizzare e consolidare il concetto dell’irraggiamento: la stessa quantità di energia viene distribuita su aree tanto più estese quanto più grande è l’angolo di incidenza. Esperienza 9.b Contenuti Illustrare il collegamento fra le differenze di clima che si riscontrano in luoghi diversi del nostro pianeta e gli angoli di incidenza dei raggi solari. Obiettivi specifici Valutare in modo qualitativo la superficie che viene colpita dai raggi solari a seconda della loro diversa inclinazione, constatando che più i raggi del sole sono inclinati più la superficie illuminata è vasta. Tempo di esecuzione 20 minuti Materiale occorrente - Una pila - Carta millimetrata - 2 squadre - Alcuni libri Procedimento Prendere una torcia e un foglio di carta millimetrata che rappresenteranno rispettivamente il Sole e la superficie terrestre; porre alcuni libri uno sull’altro e sistemare sopra ai tomi una squadra in modo da formare un angolo di 60°. Dopo aver oscurato la stanza in cui si effettua l’esperienza, impugnare la torcia seguendo l’inclinazione della squadra: si otterrà così un fascio di luce che colpirà la carta millimetrata sottostante con una inclinazione di 60°. A questo punto evidenziare la parte illuminata della carta e annotare in una tabella il valore della sua superficie. Ripetere poi l’esperienza inclinando questa volta la torcia di 45°; infine mettere la torcia in verticale, cioè perpendicolare rispetto al foglio, misurando sempre i mm² delle rispettive aree illuminate. 112 Cosa si può dedurre dall’esperienza? Come cambia l’area illuminata aumentando l’inclinazione del fascio di luce? Per spiegare i cambiamenti stagionali che osserviamo nel corso dell’anno sarà utile ricorrere ad un modello tridimensionale Sole-Terra. Esperienza 9.c Contenuti Osservare la situazione dell’irraggiamento sulla Terra a diverse latitudini attraverso l’impiego di modelli che ne riproducano le condizioni . Obiettivi specifici Comprendere il fenomeno delle stagioni e che i cambiamenti stagionali esistono in ogni punto sulla Terra. Riprodurre tale fenomeno in un’esperienza laboratoriale per imparare a verificare le ipotesi e giungere così a conclusioni attendibili. Tempo di esecuzione 3 ore Materiale occorrente Fase I - Una palla sufficientemente grande - Una lampada - Tre termometri 113 Fase II - Candele e portacandele - Spiedini - Palline di gommapiuma - Spillo con capocchia di plastica colorata Procedimento ¾ FASE I - Esperienza che generalizza la precedente alle tre dimensioni, riferendoci in particolare al sistema Terra-Sole. Lo scopo è misurare la temperatura in punti diversi della Terra utilizzando un modello. - È necessario munirsi di tre termometri di cui si sia verificato che, posti in medesime condizioni, registrino lo stesso valore di temperatura. Una lampada molto potente rappresenterà il Sole, mentre un pallone da educazione psicomotoria, del diametro di circa un metro, costituirà la Terra; dopo aver fissato i termometri in tre punti diversi del pallone, ne misureremo le temperature. - Una volta compiuta la prova, una discussione collettiva condurrà alla deduzione che sulla Terra le temperature variano a seconda dell’ampiezza della superficie colpita dal fascio luminoso. ¾ FASE II - Esperienza che può essere condotta sia dall’intero gruppo classe sia a piccoli gruppi (in questo caso è necessario che ogni gruppo abbia a disposizione tutto il materiale occorrente: una candela, una pallina di gommapiuma, uno spiedino, uno spillo e un portacandele). I vari oggetti rappresentano rispettivamente il Sole, la Terra, l’asse terrestre e un uomo che poniamo in un punto qualunque della Terra (possibilmente ad una latitudine simile a quella della città in cui si abita). - Oscurare la stanza, accendere la candela ed infilare lo stecchino nella pallina di gommapiuma: la Terra ruota sull’asse. - A questo punto, analizzando ciò che hanno a disposizione, i bambini cominceranno a formulare ipotesi e verificarle finché giungeranno a quella corretta in grado di giustificare l’alternanza dell’estate e dell’inverno in ogni punto della Terra. - I bambini probabilmente introdurranno il moto di rivoluzione che la Terra compie attorno al Sole, ma con altrettanta probabilità disporranno l’asse terrestre 114 perpendicolare al piano dell’orbita. - Intervenire, se necessario, con alcune domande-stimolo affinché si deducano le condizioni da modificare nel modello perché si ottenga l’alternanza delle stagioni. - Discutere collettivamente le ipotesi via via proposte, verificarne la validità o proporne di nuove. Da queste esperienze dovrebbe essere chiaro che le variazioni di temperatura al suolo dipendono dall’altezza del Sole sull’orizzonte e quindi dall’ampiezza della superficie illuminata; è importante accertarsi che i bambini non associno erroneamente la diversa altezza del Sole sull’orizzonte con la diversa distanza dalla Terra: quando il Sole è più alto in cielo non è più lontano da noi! Durante lo svolgimento di tutta l’unità può essere utile per i bambini disegnare e descrivere le varie ipotesi avanzate nonché le conclusioni tratte dalla discussione collettiva, per organizzare gli appunti e stendere una relazione che registri passo dopo passo l’attività, in modo che l’insegnante possa verificare l’apprendimento e ritornare sulle esperienze durante la fase di elaborazione riflessiva e di astrazione, nonché di consolidamento concettuale. 115 10. Quarto incontro svolto in classe Perché fa più caldo in estate che in inverno? Perchè d’estate fa caldo e d’inverno fa freddo? E perché le stagioni si ripetono? Queste sono state le domande che ho rivolto ai bambini ad inizio lezione e, come potevamo aspettarci, nella risposta che gli alunni mi hanno subito dato si attribuiva la causa di questo fenomeno alla diversa distanza che la Terra assume rispetto al Sole. Soltanto un bambino ha citato confusamente, evidentemente cercando di ripetere quello che su qualche libro aveva letto senza comprenderne completamente il concetto, l’inclinazione dell’asse terrestre. Dovevamo procedere per gradi poiché a me non interessava fornire ai bambini una verità assoluta da memorizzare come dato di fatto, ma volevo che capissero profondamente, alla radice, la risposta a ciò che era stato loro chiesto. Non è vero, dunque, che le variazioni stagionali siano causate dalla maggiore o minore vicinanza del Sole. È vero che la Terra, movendosi intorno al Sole, assume posizioni più o meno vicine alla nostra stella, ma la differenza fra la distanza minima e la distanza massima è piuttosto piccola: per farvi un’idea delle dimensioni relative, pensate che se la distanza minima fra Terra e Sole fosse pari a 1 m, la distanza massima la supererebbe di soli 3 cm! Che non sia questa la causa delle differenze di temperatura fra estate e inverno, lo dimostra anche il fatto che, quando nel nostro emisfero è estate, la Terra è più lontana dal Sole rispetto all’inverno. E allora perché d’estate fa caldo e d’inverno fa freddo? Le cause non sono certo intuitive né immediate da percepire e comprendere; per questo, per poter avviare la riflessione, i bambini si sono subito messi all’opera per realizzare un modellino cartaceo59 che permettesse loro di vedere con i loro occhi cosa effettivamente accade al variare dell’inclinazione con cui un fascio di luce giunge a terra. Considerato il tempo ridotto che avevamo a disposizione, era stata mia premura recuperare fogli di carta colorata già pronti per essere tagliati ed assemblati, piuttosto che procedere con carta bianca e pennarelli/matite/tempere per colorarla. Muniti di forbici, colla ed un ferma-campione ciascuno, i bambini hanno realizzato individualmente il modello, senza riscontrare alcuna difficoltà. 59 Vedi Esperienza 9.a, descritta a p. 110. 116 Figura 41 Foto che mostrano i bambini al lavoro. Ho chiesto ai bambini di porre attenzione alla linea di demarcazione tra cielo e terra ed in particolare alla parte investita dal nostro fascio di luce solare che hanno disposto prima perpendicolarmente rispetto al prato verde e poi gradualmente rotato: cosa accade alla superficie colpita dai raggi man mano che questi divengono sempre più obliqui rispetto al terreno? Non hanno esitato ad osservare che la superficie si estende sempre di più, mentre non è stato altrettanto immediato capire come questo fatto fosse connesso al nostro quesito iniziale. Innanzitutto ho cercato un’immagine visiva esemplificativa: immaginando che il fascio luminoso sia composto da un certo numero di “pacchetti di energia”, “particelle di calore” – che ho disegnato sul mio modello – queste, rimanendo invariate nel numero poiché il fascio è sempre il medesimo, nelle due situazioni vanno a colpire aree di diversa superficie. In quale dei due casi avvertiremo maggiore calore? Manipolando il modello cartaceo immersi in riflessioni pindariche, i bambini hanno finalmente esclamato “nel primo caso, quello dove la superficie è più piccola!”. Ho chiesto loro di provare a spiegarmi meglio il perché di quella affermazione: “perché nel primo caso le particelle di calore sono concentrate in uno spazio più piccolo e nel secondo si distribuiscono in uno spazio più grande, quindi faranno meno caldo”; “più i raggi sono dritti e più il terreno colpito è piccolo, quindi farà più caldo”. Proprio così! Il modello era riuscito esattamente a concretizzare il concetto, rendendolo direttamente visibile e tangibile ai bambini. Ho ritenuto importante far condurre ai bambini un’ulteriore esperienza60 per favorire un consolidamento del concetto collegato al fenomeno che ci interessava. Questa esperienza ha inoltre consentito ai bambini di lavorare con la luce emessa da una torcia: dettaglio non trascurabile per impedire di ridurre i fasci di luce a strisce piane, come avveniva nel precedente modello. Abbiamo preso un foglio di carta a 60 Vedi Esperienza 9.b, descritta a p. 112. 117 simboleggiare una piccola porzione della superficie terrestre e lo abbiamo illuminato con una torcia, il cui fascio luminoso rappresentava per l’occasione un fascio di raggi solari. I bambini hanno potuto osservare che un fascio luminoso che arriva a terra perpendicolare al suolo illumina una superficie minore rispetto al medesimo fascio inclinato, prendendo la torcia e puntandola sul foglio con angolo diverso: i bambini hanno circoscritto con un pennarello le due aree illuminate. Figura 42 Foto che mostrano i bambini al lavoro. Come cambia l’area illuminata, aumentando l’inclinazione del fascio di luce? “Diventa sempre più grande”. La risposta era corretta ma restava un’altra importante osservazione da fare: con la torcia inclinata rispetto al foglio la superficie illuminata è più grande, ma cosa accade alla luce? “È più opaca”, “sì, è più debole”, “è molto meno forte”. La stessa energia viene distribuita su un’area maggiore: ne consegue un riscaldamento minore! In estate, il Sole è alto nel cielo e i suoi raggi riscaldano il suolo molto di più rispetto ai raggi del Sole invernale. Inoltre, a seconda del punto sulla Terra in cui ci troviamo, l’angolo di incidenza dei raggi solari cambia e la superficie illuminata da uno stesso fascio di luce risulta più o meno vasta. Figura 43 Ma perché durante l’anno, mentre la Terra lentamente si sposta nel suo incessante cammino intorno al Sole, questo angolo cambia? Prima di tutto dobbiamo dire che la Terra ruota su se stessa da Ovest verso Est ed impiega un giorno (24 ore circa) per compiere il giro totale (moto di rotazione). Essa, 118 inoltre, compie un moto di rivoluzione attorno al Sole impiegando un anno (365 giorni circa) per completare un intero giro. Ho mostrato ai bambini questo disegno che avevo precedentemente realizzato, facendo attenzione a sottolineare che, sebbene i due moti siano simultanei, essi non sono affatto la stessa cosa. Figura 44 Ho preso una pallina attraversata da una parte all’altra da uno stecchino (quelli lunghi da spiedini) e ho fissato in un punto intermedio tra l’equatore e il polo nord uno spillo dalla capocchia colorata. Ho posizionato la sfera con lo stecchino perpendicolare al piano della cattedra e ho chiesto ai bambini come arrivano, secondo loro, i raggi solari in quel punto: B.: “Non proprio dritti”. Ho chiesto a B. se per “dritti” intendesse perpendicolari alla superficie e ne ho avuto conferma. D.: “Sì, ma non sono neanche tanto obliqui come al polo nord”. Quindi, ho suggerito loro di avanzare un’ipotesi circa la temperatura che avremmo potuto registrare se ci fossimo trovati in quel punto del globo. M.: “Secondo me, non farebbe caldo caldo ma nemmeno freddo”. P.: “Io invece penso che farebbe abbastanza freddo”. G.: “Ma se non sono proprio perpendicolari al terreno e nemmeno proprio orizzontali, allora sarà una via di mezzo tra il caldo e il freddo”. L.: “Sì, farà calduccio come ora che è primavera”. Molto bene, e questo punto in cui abbiamo fissato il nostro spillo potrebbe più o meno rappresentare la posizione dell’Italia sulla Terra. Nonostante la conferma istintiva di molti alunni, abbiamo verificato sul mappamondo la veridicità della mia affermazione. Simulando il moto di rotazione e contemporaneamente quello di rivoluzione lungo un’orbita immaginaria disposta sul piano della cattedra (mantenendo ancora una volta l’asse di rotazione perpendicolare al piano dell’orbita), ho domandato ai bambini come arrivano i raggi solari sul nostro punto di riferimento 119 man mano che la pallina-Terra si sposta lungo il suo percorso. Probabilmente era talmente ovvia, che suonava strana come domanda: “arriveranno sempre nello stesso modo!”. Ma allora come spieghiamo il fatto che in Italia non vi sia una perenne primavera, ma si alternino anno dopo anno le quattro stagioni? Stavolta il quesito non era certo scontato! Ho chiesto ai bambini se sapevano indicarmi il polo nord e il polo sud della nostra sfera, che era dotata di asse di rotazione: subito le mani si sono alzate verso l’alto La maggior parte di loro faceva giustamente coincidere i due poli con i due estremi opposti della palla attraversati dallo stecchino. Immaginando di tracciare una linea congiungente i due poli (per noi rappresentata dallo stecchino) questa rappresenta l’asse attorno al quale la Terra compie un intero giro ogni 24 ore. Osservando il mappamondo, ci siamo accorti che l’asse terrestre è inclinato. Ma inclinato rispetto a cosa? È importante esplicitare questa domanda per capire le tacite ma fondamentali informazioni che questo modello racchiude. Il piano d’appoggio del nostro mappamondo rappresenta il piano su cui la Terra descrive l’orbita attorno al Sole rotando per circa 365 giorni, mentre contemporaneamente gira su se stessa ogni 24 ore. Con l’ausilio del mappamondo abbiamo riprodotto e preso visione dei due moti simulandoli. L’asse terrestre – come aveva ricordato all’inizio della lezione P., senza però riuscire a spiegare ciò che confusamente affermava – è inclinato, rispetto al piano su cui giace l’orbita terrestre, di un angolo pari a circa 66°. Come vediamo, anche il mappamondo ha l’asse inclinato; il piedistallo mantiene fisso l’asse che passa per i poli. Un’altra caratteristica importante dell’asse terrestre è questa: oltre a mantenere costante la sua inclinazione rispetto al piano dell’orbita, rimane parallelo a se stesso durante i moti di rotazione e rivoluzione, puntando sempre nella stessa direzione. Figura 45 120 È per questo che nel luogo in cui ci troviamo i raggi solari non arrivano sempre nello stesso modo, ma via via che la Terra si sposta nel suo lento girotondo intorno al Sole il loro angolo d’incidenza cambia, determinando le diverse stagioni che ciclicamente si ripetono. Figura 46 Il disegno, da me realizzato, raffigura la Terra colpita dai raggi solari. L’asse terrestre è stato aggiunto sovrapponendo all’immagine un foglio di carta lucida, per mostrare ai bambini l’irraggiamento nelle varie condizioni che si verificano durante l’anno. In dicembre la Terra si trova in una posizione tale che il Polo Sud è rivolto verso il Sole, e, poiché i poli sono gli unici punti che nel movimento di rotazione restano fermi, il Sole resta sopra l’orizzonte per sei lunghi mesi dando luogo al fenomeno chiamato “sole di mezzanotte”, mentre il Polo Nord rimane in ombra. I raggi solari arrivano perpendicolari al suolo in un punto che si trova nell’emisfero Sud, che si trova quindi in piena estate; al contrario nel nostro emisfero stiamo attraversando il rigido inverno. Dopo sei mesi la Terra avrà compiuto metà del suo viaggio intorno al Sole: questa volta è il Polo Nord ad essere orientato preferenzialmente verso il Sole e la sua luce arriva perpendicolare alla superficie terrestre in un punto situato nell’emisfero Nord. In Italia, infatti, siamo in piena estate! Al contrario, nell’emisfero meridionale sarà calato l’inverno. In questo momento dell’anno, a causa dell’inclinazione dell’asse terrestre il Polo Sud non viene raggiunto dai raggi solari e dunque resta nell’oscurità. Nelle due posizioni intermedie, chiamate equinozi, che cadono in marzo e in settembre, nessuno dei due poli è orientato direttamente verso il Sole: i raggi cadono perpendicolari al suolo in un punto dell’equatore. Non avevamo ancora avuto però una prova diretta del diverso riscaldamento nei vari punti del globo terrestre. Per raggiungere tale obiettivo e raccordare tutte le osservazioni fatte fino a quel momento sul fenomeno studiato, abbiamo condotto una nuova esperienza. Ancora una volta ci siamo serviti del mappamondo; una lampada molto potente, da 1250 Watt, ha svolto nel nostro sistema la funzione del Sole e, infine, un sensore di temperatura a infrarossi, che mi era stato dato in prestito, ci ha consentito di misurare la temperatura su due punti ben distinti del mappamondo. 121 Accendiamo la lampada da 1250 W e il nostro modello è pronto per essere utilizzato; esso riproduce in piccolo ciò che accade sul pianeta Terra. Avevamo sistemato il mappamondo e la lampada in modo tale da ricreare la situazione in cui si trova la Terra agli equinozi; puntando il sensore di temperatura prima su un punto colpito dalla luce con angolo di incidenza approssimativamente pari a zero, e successivamente sul Polo Nord colpito, invece, con un angolo di incidenza vicino a 90°, i bambini hanno registrato le due temperature trovando una conferma sperimentale sulle previsioni fatte: la temperatura all’equatore risultava 28 °C, mentre al Polo Nord si registrava una temperatura decisamente più bassa, pari a 21 °C. Figura 47 La prima foto a partire da sinistra mostra il sistema Terra–Sole e lo strumento utilizzato per misurare la temperatura; le successive due immagini mostrano le temperature registrate rispettivamente all’equatore e al Polo Nord, rivelando un sensibile scarto di 7 °C. Ho spiegato ai bambini che, oltre alla diversa inclinazione dei raggi solari rispetto alla superficie terrestre, dobbiamo considerare un’altra causa che concorre a determinare i cambiamenti climatici nelle diverse stagioni. Come ben sapete ogni giorno è composto da alcune ore di luce e altre di buio: ho chiesto ai bambini se, secondo loro, la notte e il dì avessero sempre la stessa durata durante l’arco di un intero anno. Le poche risposte affermative fornite impulsivamente da alcuni bambini, sono state immediatamente compromesse dalla contrarietà di tutti gli altri. “D’estate il giorno dura di più”, “fa buio più tardi”. Per prima cosa dovevamo capire perché e come si alternassero il dì e la notte. I raggi del Sole arrivano da così lontano che possiamo considerarli paralleli tra loro: essi illuminano continuamente metà della Terra; la circonferenza che delimita la parte illuminata del globo da quella in ombra è detta circolo di illuminazione. Ho preso nuovamente la pallina attraversata da una parte all’altra dallo stecchino e, dopo averla illuminata con una candela mantenendo l’asse perpendicolare rispetto al 122 piano di riferimento rappresentato dalla cattedra, ho chiesto ad un bambino di tracciare con un pennarello il circolo di illuminazione; dopodichè ho sistemato tre spilli con la capocchia colorata, immaginari abitanti del pianeta, a latitudini diverse lungo uno stesso meridiano. Facendo rotare la sfera su se stessa (con l’asse perpendicolare al piano della cattedra) ho chiesto ai bambini se i tre abitanti vedevano sorgere e tramontare il Sole nello stesso istante. Con decisione hanno risposto positivamente al quesito sollevato. Quindi in tutti i punti del globo la durata del giorno e della notte è la medesima; dopo 12 ore dove c’era il giorno ci sarà la notte e viceversa. Ma l’esperienza della nostra vita ci dice che le ore di illuminazione e di oscurità non sono sempre uguali durante l’anno. Che spiegazione potevamo dare? Un bambino, anticipando il mio intervento, ha fatto notare che non avrei dovuto tenere lo stecchino verticale! Ottima osservazione! Anche questa volta occorre considerare l’inclinazione dell’asse di rotazione terrestre. Figura 48 Le immagini mostrano la diversa condizione di illuminazione del globo qualora si inclini l’asse terrestre. Nelle fotografie non si vede molto bene la differenza, ma l’esperimento dal vero aveva una resa migliore di quanto possano testimoniare le fotografie. Ho mostrato ai bambini l’immagine che segue e ho chiesto loro se le ore di luce fossero uguali per due persone che si trovassero l’una in prossimità del parallelo disegnato in figura e l’altra sull’equatore. Non è stato immediato per i bambini capire cosa accadesse. Figura 49 123 Nei luoghi che si trovano lungo il parallelo situato a Nord dell’equatore la durata del dì è minore di quella che si ha all’equatore; questo appare ancora più evidente nell’immagine sottostante. Figura 50 Nel corso dell’anno quindi, mentre la Terra percorre l’anello intorno al Sole, uno stesso luogo sulla sua superficie viene illuminato più o meno a seconda del periodo. Inoltre, in uno stesso momento dell’anno, regioni diverse vengono diversamente illuminate e riscaldate dai raggi del Sole. Questi fenomeni sono collegati essenzialmente a due cause, entrambe dovute all’inclinazione dell’asse terrestre: la diversa durata del dì e della notte, la diversa inclinazione dei raggi solari rispetto al suolo nei vari periodi dell’anno. Considerazioni didattiche Questo incontro ha indubbiamente avuto la presunzione di mettere in gioco molti concetti complessi e poco intuitivi, che spesso si scontrano con misconcezioni formatesi da conoscenze pregresse e che necessitano quindi di tempi lunghi ed interventi molteplici affinché possano essere ripensati, interiorizzati e, infine, consolidati. Ho intenzionalmente scelto di ricorrere a più modelli, strumenti fondamentali dell’analisi scientifica, per cercare di affrontare uno stesso fenomeno secondo prospettive diverse, con l’auspicio che questo potesse offrire una varietà di stimoli alla mente di ognuno, e per evitare che i bambini potessero formarsi degli stereotipi e giungere alla falsa conclusione che un unico modello possa rappresentare un fenomeno in tutte le sue caratteristiche. 124 È importante non perdere mai di vista il fenomeno nel suo complesso e per questo è necessario essere consapevoli dei limiti di applicabilità degli strumenti e dei modelli. Questo modo di lavorare si prefigge soprattutto di abituare gli studenti ad osservare prima di pensare, per sviluppare il senso critico e interpretare le osservazioni, per imparare a misurare e verificare – se possibile – il fenomeno indagato nella realtà, costruendo infine un modello adeguato. Attraverso la discussione tra docente e allievi si favorisce, inoltre, l’esercizio di esprimere le proprie idee e la capacità di ascoltare ed accettare quelle altrui. Queste caratteristiche contribuiscono a sviluppare l’abilità a formulare ipotesi e la capacità di astrazione per saper cogliere gli aspetti essenziali di un fenomeno. Per questi motivi, nonostante il tempo limitato a disposizione non abbia lasciato agli alunni il giusto spazio per un opportuno ripensamento affinché il processo di concettualizzazione potesse avere un’adeguata sedimentazione, credo comunque che sia fondamentale proporre ai bambini argomenti scientifici come quelli presi in esame. 125 11. La valutazione Valutare è necessario poiché costituisce un feedback sia per gli allievi che hanno bisogno di un’informazione di ritorno sul loro processo di apprendimento per proseguire sul tracciato delineato o orientarlo diversamente, sia per incrementare il senso di stima e di fiducia in se stessi e nel proprio modo di operare; ma questa è una preziosa informazione da cui non può prescindere neppure l’insegnante, chiamato costantemente a verificare il suo operato (l’appropriatezza di obiettivi, metodi e contenuti proposti) ed eventualmente modificare i passi successivi dell’azione didattica. Nella conduzione del mio intervento didattico, per quanto denso e concentrato in un arco di tempo assai ristretto, ho cercato di controllare e modulare l’interazione cognitiva ed affettiva con gli allievi, cercando sempre di incoraggiarli e far percepire loro la mia profonda stima per le capacità di ragionamento, gli atteggiamenti propositivi e creativi dimostrati. Osservare gli insegnanti durante le ore di tirocinio diretto svolto presso le scuole, nel corso degli anni, mi ha fatto riflettere su quanto possano essere negativi, immobilizzanti e difensivi i meccanismi che si innescano in studenti che siano stati rifiutati, scherniti, considerati con leggerezza o aspramente criticati dagli insegnanti. Credo che non sia possibile rilevare modi di essere, di fare, di pensare attraverso strumenti “scientifici” e attraverso prove di verifica indiscutibilmente oggettive e non opinabili; credo, altresì, che dare importanza allo sviluppo di abilità, atteggiamenti e competenze, che vanno oltre all’acquisizione di nozioni e contenuti, ponga l’insegnante in un atteggiamento flessibile e attento nel rilevarli: ciascun momento della lezione è stato, infatti, anche momento di verifica e rilevazione di quei segnali che mi hanno permesso di leggere le motivazioni, i comportamenti e i metodi di indagine messi in atto da ciascun bambino, seppur ad uno stadio embrionale. Osservare come intervengono i bambini, come agiscono, come ragionano, diventa occasione fondamentale per valutare atteggiamenti e competenze trasversali (dimostrare interesse, partecipare alle discussioni, saper esporre le proprie riflessioni; la capacità di problematizzare, intesa come curiosità e impegno a conoscere il nuovo, nonché a formulare strategie alternative di risoluzione a questioni problematiche; sistematizzare le conoscenze, ovvero integrare le nuove con quelle possedute in vista di una coerenza interna, ecc.). 126 Fare una valutazione oggettiva61 richiede dei requisiti da cui non è possibile prescindere; voler formulare un giudizio a tutti i costi, considerata la modalità del nostro operare in parte condizionata da tempi così brevi, avrebbe voluto dire sottoporre i bambini ad una rigida valutazione basata esclusivamente su una quantificazione delle conoscenze acquisite, attuando così un modello sanzionatorio piuttosto che farlo divenire un momento di crescita. Inoltre i bambini sottoposti ad un giudizio dichiarato, talvolta, si intimoriscono e, in conseguenza a tale inibizione, la loro prestazione risulta falsata. Per questo ho voluto concepire tale prova più come un rinforzo per consolidare, o almeno fermare, nelle menti dei bambini i numerosi concetti piuttosto complessi implicitamente connessi alle nostre esperienze ed esplicitamente affrontati nelle discussioni collettive, che non come una vera e propria verifica. La prima prova è stata svolta dai bambini a metà del percorso, dopo le prime due lezioni. Si componeva di due parti: dieci domande relative alla forza di gravità e cinque riferite alle dimensioni e distanze relative del sistema Terra-Sole. La seconda, invece, è stata distribuita a conclusione del percorso e, nella medesima tipologia della precedente, si componeva di sei domande relative alla luminosità vera e apparente delle stelle e otto quesiti sulle variazioni stagionali, oltre a due domande a risposta aperta sulla gradevolezza dell’esperienza. Ho dovuto strutturare la prova con domande principalmente a risposta multipla per il limite di tempo a disposizione. Avrei fortemente voluto una collaborazione con l’insegnante di italiano per trovare un più ampio spazio di lavoro che garantisse ai bambini la possibilità di espressione su ciò che indagavamo di volta in volta cosicché, attraverso la descrizione scritta, le conoscenze e le esperienze “agite” potessero trovare una progressiva organizzazione e sistemazione ad un livello sempre più esplicito e conscio. Purtroppo questa richiesta non è stata accolta e, con grande rammarico, ho dovuto rinunciare al fondamentale contributo che avrebbe potuto apportare l’opportunità di integrare il progetto con un lavoro di espressione linguistico-artistica. 61 Per una programmazione ed una valutazione completa di un intervento didattico è necessario partire da una valutazione diagnostica, la quale fornisce un giudizio preventivo circa l’adeguatezza o meno delle soluzioni pratiche da operare in riferimento agli intenti da raggiungere (valutare se vi sono i prerequisiti necessari per il raggiungimento degli obiettivi, sviluppo cognitivo, stili e ritmi di apprendimento, ecc.); interviene poi, durante il processo di apprendimento, la valutazione cosiddetta formativa, con lo scopo di fornirci informazioni circa il modo in cui gli allievi accedono ad una certa procedura di apprendimento e come procedono attraverso di essa, quali abilità sta maturando e quali costituiscono invece un ostacolo. Questo consente all’insegnante di intervenire durante il processo di apprendimento attivando gli interventi compensativi opportuni. Infine la valutazione sommativa permette di raccogliere i dati per tentare un bilancio conclusivo dell’attività didattica. 127 I risultati si possono considerare nel complesso piuttosto soddisfacenti. A differenza della prima prova in cui erano tutti presenti, la seconda è stata svolta soltanto da dieci bambini, poco più della metà; purtroppo non è stato possibile ripeterla neppure in un momento successivo dato che mancavano pochi giorni alla conclusione della scuola e gli impegni della classe erano davvero molti. Di seguito sono riportate le prove e gli istogrammi che raffigurano gli esiti relativi a ciascuna domanda. 11.1 Resoconto sulla prova relativa al primo e al secondo incontro La forza di gravità 1. La forza di gravità fa sì che tutti gli oggetti si attraggano a vicenda; ma nella vita di tutti i giorni non ci accorgiamo di questa attrazione. Perchè? A- Tutto ciò che ci circonda ci attrae in tutte le direzioni ma siamo sensibili solo all’attrazione della Terra perché la sua massa è enorme in confronto a tutto il resto. B- Perché questa forza vale in tutto l’universo tranne che sulla Terra. C- Perché non siamo fatti di metallo. % 100 80 60 40 20 0 A B C risposta 2. Hai in mano un bicchiere d’acqua; supponi adesso di essere esattamente dalla parte opposta del globo. Che cosa succede all’acqua dall’altra parte del globo? A- Resta al suo posto. B- Esce dal bicchiere. 128 % 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 A B risposte Tre bambini dimostrano di non avere ancora afferrato il concetto. Sono gli stessi che durante le discussioni in classe dovevo continuamente sollecitare a partecipare per la loro tendenza a non intervenire. Sono certamente i bambini che hanno risentito maggiormente della mancanza di esperienze di rinforzo. Essi sbagliano anche la domanda n. 3 e si astengono dal completare la frase. 3. Nell’immagine qui sotto puoi vedere alcuni uomini sparsi in vari punti del globo con in mano una pietra. Che cosa succede alla pietra tenuta dall’uomo dall’altra parte del globo, quando viene lasciata andare? A- Cade ai piedi della persona. B- Cade verso la parte bassa della pagina. % 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 A B risposta 129 La …………, infatti, si manifesta nello stesso modo in ogni luogo della terra; quello che vale per te vale anche per una persona che si trova…………parte del mondo. 4. Un oggetto lasciato cadere, in quale tunnel cade? A- Nel tunnel numero 1. B- Nel tunnel numero 2. Infatti ogni corpo lasciato cadere si muove verso il ………. della Terra, quindi il nostro oggetto cadrà nel tunnel numero… % 100 80 60 40 20 0 A B risposta Soltanto due bambini non rispondono correttamente e coincidono ancora con due dei tre alunni che avevano sbagliato i quesiti precedenti. 5. Rispondi alle seguenti domande: 5a) Noi viviamo: 5b) Se lasciamo cadere un oggetto esso si muove: A- Intorno a tutto il globo terrestre. A- Verso il centro della Terra. B- Nella regione piatta della Terra. B- Verso il basso. C- Alla sommità della Terra. C- Verso Sud. 130 % % 80 70 60 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 50 40 30 20 10 0 A B C n risposta A B C risposta 6. La massa di un corpo dipende da: A- La sua forma. B- Il suo volume. C- La distanza dal pianeta su cui si trova. D- La quantità di materia di cui è formato. % 60 50 40 30 20 10 0 A B C D risposta Si evince chiaramente dall’andamento del grafico che il concetto non è stato affrontato in maniera esauriente poiché solo cinque bambini rispondono correttamente, mentre ben nove alunni collegano la massa di un corpo alla distanza dal pianeta su cui si trova il corpo stesso. L’argomento era stato effettivamente trattato piuttosto velocemente. Al contrario, però, i bambini sembrano aver pienamente acquisito il concetto di peso, tanto che solo uno di loro non risponde correttamente alla domanda n. 7. 7. Il peso di un uomo sulla Terra è diverso dal peso che avrebbe se venisse trasportato sulla Luna, benché la sua massa resti invariata. Questo accade perché il peso di un corpo dipende: A- Dalla forma e dimensione del corpo. B- Dalla massa del corpo e dalla gravità, cioè l’attrazione che subiamo da parte del pianeta su cui ci troviamo. 131 % 100 80 60 40 20 0 A risposta B 8. Immagina di trovarti sulla Luna (ricorda che la Luna, diversamente dalla Terra è priva di atmosfera) e di lasciar cadere dalla stessa altezza 2 kg di piombo e 1 kg di piume: chi raggiungerà per primo il suolo? A- 2 kg di piombo. B- 1 kg di piume. % 50 40 30 20 10 0 A B AB risposta In una eventuale attribuzione di punteggi avrei sicuramente eliminato questa domanda dal conteggio poiché, oltre ad essere piuttosto perfida, non si inserisce nel giusto contesto: tutte le altre domande prevedono un’unica risposta corretta e avrei dovuto dichiarare esplicitamente nella consegna che vi potevano essere più risposte giuste. Solo sette bambini rispondono barrando entrambe le opzioni, mentre tutti gli altri ne scelgono una soltanto. Otto di questi scelgono la risposta B, probabilmente ricordando le esperienze e le discussioni sviluppatesi durante la lezione senza considerare, altresì, la possibilità di scegliere entrambe le risposte; decidono, quindi, per una soluzione diversa da quella che si verificherebbe sulla Terra, ma non è quella corretta. 132 9. Se trasportassimo un corpo sulla Luna come varierebbe la sua massa? Ed il suo peso? 9a) MASSA 9b) PESO A- Non varia A- Non varia B- Diminuisce B- Diminuisce C- Aumenta C- Aumenta % % 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 50 40 30 20 10 0 A B C risposta A B C risposte Qui si ha una conferma a quanto emerso dall’analisi della domanda n. 6 su una mancata comprensione del concetto di massa; si evince, però, che neppure il concetto di peso risulta chiaro ai bambini. Dimensioni e distanze relative del sistema Terra-Sole 1. Le immagini riprese dallo spazio hanno da tempo confermato la sfericità della Terra; sai spiegare allora perchè nella realtà di tutti i giorni ci appare piatta? A- Noi viviamo in una regione specifica della Terra che è piatta. B- Non sono veramente convinto che la Terra sia sferica. C- La Terra è sferica, ma è così grande che noi possiamo vederne solo una piccola parte e la sua curvatura ci appare piatta. D- La Terra non è proprio sferica, ma un solido con moltissime facce piatte e noi viviamo su una di esse. % 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 A B C D n risposta Solo due bambini non rispondono. 133 2. Il raggio del sole è molto più grande di quello terrestre: di quante volte? Se non te lo ricordi lo puoi facilmente ricavare sapendo che il raggio terrestre è circa 6.370 km mentre il raggio del Sole è circa 700.000 km. ………………………………………………………………………………… Ben otto bambini sottraggono il raggio terrestre dalla misura di quello solare. Dall’analisi di questo dato deduco che avrei dovuto formulare più chiaramente il testo della domanda, cassando ogni ambiguità. 3. Per riprodurre in scala il sistema Terra-Sole, il raggio del pallone che avevamo a disposizione era di 12 cm; abbiamo ricavato il raggio della sferetta rappresentante la Terra pari a ……cm. Quindi abbiamo sistemato la Terra a …… m di distanza dal Sole. La maggior parte degli alunni ha ricavato (o ricordato?) correttamente il raggio della sferetta, mentre solo la metà di loro ha risposto correttamente anche alla seconda richiesta. Certamente il quesito doveva riportare tra i dati la distanza tra la Terra e il Sole per consentire ai bambini di ricavare la risposta e non ridurre così la prova ad un inutile sforzo mnemonico (altri dati utili potevano essere ricavati dall’esercizio n. 2). Considerazione da estendere alla domanda successiva a cui rispondono correttamente quattordici bambini per quanto riguarda il primo quesito, mentre nessuno risponde al secondo. 4. Se il raggio della Terra fosse 10 cm, mantenendo inalterate le proporzioni, quale dovrebbe esser il raggio del Sole? A quale distanza dovremmo collocarli sempre rispettando le proporzioni? …………………………………………………………………………………. 5. Supponi, ora, di voler rappresentare il Sole con una sfera col raggio di 109 cm. Quanti centimetri misurerà il raggio della Terra? A- 1 cm B- 10 cm C- 3 cm 134 % 60 50 40 30 20 10 0 A B C n risposta La maggior parte dei bambini dimostra di non padroneggiare ancora il sistema di riduzione in scala; molti di loro, infatti, anche durante la discussione in classe necessitavano di una guida che li conducesse nel ragionamento. 11.2 Resoconto sulla prova relativa al terzo e al quarto incontro Luminosità vera e apparente delle stelle 1. La luce del Sole è sufficiente ad illuminare il cielo intero. Perché, allora, le stelle della Galassia (circa 100 miliardi) non illuminano il cielo notturno? A- Perché sono molto più deboli del Sole. B- Perché il Sole è una stella molto più luminosa di tutte le altre. C- Perché la distanza delle stelle è enorme, quindi ci appaiono deboli e puntiformi (come punti). % 100 80 60 40 20 0 A B C risposta 2. La luce delle stelle che arriva a noi: A- È partita un istante prima di giungere sulla Terra. B- Viaggia circa 4 anni prima di giungere sino alla Terra. C- Viaggia tanto di più, quanto è più lontana da noi. 135 % 60 50 40 30 20 10 0 A B C risposta La maggior parte dei bambini risponde correttamente; altri, invece, dimostrano una minore capacità d’astrazione e restano ancorati all’esempio fatto in classe della stella a noi più vicina, generalizzando questo caso specifico. 3. Due torce proiettano sul muro due macchie di luce di intensità diversa: potendo vedere solo la luce sul muro potresti dire se le due torce sono uguali o diverse? A- Sì, perché se le torce emettono una luce diversa sono anch’esse sicuramente diverse. B- No, perché non sappiamo se sono a distanze uguali o diverse dal muro. % 100 80 60 40 20 0 A B risposta 4. Quanto più una sorgente di luce è ……………… , più sembra debole; viceversa, più una sorgente di luce è ……………, più appare luminosa. 5. La luce di una stella, vista dalla Terra, può essere più o meno intensa. Questo dipende da due cose: sapresti dire quali? Dalla……………della luce della stella. Dalla………………….della stella dalla Terra, dove ci troviamo noi che la osserviamo. 136 La concettualizzazione circa la luminosità apparente e assoluta di una stella sembra essere consolidata in tutti gli alunni, i quali hanno risposto correttamente sia al quesito n. 4 (con un solo astenuto), sia al quesito n. 5. Non possiamo dire altrettanto per quanto riguarda il metodo della parallasse sul quale non si esprimono ben sei bambini su dieci. La causa, probabilmente, è da attribuirsi più al momento in cui è stato affrontato l’argomento (sul finire della lezione i bambini mostravano evidente stanchezza e conseguente distrazione) che non alla sua reale complessità (anche perché lo abbiamo affrontato in maniera intuitiva senza ricorrere ad alcuna regola di geometria!). 6. Il metodo della parallasse viene utilizzato dagli astronomi per misurare la …………. delle…………più vicine a noi, osservandole da due estremi opposti dell’orbita terrestre. Le variazioni stagionali Segna con una crocetta la risposta che ritieni corretta. 1. L’alternarsi del dì e della notte è spiegato dalla rotazione della Terra attorno al Sole A- Vero B- Falso % 60 50 40 30 20 10 0 A B risposta 2. L’alternarsi delle stagioni è spiegato dalla rotazione della Terra attorno al Sole A- Vero B- Falso % 80 60 40 20 0 A B risposta 137 3. D’inverno è più freddo perché la Terra è più lontana dal Sole A- Vero B- Falso % 100 80 60 40 20 0 A risposta B 4. Quando il Sole è più basso sull’orizzonte succede che: A- I fasci luminosi colpiscono una zona più ampia della superficie terrestre. B- I fasci luminosi colpiscono una zona più ristretta della superficie terrestre. % 100 80 60 40 20 0 A B risposta 5. Quando il Sole è più basso sull’orizzonte succede che: A- Si misurano temperature più basse. B- Si misurano temperature più alte. % 100 80 60 40 20 0 A B risposta 138 I grafici dimostrano la comprensione degli argomenti trattati da parte della quasi totalità degli alunni, con l’unica eccezione del primo quesito. L’errore, però, potrebbe essere attribuito ad una lettura superficiale del testo e, dunque, ad una sua erronea interpretazione dato che, il moto a cui si fa riferimento non viene denotato con il suo nome specifico (moto di rivoluzione). Segna con una crocetta la risposta (o le risposte) che ritieni corrette. 6. D’estate: A- Fa più caldo perché la Terra è più vicina al Sole. B- I fasci luminosi colpiscono una zona più ristretta della superficie terrestre. C- Il Sole è più basso sull’orizzonte rispetto all’inverno. % 100 80 60 40 20 0 A B C risposta 7. Al mattino il Sole è più basso sull’orizzonte rispetto al mezzogiorno: A- Questo vuol dire che è più vicino a noi. B- Questo significa che i fasci luminosi colpiscono una zona più ampia della superficie terrestre. C- Le ombre sono più lunghe. % 50 40 30 20 10 0 A B C BeC risposta 139 Gli alunni che hanno risposto contrassegnando anche l’opzione C hanno dimostrato un’ottima capacità di ragionamento poiché, durante la lezione, non avevamo parlato delle ombre. 8. L’inclinazione dell’asse terrestre e la rivoluzione della Terra attorno al Sole ci permettono di spiegare: A- Le variazioni stagionali di tutti i punti della Terra. B- Il Sole di mezzanotte nelle zone polari. C- L’alternarsi del dì e della notte. % 50 40 30 20 10 0 A B C AeB AeC risposta 9. Descrivi ciò che più ti ha colpito delle esperienze alla scoperta del cielo e quella che ti è piaciuta di meno. 10. La cosa che ti ha stupito di più, che non ti saresti mai immaginato. Non tutti i bambini hanno avuto il tempo necessario per rispondere a queste ultime due domande sul gradimento dell’esperienza; nonostante il numero limitato di risposte, per me è stato davvero sorprendente e divertente scoprire cosa pensassero i bambini: una alunna dichiara di aver gradito l’intera avventura, mentre gli altri hanno espresso ciò che più li aveva colpiti e, senza timore, anche quello che avevano apprezzato di meno. 140 Conclusione Si conclude così questo percorso di ricerca collettivo, che ha visto coinvolti i bambini di una classe quinta, l’insegnante di matematica e scienze e la sottoscritta. Volendo fare un bilancio dell’esperienza devo necessariamente tenere in considerazione una molteplicità di fattori. Posso dire con certezza che per i bambini è stata un’esperienza positiva ma, come studentessa e regista del progetto non posso negare un certo malessere nel constatare uno scollamento tra quanto si apprenda all’Università attraverso innumerevoli e specifici corsi teorici e quale sia invece la realtà scolastica che caratterizza, credo, la maggior parte degli istituti. Le difficoltà sono state varie e di diversa natura. Innanzitutto non è stato scontato trovare il linguaggio e i modi più appropriati per adeguarsi alle capacità dei bambini e rendere gli argomenti chiari ed accessibili. Per questo ho ritenuto importante ripetere gli stessi concetti, spesso complessi e controintuitivi, formulandoli secondo prospettive diverse. Ho riscontrato una certa difficoltà nel poter usufruire degli strumenti e delle aule speciali della scuola, probabilmente non sufficienti per il numero di classi che la scuola accoglie (ad esempio ho dovuto ricorrere al mio computer personale per vedere, insieme ai bambini, una presentazione finalizzata a rinforzare i concetti tanto difficili che avevamo affrontato nell’ultimo incontro). Questo ha incrementato ancora di più la variabile di imprevedibilità intrinseca ad ogni situazione. Provare le esperienze a casa è stato sicuramente importante: è necessario avere una conferma che le cose vadano realmente come ce le eravamo immaginate. Ho sempre cercato di dar avvio alle lezioni attraverso discussioni collettive articolate attorno ad una o più domande stimolo, così da favorire il pensiero critico dei bambini, la loro capacità di esprimere considerazioni personali, di formulare ipotesi, di saperle modificare in seguito all’ascolto delle previsioni altrui. Ritengo fondamentale che la parte verbale e sperimentale si integrino e si supportino a vicenda, anche per riconoscere in pieno il valore didattico delle esperienze laboratoriali, che altrimenti scadrebbero in sistematiche convalide di teorie “date” e dunque di conoscenze etero-dirette e non auto-costruite. Sono, però, assolutamente consapevole che avrei dovuto lavorare molto di più sul rinforzo, affinché fosse garantito ad ogni bambino il tempo necessario per rielaborare le informazioni scoperte attraverso le esperienze e le discussioni, per tradurle in immagini mentali 141 nitide e stabili e, infine, per farle entrare a far parte della struttura cognitiva come concetti acquisiti. Così, non solo si attiva ma si porta a compimento un processo di apprendimento significativo. Il progetto era certamente ambizioso poiché gli argomenti trattati chiamano in causa concetti complessi, talvolta di non facile intuizione. I bambini hanno comunque aderito e partecipato con entusiasmo alle attività rispondendo agli stimoli sollecitati. Solo a fine lezione notavo in alcuni di loro una maggiore tendenza a distrarsi dettata probabilmente dalla stanchezza mentale di aver affrontato temi sostanziosi in breve tempo; a questo proposito, se dovessi riproporre il progetto, oltre a prevedere uno spazio di riflessione individuale, organizzerei il lavoro su un arco di tempo decisamente più ampio; ciascuna lezione dovrebbe essere divisa in almeno due incontri, senza considerare il tempo da dedicare ad una corretta valutazione (diagnostica, formativa, sommativa, organizzativa) che dovrebbe investire l’intero percorso didattico. Benché gli alunni non avessero tutti i prerequisiti necessari per affrontare gli argomenti trattati, si sono comunque dimostrati recettivi e maturi nel seguire le integrazioni volte a colmare tali vuoti e ciò che più mi ha stupito è stata proprio la loro capacità di ragionare sulla base dei dati e degli stimoli forniti. Realizzare un progetto non è facile, poiché l’idea che ci si è fatti prende vita in un contesto caratterizzato da certi connotati: lo sviluppo cognitivo degli alunni, le loro competenze specifiche, l’acquisizione degli strumenti e dei procedimenti fondamentali per l’apprendimento scientifico, i bisogni dei bambini e i loro interessi; tutti fattori che concorrono a concretizzare il progetto in una esperienza unica e irripetibile. Non bisogna sottovalutare i limiti imposti dagli spazi e dalle scarse risorse: un insegnante deve dedicare molto tempo alla preparazione dei materiali e soprattutto ricorrere a mezzi e strumenti propri che la scuola non offre; basti pensare che a scuola non mi è stato possibile neppure fare le fotocopie! Sono rimasta comunque molto colpita dall’entusiasmo e dalla propositività di molti bambini a fronte di un’abitudinarietà a lavorare seguendo percorsi lineari e poco dinamici. I bambini sin dal principio si sono dimostrati interessati e inclini ad imparare e condividere le “regole del gioco” da me proposto e a contribuire con un loro apporto originale di idee, per una efficace condivisione delle responsabilità del processo di insegnamento/apprendimento. Con questo progetto ho cercato di instillare nei bambini un insieme di competenze teoriche ed operative, affinché questo ambizioso traguardo non rimanesse un 142 enunciato speculativo, ma costituisse l’inizio di un lungo processo di ricerca e costruzione personale delle conoscenze scientifiche. Conclusione che auspico sia più un punto di ri-partenza piuttosto che una fine, un progetto vissuto, ampliato e arricchito da altre menti grandi e piccine con la voglia, l’entusiasmo e il coraggio di andare in scena accompagnati da quel desiderio-paura di scoprire cose nuove, di conoscere l’insaputo, capace di mobilitare energie inaspettate in ciascuno di noi. In una dimensione laboratoriale, l’insegnante è mosso da una ricerca permanente di sempre nuove vie percorribili per rinnovare lo sguardo attraverso cui guardare e invitare a guardare ciò che sta proprio sopra le nostre teste e sotto ai nostri piedi; ecco che cielo e terra divengono straordinari ambienti educativi, custodi di segreti ancora da svelare per sentirsi sempre più vivi e parte essenziale del mondo. L’astronomia ormai da anni fa parte del programma in tutti gli ordini scolastici ma stenta ancora ad entrare nella scuola. Anziché appiattire l’universo in disegni e descrizioni talvolta scorrette e spesso incomprensibili, sarebbe utile piuttosto invitare gli studenti ad alzare lo sguardo al cielo, alle danze lente e ritmiche dei corpi che lo popolano imparando a lasciarsi suggerire da questi stessi oggetti e fenomeni osservati, nuovi interrogativi e nuove conoscenze. Avendo a disposizione tempi distesi, pazienza, collaborazione dei genitori per estendere l’osservazione in notturna e soprattutto l’entusiasmo e il coraggio necessari per intraprendere un’avventura che ha poco di ordinario, penso che sia possibile guardare e percepire con occhi diversi ciò che ci circonda, “incontrando” e non “studiando” la conoscenza che il nostro prezioso mondo ci offre. Se un giorno riuscirò mai a coronare il sentito auspicio di insegnare in una scuola, porterei sì l’astronomia dentro la scuola, ma proverei con tutti i mezzi possibili anche a portare i bambini a scrutare il cielo e l’universo, in un’astronomia diretta, osservata e non solo riprodotta: quale miglior laboratorio di quell’immenso e ricco spazio che si dispiega infinito al di là del portone della scuola? 143 Bibliografia AA.VV., Filosofia. Le Garzatine, Garzanti Editore, Torino 2002. AA.VV., L’educazione scientifica nelle scuole della toscana. Atti del Convegno. 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