Antropologia teologica, matrimonio e famiglia Una riflessione sulle

TESTO PROVVISORIO
XIX CONVEGNO DI STUDI – FACOLTÀ DI DIRITTO CANONICO
MATRIMONIO E FAMIGLIA
LA “QUESTIONE ANTROPOLOGICA” E L’EVANGELIZZAZIONE DELLA FAMIGLIA
Giovedì 12 marzo 2015
Antropologia teologica, matrimonio e famiglia
Una riflessione sulle strutture d’appoggio per la ‘cellula fondamentale della
società’
Rev. Prof. Paul O’Callaghan
Quis custodiet ipsos custodes? (Giovenale)1
Non sono poche le questioni che riguardano il matrimonio e la famiglia nell’ambito
dell’antropologia teologica. Più ancora in quello dell’antropologia filosofico e culturale. In questa
relazione volevo accennare solo tre questioni, collegate senz’altro l’una con l’altra. La prima
riguarda la dinamica individuo - società - relazione nello sviluppo della persona nella ‘cellula
fondamentale della società’,2 considerando inoltre le diverse ‘strutture di appoggio’ e di
disgregazione all’interno di questa dinamica. La seconda concerne il ruolo ermeneutico giocato
dalla chiamata universale alla santità nella vita familiare. E la terza questione, quella
particolarmente attuale del rapporto tra dottrina e misericordia nella pastorale familiare.
1. L’uomo, individuo che si realizza nella società
Nel mese di giugno del 2014 il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Uniti approvò una
dichiarazione altamente positiva rispetto alla costituzione e al ruolo della famiglia nella società
umana, famiglia costituita da uomo, donna e figli.3 Dei 47 membri-stati partecipanti, più della metà
(26) erano favorevoli,4 14 erano contrari,5 sei si erano astenuti,6 e uno non era presente.7 In
continuità con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948), la famiglia era riconosciuta
come l’unità naturale e fondamentale della società umana, meritevole di essere protetta dalla società
e dallo Stato. Al contempo una consistente minoranza preferiva una definizione più ampia di
‘famiglia’.
Interessante comunque notare le osservazioni fatte da uno dei delegati sfavorevoli alla
dichiarazione: nel testo non si tratta delle violazioni dei diritti umani commessi all’interno della
famiglia.8 In altre parole, si sospetta che la promozione della famiglia non vada a pari passo con la
difesa della dignità dell’individuo umano. In alcuni casi, quindi, lo Stato o altri organismi intermedi
o sovranazionali dovrebbero intervenire per evitare che i diritti umani dei cittadini siano
pregiudicati dalle diverse forme di ingiusta pressione che la famiglia potrebbe esercitare su di essi.
1
GIOVENALE, Satiri VI, 347s.
FRANCESCO, Es. Ap. Evangelii gaudium, n. 66.
3
Si tratta della risoluzione dell’ONU protocollata A/HCR/26/L.20/Rev.1.
4
Algeria, Benin, Botswana, Burkina Faso, Cina, Congo, Costa d’Avorio, Etiopia, Gabon, India, Indonesia, Kenya,
Kuwait, Maldive, Morocco, Namibia, Pakistan, Philippines, Russia, Arabia Saudita, Sierra Leone, Sud Africa, UAE,
Venezuela e Vietnam
5
EU (Germania, Irlanda, Austria, Francia, Italia, UK), Giappone, Korea del Sud, USA.
6
Argentina, Brasile, Costa Rica, Messico, Macedonia, Perù.
7
Cuba.
8
Cfr. il rapporto su zenit.org, edizione italiana del 3 luglio 2014.
2
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Invece di appoggiare in modo incondizionato la famiglia, invece dei essere family-friendly, quindi,
si pensa che lo Stato dovrebbe direttamente gestire aspetti centrali della vita familiare come sono:
l’educazione dei figli, anche quella sessuale, la possibilità di denunciare i propri genitori o figli, di
divorziare e abortire, di aggiustare l’identità strutturale della famiglia secondo i desideri delle
persone, etc.
Emerge in tutto ciò un complesso rapporto quadripartito tra individuo, famiglia, autorità
pubblica… e religione. Complesso ma importante per situare correttamente la riflessione sulla
famiglia. Volevo fare riferimento ad un esempio storico (l’antichità greca e romana), per poi
passare ad una riflessione ti tipo antropologico.
Lo storico francese del XIX secolo Fustel de Coulanges nel suo libro La città antica, allora
rivoluzionario e ancora sorprendente,9 spiega che la vita religiosa – garante ultima dell’immortalità
umana – si esprimeva principalmente nel contesto della famiglia. La famiglia (padre, madre, figli,
schiavi) conteneva la religione, e allo tempo la religione reggeva rigidamente la famiglia e
garantiva la proprietà.10 Il rito matrimoniale e la vita familiare che da esso sorgeva, quindi, erano
considerate sacre, intoccabili. Anzi, la sede della sacralità e della religione era il focolare familiare.
La vita della famiglia girava in torno ai riti collegati al fuoco sacro che rappresentava e rendeva
possibile la coesione dell’unità familiare. Tuttavia, nei confronti della famiglia, strutturata
religiosamente, sia l’istituzione statale più ampia che l’individuo umano erano da considerarsi
subordinate e, perlopiù, irrilevanti.11
Tuttavia, la rigidità di questa istituzione sociale – questo legame indissolubile, per così dire, tra
famiglia e religione domestica – cominciava a sgretolarsi in due direzioni, secondo le descrizioni di
Fustel de Coulanges.
In primo luogo per ragioni di coesione statale e nazionale. In effetti, in Grecia e in Roma (e in
altri popoli), il ruolo della religione (o meglio delle religioni) si spostava sempre di più dalla
famiglia verso il popolo e lo Stato. Il risultato sarebbe un indebolimento dell’unità familiare a
prezzo della crescita militare, economica e politica dello Stato, oltre allo sviluppo del ruolo
pubblico della religione. La religione gioca ancora un ruolo centrale; essa però si sposta dalla
famiglia all’autorità pubblica.
In secondo luogo, lo stretto ‘legame’ tra religione e famiglia cominciava a decadere a causa di
una consapevolezza e una rivendicazione crescenti dei diritti degli individui. In torno all’antico
fuoco familiare, greco o romano, solo il padre, il paterfamilias, svolgeva un ruolo di autorità, quasi
divina, di signore e sacerdote. Gli altri membri della famiglia – sposa, figli e schiavi – erano a sua
disposizione. Semplicemente non avevano dei diritti. L’unità familiare era segnata da una profonda
ineguaglianza. Peggio per le figlie che per i figli, perché con un nuovo matrimonio almeno questi
ultimi potevano diventare sacerdoti di un nuovo fuoco familiare, di una nuova religione.
Per primi erano gli stoici che insegnavano la centralità dell’individuo e la sua coscienza come
‘sede’ principale dell’assoluto religioso, a cui veniva subordinato, per forza, sia la famiglia che lo
9
Cf. N. D. FUSTEL DE COULANGES, The Ancient City: a Study on the Religion, Laws and Institutions of Greece and
Rome, Lee & Shepard, Boston 1874 (orig. La cité antique, 1864). Si veda il riassunto di questa opera in L. SIEDENTOP,
Inventing the Individual: the Origins of Western Liberalism, Allen Lane, London 2014. Siedentop lo considera ancora
sostanzialmente valida.
10
Sono inseparabili tra di loro: la religione domestica, la famiglia e la proprietà. La famiglia è fondata non sulla
nascita, o sull’affetto, o sulla forza, ma sulla religione: FUSTEL DE COULANGES, The Ancient City, 42.
11
“The ancient family began as a veritable Church”, SIEDENTOP, Inventing the Individual, 15. Un padre poteva
uccidere i membri della sua famiglia. “For the Greeks and Romans, the crucial distinction was not between the public
and private spheres. It was between the public and domestic spheres. And the domestic sphere was understood as the
sphere of the family, rather than as that of individuals endowed with rights. The domestic sphere was a sphere of
inequality. Inequality of roles was fundamental to the worship of the ancient family… Piety raised a barrier that could
not be scaled”, ibid., 18.
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Stato.12 E il cristianesimo più ancora… con la centralità che diede alla persona umana, al principio
in modo implicito, e poi, sempre di più, in modo esplicito.13 Era Kierkegaard che mantenne che il
grande contributo del cristianesimo storico è stato quello dell’affermazione del singolo,
dell’individuo umano.14 “Il singolo”, disse, “con questa categoria si mantiene in piedi, o cade, la
causa del cristianesimo”.15 Affermazione contro-intuitiva certamente per un cristiano abituato a
pensare le cose a partire dal sociale e dal vissuto della carità, però di grande peso all’ora di
comprendere il valore della persona umana.
Per non allungare di più la complessa storia della questione, possiamo dire che la cultura
occidentale, a partire dalle sue base stoiche, ebraiche e cristiane, arriva alla convinzione,
ampiamente condivisa nei tempi moderni, del valore dell’individuo umano, soggetto ultimo dei
diritti umani inalienabili.
Però questo processo moderno di indubbia radice cristiana, dove lascia le altre “strutture di
appoggio” nella vita umana menzionati sopra: lo Stato, la famiglia e la religione?
A. Il rapporto fra individuo e Stato. Lo Stato, superato in parte l’assolutismo, teologicamente
fondato, della classica visione imperialista e monarchica, è considerato nella modernità sempre di
più come il risultato della confluenza delle volontà dei cittadini, al servizio delle persone e dei loro
interessi, un fenomeno associativo essenzialmente subordinato al popolo. Così in linea di massima
sono i moderni sistemi democratici.
B. Il rapporto tra individuo e famiglia. Per molte persone oggigiorno la famiglia ci si presenta
semplicemente come un insieme di individui che dovrebbe subordinarsi ed aggiustarsi alla volontà e
alle situazioni vitali degli individui che lo compongono. Però le cose non sono così semplici.
Principalmente perché l’individuo umano arriva all’esistenza a partire dall’unione affettiva e fisica
tra altri due individui, il padre e la madre. In questo modo si percepisce che l’uomo nella sua
individualità, nel suo essere persona, non si reduce ad un’esistenza atomica staccata da quella degli
altri, con cui, caso mai, può stabilire dei rapporti contrattuali contingenti per poter vivere e
svilupparsi, come pensava Hobbes. Proprio dall’origine della vita si vede che l’esistenza umana è
intrinsecamente relazionale, perché derivata e dipendente da un rapporto metafisico e non solo
esistenziale con altre persone, fondamentalmente con Dio ma poi con i propri genitori. Inoltre, la
persona umana diventa pienamente tale solo nel contesto del generoso dare e ricevere dagli altri: ha
bisogno di ricevere, con un atto di amore affermativo del suo essere persona, cioè d’amore
incondizionato; inoltre, deve dare agli altri i talenti e i doni che possiede più la riconoscenza per i
doni ricevuti. La Gaudium et spes esprime questa dinamica nella seguente felice formula, spesso
commentata da san Giovanni Paolo II: l’uomo “non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un
dono sincero di sé”.16 Frutto di tutto ciò è una vita umana armoniosa, fatta d’equilibrio tra
indipendenza ed appartenenza. Equilibrio difficile da raggiungere però se manca la consapevolezza
di essere amato, più la possibilità di donarsi liberamente. Difficile di realizzarsi cioè se non nel
contesto di un’unione stabile tra uomo e donna con un numero contenuto di figli ed altri membri,
appunto la famiglia.
Logicamente tutta questa dinamica viene seriamente messa in crisi dall’intrusione dell’artificiale
nel processo dell’origine della vita umana: dalla contraccezione, dalla fecondazione assistita, dal
controllo delle nascite, dallo spezzarsi del legame matrimoniale. E questo per due ragioni. In primo
luogo perché si tratta di processi che lo Stato tenterà di regolamentare, e facendolo, finisce col
12
P. O’CALLAGHAN, Figli di Dio nel mondo. Trattato di antropologia teologica, Edusc, Roma 2013, 39-44.
“Stoicism, by enlarging human association, emancipates the individual”, FUSTEL DE COULANGES, The Ancient City,
479. “Stoicism had already… restored man to himself, and had founded liberty of conscience” ibid., 526.
13
O’CALLAGHAN, Figli di Dio nel mondo, 685-703.
14
Si veda ibid., 698, nota 50.
15
S. KIERKEGAARD, Samlede Vaerker, vol. 13, Gyldendal, Copenhagen 1930, 608s.
16
CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 24.
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spostare, condizionare e ridurre il ruolo dell’unione matrimoniale e della vita familiare nella vita
della società. E secondo, perché i fattori di crescita umana verificati normalmente nella vita
familiare (processi basati sull’amore, sull’accoglienza riconoscente, sulla fedeltà, etc.) vengono
pesantemente condizionati dall’intrusione dell’artificiale. Non sarà così in tutti i casi. Tuttavia, è
difficile che una persona impari ad amare davvero quanto non sperimenta un amore fedele ed
equilibrato.
Detto in breve: uno Stato, che deve per forza governare un numero molto elevato di persone, in
un modo necessariamente ‘impersonale’, non è in grado di assicurare direttamente la crescita
umana, culturale ed affettiva dei cittadini, come lo è la famiglia. Lo Stato, e con esso gli altri
organismi governativi, semplicemente non sono in grado di gestire l’amore. Solo la famiglia lo può
fare, e perciò merita l’appoggio dello Stato.
C. Il ruolo della religione cristiana rispetto alla famiglia. In terzo luogo, insieme allo Stato e
alla famiglia, quale luogo occupa nel consolidamento della persona umana, la religione cristiana?
Ricordiamo che il contributo del cristianesimo nei confronti delle società greca e romana non
riguardava la famiglia nella sua materialità, ma l’individuo, la persona, intesa in maniera
relazionale. La fede cristiana non ha tentato di convertire la famiglia in un assoluto, come fecero le
forme religiose tipiche del bacino mediterraneo nei secoli prima di Cristo. La famiglia ebraica,
strutturata a partire delle promesse ad Abramo per assicurare la nascita del Messia, svolgeva una
funzione chiaramente religiosa… si trattava infatti di una società perlopiù patriarcale.17 È chiaro
nell’Antico Testamento che l’unico Signore dell’universo è Dio, però questa sovranità si
concretizza nell’autorità inappellabile del padre nella famiglia. Sorprendente per noi l’azione del
guerriero Iefte che uccise la propria figlia per compiere la sua promessa a Dio dopo aver vinto la
battaglia contro gli Ammoniti, così come ci racconta il libro dei Giudici (11).18
Il Nuovo Testamento, però, cambia le cose in modo sottile pero non indifferente. E non solo
perché si rafforza il ruolo complementare dell’uomo e della donna nella crescita della prole. Anche
perché l’autorità paterna (e materna) viene relativizzata e subordinata a Dio. I figli (e gli schiavi)
non sono più proprietà del padre. Se a livello ampio possiamo dire con la Gaudium et spes che
“Cristo manifesta l’uomo all’uomo”,19 si può anche suggerire che ‘Cristo manifesta la famiglia alla
famiglia’. Consideriamo l’episodio della separazione di Gesù ragazzo da Maria e Giuseppe durante
la consueta visita a Gerusalemme per la festa di Pasqua (Lc 2,41-52). Quando trovarono Gesù dopo
una lunga ricerca, la madre chiese: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io,
angosciati, ti cercavamo”. La risposta di Gesù è sorprendente (anche se troppo conosciuta per
genitori del III millennio). Disse: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle
cose del Padre mio?” E i suoi genitori “non compresero ciò che aveva detto loro”. Malgrado ciò,
dice il testo, “scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso”.
In questo episodio, Gesù fece vedere ai suoi che ci sono momenti in cui l’obbedienza a Dio, cioè
alla propria coscienza, antecede quella agli uomini. La tenerezza del tratto di Gesù con i bambini
non dà l’impressione che essi siano la mera proprietà dei loro genitori: “Lasciate che i bambini
vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio” (Mc 10,14).
Gesù sfidò fino ad un certo punto le norme di vita familiare accettate in quei tempi, nei confronti
delle quali collocava le esigenze superiori del discepolato cristiano (Mt 10,34-39; 12, 46-50). Con la
proibizione del divorzio, insegna che le donne hanno gli stessi diritti degli uomini (Mc 10,2-12).
Diverse parabole parlano dei figli che obbediscono ai genitori, però non sempre (Mt 21,28-31; Lc
15,11-32). A causa appunto della fede in Dio e della salvezza operata da Lui – della religione
appunto – si potrà dare una serrata opposizione tra genitori e figli (Lc 12,51-53).
17
Cf. C. L. MEYERS, Was Ancient Israel a Patriarchal Society?, «Journal of Biblical Literature» 133/1 (2014) 8-27.
È interessante vedere la posizione contraria, ad esempio nel comportamento della madre del profeta Samuele, e la
consegna fatta di questi al Tempio (1 Sam 1,21-28).
19
CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 22.
18
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Certo, l’intenzione di Gesù non era quella di cambiare o eliminare la famiglia, ma di
ridimensionare i rapporti che le persone possono avere con Dio al suo interno.20 Come disse Pietro
nei confronti delle autorità ebraiche, “bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5,30).
Paolo insiste sull’obbligo dei figli di obbedire i propri genitori. Però aggiunge: “E voi, padri, non
esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina (paideia) e negli insegnamenti del
Signore” (Ef 6,4).
Certo, si tratta di un tema da approfondire molto. Però era chiaro sin dall’inizio che i cristiani si
sentivano liberi, potevano svolgere la propria vita, non erano proprietà dei loro genitori. Occorre
notare che il cristiano non diventa tale per l’appartenenza ad una famiglia di cristiani…
Diversamente dall’ebraismo e dall’islam, ci si diventa cristiano, con tutta ‘la libertà e la gloria dei
figli di Dio’ (Rom 8,21), tramite il Battesimo, un rito di incorporazione alla Chiesa (e in alcune
parti alla res pubblica). Nell’antichità greca e romana non solo l’adulterio ma anche il celibato era
considerato un crimine.21 Però il fatto dello sviluppo del celibato tra i cristiani è un segno – tra
l’altro – che i credenti non erano dominati in un modo assoluto dalla loro famiglia. La famiglia era
il luogo migliore della crescita umana,22 senza dubbio, però si trattava di una scuola per crescere in
libertà, responsabilità ed uguaglianza, come una preparazione per poter rispondere appieno alla
volontà di Dio e servire la società.
In paragone con le religioni antiche, possiamo dire che la religione cristiana aveva un effetto
liberatore, non solo a livello morale ed interiore, ma anche a livello della società e della famiglia.
2. La chiamata universale alla santità e il realismo cristiano
È frequente nella discussione in torno alla vita della famiglia distinguere tra l’ideale e la realtà.
L’ideale sarebbe la famiglia perfetta, armoniosa, unita, capace di preparare degli ottimi cittadini e
buoni cristiani. La realtà, invece, sarebbe qualcosa di ben diversa, poiché il vissuto concreto di
tante unità familiari, segnato dalla rottura, dall’infedeltà, dalle esperienze traumatiche e dallo
sradicamento, è lontano dall’essere ideale.
I cristiani insistono però che la possibilità di raggiungere la perfezione cristiana nell’ambito della
famiglia, è realista. Con una visione positiva ed ottimista della natura umana, pur decaduta a causa
del peccato originale, e con una grande fede in Dio che dà la sua grazia abbondantemente agli
uomini, i cristiani sono convinti che è possibile vivere una vita coniugale fedele e una vita familiare
stabile. In base a questa fede affermano che “la famiglia… è il fondamento della società”.23 La
chiamata universale alla santità, proclamata solennemente dal Concilio Vaticano II, conferma
questa convinzione dal di dentro24 e spinge i cristiani di promuovere con tutti i mezzi l’istituzione
familiare.
Però tutti sappiamo che non esistono le famiglie ideali. Ogni gruppo familiare lungo la sua lunga
o breve storia sperimenta delle difficoltà, spesso gravi. In effetti, esistono le famiglie reali, con i
loro retroscena, e storia, ed esperienza, e vita. Tutti senza eccezione sperimentano difficoltà, prove,
smarrimenti… In una sezione centrale dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium il Papa
20
J.W. DRANE, “Family”, in D. ALEXANDER et al., Dictionary of Biblical Theology, InterVarsity Press, Leicester
2000, 495.
21
FUSTEL DE COULANGES, The Ancient City, 61-64.
22
Si veda lo studio di R. STARK, Il trionfo del cristianesimo: come la religione di Gesù ha cambiato la storia
dell’uomo ed è diventata la più diffusa al mondo, Lindau, Torino 2012, II parte, pp. 67-219, che considera l’espansione
del cristianesimo nei primi tre secoli e il ruolo giocato dalla presenza pratica dei diritti umani fondamentali,
specialmente quelli delle donne e dei giovani. E tutto ciò nel tempo dell’Impero Romano, senza l’appoggio esplicito
dello Stato.
23
CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 52.
24
Tra le conseguenze della presenza della grazia nel matrimonio e nella vita familiare si possono includere le
seguenti. (1) La grazia supera il peccato, cioè la rottura al centro del cuore umano e dei rapporti. (2) Muove verso la
carità, intesa come una donazione disinteressata. (3) Rivela il mondo e l’uomo come un dono. (4) Muove l’uomo vero
l’eterno/permanente, della gloria divina, e rende comprensibile e fattibile l’indissolubilità. Sulla questione, cf. la
relazione di R. Díaz Dorronsoro in questo Convegno, più P. O’CALLAGHAN, Figli di Dio nel mondo, cit., passim.
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Francesco ricorda che “la realtà è superiore all’idea”.25 Mentre “la realtà semplicemente è, l’idea si
elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi
dalla realtà”.26
In realtà la distinzione non è da tracciare tra le famiglie ideali e quelle reali, ma piuttosto tra le
coppie (con i loro figli) che mantengono la speranza di poter portare avanti la loro famiglia, e
coloro che gettono la spugna. E non si tratta di una decisione inevitabile. Si tratta di vivere con un
realismo, con un inserimento vitale nel reale, che tiene conto di due cose.
In primo luogo, la convinzione che l’amore ha bisogno di tempo e spazio per crescere e
consolidarsi… L’immagine fantasiosa dell’amore romantico, repentino e travolgente, non
corrisponde all’esperienza della maggior parte delle coppie, che, malgrado tutte le prove e
delusioni, riescono a mantenere vivo e sempre più solido il loro amore, tramite il superamento della
nociva dinamica della gratificazione immediata. Già il filosofo Max Horkheimer, in un intervista in
cui si è dimostrato favorevole all’enciclica Humanae vitae del beato Paolo VI, ha fatto vedere come
la contraccezione no dia spazio per la crescita dell’amore, perché esclude la nostalgia e i tempi
lunghi di attesa e sacrificio che sono necessarie per il consolidamento di ogni amore.27
E in secondo luogo, bisogna tener conto che l’abbondanza di grazia divina che la Chiesa Madre
promette ai suoi figli in nome del suo Signore, Gesù Cristo, non agisce nella vita umana in un modo
astratto o simbolico, ma in maniera molto reale, nel cuore stesso della vita umana, peccaminosa e
concreta, sociale e corporale, temporale e storica. Il cristiano è tale non in base alle virtù raggiunte,
luminose e perfette, virtù che abbagliano e attirano l’attenzione verso di lui (cf. Mt 5,16), ma perché
con la grazia divina e nutrito dai sacramenti, egli si sforza, in mezzo a tutti i limiti personali, per
raggiungere la perfezione. Dio non ha bisogno di servirsi della consolidata virtù degli uomini, ma
della sua lotta per essere santo, una lotta segnata dalla riconoscenza della leggi che Dio ha impreso
nel creato,28 una lotta intrisa dei fallimenti, dell’umile riconoscenza della propria situazione, della
capacità di imparare e rettificare, e soprattutto dalla risposta fedele, gioiosa e fiduciosa alla grazia di
Dio… una lotta appunto d’amore, amore di Dio che si esprime nell’amore al prossimo. San
Josemaría fa notare che Cristo si manifesta nella vita dei cristiani, “malgrado le nostre miserie, anzi,
attraverso le nostre miserie, attraverso la nostra vita di uomini fatti di carne e di terra… : nel nostro
sforzo di essere migliori, di realizzare un amore che aspira a essere puro, di dominare l’egoismo, di
donarci pienamente agli altri, facendo della nostra esistenza un costante servizio”.29 Però la grazia
divina, generosamente accolta, rende possibile, anzi direi quasi ‘facile’, fare crescere una bella
famiglia cristiana.
3. Il rapporto tra dottrina e misericordia
Frequentemente nel dibattito recente sul matrimonio e la famiglia si sono contrapposti due
approcci ai problemi e alle sfide attuali: la dottrina da una parte, la misericordia dall’altra; la testa
da una parte, e il cuore dall’altra; poi la proclamazione della dogma della fede, e l’applicazione del
Vangelo alla vita umana; l’ideale che si impone e il realismo che accoglie. I difensori del cosiddetto
matrimonio ‘tradizionale’ sarebbero i primi, gli idealisti; quelli invece che apprezzano la
complessità della vita matrimoniale e si aggiustano alla realtà vissuta, sono i secondi. Descrizione
semplicistica della realtà, senza dubbio. Descrizione che non tiene conto che il Verbo divino, che è
la forza, la luce, la parola e la grazia di Dio, si è incarnato, cioè si è inserito veramente nel mondo,
25
FRANCESCO, Es. Ap. Evangelii gaudium, n. 233.
Ibid., n. 231.
27
“L’amore si fonda sulla nostalgia, sulla nostalgia della persona amata. Esso non è libero dalla dimensione
sessuale. Quanto più grande è la nostalgia dell’unione con la persona amata, tanto più grande è l’amore”, La nostalgia
del totalmente Altro (orig. 1972), Queriniana, Brescia 19904, pp. 87-88.
28
P. O’CALLAGHAN, Figli di Dio nel mondo, 578-80.
29
San JOSEMARÍA ESCRIVÁ, È Gesù che passa, Ares, Milano 1974, n. 114. Sull’agire di Cristo nel cristiano cf. P.
O’CALLAGHAN, The Inseparability of Holiness and Apostolate. The Christian ‘alter Christus, ipse Christus’ in the
Writings of Blessed Josemaría Escrivá, «Annales Theologici» 16 (2002) 135-64 e IDEM., Lumen Christi. Il paradigma
del cristiano nel mondo, «PATH» 9 (2010) 171-83.
26
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assumendo appieno la condizione corporale e temporanea del mondo creato, dell’uomo caduto…
per redimerlo, ma rispettando appieno la sua dinamica e i suoi tempi.
Sulla polarità assai conosciuta tra ‘dottrina’ e ‘misericordia’ bisogna ricordare che il cuore,
l’essenza, della ‘dottrina’ è la misericordia, e il cuore della ‘misericordia’ è la dottrina. Mi spiego.
La dottrina della fede (nelle diverse espressioni dogmatiche e morali) è, deve essere, il prodotto
ultimo e raffinato della riflessione ecclesiale sul Vangelo, cioè la storia della misericordia divina
che si avvicina all’uomo per offrirgli il perdono. La dottrina è il nettare della Sacra Scrittura; certo,
è una medicina che può far male, però non esprime altro che la misericordia. Eppure è vero che non
sono la stessa cosa. Forse si può riassumere il loro rapporto nella seguente formula: dottrina +
tempo = misericordia. La dottrina ‘contiene’ la misericordia, allo stesso modo che la medicina
‘contiene’ la salute. E la dottrina deve comunicarsi in un modo che risponde alla dinamica reale
della vita delle persone, tenendo conto del tempo, dell’inerzia culturale, psicologica e corporale
delle persone. Senza questo rispetto per la concreta dinamica delle persone, facilmente la dottrina
sarà interpretata come “irrigidimento ostile”, per adoperare l’espressione del Papa Francesco, e la
misericordia come “buonismo distruttivo”.30
Conclusione
La famiglia è stata sempre fragile… e al contempo si tratta di un bene prezioso, la vera ‘cellula’
della società umana. Tocca a tutti assicurare la presenza operativa delle ‘strutture d’appoggio’
perché non si verifichino le parole del Signore: “Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno
molti; per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti. Ma chi avrà perseverato fino alla
fine sarà salvato” (Mt 24,11-13). Se non si riesce fare, la prospettiva che ci aspetta è quella di un
mondo senza amore, un ‘inverno antropologico’.
30
FRANCESCO, Discorso per la conclusione della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi
(18.10.2014).
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