CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - sentenza 20 maggio 2006 n. 11894 - Pres. Panebianco, Rel. Plenteda - Festa e Comune di Pisciotta c. Liguori, Di Blasi, Morsicano, Martuscelli e Greco. 1. Elezioni - Sindaco - Ineleggibilità per colui che riveste la carica di Consigliere comunale di altro Comune - Ex art. 60, 1° comma, numero 12), del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 - Sussiste per tutti i Comuni - Circostanza che il Comune sia vicino o lontano - Irrilevanza. 2. Elezioni - Sindaco - Ineleggibilità per colui che riveste la carica di Consigliere comunale di altro Comune - Ex art. 60, 1° comma, numero 12), del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 Cessazione della causa di ineleggibilità - Dimissioni preventive - Necessità - Sussiste Collocamento in aspettativa - Irrilevanza. 1. Ai sensi dell'art. 60, primo comma, numero 12), del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico sull’ordinamento degli enti locali) deve ritenersi ineleggibile alla carica di Sindaco chi sia Consigliere in carica di altro Comune, non importa se vicino o lontano, a meno che non abbia tempestivamente presentato le proprie dimissioni dalla carica (1). 2. La causa di ineleggibilità prevista dall'art. 60, primo comma, numero 12), del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, per il Consigliere in carica di altro Comune cessa solo per effetto delle formali dimissioni preventive del componente del Consiglio che intenda esercitare il proprio diritto di elettorato passivo, non essendo possibili rimedi equipollenti, come il collocamento in aspettativa, previsti per altre ipotesi di ineleggibilità (2). ------------------------(1) Ha osservato in particolare la Cassazione con la sentenza in rassegna che la ratio della causa di ineleggibilità in questione è da rinvenire non già nel metus publicae potestatis e nella correlata esigenza di genuinità del voto, ma nel principio, introdotto agli albori della rinascita democratica del nostro Paese, secondo il quale un soggetto non può far parte di più assemblee rappresentative di altrettanti collettività comunali; all'indicata causa di ineleggibilità, pertanto, non è di ostacolo il fatto che il luogo in cui la carica viene in atto esercitata sia lontano dall'altro Comune. (2) Ha osservato in particolare la Cassazione che la necessità di dimissioni preventive deriva dal chiaro disposto dell'art. 69 del T.U. ee.ll., che alle dimissioni successive fa riferimento solo nel caso di sopravvenuta condizione di ineleggibilità, non potendo il prospettato rischio, che l'interessato in tal modo resti senza carica, assumere rilevanza tale da prevalere sulla lettera della norma che le dimissioni preventive considera essenziali, ove quella condizione preesista, alla rimozione dell'ostacolo per la elezione; rientrando peraltro quel rischio nella libera e consapevole scelta compiuta, senza alcun pregiudizio per il diritto di elettorato passivo, ancor più se riguardato in riferimento al principio di esclusività della rappresentatività democratica. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Liguori Ettore, Di Blasi Giorgio, Marsicano Marianna, Martuscelli Giuseppa e Greco Antonio, cittadini elettori e consiglieri del Comune di Pisciotta, chiesero con ricorso 14.5.2005 al Tribunale di Vallo della Lucania che fosse annullata la delibera 16.4.2005 n. 4 di quel consiglio comunale, con cui erano stati convalidati i risultati elettorali e dichiarato eletto dalla tornata del 3/4.5.2005 sindaco del Comune Festa Cesare, che si era candidato illegittimamente, per non essersi dimesso tempestivamente dalla carica di consigliere comunale di Salerno. Il Festa eccepì la inammissibilità del ricorso, in quanto non era stato impugnato l'atto di proclamazione a sindaco, presupposto della delibera di convalida; contestò la fondatezza della domanda, poiché non era esistita la causa di ineleggibilità, dal momento che la sua carica di consigliere comunale aveva riguardato altro Comune e comunque egli l'aveva rimossa collocandosi in aspettativa in tempo anteriore alla candidatura. Intervenne nel processo il Comune di Pisciotta, deducendo la infondatezza dell'azione. Il tribunale con sent. 5/19.7.2005 dichiarò il Festa ineleggibile e decaduto dalla carica. Propose appello il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vallo della Lucania; separata impugnazione propose anche Festa Cesare. In entrambi i giudizi si costituirono gli originari ricorrenti, nonché il Comune, il quale assunse una posizione di adesione alla tesi degli appellanti. La Corte di Appello di Salerno, con sent. 18.11.2005, ha respinto gli appelli e compensato le spese del grado. Ha premesso che secondo la normativa preesistente rispetto al T.U. n. 267/2000, emanato per riunire e coordinare le disposizioni vigenti in materia di ordinamento dei Comuni e delle Province, compreso il sistema elettorale e dunque le cause di ineleggibilità ed incompatibilità, la ineleggibilità alla carica di sindaco di un Comune era prevista anche per chi fosse stato consigliere comunale in carica in altri Comuni (art. 2 n. 12 L. 23.4.1981 n. 154 e art. 6 T.U. 16.5.1960 n. 570). Tale normativa non era stata modificata dalla legge 25.3.1993 n. 89, in tema di elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunque e del consiglio provinciale. Quanto alle disposizioni introdotte dal T.U. 267/2000, ha preliminarmente rilevato che l'art.274 lett. e) ed 1) , pur abrogando sia l'art. 6 che la 1. 154/1981 citati - fatte salve le disposizioni per i consiglieri regionali - va coordinato con l'art. 60 I comma n. 12 del testo unico, il quale dispone che non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale e circoscrizionale i sindaci, i presidenti della provincia, i consiglieri comunali provinciali e circoscrizionali in carica, rispettivamente, in altro comune, provincia o circoscrizione la norma che, con il termine rispettivamente, non ha riguardo alla singola carica rivestita negli enti, ma al complesso delle figure istituzionali elencate in premessa e già operanti in altro comune, provincia, circoscrizione; con l'effetto che i consiglieri comunali in carica non possono ritenersi eleggibili a sindaco in altro comune né il sindaco può essere eleggibile a consigliere comunale o a sindaco di altro comune. Tanto, ha rilevato la corte territoriale, costituisce applicazione del principio di esclusività, per determinati ambiti, della rappresentanza democratica, introdotto dall'art. 20 IX comma D. Lgvo Lgt. 7.1.1946 n. 1 e richiamato dalla Corte costituzionale nella sentenza 2.3.1991 n. 97 - con riguardo all'art. 2 L. 154/1981 - secondo cui il medesimo soggetto non può far parte di più assemblee rappresentative di altrettante collettività comunali, in nome della esigenza che chiunque è impegnato nella cura di interessi generali di una comunità comunale, ad essa è vincolato in via esclusiva sino a quando non abbia reciso il legame instaurato con la elezione. Né, ha aggiunto, le variazioni apportate all'art. 118 Cost. dalla legge costituzionale 18.X.2001 n. 3 hanno modificato i principi e il quadro normativo suindicati, che anzi da esse è rimasto rafforzato l'inquadramento dei comuni come enti rappresentativi degli interessi generali della comunità di rispettivo riferimento, con le indicazioni in ordine al vincolo di esclusività imposto dal principio di rappresentatività democratica, coordinato con quello costituzionale del buon andamento, imparzialità e trasparenza della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Ha osservato ancora la sentenza impugnata che la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, con riguardo alla normativa anteriore al T.U. 267/2000, ha fatto leva sulla persistente appartenenza del sindaco ai consigli comunali e poiché nulla a riguardo è variato con il predetto testo unico, il cui art. 37 I comma stabilisce che il consiglio comunale è composto dal sindaco oltreché da un certo numero di consiglieri, deve concludersi nel senso che egli vota le sue deliberazioni, partecipa alle medesime funzioni qualificanti e si trova nella esplicazione della rappresentanza democratica degli interessi della collettività corrispondente in una situazione di intensità almeno pari a quella del consiglio comunale, tale da esigere la esclusività rispetto ad altri enti dello stesso tipo. Pur condividendo la tesi degli appellati, secondo cui le norme in tema di cause di ineleggibilità, laddove prevedono limiti al diritto di elettorato passivo, oggetto di tutela costituzionale (atrt. 51 e 3 Cost.) sono di stretta interpretazione, tuttavia quella data dai primi giudici e condivisa ha ritenuto la corte di merito essere conforme al testo dell'art. 60 I° comma n. 12, come ricostruito in base a criteri logico - sistematici ed ha perciò disatteso l'opzione ermeneutica intesa a conferire all'avverbio, rispettivamente, un significato di collegamento identitarie rigido tra le cariche ricoperte e quelle oggetto della candidatura, in luogo di un complessivo riguardo alla concorrente assunzione della ulteriore carica in altri enti dello stesso tipo; negando valore all'argomento secondo cui l'art. 56 T.U. 267/2000 limiterebbe l'ambito di operatività dell'art. 60 I comma n. 12 - laddove consente la contemporanea candidatura a consigliere in due enti omologhi ma fa divieto a quelli in carica di candidarsi alla stessa carica in altro consiglio, stabilendo poi che nessuno può essere candidato alla carica di sindaco in più di un comune - osservando che la norma attiene ai requisiti per la candidatura, mentre l'art. 60 riguarda i limiti di eleggibilità, e che l'art. 56 ha riprodotto nel primo comma l'art. 7 della legge 154/1981 ed aggiunto, con il secondo, la disciplina, più rigorosa, per la candidatura del sindaco, senza che in tal modo interferisse nella esegesi dell'art. 60, influenzata invece dalla complessiva disciplina previgente al T.U. 267/2000. Quanto poi alla concreta impossibilità di prospettare una captatio benevolentiae o un metus potestatis da parte del candidato sindaco, in relazione alla sua carica di consigliere comunale di altra città, posta a sostegno dell'appello del P.M., ha rilevato che, una volta identificata nel principio di esclusività nella rappresentatività democratica negli enti locali del medesimo tipo la funzione dell'art. 60 I comma n. 12, è ad essa che deve farsi riferimento nel sussumere la fattispecie nel modello legale dedotto. Ha inoltre respinto la tesi, già disattesa dal tribunale, che la dichiarazione di volere essere collocato n aspettativa resa dal Festa prima della tornata elettorale avesse potuto giovare ad escludere la causa di ineleggibilità, tale istituto trovando applicazione solo per i dipendenti pubblici, ed essendo prevista per lo status di consigliere comunale, in quanto tale, la cessazione della causa di ineleggibilità di cui all'art. 2 I° comma n. 12 con le dimissioni del componente. Del pari ha respinto l'addebito al primo giudice di avere mancato di applicare alla fattispecie l'istituto della rimozione delle cause di ineleggibilità o incompatibilità regolate dall'art. 69 T.u. 267/2000, ritenendo, come già il tribunale, che la norma - avuto anche riguardo al suoi antecedenti (art. 7 I e III comma L. 154/1981) si applichi alle cause di ineleggibilità sopravvenute e non originarie rispetto alle elezioni, oltreché a quelle di incompatibilità, originaria e sopravvenuta; né potendo la causa di ineleggibilità originaria essere equiparata alla sopravvenuta, nella ipotesi in cui la convalida della elezione sia avvenuta malgrado la sua preesistenza, attesa la netta distinzione operata dalla disciplina elettorale tra le due ipotesi; e ancor meno la ineleggibilità alla incompatibilità. Ha poi svalutato la deliberazione della Giunta per le elezioni della Camera dei deputati del 2.X.2002, invocata dagli appellanti come espressiva di una linea di tendenza interpretativa, che aveva dichiarato compatibile con la carica di sindaco di Comune con popolazione superiore a 20.000 abitanti quella di parlamentare. Ha infine ritenuto la corte di merito di non condividere il sospetto di incostituzionalità in riferimento agli artt. 2,3 e 51 cost. dell'art. 60, prospettato dagli appellanti, per la irragionevolezza di tale norma, che, non consentendo al consigliere comunale di un comune di candidarsi a sindaco di altro comune, sarebbe contraria la principio di uguaglianza, atteso che al consigliere regionale è consentito invece di candidarsi a consigliere comunale di comune sito all'interno della regione e al parlamentare nazionale di rivestire la carica di amministratore locale. Premesso che l'eventuale vizio di incostituzionalità non è rilevante nella presente controversia, ove prospettato con riguardo alla esigenza della predisposizione di un sistema di ineleggibilità alla carica di sindaco dei parlamentari e dei consiglieri regionali in carica, non riguardando il presente caso, ha osservato la corte di appello che la ratio fondante la ineleggibilità in termini di salvaguardia del principio di rappresentatività democratica e di quello del buon andamento della amministrazione non ricorre con pari intensità quando a concorrere alla elezione a consigliere comunale o a sindaco non sia altro consigliere comunale ma un parlamentare o consigliere regionale titolari di cariche elettive, ma entrambe volte a perseguire interessi di tipo e qualità diversi. Né profili di irragionevolezza ha rinvenuto nel III comma dell'art. 60, quanto alle dimissioni come modo esclusivo di rimuovere l'ostacolo alla partecipazione alla competizione elettorale, senza la possibilità di potersi reintegrare nella carica in caso di mancata vittoria dell'elezione. Ha ritenuto infatti non immotivata la configurazione delle dimissioni come unico fatto giuridico idoneo a determinare per il titolare della carica la cesura con lo svolgimento delle funzioni pregresse, essendo esse idonee da un lato a far concentrare l'impegno del cittadino nel Comune in cui intende competere come sindaco o consigliere comunale, e dall'altro al Comune in cui svolge la funzione elettiva di attivare l'istituto della surrogazione regolato dall'art. 45 T.U. n. 267/2000. Ulteriore ragione di infondatezza la sentenza impugnata ha rinvenuto nella circostanza che la partecipazione alla elezione a consigliere o a sindaco in altro ente dello stesso tipo è frutto di una scelta volontaria ed autonoma, la quale rende rilevante la collisione tra le contemporanee esigenze di rappresentatività democratica di ciascuno dei due enti, disattivata solo dalla cessazione della prima carica nel termine stabilito dell'art. 60 111° comma. Propongono separati ricorsi per cassazione, illustrati da memoria. Festa Cesare ed il Comune di Pisciotta, ciascuno con otto motivi; resistono con controricorso Liguori Ettore, Di Blasi Sergio, Morsicano Marianna, Martuscelli Giuseppa e Greco Antonio. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione e la falsa applicazione dell'art. 60 1° comma n. 12 T.U. 267/2000 e il difetto di motivazione sul punto relativo alla ragione della ineleggibilità. Richiamate alcune decisioni di questa Corte (Cass, 11959/2003; 3902/2002; 10701/1993), che hanno identificato nella esigenza della genuinità del voto, posta a rischio dal metus publicae potestatis, il fondamento della ineleggibilità, affermano che nella specie il fatto che il Festa fosse titolare di una carica "minore", dalla quale peraltro si era autosospeso, escludeva il rischio di condizionamenti dell'elettorato di un diverso Comune; e contestano alla corte territoriale di avere da un lato disatteso il consolidato orientamento giurisprudenziale predetto e dall'altro di avere esasperato il criterio di esclusività di cui all'art. 60 T.U.E.L.. Con il secondo motivo del suo ricorso il Comune di Pisciotta denunzia invece la violazione dell'art. 48 cost. coordinato con l'art. 65 ed il difetto di motivazione. Rileva che la ragione della ineleggibilità è nella particolare carica ricoperta dall'aspirante, che potrebbe porlo in una situazione dì vantaggio rispetto agli altri candidati (artt. 7 e 8 T.U. 361/1957). A tale criterio, che è alla base delle disposizioni costituzionali ed ordinarie richiamate, la corte territoriale avrebbe mancato immotivatamente di conformarsi, trascurando la vera esigenza della ineleggibilità, costituita dalla garanzia della liberà del voto. Con il secondo (terzo per il Comune) Festa Cesare denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 274 c. 1° T.U.E.L.. Osserva che con la disciplina della elezione diretta del sindaco (I. n. 81/1993, in parte abrogata dall'art. 274 predetto) manca qualunque possibilità di equiparare la figura del sindaco a quella del consigliere comunale (artt. 36,43,50 T.U.E.L.); sicché venuto meno, perché abrogato, l'art. 6 T.U. 570/1960, che stabiliva che non potesse essere eletto sindaco colui che si fosse trovato in una condizione di ineleggibilità prevista per il consigliere comunale, le ineleggibilità previste per quest'ultima carica non sono estensibili a quelle di sindaco. Con il terzo mezzo (quarto per il Comune) entrambi i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione dell'art. 69 T.U.E.L. e il difetto di motivazione sul punto della ineleggibilità sopravvenuta rimuovìbile con le dimissioni successivamente all'elezione alla seconda carica. Assumono che il divieto dì cumulo, con riguardo alla esclusività del munus, ha rilievo concreto solo dopo la elezione, portando la diversa interpretazione a risultati irragionevoli, nel momento in cui l'interessato non consegua la elezione; in tal caso infatti , con le dimissioni preventive, egli resterebbe privo di ogni carica. Con il IV° (V° per il Comune) è ancora denunziata la violazione dell'art. 60 primo comma n. 12 T.U.E.L. in combinato disposto con gli artt. 56, 61, 65 - che regolano rispettivamente i requisiti della candidatura, la ineleggibilità a sindaco e a presidente della provincia e la incompatibilità per consigliere comunale -e 274 del testo unico. Tale complesso di norme contemplano cause di ineleggibilità di tipo orizzontale tra le quali non è compresa la ipotesi di chi sia consigliere comunale in un comune e aspiri alla carica di sindaco di altro comune; e tanto resterebbe confermato dall'art. 274 che, abrogando l'art. 6 D.P.R. 570/1960, ha fatto venir meno l'impedimento ad essere nominato sindaco di chi si trova in uno dei casi di ineleggibilità a consigliere comunale previsti dalla legge. Con il V° motivo (VI per il Comune) la denunzia di violazione e falsa applicazione è riferita agli artt. 2 e 51 della Costituzione. Addebitano i ricorrenti alla sentenza impugnata di avere trascurato il canone ermeneutico, offerto dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 171/1984; 129/1977; 45/1977; 129/1975) secondo cui il principio garantistico sancito dall'art. 51 cost. fonda non solo il diritto di accedere all'ufficio ma anche quello di conservare l'ufficio conseguito; in forza del quale si è verificato un fenomeno di progressiva riduzione dell' area delle ineleggibilità a favore di quella delle incompatibilità; fenomeno poi recepito dal legislatore con la previsione della figura della ed. ineleggibilità sopravvenuta (art. 3 n. 8 L. 154/1981 ed ora 68 T.U.E.L.) in base al quale è incompatibile con la carica acquisita colui il quale nel corso del mandato viene a trovarsi in una condizione di ineleggibilità. Con tale regola la sopravvenienza della ineleggibilità con costituisce impedimento invalidante della elezione ma riceve il trattamento giuridico previsto dalla legge per le cause di incompatibilità, così testimoniando il progressivo affievolimento del carattere insanabile delle cause di ineleggibilità. Di tanto è riprova l'art. 69 111° comma T.U.E.L. in forza del quale nel caso di azione di accertamento in sede giurisdizionale non vige il rigido criterio della cristallizzazione della situazione esistente al momento della proposizione della domanda, essendo ora concesso all'amministratore di regolarizzare la propria posizione entro dieci giorni dalla notifica del ricorso. E, nel segno del crescente abbandono della figura della ineleggibilità invalidante in favore della incompatibilità, nella corretta interpretazione della regola della eccezionalità delle limitazioni al diritto di elettorato passivo in quanto diritto inviolabile della persona, i ricorrenti richiamano la deliberazione 2.10.2002 della Giunta delle Elezioni della Camera dei Deputati, con la quale è stata dichiarata la compatibilità del mandato parlamentare con la carica di sindaco di comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti; e rilevano che tale linea interpretativa costituisce l'unico modo per evitare che la norma in questione sia sospetta di incostituzionalità in quanto incongruamente limitativa del diritto di elettorato passivo. Con il sesto mezzo (VII per il Comune) sono denunziate violazione e falsa applicazione degli artt. 65 e 68 T.U.E.L.. Posto che la posizione del Festa deve configurarsi come ineleggibilità sopravvenuta o incompatibilità, deducono i ricorrenti che a norma dell'art. 68 IV comma egli aveva rimosso l'impedimento nei dieci giorni dalla data in cui si era concretizzata la causa, cessando dalle funzioni di consigliere del Comune di Salerno; sicché si era realizzata la sanatoria della irregolarità della sua opposizione. Con il VII mezzo (VIII per il Comune) si denunziano la violazione del principio di diritto comuniitario (art. 5 comma 111° Trattato Cee) di proporzionalità e la contraddittorietà della motivazione in ordine alla conversione della ineleggibilità in incompatibilità. Detto principio, il quale esige che nei casi dubbi di interpretazione della norma la soluzione sia misurata ed equilibrata, comporta che l'interesse pubblico sia curato con il minor sacrificio di quello privato; e nella specie poteva l'interesse pubblico alla esclusività del munus essere soddisfatto con le dimissioni post electionem, in luogo della irragionevolezza delle dimissioni ante electionem, che avrebbe comportato la sproporzione del sacrificio dell'interessato. Con l’VIII motivo Festa Cesare propone la questione di costituzionalità dell'art. 60 1° comma n. 12 T.U.E.L., negli stessi termini sollevata dal Comune nella parte finale della sua impugnazione. Rilevano i ricorrenti che costituisce una grave ed ingiustificata restrizione del diritto di elettorato passivo la ipotizzata ineleggibilità orizzontale tra enti anziché tra cariche del medesimo genere, ancor più considerando che la riserva di legge dell'art. 51 cost. è di tipo rinforzato, non limitandosi ad attribuire al legislatore il compito di disciplinare le condizioni di accesso alle cariche elettive, ma impegnandolo a farlo nel rispetto delle condizioni di uguaglianza dei cittadini; e l'impedimento ad un cittadino di candidarsi alla carica di sindaco di un comune per il fatto di ricoprire la carica di consigliere di un altro comune risulta discriminante, nel momento in cui al consigliere regionale è consentito di candidarsi alla carica di consigliere di un comune della regione e al parlamentare di rivestire la carica di amministratore locale. Censurano la tesi accolta dai giudici di merito, secondo cui le dimissioni ante electionem non costituiscono una misura irragionevole, benché espongano l'interessato a causa della loro irretrattabilità a restare senza alcuna carica nel caso di esito negativo delle elezioni; e la irragionevolezza sta nel fatto che la norma speciale si pone in deroga alle norme costituzionali degli artt. 3 e 51, interrompendo la consequenzialità logica e politico - legislativa di quei principi. Dei ricorsi - dei quali nella pubblica udienza è stata disposta la riunione - hanno eccepito i controricorrenti la inammissibilità, perché entrambi, in luogo di riferirsi alla sentenza impugnata e di censurarla, si sarebbero limitati a discutere " la materia controversia", senza farsi carico delle ragioni della decisione . Sarebbe inoltre inammissibile il ricorso del Comune, in quanto proposto tardivamente, oltre il termine di 20 giorni dalla comunicazione di cui all'art. 84 e. 11° T.U. 570/1960, da soggetto peraltro privo della legittimazione alla impugnazione. Le eccezioni sono prive di fondamento. I ricorsi contengono, in via generale, puntuali censure alla decisone della corte di merito, della quale hanno contestato tutti i passaggi argomentativi, opponendo specifiche deduzioni, fondate su violazioni di norme di diritto, al di là dei vizi di motivazione di cui appresso. Né vale sostenere che i motivi attengono "alla materia controversa", poiché in punto di diritto le questioni dibattute non possono che ad essa inerire, mentre è infondato l'assunto che le censure siano state rivolte alla sentenza del tribunale, in guanto le impugnazioni hanno investito le ragioni che la corte di appello ha posto a sostegno della sua decisione, a nulla rilevando ovviamente che esse o alcune di esse siano quelle stesse del primo giudice, al punto da avere determinato la riproposizione in questo giudizio di legittimità degli argomenti avversativi prospettati in grado di appello. Infondata è anche la eccezione di tardività del ricorso del Comune di Pisciotta. L'art. 84 c. 11° invocato stabilisce che le decisioni rese sui ricorsi in tema di eleggibilità del componenti del consiglio comunale siano immediatamente comunicate oltreché al prefetto al sindaco, il quale ne cura la notificazione agli interessati; ma tale disposizione, che ha la evidente funzione di dare notizia delle vicende processuali e dei loro esiti ad organi estranei al giudizio, non ha ragione di essere invocata a fondamento della inammissibilità del ricorso, trovando nella specie applicazione l'art. 82 111° comma T.U. 570/1960, in forza del quale "le sentenze pronunciate in secondo grado dalla corte di appello possono essere impugnate con ricorso per cassazione dalla parte soccombente e dal Procuratore Generale presso la corte di appello entro 20 giorni dalla loro notificazione"; sicché, avendo il Comune partecipato al processo, il termine per la notificazione non può che avere avuto decorrenza dalla notificazione della sentenza, avvenuta il 30.12.2005, al punto da rendere tempestivo il ricorso notificato il 18.1. 2006. Anche il terzo profilo della eccezione di inammissibilità è infondata, per effetto della qualità di parte assunta dal Comune attraverso il suo intervento spiegato in primo grado. Sul punto la sentenza impugnata ha dato atto (c. 26) che tra le questioni pregiudiziali decise dal tribunale e non fatte oggetto dei motivi di gravame vi era quella" afferente all'intervento dell'Ente" ed ha pertanto ritenuto che essa non fosse più esaminabile. Ciò porta a disattendere la deduzione dei controricorrenti secondo cui il Comune "ancorché abbia ritenuto di costituirsi in giudizio attraverso una sorta di intervento ad opponendum non è parte del giudizio di ineleggibilità", assunto che non può essere condiviso dal momento che, una volta divenuta con la formazione del giudicato interno, non più controvertibile la ammissibilità dell'intervento, l'interveniente, principale o adesivo autonomo, ha titolo alla impugnazione, per l'interesse che ha ad influire sull'esito del giudizio (Cass. 925/1997,3987/1986,293/1980 ) e nel caso di intervento adesivo dipendente il suo ricorso non è inammissibile, ma è incidentale adesivo rispetto a quello della parte adiuvata, posto che detto interventore, non abilitato a proporre impugnazione in via autonoma, conserva la sua posizione processuale secondaria e subordinata rispetto a quella della parte adiuvata e può aderire alla impugnazione da questa proposta (Cass. 1410/1996; 11132/1994; n. 798/1991). I ricorsi sono privi entrambi di fondamento e possono essere esaminati congiuntamente, in quanto sostanzialmente articolati su censure di uguale tenore. Infatti, mentre è comune il primo motivo- del quale il secondo, del Comune di Pieciotta, costituisce una mera esplicitazione - al II, III, IV, V, VI, e VII di Festa Cesare corrispondono il III, il IV, il V, il VI, Il VII e l'VIII dell'ente locale, il quale ha concluso la sua impugnazione con la eccezione di incostituzionalità che il Festa ha proposto con l'VIIl motivo. Con la prima doglianza (e seconda per il Comune) i ricorrenti oppongono al principio di esclusività nella rappresentatività democratica considerato dalla impugnata sentenza, quale fondamento della ineleggibilità del Sindaco, prevista dall'art. 60 1° comma n. 12 T.U. n. 267/2000, il metus publicae potestatis - avuto riguardo alla esigenza che il voto sia libero - che non avrebbe nella specie avuto alcun rilievo, dal momento che il Festa , quale consigliere d un diverso e lontano consiglio comunale, era titolare di una carica minore, da cui si era anche autosospeso, al punto da far venir meno qualunque possibilità di condizionamento dell'elettorato; e denunziano difetto di motivazione, non meglio esplicitato e comunque non sussistente a fronte della ampia e articolata discussione sul punto compiuta dai giudici di merito. Nella identificazione di siffatto fondamento la corte territoriale ha anzitutto considerato che il T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (D.Lgvo 18.8.2000 n. 267) è stato emanato per delega dell'art. 31 L. 3.8.1999 n. 265, perché fossero "riunite e coordinate le disposizioni vigenti in materia di ordinamento dei comuni e delle province..... e sul sistema elettorale, ivi comprese la ineleggibilità e la incompatibilità; ed è conseguentemente risalita alla legge 23.4.1981 n. 154 e in particolare all'art. 2 n. 12, che la ineleggibilità a consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale prevedeva per i consiglieri regionali, provinciali, comunali o circoscrizionali in carica, rispettivamente, in altra regione, provincia, comune o circoscrizione, e all'art. 6 T.U. 16.5.1960 n. 570 - per la composizione ed elezione degli organi delle amministrazioni comunali - il quale stabiliva che non potesse essere nominato sindaco chi si fosse trovato in uno dei casi di ineleggibilità a consigliere comunale previsti dalla legge. Ha poi escluso, in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale (n. 44/1997) che innovativa sul punto sia stata la legge che disciplina la elezione diretta del sindaco (25.3.1993 n. 81), esso restano pur sempre membro del consiglio comunale; e che anche per gli assessori le condizioni soggettive per la loro nomina devono essere parametrate al possesso dei requisiti di eleggibilità alla carica di consigliere; e, sebbene l'art. 274 T.u. 267/2000 abbia abrogato sia l'art. 6 che la intera legge 1454/1981, ha considerato che l'art. 60 1° comma n. 12 di esso costituisca la sintesi di tali norme. Tale interpretazione merita di essere condivisa. Con la sent. 23.3.1991 n. 97 la Corte costituzionale, chiamata a giudicare della legittimità costituzionale dell'art. 2 1° c. n. 12 L. 154/1981, in relazione agli artt. 3 e 51 Cost., rilevò che essa "mostra di non attribuire eccessiva rilevanza alle indebite influenze sulla libertà dell'elettore, quando ammette che la maggior parte delle cause di ineleggibilità derivante dalle cariche coperte possa cessare per aspettativa (cioè temporaneamente)''; e contestò la validità degli argomenti addotti dal giudice a quo per mettere in dubbio la ragionevolezza della ineleggibilità in questione» in quanto riferita alla garanzia della libertà della scelta elettorale, osservando che " il fondamento della ineleggibilità stessa è diverso da quello individuato dal detto giudice..... e va rinvenuto nel principio, introdotto con l'art. 20 IX comma D.L.gvo Lgt.le 7.1.1946 n. 1 agli albori della rinascita democratica del nostro Paese, secondo il quale un soggetto non può far parte di più assemblee rappresentative di altrettante collettività comunali". E aggiunse che con la nuova concezione - intesa a ricostituire le amministrazioni locali sui base elettiva, strutturandole come organi di autogoverno delle comunità locali anziché di mere articolazioni amministrative di uno Stato fortemente unitario ed anzi autoritario ed accentratore - è coerente "che chi di una di tali amministrazioni fa parte si consideri così strettamente legato da doveri e da responsabilità verso la comunità prescelta da non poter partecipare agli organi rappresentativi degli interessi omologhi di altra comunità dello stesso tipo, con l'assunzione di altrettanti doveri e responsabilità verso di essa"; da tale principio ricavando la ragione della ineleggibilità di chi sia già membro dell'assemblea rappresentativa di altro ente, che può essere scongiurata solo se la precedente appartenenza ad altra assemblea venga meno per dimissioni prima della presentazione delle candidature e del limite alla candidatura a consigliere a non più di due comuni. Le considerazioni del giudice costituzionale, che portarono a dichiarare non fondata la questione di legittimità dell'art. 2 citato, trovano attualità nella disciplina dell'art. 60 del vigente T.U. 267/2000, il quale, per la sua funzione di coordinamento e riunione delle previgenti normative, e per la immanenza del principio di esclusività nella rappresentatività democratica delle collettività comunali, non appare in alcun modo innovativo sul punto di cui trattasi e non contraddice la portata dell'art. 2 1° e. n. 12 dell'abrogata L. 154/1981, cui anzi si conforma. Se, infatti, detta disposizione stabiliva che non fossero eleggibili a consigliere regionali, provinciale, comunale e circoscrizionale i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali in carica, rispettivamente in altra regione, provincia, comune e circoscrizione; e l'art. 6 D.P.R.570/1960 impediva a chi si fosse trovato in uno dei casi di ineleggibilità a consigliere comunque di essere nominato sindaco, attribuendo dunque alla carica in atto di consigliere comunale l'ostacolo ad essere eletto non solo nella stesa funzione, ma anche in quella di sindaco in altri comuni, l'art. 60 c. I° nn. 1 e 12, allorché prevede che non siano eleggibili "a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale i sindaci, presidente di provincia, consigliere comunale e provinciale in carica rispettivamente in altro comune, provincia e circoscrizione, reitera, attraverso una formula riassuntiva di quanto stabilivano insieme gli abrogati art. 6 e la legge 154/1981, lo stesso impedimento della normativa previgente, fornendo all'avverbio "rispettivamente'', già presente in ella, una ampia chiave di lettura, volta non già a costituire una pedissequa simmetria - quanto alle limitazioni alla eleggibilità - tra cariche identiche, bensì a riferire la limitazione di una carica esercitata all'interno di un organo elettivo all'accesso ad altro organo omologo, sia come consigliere che come sindaco, posta la indiscutibile appartenenza di quest'ultimo al consiglio comunale e la sua partecipazione alle relative funzioni, rimasta anche con l'attuale disciplina (art. 37 T.U. 267/2000). Né giova il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, (Cass. 11959/2003; 3902/2002; 10701/1993, che al rischio del metus publicae potestatis ha fatto riferimento con riguardo alla esigenza della genuinità del voto, giacché se in molte delle cause di ineleggibilità assume rilievo la tutela della libertà del voto da qualunque condizionamento connesso all'esercizio di pubblici poteri, nella specie essa non ha però ragione di essere apprezzata, proprio per la diversa ed eventualmente anche lontana area territoriale in cui la carica in atto viene esercitata. Va dunque respinto il primo motivo e con esso il secondo di Festa Cesare - e il II° nonché il III° del Comune - tutti incentrati sulla ratio della ineleggibilità per cui è causa, individuata in dissonanza rispetto alla impugnata decisione. Con il III° motivo (quarto per il Comune) la censura - anche qui articolata in termini di violazione di legge (art. 69 T.U.E.L.) e di vizio di motivazione - è riferita al punto della decisione che ha ritenuto inapplicabile tale norma, che ipotizza la sopravvenienza, dopo le elezioni, di qualunque delle condizioni di ineleggibilità ovvero la preesistenza o sopravvenienza di qualunque delle condizioni di incompatibilità. Assumono i ricorrenti che come in tali casi può essere rimossa ad elezione avvenuta, così sarebbe consentito nella presente fattispecie, avendo il divieto di cumulo, con riguardo alla esigenza della sua esclusività, rilievo solo dopo la elezione, giacché diversamente l'interessato viene esposto al rischio di non conseguire la nuova carica, per l'insuccesso elettorale, dopo aver perduto alleila già esercitata, per effetto delle preventive dimissioni. La corte territoriale ha sul punto fornito ampie ragioni per dissentire da tale tesi - il vizio di motivazione, anche qui solo enunciato, è dunque infondato - richiamando la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 10779/2003; 7684/1992; cui adde 3902/2002) secondo cui la cessazione di siffatta causa di ineleggibilità si ha solo per effetto delle dimissioni preventive del componente del consiglio che intenda esercitare il proprio diritto di elettorato passivo, non essendo possibili rimedi equipollenti, anche con riguardo al collocamento in aspettativa, previsto per altre ipotesi di ineleggibilità. E a tale conclusione non può non aderirsi, essendo sostenuta dal chiaro disposto dell'art. 69 citato, che alle dimissioni successive fa riferimento solo nel caso di sopravvenuta condizione di ineleggibilità, non potendo il prospettato rischio, che l'interessato in tal modo resti senza carica, assumere rilevanza tale da prevalere sulla lettera della norma che le dimissioni preventive considera essenziali, ove quella condizione preesista, alla rimozione dell'ostacolo per la elezione; rientrando peraltro quel rischio nella libera e consapevole scelta compiuta, senza alcun pregiudizio per il diritto di elettorato passivo, ancor più se riguardato in riferimento al principio di esclusività della rappresentatività democratica. Il IV° motivo(V° per il Comune) torna a discutere la portata dell'art. 60 1° comma n. 12 alla luce dell'art.56 dello stesso T.U.E.L. (degli artt.- 61 e 65 pure invocati non si apprezza la rilevanza), il quale stabilisce che non possono candidarsi i consiglieri comunali in carica per la medesima carica in altro consiglio, e non anche per quella di sindaco. Premesso che tale disposizione ha un campo di azione diverso da quello dell'art. 60, il primo riguardando la candidatura, il secondo la eleggibilità, e che il suo primo comma è la trasposizione della analoga disposizione dell'art. 7 L. 154/1981, abrogata, occorre rilevare che diversa è la ragione della limitazione delle candidature da quella , più severa, della limitazione delle situazioni di ineleggibilità, tant'è che il legislatore ha tenuto distinte, diversamente disciplinandole, le due aree, al punto che nell'art. 60 ha considerato come ineleggibile chi già non poteva esserlo per effetto dell'art. 56 - posto che se il consigliere comunale in carica non può candidarsi alla stessa carica in altro consiglio, evidentemente in esso non può essere eletto - regolando nella norma successiva in modo diretto e del tutto indipendente dalla precedente la eleggibilità. Né può ritenersi che dalla possibilità per il consigliere in carica di candidarsi a sindaco in altro comune consegua automaticamente la possibilità giuridica di essere poi eletto, tale conseguenza, che trova resistenza nella ricostruzione sistematica delle condizioni di eleggibilità in questione e nel principio che la sostiene, è improponibile nei termini prospettati, giacché la possibilità di candidarsi alla carica, che è limitata nel numero - non più di un comune per quella di sindaco e non più di due per quella di consigliere comunale - non comporta la possibilità di essere poi eletto in più di un consiglio. Il V° motivo (VII per il Comune) non ha pregio alcuno. Esso torna a discutere delle ipotesi di ineleggibilità sopravvenuta, nelle quali propone di far rifluire quella di cui si tratta, prospettando una assimilazione con le cause di incompatibilità che, quand'anche preesistenti, sono rimovibili ad elezione avvenuta; ed invoca, nel segno di una interpretazione volta a promuovere "l'abbandono della figura della ineleggibilità invalidante in favore della incompatibilità (o persino della compatibilità), la deliberazione 2.X.2002 della Giunta delle elezioni della Camera del deputati, che aveva dichiarato compatibile 11 mandato parlamentare con la carica di sindaco di Comune con popolazione oltre 1 20.000 abitanti. L'argomentazione è tuttavia priva di rilevanza, giacché non propone affatto una Interpretazione di norme di segno contrario a quella data dalla corte di merito e condivisa da questo Collegio per l'art. 60 c. 1° n. 12, in quanto si limita a considerare che la decadenza prevista dall'art. 7 D.P.R. 30.3.1957 n. 361 e dall'art. 62 T.U. 267/2000 riguarda il sindaco di comune con oltre 20.000 abitanti che si candidi a deputato e non la ipotesi contraria, relativa cioè al parlamentare che si candidi alla carica di sindaco; sicché, a fronte di tale vuoto legislativo, la valutazione compiuta dall'organo parlamentare perde qualunque significato all'esterno della fattispecie che ne è stata oggetto. Il VTI° motivo (VXII° per il Comune) introduce un principio di diritto comunitario, di cui lamenta la violazione, quale è quello di proporzionalità, costituente la regola fondamentale del diritto costituzionale europeo, secondo il quale 1 casi dubbi debbono essere risolti nel senso della misura e dell'equilibrio, affinché non siano perseguite " soluzioni trasmodanti e irragionevoli0. Tale principio gioverebbe a far rifluire il rimedio in questione nelle dimissioni post electionem, in luogo delle preventive. La tesi non può essere accolta, dal momento che - come la corte territoriale ha osservato - il sistema intero afferente alle elezioni negli enti locali si profila, per la parte rilevante in questa sede, preciso nella configurazione delle cause rispettivamente di ineleggibilità, originaria e sopravvenuta, e di incompatibilità, "sì da non consentire di far trasmigrare dall'una all'altra categoria su base meramente interpretativa, pur con la mediazione dell'invocato principio di proporzionalità, la sussunzione della fattispecie qui rilevante dallo schema legale in cui i conditores l'hanno univocamente collocata ad altro e diverso schema basato su distinti presupposti ed implicante diversi effetti". E la circostanza che i ricorrenti si siano limitati a riproporre siffatto criterio come canone interpretativo, comporta la inammissibilità della censura, avendo essi mancato di rifarsi carico e criticare le ragioni che la sentenza impugnata ha indicato per superarlo. Con l'ultimo motivo sia il Festa che il Comune deducono la incostituzionalità dell'art. 60 1° comma n. 12 T.U.E.L. nella interpretazione data dai giudici di merito, in quanto contraria agli artt 2, 3 e 51 della costituzione, giacché restrittiva del diritto di elettorato passivo e irragionevole nel confronto con altre situazioni, quali quella del consigliere regionale che si candidi alla carica di consigliere di un comune della stessa regione o del parlamentare nazionale, allorché impone le dimissioni ante electionem. A tale sospetto di incostituzionalità la sentenza impugnata ha opposto argomentazioni di segno contrario, rimaste insuperate e che il Collegio pienamente condivide. La corte di merito ha osservato che la carenza di pari causa ostativa alla elezione, per il parlamentare e per il consigliere regionale, non è conferente ad e-videnziare la presunta irragionevolezza della norma, poiché semmai si dovrebbe porre un problema di incostituzionalità con riguardo alla elezione di questi ultimi, al di là del fatto che il principio di salvaguardia della rappresentatività democratica esclusiva nel governo degli enti locali è di maggiore valenza per il consigliere comunale e per il sindaco, rispetto al parlamentare nazionale e al consigliere regionale, titolari di cariche elettive volte a perseguire interessi di tipo e qualità diversi da quelli dell'amministratore locale (Corte cost. 24.6.2003 n. 223); al punto che la captatio benevolentiae e il pericolo di inquinamento elettorale risultano posposti rispetto a tale esigenza di esclusività, che giustifica la gravità della sanzione, finalizzata, negli intendimenti del legislatore, ad assicurare la tutela di quella esigenza sin dall'avvio del procedimento elettorale, una volta che la elezione sia poi conseguita, e a consentire al consiglio in cui il candidato esercita la carica di procedere immediatamente alla sua surrogazione. Considerazioni queste che privano il sospetto di incostituzionalità della norma della dedotta irragionevolezza, al pari della prospettata limitazione del diritto di elettorato passivo, essendo rimesso alla volontà del candidato di liberare l'ostacolo al suo esercizio mercé rinunzia alla carica in atto. I ricorsi vanno pertanto respinti con la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento in favore dei controricorrenti, in solido, della somma di E. 7.100, di cui 7000 per onorari e 100 per esborsi; oltre alle spese generali e agli accessori di legge. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi e condanna Festa Cesare ed il Comune di Pisciotta a pagare, ciascuno, ai controricorrenti in solido la somma di E. 7.100 di cui 100 per esborsi e 7.000 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge. Roma, 12.4.2006. Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2006.