Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Ignazio Ezio Tabacco Maggio 2014 1 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Indice Indice Introduzione 5 1. 6 Le Politiche dell’ONU (1972-2012) 1.1. Inizi e sviluppi 6 1.2. Tappe principali 7 1.3. Risultati positivi e criticità 2. 11 Riflessioni e dubbi 14 2.1. Climate change e global warming 14 2.2. Globale e locale 17 2.3. Riflessioni sui tempi di attuazione del protocollo di Kyoto 19 2.4. Riflessioni sui cambiamenti umani 19 2.5. Stabilità climatica e rapporto uomo-ambiente 20 2.6. Riflessioni sui tempi e sulle tecnologie 21 2.7. Riflessioni sulla cultura ambientale e sulle scienze umane e naturali 22 3. Un tentativo di sintesi 26 4. Forum: “I Saperi nel rapporto uomo-ambiente” 29 5. Un punto di partenza: “Studiare il futuro già accaduto” 32 3 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Introduzione Introduzione Saperi, conoscenze, culture. Sono oggi sufficienti e all’altezza delle domande che “rapporto uomo-ambiente” e “sviluppo sostenibile” pongono? Questo interrogativo sarà il filo conduttore del presente lavoro. Obiettivi Il lavoro si configura come strumento di riflessione e discussione sui temi della conoscenza e della cultura, senza alcuna pretesa di elaborare nuove strategie di politica ambientale, ed è orientato ai seguenti obiettivi: a. fornire un quadro sintetico delle politiche ambientali in atto, con particolare riferimento al Sistema Climatico; b. valutare lo stato dell’arte delle conoscenze sul Sistema Climatico e avviare, a partire da queste, una riflessione critica più generale; c. presentare un progetto culturale articolato in una proposta a breve termine e in una a lungo termine. La cornice di riferimento Negli ultimi 50 anni i temi del rapporto uomo-ambiente, dello sviluppo sostenibile e del riscaldamento globale hanno riempito le biblioteche in tutto il mondo. Orientarsi nell’enorme quantità di informazioni, spesso contraddittorie, è difficile ed è parso necessario restringere il campo di indagine centrando il lavoro sulle Politiche ambientali dell’ONU dal 1972 al 2012. Tale scelta è motivata da due considerazioni: la prima è la autorevolezza politica del percorso dell’ONU perché rappresenta il risultato di quarant’anni di lavoro congiunto di oltre 100 Paesi; la seconda è la autorevolezza culturale derivante dal fatto che tutti i temi in gioco sono stati elaborati e sviluppati attraverso il confronto di culture radicate in differenti luoghi del Pianeta. Autorevolezza ovviamente non significa esenzione da valutazioni critiche: per questo, oltre ad una sintesi delle principali tappe percorse fino al 2013, vengono presentate alcune riflessioni e suggeriti alcuni possibili punti da sviluppare per il futuro. 5 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Le Politiche dell’ONU (1972-2012) 1. Le Politiche dell’ONU (1972-2012) 1.1. Inizi e sviluppi Negli anni Sessanta del ‘900 il diffuso inquinamento dei mari, delle acque continentali e dell’aria, assieme al succedersi di frequenti catastrofi “naturali”, posero i temi ambientali in primo piano nelle agende del mondo scientifico, della cultura, dell’economia e dei Governi. Molte nazioni, tra le quali l’Italia, introdussero autonomamente legislazioni stringenti per attenuare, sui loro territori, gli effetti più negativi prodotti dall’inquinamento dell’aria e dell’acqua. In quegli anni si comprese che ogni singola e puntuale fonte di inquinamento non era confinata nel ristretto ambito locale ma che i suoi effetti si diffondevano e si sommavano tra loro coinvolgendo tutto il globo terrestre. Si comprese che l’inquinamento, pur avendo origini locali doveva essere affrontato oltre che a scala locale anche a quella globale. Sempre negli anni Sessanta, a fronte di una crescita della popolazione mondiale e dei consumi pro capite con tassi molto più elevati del passato, sorsero i primi timori che le risorse naturali, sia rinnovabili sia fossili, non fossero infinite e che il loro uso non potesse essere lasciato alle iniziative delle singole nazioni, ma che dovesse essere gestito a livello globale. Queste preoccupazioni furono per la prima volta espresse nel 1972 dal Club di Roma con il Rapporto sui limiti dello sviluppo, meglio noto come Rapporto Meadows. Nello stesso anno le Nazioni Unite indissero la United Nations Conference on the Human Environment (1972 Stoccolma) che rappresentò l’avvio di una politica mondiale sul difficile, e talvolta drammatico, tema del rapporto uomo-ambiente. Stoccolma è stato un momento di rottura politica e culturale col passato, e ha lanciato una triplice sfida. La prima rivolta a tutti i Governi, che avrebbero dovuto ridefinire le loro strategie di sviluppo alla luce dei limiti posti dall’ambiente. La seconda rivolta alla comunità della Cultura alla quale si chiesero gli strumenti conoscitivi atti alla comprensione delle dinamiche e delle relazioni che intercorrono tra mondo “naturale” e mondo “umano”. La terza rivolta al mondo della Tecnologia, alla quale si richiesero gli strumenti operativi necessari per rendere concreta la possibilità di coniugare lo sviluppo con la salvaguardia delle risorse naturali. Negli anni Ottanta fu documentato un nuovo fenomeno inquietante: quello del riscaldamento globale dell’atmosfera e degli oceani. Il suo andamento, negli ultimi cento anni, attestava non solo temperature in rapido e continuo aumento, ma anche, e soprattutto, che si era di fronte a un fenomeno non passeggero, di lunga durata. Negli stessi anni, assieme agli aumenti delle temperature, fu documentata anche una decisa crescita dei gas serra anomala rispetto a quella registrata nel passato (remoto e recente), sia per entità che per i tempi rapidissimi in cui esso si era realizzato. Altri studi sul Paleo-clima avevano documentato la sincronia e la similitudine tra gli andamenti dei gas serra e delle temperature sia nei periodi di glaciazione sia nei periodi caldi interglaciali, attestando l’esistenza di una stretta relazione tra i due fenomeni. Tale relazione non è ancora chiara in tutti i suoi aspetti. È tuttora oggetto di dibattito se siano i gas serra a provocare il riscaldamento o se sia vero il contrario, tuttavia è molto ragionevole ritenere che avvengano processi di retroazione nei quali i due fenomeni si scambiano continuamente i ruoli di causa ed effetto. Venne fornita un’altra importante informazione: gli attuali tassi di crescita dei gas serra, e i loro valori assoluti, sono grandemente superiori rispetto a quelli “naturali” registrati nell’ultimo milione di anni, mentre i tempi nei quali essi si sono sviluppati sono molto più brevi. Ciò attesta che la 6 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Le Politiche dell’ONU (1972-2012) crescita dei gas serra dell’ultimo secolo, anomala per valori e tempi, è certamente attribuibile alle attività umane. In definitiva, dai dati raccolti si trassero due prime conclusioni: la prima, legata solo alle temperature, è che il Pianeta è entrato in una fase più “calda” anomala la cui durata, certamente non breve, non è oggi prevedibile. La seconda è che il riscaldamento attuale è legato (o comunque magnificato) al forte aumento dei gas serra introdotti nell’atmosfera dalle attività antropiche. Vi fu una terza conclusione: essendo la temperatura uno dei principali fattori del clima, si comprese che il riscaldamento globale apriva scenari di cambiamenti climatici imprevedibili su tutto il Pianeta e che tali cambiamenti avrebbero potuto mettere in crisi gli insediamenti e le attività umane. La possibile evoluzione verso temperature ancora più alte con conseguenze imprevedibili, pose come prioritario l’obiettivo del rallentamento e dell’attenuazione del riscaldamento globale: si ritenne che tale obiettivo potesse essere perseguito con la riduzione delle emissioni antropiche dei gas serra. Per questa ragione fu concordato un piano globale di tagli delle emissioni, coinvolgendo tutti i Governi con precise e severe norme prescrittive. Queste conclusioni hanno prodotto una vera e propria mutazione nelle politiche ambientali dell’ONU. Alle politiche iniziali, legate principalmente ai processi dissipativi dell’inquinamento e dell’uso incontrollato delle risorse naturali, si aggiunse una politica indirizzata ai problemi posti dal riscaldamento globale e dai conseguenti possibili cambiamenti climatici. Con il riscaldamento e i cambiamenti climatici si aprì una nuova fase caratterizzata dal passaggio da una politica di moral-suasion, a una politica operativa e prescrittiva. Il primo evento fondante di questa fase è stata la United Nations Conference on environment and development (UNCED), Earth Summit, Rio de Janeiro 1992. Assieme alla Conferenza furono approvati Protocolli di Intesa che rappresentano una vera e propria Carta dei Diritti dell’Ambiente e dei Diritti-Doveri dell’Uomo. Tra essi, il più rilevante è rappresentato dal Kyoto Protocol Climate Conference. COP3, 1997 nel quale sono indicate le regole sulle emissioni dei gas serra cui ciascuna nazione deve sottostare. Per riassumere, nelle politiche ambientali dell’ONU, è possibile individuare due macro periodi distinti: una fase di avvio, dal 1972 alla fine degli anni ’80, orientata a portare l’attenzione mondiale su problematiche ambientali e a coinvolgere i Paesi in un percorso di condivisione di principi fondamentali; una successiva fase di sviluppo, incentrata sul fenomeno del riscaldamento globale e contraddistinta dalla volontà di definire e adottare linee operative d’intervento. 1.2. Tappe principali Di seguito sono ricostruite le tappe percorse a partire dal 1972. Il grafico dell’incremento della popolazione mondiale negli ultimi due secoli e mezzo può essere utile per contestualizzare le Conferenze e le Risoluzioni adottate nel quadro evolutivo (sia pur solo numerico) dell’insediamento umano sul Pianeta. 7 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Le Politiche dell’ONU (1972-2012) 6,89 2012 DOHA DENSITÀ AB/KMQ, 2010 ASIA 111,4 EUROPA 101,7 AFRICA 24,3 AMERICA DEL SUD 18,3 AMERICA DEL NORD 15,9 OCEANIA 3,0 MONDO 43,7 6,07 1997 KYOTO 1992 RIO-UNFCCC-AGENDA 21 1988 IPCC 1972 STOCCOLMA 2,51 1,65 1,26 0,79 o mond 0,98 asia africa europa sud america nord america oceania Conference on the Human Environment - Stoccolma 1972 Con la Conferenza di Stoccolma si posero le basi di una politica mondiale per un rapporto equilibrato tra l’uomo e l’ambiente. La Conferenza prese atto del fatto che le attività umane avevano prodotto danni gravi all’ambiente, e che tali danni, lungi dal rimanere confinati nelle ristrette aree dove erano stati prodotti, si erano estesi a tutto il Pianeta con le dinamiche proprie dei meccanismi di retroazioni dell’ambiente. La Conferenza, prendendo atto del fatto che la popolazione mondiale dal 1950 al 1970 era passata da circa 2.5 a 3.8 miliardi di persone, e che non vi erano segnali che tale crescita si sarebbe attenuata almeno nei tempi medi, affermò che i punti di crisi sarebbero fatalmente aumentati e che senza urgenti politiche di protezione dell’ambiente il futuro dell’Umanità sarebbe stato in grave pericolo. Preso atto della complessità dei problemi, la Conferenza ritenne che soluzioni locali, pur necessarie e auspicabili, non sarebbero state sufficienti, e che era impellente il varo di una Politica Mondiale globale di protezione delle risorse (rinnovabili e fossili) assieme alla elaborazione di un nuovo tipo di sviluppo più equilibrato con l’ambiente. Lo sviluppo umano e la difesa dell’ambiente furono presentati come questioni inscindibili, senza un prima e un dopo, e che le risorse naturali dovevano essere tutelate per garantire il futuro dell’umanità in una visione non semplicemente conservativa, ma alla luce delle dinamiche sia delle attività umane sia delle dinamiche proprie della natura. Posto così il tema generale, si comprese che una tale politica doveva essere considerata come un processo di lunga durata. come di lunga durata era stato quello che aveva portato alla crisi il rapporto uomo-ambiente. Si comprese anche che era necessaria una politica di sistema molto 8 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Le Politiche dell’ONU (1972-2012) complessa e che le azioni da intraprendere sarebbero state molto difficili da realizzarsi, sia sul piano politico-economico-sociale, sia su quello conoscitivo, sia su quello tecnologico operativo. Prendendo atto delle difficoltà anche culturali la Conferenza non si concluse con affrettati progetti normativi e impositivi o, peggio ancora, con la costituzione di un “governo del mondo”, ma invece preferì indicarne i principi e le linee da seguire e rispettare. I Principi 1. Alla base di ogni politica ambientale devono essere posti la libertà, l’uguaglianza e il diritto ad adeguate condizioni di vita, per tutti i popoli del Pianeta. 2. Le risorse naturali devono essere protette, preservate, e opportunamente razionalizzate per il beneficio delle generazioni future. 3. La conservazione della natura deve avere un ruolo importante all’interno dei processi legislativi ed economici degli Stati. La Conferenza si chiuse con un appello ai popoli e ai Governi perché si rendessero conto della necessità di costruire uno sviluppo condiviso, di garantire il futuro del Pianeta e delle nuove generazioni, nel rispetto delle esigenze dei singoli Paesi con attenzione alle loro diversità in termini di responsabilità e doveri; non furono sottovalutate le difficoltà e le incognite culturali che un tale progetto presentava. Per questo la Conferenza fece congiuntamente un appello-sfida al Mondo della Cultura (dell’Uomo e della Natura) e al Mondo della Tecnologia perché fornissero strumenti culturali e operativi adeguati. La Conferenza ebbe una vasta e giusta adesione da parte della grande maggioranza delle nazioni aderenti all’ONU. Nello stesso anno, la U.N. General Assembly, con la risoluzione 2997 (XXVII) istituì la United Nations Environment Programme (UNEP) 1972. L’UNEP fu designata come Autorità ONU, a livello sia globale sia locale, con il mandato di coordinare lo sviluppo delle politiche ambientali. Seguirono due successive iniziative di rilievo. La World Conservation Strategy (WCS) 1980, nella quale si indicarono due obiettivi fondamentali: mantenimento dei sistemi vitali e dei processi ecologici essenziali, conservazione della diversità genetica e utilizzo sostenibile delle specie e degli ecosistemi. La World Commission on Environment and Development (WCED) con l’annesso Rapporto Brundtland 1987, nel quale si affermarono i principi di precauzione e quello dello sviluppo sostenibile. Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) 1988 Nei 16 anni trascorsi dalla Conferenza di Stoccolma l’ ulteriore aumento di circa 1.2 miliardi della popolazione mondiali, aveva acuito le problematicità del rapporto uomo-ambiente. Nello stesso tempo dal mondo scientifico vennero fornite informazioni sempre più numerose e attendibili sulla rapidissima crescita, negli ultimi 100-150 anni, delle temperature medie globali e delle concentrazioni dei gas serra. Si consolidò l’ipotesi che tali aumenti potessero essere messi in relazione alle attività umane e che il riscaldamento globale potesse essere causato dalla somma sia di fenomeni naturali sia di fattori antropici. Poiché le temperature sono tra i più importanti fattori del clima, lo studio delle loro variazioni e delle loro cause, divenne una priorità anche sul piano 9 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Le Politiche dell’ONU (1972-2012) culturale. Per questo fu istituito l’IPCC al quale venne dato il compito di raccogliere e valutare criticamente tutte le informazioni prodotte dal mondo scientifico sul clima e sugli insediamenti umani: il loro stato, le loro variazioni, i possibili danni connessi e le loro cause. Si riportano, dall’originale, la natura e la definizione dei compiti dell’IPCC: IPCC is a scientific intergovernmental body tasked with reviewing and assessing the most recent scientific, technical and socio-economic information produced worldwide relevant to the understanding of climate change. It provides the world with a clear scientific view on the current state of climate change and its potential environmental and socio-economic consequences, notably the risk of climate change caused by human activity. The panel was first established in 1988 by the World Meteorological Organization (WMO) and the United Nations Environment Programme (UNEP), his action was confirmed on 6 December 1988 by the United Nations General Assembly through Resolution 43/53. L’IPCC ebbe l’incarico di fornire ai decisori politici una sintesi critica delle informazioni raccolte. United Nations Conference on environment and development (UNCED) - Rio de Janeiro 1992, Earth Summit La Conferenza di Rio fu una vera e propria rivoluzione: diede concretezza ai principi di carattere generale del ’72, con un articolato programma di interventi su tutti i più rilevanti temi riguardanti lo stato dell’ambiente, e le criticità del rapporto uomo-ambiente. A vent’anni da Stoccolma, la Conferenza di Rio ha consentito alla Comunità Internazionale di concordare le strategie ambientali attraverso una cooperazione mondiale indirizzata allo sviluppo sostenibile, introducendo anche alcuni obblighi giuridici. Si riportano le iniziative adottate: Declaration on environment and development: definisce in 27 punti i diritti e le responsabilità delle nazioni riguardanti lo sviluppo sostenibile. AGENDA 21. In applicazione della Declaration on environment and development: propone lo sviluppo sostenibile come la prospettiva da perseguire per tutti i popoli del mondo e ne identifica i principali strumenti attuativi. Principles on conservation of all type of forests: sancisce il diritto degli Stati a utilizzare le foreste secondo le proprie necessità, senza ledere il principio di conservazione e di sviluppo delle stesse. United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC): è la struttura nella quale si dovranno elaborare le strategie per la mitigazione del riscaldamento e dei connessi cambiamenti climatici e che introduce obblighi e comportamenti miranti a contenere e stabilizzare la produzione di gas che contribuiscono all’effetto serra. Ad essa seguirà la Convenzione sulla Desertificazione. Convention on Biological Diversity: pone l’obiettivo di tutelare le specie nei loro habitat naturali e riabilitare quelle in via di estinzione. In aggiunta furono istituite le Conference of Part (COP) alle quali si dava il compito di aggiornare annualmente obiettivi, priorità e obblighi specifici per ciascuna nazione. Le COP in tal modo danno continuità e concretezza alle strategie di intervento e si configurano come veri e propri strumenti di governo. 10 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Le Politiche dell’ONU (1972-2012) Nel complesso, confermata la filosofia di Stoccolma, si deliberò a tutto campo, anche se assunse un ruolo prevalente l’ UNFCCC che pose come questione centrale il problema del cambiamento climatico, delle sue cause (antropiche e naturali) e delle possibili azioni da intraprendere per mitigarne gli effetti e sviluppi. Kyoto Protocol Climate Conference- COP3 1997 Il Protocollo impegna i Paesi industrializzati e i Paesi con economia in transizione a ridurre le emissioni dei gas serra. Il Protocollo fu sede di una difficile contrattazione che tuttavia riuscì a indicare per ciascun Paese firmatario le quote di riduzione delle emissioni da adottare, aggiungendo sanzioni per gli stati inadempienti. Il trattato, entrato in vigore il 16 febbraio 2005 dopo la firma della Russia, pose l’obiettivo di diminuire globalmente, entro il periodo 2008-2012, le emissioni degli elementi inquinanti in misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990. Furono meticolosamente indicati tutti i gas inquinanti oggetto del trattato: biossido di carbonio metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo. Fu elaborata e annessa al trattato la tabella degli impegni per ciascun gas e per ciascuno degli stati firmatari. Oltre all’impegno dei tagli delle emissioni, si introdussero meccanismi di flessibilità per rendere meno oneroso il rispetto degli impegni Clean Development Mechanism (CDM): consente ai Paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare nei Paesi in via di sviluppo progetti a basso tenore di emissioni), che producessero anche sviluppo economico e sociale dei Paesi ospiti. Tali progetti sono incentivati attraverso la acquisizione di crediti di emissione (CER) per i Paesi che promuovono gli interventi. Joint Implementation (JI): consente ai Paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare progetti per la riduzione delle emissioni di gas-serra in un altro Paese dello stesso gruppo, e di utilizzare i crediti derivanti, congiuntamente con il Paese ospite. Emissions Trading (ET): consente lo scambio di crediti di emissione tra Paesi industrializzati e ad economia in transizione. Un Paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo può così cedere (ricorrendo all’ET) tali crediti a un Paese che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni di gasserra. L’accordo di Kyoto non ha avuto vita facile. Seguirono annualmente altre conferenze, nell’ultima delle quali (COP 18) Doha, Qatar Novembre 2012 si decise di rinviare il programmato taglio delle emissioni dei gas serra al 2020. Il rinvio non può non preoccupare se si pensa che da Kyoto a Doha, non solo sono passati 15 anni, ma anche che la popolazione è cresciuta di un altro miliardo. Alcune nazioni, soprattutto europee, hanno da anni iniziato un percorso virtuoso, ma nel complesso a livello globale si può affermare che il trattato di Kyoto non è, di fatto, ancora entrato in funzione. 1.3. Risultati positivi e criticità Nei quarant’anni trascorsi da Stoccolma sono accaduti fatti importanti e sono stati ottenuti numerosi risultati positivi. La popolazione mondiale è giunta ai sette miliardi. Questo è un fatto che deve essere rilevato perché rappresenta un grande successo per l’umanità anche se, talvolta, viene considerato come 11 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Le Politiche dell’ONU (1972-2012) una minaccia per il futuro. Certo i pericoli ci sono: essi non nascono dall’incremento della popolazione bensì dalla assenza di piani di “accoglienza” adeguati e rispettosi di tutti i popoli e delle risorse naturali disponibili. Certo ci sono popoli ancora al livello minimo della sopravvivenza, ma sono vivi. Certo lo sviluppo ha acuito gravemente i problemi dell’ambiente, ma la Comunità Internazionale, con le decisioni di Rio, si è impegnata a darsi strumenti adeguati per superare gli aspetti più negativi. Nonostante le enormi difficoltà e la complessità dei problemi, le Nazioni Unite, con l’adesione della stragrande maggioranza delle nazioni continuano a operare a tutto campo. Ciò indica che le strutture che esse si sono date a Rio, e gli obiettivi posti sono riconosciute come necessarie per il governo dell’ambiente e per il futuro dell’umanità. Non è una cosa scontata. Il futuro dell’ambiente e dell’uomo sarebbe realmente drammatico se le organizzazioni dell’ONU si fossero arrese. Su molti punti i successi e i consensi potranno risultare deboli o insufficienti, ma non si può dimenticare che è stata cancellata la situazione di totale irresponsabilità e “ignoranza” nella quale, dall’inizio dello sviluppo industriale fino agli anni ’50 del secolo scorso, si erano dilapidate in modo irresponsabile le risorse ambientali spesso compromettendole per il futuro. Sono state introdotte e sono operative Convenzioni importanti in numerosi campi: global warming, climatic change, foreste, biodiversità, pesca. Sono stati introdotti i principi sui diritti-doveri delle nazioni nel rispetto delle loro diversità; si è consolidata la filosofia dello sviluppo sostenibile e si è affermato il principio di precauzione e di responsabilità. Molte nazioni hanno autonomamente anticipato e introdotto leggi in tutela delle risorse naturali in sintonia con UNEP e UNCED. Esiste certamente ancora una disparità legislativa tra Paesi ricchi (e a onor del vero anche tra essi) e Paesi poveri o in via di sviluppo, ma si sono ottenuti comunque successi sia sul piano pratico sia sul consolidamento di una cultura ambientale diffusa. Infine, è nata l’industria dell’ambiente. Il trattamento e riciclo dei rifiuti, la produzione di energie rinnovabili, il risparmio energetico e delle risorse non rinnovabili, hanno visto il sorgere di nuove industrie e di una nuova cultura di sistema attenta al ciclo di vita degli oggetti prodotti. Questo dà la sospirata concretezza a possibili modelli di sviluppo avanzati e “sostenibili”, nei quali i vincoli ambientali diventano nel loro insieme strumenti interni ai meccanismi dello sviluppo, superando in tal modo il loro primitivo ruolo esterno punitivo o mitigativo. La crescita delle nuove industrie “ambientali” non è stata lineare: vi sono stati successi e insuccessi, ma nell’insieme hanno avviato un processo non solo industriale ma anche culturale perché hanno stimolato il mondo della tecnologia e delle scienze fisiche e umane. Il loro ingresso a pieno titolo nel mondo dell’economia ha attirato, dopo un lunghissimo sonno, “cervelli” nuovi che potranno trovare in tale processo stimoli, ruoli e riconoscimenti culturali. Anche se siamo ancora all’inizio, si sta avviando l’età adulta della cultura ambientale che passa dalla filosofia della denuncia e della conservazione a quella del fare e della responsabilità, proiettandosi verso il futuro. Accanto ai risultati positivi si individuano alcune criticità. Nel quadro delle politiche ambientali promosse dalle Nazioni Unite, l’IPCC, l’UNFCCC e AGENDA 21 rappresentano allo stesso tempo punti di forza e di debolezza. Che siano punti di forza è del tutto evidente: sono vent’anni che promuovono iniziative sui cambiamenti climatici e strategie di protezione delle risorse ambientali. Ed è altrettanto positivo il 12 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Le Politiche dell’ONU (1972-2012) fatto che molte nazioni, specie dell’area europea, non abbiano atteso la stipula ufficiale dei trattati internazionali per avviare le politiche indicate dall’UNFCCC. I punti di debolezza sono però altrettanto evidenti. L’accordo di Kyoto è oggetto continuo di rinvii e compromessi (COP18, Doha 2012) e le previsioni sulla sua attuazione per il 2020 sono molto incerte. AGENDA 21 non ha ancora acquisito l’autorevolezza di una reale struttura di “governo” e di cooperazione internazionale e stenta ad avviare il coordinamento delle Local Authorities alle quali è demandata la concreta elaborazione e gestione degli interventi. Sorge il timore che l’indebolimento di Kyoto e di AGENDA 21, che rappresentano i punti più alti delle politiche operative dell’ONU, possano, a cascata, coinvolgere e mettere in pericolo tutto l’impianto delle decisioni di Rio. Siamo in una fase di stallo. Gli aspetti positivi si sono nel tempo appannati e mescolati in una confusa e contraddittoria serie di resistenze e contrapposizioni nel campo politico-economico e in quello culturale. Lo stallo è certamente attribuibile agli scontri tra soggetti che difendono interessi contropposti o che si oppongono pregiudizialmente al cambiamento, ma le cause reali sono più complesse. Le resistenze non sono di per sé il male ma anche il segnale di problemi non risolti, o non affrontati adeguatamente. Il vero nodo da affrontare è quello di scavare nei perché delle resistenze, di verificare se vi siano errori e limiti nelle strategie delle soluzioni proposte, e di capire se i “cattivi” che si oppongono al nuovo esistano davvero e, se sì, come possano essere affrontati e convinti in positivo. Ci si dovrà chiedere con risolutezza se vi siano altre soluzioni possibili, ed anche ammettere che possono esistere problemi per ora senza soluzione, vuoi per inedite tensioni sociali, vuoi per gravi carenze degli strumenti culturali, conoscitivi e tecnologici. In questi quarant’anni i problemi si sono aggrovigliati e confusi in dispute su aspetti particolari che hanno fatto perdere il senso generale delle cose. La situazione è preoccupante perché ciò che accade non avviene in un quadro di tranquilla stabilità: il Mondo cammina per i fatti suoi e cambia a ogni momento gli scenari con i quali, volenti o nolenti, ci si deve confrontare. Come riannodare il filo di un percorso possibile? Un buon inizio potrebbe essere il riflettere, e il ripercorrere il camino compiuto fino a oggi, tappa dopo tappa, sottolineando i successi raggiunti e ricercando, i possibili errori e le auspicabili soluzioni. 13 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Riflessioni e dubbi 2. Riflessioni e dubbi 2.1. Climate change e global warming La prima riflessione critica, apparentemente solo di tipo lessicale, riguarda l’IPCC. A Stoccolma fu indicato con chiarezza che il rapporto uomo-ambiente è il riferimento generale al quale sono indirizzare le strategie conoscitive delle politiche ambientali. Si riporta il testo originale del Principle 2 di Stoccolma. The natural resources of the Earth, including the air, water, land, flora and fauna and especially representative samples of natural ecosystems, must be safeguarded for the benefit of present and future generations through careful planning or management, as appropriate. Si ricorda ancora che la ragion d’essere dell’ IPCC è il raccogliere e presentare criticamente tutte le conoscenze disponibili sul climate change e sulle sue possibili cause: IPCC provides the world with a clear scientific view on the current state of climate change and its potential environmental and socio-economic consequences, notably the risk of climate change caused by human activity. In sintesi, l’IPCC doveva raccogliere i dati sui cambiamenti climatici in atto per giungere all’individuazione delle loro cause e alla elaborazione di possibili soluzioni mitigative o adattive dei loro effetti sulle attività umane. Segnali di cambiamenti climatici ve ne sono, e anche numerosi, tuttavia le informazioni spesso si accavallano in un insieme di notizie episodiche, frammentarie e disomogenee che non portano a un quadro probatorio affidabile e completo. L’IPCC ha presentato innumerevoli informazioni sul riscaldamento e sull’aumento delle concentrazioni dei gas serra ma scarsissime informazioni dirette sul cambiamento climatico. Le informazioni sul riscaldamento globale sono certamente basilari per la comprensione delle dinamiche evolutive del Pianeta, ma il cambiamento climatico è altra cosa. La confusione tra riscaldamento e clima è piuttosto frequente. Non sarà inutile quindi fare due digressioni per ricordare che cosa si debba intendere per Clima, per Riscaldamento e per Cambiamenti Climatici. Cosa si intende per clima meteorologico e temperatura Il Clima è un sistema che, in senso stretto, può essere definito come l’insieme delle condizioni atmosferiche medie che si ripetono annualmente (anche nelle loro ciclicità stagionali), sulla superficie di un determinato luogo per lunghi periodi di tempo. I principali elementi che lo costituiscono sono: radiazione solare e temperature dell’aria, pressione atmosferica, i venti, l’umidità dell’aria, le precipitazioni. Gli elementi del clima non sono indipendenti tra loro; al variare di anche uno solo di essi, variano anche gli altri con una o più reazioni di ritorno (retroazioni) che agiscono ovviamente anche sull’intero sistema. Il clima, determinato dalla combinazione e dalle interazioni di tutti gli elementi meteorologici in gioco, è quindi un sistema di non facile definizione. È ben noto infatti che la classificazione dei climi non è né univoca, né assoluta, né generalizzabile. La scienza moderna del clima nasce all’inizio dell ’800 con A. von Humboldt, il primo a mettere in relazione i fenomeni atmosferici (in particolare le temperature) con quelli della biosfera (soprattutto la flora). Da allora i tentativi di classificare in modo sintetico i climi si scontrarono con il numero dei fattori in gioco, e con la complessità dei loro mutui rapporti. Le difficoltà indussero a semplificare il problema e si seguì la strada delle classificazioni basate sulla scelta dei fattori dominanti (e per converso anche su quelli limitanti) che si riteneva potessero caratterizzare il clima nel suo insieme. Nella seconda metà del secolo scorso le classificazioni di W.Koppen, di C. W. Thornthwaite e di H. Flohn, basate rispettivamente su (i) temperature e precipitazioni, (ii) sulla umidità globale e (iii) sulla circolazione generale dell’atmosfera, hanno segnato un decisivo passo in avanti introducendo classificazioni definibili con indici quantitativi. 14 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Riflessioni e dubbi L’adozione del criterio di utilizzare solo un numero ristretto di fattori “dominanti” ha sicuramente portato contributi importanti, ma ha trascurato o sottovalutato gli altri fenomeni che avvengono e si osservano nel sistema climatico e che sono tuttavia decisivi nella descrizione di un Paesaggio. Ancora oggi le difficoltà nel definire e classificare un determinato clima non sono superate: queste difficoltà si ripercuotono negativamente sulla possibilità di valutare analiticamente i suoi possibili cambiamenti. Se, d’altro canto, la soluzione analitica appare impercorribile, può essere fruttuoso un approccio empirico. Una volta accertata la variazione di anche un solo fattore climatico dominante, ad esempio la temperatura, si dovranno analizzare, in parallelo, i cambiamenti avvenuti (o non avvenuti) sia negli altri parametri meteorologici, sia negli altri settori del sistema per studiarne le relazioni, i tempi di risposta e soprattutto per valutarle nella loro rilevanza sul sistema generale. L’approccio empirico abbisogna del concerto di tutte le conoscenze settoriali e delle sensibilità dei suoi cultori. Da quanto detto si comprenderà che il riscaldamento globale è un parametro decisivo, ma che non rappresenta la complessità del clima la cui comprensione sarà possibile solo con una larga messe di informazioni su tutti gli elementi in gioco e sui loro meccanismi di retroazione. Un esempio: l’aumento delle temperature provoca una maggiore evaporazione e il conseguente aumento della umidità dell’aria. Quest’ultimo provoca due differenti effetti. Da un lato fa crescere la quantità di vapor d’acqua nell’atmosfera, dall’altro aumenta la formazione delle nuvole. Il primo effetto, essendo il vapore d’acqua uno dei più efficienti gas serra, provocherà un effetto retroattivo positivo, cioè magnificherà l’aumento delle temperature che avevano prodotto maggiore umidità. Il secondo, con la maggiore copertura nuvolosa che impedisce alle radiazioni solari di giungere al suolo, provocherà una retroazione negativa, cioè si opporrà al riscaldamento. Dal riscaldamento nascono quindi due distinte retroazioni di segno opposto il cui risultato finale sul sistema sarà dato dalla loro somma algebrica. L’esempio vuole sottolineare e ripetere che il clima sarà definito solo (i) dopo aver misurato e raccolto i valori di ciascuno dei suoi elementi; (ii) dopo aver analizzato i molteplici meccanismi di retroazione; (iii) dopo avere ricomposto un quadro sintetico di tutte le variazioni dei parametri meteorologici che possa essere considerato rappresentativo per un congruo periodo di tempo. Il clima, così definito, è parte di un sistema più complesso: il Sistema Climatico, che l’UNFCCC indica nelle Definitions, Article 1-3: Climate system means the totality of the atmosphere, hydrosphere, biosphere and geosphere and their interaction. Il Sistema Climatico è formato da disparati sottoinsiemi: l’atmosfera, cioè il clima definito in precedenza, la flora e la copertura vegetale, la fauna, il ciclo dell’acqua, gli oceani, l’assetto geomorfologico del territorio, i sistemi fluviali e l’insediamento umano. Va ricordato che i sottoinsiemi, a loro volta, non sono indipendenti ma interagiscono con complicatissimi meccanismi retroattivi e che quindi il Sistema Climatico potrà essere definito solo attraverso la conoscenza dei valori dei parametri di ciascuno dei suoi sottoinsiemi e delle loro relazioni. Cosa si intende per cambiamento climatico Sì consideri, per iniziare, il clima “meteorologico” definito in precedenza; i suoi cambiamenti potranno essere studiati in tre tappe. 15 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Riflessioni e dubbi La prima tappa è quella di scegliere i luoghi e i periodi nei quali si vogliano studiare i possibili cambiamenti. I cambiamenti di un determinato luogo potranno essere studiati confrontando i climi che si sono succeduti nel tempo, il primo dei quali (il più vecchio) sarà assunto come il clima di riferimento rispetto al quale saranno evidenziate e calcolate le differenze occorse in quelli successivi. Occorre ricordare che il confronto non può essere fatto confrontando due singole “annate” climatiche, perché i climi annuali sono soggetti a continue variazioni e oscillazioni. Per questa ragione il confronto dovrà essere fatto tra i loro andamenti medi (più precisamente gli andamenti medi di ciascuno dei suoi elementi) che possano essere considerati “stabili” per un dato e congruo periodo, di almeno 30-50 anni. Ad esempio, se si volessero evidenziare le variazioni climatiche tra l’inizio e la fine del secolo scorso, si dovranno confrontare i climi medi dei primi 50 anni con quelli della seconda metà del secolo. Il confronto in tal caso evidenzierà le variazioni di lungo periodo (a scala secolare) tagliando le variazioni di breve periodo. La scelta dei climi da confrontare è fatta a priori sulla base dei periodi evolutivi che si vogliono approfondire. Potranno essere scelte due diverse opzioni: (a) assumere come riferimento il clima di un tempo passato e confrontarlo con quello in corso; (b) assumere come riferimento il clima attuale e confrontarlo con quello di un tempo futuro. La prima opzione indicherà i cambiamenti avvenuti in un determinato arco temporale, la seconda porterà informazioni sui cambiamenti che potrebbero accadere qualora risultassero possibili variazioni importanti su qualcuno dei suoi elementi. La seconda tappa consiste nell’analisi delle variazioni occorse per ciascuno dei parametri climatici. Si dovrà verificare, in particolare, se le variazioni sono di corto periodo, oppure se indichino un quadro evolutivo di lunga durata. Le terza tappa è quella di ottenere una sintesi che vada oltre le variazioni dei singoli elementi meteorologici poiché il cambiamento climatico sarà dato dalla combinazione delle variazioni di tutti gli elementi in gioco. Se si passa dal Clima al Sistema Climatico il metodo del confronto con sistemi di riferimento temporalmente definiti sostanzialmente non cambia; l’unica differenza è che il confronto dovrà essere esteso a ciascuno dei sottosistemi che lo compongo. Si potranno utilizzare le stesse periodizzazioni scelte per il clima. Infine si dovranno analizzare alla luce temporale le variazioni intercorse per verificare i tempi di risposta e soprattutto per comprendere se le variazioni siano di breve o di lungo periodo. Riassumendo: se si vorrà parlare di cambiamenti climatici si dovrà per prima cosa descrivere dettagliatamente lo stato di partenza del Sistema di riferimento e, per seconda, determinarne le variazioni occorse in un periodo successivo. Risulta però del tutto evidente che, per la complessità e il numero infinito dei parametri da individuare e misurare, tale impostazione è difficilmente perseguibile. Si dovrà ragionevolmente percorrere un’altra strada, più semplice ed empirica: cioè scegliere per ciascuno dei sottoinsiemi solo i parametri dominanti (o limitanti) e da essi trarre indicatori che siano il più possibile significativi per descriverne il quadro e l’ evoluzione. Tali indicatori non saranno “assoluti”, poiché dovranno essere scelti di volta in volta a seconda delle regioni climatiche prese in considerazione. Ad esempio, i singoli elementi del clima potranno assumere un peso differente a seconda delle aree sulle quali essi sono osservati. In alcune aree potrà esser dominante l’aumento delle temperature, in altre le precipitazioni, in altre ancora il loro effetto congiunto. Un secondo 16 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Riflessioni e dubbi esempio: se si vorrà analizzare il cambiamento di un eco-sistema vegetale, potranno individuarsi le specie più significative da utilizzare come indicatori della sua evoluzione. Una volta determinate le variazioni occorse a ciascun sottosistema si dovrà infine andare a sintesi, indicando, per un dato luogo, quali tra esse siano più significative e forzanti rispetto agli effetti di una vera e propria variazione del Sistema Climatico. Nei Reports del IPCC questi dati sono però quasi del tutto mancanti, o largamente generici; il cambiamento climatico è previsto e temuto ma non documentato. Come mai? La risposta attiene più al mondo della scienza e della conoscenza che non a quello politico. La lacuna dei dati sui cambiamenti del Sistema Climatico non è intenzionale. Essa è dovuta principalmente al fatto che la complessità dei fenomeni è realmente enorme, e che la scienza del clima, relativamente “giovane”, non ha ancora elaborato metodologie affidabili capaci di descrivere sia lo stato sia i mutamenti di un determinato clima: detto in modo più spiccio, il mondo scientifico, avanzatissimo sui temi particolari e specialistici, non è altrettanto pronto a confrontarsi con i problemi posti dalle modificazioni dei sistemi complessi come quello climatico. L’IPCC non è un ente di ricerca e quindi non lo si può certo accusare della carenza dei dati sul Sistema Climatico, o delle insufficienze della scienza del clima, tuttavia deve essere sottolineata una sua grave responsabilità: quella di non avere denunciato con chiarezza le carenze conoscitive e culturali sulle variazioni del Clima e del Sistema Clima. L’IPCC ha ignorato questo problema e ha focalizzato le strategie di informazione sul global warming, trascurando le altre, con ciò ribaltando la logica iniziale che era quella di partire dal cambiamento climatico per trovarne le cause e le soluzioni possibili. L’IPCC, e successivamente l’UNFCCC, hanno di fatto sostituito i cambiamenti climatici (gli effetti) con il riscaldamento (una delle cause) con ciò introducendo elementi di ambiguità tra calore e clima, che in breve tempo sono quasi divenuti sinonimi, generando confusioni e spesso disorientamento. Tornando alla critica lessicale: l’IPCC è un acronimo non veritiero perché, per come si è sviluppato, avrebbe dovuto essere chiamato IPGW (“Intergovernmental Panel on Global Warming”). Il lessico può apparire una cosa secondaria e pedante, ma le parole sono pietre, e l’errore lessicale, la confusione tra calore e clima, ha prodotto a valle conseguenze gravi nella comprensione dei problemi e di conseguenza sulle strategie di intervento. 2.2. Globale e locale Un’ulteriore evidenza dell’importanza delle parole. Gli aggettivi “globale”e “locale” sono spesso, e talvolta impropriamente, usati sia per il riscaldamento sia per il clima. Gli studi raccolti dall’IPCC hanno indicato che il riscaldamento non si distribuisce in modo uguale su tutto il Pianeta. I dati forniscono due informazioni distinte ed egualmente importanti. La prima, indica una tendenza al riscaldamento di carattere generale che coinvolge il Pianeta nel suo insieme. La seconda, invece, individua particolari aree o regioni che rispondono in modo differente al fenomeno generale; questa seconda informazione assume un’importanza rilevante perché è sul “regionale“ che si gioca la partita del clima e del rapporto uomo-ambiente. Mentre sul riscaldamento è possibile distinguere tra globale e locale, perché si confrontano le variazioni dei valori di un unico parametro di riferimento, e cioè le temperature, sul clima l’aggettivo globale è fuorviante perché non esiste un clima globale di riferimento: esistono solo climi locali o regioni climatiche. Secondo una vecchia classificazione di W. Koppen, si possono distinguere almeno cinque climi principali: tropicale, subtropicale, temperato, freddo, polare. In 17 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Riflessioni e dubbi realtà i climi sono molti di più a seconda dei parametri presi come caratterizzanti e soprattutto se si prende in considerazione non il clima, ma il Sistema climatico. Va ricordato che la classificazione di aree o di regioni climatiche omogenee è questione difficile, che la moderna climatologia non ha risolto in modo soddisfacente. In ogni caso le modificazioni climatiche si manifestano nello specifico di situazioni locali e non possono, e non debbono, essere generalizzate a livello globale. Non si può parlare di climate change ma, al plurale, di climate changes. Usare il singolare o il plurale non è indifferente rispetto alla percezione di ciò che può accadere e rispetto alle azioni da intraprendere. Il singolare non solo è un errore concettuale, ma evoca ancestrali paure di catastrofi globali, e potrà indurre le popolazioni alla rassegnata attesa degli eventi o all’impotente attesa di soluzioni salvifiche. Il plurale invece invita a pensare a cosa succede, o potrà succedere, in un dato luogo, e stimolerà la comunità di quel luogo ad agire attivamente per mitigare gli effetti negativi dei cambiamenti o per adattarsi ad essi. I cambiamenti climatici dovranno essere analizzati regione per regione attraverso le variazioni dei parametri fisico-meteorologici e di quelli bio-geologici, di quelli antropici. È dalla loro sintesi che potranno nascere politiche vigili e condivise di intervento. Si dovrà quindi operare su due livelli: il “globale” cioè riscaldamento, circolazione generale nell’atmosfera e negli oceani, e il “locale” cioè il Sistema Clima. Si dovrà operare congiuntamente su entrambi perché il livello globale , non controllato direttamente e continuamente nei suoi effetti locali, è astratto; e quello locale, non inquadrato negli andamenti generali del Pianeta, è destinato a fallire. AGENDA 21 ha giustamente posto al centro della sua strategia il rapporto globale-locale individuando nelle Autorità Locali (Local Authorities) i soggetti decisivi nella elaborazione e attivazione di qualsiasi progetto. Il ruolo delle Autorità Locali è fondamentale per numerosi aspetti. In primo luogo perchè esse, rispondendo direttamente alle popolazioni rappresentate, sono i motori del consenso (o del dissenso) culturale e politico ad ogni iniziativa. In secondo luogo, perché solo le Autorità Locali potranno calibrare i progetti e gli interventi sulla base della profonda conoscenza del territorio: quella riguardante i nodi critici e le priorità, e quella degli strumenti culturali-tecnologici-economici realmente disponibili sul loro territorio. In terzo luogo perché è solo localmente che si potrà monitorare e controllare in corso d’opera la efficacia dei progetti adottati sia a livello generale (ad esempio le decisioni sul global warming), sia quelli relativi a interventi locali o settoriali. Il lavoro svolto in tale direzione da AGENDA21 è stato fino ad oggi estremamente debole. Questo fatto non può passare sotto silenzio. Si impone la necessità di una riflessione sui motivi del mancato ruolo propulsivo, anche culturale, delle autorità locali. La riflessione dovrà essere fatta a tutto campo perché, al di là di possibili errori particolari, può sorgere il dubbio che sia lo stesso impianto generale ad essere stato mal posto. Rio è nata per attuare una politica mondiale e si è data due organismi attuativi coerenti con i suoi obiettivi principali: l’UNFCCC che interviene sul globale, e Agenda21 che rappresenta la politica operativa per affrontare il “locale”. Apparentemente sembra una giusta impostazione ma la questione è più complessa. Il rapporto tra globale e locale non è un rapporto gerarchico o di complementarietà; può anche essere teatro di conflitti poiché l’intervento locale ha altri soggetti di riferimento, altri fini e altri tempi di attuazione rispetto a quelli delle iniziative di carattere globale. Il dibattito tra particolare e generale non è nuovo nel pensiero e nell’agire umano; spesso esso è stato risolto con le filosofie di “annessione” funzionale, a seconda del prevalere dell’uno o dell’altro. In realtà la contraddizione è dialettica, non ha ricette risolutive ma solo equilibri dinamici che debbono essere, con attenzione ed equilibrio, ricercati tempo per tempo e luogo per luogo. Una riflessione e un dubbio: la 18 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Riflessioni e dubbi debolezza di AGENDA 21 potrebbe essere strutturale, connessa a tale tipo di contraddizioni? Ci si può chiedere se AGENDA 21 debba essere un semplice strumento di Rio o al contrario che debba trasformarsi in soggetto autonomo, policentrico, pensante e deliberante, anche se ovviamente in rapporto con il tutto? 2.3. Riflessioni sui tempi di attuazione del protocollo di Kyoto Le politiche avviate a Kyoto nel 1997 sono certamente da perseguirsi con la massima fermezza anche se non si possono nascondere le difficoltà che tuttora ostano alla sua applicazione. Dopo l’ultimo rinvio al 2020 sancito a Doha è necessario prendere in considerazione la questione dei tempi politici della sua effettiva applicazione a regime che, in ottimistica previsione, sono almeno di qualche decennio. A questi tempi dovranno aggiungersi quelli riguardanti i tempi di residenza dei gas in atmosfera, e quelli delle reazione del sistema climatico al taglio delle emissioni. Detto in modo più semplice: quanto tempo ci vorrà perché gli auspicati tagli delle emissioni possano fermare o diminuire l’attuale tendenza al riscaldamento e i connessi mutamenti climatici? Anche se le conoscenze scientifiche attuali non possono fornire certezze, è molto probabile che per numerosi decenni il Pianeta dovrà convivere con l’attuale tendenza al riscaldamento; è certamente irrealistico pensare il contrario. Nelle previsioni non si può, d’altro canto, neppure trascurare a priori l’ipotesi drammatica di un fallimento degli accordi (o quella di una sua edulcorata versione), che aggraverebbe la situazione in modo assolutamente imprevedibile. In entrambi i casi il riscaldamento sarà la condizione reale con la quale convivere per lungo tempo. Di ciò si deve prender atto e agire di conseguenza. Diviene impellente verificare quali cambiamenti climatici siano sostenibili per gli assetti umani attuali; individuare i punti di maggior criticità e debolezza e attuare progetti di riadattamento alle possibili o probabili mutate condizioni. Certamente non si possono affrontare i prossimi decenni senza fare nulla in attesa dei benefici delle soluzioni globali. Occorrono quindi in parallelo due distinte politiche, quella globale e quella locale, ciascuna con i suoi soggetti e con i suoi tempi che sono, per la prima i tempi del domani, e per la seconda quelli dell’oggi. 2.4. Riflessioni sui cambiamenti umani A Stoccolma e a Rio il presupposto implicito per la politica dello “sviluppo sostenibile” era quello di un assetto umano sostanzialmente stabile che doveva confrontarsi con le modificazioni negative dell’ambiente prodotte dalle attività antropiche. Questo presupposto appare fortemente indebolito perché nei quarant’anni trascorsi da Stoccolma (e i venticinque dal IPCC), sono accaduti numerosi fatti importanti che hanno cambiato lo scenario del Mondo “umano”: delocalizzazione e diffusione delle industrie manifatturiere su tutto il Pianeta; industrializzazione dell’agricoltura, della zootecnia, della itticoltura, utilizzo di biotecnologie per la produzione vegetale e animale; crescita delle popolazioni, dei consumi e delle dinamiche migratorie; accelerazione e intensificazione dei processi di urbanizzazione, dell’abbandono delle campagne e della diffusione di megalopoli su tutti i continenti; globalizzazione dei mercati finanziari e relativo condizionamento, o appannamento, delle autonomie nazionali. Questi accadimenti, nel loro insieme, si sono sviluppati non come un “progetto unitario”, ma piuttosto come la somma di processi spontanei e settoriali le cui retroazioni hanno prodotto un 19 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Riflessioni e dubbi sistema “umano” globalizzato, paradossalmente più complesso, largamente imprevedibile e nettamente diverso da quello di quaranta anni fa. Due sono gli aspetti rilevanti che possono impattare con le politiche ambientali comunitarie: il primo è di carattere prettamente politico, il secondo riguarda le rapide modificazioni ambientali prodotte dalla accelerazione dei processi di industrializzazione e di urbanizzazione di estese aree del Pianeta. Gli aspetti politici Le Convenzioni comunitarie adottate sono il risultato di una lunga e difficile trattativa politica tra gli Stati guidata dai principi di democrazia e condivisione enunciati a Stoccolma. Tutte le Convenzioni adottate, firmate a pieno titolo dagli Stati aderenti, saranno ovviamente rispettate, ma in un sistema economico-finanziario globalizzato i singoli Stati avranno ancora piena sovranità oppure sorgeranno nuovi e non ben definiti decisori politici che senza negoziati potranno influire direttamente o indirettamente anche sulle politiche ambientali? E infine, le strutture decisionali di Rio avranno ancora piena legittimità e autorevolezza? Gli aspetti ambientali La gigantesca e rapidissima crescita e diffusione del sistema industriale mondiale ha introdotto rapidissime modificazioni sull’assetto sociale e sull’ambiente naturale di intere regioni del globo. Si pensi alla Cina, all’India e ai segnali che giungono dall’Africa Centrale. Ovviamente gli effetti hanno aspetti sia positivi sia negativi, ma ciò che più preoccupa è la rapidità e la imprevedibilità con la quale essi si manifestano. Per fare un esempio: gli accordi di Kyoto del ’97 sono ancora sufficienti o non sarebbe invece opportuna una loro rivisitazione, negli obiettivi e nei tempi, alla luce di quanto accaduto negli ultimi vent’anni? Le politiche ambientali, gli organismi decisionali e le strutture operative adottate nel passato sono ancora totalmente valide nel mutato quadro dell’assetto umano o, al contrario, dovrebbero ricalibrarsi e ridefinirsi nel nuovo contesto mondiale? 2.5. Stabilità climatica e rapporto uomo-ambiente La strategia di Stoccolma era centrata su qualsiasi cambiamento dell’ambiente e degli insediamenti umani, che da soli o congiuntamente potessero alterare gli equilibri preesistenti. Lo sviluppo sostenibile, lanciato a Stoccolma e confermato a Rio, era teso alla difesa dell’ambiente e ad uno sviluppo degli insediamenti umani che garantisse sia il presente sia il futuro delle nuove generazioni. Tale strategia, con Rio e con l’UNFCCC, è in parte cambiata perché nei fatti sono state prese in considerazione quasi esclusivamente le crisi provocate dalle modificazioni ambientali prodotte dalle attività antropiche, e tra queste assunse un ruolo prevalente il ruolo delle emissioni dei gas serra e del riscaldamento globale. Le soluzioni adottate, coerenti con tale lettura, furono indirizzate alla riduzione delle emissioni dei gas in atmosfera. Ciò è certamente giusto, e va fortemente riconfermato, ma il quadro generale è più complesso. Vi sono numerose e anche drammatiche crisi che sono prodotte direttamente dalle variazioni degli insediamenti umani, anche in assenza di cambiamenti climatici o di modificazioni ambientali. Un esempio può chiarire meglio tale concetto: le esondazioni dei corsi d’acqua, e in particolare quelle recenti e passate di Genova. Genova è attraversata da due principali corsi d’acqua, il Bisagno e il Polcevera, che sono alimentati dai bacini imbriferi delle colline che circondano la città e che sfociano ad una distanza di pochi 20 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Riflessioni e dubbi chilometri l’uno dall’altro. Il Bisagno è teatro di “frequenti” disastrose esondazioni (anche con vittime umane), il Polcevera no. È ragionevole pensare che entrambi i fiumi siano stati investiti dallo stesso evento di precipitazioni intense; ed è anche ragionevole pensare che le risposte nelle aree all’intorno dei due fiumi siano state diverse per le differenti tipologie degli insediamenti e non per cause ambientali esterne che, nel caso riportato, erano le stesse per entrambe le aree. Si aggiunga il fatto che precipitazioni di tale intensità erano già accadute e che esse possono essere classificate come eventi rari, ma non come effetti dovuti a cambiamenti climatici. L’episodio può essere catalogato come evento dannoso prodotto direttamente dall’uomo sull’uomo, senza la intermediazione di variazioni nell’ambiente naturale. Negli ultimi anni gli episodi simili sono cresciuti ovunque per numero e per gravità. Territori che per lunghissimi periodi hanno vissuto in equilibrio con i loro fiumi sono adesso coinvolti in frequenti e drammatiche crisi, non tanto e non solo perché il clima cambia, ma perchè i cambiamenti degli insediamenti hanno introdotto rigidità, fragilità e vulnerabilità su territori antropizzati che prima invece potevano sostenere anche gli eventi rari con relativa tranquillità. Con questo esempio si vogliono sottolineare alcuni concetti essenziali. Per primo la distinzione tra un evento “naturale” e i danni o le “catastrofi” da esso prodotte. Piogge di intensità eccezionali, periodi di prolungata siccità, terremoti, maremoti, tifoni, ecc… sono eventi ben noti che possono sempre accadere. Essi si trasformano in catastrofi, solo quando investono territori che non sono attrezzati per sostenerli. Le cause delle crisi sono quindi da ricercarsi non solamente sugli eventi eccezionali o sui possibili cambiamenti ambientali ma anche sulle modificazioni e sulle rigidità degli insediamenti umani. Ciò può apparire un’affermazione banale perché tutte le politiche ONU pongono la centralità del rapporto uomo-ambiente. Salvo che i due soggetti del rapporto sono trattati in modo diverso. L’ambiente “naturale” è tema dominante, oggetto di sterminate ricerche scientifiche. Non altrettanto accade per gli insedianti umani le cui conoscenze sono spesso limitate alla loro capacità di danneggiare l’ambiente e non anche alla loro fisiologia, alla loro patologia, alla loro fragilità, alle loro dinamiche evolutive e al loro essere di per sé causa di possibile rottura degli equilibri. Il sistema antropico è entrato in una fase di mutamenti accelerati e di discontinuità e non può più essere considerato come una condizione al contorno più o meno stabile; esso stesso deve essere considerato come una variabile indipendente, le cui dinamiche evolutive dovrebbero entrare a pieno titolo negli approfondimenti conoscitivi e nelle strategie di intervento. Nasce una riflessione. Se si vuole analizzare il rapporto uomo-ambiente come è possibile trascurare la conoscenza del sistema umano? Non sarebbe forse necessario che l’IPCC aggiungesse un nuovo capitolo ai suoi compiti storici: quello della raccolta delle informazioni sul Human System Changes? Reintrodurre anche sul piano conoscitivo tali temi è questione importante perché significherebbe rafforzare la strategia dello sviluppo sostenibile enunciato a Stoccolma e confermato a Rio, con la consapevolezza che lo sviluppo deve essere sostenibile non solo con l’ambiente naturale, ma anche con i sistemi umani esistenti e futuri. 2.6. Riflessioni sui tempi e sulle tecnologie La filosofia di Rio, nella sua concreta evoluzione, ha prodotto una prassi che presenta alcuni aspetti di semplificazione e di tecnicismo non del tutto giustificabili. Tale prassi parte dalla presa d’atto delle variazioni ambientali e della crisi uomo-ambiente, e arriva alla ricerca e definizione di soluzioni possibili sia mitigative sia adattive. 21 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Riflessioni e dubbi La convinzione sottesa è che la crisi ambientale sia stata prodotta da errori fatti dall’uomo e che quindi, dall’uomo possa essere corretta e superata. La seconda convinzione è che le soluzioni siano sempre possibili, sia sul piano economico-politico, con l’adozione della concertazione tra gli stati, sia sul piano operativo, con le competenze scientifiche e tecnologiche disponibili. La terza convinzione è che i progetti correttivi, una volta definiti, siano non solo realizzabili, ma anche immediatamente efficaci. Questa prassi si attua in quattro mosse: si prende atto di un difetto, se ne ricerca la causa, si trova una soluzione e quindi la si applica. È una prassi che certamente è valida per una macchina; è una soluzione tecnologica ad un problema tecnologico, che quasi sempre viene risolto positivamente. Ma l’ambiente non è un problema tecnologico. Le modificazioni ambientali, che si sono sviluppate nell’arco di due secoli prima di giungere all’attuale fase di crisi, sono state prodotte da una molteplicità di cause, naturali e umane, spesso difficili da identificarsi specie nella fase iniziale. I fenomeni negativi non si presentano quasi mai uno alla volta, ma più spesso assieme, intrecciati tra loro e ciascuno di essi quasi sempre è prodotto da più cause, non da una sola. Gli effetti, positivi o negativi, si materializzano con cadenze temporali che dovranno essere messe nel conto, perché il tempo dell’una andrà a incidere sui tempi dell’altra e quindi anche sui tempi di reazione dell’intero sistema. I problemi non potranno essere risolti uno alla volta, ma assieme in una visione unitaria, di sistema. Alcuni degli effetti negativi potranno essere mitigati o annullati nell’arco di pochi anni o decenni, altri invece avranno tempi lunghi, di numerosi decenni. Si dovrà infine prendere coscienza che qualsiasi soluzione tecnologica non sarà mai definitiva, perché la sua efficacia cambierà con i tempi di risposta del sistema. La convinzione che nel breve volgere di alcuni anni possano essere corretti gli errori di duecento anni non è del tutto ragionevole, perché sottende la assunzione, frettolosa e non giustificata, che i problemi ambientali possano sempre essere identificati e affrontati, o risolti, nei tempi rapidi e sicuri della tecnologia. Ciò non significa negare la validità della tecnologia, è proprio il contrario, perché occorrerà sempre più tecnologia, a patto che essa sia utilizzata come strumento e non come soluzione dei problemi. 2.7. Riflessioni sulla cultura ambientale e sulle scienze umane e naturali Lo stato dell’ambiente e il suo rapporto con l’uomo non è mai il risultato diretto tra una causa e un effetto, ma è dovuto a molteplici cause, naturali e non, ciascuna delle quali produce a sua volta infiniti effetti con dinamiche proprie indipendenti ma concorrenti tra loro. L’ambiente naturale e quello antropizzato non possono quindi essere descritti con il rassicurante approccio deterministico: la loro comprensione è possibile solo con una cultura sistemica che sappia aggiornare la conoscenza dei due sottosistemi di riferimento, il fisico e l’umano, e contemporaneamente, sappia descriverne i meccanismi di relazione. Il tutto in un quadro evolutivo continuo nel quale le relazioni tra le parti debbono essere inquadrate anche sotto l’aspetto temporale perché ciascuno dei fattori ha proprio orologio interno, e perché i loro effetti si intrecciano in modo asincrono. La lunga serie di attività umane che hanno portato alla attuale crisi ambientale è stata riconosciuta come tale solo oggi: nel passato ogni azione dello sviluppo umano veniva considerata positivamente, come una conquista. Numerose attività umane si sono tuttavia palesate come errori quando si comprese che singole azioni, inizialmente quasi insignificanti e nei tempi brevi positive, sommate nel tempo e interagendo tra loro avevano prodotto cambiamenti rilevanti, spesso negativi o addirittura drammatici. 22 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Riflessioni e dubbi Sin dagli inizi si ebbe la consapevolezza che i problemi del rapporto uomo-ambiente erano enormi, che il ruolo della conoscenza era decisivo, e che le risorse culturali disponibili fossero limitate e insufficienti. È per questo che, in sede ONU, si lanciarono ripetuti appelli al mondo della cultura perché fossero colmate lacune e ritardi. Tali appelli tuttavia appaiono viziati da un grave limite: implicitamente essi furono indirizzati alla comunità scientifica trascurando la cultura che nasce dal lavoro, quello delle imprese manifatturiere e delle strutture pubbliche preposte alla gestione dell’ambiente. La cultura del lavoro non può essere relegata al ruolo di fornitrice di soluzioni tecnologiche: è nel processo del “fare” che le conoscenze si traducono in comportamenti e oggetti reali, ed è in tale passaggio che si valutano criticamente i risultati, sorgono domande impreviste e si aprono nuovi orizzonti del sapere. Tale cultura non può essere ignorata perché rappresenta il cuore dello sviluppo sostenibile. Gli appelli, prontamente accolti dalla comunità scientifica, hanno evidenziato una seconda fragilità: essi erano basati sulla aprioristica convinzione che le risorse culturali disponibili fossero infinite e rinnovabili e, comunque, sempre sufficienti e pronte a risolvere qualunque situazione. Ma lo sono davvero? Nel passato la comunità scientifica, ha sempre saputo trovare soluzioni ai problemi che il mondo di volta in volta poneva, ma quelli di oggi sono profondamente cambiati. Si è passati da domande settoriali relative alla conoscenza di sistemi semplici (o semplificati), a domande di carattere relazionale, in sistemi complessi. Alle prime, il mondo della cultura nel complesso ha sempre saputo rispondere, ma per le seconde non appare altrettanto attrezzato per affrontarle. Una riflessione sullo stato del sistema conoscitivo potrebbe essere opportuno per comprendere se al suo interno esistano le potenzialità atte a rispondere in modo positivo e fruttuoso alle domande che il rapporto uomo-ambiente pone. Negli ultimi due secoli la lunga e prodigiosa avanzata dei saperi e delle scoperte hanno fondato le scienze moderne: fisica, chimica, matematiche, biologia, fisiologia, geologia, scienze naturali, idrologia , meteorologia , scienze umane, economia, sociologia. Nel corso del tempo. le ricerche si sono focalizzate verso gli approfondimenti delle conoscenze di ciascun settore, e verso le loro applicazione tecnologiche. Ciascun settore ha sviluppato un suo proprio linguaggio sempre più specialistico e raffinato sviluppandosi per linee verticali attraverso lo strumento delle discipline. Ciò ha portato a grandi conquiste non solo sul piano conoscitivo ma anche sul piano sociale. Se oggi possono vivere sette miliardi di persone lo si deve anche a questa scienza e alle discipline e tecnologie che da essa sono nate. Le discipline tuttavia, pur essendo uno strumento indispensabile, introducono un elemento di debolezza: il loro linguaggi sono divenuti sempre meno comunicabili e confrontabile tra loro. Si pensi a come e quanto comunichino tra loro i fisici con i naturalisti, oppure i climatologi con i geologi, oppure i sociologi con gli economisti, oppure ancora, i cultori delle scienze umane con quelli delle scienze naturali. I linguaggi e i confini delle discipline sono divenuti barriere insormontabili per la conoscenza dei mondi che esistono al di fuori dei loro singoli sistemi di riferimento, ma le loro estraneità rispetto al tutto anziché essere vissute come un limite e una debolezza paradossalmente ha rafforzano l’isolamento. L’ambiente antropizzato ha messo a nudo questa contraddizione. Le singole discipline, nell’affrontare la complessità del rapporto uomo-ambiente, hanno preso consapevolezza della loro limitatezza e hanno cercato di superarla. 23 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Riflessioni e dubbi La più alta espressione del tentativo di arrivare a sintesi più soddisfacenti è stata la messa in campo di ricerche multi/interdisciplinari, “matematizzando” i fenomeni, e utilizzando gli strumenti della moderna modellistica. È certo stato, ed è, un passo in avanti ma si presenta una stridente contraddizione perché i modelli sono “matematici” e “quantitativi” nella loro impostazione ed elaborazione, ma sono qualitativi nelle loro conclusioni. Detto in modo grossolano, mangiano numeri “veri” e producono scenari “possibili”. La somma e la giustapposizione delle culture particolari non appare sufficiente a descrivere il sistema nella sua evoluzione e interezza. Si fa strada la necessità di ribaltare il problema: anziché partire dalle parti per arrivare alla descrizione del sistema, si deve partire dal “tutto” cioè dall’ accurata definizione del sistema, per poi individuare le parti che lo compongono e le loro relazioni. Occorrerà quindi superare l’approccio disciplinare del particolare (senza ovviamente cancellare le discipline) e andare a sintesi con una cultura “meticcia” rispetto alle “identità” disciplinari, ma coerente con il sistema che vuole conoscere. Una cultura che non esiste ancora e che tuttavia dovrà essere costruita se si vorrà realmente affrontare il futuro del Pianeta. Un’ultima riflessione sugli appelli al mondo della cultura accademica, cioè agli uomini e alle strutture che la producono. Il sistema produttivo, la “fabbrica” dove si costruiscono conoscenza e cultura, basato principalmente su università e centri di ricerca, appare viziato da una consistente rigidità culturale perché riproduce se stesso seguendo la filosofia delle discipline con un coerente sistema del reclutamento dei nuovi ricercatori. Il sistema ha certamente un’intrinseca e vivace dinamica testimoniata dal sorgere di nuove discipline, ma è improbabile e raro che le culture di relazione entrino a pieno titolo nelle strutture dove la ricerca viene prodotta. Nel complesso la filosofia dominante è disciplinare e settoriale ed è ostile agli approcci olistici: il “tutto”, di per sé in conoscibile, è dichiarato astratto. D’altro canto non si può sottacere l’attuale debolezza degli approcci olistici, che appaiono più come dichiarazioni di principio che come paradigmi capaci di aumentare significativamente le conoscenze. Si deve prendere atto che le conoscenze acquisite non sono sufficienti e che quelle necessarie non esistono ancora. Gli appelli alla cultura cadono quindi in un quadro di debolezza del pensiero nel quale non basta la buona volontà. I saperi attuali sono il risultato di un lungo processo, spesso anche conflittuale al suo interno, che ha impiegato quasi due secoli per divenire autorevole, per poi imboccare, almeno in parte, la strada, talvolta sterile, dell’ autoreferenzialità. Occorrerà un profondo rinnovamento e si dovrà avere la consapevolezza che la costruzione di una cultura ambientale sarà un processo lungo, non semplice e neppure indolore. Si dovranno analizzare le resistenze al nuovo perché ve ne sono anche nel campo culturale. I saperi non si costruiscono a comando. Gli appelli, anche se non esplicitamente, sono in realtà due, e ben distinti: uno guarda al futuro e l’altro al presente. Se gli appelli sottendono la richiesta di nuovi orizzonti dei saperi, dovranno essere accettati come un investimento per il futuro e come un invito a navigare in mare aperto, per avviare un nuovo percorso conoscitivo. Se gli appelli sottendono la richiesta di strumenti conoscitivi pronti per l’uso, dovranno essere accolti, perché le risposte, anche se parziali e valide solo nei tempi brevi, potranno comunque essere utili. 24 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Riflessioni e dubbi Si dovrà rispondere a entrambi perché il “fare” ha bisogno del “sapere”. Sul rapporto fare-sapere si dovrà però tenere presente una contraddizione che nasce dal fatto che i tempi del decidere e i tempi del sapere sono differenti. I tempi del sapere sono lunghi e imprevedibili. I tempi del decidere sono brevi, dettati dalle urgenze delle crisi da affrontare e non possono attendere di conoscere tutto ciò che è necessario. Le decisioni dovranno essere prese comunque, anche in condizioni di “ignoranza”, con soluzioni non “giuste” in assoluto ma “ragionevoli”. Il ruolo della cultura sarà proficuo se essa sarà capace, con saggezza, di “accudire”, nel rispetto dei ruoli i processi decisionali suggerendo, nel quadro di ciò che si sa e di ciò che ancora non si sa, le soluzioni migliori e possibili per l’immediato e, nello stesso tempo, per spostare in avanti le conoscenze. 25 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Un tentativo di sintesi 3. Un tentativo di sintesi Nei capitoli precedenti sono stati trattati diversi argomenti, forse all’apparenza disomogenei, ma legati da un preciso filo conduttore: l’analisi critica dello stato dei saperi e la ricerca di un percorso virtuoso e possibile per la loro crescita. Per quanto riguarda l’analisi critica è possibile individuare alcuni nodi principali. Questi nodi sono riepilogati e sintetizzati nel presente capitolo. Per quanto riguarda la crescita dei saperi, è possibile delineare una proposta culturale. Tale proposta, che costituisce il cuore del presente documento, viene presentata nei capitoli successivi. Il primo nodo: riscaldamento globale, cambiamenti climatici, rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile. Che i quattro termini siano intimamente connessi è cosa ovvia. Così come dovrebbe essere ovvio che essi siano ben distinti e che non debbano essere confusi tra loro. Sui primi due. I cambiamenti climatici legati al riscaldamento globale, e i loro possibili effetti catastrofici per gli attuali assetti della biosfera (della quale l’antroposfera è una parte), della idrosfera e della geosfera hanno giustamente posto come priorità interventi che si oppongano al riscaldamento in atto, o quanto meno che siano in grado di mitigarlo, intervenendo sulle cause che lo hanno prodotto. Tale strategia si basa sull’assunto che le azioni dovranno intervenire sulle cause antropiche, non certo su quelle naturali. Anche se non vi sono certezze assolute, i rischi di possibili evoluzioni catastrofiche per tutto il Pianeta inducono ad adottare con fermezza il principio di precauzione. Sui secondi due. Lo “sviluppo sostenibile” è indirizzato alla ricerca di equilibri uomo-ambiente soddisfacenti per il presente e per il futuro. Gli equilibri sono di per sé dinamici perché sono il portato delle modificazioni e delle interazioni che continuamente occorrono in ciascuno dei fattori: la variazione anche di uno solo di essi produce modificazioni degli equilibri preesistenti con meccanismi di retroazione la cui complessità riguarda non solo la natura dei cambiamenti ma anche i tempi nei quali essi si manifestano. Va sottolineato che disequilibri possono sorgere anche in assenza di cambiamenti globali del clima atmosferico: si pensi ad esempio alle modificazioni ambientali prodotte direttamente dalla crescita quantitativa e qualitativa dell’insediamento umano sul Pianeta. Va aggiunto infine che lo “sviluppo sostenibile” si concretizza e si definisce essenzialmente a scala locale e per un tempo determinato e finito. Riassumendo. Gli interventi su clima e riscaldamento sono finalizzati a mantenere o ripristinare lo status quo ante. La strategia seguita, tipicamente conservativa, è anche in parte deterministica perché si basa sull’assunto che intervenendo sulle cause del fenomeno si otterranno gli effetti desiderati. Per il successo di tale strategia sarà decisivo il ruolo delle tecnologie e delle discipline. Gli interventi su sviluppo sostenibile e rapporto uomo–ambiente, invece, non sono finalizzati alla difesa di un status pre-esistente. Essi partono dalla presa d’atto dei cambiamenti e delle possibili rotture degli equilibri per cercarne di nuovi e conducono pertanto ad adottare strategie tipicamente dinamiche. 26 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Un tentativo di sintesi Si dovrà quindi operare congiuntamente su tutti i fronti, quello conservativo e quello evolutivo, quello globale e quello locale senza però confonderli tra loro perché ciascuno ha specificità peculiari sia nei paradigmi conoscitivi sia nei paradigmi operativi. Il secondo nodo: le risorse culturali Per quanto riguarda il riscaldamento globale il sistema conoscitivo e i paradigmi interpretativi appaiono nel loro insieme ben definiti. Certamente essi dovranno essere affinati e potenziati, ma i loro cardini sono ben saldi. I modelli di circolazione dell’atmosfera e degli oceani, gli studi sulla radiazione solare, sul paleo-clima e sui gas serra di origine naturale e antropica hanno prodotto un’imponente quantità di dati affidabili. Gli approfondimenti sia scientifici sia tecnologici sono in continua evoluzione. Su numerosi aspetti non vi è accordo tra le diverse scuole di pensiero, ma ciò è di stimolo, non di freno, per la ricerca. Al contrario, sul Sistema uomo-ambiente le risorse culturali non appaiono adeguate. Le scienze ambientali e umane hanno prodotto una grandissima quantità di informazioni puntuali in ciascuno dei sottosistemi ma sono ancora carenti nelle loro sintesi relazionale. Permangono ambiguità e imprecisioni sulle definizioni di clima, sistema climatico, cambiamenti climatici, globale-locale rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile. Mancano indicazioni precise su quali siano stati, e quali potranno essere, a livello di sistema, i cambiamenti più significativi e in quali direzioni si debba operare per elaborare e realizzare nuovi equilibri. Nelle pagine precedenti si è sottolineato che il deficit di paradigmi relazionali sia dovuto, almeno in parte, alla separatezza dei saperi e che quindi si dovrà operare nella direzione della loro ricomposizione. Il terzo nodo: i decisori politici Può apparire bizzarro inserire tale tema tra i nodi culturali come oggetto di ricerca, ma se si riflette sul fatto che tutte le elaborazioni e le conoscenze prodotte hanno come fine ultimo quello di essere trasmesse ai decisori politici si potrà comprendere come il tema centrale non sia la trasmissione dei saperi, ma quello del rapporto saperi-poteri. Se si aggiunge che in realtà i saperi non si trasmettono ma si conquistano con un lungo processo di apprendimento e di verifiche continue, si comprenderà che dietro l’espressione trasmissione delle conoscenze ai decisori politici c’è un mondo tutto da scoprire. I rapporti tra i saperi e i poteri possono essere sinergici, conflittuali oppure di reciproca ignoranza. In ogni caso il passo obbligato successivo alla trasmissione dei saperi è quello della scelta e delle decisioni. Cosa si fa in caso di conflitto? Il passaggio è delicato e complicato e non può essere ignorato nella sua pregnanza culturale. Le decisioni non sono l’ultima tappa: dovranno essere concretizzate, e seguite nel tempo da un continuo e attento controllo per valutarne validità ed efficacia. I decisori politici, non sono quindi dei semplici destinatari “fermo posta” ma, sperabilmente, compagni di viaggio attenti e stimolanti. Sorgono nuove domande. Chi sono i decisori politici, chi c’è dietro? Chi sono gli uomini e le strutture che dovranno concretizzare i saperi? Chi quelli che li dovranno controllare ed eventualmente modificare le decisioni prese? Quali sono i poteri reali di questi decisori nel quadro della globalizzazione? Quali le loro culture, e quelle delle strutture pubbliche operative? Queste domande non sono oziose: dovrebbero essere approfondite alla stessa stregua dei temi scientifici perché conoscere le strutture alle quali si inviano i saperi significa comprendere se quelle 27 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Un tentativo di sintesi esistenti siano adeguate ai loro nuovi compiti e, in caso contrario, come debbano essere modificate. Se i decisori politici non avranno a disposizione un livello culturale e tecnologico adeguato ai nuovi compiti, i saperi “trasmessi”, come spesso accade, invecchieranno tristemente in armadi polverosi. La cultura non può dichiararsi estranea a tali pericoli. 28 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Forum: “I Saperi nel rapporto uomo-ambiente” 4. Forum: “I Saperi nel rapporto uomo-ambiente” La separazione e l’incontro dei saperi Nei capitoli precedenti si è indicato che i punti deboli nella comprensione delle evoluzioni del sistema uomo-ambiente non sono le informazioni puntuali, ma la scarsa conoscenza delle loro mutue relazioni. Non è secondario sottolineare che all’interno del deficit conoscitivo sono affiorate divisioni culturali, che appaiono profonde, di antica data che spesso degenerano in litigi o, peggio, in afasia. Condurre all’incontro i saperi “separati in casa” potrà apparire utopico, ma non per questo potrà essere considerato superfluo. Da qui nasce la proposta di costruire un luogo nel quale le persone di pensiero e di azione possano incontrarsi, confrontarsi stabilmente e liberamente per avviare un percorso verso nuovi orizzonti culturali: il Forum su I Saperi nel rapporto uomo-ambiente. Istituire il Forum non sarà cosa facile Di seguito vengono presentati alcuni punti, di criticità e di forza, che andranno valutati non solo nel merito specifico, ma considerati anche come un tentativo di dare alla proposta concretezza e realismo. Il Forum coinvolgerà gli studiosi e gli operatori delle discipline naturali e di quelle umane, che dovranno mettere a confronto tutti i saperi che intervengono sia nei processi conoscitivi, sia in quelli decisionali sia in quelli operativi. Per fortuna non si parte da zero; il confronto in parte è già in atto, basti pensare alle innovazioni e le soluzioni tecnologiche prodotte negli ultimi anni sui temi dell’energia e delle reti di distribuzione oppure sul ciclo dei materiali e sulla gestione dei rifiuti. Tali innovazioni sono il portato dell’incontro tra culture tecnologiche, economiche e sociali che prima operavano separatamente o addirittura conflittualmente, e questo è un punto di forza. Tuttavia ciò non basta: il confronto non può essere affrontato solo in modo settoriale o estemporaneo, ma dovrà svilupparsi in continuità temporale. nella consapevolezza che occorreranno lucidità, pazienza e tempi lunghi per realizzarlo. Sarà dunque necessario un luogo “stabile” nel quale il confronto possa svilupparsi in totale libertà, guardando avanti, per sollecitare e contribuire a costruire un nuovo corso dei saperi. Si dovrà porre molta attenzione al rischio che il Forum divenga una specie di consesso di “autocoscienza scientifica” astratta e autoreferenziale: per questo dovrà esso dovrà svilupparsi a partire da casi concreti, in modo tale che i risultati del confronto non siano considerati giusti o sbagliati di per sé, ma valutati all’interno di uno scenario reale. Per evitare equivoci, appare opportuno precisare che il Forum dovrà configurarsi come contesto di riflessione culturale e non come soggetto politico-decisionale. Il Forum si candida a divenire il luogo dell’incontro dei saperi, ben sapendo che l’incontro non è soluzione, ma solo l’avvio di un processo. I protagonisti La prima ovvia risposta sarebbe quella di identificarli in coloro che operano e vivono nelle Università, nei Centri di Ricerca e nel Mondo del Lavoro, cioè nelle strutture dove si producono, si trasmettono e si concretizzano i saperi. È noto però che i cultori delle varie discipline di regola parlano e si confrontano solo al loro interno e che per lo più, e non sempre, si informano, più o meno distrattamente, sui risultati degli altri. Il 29 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Forum: “I Saperi nel rapporto uomo-ambiente” quotidiano moltiplicarsi di ricerche multi-interdisciplinari, se da un lato attesta la consapevolezza della insufficienza e della solitudine dei saperi particolari, dall’altro propone soluzioni deboli, quali quelle di scambiarsi reciprocamente i risultati che vengono in genere accolti acriticamente come verità assolute. L’incontro tra differenti discipline non può essere solo asettico scambio di risultati, ma deve divenire un vero confronto dal quale i protagonisti usciranno diversi e disponibili a modificare le proprie identità culturali. Può affiorare il timore che da tali considerazioni si auspichi la fine delle discipline e che ciascuno debba sapere tutto, che ciascuno diventi un “tuttologo”. È vero il contrario: le discipline hanno spinto i saperi a livelli impensabili solo pochi decenni fa ed è da esse che si deve partire. Ciò che si vuole affermare è che, così come sono, non bastano più e che debbono evolvere e allargare i confini entro i quali operano. Allargare i confini non significa annullarli per andare a un tutto generico e indifferenziato vuol dire riposizionarli ad un livello più ampio. Ma chi e cosa può invitare e indurre i protagonisti di esperienze profondamente differenti a incontrarsi, a confrontarsi e a mettere in discussione l’esclusività dei propri saperi. Le strutture, le “fabbriche” dove si producono le conoscenze possono far sorgere alcuni dubbi sulla loro possibile vocazione all’incontro. Prendiamo ad esempio le Università Italiane (anche se con qualche differenza, esse non differiscono molto da quelle di tutto il mondo). Le Università sono divise in Facoltà, Corsi di Laurea e in Dipartimenti il cui numero negli ultimi decenni è cresciuto in tutto il mondo in modo incontrollato. Per contro le loro finalità culturali si sono chiuse in orizzonti sempre più ridotti e settoriali o addirittura sono divenute ancillari rispetto al proliferare delle nuove professioni. Le singole strutture raramente si incontrano tra loro. La ricerca prodotta assume l’identità e gli orizzonti propri delle strutture nelle quali ricercatori, docenti e studenti sviluppano ed esauriscono il proprio percorso. Sorgono alcune domande. Quanti sono i docenti e gli studenti delle facoltà umanistiche che si incontrano con i loro omologhi di quelle scientifiche? Quanti sono i docenti e gli studenti di un Dipartimento o di un Corso di Laurea di una facoltà scientifica (ma lo stesso vale anche per le facoltà umanistiche) che sentono il bisogno di incontrarsi con i loro omologhi degli altri dipartimenti o di corsi di laurea che vivono nella stessa facoltà? Le domande suonano retoriche: le esperienze culturali dei docenti e degli studenti si esauriscono in cammini paralleli, senza incrociarsi mai. Le Università trattano e coltivano tutti i saperi universali, ma non sono strutturate per l’incontro e non usciranno volontariamente dai confini all’interno dei quali hanno costruito i loro saperi, e con essi anche i loro “poteri”. Quanto detto per le Università e i centri di ricerca vale in larga parte anche per le strutture del Mondo del Lavoro, dei settori produttivi e delle strutture pubbliche e gestionali. Si ripropone la stessa domanda: cosa può indurre le strutture accademiche a confrontarsi e mettere in discussione l’esclusività dei propri saperi? La risposta è l’apertura di un luogo nel quale i saperi consolidati possano accrescersi, modificarsi, contaminarsi e conquistare nuovi spazi e identità. Chi può lanciare e proporre l’incontro? Chi può invitare e indurre i protagonisti di esperienze culturali e scientifiche profondamente differenti a incontrarsi e confrontarsi? L’invito dovrà venire da una struttura che rappresenti tanto la Comunità Scientifica quanto il Mondo del Lavoro, e che, per sua natura, sia disponibile e aperta a ogni sensibilità. Che abbia autorevolezza e prestigio, ma che non abbia vocazioni di egemonia o di potere, ma solo quella 30 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Forum: “I Saperi nel rapporto uomo-ambiente” della ospitalità e del rispetto. Ed è qui che entra in gioco il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano. Il Museo raccoglie, custodisce e diffonde le testimonianze del pensiero e degli oggetti del passato e del presente: per ciò stesso, la sua essenza è di accoglienza delle diverse culture che si sono succedute nel tempo. Accoglienza che non guarda solo indietro ma che si apre al futuro, alle nuove frontiere del sapere e del fare. Nella sua natura “esclusione” è una parola che non ha diritto di cittadinanza, ed è per questo che il Museo può essere la Casa nella quale ogni persona di pensiero e di azione potrà trovare ospitalità e incontrare, in totale libertà, i pensieri altri con i quali condividere esperienze e disegnare i possibili scenari del futuro. Si aggiunga infine che il Museo è non solo autorevole, ma anche solido nelle sue strutture “materiali” e dinamico nelle sue risorse culturali: per questo potrà promuovere a pieno titolo il Forum ed essere il luogo di accoglienza per le persone di pensiero. Che cosa può indurre all’incontro? L’incontro dovrà svilupparsi sia sul piano teorico-epistemoligico sia su quello pragmatico dello studio di un determinato Sistema reale. Il “Forum” non può essere costruito a tavolino. Nessun progetto, anche se “perfetto” nei contenuti, farà strada se non avrà gambe sulle quali correre. Prima di lanciare il Forum sarà opportuno saggiare il terreno e prepararlo ad una fertile accoglienza. Occorrerà un progetto che sappia offrire stimoli, soddisfare curiosità, ridurre le zone grigie dei saperi e che permetta di cimentarsi sulle concrete frontiere della conoscenza. Un progetto che abbia in sé stimoli culturali, ma anche leggerezza e allegria nell’inseguirli. Che sia un po’ riflessione, un po’esperimento, un po’gioco. Un gioco preso a prestito dalla letteratura di fantascienza. Studiare il futuro già accaduto Si assuma come futuro già accaduto l’arco temporale che va dall’inizio dello scorso secolo ad oggi. Si scelga un luogo da utilizzarsi come palestra. Si raggruppino i sapienti di ciascuno dei settori e delle discipline che sono coinvolte nella conoscenza del Sistema climatico. Utilizzando la macchina del tempo essi siano spediti indietro di cento anni. I sapienti, nel loro viaggio nel passato, conserveranno tutti i loro attuali saperi e tutti gli strumenti conoscitivi ma perderanno la memoria del mondo che hanno temporaneamente lasciato. Alla fine del gioco i sapienti saranno restituiti al loro tempo e racconteranno ciò che hanno visto e fatto. Il gioco prevede tre mosse. La prima: che i sapienti descrivano accuratamente con i moderni paradigmi lo stato e le dinamiche principali del sistema climatico nel quale sono piombati. La seconda: che elaborino gli scenari predittivi del futuro dal quale sono partiti, ma che hanno dimenticato. La terza: che confrontino il loro modelli predittivi con i dati reali del futuro già accaduto. Questo gioco potrebbe divenire una palestra e luogo d’incontro complice e amichevole. 31 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Un punto di partenza: “Studiare il futuro già accaduto” 5. Un punto di partenza: “Studiare il futuro già accaduto” Il progetto è innanzitutto una sperimentazione culturale. Si tratta di una proposta esplorativa per capire, se dall’incontro dei saperi si potranno ottenere effettivamente risultati positivi e stimolanti e per avere un riscontro circa l’interesse della comunità scientifica. Sondare questi aspetti sarà un modo per capire se la proposta del Forum avrà, o no, le gambe per divenire reale. I principali lineamenti del progetto Obiettivi specifici del progetto a. Descrizione e definizione del Clima e del Sistema Climatico di un dato luogo in due o più periodi successivi; b. analisi dei meccanismi evolutivi; c. analisi dei sistemi di relazione; d. individuazione degli indicatori dominanti; e. descrizione dei cambiamenti del Clima e del Sistema Climatico; f. modelli predittivi a scala locale; g. significato e descrizione degli equilibri uomo-ambiente; h. esempi di nuovi possibili equilibri; i. significato ed esempi di sviluppo sostenibile; j. evoluzione dell'assetto legislativo, normativo e istituzionale. Scelta del luogo Il criterio da seguire: che sia sufficientemente grande e articolato da essere significativo, ma nello stesso tempo che sia abbastanza circoscritto , in modo da essere affrontabile senza insormontabili difficoltà. Una buona soluzione potrebbe essere di scegliere due sistemi distinti: il Bacino del Po e la Sicilia, perché essendo molto differenti tra loro potrebbero essere significativi anche per verificare possibili diverse risposte nei meccanismi evolutivi. Scelta dei periodi Come detto in precedenza il periodo scelto per la sperimentazione è quello che va dall’inizio del secolo scorso ad oggi. La scelta è motivata dal fatto che in questo periodo si sono verificati in tempi rapidissimi, mutamenti di grande rilievo sia nell’ambiente naturale sia in quello umano. All’interno del periodo considerato si potranno individuare periodi più brevi le cui caratteristiche potranno fornire indicazioni più puntuali sulle dinamiche evolutive. Si aggiunga che le modificazioni nell’atmosfera, nella biosfera, nell’idrosfera, nella geosfera e nella antroposfera, avvengono con tempi differenti e con marcate asincronie. Tutto ciò complica la scelta dei periodi: ogni sottosistema dovrà quindi scegliere le proprie periodizzazioni più significative. Il difficile compito della sintesi evolutiva dovrà tenere conto delle relazioni temporali tra i vari sottoinsiemi. Un esempio per iniziare: le periodizzazioni del Clima meteorologico Si assuma come fattore dominante il riscaldamento globale. 32 di 34 Rapporto uomo o-ambiente e svviluppo sostenib bile Riflessioni per una proposta culturale Un punto o di partenza: “SStudiare il futurro già accaduto”” La figura (NOAA_Lan nd.svg.png) riporta l’aandamento del riscalda amento gloobale degli ultimi 120 0 anni. ( nera) tre segmen nti che iden ntificano unn periodo A di crescita a Nella figura sono statti tracciati (riga perature abb bastanza co onsistente, sseguito da un periodo B di cresciita quasi nu ulla, ed uno o delle temp C nel quale e si ha una crescita de elle temperaature con grradiente ma aggiore risppetto al periiodo A. Si è trascurata la parte in niziale fino all’inizio deel Novecen nto perché questo perriodo potrebbe essere e influenzato o dalla chiussura della Piccola P Età G Glaciale (PE EG). Questi tre t periodi ppotrebbero essere una a buona basse per la sperimentazione anchee perché po otrebbero mettere m in relazione le e variazionii locali con q quelle globa ali. Assume endo questaa periodizza azione il periodo A (1 1900-1940 0) potrebbe e essere assunto come base di rife erimento peer i periodi B (1940-1 1980) e C (1980-2010) che ne e rappresentterebbero il futuro. Articolaziione della sperimenttazione Assumendo o come ba ase le periodizzazioni del clima meteorolo ogico i tre passi principali della a sperimenta azione potre ebbero esse ere: ei tre period di (periodo o A 1900-1940, periodo B 19 940-1980, periodo C 1. In ciascuno de 80-2010) e dei due luoghi presccelti (Bacin no del Po e Sicilia) ssi dovranno o acquisire i 198 datti necessari alla definizzione dei S Sistemi Clim matici. Ciò significa s racccogliere ed d elaborare e tuttte le necesssarie inform mazioni esiistenti: i da ati meteoro ologici (com mprese le te emperature e loca ali da confrontarsi con quelle glob bali), e i dati su idrosfe era (il ciclo dell’acqua, fumi, laghii e ffalde acquifere) , bio osfera (natturale e del d sistema agro-alim mentare), antroposfera a (urbanizzazion ne e industrrializzazionee, flussi migratori inte erni ed esteerni, crisi economiche,, erre, epidem mie, e litosfe era (processsi evolutivi del territorio, criosferaa, dissesti). La raccolta a gue 33 di 34 Rapporto uomo-ambiente e sviluppo sostenibile Riflessioni per una proposta culturale Un punto di partenza: “Studiare il futuro già accaduto” e l’elaborazione dei dati dovrebbe portare ad una prima definizione analitica dei Sistemi Climatici e alla indicazione dei fattori caratterizzanti e dominanti di ciascuno di essi. 2. Il passo successivo dovrà essere quello di analizzare le differenze occorse nei diversi periodi in ciascuno dei sottoinsiemi del Sistema, il che consentirebbe di definire con minore ambiguità i cambiamenti climatici occorsi nel secolo scorso ed anche di approfondire le conoscenze sulle loro possibili cause. 3. Sui modelli predittivi. Si ammetta che i dati abbiano consentito la definizione analitica dei sistemi climatici dei periodi A, B e C indicati in precedenza, e si assuma il Periodo A come periodo di riferimento. Potrebbe essere pensata una sperimentazione di modellistica predittiva a base locale, nella quale i dati del periodo A siano i dati di ingresso dai quali partire per modellare gli scenari prevedibili per i successivi periodi B e C ? Se ciò fosse possibile, non sarebbe una cosa di poco conto, perché i risultati dei modelli potrebbero essere confrontati e validati dai dati “ reali” raccolti nei periodi successivi B e C . Anche se i luoghi e i periodi proposti sono piccola cosa rispetto al Mondo, la sperimentazione, potrebbe assumere un ruolo di spinta per la definizione di paradigmi più efficaci per la conoscenza dei processi evolutivi del Sistema Climatico. Per ultimo, ma non meno importante, il gioco potrebbe dare concretezza all’incontro tra le diverse culture. I protagonisti della sperimentazione La sperimentazione parte dalla ri-analisi delle informazioni raccolte e conservate da numerose enti e organizzazioni e da una moltitudine di tecnici che con il loro lavoro e le loro sensibilità hanno accumulato un patrimonio enorme di conoscenza. Questo patrimonio è decisivo e sarà a pieno titolo protagonista assieme a quello del mondo della scienza e della tecnologia. La compresenza di scienziati, tecnologi e tecnici, di differenti e molteplici discipline e settori, costituirà l’ossatura della sperimentazione che diverrà, nel concreto del lavoro, il luogo dell’incontro e della contaminazione dei saperi. Maggio 2014 34 di 34