Liceo Scientifico “Alfredo Oriani”, via C. Battisti n°2,
I.T.I.S. “Nullo Baldini”, via Marconi n°2,
48100 Ravenna
Premio Cesare Bonacini
Anno Scolastico 2009-2010
Elettricità e magnetismo: esperimenti e misure su analogie, diversità,
intreccio tra due facce della stessa medaglia.
2° Premio
Per la proficua collaborazione tra ordini di scuole diversi
nello studio sperimentale e teorico dei fenomeni osservati.
Studenti partecipanti
Giulio Gueltrini
Jacopo Mangiapane
Silvia Belardi
Laura Capponi
Matteo Gardella
Marco Mazzavillani
Beatrice Moncada
Marco Turicchi
Federico Berti
Andrea Menichetti
III B P.N.I
III B P.N.I
V B P.N.I
V B P.N.I
V B P.N.I
V B P.N.I
V B P.N.I
V B P.N.I
V A E.T.
V A E.T.
Docenti
Prof.ssa Lucia Mazzola,
Prof. Gianfranco Tigani Sava,
Liceo Scientifico “Alfredo Oriani”;
Liceo Scientifico “Alfredo Oriani”;
Liceo Scientifico “Alfredo Oriani”;
Liceo Scientifico “Alfredo Oriani”;
Liceo Scientifico “Alfredo Oriani”;
Liceo Scientifico “Alfredo Oriani”;
Liceo Scientifico “Alfredo Oriani”;
Liceo Scientifico “Alfredo Oriani”;
I.T.I.S. “Nullo Baldini”;
I.T.I.S. “Nullo Baldini”.
Liceo Scientifico “Alfredo Oriani”
I.T.I.S. “Nullo Baldini”
1
Relazione docenti
Abbiamo deciso di far collaborare al progetto due scuole con diverso indirizzo di studio per un
motivo molto semplice: in questo modo, secondo noi, sarebbe stato possibile realizzare una
perfetta complementarietà tra gli studenti.
Infatti i ragazzi, provenendo da Istituti con obiettivi formativi diversi, sono abituati ad avere un
approccio metodologico differente: gli studenti dell’Istituto Tecnico Industriale hanno le capacità e
le competenze per progettare e costruire i dispositivi indispensabili per effettuare misure e raccolta
dati, utilizzando un ottimo approccio pratico sperimentale. Viceversa, gli alunni del Liceo Scientifico
hanno una preparazione teorica adeguata per indagare e approfondire il fenomeno fisico e, in
particolar modo, per analizzare e interpretare i dati empirici raccolti.
L’entusiasmo manifestato dai ragazzi nel momento in cui abbiamo espresso la nostra idea ci ha
incoraggiati a proseguire.
La fase iniziale, dopo la scelta concordata del percorso da seguire e alcune lezioni frontali svolte
dai docenti, si è basata sulla ricerca, sulla valutazione e lettura delle fonti.
Le difficoltà incontrate nella progettazione e realizzazione dei prototipi sono state ampiamente
illustrate nella relazione. Molti problemi sono stati superati o addirittura evitati grazie ai consigli dei
tecnici delle nostre scuole o di persone che, per passione, da anni sperimentano nel campo delle
alte tensioni e alte frequenze.
La fase centrale del lavoro è stata la più entusiasmante: i prototipi hanno funzionato e hanno
permesso agli studenti di raccogliere con soddisfazione i dati necessari per la discussione del
fenomeno osservato. Si sono ipotizzati eventuali miglioramenti dell’apparato sperimentale ma i
tempi ristretti e gli innumerevoli impegni degli studenti e dei docenti non hanno consentito la loro
realizzazione.
Come docenti sentiamo il dovere di sottolineare una stimolante esperienza, nuova nella nostra
carriera, che ha unito i ragazzi, favorendo un reciproco e proficuo scambio di competenze nonché
e la loro capacità di lavorare in gruppo e in sintonia al fine di raggiungere il risultato sperato.
Inoltre gli studenti hanno avuto modo di misurarsi personalmente con le difficoltà della ricerca
scientifica e di percepire i propri limiti in relazione ad essa.
Prof.ssa Lucia Mazzola
Introduzione
Nell’ambito dello studio dell’elettromagnetismo abbiamo esaminato le tappe storiche che hanno condotto
dalle prime osservazioni e dalle prime interpretazioni dei fenomeni elettrici e magnetici allo sviluppo pieno e
completo dell’elettromagnetismo come teoria scientifica.
L’aspetto del tema che abbiamo deciso di indagare è l’armonioso e complesso intreccio fra elettricità e
magnetismo.
Nikola Tesla scriveva: “Di tutte le forme dell’energia della natura incommensurabile che tutto pervade e che
perennemente cambia e muta, così come un’anima rende vivo l’universo inerte, l’elettricità e il magnetismo
sono forse le più affascinanti. L’effetto gravitazionale, quello sonoro e quello luminoso li osserviamo
quotidianamente, e presto ci diventeranno abituali, perdendo così quel carattere di meraviglia e stupore;
tuttavia l’elettricità e il magnetismo, con le loro singolari relazioni, con le loro caratteristiche di dualità, uniche
tra le forze in natura, con i loro fenomeni di attrazione, di repulsione, di rotazione, con le loro strane
manifestazione dovute ad agenti misteriosi, stimolano ed eccitano la mente alla riflessione ed alla ricerca.”
La scoperta fatta nel 1820 dello stretto rapporto fra elettricità e magnetismo fu molto stimolante: fino ad
allora i due argomenti erano stati considerati come del tutto indipendenti. La prima scoperta fu che le correnti
circolanti nei fili producono campi magnetici; più tardi, nello stesso anno, si scoprì che i fili che portano
corrente, posti in un campo magnetico, subiscono delle forze.
Una delle cose che suscitano interesse ogni volta che si manifesta una forza meccanica è la possibilità di
usarla in una macchina per ricavare lavoro. Quasi immediatamente dopo queste scoperte si cominciarono a
2
progettare motori elettrici, sfruttando le forze che agiscono su fili percorsi da corrente. La stessa idea si può
adoperare per costruire un sensibile strumento per misure elettriche; per questo motivo dal momento in cui
la legge di forza fu scoperta, la precisione delle misure elettriche si accrebbe grandemente.
Quando ci si rese conto che le correnti elettriche producono campi magnetici, fu subito suggerito che, in un
modo o nell’altro i magneti potessero produrre anche dei campi elettrici. Varie esperienze furono tentate. Per
esempio, due fili venivano messi paralleli l’uno all’altro e si inviava corrente in uno di essi nella speranza di
trovare una corrente nell’altro. L’idea era che il campo magnetico potesse in qualche modo trascinare gli
elettroni nel secondo filo, fornendo una qualche legge del genere: “simili preferiscono muoversi in modo
simile”. Con le più forti correnti disponibili e i galvanometri più sensibili per rivelare un’eventuale corrente il
risultato fu negativo. Similmente, grossi magneti posti vicino a dei fili non produssero effetti osservabili.
Finalmente Faraday scoprì nel 1831 la caratteristica essenziale che non era stata capita e cioè che gli effetti
elettrici esistono solo quando c’è qualcosa che cambia. Se la corrente varia in uno dei fili di una coppia, una
corrente viene indotta nell’altro; oppure se un magnete viene spostato vicino a un circuito elettrico, c’è una
corrente in questo. La corrente che compare in questi esperimenti viene detta corrente indotta ed è generata
da una forza elettromotrice indotta. Questo fu l’effetto di induzione scoperto da Faraday. Esso trasformò
l’argomento piuttosto noioso dei campi statici in un argomento dinamico e molto stimolante, con un’immensa
gamma di fenomeni meravigliosi.
Ulteriori esperimenti dimostrarono che ciò che conta è il moto relativo del magnete rispetto al circuito. La
causa della f.e.m. indotta è il magnete in moto o la corrente che varia. Come dimostrato dagli esperimenti di
Faraday, e come la tecnica di Faraday delle linee di forza ci aiuta ad intuire, è la variazione del numero di
linee del campo magnetico che attraversano un circuito ad indurre una forza elettromotrice nel circuito
stesso. In particolare è il rapporto temporale di tale variazione a determinare le caratteristiche della f.e.m.
indotta.
In termini di flusso del campo magnetico, la f.e.m. indotta in un circuito è data dalla legge di induzione di
Faraday: il valore assoluto della f.e.m. indotta in un circuito è uguale al rapporto temporale della variazione
di flusso magnetico attraverso il circuito.
dΦ B
In termini matematici, la legge di Faraday si scrive: f =
dove f indica la
dt
f.e.m. indotta.
Si noti che sebbene questa equazione sia nota come legge di Faraday, non fu scritta in questa forma da
Faraday che non aveva molta dimestichezza con la matematica. E’ stupefacente sapere che il lavoro
sull’elettromagnetismo pubblicato da Faraday in tre volumi, una pietra miliare nello sviluppo della fisica e
della chimica, non contiene una sola equazione.
In realtà Faraday riassunse così i risultati dei suoi esperimenti: un circuito, ossia una catena chiusa di
conduttori, è sede di una corrente indotta ogni volta che una linea di forza magnetica, muovendosi rispetto
ad esso, ne attraversa il contorno; tale “attraversamento” si verifica:
- quando il campo è costante e il circuito, o parte di esso, è in moto rispetto al campo;
- quando il circuito è in quiete e il campo varia nel tempo.
Questa formulazione, che chiameremo legge di Faraday, lasciò sconcertati i vari “addetti ai lavori” del suo
tempo, per i quali il campo non era che un’espressione matematica e le linee di forza niente di più che una
comoda rappresentazione grafica in grado di dare con immediatezza un’idea della direzione e del verso
della forza nei vari punti dello spazio. In altre parole, secondo Newton, come secondo Coulomb e Ampère,
nulla “esisteva” nello spazio vuoto che circonda le masse, le cariche o le correnti: pertanto parlare di “moto di
una linea di forza rispetto ad un circuito” equivaleva a confondere la realtà fisica (costituita da masse,
cariche, correnti, ecc.) con la rappresentazione di questa realtà.
Faraday, tuttavia, non era un “addetto ai lavori”, ma un geniale autodidatta, che poco o nulla sapeva della
fisica che si insegnava allora nelle scuole e il cui metodo, per usare le parole di Maxwell, “consisteva in un
costante ricorso all’esperimento per verificare la validità delle sue idee ed in una costante coltivazione delle
idee sotto la diretta influenza dell’esperimento”. Egli giunse così, in totale autonomia, a sviluppare una
concezione del tutto nuova dei fenomeni elettromagnetici. Secondo Faraday la realtà fisica non è costituita
dalle cariche o dalle correnti, ma dal campo che le circonda; pertanto il moto di un circuito rispetto ad un
magnete va in realtà inteso come il moto del circuito rispetto al campo; a causa di questo moto le linee di
forza tagliano continuamente il contorno del circuito e l’effetto misurabile è la corrente indotta.
Da Faraday in poi la teoria elettromagnetica, nota come teoria di “azione a distanza”, assumerà sempre più il
carattere di una teoria di “campo”.
Nel 1855 Maxwell iniziò ad occuparsi di elettromagnetismo. In tre articoli scritti tra il 1855 ed il 1864, Maxwell
fonda la teoria del campo elettromagnetico. Utilizzando i contributi di diversi settori della ricerca fisica e
matematica, arriva a delineare la teoria dei campi elettromagnetici, in cui i fenomeni magnetici, elettrici e
ottici vengono unificati.
Maxwell crede nell’esistenza di analogie fisiche tra le leggi relative ad un certo settore fenomenologico e
quelle relative ad un altro, una somiglianza che permette di utilizzare le leggi del primo settore come
illustrazione di quelle del secondo e viceversa.
3
La prima memoria sull’elettromagnetismo, “On Faraday’s Lines of Force”, fu pubblicata nel 1855 e si poneva
in diretta continuità con i concetti proposti dal grande fisico sperimentale. “Il mio progetto – scrive Maxwell –
è limitato a mostrare come, per mezzo di una stretta applicazione delle idee e dei metodi di Faraday, sia
presentabile con chiarezza, a una mente matematica, la connessione tra ordini fenomenici tra loro diversi
che Faraday ha scoperto”. La chiarificazione matematica della nozione di linea di forza però doveva
considerare non solo la direzione delle forze, ma anche la loro intensità. A questo scopo sembrava
opportuno sostituire il modello geometrico di Faraday costituito da un intreccio di linee curve, con un modello
materiale costituito da tubi sottili di sezione variabile percorsi da un liquido incomprimibile. Un modello di
questo tipo, lungi dall’essere un tentativo di investigare la natura dell’elettricità, voleva in realtà solamente
indicare la possibilità di applicare ai fenomeni elettrici le leggi matematiche dell’idrodinamica, che in
quell’epoca avevano già raggiunto un elevato livello di formalizzazione.
Sei anni dopo, un secondo lavoro, “On Physical Lines of Force”, proponeva invece un vero modello
meccanico che doveva essere un’ipotesi fisica plausibile per interpretare le linee di forza.
Il modello si rivelò fruttuoso, perché già in questo scritto Maxwell poteva introdurre i concetti che svilupperà
nelle opere successive; e tuttavia venne presto abbandonato, man mano che si faceva più chiaro l’impatto
matematico di un’azione che non si esercitava più a distanza ma attraverso un mezzo continuo.
Elabora quindi una nuova teoria. Un cambiamento di posizione di una carica elettrica si ripercuote sulle altre
dopo un certo intervallo di tempo. In altre parole, l’“informazione” che una carica si è spostata “arriva” alle
altre cariche dopo un certo tempo, non in maniera istantanea.
“Qualcosa” è partito dalla carica che si è mossa e, viaggiando nello spazio, ha raggiunto dopo un certo
tempo le altre cariche.
Questo “qualcosa” è il campo elettromagnetico che, attraverso le onde elettromagnetiche, si è propagato
nello spazio e ha raggiunto le altre cariche. Il campo elettromagnetico è quindi qualcosa di fisico, reale. È
una nuova entità da aggiungere ai punti materiali, nella descrizione della natura.
Questa è la grande novità nella teoria di Maxwell ed assente nella meccanica classica, dove invece i punti
materiali interagiscono fra loro in modo istantaneo.
Nel 1864, davanti alla Royal Society, Maxwell leggeva la sua memoria fondamentale, “A Dynamical Theory
of the Electromagnetic Field”, dove erano compiutamente esposti il concetto di corrente di spostamento, la
teoria elettromagnetica della luce e le equazioni generali del campo elettromagnetico. Qui si rinunciava a
ricorrere a modelli particolareggiati, limitandosi a ipotizzare l’esistenza di un mezzo, l’etere, dotato di
proprietà meccaniche come l’elasticità e l’essere sede di energia. Maxwell scriveva: “Ho preferito cercare
una spiegazione dei fenomeni elettrici e magnetici supponendo che essi siano prodotti da azioni che
avvengono nel mezzo circostante oltre che nei corpi eccitati, sforzandomi di spiegare l’azione tra corpi
distanti senza assumere l’esistenza di forze capaci di agire direttamente a notevole distanza. La teoria che
propongo può quindi essere chiamata una teoria del campo elettromagnetico, perché ha a che fare con lo
spazio nelle vicinanze dei corpi elettrici o magnetici, e può essere chiamata una teoria dinamica in quanto
assume che in quello spazio vi sia della materia in movimento dalla quale vengono prodotti i fenomeni
elettromagnetici osservati”.
Il campo elettromagnetico agisce quindi sia nei corpi, sia nello spazio in cui sono immersi. Questo campo fu
inizialmente descritto tramite venti equazioni, ma Maxwell le rielaborò fino a definire le quattro equazioni
dell’elettrodinamica classica.
Tanto la vita privata di Maxwell trascorse nella banalità del quotidiano tanto fu rivoluzionario il suo contributo
nel mondo della fisica. La sua teoria del campo elettromagnetico è una delle più belle teorie. Sintetizza in
quattro semplici e simmetriche equazioni tutte le leggi che governano i fenomeni elettrici e magnetici,
includendo anche l’ottica. Maxwell, usufruendo del lavoro di Faraday, diede una veste matematica
appropriata alle idee del fisico sperimentale inglese; fondamentale fu l’introduzione del concetto di campo,
ente fisico che Faraday aveva già intuito, avendo visualizzato le linee di forza, lavorando su campi elettrici e
magnetici in numerosi esperimenti. Il concetto di campo è divenuto essenziale per tutta la fisica teorica
successiva. Esso sostituisce l’idea “discreta” di forze e particelle, la cosiddetta “azione a distanza” con il
modello di un ente fisico che si propaga nello spazio e nel tempo in modo continuo.
Nel 1873, infine, videro la luce i due volumi del “Treatise of Electricity and Magnetism” che, se pure non
aggiungevano nuove scoperte rispetto alle precedenti memorie, rappresentano una sistematica e
approfondita trattazione di tutta la fisica dell’elettricità, nei suoi aspetti sperimentali e teorici.
Nel “Treatise” la questione dei modelli veniva apertamente accantonata per l’impossibilità di determinare un
meccanismo unico che esprimesse le varie relazioni quantitative. Questo rifiuto del ricorso a modelli fisici
materiali è probabilmente all’origine della diffidenza con cui fu inizialmente accolta quest’opera, che, nella
sua complessa elaborazione matematica, rischiava di apparire eccessivamente astratta.
La teoria di Maxwell si affermò completamente solo quando, qualche anno dopo la morte dello scienziato
britannico, ricevette la conferma sperimentale da parte di Heinrich Hertz. Cominciò inoltre da allora a
diffondersi la convinzione che non fosse opportuno cercare ulteriori contenuti meccanici oltre quelli
matematici.
4
Richard Feynman scrive: “Non c’è alcun dubbio che, considerando retrospettivamente la storia del genere
umano, ad esempio fra diecimila anni da oggi, la scoperta di Maxwell delle leggi dell’elettrodinamica sarà
considerato l’evento più significativo del diciannovesimo secolo”.
Le equazioni di Maxwell costituiscono uno dei momenti più alti della fisica classica. Maxwell realizza con
esse una mirabile sintesi teorica di decenni di ricerche e di scoperte, confrontabile solamente con i principi
della dinamica e la sintesi realizzata da Newton tra fisica terrestre e fisica celeste. Maxwell è considerato
quindi a ragione uno dei fisici teorici più geniali della storia.
Riassumiamo le equazioni ed elenchiamo gli esperimenti determinanti che hanno portato alla formulazione
di ciascuna di esse:
q
1a legge: Legge di Gauss per l’elettricità Φ E =
: Il flusso del campo elettrico uscente da una
ε0
superficie chiusa è uguale alla carica elettrica
contenuta all’interno della superficie divisa per la costante dielettrica ε0.
Esperimento decisivo:
Cariche omologhe si respingono e cariche opposte si attraggono, in misure inversamente proporzionali al
quadrato della distanza;
La carica in un conduttore isolato si distribuisce sulla sua superficie esterna.
2a legge: Legge di Gauss per il magnetismo Φ B = 0
Il flusso del campo magnetico uscente da una superficie chiusa è sempre nullo.
Esperimento decisivo:
Le linee di campo magnetico formano cammini chiusi; non abbiamo prove che esistano i monopoli
magnetici.
dΦ
B
3a legge: Legge d’induzione di Faraday ΓE = −
dt
La circuitazione di un campo elettrico
lungo una linea chiusa è uguale al rapporto, cambiato di segno, tra la variazione dΦB del flusso del campo
magnetico concatenato con il percorso considerato e l’intervallo di tempo infinitesimo dt in cui avviene la
variazione.
Esperimento decisivo:
Un magnete, sospinto in una spira conduttrice, vi induce una corrente.
La legge di Faraday può essere enunciata dicendo che un flusso magnetico variabile attraverso la superficie
delimitata da un circuito elettrico produce un campo elettrico indotto sui punti del circuito, la cui circuitazione
soddisfa l’equazione suddetta.
La presenza del segno meno traduce analiticamente la legge Lenz. Possiamo esprimere la legge di Faraday
in una forma più generale: ogni variazione di flusso di un campo magnetico in una regione dello spazio
produce infatti in quella regione dello spazio un campo elettrico indotto che esiste indipendentemente dalla
presenza di un circuito. Quest’ultimo è solo un dispositivo idoneo alla rivelazione del campo elettrico: in esso
il campo indotto produce l’effetto di mettere in circolazione una corrente. La circuitazione del campo elettrico
indotto è ora calcolata lungo una linea geometrica chiusa e non più lungo un circuito conduttore.
dΦ
E
4a legge: Legge di Ampère – Maxwell ΓB = µ 0 (i + ε 0
)
dt
La circuitazione del campo magnetico
lungo una linea chiusa è uguale al prodotto della permeabilità magnetica del vuoto µ0 per la somma della
corrente di conduzione e della corrente di spostamento che attraversano una qualunque superficie avente
come contorno la linea considerata. Nel termine
ε0
dΦ E
dt
che esprime la corrente di spostamento, dΦE è la variazione del flusso del campo elettrico che avviene
nell’intervallo di tempo infinitesimo dt attraverso la superficie prescelta.
Esperimento decisivo:
Una corrente genera un campo magnetico in vicinanza del filo da essa percorso;
La velocità della luce si può esprimere in funzione di sole grandezze elettromagnetiche.
dΦ E
Avendo sempre pensato alla corrente elettrica come ad un flusso di cariche l’idea di assimilare ε 0
dt
ad una corrente può apparire sconcertante. A prima vista l’ipotesi di Maxwell sembra un artificio matematico ma un’analisi più approfondita mette il luce il significato fisico di questa ipotesi. Maxwell
affermò che la corrente di spostamento produce un effetto magnetico al pari della corrente dovuta al
movimento delle cariche.
5
Per completare la descrizione delle interazioni elettromagnetiche, in particolare per descrivere l’azione dei
campi elettrici e magnetici su una particella carica in moto, bisogna aggiungere ancora una quinta
equazione, l’equazione di Lorentz:
F = q(E+vxB)
Questa espressione rappresenta, per cosi dire, l’anello di congiunzione fra l’elettricità e la meccanica in
quanto introducendola nelle equazioni della dinamica ci permette di calcolare la traiettoria che una carica
puntiforme percorre quando si muove in un campo elettrico e magnetico sovrapposti ed eventualmente
variabili.
E’ interessante scrivere esplicitamente le equazioni di Maxwell in due casi particolari molto importanti:
- quando i campi elettrici e magnetici presenti sono costanti (caso statico);
- quando non sono presenti né cariche né circuiti percorsi da correnti.
Le equazioni di Maxwell nel caso statico
Il campo elettrico statico e il campo magnetico statico (generati rispettivamente da cariche in quiete e da
correnti costanti) sono descritti nel vuoto dalle equazioni:
(1)
q
ΦE =
ε0
ΦB = 0
ΓB = µ 0i
ΓE = 0
che rappresentano rispettivamente, il teorema di Gauss per l’elettrostatica, la conservatività del campo
elettrostatico, il principio di inseparabilità dei poli magnetici, la legge circuitale di Ampére (e cioè che le
sorgenti del campo magnetico sono le correnti).
Nel caso statico, non vi sono relazioni tra il campo elettrico e quello magnetico, infatti come si vede, le due
equazioni che contengono le grandezze elettriche non contengono le grandezze magnetiche, e viceversa.
Le equazioni di Maxwell in assenza di cariche e di correnti
Consideriamo una regione di spazio priva di cariche e correnti. Se poniamo q=0 e i=0 nelle equazioni di
Maxwell, otteniamo:
,
ΓB = µ0ε 0
dΦ E
dt
ΦE = 0
ΓE = −
dΦ B
dt
ΦB = 0
,
(2)
Nel caso in cui non siano presenti né cariche né circuiti percorsi da correnti, la simmetria tra le quattro
equazioni è ancora più evidente:
- le leggi di Gauss per i due campi sono identiche;
- le leggi di Faraday e di Ampère-Maxwell, che stabiliscono le relazioni tra i due campi sono quasi
completamente simmetriche.
Il fatto che un campo magnetico variabile produca un campo elettrico era già noto prima di Maxwell. Si
pensava però che, se un campo magnetico diminuiva bruscamente da un certo valore a zero, altrettanto
dovesse fare il campo elettrico, cioè che l’effetto dell’induzione elettromagnetica si esaurisse in un piccolo
intervallo di tempo. Il fatto nuovo previsto da Maxwell è la propagazione nello spazio del campo elettrico e
del campo magnetico. Da una brusca variazione di un campo elettrico o magnetico ha dunque origine la
propagazione di un impulso elettromagnetico così come da un rapido spostamento di un’estremità di una
molla ha origine un impulso elastico che si propaga lungo tutta la molla. La configurazione dei campi non è
immobile ma viaggia nello spazio, in modo che i valori che il campo elettrico e il campo magnetico assumono
in un punto in un dato istante si ritrovano, dopo un certo intervallo di tempo, in un punto lontano. Se si
produce in un punto una variazione che dura nel tempo, eventualmente periodica, di un campo elettrico o
magnetico si origina la propagazione di un onda elettromagnetica.
I campi non possono fare a meno di perpetuare sé stessi. Supponiamo che dovesse sparire il campo
magnetico: ci sarebbe un campo magnetico variabile che produrrebbe un campo elettrico, se questo campo
elettrico cercasse di svanire, tale campo elettrico variabile ricreerebbe da capo un campo magnetico. Così
per mezzo di un perpetuo influsso reciproco - guizzando dall’uno all’altro e viceversa - essi devono
continuare per sempre: per loro sparire è impossibile (anche se non del tutto, essi possono essere “assorbiti”
se capitano in delle regioni dove ci sono delle cariche; con questo si vuol dire che possono prodursi in
qualche altra parte degli altri campi che sovrapponendosi ai primi li sopprimono per interferenza distruttiva ).
Essi si perpetuano attraverso una sorta di danza, l’uno producendo l’altro, il secondo producendo il primo,
mentre si propagano attraverso lo spazio.
Da questa situazione scaturisce l’analisi successiva, che porterà a una nuova e feconda scoperta: le onde
elettromagnetiche.
Maxwell, trovò, sulla base dei suoi calcoli, che la velocità con cui tali onde elettromagnetiche si propagano
nel vuoto deve essere uguale al reciproco della radice quadrata del prodotto ε0µ0 che compare nella quarta
delle (2). Ricavare la velocità della luce da considerazioni puramente elettromagnetiche è il massimo
risultato che corona la teoria di Maxwell sull’elettromagnetismo. Maxwell fece questa predizione prima che si
conoscessero le onde radio e prima di capire che la luce è di natura elettromagnetica. La sua predizione
6
portò al concetto di spettro elettromagnetico e alla scoperta delle onde radio da parte di Hertz nel 1888.
Essa permise di includere l’ottica come una branca dell’elettromagnetismo e permise di ricavare le sue leggi
fondamentali dalle equazioni di Maxwell. Questo risultato rappresentava la conseguenza più importante di
tutta la sua teoria. Maxwell aveva compiuto una delle grandi unificazioni della fisica. Prima del suo tempo
c’era la luce e c’erano elettricità e magnetismo. Questi ultimi due campi erano stati unificati dal lavoro
sperimentale di Faraday, Oersted e Ampère. Ed ecco che improvvisamente la luce non era più
“qualcos’altro” ma era soltanto elettricità e magnetismo in questa nuova forma: pezzettini di campi elettrici e
magnetici che si propagano nello spazio per proprio conto.
Feynman scrive: “Per capire il campo elettromagnetico occorre un livello d’immaginazione molto più elevato
che per capire degli angeli invisibili. Come mai? Perché per rendere comprensibili degli angeli invisibili, tutto
quello che devo fare è alterare un pochino le loro proprietà: li rendo leggermente visibili e allora posso
vedere la forma delle loro ali, dei loro corpi e delle loro aureole. Una volta che sono riuscito a immaginare un
angelo visibile, l’astrazione richiesta – che è quella di partire da angeli quasi invisibili e immaginarseli
completamente invisibili - è relativamente facile. Uno di voi potrebbe chiedermi:“professore, per piacere, mi
dia una descrizione approssimativa, magari un po’ inesatta, delle onde elettromagnetiche in modo che possa
vederle almeno altrettanto bene quanto gli angeli quasi invisibili. Modificherò poi queste immagini per
aggiungere la necessaria astrazione”. Mi dispiace di non poter fare questo per voi. Non saprei come farlo,
non possiedo alcuna immagine del campo elettromagnetico che sia precisa in alcun senso. Il campo
elettromagnetico lo conosco da lungo tempo: 25 anni fa ero nella stessa situazione in cui voi vi trovate ora,
sicché ho avuto 25 anni di esperienza in più per pensare a queste onde serpentine. Quando prendo a
descrivere il campo magnetico che si muove nello spazio e parlo dei campi E e B e accenno con le braccia
ad un moto ondulatorio, potete anche pensare che li vedo. Ciò che vedo ve lo dico subito: vedo vagamente
una sorta di linee indistinte ondulanti; qua e là portano scritto in qualche modo una E o una B e forse
qualcuna delle linee è munita di frecce: una freccia qui, una là, che scompaiono quando le guardo troppo
attentamente. Quando parlo dei campi che saettano attraverso lo spazio c’è in me una terribile confusione
tra i simboli che adopero per descrivere gli oggetti e gli oggetti stessi. Non posso davvero costruire
un’immagine che nemmeno si avvicini a somigliare alle vere onde. La nostra scienza pone
all’immaginazione delle esigenze straordinarie. Il grado di immaginazione che si richiede, è molto più spinto
che quello richiesto per alcune delle vecchie idee.”
Le onde elettromagnetiche trasportano energia e quantità di moto da un punto a un altro dello spazio
mediante i loro campi elettrici e magnetici oscillanti.
Quale configurazione di cariche e correnti elettriche ci aspettiamo che produca un’onda elettromagnetica? A
una carica elettrica a riposo è associato un certo andamento delle linee di forza del campo elettrico. A una
carica in moto a velocità costante, oltre alle linee di forza del campo elettrico, è associato un certo
andamento delle linee di forza del campo magnetico. Una volta che sia stata raggiunta una condizione
stazionaria, nello spazio esiste una densità di energia associata ai campi elettrici e magnetici, che tuttavia
rimane costante nel tempo. In questo caso nessun segnale, tranne gli effetti della sua presenza, viene
trasportato dalla carica; non vi è trasporto di energia e quantità di moto e non sussiste radiazione
elettromagnetica. Se invece si facesse oscillare una carica avanti e indietro, si potrebbero inviare segnali a
un amico distante che avesse un equipaggiamento necessario a rivelare variazioni dei campi elettrici e
magnetici. Con un codice prestabilito, si potrebbero inviare informazioni facendo oscillare la carica a una
certa frequenza o in una certa direzione. In questo caso sussiste una trasmissione di segnali per mezzo di
un’onda elettromagnetica. Per produrre quest’onda è necessario accelerare la carica. In poche parole,
cariche a riposo e cariche in moto a velocità costante non irraggiano, mentre cariche accelerate irraggiano.
In laboratorio, un modo semplice di generare un’onda elettromagnetica consiste nel far fluire una corrente in
modo variabile nel tempo. Si assume per semplicità che tale variazione nel tempo sia sinusoidale. Un
circuito che potrebbe essere utilizzato a questo scopo potrebbe essere costituito da un circuito oscillante
RLC, con un generatore esterno che rifornisce l’energia dissipata nel circuito o asportata dalla radiazione. Il
circuito oscillante è accoppiato attraverso un trasformatore a una linea di trasmissione, che serve a portare
la corrente a un’antenna. La geometria dell’antenna determina le proprietà geometriche dei campi elettrici e
magnetici irradiati. Le cariche fluiscono avanti e indietro nei due conduttori rettilinei di cui può considerarsi
costituita l’antenna. Si può considerare l’antenna come un dipolo elettrico oscillante, in cui su un ramo si
trova una carica istantanea q, mentre sull’altro ramo si trova la carica istantanea –q. Le cariche sono
inevitabilmente accelerate dato che si muovono avanti e indietro nell’antenna e come risultato l’antenna è
una sorgente di radiazione. In ogni punto dello spazio circostante si instaurano campi elettrici e magnetici
che variano nel tempo.
Nel 1888 Hertz confermò sperimentalmente le equazioni di Maxwell con un generatore di onde
elettromagnetiche rilevabili a distanza. Ciò permise qualche anno dopo a Guglielmo Marconi di evolvere
l’apparato di Hertz realizzando la prima trasmissione radio a distanza. Ma quando si conduce una ricerca
bibliografica sul tema della trasmissione di energia senza fili si finisce sistematicamente, e doverosamente,
col ritrovare il grande fisico, inventore ed ingegnere serbo Nikola Tesla. Tesla è conosciuto soprattutto per il
7
suo rivoluzionario lavoro e i suoi numerosi contributi nel campo dell’elettromagnetismo tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
Tra le sue molteplici creazioni vi è anche la bobina di Tesla, un trasformatore risonante con avvolgimenti
sintonizzati in aria per produrre altissime tensioni ad alta frequenza. Egli realizzò diverse versioni di queste
bobine sempre più potenti sino alla costruzione della Wardenclyffe Tower avvenuta nel 1903, una torre alta
60 metri sulle scogliere di Wardenclyffe, Long Island e contenente un’enorme bobina per la trasmissione di
energia senza fili a chilometri di distanza. Purtroppo il geniale scienziato non era un buon manager di sé
stesso e vari conflitti con i suoi finanziatori lo portarono allo smantellamento della torre ed alla successiva
morte in povertà.
La bobina di Tesla
Il circuito di una classica bobina di Tesla è semplice. Esso presenta solo cinque componenti fondamentali.
Un trasformatore elevatore convenzionale, con nucleo di ferro che eleva la tensione di linea. Questa
tensione carica un condensatore per alta tensione. Questa carica genera un potenziale che può vincere la
resistenza di un piccolo volume d’aria all’interno dello spinterogeno.
La scarica tra i due elettrodi dello spinterogeno è molto rapida e viene utilizzata per far oscillare
vigorosamente una bobina costituita da poche spire di spesso filo conduttore. La regolazione dello
spinterogeno, ovvero della distanza fra gli elettrodi, determina la rapidità di queste scariche. L’energia
elettrica, rimbalzando avanti e indietro tra il condensatore e la bobina del primario, origina una rapida
oscillazione di tipo elastico. Nella bobina primaria è contenuta un’altra bobina, secondaria, con centinaia di
spire che ha le proprie caratteristiche elettriche determinate in parte dalla lunghezza del sottile conduttore
avvolto. Il secondario è accoppiato induttivamente al primario e deve oscillare ad una particolare frequenza.
Il circuito primario deve essere quindi progettato per farlo oscillare alla medesima frequenza del secondario.
Facciamo un esempio meccanico. Immaginiamo di spingere un bambino su un’altalena. L’altalena
rappresenta il secondario, chi spinge l’altalena rappresenta il circuito primario. Una caratteristica delle
oscillazioni forzate è che l’ampiezza del moto diventa tanto maggiore quanto minore è la differenza fra la
frequenza propria dell’oscillatore e la frequenza della forza eccitatrice esterna. In particolare, se la forza
esterna presenta una frequenza prossima a quella propria del sistema, le vibrazioni aumentano
progressivamente di ampiezza e il sistema entra in risonanza.
Se la perturbazione forzante ha la “giusta” frequenza, anche una successione di piccoli impulsi, applicati con
opportuna periodicità a un corpo oscillante, può produrre oscillazioni di notevole ampiezza, come accade
quando un’altalena è spinta ad intervalli di tempo regolari in sincronismo con la sua frequenza propria. Se la
sincronizzazione è esatta l’altalena oscillerà sino ad altezze elevate e avremo raggiunto la risonanza. Così
avviene per la sincronizzazione o sintonizzazione della bobina di Tesla. L’artificio è di portare il primario ad
uno stato in cui la sincronizzazione sarà tale che, ogni volta che si verifica la scarica tra il condensatore e la
bobina si rafforzerà l’oscillazione del secondario esattamente all’istante finale della fine del ciclo. In questa
condizione di risonanza le oscillazioni possono giungere a valori elevatissimi. La frequenza del primario è
determinata dalla frequenza e dalla tensione della sorgente, dalla capacità del condensatore, dai parametri
dello spinterometro e dalle caratteristiche della bobina del primario, ma è anche determinata in parte dalla
lunghezza del suo avvolgimento. Ora quando tutti questi componenti del circuito primario sono sintonizzati
per lavorare in accordo con gli altri e la frequenza risultante del circuito è “giusta” per accoppiare il
8
secondario in un “modo ritmico compatibile”, il secondario è eccitato al massimo al suo punto estremo e può
sviluppare una tensione molto elevata. Mentre si generano le scariche l’energia elettrica è trasferita dalla
bobina all’area circostante come carica elettrica, colore, luce e suono.
La bobina di Tesla è dunque un trasformatore risonante che genera suggestive e spettacolari scariche
elettriche ed oggi è possibile ammirarla in tutta la sua efficacia nei musei della scienza e della tecnica o in
qualche laboratorio di fisica. Alcuni di questi Trasformatori di Tesla sono in grado di generare scintille lunghe
anche qualche metro. Per questo motivo sono ormai utilizzate, per esempio, per effetti cinematografici o
rappresentazioni teatrali oltre che da molti hobbisti sperimentatori.
Le scariche elettriche raggiungono tensioni di diverse centinaia di migliaia di volt ma in linea di massima non
sono pericolose per l’uomo perché si tratta di tensioni ad altissima frequenza e quindi le correnti indotte
circolano all’esterno del corpo umano e non al suo interno. Chi le ha sperimentate ha in genere avvertito
solo una sensazione di calore. Ma la raccomandazione che ci sentiamo di fare è comunque quella di non
sperimentare sul proprio corpo l’effetto di queste scariche e di mantenersi ad una certa distanza di sicurezza
dal trasformatore quando questo è in funzione.
In particolare è bene tenerlo lontano da qualunque apparecchiatura elettronica o elettrica, come per esempio
un PC e ovviamente anche da persone che portano un pace-maker.
Tesla sperimentò una grande varietà di bobine e le usò per condurre innovativi esperimenti sulla luce
elettrica, fluorescenza, raggi X, fenomeni di corrente alternata ad alta frequenza, trasmissione di segnali
elettrici e di energia elettrica senza fili. Una particolarità della sua bobina è per esempio quella di riuscire ad
accendere i tubi al neon senza che questi siano collegati ad alcun impianto elettrico: è infatti sufficiente
avvicinare il tubo alla bobina per vederlo accendersi in conseguenza dell’assorbimento dell’energia dell’onda
elettromagnetica da parte del gas, che diseccitandosi emette luce.
Questa invenzione di Tesla ci ha letteralmente affascinati, e abbiamo voluto, in un primo momento,
approfondire le nostre conoscenze sul trasformatore e sui sistemi oscillanti, e successivamente progettare e
costruire due prototipi.
Costruzione dei prototipi ed esperimento
OBIETTIVI:
Ci proponiamo:
•
di misurare la potenza elettrica (potenza efficace) che è possibile ottenere, a distanza, da un
Trasformatore di Tesla.
• di valutare la dipendenza della potenza elettrica dalla distanza dal Trasformatore di Tesla.
• di trovare la legge secondo cui la potenza elettrica misurata varia al variare della distanza d dalla
bobina.
MATERIALI:
trasformatore NST per insegne al neon da 4 KV
spinterometro, Spark Gap
9 condensatori da 0.1 µF in serie con isolamento da 1600 V
Condensatori, induttanze e resistenze per realizzare il filtro di protezione del trasformatore NST
filo di rame da 3 mm per i primari dei trasformatori
filo di rame da 0.28 mm per i secondari dei trasformatori
tubo PVC da 6 cm e da 12 cm per i secondari dei due trasformatori
misuratore di impedenze della Philips, modello PM 6303
oscillatore con NE555 amplificato a MOS
antenna
wattmetro Yokogawa 2535 (sensibilità 1V)
oscilloscopio Tektronix TDS (sensibilità 0,1 mV)
PERCORSO SVOLTO PER RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI:
Il trasformatore di Tesla non funziona semplicemente sul principio di base di tutti i comuni trasformatori
elevatori di tensione e quindi non si basa solo sul rapporto spire tra primario e secondario. Il trasformatore di
Tesla è un apparecchio elettrico chiamato, come già detto in precedenza, a trasformatore risonante.
Se il primario è alimentato con una tensione periodica sinusoidale, ad onde quadre, o impulsiva, ad ogni
impulso viene fornita energia sul secondario che, se lavora alla frequenza di risonanza del circuito oscillante,
sviluppa una tensione molto più elevata di quella dovuta semplicemente al rapporto spire tra primario e
secondario. Di solito questi trasformatori lavorano a frequenze piuttosto elevate, per cui non hanno bisogno
di nucleo magnetico. Affinché vengano generate delle tensioni molto elevate, e quindi delle scariche
elettriche adeguate, occorre dunque che l’avvolgimento del secondario e quello del primario siano
“accordati” su una esatta frequenza di lavoro, quella della loro risonanza. Le possibilità operative sono di
solito due:
9
•
Se si costruiscono sia il circuito LC primario, sia quello LC secondario, aventi la stessa
pulsazione di risonanza ( ω =
•
1
), allora il segnale applicato sul primario deve avere quella
LC
stessa pulsazione affinché i due avvolgimenti (primario e secondario) siano accordati, cioè
entrino in risonanza; bisognerà dunque fare in modo di poter variare la frequenza del segnale di
ingresso fino a trovare quella giusta.
Oppure
Se non si conosce la pulsazione di risonanza del primario, perché per esempio non è possibile
quantificare o misurare l’induttanza o la capacità, bisogna variare sperimentalmente i parametri
LC del circuito primario affinché ci sia l’accordo massimo col secondario.
In conclusione, per trovare l’accordo, o si varia la frequenza del segnale di ingresso o si variano i parametri
del circuito primario. In caso contrario non si ottiene una tensione alta sul secondario.
Il circuito secondario, costituito da un avvolgimento con elevato numero di spire e da un puntale dispersivo
che realizza così anche una capacità parassita, sono in genere fissi.
Il segnale che alimenta il primario può essere generato in vari modi a seconda del tipo di dispositivo
realizzato. Il problema più grosso nella costruzione di tali apparati, dopo quello della reperibilità dei
componenti in genere non di tipo standard per le elevate tensioni di isolamento necessarie, è quello della
ricerca dell’accordo dei due circuiti, primario e secondario, per ottenere la risonanza.
L’esatta frequenza di accordo in un trasformatore di Tesla non può essere semplicemente “calcolata”, come
invece accade in altri tipi di circuiti, perché i parametri che dipendono dai materiali utilizzati e dal tipo di
costruzione realizzata sono troppi e poco quantificabili. Per esempio se durante il funzionamento di un Tesla
Coil si avvicinano alla punta irradiante oggetti di vario tipo, la lunghezza delle scintille potrebbe diminuire
perché questi oggetti introducono capacità parassite e quindi variano la frequenza di accordo facendo
diminuire il rendimento del trasformatore.
Torniamo alla realizzazione pratica dei nostri prototipi. Abbiamo preso in esame diverse possibilità.
1) Trasformatore di Tesla spinterometrico
È’ il primo prototipo che abbiamo costruito. Realizza lo schema classico di un trasformatore di Tesla e per
questo lo chiameremo per semplicità Old Tesla.
Una sorgente ad alta tensione (nel nostro caso un trasformatore NST per insegne al neon da 4 KV) alimenta
con impulsi ad alta frequenza (nel nostro caso generati da uno spinterometro, Spark Gap) un circuito
risonante LC costituito da una batteria di condensatori e una bobina (il primario L1 del trasformatore di
Tesla, filo di rame da 3 mm avvolti in aria su un diametro di 10 cm). Il secondario è costituito da una seconda
bobina L2 e dalle capacità parassite presenti, dovute per esempio anche al puntale inserito in una estremità.
Il primario ed il secondario devono essere sintonizzati tra loro, cioè devono lavorare alla stessa frequenza di
accordo. Nel nostro caso però l’avvolgimento del secondario è fisso ed è costituito da 1200 spire di filo di
rame avvolto su un tubo PVC di 6 cm di diametro. Non è possibile variare i parametri L e C del secondario
per cui, per trovare l’accordo, si devono variare le spire della bobina del primario con una presa scorrevole.
Sperimentalmente abbiamo operato in questo modo.
10
Circuito Old Tesla
Scollegato il trasformatore e lo spinterometro, abbiamo iniettato nel primario un segnale sinusoidale a
frequenza variabile e tramite un oscilloscopio, con la sonda collegata al puntale del secondario, abbiamo
individuato la frequenza per cui la tensione in uscita risultava massima. Questa frequenza risultava di circa
380 kHz pari a ω=2 387 540 rad/s e doveva essere quindi la frequenza di risonanza del circuito primario
accoppiato a quello del secondario.
Con questo valore di frequenza del segnale di ingresso abbiamo, tramite un contatto mobile, cercato di
migliorare l’accordo variando le spire della bobina del primario. La situazione ideale è stata ottenuta con 12
spire. La bobina del primario L1 è stata allora tagliata di misura sulla dodicesima spira.
Come controprova abbiamo poi misurato l’induttanza dell’avvolgimento L1 attraverso un ponte RLC, un
misuratore di impedenze della Philips, modello PM 6303. Il valore ricavato è risultato di circa 12 µH che
combinato al valore noto della capacità, C = 0.0122 µF, fornisce, attraverso la solita formula, un valore di
pulsazione di risonanza ω = 2 613 542 rad/s abbastanza prossimo a quello iniziale. La differenza fra i due
valori, dell’ordine del 10%, può essere giustificata anche dal fatto che l’ultimo calcolo è stato fatto
ipotizzando il circuito L1 e C a vuoto, mentre il primo valore di pulsazione è stato ottenuto sperimentalmente
quando il circuito del primario vedeva come carico quello del secondario e questo può aver variato di poco le
condizioni di risonanza. (Per soddisfare un’ultima curiosità abbiamo calcolato, utilizzando la formula inversa
C=1/ω2L, il valore della capacità parassita introdotta dal puntale sul secondario risultata essere circa 11 pF).
Gli accorgimenti costruttivi sono stati impegnativi per via delle alte tensioni in gioco. Il condensatore del
circuito primario per esempio è stato realizzato con una batteria di condensatori per poter raggiungere
l’adeguata tensione di isolamento.
E’ stato introdotto un filtro per proteggere il trasformatore NST dai disturbi prodotti dal circuito.
Molto di questo lavoro, che ci ha permesso di passare dalla teoria alla realizzazione pratica, è stato
agevolato dai preziosi consigli forniti da sperimentatori nel campo delle alte tensioni e da tecnici a cui vanno i
nostri ringraziamenti.
11
Il collaudo del nostro Old Tesla ha avuto un esito positivo. E’ stato necessario però inserire un ulteriore tubo
di PVC tra primario e secondario per migliorare l’isolamento in quanto persisteva un pericoloso scintillio tra i
due avvolgimenti.
Gli effetti prodotti dal puntale sono stati davvero esaltanti come documentano le foto riportate in Allegato 3.
2) Trasformatore di Tesla valvolare
Il segnale sinusoidale che alimenta il primario è generato da un oscillatore a valvole. Si possono raggiungere
così potenze considerevoli. Abbiamo scartato la sperimentazione di questo tipo di trasformatore di Tesla per
diversi motivi:
• il costo: le valvole, ma anche solo i portavalvole, hanno costi proibitivi arrivando a diverse centinaia di
euro. Sono inoltre di difficili reperibilità ed è possibile recuperarli nei negozi di materiale surplus, per
esempio di provenienza russa, o nei mercatini dell’usato specializzati in componentistica elettronica;
• Comunque, la realizzazione non avrebbe portato significative novità all’esperimento in programma
perché i soli filamenti delle valvole per esempio devono essere alimentati con potenze elevatissime.
Nel bilancio finale questo ha sicuramente un peso sproporzionato. Abbiamo visto in funzione un Tesla
Coil Valvolare costruito da sperimentatori di nostra conoscenza che alimentava il filamento di ogni
valvola a 12 volt con un assorbimento di corrente superiore a 10 ampere per un totale complessivo di
circa 250 watt. E questo solo per i filamenti delle valvole!
E’ indubbio che in questo caso gli effetti scenografici sono notevoli per via delle grandi potenze in gioco, ma
non si può parlare di un sistema efficiente di trasmissione dell’energia elettrica a distanza.
3) Trasformatore di Tesla con componenti allo stato solido:
E’ il secondo prototipo che abbiamo costruito.
Riteniamo che se Tesla fosse vissuto ai nostri giorni, forse, avrebbe tentato questa via nella sua
sperimentazione. Per questo motivo lo abbiamo chiamato New Tesla.
Il circuito che alimenta il primario del trasformatore è un oscillatore a MOS che genera un segnale ad onda
quadra. Nel nostro caso si tratta di un segnale di circa 90 volt massimo, 4 ampere e con frequenza che può
essere variata tra 125 e 260 kHz.
Il circuito è quello illustrato nel seguente schema:
12
Circuito New Tesla
Il circuito che genera il segnale periodico ad onda quadra è costituito da un noto componente elettronico,
l’integrato NE 555, indicato nello schema da IC3.
Tale segnale viene poi diviso in frequenza dall’integrato IC2-B raggiungendo il campo di variazione sopra
riportato.
I MOS a valle di tali integrati realizzano l’amplificazione in potenza di questo segnale periodico e
sostituiscono le valvole della soluzione presentata al punto 2).
I MOS sono componenti elettronici pilotati in tensione e quindi con assorbimento di corrente molto basso. In
tal modo la potenza elettrica spesa all’ingresso è notevolmente inferiore a quella di un equivalente
trasformatore di Tesla valvolare.
Bisogna dire che tale schema è stato fonte di insuccesso per molti sperimentatori che lo hanno realizzato,
come testimoniano le documentazioni reperite in rete. Ma i nostri tecnici hanno trovato il motivo di questo
malfunzionamento che portava alla rapida rottura dei MOS. Si trattava di una cattiva disposizione dei
collegamenti di massa che, con queste tensioni e a queste frequenze, danneggiava irreparabilmente i
dispositivi attivi. Individuato e risolto il problema, anche questo Tesla Coil ha dato ottimi risultati durante il
suo collaudo, come documentato dalle immagini presenti in appendice.
Il problema dell’accordo in questo caso si risolve più semplicemente variando solo la frequenza
dell’oscillatore elettronico. Ruotando la manopola del potenziometro, anche solo visivamente, osservando
l’intensità delle scintille, si può intuire per quale posizione i due circuiti, primario e secondario, funzionano
entrambi in risonanza. Nel nostro caso la frequenza migliore di utilizzo è stata misurata, con un
frequenzimetro, intorno ai 165 kHz.
Misure ed Analisi
Uno degli obiettivi dei nostri esperimenti è stato quello di misurare la potenza elettrica che è possibile
ottenere, a distanza, da un Trasformatore di Tesla. In particolare si voleva verificare se l’intensità del
segnale ricevuto decrescesse in ragione del quadrato della distanza.
Con un tubo al neon che si illumina, o con una lampadina saldata ad una spira di rame e che si accende in
prossimità del puntale, è possibile dedurre che il Tesla Coil irradia una certa quantità di energia riutilizzabile,
ma non è possibile effettuare delle misurazioni attendibili.
Abbiamo deciso di utilizzare un sistema che ci permettesse di avere una stima quantitativa e non solamente
qualitativa della potenza elettrica ricevuta..
Si tratta di una doppia antenna montata davanti ad uno schermo riflettore di rame, come rappresentato di
seguito.
13
La prima antenna permette, tramite un condensatore posto tra antenna e massa, di prelevare un segnale
proporzionale alla tensione a vuoto, presente nel punto dove è collocata l’antenna, e indotta dal Tesla Coil in
funzione. Su questo condensatore si può misurare una tensione. Lo abbiamo fatto tramite un oscilloscopio
digitale modello Tektronix TDS 2002B 60MHz. Attraverso la formula Peff =
Veff2
R
è possibile ricavare, in via
approssimativa, la potenza elettrica rilevata in quel punto dello spazio, indotta dal campo elettromagnetico
prodotto dal Trasformatore di Tesla in funzione. Ipotizziamo che l’antenna sia sufficientemente piccola da
considerarne trascurabili le dimensioni a grandi distanze. Inoltre l’antenna è stata progettata in modo da
costituire un carico ideale di 50 Ω (tolleranza ±1Ω).
La seconda antenna, identica alla prima e affiancata ad essa, ha una resistenza in parallelo proprio del
valore di 50 Ω (tolleranza ±1Ω) collocata tra la stessa antenna e massa.
Abbiamo scelto però di utilizzare comunque la prima antenna per effettuare le misure.
Le misure sono state prese nell’atrio dell’Istituto Tecnico Industriale di Ravenna.
Per la raccolta delle misure abbiamo deciso di procedere nel seguente modo: dopo aver tracciato sul
pavimento tre circonferenze di raggio rispettivamente 2,00 m; 3,00 m e 4,00 m aventi come centro il piede
della perpendicolare al pavimento condotta dall’asse della bobina, abbiamo scelto alcune direzioni e alcuni
punti (A1,A2,A3,…F1, F2, F3) in cui posizionare la nostra antenna.
Abbiamo effettuato N=5 misure per ogni punto considerato (le misure sono state eseguite in momenti diversi,
non tanto come prove ripetute ma indipendenti: ciò significa che abbiamo disattivato l’alimentazione del
circuito per ciascuna prova, aspettando che fosse trascorso un certo tempo tra una misurazione e l’altra).
Abbiamo riportato in Allegato 1 le tabelle contenenti le misure raccolte.
Il problema che vogliamo risolvere è il seguente: trovare la legge secondo cui la potenza elettrica varia al
variare della distanza.
14
A questo scopo, dopo aver ricavato la Potenza efficace, abbiamo rappresentato in un piano cartesiano i
punti relativi alla direzione A sia per la bobina Old Tesla che per la New Tesla. Abbiamo rappresentato in
ascisse il quadrato della distanza e in ordinate la Potenza efficace. Inoltre per rappresentare graficamente
l’errore di misura abbiamo fatto corrispondere ad ogni misura della potenza un segmento in cui gli estremi
corrispondono al valore minimo e al valore massimo della potenza rilevata in quel punto. Abbiamo ritenuto
trascurabile l’errore sulla distanza al quadrato in quanto, con l’unità di misura assunta, al minimo e al
massimo valore della misura corrispondono due punti praticamente indistinguibili.
Old Tesla
Tensione: valore
picco-picco Vpp
(mV)
A1
A2
A3
B1
B2
B3
C1
C2
C3
D1
D2
D3
E1
E2
E3
F1
F2
F3
271,1
173,1
149,8
279,1
181,4
155,2
264,3
175,3
149,7
243,4
167,8
149,5
263,3
166,1
162,0
219,0
180,4
115,8
Dev
Standard
(mV)
Potenza Ricevuta
Peff = V²eff / R
(µW)
Tensione efficace
Veff = Vpp/(2√2) (mV)
18,2
7,8
21,3
25,7
5,2
11,0
28,6
5,3
22,9
10,2
17,1
13,6
9,0
5,0
8,7
15,3
3,3
4,6
95,8
61,2
53,0
98,7
64,1
54,9
93,4
62,0
52,9
86,1
59,3
52,9
93,1
58,7
57,3
77,4
63,8
40,9
15
1,8 * 10²
0,8 * 10²
0,6 * 10²
1,9 * 10²
0,8 * 10²
0,6 * 10²
1,7 * 10²
0,8 * 10²
0,6 * 10²
1,5 * 10²
0,7 * 10²
0,6 * 10²
1,7 * 10²
0,7 * 10²
0,7 * 10²
1,2 * 10²
0,8 * 10²
0,3 * 10²
Errore
assoluto
Peff (µW)
0,3 * 10²
0,1 * 10²
0,2 * 10²
0,4 * 10²
0,6 * 10²
0,1 * 10²
0,4 * 10²
0,1 * 10²
0,2 * 10²
0,2 * 10²
0,2 * 10²
0,1 * 10²
0,2 * 10²
0,1 * 10²
0,1 * 10²
0,2 * 10²
0,1 * 10²
0,1 * 10²
New Tesla
A1
A2
A3
B1
B2
B3
C1
C2
C3
D1
D2
D3
E1
E2
E3
F1
F2
F3
Tensione: valore
Dev
picco-picco Vpp Standard
(mV)
(mV)
68,1
1,8
37,8
1,6
27,2
0,9
67,6
3,4
35,5
1,4
26,8
1,1
70,6
2,4
37,6
1,2
27,7
1,2
66,4
1,4
36,8
1,7
27,2
1,4
64,1
1,2
35,3
1,7
27,3
0,8
73,9
2,3
40,4
1,7
31,0
1,7
Tensione efficace
Veff = Vpp/(2√2) (mV)
24,1
13,4
9,6
23,9
12,6
9,5
25,0
13,3
9,8
23,5
13,0
9,6
22,7
12,5
9,7
26,1
14,3
11,0
Potenza Ricevuta
Peff = V²eff / R
(µW)
12
3,6
1,8
11
3,2
1,8
13
3,5
1,9
11
3,4
1,8
10
3,1
1,9
14
4,1
2,4
Errore
assoluto
Peff (µW)
In un grafico della Peff in funzione di d2 i punti sperimentali dovrebbero giacere su un ramo di iperbole.
Comunque è piuttosto difficile verificare visualmente se un insieme di punti (nel nostro caso 3) giace o no su
un ramo di iperbole. Abbiamo individuato graficamente la curva che passa con migliore approssimazione
attraverso i centri dei segmenti o comunque attraverso il margine di errore. Come si evince dai grafici la
curva sembra avere l’aspetto desiderato, quindi sembra confermata la nostra ipotesi di una proporzionalità
inversa tra la Potenza efficace e la distanza al quadrato. Per avere la conferma matematica di ciò abbiamo
utilizzato il metodo di regressione lineare dei minimi quadrati assegnando 1/d2 alla variabile x e la Potenza
efficace alla variabile y.
16
1
0,4
0,2
1
0,3
0,2
1
0,3
0,2
1
0,4
0,2
1
0,4
0,1
1
0,4
0,3
METODO DEI MINIMI QUADRATI
Si riportano di seguito le formule matematiche adoperate nell'esecuzione del metodo di regressione lineare.
retta di regressione lineare : y =A +Bx
A=
∑ x ⋅∑ y − ∑ x ⋅∑ x y
σ y2 =
2
i
i
i
i
i
∆
1
∑ ( yi − A − B ⋅ xi ) 2
N −2
B=
N ∑ xi yi − ∑ xi ⋅ ∑ yi
σ =
2
A
∆
∆ = N ∑ xi2 − (∑ xi ) 2
σ y2 ∑ xi2
∆
Abbiamo utilizzato un semplice programma in Turbo Pascal (Vedi Allegato 2) che permette di ricavare
attraverso il metodo dei minimi quadrati l’equazione della rett a che meglio approssima i dati misurati e
l’incertezza nella costante A.
A
C
D
E
F
y = A + Bx
Peff = A + B(1/d²)
Equazione retta
y = 5,59 + 703.43x
y = 10,94 + 648,41x
y = 19,89 + 506,84x
y = 16,01 + 613,47x
y = 18,92 + 420,25x
A
B
C
D
E
F
Equazione retta
y = -1,85 + 53,25x
y= -2,05 + 53,17x
y = -2,22 + 58,00x
y = -1,68 + 50,26x
y = -1,46 + 46,32x
y = -2,04 + 61,97x
Old Tesla
New Tesla
17
I grafici precedenti illustrano chiaramente che la retta di Regressione Lineare approssima in modo
soddisfacente i dati e quindi possiamo confermare che la nostra retta passa con buona approssimazione per
l’origine, ciò conferma la nostra ipotesi di proporzionalità inversa tra la Potenza efficace e la distanza al
quadrato.
Abbiamo rappresentato il grafico di una sola direzione per Old Tesla e per New Tesla in quanto tutte le rette
ottenute in ciascuna direzione presa in considerazione sono estremamente simili.
(Vedi grafico successivo).
Conclusioni
Il Progetto svolto ci ha permesso, tramite la costruzione collaudo ed utilizzo del Trasformatore di Tesla, di
generare onde elettromagnetiche rilevabili a distanza, dimostrando quindi la stretta correlazione tra campi
elettrici e campi magnetici variabili.
Abbiamo poi valutato la dipendenza della potenza elettrica che è possibile ottenere dal Trasformatore di
Tesla, in rapporto alla distanza dallo stesso, e ricavato l’andamento tra tali variabili a livello qualitativo e
avvalorato tali deduzioni e ipotesi.
Per migliorare i risultati ottenuti avremmo dovuto costruire un’antenna accordata con la bobina emettitrice, in
modo da raccogliere il segnale corrispondente alla propria frequenza di risonanza, e con esso la massima
potenza elettrica possibile, in corrispondenza di tale frequenza. Tale importante miglioria sarà comunque
oggetto delle nostre prossime esperienze con tali strumentazioni, esperienze tuttora in corso, che per motivi
di tempo non sono ancora giunte alla fase conclusiva.
Le difficoltà costruttive sono state enormi, come descritto nella relazione, e questo ci ha convinto ancora di
più degli impedimenti che la ricerca scientifica incontra sul suo cammino. Le difficoltà non riguardano solo le
capacità e le abilità pratiche degli sperimentatori ma anche, per esempio, l’impossibilità di realizzare parti dei
prototipi con le ridotte risorse finanziare di cui si dispone, oppure di reperire componenti necessari in tempi
brevissimi. La stessa ricerca delle fonti scritte non è stata facile.
Le misure sarebbero state più attendibili se effettuate, come recitano tutti i testi che trattano la propagazione
delle onde e.m., nello spazio aperto. Ma la necessità di disporre della tensione di rete, l’uso indispensabile di
strumenti di misura molto costosi quali oscilloscopio e wattmetro, ci hanno consigliato di effettuare le misure
nell’atrio dell’istituto tecnico industriale.
L’esperienza si è rivelata comunque utile, piacevole e altamente formativa, poiché ci ha indotti ad
approfondire le nostre conoscenze, ad acquisirne di nuove per la risoluzione dei crescenti problemi incontrati
e a collaborare tra di noi per la realizzazione di questo progetto, interagendo tra studenti di scuole diverse,
mettendo in comune competenze complementari.
18
Bibliografia
•
•
•
•
•
•
•
Feynman Richard P., Leighton Robert B., Sands Matthew, La Fisica di Feynman, Elettromagnetismo
e materia, Zanichelli, Bologna 2009;
Halliday David, Resnick Robert, Krane Kenneth S., Fisica 1 e Fisica 2, CEA Casa Editrice
Ambrosiana, Milano, 2002;
R. Scognamiglio, F.Guidi, M. Sperini, L’opera di Nikola Tesla, vol.1, Società editrice Andromeda,
Bologna, 2004;
George Trinkaus, La bobina di Tesla, Edizioni Andromeda, Bologna, 1989;
Nikola Tesla, Scritti III, Esperimenti con correnti alternate di alto potenziale e di alta frequenza parte
II (1892)- La trasmissione di energia elettrica senza fiili (1904), Traduzione di F.Guidi e M.Sperini,
Società editrice Andromeda, Bologna, 2009;
John R.Taylor, Introduzione all’analisi degli errori, Zanichelli, Bologna, 1999;
Edoardo Amaldi, Fisica Generale parte 2, Libreria Eredi Virgilio Veschi, Roma, 1985;
Ringraziamenti
Ci sentiamo riconoscenti verso tutte quelle persone che, con i loro consigli e insegnamenti, con la loro opera
manuale, con il materiale fornito, con la pazienza dimostrata nel sopportarci specie nelle concitate fasi finali
del progetto, ci hanno permesso di arrivare in fondo a questo impegnativo lavoro, e quindi si ringraziano in
ordine rigorosamente casuale:
• il Preside Ing. Angelo Serafino Parrotta del Liceo Scientifico “A. Oriani” di Ravenna, che ci ha
permesso di disporre della scuola a qualsiasi ora del giorno (…e non solo!);
• il Prof. Maurizio Montanari dell’ITI di Ravenna per l’insostituibile supporto tecnico/pratico fornito
dall’inizio alla fine del nostro lavoro;
• il Sig. Fausto Focaccia e il Sig. Marcello Caselli, esperti e appassionati sperimentatori nel campo
delle alte tensioni e alte frequenze, che ci hanno fornito consigli, materiale altrimenti irreperibile,
sostegno e incoraggiamento con il solo scopo di incentivare la sperimentazione e la ricerca
soprattutto fra i giovani;
• i tecnici Roberto Bendandi, Roberta Giardini, Andrea Sedioli dell’ITI di Ravenna che, in misura
diversa, hanno permesso la realizzazione di parti del progetto e ci hanno assistito con pazienza e
comprensione durante le realizzazioni pratiche;
• tutti gli sperimentatori che nel mondo si sono dedicati alla costruzione di Tesla Coil ed hanno messo
in rete le loro conoscenze evitandoci così insuccessi o delusioni;
19