Il volto dell`uomo della Sindone

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L’uomo della Sindone
PRIMA TAPPA: Il volto dell’uomo della Sindone
Ciascuno di noi vive di immagini molto più che di parole. L'immagine parla all'uomo contemporaneo molto
più di quanto le parole riescano a disegnare un racconto. Davanti ai nostri occhi scorre l'immagine del film
della nostra esistenza, e a volte ci piace rendere istantaneo un episodio attraverso un fotogramma, come
nel voler rendere eterno quell'attimo… La fotografia ha assunto anch' essa questa caratteristica: le
fotografie ci ripresentano continuamente le immagine vissute, riportandoci nello stesso luogo e nello stesso
tempo, anzi quasi trasfigurando gli istanti vissuti, che riletti in prospettiva personale divengono preziosi e
segnano le tappe della vita. Questa esperienza di incontro con le immagini è uno dei passaggi decisivi della
vita contemplativa. Essa, in molte situazioni, parte da splendide immagini, come un bellissimo paesaggio, e
cerca nella bellezza del creato un riferimento per giungere a pensare a Dio. Le immagini, poi, sono anche
il punto di arrivo della vita contemplativa, perché la grazia rende presente a noi il Signore attraverso
figure che si formano nell' attività contemplativa stessa e nell'incontro con Cristo attraverso la
preghiera. Alla contemplazione di Dio, inoltre, si aggiunge l'immagine di persone amate nella vita, che
sono così importanti per noi che ne rechiamo l'immagine durante la vita quotidiana nei luoghi di casa
o portando la loro piccola fotografia nel nostro portafoglio.
Queste semplici esperienze ci permettono di comprendere quanto preziosa sia l'immagine della
Sindone nel mettere insieme la molteplicità di situazioni ora descritte.
Sindòn è nome greco, che si trova nei racconti sinottici della sepoltura di Gesù. Da esso proviene
l'italiano "Sindone".
L’immagine di questo straordinario lenzuolo funerario, dalla lunghezza di circa 440 cm e dalla
larghezza di circa di 110 cm, reca un'impronta frontale e dorsale che nella visione naturale è
assimilabile a un vero e proprio ritratto di sangue recante i segni della passione, come le trafìtture
delle spine, le battiture ricevute sul dorso durante la flagellazione, le ferite dei chiodi sulle mani e sui
piedi, l'ampia ferita del costato da cui sono sgorgati sangue e acqua. Ma questo lenzuolo è visibile
anche in "negativo", come se si trattasse di una pellicola fotografica.
Questo è certamente il prodigio più straordinario di tale reperto. Imprimere una immagine in negativo
sul tessuto di un lenzuolo richiede una tecnologia sino ad oggi sconosciuta, in quanto si presuppone
l'esistenza di un fascio di luce talmente forte e irraggiante da lasciare una traccia
impressa in negativo sul lino del lenzuolo, insieme a una fonte di calore.
Partendo dall'immagine dell'uomo della Sindone, scopriamo anzitutto l'impressionante volto.
Il volto svela l'anima della persona, che si nasconde dietro agli occhi. Attraverso l'incontro con gli occhi
si determina una comunicazione intensa e profonda. Le persone che desiderano davvero esprimere la
gioia di essere insieme si guardano negli occhi e si relazionano contemplativamente.
Nell' arte bizantina gli occhi estatici di molti personaggi sacri mostravano l'ideale contemplativo tipico
di coloro che hanno raggiunto la vita eterna. Questi occhi silenziosi ed eloquenti al contempo, quasi
sbarrati e ipertrofici rispetto alle proporzioni complessive del volto, sono la testimonianza di come il
volto di una persona manifesti ben oltre l'apparente identità. Il volto riproduce, nelle sue fattezze,
come in un microcosmo, tutta la persona. Esso manifesta e accentra su di sé i nostri stati d'animo, le
nostre gioie, le nostre inquietudini, le speranze e le delusioni. Un volto non può mentire.
Esso è lo specchio della nostra storia, di quella storia quotidiana che costruisce, istante dopo istante, la
nostra vita.
In una fotografia il ritratto di un volto costituisce l'aspetto più ricercato. Esso indica l'istantaneo
contemplare nel continuo divenire. Allo stesso modo, il volto sereno e maestoso dell'uomo della Sindone
sembra essere indizio di due tra gli aspetti fondamentali della storia della salvezza: la morte che non ha
tolto la dignità e l'abbandono più completo in Dio; insomma, passione e risurrezione indicate nella
medesima espressione. La visione fisiognomica del volto dell'uomo della Sindone mostra, in particolare,
l'estensione della parte centrale del volto, includente bocca e naso. Questo sembra essere un segno
di grande sensibilità e di amore per la vita e per le persone in essa amate.
Nello studio della fisiognomica la tripartizione del volto esplicita tre funzioni richiamate dalla filosofia di
Tommaso d'Aquino, di chiara ispirazione aristotelica, rispetto alle modalità di funzionamento dell'anima,
che assimila a sé gli aspetti vegetativi, sensitivi e razionali della persona. L’estensione e il rapporto tra le
parti del volto indicizzano le componenti predominanti, a livello caratteriale, che ci possono far intuire lo
sviluppo interiore della persona e la sua indole. Annotando il volto di Gesù sulla Sindone, possiamo
verificare un'importante estensione della parte centrale del viso, la cui complessiva maestosità e fierezza è
dominata dagli occhi e dal naso. In questa parte è presente l'aspetto sensibile ed emozionale della persona,
la coestensione tra anima e sentimenti. Il volto di Gesù sembra associarsi al suo cuore, all'amore donato
per l'umanità e compreso in quell'istante di morte, istante di abbandono fiducioso e sereno al Padre,
nonostante la drammaticità vissuta poco prima di morire: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
(Mr 27,46).
Questo volto, così perfetto nella proporzione, sembra non curarsi dei segni dolorosi del coronamento di
spine, da cui si sprigionano numerose micro-tracce di sangue. La compostezza del volto è chiaro segno di
contemplazione, di riposo e al contempo di accentramento dell' attenzione nel vedere un altro volto, il
volto del Padre. L’immagine del Figlio lasciataci sul lenzuolo sembra esserne il rispecchiamento, sembra
raccontare quella unione di sostanza tra il Padre e il Figlio che tante volte Gesù ha conclamato nel vangelo
di Giovanni, dove evidenzia la profonda unione con il Padre e la sua missione nel mondo (cfr. Gv 14,11).
In Cristo si svela, conseguentemente, il volto visibile del Dio invisibile. Egli ha assunto un corpo, una
storicità, e il suo volto delinea una fisionomia precisa. Il Prologo del vangelo di san Giovanni dice: «Il Verbo
si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Dunque da quel momento in poi chi vuol vedere
Dio può contemplarlo nel volto umano del Figlio: Gesù Cristo. Nel vangelo leggiamo ancora: «Signore, facci
vedere il Padre e ci basta! Rispose Gesù: da tanto tempo sono con voi, e tu, non mi hai ancora conosciuto?
Filippo, chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,8-9). Essere nella Trinità di Dio, per aver visto e
contemplato il volto di Gesù, rappresenta un' esperienza unica e straordinaria.
Non solo l'immagine del volto dell'uomo della Sindone può essere considerata quella di Gesù Cristo e il
rispecchiamento dell'immagine del Padre, ma essa viene anche a determinare l'accentramento sulla
modalità contemplativa che il volto stesso evoca. Tale modalità contemplativa è data dalla relazione, dal
dialogo interiore profondo che l'immagine del volto svela. Così, per ciascuno di noi, l'immagine del proprio
volto deve determinare la relazione interiore che si sviluppa nella preghiera e nell'incontro con Dio. Il
nostro volto rimane per sempre segnato dal suo, la sua luce lascia un alone di chiarore sul nostro volto,
immagine di serenità dinanzi ai dolori e alle precarietà della nostra esistenza.
La qualità della relazione cambia la modalità espressiva del volto. Quante volte abbiamo visto immagini di
persone povere ma felici, il cui volto reca impressi i segni di una serenità e di una maestosità che supera i
limiti di una gioia costruita sull' esclusivo rapporto con i beni posseduti. In questo senso, come molti dicono,
se gli occhi sono lo specchio dell' anima, il volto di una persona è specchio della sua storia e reca il segno
delle modalità di accettazione della propria esistenza. Il volto è sempre riferimento di una relazione o della
sua assenza, di felicità e di tristezza. La relazione compresa nel volto è sempre l'unione dialogica tra due
diversi pensieri che si incontrano.
Nel prologo del vangelo di Giovanni si sottolinea che «il Verbo era presso Dio» (Gv 1,1). La locuzione npòcTI
(letteralmente ‘rispetto a qualcosa'), che già era venuta assumendo un valore tecnico nella terminologia
filosofìca di Platone, viene in seguito intesa da Aristotele come ciò il cui essere consiste nel comportarsi in
un certo modo verso qualcosa, e in quanto presuppone i termini che mette in relazione sembra
determinare la relazione stessa nell'incontro, prima distinto tra i soggetti e poi determinantesi nell' essere
messi a confronto. Così come il Figlio è messo a confronto con il Padre nella comunione di sostanza, così gli
esseri umani si mettono a confronto tra loro guardandosi nel volto.
La capacità di costruzione della relazione dipende dall'essere in grado o meno di afferrare l'interezza della
persona nella visione del volto, casi come in filosofia si può dubitare sulla capacità della conoscenza umana
di comprendere o meno la realtà. Ma essere messi a confronto con il volto dell'altro apre alla più viva e
amorosa relazione cristiana, dove tutta l'umanità sembra veicolarsi dinanzi allo stupore che un volto è in
grado di manifestare, anche quando si tratta di un Mistero. Così nella relazione soprannaturale tra l'uomo e
Dio il volto può essere un'interessantissima prospettiva e un punto di vista focale per raccontare la
contemplazione.
Il volto di Gesù diviene il volto di ciascuno di noi, quando nell' anonimato quotidiano molti vivono
attraverso la lettura dell' esperienza di fede gli eventi della propria giornata. Nell' arte iconografica, i santi
di cui non è pervenuta alcuna descrizione e di cui è sconosciuta la fisionomia vengono rappresentati con il
volto di Cristo. Anche perché, secondo la teologia orientale, i santi sono coloro che sono stati "divinizzati",
ossia trasformati dalla grazia in maniera così radicale da esser tornati a quella "somiglianza" persa a causa
del peccato originale.
Essere rappresentati con il volto di Gesù non significa perdere la propria originalità e la propria irripetibilità,
essere omologati o perduti nell'identità di Cristo. Significa piuttosto essere a immagine e somiglianza di Dio.
In un certo senso, il volto dell'uomo della Sindone è il volto di ciascuno di noi, nell' avvicendarsi quotidiano
tra la passione e la risurrezione. Ciascuno di noi, anche nell'apparente banalità quotidiana, cerca di
assoggettare all'esperienza del credere ogni istante della propria esistenza, comprendendo il dolore e la
delusione, la speranza e la gioia. La serenità del volto dell' uomo della Sindone dovrebbe diventare la nostra
serenità. Ogni male, anche il peggiore, verrà cancellato dalla logica della redenzione, che trasformerà il
pianto in gioia.
L’immagine di Dio nell'uomo permane invariata anche dopo il peccato, l'uomo resta un essere creato
secondo l'Immagine di Dio, ma il peccato fa perdere la somiglianza con Dio, cioè tutte quelle
caratteristiche di virtù, santità e moralità che avvicinano l'uomo al suo Creatore e gli consentono di
vivere in profonda intimità e comunione con Lui. La santità e la divinizzazione consistono
principalmente nella restaurazione di questa "divina somiglianza", motivo per cui i santi vengono
chiamati anche "i somigliantissimi". Ma vi è qualcosa di più straordinario nella bellezza del volto
dell'uomo della Sindone. Esso è un microcosmo che apre alla considerazione di tutto il corpo umano
nella sua valutazione teologica. Desidero, quindi, presentare la rilettura teologica dell' esperienza dell'
essere umano nel definirsi in rapporto con il corpo. Sono il corpo e la teologia del corpo o della
corporeità l'inizio di una riflessione molto ampia e complessa, che vede la persona umana, lungo i
secoli della storia della teologia, "dividersi" con la teoria ilemorfica in corpo e anima. La chiarezza
terminologica esige che la teologia contemporanea ricomponga tutte le divisioni nell'unico termine
"persona" e nel personalismo come corrente di pensiero capace di esprimere l'unico essere umano.
Esiste un unico soggetto, la persona, di cui anima e corpo sono come la parte di un tutto.
D'importanza assoluta è l'elaborazione dell'antropologia paolina, che porta la persona ad essere
considerata nell' orizzonte della trilogia spirito-anima-corpo. Lo spirito è, di fatto, il principio
soprannaturale, e l'anima si riferisce piuttosto al principio di vitalità (appunto, animazione) della
persona stessa. Il corpo è la parte più materiale della persona, ma non per questo viene disprezzato da
san Paolo, anzi proprio il corpo viene definito «tempio dello Spirito» (l Cor 6,19). .
La successiva riflessione cristiana porta a una lettura dei contenuti paolini sotto l'influsso di due
prevalenti sistemi filosofici: il platonismo (dualismo tra corpo e anima) e lo stoicismo (distacco dalla
fisicità e dall' emozionalità). Il corpo, e più in generale tutta l'attività sessuale che lo coinvolge, sono
considerati al di sotto di un ideale cristiano di vita. L’ideale è dato dalla vita religiosa e dalla
consacrazione verginale. Il matrimonio è più considerato come un remedium concupiscentiae (rimedio
alla concupiscenza) piuttosto che la celebrazione dell'incontro tra due persone, uomo e donna,
che formeranno una carne sola, ed è gerarchicamente inferiore in un'ipotetica graduatoria degli stati
di vita. Occorrerà attendere la parte finale del Medioevo. È con Tommaso d'Aquino che la situazione
cambia, seppur parzialmente. Si hanno una rivalutazione della dimensione del piacere nel rapporto
sessuale e una conseguente visione più positiva della corporeità. Ma l'esito di lunghi secoli di retaggio
dualista sulla persona umana porterà a identificare il peccato in generale con il peccato sessuale.
Davanti a tale argomento, molti altri importanti argomenti morali sono stati trascurati.
La teologia dell' epoca rinascimentale e barocca, influenzata dal concilio di Trento, porterà alla
formazione di manuali canonico-morali in cui una trattazione a parte verrà riservata al De sexto, il
sesto comandamento, in cui si giungerà a una disamina casistica delle devianze del rapporto sessuale,
trascurando forse troppo il ruolo del corpo all'interno della vita matrimoniale.
Tale impostazione dei manuali manterrà la medesima scansione argomentativa sino al concilio
Vaticano II.
La vera novità arriva con Charles Darwin, che ci proietta attorno alla teologia del corpo creato,
sfidando i miti cosmogonici delle religioni con la teoria dell' evoluzionismo. Il rifiuto iniziale della
Chiesa cattolica e l'accusa successiva di modernismo termineranno con un' assimilazione graduale
della teologia, o meglio con una giustapposizione di contenuti, nel tentativo di evitare una
separazione netta tra la creazione e l'evoluzionismo. Ma il vero boomerang della teoria dell'
evoluzionismo è un certo ripristino del dualismo, almeno in alcuni teologi, a proposito della persona
umana. Se l'uomo, ammesso che sia dimostrabile, discende dai primati, allora quando l'anima
umana viene infusa da Dio? Questo diventerà il problema teologico, almeno sino al superamento del
dualismo anche ilemorfico nel personalismo teologico.
L’opera del concilio Vaticano II, almeno in quanto emerge dall' attuale teologia morale, ha sviluppato
un duplice assetto decisivo: primo, il recupero dell'istanza biblica, secondo, l'attenzione alla persona
umana al centro della creazione, ma di una creazione il cui principio e fine è Cristo. L’assetto
cristologico della teologia morale è un rimando decisivo anche nei risvolti morali ed esistenziali
della persona, così come il suo ruolo sviluppato nella vita sociale e nella necessità di tessere relazioni
umane. Il corpo è proprio ciò che mette in relazione la persona nella società.
Attraverso il testo sacro abbiamo molti esempi di valutazione positiva del corpo umano: dall' atto della
creazione, segnata in Genesi dall'immagine e somiglianza dell'uomo con Dio, al canto
dell'innamoramento e della descrizione dei corpi nel poema letterario del Cantico dei Cantici, sino
all'immagine stessa dei corpi uniti nella mistica nuziale come idea di assimilazione tra Cristo e la Chiesa
sua sposa. Di san Paolo è stato già detto, ma è molto interessante la proposta di san Giovanni nel suo
vangelo. L’incarnazione di Cristo evidenzia la piena dimensione corporea del Figlio di Dio, nel termine
greco σά ρ ξ. Il corpo creato si sottopone alla caducità del peccato, al decadimento fisico. È il punto di
vista della conoscenza umana che 'non vuole più assoggettarsi a quello della conoscenza di Dio che ha
creato il mondo e l'uomo.
La morte è la prima e la più evidente conseguenza del peccato originale e va a ledere la fisicità
dell'uomo stesso, nella sua dimensione corporea. La difficile esperienza del dolore e della malattia
viene lenita dal corpo risorto, completamente ricostituito da Cristo, dove permangono i segni della
passione, ma la luce infinita dell'amore divino cancella anche i più lontani segni del male subito.
La consapevolezza di un corpo creato e la sua bellezza terrena sono l'anelito della forma corporea
dell'uomo risorto. Nella bellezza fisica l'uomo richiama la bellezza della risurrezione e l'immagine di
Dio diviene la criteriologia di ogni estetica. La bellezza del corpo creato viene di nuovo ripresentata
nella tipologia dell'immagine del corpo dell'uomo della Sindone. La doppia immagine, frontale e
dorsale, le proporzioni, la compostezza del corpo nel suo insieme, l'incredibile maestà percepibile dal
volto rappresentano la complessità armonica del corpo creato.
Quando vediamo Cristo, comprendiamo dal corpo sindonico come egli sia stato il principio della
creazione, e dall'immagine in negativo comprendiamo come egli sia anche il compimento, come
primizia della risurrezione futura, e come ricapitolatore di ogni cosa esistente. Non ci sono altre
spiegazioni, se non accettare con fiducia che tale traccia rappresenti l'immagine della risurrezione di
Cristo, originata da una fortissima luce proveniente dall'interno del suo corpo. Il corpo di luce rappresenta, dunque, quell'ampio capitolo di riflessione che la sola traccia dell'immagine reca in sé. Al tempo
stesso, la comprensione del corpo risorto come corpo di luce diviene l'origine di quella riflessione che
sembra dare piena appartenenza allo status del corpo e della persona nella dimensione di eternità.
Abbiamo una rivelazione teologica confermata nella morbidezza del tessuto di lino, dove troviamo una sola
immagine leggibile nelle due diverse dimensioni: la dimensione della morte recante i segni della
passione, la dimensione della risurrezione dalla traccia in negativo impressa dal corpo di luce.
È come girare una medaglia nei due lati. Lo stesso corpo reca l'impronta della misericordia nel lato della
passione e della morte, e l'impronta della verità nel lato più profondo della risurrezione. Quest'ultima
immagine è stata resa visibile solo nel momento storico in cui è stata ideata la fotografia. Nel 1898
l'avvocato Secondo Pia fotografò per la prima volta la Sindone e scopri il prodigio dell'immagine che si
comportava come un negativo fotografico. Tutto questo avvenne in un contesto storico in cui il
rapporto tra fede e scienza, dopo l'illuminismo e il positivismo, iniziava a divenire sempre più problematico
e diviso, e la riflessione degli uomini chiedeva un continuo confronto con l'evidenza della realtà, anche nella
fede. L’ immagine complessiva dell'uomo della Sindone e l'immagine del suo volto appaiono, grazie al
negativo fotografico, di una eloquenza impressionante. È possibile confrontare l'esperienza dell'incontro
con tale immagine con quanto la teologia cerca di descrivere a proposito dell'incontro con Dio nella vita
eterna? La teologia tradizionale identifica il vis-à-vis dell'uomo con Dio parlando di "visione beatifica" o
"beatificante", sottolineando ed esprimendo l'azione che l'incontro con il Dio di Gesù Cristo produce sulla
persona umana.
La promessa biblica della possibilità di vedere Dio «faccia a faccia» (I Cor 13,12) fu per i medievali motivo
di ampie riflessioni che condussero a elaborazioni teologiche diverse per ispirazione, orientamento e
argomentazioni filosofiche ad esse sottese. Questa possibilità, nell' esperienza di appartenere al mondo, in
coloro che vedono allo specchio la realtà, e non ancora vis-à-vis, ci permette di attingere all'immagine
dell'uomo della Sindone e di provare ad anticipare questa esperienza di contemplazione, ma anche di
rendere fruibile la lettura di questa immagine a un livello interiore, di grazia. È la partecipazione alla
vita divina, infatti, che rende possibile nell'uomo la presenza delle immagini interiori che rassicurano a
proposito dell' amore di Dio e della salvezza.
Nella visione beatificante della Trinità di Dio, secondo la teologia scolastica, si produceva un evento
specifico: la percezione dell'intelletto della gloria divina, che donava una luce particolare all'intelletto
umano: il lumen gloriae. La tesi di Tommaso d'Aquino concerneva la possibilità di realizzare l'unione con
Dio attraverso un "atto di intelletto" ed è presentata nel contesto di una concezione della visione beatifica
che tentava di risanare la frattura tra Creatore e creature posta nella prima età scolastica, in cui si
tendeva a negare la possibilità per la creatura finita di avere accesso all'infinità divina. Questa frattura
potrebbe essere interpretata come la fragilità costitutiva dell'uomo a livello conoscitivo, che viene sanata
dalla stessa azione divina.
Tale frattura era invece, per Tommaso d'Aquino, inaccettabile, poiché metteva in discussione la possibilità
stessa della beatitudine eterna, che non poteva, nella sua prospettiva, non consistere nell' attuazione
immediata e completa di ogni conoscenza, a cui aspira ogni natura umana e, più in generale, ogni
creatura dotata di razionalità. Tuttavia solo Dio, con il dono della grazia, ovvero con la concessione di
un medio conoscitivo speciale, appunto il lumen gloriae, poteva dilatare all'infinito la potenzialità
conoscitiva umana.
Ma interessa moltissimo, per il delineamento del volto, il termine lumen, "luce". È un riferimento reale
e simbolico, che tocca l'essenza del volto nella funzione della visione. È un riferimento reale perché è
la luce stessa che determina l'immagine dell'uomo della Sindone sul lenzuolo, accompagnata da un
calore così forte che ha permesso ai liquidi organici umani, come il sangue e il plasma, di essere fissati
sulle asperità del tessuto di lino. Ma è anche un riferimento simbolico, perché da sempre la luce
rappresenta la divinità. È la luce che promana dal corpo di Cristo risorto a determinare l'inizio della
contemplazione tra i volti, dove la luce abbagliante e calorosa, ma che non offende la vista, finisce
per essere il riferimento imprescindibile in cui avviene l'incontro e lo scambio amoroso.
Nella guarigione del cieco nato, settimo segno di Gesù nel vangelo di Giovanni (Gv 9,1-41),
l'acquisizione della vista da parte del non vedente rappresenta la scoperta di un mondo nuovo, sino a
quel momento percepito attraverso altre forme di conoscenza. La visione della realtà prodotta dalla
vista stessa non è descritta tanto negli aspetti di bellezza del paesaggio, di interazione con il
mondo, di valutazione dei cromatismi e delle sfumature, bensì è l'incontro con il volto di Gesù che ha
operato, nel segno, la metamorfosi che conduce alla fede, e ha donato la salvezza. Il cieco nato può,
così, vedere il volto della persona che lo ha guarito e salvato, e nell'incontro tra gli sguardi si ottiene
la gratitudine e la fede, da parte del non vedente, e l'amore profondo da parte di Gesù.
Il volto dell'uomo della Sindone è già un abbraccio di serenità e d'amore, e la sua visione
contemplativa è un anticipo della visione del volto di Cristo nella vita eterna. Un Dio che "ci mette la
faccia" è il segno maestoso e solenne per l'uomo contemporaneo, abituato piuttosto a usare la
"faccia tosta" per affrontare e superare i tanti meccanismi d'iniquità riscontrati nella vita. Il volto
dell'uomo della Sindone è un volto limpido, semplice, trasparente nella sua trans-lucente passione e
risurrezione, un volto autentico e fiero, che non nasconde nulla del dono fatto all'umanità. Ciascuno
di noi deve incontrare e vedere questo volto, raccogliere la sua silenziosa eloquenza, superare senza
paura e con la medesima fierezza lo scoglio della morte.
L'incontro tra volti non lascia indifferenti le persone. Esse si conoscono e intraprendono insieme un
cammino che ha bisogno di un più ampio sviluppo della conoscenza: prendono in mano la propria
vita, si stringono la mano, si abbracciano, e con le mani lavorano giorno dopo giorno, per trovare non
solo un mantenimento, ma anche una realizzazione. Queste mani faticano, eppure non si stancano.
Esse cercano di ripresentare, nelle scelte di ogni giorno, quella luce di contemplazione che il
volto dell'uomo della Sindone ha lasciato dentro di loro. La luce della fede cambia il vissuto del
credente: «infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta»
(Gc 2,26).
Testo di riferimento: “L’uomo della Sindone”, Marco T. Reale, Ed. San Paolo.
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