Oncologia – prof.ssa De Vecchis – 6 novembre 2003 – ore 11-14
PRINCIPI BIOLOGICI DELLA CHEMIOTERAPIA
Un tumore quando è palpabile è pari a 109 cellule, cioè 1 g di massa e ha raggiunto
30 raddoppi, cioè 2/3 della sua crescita e poiché biologicamente è già vecchio,
molte cellule saranno migrate già a livello ematico e sono presenti quelle
micrometastasi al di sotto di 109 cellule che sono poi causa di una ripresentazione
in situ o a distanza del cancro.
Noi possiamo ricorrere alla chemioterapia quando il tumore è clinicamente
manifesto, quindi palpabile con linfonodi regionali palpabili. Dunque dopo una
chirurgia e una radioterapia, viene fatta una chemioterapia adiuvante: ai primi
stadi della malattia terminiamo con la che mio post-chirurgica più o meno
radioterapia. Cerchiamo con la radio di contenere una futura recidiva perché con
le radiazioni eradichiamo le cellule a livello locale, dopo che la chirurgia ha tolto la
massa primaria.
Chirurgia
toglie la massa
Radioterapia
blocca la micrometastasi rimaste in situ anche dopo chirurgia
radicale
Chemioterapia
previene o agisce su metastasi a distanza
Oggi la chemio si fa anche sulla malattia localmente avanzata, cioè quando la
malattia ha infiltrato i piani sottostanti e ha dato metastasi regionali e alle
seconde e terze catene linfonodali: si parla cioè di chemioterapia neoadiuvante o
primaria che ha lo scopo di ridurre la massa che potrebbe essere all’inizio non
gestibile chirurgicamente. Ancora si può usare la chemio quando il tumore ha
dato metastasi a distanza quindi è microscopicamente disseminato. Oggi si può
intervenire anche con l’ormonoterapia (ci sono tumori ormono-sensibili come
mammella, prostata) o con immunoterapia (k del rene, melanoma).
FRAZIONE di CRESCITA = insieme di tutte le cellule che sono in mitosi. Oppure
frazione di cellule in mitosi / tutta la popolazione cellulare costituente la massa
cellulare x 100
CRESCITA ESPONENZIALE = proliferazione clonogenica di tutti gli elementi
cellulari cui corrisponde un’uscita nulla, cioè proliferazione abbondante, ma non
segno di necrosi. Cioè tutte le cellule proliferano, ma non c’è morte cellulare.
CRESCITA GOMPERTZIANA = proliferazione clonogenica in cui l’incremento
di crescita, cioè il tempo di duplicazione della cellula rallenta o aumenta man
mano che la crescita continua.
PERDITA CELLULARE = frazione di cellule che continuamente muore,
modificando la crescita esponenziale pura. Modifica anche la crescita che poi
dovrà riprendere.
Infatti i grandi tumori, quando vanno in necrosi, per poter riattivare la cellula in
mitosi, impiegano molto più tempo, quasi 100 duplicazioni in più rispetto ad un
piccolo tumore che proliferando va lentamente in necrosi. Questo implica
mutazioni che trasformano ancora di più il tumore.
TEMPO di RADDOPPIO = periodo durante il quale il tumore raddoppia la sua
massa, il numero delle cellule
CICLO CELLULARE = periodo che va dall’inizio alla fine del processo mitotico
In un sistema che prolifera, l’inizio della crescita è di tipo esponenziale (da 2
cellule a 4, da 4 a 8, da 8 a 16, da 16 a 32 ecc) e dopo 10 cicli di raddoppio abbiamo
100 cellule, dopo 20 cicli 1000000, dopo 30 1000000000. Così funziona la crescita
fisiologica dei nostri tessuti normali, finché la crescita si arresta perché la massa
raggiunge le dimensioni che doveva, il sistema si arresta e le cellule che
proliferano diventano dello stesso numero di quelle che muoiono e il sistema
raggiunge un equilibrio. Il tempo di duplicazione coincide con il tempo di durata
del ciclo cellulare.
Questo non accade per il tumore : esso inizia, quando è molto piccolo con una
crescita esponenziale, però non rispetta l’omeostasi fisiologica e continua a
proliferare
la frazione di cellule che proliferano è molto maggiore di quelle
che muoiono. La durata del ciclo cellulare delle cellule tumorali non è uguale al
tempo di duplicazione, cosa tipica delle cellule a turn-over rapido dell’organismo
(midollo =18-24 h; sistema gastroenterico = 18-48 h) : in realtà la massa blastica ha
più cellule in mitosi rapida, ma la durata del ciclo cellulare delle cellule tumorali è
più lunga rispetto a quella normale. E’ sulla base di queste conoscenze che si basa
la chemioterapia: tutti i farmaci antiblastici, compresa la radioterapia,
comportano una tossicità midollare e gastroenterica, ma poiché queste cellule del
nostro organismo hanno una durata del ciclo cellulare molto breve rispetto a
quelle del tumore, sappiamo che il loro recupero è maggiore rispetto al tumore.
(secondo me i discorsi della prof non sono così chiari come lei stessa sostiene,
comunque continuo a sbobinare…)
Quindi è vero che il tumore ha più cellule in mitosi, ma è anche vero che la durata
del ciclo cellulare è maggiore e quindi entrano nella fase gompertziana, nella quale
il ciclo cellulare si allunga. Questo succede perché man mano che il tumore
cresce, molte cellule si staccano dalla sede primaria, migrano a livello linfatico ed
ematico, danno metastasi generali. Inoltre essendo le mitosi sempre più rapide c’è
sempre una necrosi che avanza, perché con l’aumentare della massa le sostanze
nutritizie, il sangue ecc diminuiscono. Quindi la crescita gompertziana
caratterizza quei tumori che sono sempre più invasivi e metastatici. Dunque la
durata del ciclo cellulare non è pari al tempo di duplicazione, ma si allunga man
mano che la massa tumorale si accresce.
Questi sono alcuni tempi di duplicazione:
cellule del colon: ciclo cell. 39 h
k bronchiale non microcitoma: 196-260 h
cellule del retto : 48 h
midollo osseo: 18-24 h
tumore dello stomaco: 2 h
leucemia: 80-82 h
Quindi il tumore è costituito da cellule in mitosi (molto sensibili a radio e che mio),
ma anche da cellule in necrosi, in fase G0 o che escono dal sistema perché
maturano o perché muoiono, e che quindi non ci interessano ai fini di una risposta
terapeutica. Ma quelle in G0 che stimolate possono rientrare in G1 possono
esserci molto utili: alcuni farmaci, come gli agenti alchilanti colpiscono proprio in
G0; altri stimolano il rientro in G1. Abbiamo detto che il ciclo cellulare della
cellula normale è sotto l’equilibrio omeostatico, quindi tutte le fasi (G1 - S – G2 –
M) sono sotto il controllo genetico.
La cellula è dall’inizio sotto il controllo di fattori fitogeni che la risvegliano e la
rimettono in circolo dalla fase G0 alla G1. Esiste un punto R (fattore di
restrizione) nel ciclo cellulare che quando viene superato, se la cellula è
considerata idonea alla duplicazione, fa sì che la cellula si svincoli da qualsiasi
supporto mitogeno che l’ha svegliata e diventa autonoma. Entra in fase di sintesi,
copia se stessa, entra in M, si duplica e rientra in quiescenza. Nella cellula
normale il ciclo ha delle durate ben precise e delle tappe: c’è n controllo genetico
che permette che queste cellule proliferanti si riproducano in maniera fedele, in
modo da mantenere la conservazione della specie. Ci sono alcune tappe che se
non vengono rispettate portano a delle anomalie genetiche e che vengono
fondamentalmente saltate dalle cellule tumorali. Questo si spiega anche perché la
crescita tumorale non risente dei sistemi di controllo omeostatici fisiologici che
invece caratterizzano la cellula normale. Prima si credeva che la cellula tumorale
saltasse alcune delle fasi del ciclo cellulare, invece è stato visto che anche nel
tumore vengono rispettate,ma non vengono rispettati degli stop di controllo che
si trovano lungo il ciclo cellulare (la prof chiama questi punti di stop asterischi,
semplicemente perché lei ha disegnato degli asterischi sulla diapositiva per
evidenziare questi punti…).
Una cellula può essere quiescente anche per mesi (G0) finché viene risvegliata e
rientra in fase proliferativi. Perché questo succeda è necessario che vengano
attivati dei sistemi conosciuti come cicline (D1 - D2 – D3) che sono regolatrici di
proteine ad attività chinasica (kinasi ciclino-dipendenti). Dunque le ciclone
attivate su base chinasica formano un complesso ciclina D1-D3 CDK 4 6 : queste
ciclone attivate dalla chinasi vengono a formare un complesso kinasi-dipendente
CDK 4 6 che fa in modo che il sistema che controlla il blocco da G0 a G1 (sistema
proteico RB, cioè dipendente dal gene del retinoblastoma e E2F1 cioè un fattore
trascrizionale) e che generalmente perché la cellula sia in fase di riposo è
ipofosforilato, venga fosforilato permettendo alla cellula di superare quel punto
cruciale di restrizione e andare nella fase S. Entrando in fase S, nella quale
vengono sintetizzati gli enzimi necessari per la duplicazione degli acidi nucleici,
per essere sicuri che la fosforilazione del primo complesso sia a posto, viene
attivata al ciclina E CDK dipendente che conferma ancora di più il passaggio da
G1 a S. Si è visto come queste cicline vengano attivate man mano che la cellula
procede nel ciclo cellulare e che nel momento cruciale in cui la cellula entra da
G0 in G1 e quindi nella fase S ci sia questo ulteriore controllo del sistema, prima
D1 – D2 CDK dipendente e poi la ciclina E CDK2. Man mano che la cellula entra
in fase S entra in scena la ciclina A, anch’essa attivata dal sistema CDK2: il
complesso ciclica A- CDK2 se non è perfetto nel dare il proprio segnale, la fase
può fermarsi per avere un momento di verifica. Infatti abbiamo detto che ci sono
dei momenti di verifica biochimica a livello dei quali vengono verificate le cellule
nel loro passaggio da una fase all’altra. Se la verifica di fedeltà è perfetta, questi
ulteriori che si formano su attività chinasica danno l’OK perché la cellula proceda
e vada avanti. Così si entra nella fase S/G2 dove c’è l’altra ciclina A CDK1 (quindi
kinasi 1 dipendente): anche qui prima di entrare in G2 c’è uno stop che verifica
che la cellula non abbia problemi e possa entrare in mitosi. Nell’ultima fase c’è il
complesso ciclina B CDK 1 dipendente che viene attivato perché la mitosi
avvenga nella maniera più perfetta possibile. Questo complesso è anche chiamato
MFP (promotion promoting factor ???) cioè che promuove la mitosi degradando la
ciclina B in anafase. Questa ciclina che viene attivata all’ultimo momento perché
la mitosi vada avanti, quando si è all’ultima fase (anafase/telofase) la ciclina stessa
si disattiva per degradazione affinché la mitosi avvenuta si blocchi e la cellula
rientri in G0.
Tutto questo avviene nelle cellule normali. Il momento cruciale affinché ci sia il
passaggio da cellula normale a cellula tumorale, al di là delle verifiche, è il
momento del complesso RB-E2F1 che se è ipofosforilato sotto il controllo della p53
tutto è normale; se invece l’RB non c’è o se non c’è la p53 perché è mutata o non
funziona, questo sistema non è più ipofosforilato, sotto controllo, la cellula si
attiva, porta avanti tutto il ciclo cellulare in maniera scombinata. Dunque p53 è in
genere un oncosoppressore: è quella che se funzionante blocca il ciclo cellulare
quando, ad esempio, si ritiene che una cellula non sia adatta per riprodursi
fedelmente perché danneggiata, bloccando la fase G1 e permette che se una
cellula è molto alterata venga eliminata, mentre se può essere riparata allunga la
fase G1 e quando è riparata riattiva la cascata delle chinasi e la cellula rientra in
ciclo.. Quando la cellula va in apoptosi entra in gioco il sistema BAX, mentre
BCL2 fa sì che non ci sia apoptosi.
Quindi quando parliamo di un tumore possiamo parlare di un aumento di cellule
proliferanti: cioè una massa tumorale è formata o da troppe cellule che
proliferano, oppure da un sistema apoptotico diminuito (troppe poche cellule
vanno incontro ad apoptosi). Troppe cellule proliferanti si hanno per un aumento
di attivazione degli oncogeni o per una diminuzione di attivazione dei geni
oncosoppressori.
I primi tentativi di terapia antiblastica nascono nel 1894 dagli studi di un chirurgo
(Halsteg?) che fu il primo a portare avanti una chirurgia radicale (surrenectomia e
mastectomia) che permetteva la cura del cancro. Contemporaneamente Roentgen
inventò i raggi e dalla chirurgia si arrivò alla radioterapia. Poi con Lerlich che creò
dei modelli di animali sui quali potevano essere trapiantati dei tumori per
studiarne la crescita. Questo fu ripreso da George Cloowel nel 1900: cercò di
studiare la crescita dei tumori in topi trapiantati. Nel 1940 vennero scoperti i
primi agenti alchilanti, usati come gas bellici durante la I guerra mondiale:
causavano linfopatie. Però si capì che potevano essere usati come farmaci per
curare le stesse patologie.
La chemioterapia si prefigge di distruggere tutte le cellule neoplastiche. La
possibilità di curare il tumore localmente mediante chirurgia o radioterapia è
ostacolata dalla presenza di metastasi al di fuori del campo di trattamento.
Negli anni ’70 venne studiata la leucemia L1210 dei topi che ha dato le basi
biologiche per la chemioterapia. E’ una leucemia formata quasi dal 100% di cellule
in mitosi e possiamo controllarla in quanto ne conosciamo la cinetica di crescita.
Si è rivelata essere una leucemia molto vicina ai nostri tumori, anche se si pensava
che non somigliasse a nessun umore umano. Si è visto che l’azione di una singola
cellula neoplastica può esitare nella morte dell’animale. Quanto più grande è il
numero di cellule clonogeniche inoculate nell’animale, tanto più breve è la sua
sopravvivenza. L’intervallo tra l’iniezione delle cellule e la morte, può essere
predetto nel topo sulla base delle conoscenze del numero di cellule iniettate e del
tempo di raddoppio della popolazione tumorale. Partendo dal concetto che il
tempo necessario perché gli animali vadano a morte è l’intervallo richiesto perché
un tumore raggiunga la quota di 109 cellule = 1g di massa. Se noi inoculiamo una
singola cellula, questa impiegherà 19 gg per portare il topo ad avere una massa di
109. Se inoculiamo 105 il tumore impiegherà 10 gg per arrivare a 109 cellule. Se
inoculiamo 108 la massa di 109 si formerà in 5 gg. Con questa logica è stato
ipotizzato che l’incremento dell’aspettativa di vita dell’ospite sia in larga parte
dovuto all’effetto citotossico del trattamento. Un incremento dell’aspettativa di
vita pari a due giorni sarebbe equivalente all’uccisione del 90% delle cellule,
ovvero ad una diminuzione delle cellule da 109 a 106. Oppure se si è formato quel
109 noi diciamo che l’uccisione del 90% delle cellule, quindi pari a 1 log, porta la
riduzione da 109 a 108. Oppure se c’è una distruzione del di 99.999% delle cellule,
vuol dire che c’è stata una riduzione pari a 5 log, cioè quella massa è scesa da 109
a 104.
Dunque Skipper, servendosi di quella leucemia ha detto che il farmaco uccide
non un numero costante di cellule, ma una frazione costante di cellule. Per cui se
abbiamo una massa di 1012 e un farmaco che uccide 99.999% di cellule, possiamo
ridurre la massa da 1012 a 109, cioè abbiamo compiuto una uccisione di 3 log.
Dando lo stesso farmaco per più volte e quindi uccidendo frazioni di cellule con
un log diverso possiamo arrivare ad azzerare una massa cellulare. Azzerare vuol
dire che se continuiamo a dare gli stesi farmaci, che sappiamo avere una
distruzione logaritmica pari a 104 o a 105 o a 102… possiamo ridurre la massa a
popolazioni sempre più piccole, fino ad arrivare a 104 a cui si è visto entra in gioco
il sistema immunitario, riusciamo ad eliminare tutta la massa.
Quindi possiamo distruggere la massa sfruttando l’azione logaritmica del farmaco,
cioè l’uccisione secondo l’unità logaritmica con base 10 della frazione cellulare di
cellule componenti una massa. Si è anche visto che i farmaci antiblastici hanno la
capacità massima di distruggere una massa tumorale quando uccidono con una
unità pari a 5 log. Quindi se continuiamo a dare il farmaco facciamo sì che questo
distrugga una quota costante di cellule e nel tempo deve esprimere il massimo di
se stesso = 5 log. E’ importante anche che ci sia un sistema immunitario valido o
che questo venga rinforzato da fuori.
Se noi iniziamo la terapia dopo l’intervento chirurgico radicale e la radio, troviamo
una situazione ideale, perché ci possono essere micrometastasi che però sono al di
sotto di 109 cellule: se si inizia con una polichemioterapia con azione killing
massimo di 5 log si riesce ad ottenere una remissione. Prima iniziamo la chemio con
una massa piccola, prima la eliminiamo.
Mentre si mettevano a punto questi concetti, nel 1943 fu descritta un tipo di
resistenza batterica nell’E. Coli. Il concetto della resistenza venne applicato nel
1979 alla chemio: questo permise di capire perché tra molti pazienti con lo stesso
tipo di cancro e di stadio e sottoposti allo stesso trattamento, alcuni
rispondevano bene, altri presentavano risposta minima e altri andavano in
progressione. La causa di questi risultati diversi era dovuto alla presenza di ceppi
resistenti. Fu messa in relazione la mutazione spontanea con la resistenza della
massa tumorale: se la resistenza si verifica con una frequenza pari a 106 (cioè sono
necessarie 106 duplicazioni perché si formi un ceppo resistente), allora la
probabilità di mutazione in questo ordine di grandezza è già molto elevata prima
che la popolazione raggiunga 106 cellule. A questa quota siamo a livello subclinico, di micrometastasi: se a questo livello abbiamo già una mutazione,
immaginate quante mutazioni avrà un cancro con 109 cellule, o addirittura con
una massa di 1 kg e metastasi. . La resistenza permette anche di arrivare ad un
altro principio, cioè la polichemioterapia: è più facile eliminare più ceppi resistenti
con più farmaci. L’efficacia (che poi si esprime in killing, cioè in uccisione su base
logaritmica) è data da C x T cioè dal tempo di concentrazione ovvero il tempo che
il farmaco riesce a rimanere nella cellula, per il tempo per cui la cellula è
sottoposta all’azione del farmaco.
L’obiettivo della chemio è quello di bloccare la mitosi della cellula. Le dosi
vengono espresse in mg/m2 di superficie corporea (peso x altezza), in quanto la
superficie corporea è strettamente correlata con la gittata cardiaca che a sua
volta è in correlazione con il flusso ematico, epatico e renale, cioè i principali
organi di emunzione e detossificazione.
Una delle più importanti cause di insuccesso della chemio è la resistenza: è molto
subdola in quanto si seleziona de novo, cioè è già presente prima che la cellula
possa essere sottoposta all’azione dei farmaci (resistenza innata). Oppure man
mano che somministriamo farmaci, distruggendo la fase di cellule sensibili,
emergono ceppi resistenti al farmaco.
Resistenza ai farmaci antitumorali:
 Temporanea

Compartimenti cellulari inaccessibili

Diminuzione della vascolarizzazione e limitata diffusione ai farmaci


Alterata cinetica cellulare
Permanente = presenza in elevata proporzione di fenomeni cellulari
geneticamente resistenti a uno o più farmaci
La bassa frazione di crescita si ha quando ci sono grandi lesioni in cui molta massa
comporta l’insorgenza di necrosi, cellule fanno molta fatica a rientrare in ciclo e
quando lo fanno sono resistenti al farmaco.
Ogni volta che ricominciamo la terapia troveremo sempre cellule sensibili lasciate
precedentemente, più cellule nuove che sono rientrate in ciclo tra una chemio e
l’altra: tra queste alcune saranno sensibili e verranno, e altre saranno resistenti,
finché la quota fondamentale diventa quota resistente, perché vengono uccise
tutte quelle sensibili.
Abbiamo resistenze a singoli farmaci (es. antimetaboliti: per il 5FU si hanno più
copie della timilidato sintetasi; per il MTX più copie di diidrofolato redattasi;
oppure topoisomerasi II già alterata).
Parliamo della MDR (multidrug resistence), cioè resistenza a più farmaci. E’ una
resistenza pleiotropica: la cellula è resistente a più farmaci anche se hanno
meccanismi biochimici diversi. Inoltre se una cellula diventa resistente ad uno dei
farmaci del gruppo, automaticamente diventa resistente anche agli altri. Questi
sono: alcaloidi della vinca, epipodofillotossine, antibiotici, quindi farmaci molto
importanti perché usati in moltissime patologie tumorali e che danno dei risultati
molto buoni. La caratteristica di questi farmaci è di avere un peso molecolare
molto grande, quindi non riescono ad essere trasportati dal sistema di trasporto
trans-membrana. La resistenza pleiotropica può portare però ad una sensibilità
verso farmaci diversi, quindi accanto ad una MDR si sviluppa una collateral
sensitivity. La MDR è su base genetica in quanto è attribuita ad una
glicoproteina, la p170 che è molto diffusa nel nostro organismo in quanto fa parte
di un sistema detossificante: si trova a livello renale, epatico, testicolare,
surrenalico. Questa proteina viene altamente prodotta, su base di un’anomalia
genetica, quindi amplificata su base genetica e la cellula diventa resistente. Si è
visto che la p170 funzione fondamentalmente come una pompa su base dei canali
del calcio: quando entra il farmaco, lo butta fuori, funge da pompa di efflusso
servendosi dei canali del calcio, per cui il farmaco non ha tempo di fermarsi nella
cellula e di svolgere la sua attività. Sulla base di questo meccanismo si è visto che
somministrando il verapamil, questo compete a livello recettoriale con la p170 e la
blocca agevolando l’entrata del farmaco nella cellula. Questo funziona bene a
livello sperimentale, perché si agisce su organismi molto piccoli e lontani da molte
reazioni che nell’organismo si hanno. Però in vivo, nel paziente, si è visto che il
verapamil per essere efficace deve essere somministrato a dosaggi molto alti che
risultano tossici. Si stanno cercando altri metodi per combattere la MDR: il
ricorso ad alcuni anestetici come la lidocaina; ai chinolonici ma ad oggi non ci
sono ancora risultati. Un altro meccanismo che si sta studiando è quello di
somministrare i farmaci sempre più ravvicinati nel tempo, cioè invece di dare il
farmaco ogni 21, 28 giorni, si fa un dosaggio ogni settimana in modo da tenere a
bada sempre di più l’insorgenza di ceppi resistenti.
La proteina p170 ha una struttura formata da due chele costituite da anse
proteiche che pescano nel citoplasma della cellula e assorbono il farmaco e lo
buttano fuori. Questa proteina venne scoperta in molte cellule ascitiche, nelle
leucemie, nei sarcomi, nella mammella, poi si è vista che in realtà è diffusa in tutti
i tumori perché è legata al concetto di mutazioni a cui la cellula di per se stessa
va sempre incontro. La p170 venne studiata per mezzo di anticorpi monoclonali
come il C219. Anche gli antifungini come l’amfotericina B sono stati usati come
bloccanti della p170.