ISTITUTO TECNICO PER GEOMETRI “A. e P. DELAI” VIA CADORNA 16/A 39100 BOLZANO TEL. 0471/270501 - FAX 0471/270208 TESINA SULL’ARCHITETTO : ANGIOLO MAZZONI (1894 – 1979) ARCHITETTO INGEGNERE DEL MINISTERO DELLE TELECOMUNICAZIONI ANNO SCOLASTICO 2006/2007 CLASSE VªB BOLZANO , DICEMBRE 2006 ALUNNO MARCHI ALBERTO Alberto Marchi Angiolo Mazzoni nasce a Bologna da genitori senesi il 21 maggio 1894. Da un inizio di clima "secessionista", che ha praticato alla fine degli anni Dieci, come - anche se qualche tempo dopo - Sant'Elia, Chiattone e poi Marchi (progettando ville, palazzine, palazzi), guardando a Olbricht e a Hofmann, ma così pure a G.B.Milani e a Giovannoni, Mazzoni si è orientato, alla fine dei Venti, verso un dialogo con forme tradizionali di evidente corrispondenza "novecentista", monumentale e imponente, tuttavia distinta dai modelli piacentiniani (quali il Dopolavoro ferroviario di Roma, 1925; il Palazzo postale di Nuoro, 1928; la Stazione di Bolzano, 1927-28). Si era laureato, infatti, in ingegneria nel 1919 alla Scuola di applicazione per ingegneri di Roma, dove rimane ancora un paio d'anni come assistente - oltre a collaborare nello studio di Piacentini nel 1920 - e aveva, quindi, conseguito il diploma in architettura a Bologna nel 1923. Nel '21 venne assunto dalle F.S., ricevendo, dal 1922, la nomina di Ispettore stabile della Divisione lavori delle FS. Nel '24, anno in cui vennero unificate Poste e Telegrafi e Ferrovie, fu trasferito a Roma presso la Direzione Generale: tra il 1925 e il '26, con la Stazione del Brennero, ebbe inizio la sua fitta attività di progettazione di edifici ferroviari e postali sparsi lungo tutto il territorio italiano, destinata a protrarsi fino al 1945, nell'ambito dell'amministrazione unificata delle Poste e Telegrafi e delle Ferrovie Statali. Alla fine degli anni '20, realizza l'edificio squadra rialzo presso la Stazione ferroviaria di Firenze, una delle sue opere pi interessanti, con ogni evidenza influenzata dall'esperienza dei costruttivisti sovietici.Tra i progetti realizzati in veste di progettista-dipendente pubblico, si ricordano, per importanza, gli edifici postali di Trento (1934), di Agrigento (1932), di Pola (1935); le stazioni ferroviarie di Trento, 1936 (con vetrate di Depero e Tato), di Siena 1936, di Reggio Calabria, di Montecatini Terme - Monsummano 1937,diMessina 1939 e di Bolzano(1927). Il carattere innovativo del lavoro di Angiolo Mazzoni, quale si delinea fin dall'inizio degli anni Trenta, non esclude un filone novecentista (che ricorre infatti, riconoscibile per l'intera prima metà di quegli anni, nel Palazzo postale di Varese, 1930-33, nel Palazzo delle Poste e Telegrafi di Grosseto, 1930-32, nella già citata Direzione Generale delle Poste e Telegrafi di Trento, 1929-34, nel Palazzo delle Poste di Palermo, 1930-34, e nella Stazione ferroviaria di Reggio Emilia, 193335). Non lo esclude, ma di certo ne attenua prospetticamente la portata, puntando sul privilegio rappresentato dagli esiti di una progettualità più libera, a livello di maggiore e più ardita complessità immaginativa progettuale. Se, tuttavia, il Mazzoni più memorabilmente innovativo, più "moderno", non è certo quello del linguaggio volumetrico e monumentale "novecentesco", lo si individua proprio anche in esiti architettonici collocabili all’interno di una tale polarità, tanto che risulta possibile rintracciarvi sia il ricorso a soluzioni strutturali interne di chiaro indirizzo innovativo, capace di rielaborare originalmente una mentalità "razionalista", sia altresì l'esercizio di un uso inventivo e persino prezioso, oltre che nuovo, dei materiali. Il filone più originale e memorabile dell'attività progettuale e realizzativa di Mazzoni si snoda lungo gli anni Trenta sul fondamento di una cultura plastica che dal "Novecento" recupera accenti di tradizione "metafisica" (come avviene nel caso del Calabrone), innestandovi una nuova chiarezza strutturale di istanza "razionalista" e un dinamismo di tagli orizzontali o di movenze avvolgenti derivate dal dialogo con istanze futuriste. Ed è il filone che muove appunto da Il Calabrone del 1931-33 (ma progettato nel 1925-26), al Palazzo delle Poste di Agrigento, 1932-34, alla Centrale Termica e Cabina degli apparati centrali della stazione di S.Maria Novella, a Firenze, 1932-34, alla Ricevitoria Postelegrafonica di Latina, 1932, dal Palazzo delle Poste e Telegrafi di Pola, 1932-331935, alla Ricevitoria Postelegrafonica di Sabaudia, 1933-34, a quella di Ostia Lido, inaugurata nel 1934, alla Stazione ferroviaria dia Siena, 1931-35, a quella di Trento, 1934-36, di MontecatiniTerme e monsummano, inaugurata nel 1937, di Reggio Calabria-Centrale, 1937-38. Dal 1948 al 1963 Mazzoni si trasferisce in Colombia, a Bogotà, dove insegna all'Università Nazionale e svolge attività professionale. Vive a Roma dal suo ritorno in Italia, a partire dal 1958, fino alla morte, avvenuta il 28 settembre 1979. PROGETTI A Ferrara, invece, tra il 1927 e il 1929, l’architetto aveva eretto il Palazzo delle Poste e Telegrafi, occupando un vasto quadrilatero del Viale Cavour, prospiciente la chiesa di S.Maria della Rosa. Accusato di inserirsi pesantemente nel contesto cittadino e di fraintendere la tradizione locale, in realtà l’edificio ne propone una versione raffinata e modernissima: basti solo pensare a come vi è ripreso il motivo estense del diamante. “Chi sa se l’impressione ricavata dal bugnato del Palazzo dei Diamanti…sia rimasta in qualche modo impigliato per necessità di armonizzazione nei piedritti di marmo delle finestre o nei tavoli, nelle mensole fino nei calamai e nelle plafoniere dell’arredo interno, diventati fin qui un divertimento futurista. Svolgendo ossessivamente questo leit-motiv (mirabili gli arredi dell’ufficio del telegrafo, da lui disegnati ed eseguiti dalla falegnameria Fratelli Santini), Mazzoni è riuscito, nel contempo, a miscelare con eclettica sapienza il classico della petrosa facciata (ma più vicina a Brasini che a Coppedé) con il taglio metafisico e proto-razionalista del retro in laterizio (suggestioni che poi svilupperà nel palazzo postale di La Spezia). Accenti futuristi e decò, classicismo (le maschere tragiche della facciata, che tornano nel coevo palazzo della Ragione di Nuoro) e Novecento, monumentalismo ed essenzialità del design convivono: e in ciò Mazzoni è stato coadiuvato dagli eccellenti artigiani, come Napoleone Martinuzzi, autore degli impeccabili stucchi e dei vetri nella sala del pubblico. Tra i primi edifici compiuti al principio degli anni Trenta, si annovera il Palazzo Postale di Gorizia, il cui progetto venne approvato il 3 aprile del 1929 e ottenne l'approvazione definitiva il 3 gennaio del 1930, mentre i lavori di costruzione si conclusero presumibilmente nel 1933. La plastica composizione dei corpi di fabbrica convergenti nella torre dell'orologio, accentuata dall'impiego dei mattoni a vista accostati ai massicci elementi in pietra di Aurisina, determinano la monumentalità dell'edificio. L'arretramento angolato del portico di accesso alleggerisce visivamente le incombenti volumetrie creando una piccola piazza. Da questa si accede ai piani corridoi degli sportelli al pubblico, sopraelevati e paralleli ai fronti strada. L'originale assetto distributivo indica in questo modo due originali soluzioni tipologiche per la progettazione di edifici in aree centrali. Mazzoni annotava, a proposito di questo edificio, di essersi ispirato all'opera di Joseph Hoffman per non cadere in una "copia culturalista", dovendo in qualche modo ispirarsi "a forme di apparenza veneta". Il Palazzo delle Poste di Sabaudia, realizzato in quello stesso giro di anni, è un edificio ugualmente interessante dal punto di vista architettonico: elaborò un edificio rialzato da terra mediante una scalinata, completamente rivestito di tessere azzurre (che rimandano al colore dei Savoia), con il volume principale a un piano, dove collocò i vari locali necessari per gli uffici, la sala per il pubblico e la piccola rivendita di francobolli. Tale volume a un unico piano, per via degli ampi finestroni incorniciati da un cordolo in marmo rosso di Siena, da cui la grande sala interna prende luce, per il disegno delle grate antimalariche e per l’elegante cornicione, assume un forte senso aerodinamico. Sul retro, invece, dove, su un piano parziale ricava l’alloggio del custode al quale si accede da una scala esterna, l’immagine complessiva dell’edificio denota un tono meno ufficiale, sia per la presenza di questa scala, sia per la composizione dei volumi e delle finestre. A Sabaudia, in particolare, con l’inserimento della struttura portante della grata, con la superficie indefinita della rete e con l’uso del colore rosso vermiglione, l’architetto darà una connotazione spiccatamente aerodinamica e moderna a tutto l’edificio accentuando fortemente nei due prospetti principali – dove erano posti gli ingressi della sala del pubblico – la dimensione orizzontale. All’inizio degli anni Trenta (1933), cade anche l'incarico per la Colonia marina del Calabrone, sul Tirreno, considerata dai futuristi come rappresentante dell'essenza dell'architettura futurista stessa, per i figli di postelegrafonici e di ferrovieri. Nel 1932 iniziano i contatti ufficiali dell’architetto con Marinetti e il Futurismo. In qualità di aderente al Secondo futurismo, Mazzoni ha elaborato e realizzato nel corso di vent'anni edifici profondamente innovativi, coniugando le istanze innovative dell' "architettura moderna" con una alta qualità delle realizzazioni, sempre caratterizzate dal particolare pregio dei materiali impiegati e dalle tecniche di realizzazione. Nel 1934 è tra i firmatari del Manifesto Futurista dell'Architettura Aerea. Allo stesso anno risale la Centrale termica e cabina apparati centrali della stazione di Santa Maria Novella a Firenze (1934), opera di architettura moderna considerata tra le più importanti della prima metà del Novecento. Tra i progetti affidati a Mazzoni merita di essere ricordato quello della nuova stazione Termini a Roma, i cui lavori furono avviati a partire dal 1924, ma si arrestarono nel 1943, in riferimento alla quale riteniamo interessante riportare l’autorevole commento di Marcello Piacentini: “La sua architettura è chiara, schietta, larga: essa rivela francamente la funzione degli edifici e nello stesso tempo è nobilissima e grandiosa. La facciata principale è costituita da un unico colonnato gigantesco, binato, sormontato da un attico e completamente aperto; la stazione sarà separata dalla piazza solamente da una vetrata attraverso la quale sarà possibile la visione di tutto il movimento dei treni: spettacolo moderno, vivo, dinamico. Pur essendo saporitamente moderno, nella sua schietta essenzialità, il portico ci richiama la larghezza e la maestà delle grandi composizioni romane, come i grandi porticati delle basiliche e dei fori. I fianchi si iniziano tanto su Via Marsala che sul Viale Principe di Piemonte con una serie di archi comprendenti l'altezza di due piani e sormontati da un altro ordine di archi, la cui luce è metà di quella degli inferiori: questi ultimi sono tagliati da una pensilina. Nella saletta Reale e Imperiale viene richiamato il motivo del prospetto principale con un portico assai più piccolo e di carattere diverso, semplicissimo e pure signorilmente raffinato. Un motivo dominante nei prospetti minori è quello del portico architravato a grandi luci, sorretto da colonne tozze senza capitello e sormontato da due ordini di finestre quadrate, a semplice taglio nel travertino. In complesso l'architettura è basata sul funzionamento, com'è logico in una stazione, e segue passo passo le singole necessità, palesandole esternamente: ne sono scaturiti dei fianchi vari, movimentati, interessanti, gustosi, pur conservando un carattere unitario. Vero è che le funzioni che si compiono in una stazione non sono molto elevate nella scala dei valori spirituali e sotto questo punto di vista ci si dovrebbe attenere ad un'estrema semplicità. Aspre critiche sono state mosse infatti ad altre stazioni, giudicate eccessivamente monumentali; ma in questo caso l'edificio della stazione domina una vasta piazza centralissima, su cui sorgono altri monumenti di grande valore: è insomma uno degli elementi più importanti della città, e sarà continuamente sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo anche riflettere che la stazione è il primo edificio che si vede arrivando: quello che ci dà il benvenuto e che deve subito rivelarci il carattere della città in cui si giunge. E' in una parola l'anticamera della città ed è giusto che, come l'anticamera dei palazzi antichi, sia fastosa e grandiosa. A conferire nell'insieme un aspetto particolare di signorilità contribuiranno assai i materiali impiegati, tutti nobilissimi. Le grandi colonne saranno in travertino romano; così pure i muri esterni saranno quasi ovunque rivestiti con lastre di travertino disposte a giunti continui. Le pensiline saranno rivestite in mosaico di vetro. Negli interni i marmi saranno usati con larghezza e possiamo anzi affermare che in tutti i particolari già studiati si nota la preoccupazione costante di attenersi alle migliori soluzioni, pur tenendo presenti le considerazioni economiche. Angiolo Mazzoni, che attraverso una serie di lavori, molti dei quali importantissimi (Stazione di Messina, di Reggio Calabria, di Bolzano, di Siena, di Montecatini, di Littoria ecc.; Palazzi delle poste di Agrigento, Sabaudia, Littoria, Grosseto, Massa, Pistoia, Gorizia, Novara, Ostia, ecc.), ha continuamente raffinato la propria sensibilità artistica, dimostra ora di essere pervenuto ad una sana ed esauriente maturità. Già la Stazione di Messina (dove il porticato eccessivamente lungo che congiunge la stazione centrale con la marittima poteva forse essere risparmiato), da poco ultimata, rappresenta la forte affermazione di un'architettura moderna, sana, armonica, largamente romana, pienamente convincente. La stazione di Roma, concepita nello stesso clima, ma ricca di ben altri mezzi, nata con maggior impeto creativo, costituirà un'opera di ben più alto valore. Ammirevole figura, quella di Angiolo Mazzoni! Pur dirigendo un ufficio e sopportando tutti i pesi della burocrazia, è riuscito ad imprimere, con fede e tenacia, a tutti gli innumerevoli lavori a lui affidati, il soffio vivificatore dell'arte e di uno spirito nuovo là dove da tempo l'architettura era limitata ai compiti modesti di pratiche di ufficio. Questo singolarissimo funzionario ha saputo conferire alla carica che egli copre nel Ministero delle Comunicazioni una importanza eccezionale ed un tono del tutto personale.” Di Mazzoni si è parlato anche in termini futuristi, oltre che per l’adesione al manifesto di Martinetti e la vivace militanza, per via di quelle soluzioni aerodinamiche che trasformano i suoi edifici in carlinghe spaziali, oppure in termini costruttivisti, evidenti nell’avveniristica Centrale Termica alla stazione di Firenze del 1933. Ma è altrettanto importante ricordare in Mazzoni l’uso e la conoscenza degli elementi classici e delle tecniche costruttive antiche, evidenti nei grandi saloni voltati della Stazione Termini, simili a criptoportici dell’età romana. Tratto distintivo è poi l’elemento creativo, l’originalità autonomamente recuperata della quale resta testimonianza nei pilastri delle Poste a Ostia, realizzati sfalsando tra loro i mattoni e imitando così la corteccia della palma, pianta simbolo dell’espansione coloniale africana. Novecentismo, futurismo, costruttivismo, razionalismo: l’opera di mazzoni sembra coinvolgere l’intero lessico architettonico del secolo mediante Sperimentazione e sintesi in una ricerca formale e funzionale che rende l’autore un rappresentante della continuità culturale col resto d’Europa. In realtà, Mazzoni giocò un ruolo determinante nella modernizzazione degli apparati di Stato e contribuì in modo radicale a definire alcune delle immagini forti del “Moderno” in Italia. Lavorando per uno dei Ministeri che più di altri influirono nella messa in rete delle grandi infrastrutture della telecomunicazione come i servizi postali e telegrafici, telefonici e ferroviari, egli influì con grande originalità alle elaborazione di una immagine profondamente rinnovata dell’edilizia pubblica e del suo più immediato messaggio, come strumento di comunicazione di massa. In maniera sostanzialmente parallela a quanto avveniva negli stessi anni per opera di altre strutture globali dello stato fascista in termini di opere pubbliche attraverso la realizzazione di ponti, strade ospedali case del Fascio e via dicendo, il contributo di Mazzoni alla definizione di un’immagine forte e convincente che allo s tesso tempo risultasse moderna, istituzionale, proiettata verso il futuro delle nuove tecnologie e insieme tenesse uniti i temi dell’adesione alle memorie e ai significati etnico-antropologici e storico-geografici dei luoghi risulta, soprattutto alla distanza dei decenni che ci separano da quelle esperienze, sicuramente fondamentale. Egli riuscì, attraverso l’impiego di morfologie fortemente simboliche, ancorate insieme alla lezione futurista e a quella novecentista (accenni dechirichiani e alla Sant’Elia sono evidenti nel suo linguaggio), l’adozione di tecnologie facenti capo alle innovazioni più aggiornate e di materiali tradizionali come la pietra, il marmo e il mattone, la dimensione dichiaratamente urbana delle sistemazioni alla scala”cittadina”, a connotare un’idea di architettura capace di affermarsi e di sopravvivere al tempo e alle mode. Un’architettura solida, quella di Mazzoni, capace di trovare pur nelle situazioni maggiormente a rischio compromissorio soluzioni originali e innovative, appunto nella strutturazione degli interni e nella dovizia delle soluzioni materiologiche (dal mattone, di cui ha fatto molto uso, alle pietre, al vetro, al metallo), quando nella puntualità progettuale certamente originale degli stessi arredi.del quale sorprende la capacità di conferire sempre a ogni sua realizzazione , anche la più modesta, una capacità evocativa, una coerenza linguistica, una complessità strutturale e una ricchezza di significati raramente riscontrabili in opere coeve. Il respiro internazionale della produzione mazzoniana testimonia così la capacità dell’autore di dialogare in profondità con alcune tappe centrali della cultura europea, dall’espressionismo tedesco al costruttivismo sovietico, rivelando poi la capacità di assorbire e reinterpretare anche gli etimi più profondi dello sperimentalismo italiano. Sono, infatti,rintracciabili nel suo lavoro percorsi immaginativi dal "Novecento" al Razionalismo, ma anche da questo al "Novecento", entro occasioni progettuali complesse e particolarmente sofferte (come per il palazzo delle Poste e dei Telegrafi di Ragusa, 1927-29, per la Stazione Ferroviaria di S.Maria Novella a Firenze, 1929-33, per quella di S.Lucia a Venezia, 1928-1943). E’ indubbio che ogni proposizione di Mazzoni dal livello strutturale a quello dei rivestimenti e degli arredi risulta corrispondere ad una acutezza progettuale ed estrema cura di realizzazione ed esecuzione, in una profonda consapevolezza delle valenze del manufatto architettonico, dall'impianto complessivo ad ogni più circoscritto particolare. Immaginava un'architettura di plasticità spaziale ed una qualità vivibile e persino, a volte, affabile dei rapporti di spazialità interna. La sua creatività passava per un'alta professionalità progettuale e realizzativa, una sapienza operativa volumetrica, spaziale, materiologica. Infine, l'esempio mazzoniano, nel suo profilo complessivo, costituisce una delle prove maggiori di un’epoca, che si è rivelata fra le più intense quanto a consapevolezza professionale dell'operare architettonico. Come pure dell'operare architettonico, proprio perché era caratteristica diffusa della moralità del tempo, che non ha niente a che vedere con il Fascismo e la sua cultura di pragmatismo propagandistico, ma risiede nel patrimonio d'una classe di professionisti espressi da una borghesia di cultura ed etica risorgimentale, che nel regime fascista ha trovato, sostanzialmente, soltanto lo strumento di una propria autonoma realizzazione. GLI ARTISTI DI MAZZONI Angiolo Mazzoni è il primo architetto italiano che si è ripetutamente valso dell’opera dei pittori e degli scultori, usando i quadri, i mosaici, le composizioni, le sculture in diretto rapporto con la costruzione, e rivelando così l’alta impronta della sua sensibilità. Il repertorio delle collaborazioni richieste da Mazzoni ad artisti plastici, pittori, scultori, decoratori, risulta infatti quanto mai ampio e appunto assai svariato rispetto alle relative posizioni di ricerca, sia pure riconducibili infine entro il profilo di alcune poche tendenze ben definite. Va tuttavia sottolineato che le collaborazioni con artisti costituiscono per Mazzoni una necessità di fatto soltanto complementare rispetto alla configurazione del proprio edificio. Infatti non riguardano questioni relative alla progettazione architettonica in quanto tale. Cioè non accade mai che Mazzoni chieda a un artista plastico una soluzione inerente, sia pure marginalmente, la configurazione progettuale di un proprio edificio. Tali collaborazioni hanno tuttavia un ruolo di completamento rispetto alla qualità complessiva dell’edificio stesso, in quanto si pongono come concorrenti alla caratterizzazione sia della presenza iconica evocativo-mitopoietica, sia dell’apparato decorativo dell’edificio stesso. Entro il quale tuttavia, com’è noto, la progettualità mazzoniana si spingeva anche al disegno degli arredi (veri e propri esempi di “proto-design”). Negli edifici mazziniani, gli interventi da parte di artisti, operati in concorrenze complementari d’accentuazione iconico-semantica rispetto al contesto architettonico, sia in esterni sia in interni, svaria dunque da uno specifico, e direi protagonistico, campo di proposizioni d’immagini, plastiche o pittoriche, a un ambito di interventi di funzionalità decorativa, che risultano sempre sostanzialmente coordinati in particolare al quadro ambientale interno dell’arredo. Il che avveniva rispondendo a una mentalità progettuale orientata al traguardo di una totalità strutturale, morfologica, decorativa e d’arredo dell’edificio stesso. Rispetto alla quale il ricorso alla collaborazione degli artisti diveniva essenziale, e si poneva in certa misura in una prospettiva di continuità rispetto alla stessa attenzione morfologica e materiologica da Mazzoni sviluppata nell’intenzione di stabilire un dialogo fra caratteristiche morfologico-paesistiche del luogo e manufatto architettonico. E in questo senso, se attivava la naturalità decorative dei materiali (anche tradizionali), appunto ricorreva a interventi plastici e pittorici in funzione di concorrenza semantica, ritenendo che “un architettura senza l’ausilio decorativo della polimateria, della scultura o della pittura altro non è che sterile espressione di povertà spirituale”. Quanto alla tipologia delle collaborazioni richieste da Mazzoni ad artisti plastico-visivi, queste andavano da pittura murali (anche sottoforma di teleri) a sculture (dal rilievo e altorilievo al tuttotondo), a interventi, soprattutto plastici, di natura decorativa. Una caratteristica comune degli interventi decorativi negli edifici mazzoniani è l’attenzione alla tradizione figurativa del luogo attuata sia attraverso il coinvolgimento di artisti della città, dove possibile, sia attraverso la ripresa di tematiche tratte da episodi della storia o della leggenda locale. La tipologia di edifici nella quale l’ampiezza delle collaborazioni risulta più consistente e articolata e quella degli edifici postali, con decisa prevalenza infatti rispetto a quelli ferroviari. E consideriamo anzitutto esempi di collaborazioni attinenti l’ambito del “Novecento”. Nel Palazzo delle Poste e telegrafi di Ragusa, elaborato in cinque progetti, fra 1927 e 1929, sono presenti delle sculture di Corrado Vigni. Una soluzione architettonica tipicamente “novecentesca” è il Palazzo delle Poste e telegrafi di Bergamo, ultimato nel 1931, che contiene nella sala dell’accettazione telegrafica i teleri murali di Mario Sironi, dedicati al lavoro agricolo e al lavoro industriale. Un altro esempio significativo è il Palazzo delle Poste e telegrafi di Gorizia nel quale Mazzoni chiede la collaborazione di Guido Cadorin per gli interventi decorativi e specificamente per le pitture murali all’interno del porticato esterno e sulla tromba delle scale. Si rivolse poi a Edoardo Del Neri per un dipinto murale su tela di fantasiosa visionaria figurazione e a Matilde Festa Piacentini per un mosaico. Il Palazzo delle Poste e telegrafi di Ferrara, ultimato all’inizio degli anni trenta, contiene interventi plastici di Napoleone Martinuzzi, autore di sculture in stucco, e interventi del pittore decoratore bolognese Giannino Lambertini. Il Palazzo delle Poste e telegrafi di Agrigento contiene interventi plastici d’orientamento “novecentesco” di Quirino Ruggeri, e interventi di natura decorativa di Matilde Festa Piacentini. Mazzoni si è valso dell’opera, come precedentemente detto, di artisti futuristi. Quella che costituisce la più importante occasione di opzione collaborativa a favore di artisti futuristi, da parte di Mazzoni, si registra nel Palazzo delle Poste e telegrafi di La Spezia, inaugurato nel 1933. Esso ospita all’interno, nella tromba delle scale, importanti pannelli liberamente sagomati come grandi frammenti in mosaici ceramici (“in ceramica ligure”) di Enrico Prampolini e di Fillia. I mosaici ceramici di Trampolini e di Fillia, Le vie del mare e del cielo, sono enormi frammenti d’immagine in sintesi simultanea, ai quali il mosaico dà concretezza di materia sul parato in cotto all’interno della costruzione mazzoniana. Un altro caso di orientamento futurista è il caso del palazzo della Direzione generale delle Poste e telegrafi di Trento, ultimato nel 1934, dove Mazzoni anima il salone d’ingresso del dopolavoro e il salone interno di scrittura con tre grandi vetrate assai dinamiche di Tato, tre di Depero, d’effeto più decorativo, e altre di Trampolini; affidandosi dunque fortemente a un effetto di filtrazione cromatica-luminosa. All’esterno, sul retro della facciata principale, c’era un affresco di Luigi Bonazza, dedicato alla storia di Trento. Un’altra grande occasione di opzione per un orientamento rivolto a collaborazioni con artisti futuristi è rappresentato dal Palazzo delle Poste e telegrafi di Palermo, ultimato nel 1934, dove si registrano interventi murali o d’arredo. I primi riguardano i cinque famosi teleri di Benedetta nelle sale delle conferenze, dedicati alle diverse “comunicazioni”, terrestri, aeree, marittime, telegrafiche e telefoniche. Gli interventi Fortunato Depero, Il lavoro, 1933, d’arredo, invece, riguardano le tende ricamate “a punto di bozzetto di vetrata per il palazzo della Burano” di Bruna Somenzi, moglie dello scrittore e teorico futu Direzione generale delle Poste e telegrafi rista Mino Somenzi, sia nella sala del direttore che in quella di Trento, tempera su cartoncino, delle conferenze. 91 x 52 cm (collezione privata, Roma) LA STAZIONE FERROVIARIA DI BOLZANO 1. Storia della stazione L’esistenza e lo sviluppo della città di Bolzano sono in diretta connessione coi traffici, già dal tempo della romana Pons Drusi. Il primo nucleo organizzato della città sorse, probabilmente dopo il Mille, proprio allo scopo di controllare la “Via degli Imperatori” nel punto in cui questa prendeva a salire sull’altopiano del Ritten-Renon, per poi scendere in località Kollmann e quindi proseguire verso il passo del Brennero. Proprio le variazioni di pendenza della strada alle pendici del Ritten inducevano ad una pausa: ed ecco che nella conca pianeggiante della futura Bolzano sorsero le prime locande, le prime attività artigianali al servizio degli uomini e dei veicoli di allora, trainati da animali. Dall’iniziale, unico asse viario lungo via Portici, la struttura urbana si ampliò con lo sviluppo dei commerci, facendo sorgere alberghi e botteghe e magazzini anche al di fuori delle mura. Grande impulso venne dall’istituzione delle fiere, regolamentate nel Seicento da Claudia de’ Medici. Nella prima metà dell’Ottocento la città di Bolzano era ancora separata dagli adiacenti comuni di Gries e Zwolfmalgreien. Il confine col primo era segnato dal torrente Talfer, quello con Zwolfmalgreien si sviluppava immediatamente a sud del centro storico di Bolzano, nella zona dove sarebbe poi sorta la stazione ferroviaria. In quel periodo la situazione economica era molto critica in conseguenza delle guerre, della carestia, dell’istituzione del porto franco a Trieste, col conseguente spostamento in quella direzione dei traffici provenienti da nord. In particolare negli anni Quaranta-Cinquanta, con la costruzione della ferrovia Milano-Venezia poi collegata al porto di Trieste, Bolzano si trovò penalizzata nella sua storica funzione di transito dei traffici commerciali fra l’area centro-orientale dell’Europa e la penisola italiana. E’ naturale che i trasporti venissero orientati non sui percorsi più brevi bensì lungo le direttrici che garantivano (grazie al treno) comunicazioni più veloci. Gli abitanti di Bolzano erano, allora, poche migliaia e la struttura urbana, sostanzialmente d’impronta medioevale, era segnata ormai dal degrado. Le fabbriche nel Sudtirolo erano pochissime. In quella difficile situazione, l’apertura della ferrovia ebbe uno straordinario effetto propulsore che rapidamente mutò le sorti della città. Il treno giunse a Bolzano nel 1859 con la linea che proveniva da Verona, allacciando già la città tirolese con Venezia e Milano. Otto anni più tardi venne ultimato il segmento per BrenneroInnsbruck: ed ecco che Bolzano tornò ad essere luogo privilegiato di transito tra il LombardoVeneto e la Germania. Nel 1871, grazie alla ferrovia della val Pusteria, Bolzano si trovò collegata anche a San Candido e Villach; dieci anni dopo si aggiunse il tronco per Merano, che a cavallo del nuovo secolo proseguì da Merano verso Malles. I primi effetti positivi della ferrovia si avvertirono, per Bolzano, già durante la costruzione della Verona-Bolzano, che impegnò operai e tecnici locali attirando anche manodopera italiana, e fece affluire capitali nella zona. Ben presto il treno funzionò da volano sul piano economico, dato che consentiva un rapido trasferimento delle merci, e quindi un ottimo smercio oltralpe dei prodotti locali. Sul nuovo potente mezzo viaggiavano sempre più numerose anche le persone: ed ecco svilupparsi rapidamente il turismo. La zona di Bolzano-Gries divenne meta prediletta della nobiltà e della borghesia austro-ungarica, e per quel turismo di alta classe sorsero via via lussuosi alberghi che fecero sviluppare una stazione di cura e soggiorno fra le più moderne e signorili in Europa. Il rapido incremento delle risorse economiche attrasse la popolazione dei dintorni. A Bolzano gli 8000 abitanti del 1850 erano già quasi 12000 quarant’anni dopo. Con la popolazione si ampliava anche la struttura urbana, mentre sorgevano le prime attività industriali. 2. Il ponte sull’Isarco e il primo assetto della stazione Per giunger alla città di Bolzano, la ferrovia dovette attraversare l’Isarco con un grande ponte a quattro campate di 20 metri di luce con pile e spalle in pietra rafforzati da grandi conci di porfido, e palco sorretto da quattro travi di bandone di ferro. Nel 1859 la stazione di Bolzano si sviluppava su un’area di 80 mila metri quadrati, con un piazzale lungo 750 metri. Il piazzale, sopraelevato rispetto ai campi circostanti di due o tre metri, sorgeva su un terrapieno sorretto da muri. Data la sua importanza, la stazione di Bolzano venne dotata fin dall’inizio di una casa dei viaggiatori di grandi dimensioni, formata da un corpo centrale a pianta semiottagonale che sporgeva sulla piazza; l’edificio si prolungava lato Brennero con un’ala dov’erano situate la sale d’attesa col ristoratore. Un'altra ala si sviluppava sul lato meridionale. Una tettoia adiacente al corpo principale copriva i binari proteggendo i viaggiatori dalle intemperie. Per visualizzare la disposizione dei fabbricati nell’impianto di Bolzano, dobbiamo vedere i disegni dell’archivio delle FS a Bolzano. Una planimetria datata 1897 mostra il fabbricato dei viaggiatori e, allineati con questo in direzione sud, un fabbricatine accessorio, un giardino dotato di Blumenhutte, l’ampia Wagen-Remise. Di fronte al fabbricato principale, al di là del fascio dei binari di stazione, scorgiamo la Locomotiven-Remise: da questa i mezzi di trazione La stazione di Bolzano in una foto di Lotze precedente all’inaugurazione potevano essere condotti alla Werk della ferrovia (circa 1858). Si vede l’imponente tettoia che doveva coprire stattengabaude, che disponeva di tre I due binari di corsa. binari con fossa d’ispezione sotto cassa. Adiacente all’officina c’era il magazzino dei materiali, il cui fabbricato confinava con proprietà private sul lato orientale. Un successivo disegno del Novecento mostra un modesto ampliamento della sede ferroviaria sui lati dell’officina con la sistemazione di vasti Kohlenlagerplatz (depositi di carbone per il rifornimento delle macchine a vapore). Un cambiamento rilevante avvenne tra il 1905 e il 1910 con due vasti espropri sul lato orientale. Sull’area più ampia venne costruita una nuova rimessa locomotive con binari a raggiera e piattaforma girevole. Sulla seconda area espropriata vennero costruiti alcuni fabbricati per alloggi del personale ferroviario. Lo stesso disegno del 1910 lascia intuire un progetto di rifacimento del fabbricato viaggiatori, Nei pressi, lungo l’attuale via Garibaldi, lato Trento, è scomparsa la rimessa carrozze; compare invece la sede della ferrovia per Caldano. Contemporaneamente, lungo l’attuale via Renon, a fianco del nuovo magazzino doganale, compare la sede della Rittner Bahn con piccole rimesse per carrozze e locomotive e magazzino con rampa di carico. Vicino alla stazione di Bolzano, fin dall’inizio era stato creato un grande parco pubblico che venne via via arricchito di piante esotiche. 3. Bolzano della seconda metà dell’Ottocento A Bolzano il rapido sviluppo delle attività, lo spostamento del centro di interessi a sud del nucleo storico e l’incremento della popolazione determinarono la necessità di un piano urbanistico che indicasse le linee di un rapido ampliamento della città. Fu Sebastian Altmann, architetto di Monaco incaricato dall’amministrazione comunale, a disegnare nel 1860 il primo intervento di pianificazione urbanistica riguardante proprio la zona della stazione. Il fabbricato di stazione era sorto al di fuori non solo del centro urbano ma dei confini stessi del Comune di Bolzano. Le strade di Bolzano erano racchiuse intorno al nucleo antico, e in direzione della ferrovia si spingeva solo il recinto quadrangolare del cimitero comunale. Altmann si propose di realizzare una continuità fra l’abitato e la nuova infrastruttura ferroviaria, e a tal fine disegno quattro strade che partivano, a raggiera, dalla stazione. La principale, Bahnhofsallee, seguiva la linea retta fra stazione e Duomo attraversano il parco. La Laurinstrasse tagliava in direzione della piazza Dreifaltigkeit (oggi piazza Municipio). Le altre due strade si affiancavano, sui lati opposti partendo dalla stazione, al tracciato ferroviario: si trattava della Marktstrasse e della Bahnstrasse, le attuali via Garibaldi e via Renon. I nuovi tracciati viari guidarono l’insediamento delle successive costruzioni; così poco a poco si creò un continuum fra città e piazzale della stazione. E poiché nel 1870 si disegnò, per la zona sudoccidentale di Bolzano, il piano regolatore della Neustadt (attuali via Dante, Carducci e Marconi), e, mentre sorgeva il nuovo quartiere, si effettuarono interventi nella intermedia zona storica, ecco che, nel giro di trent’anni, si realizzo la saldatura fra la città nuova e il quartiere della stazione, con una stretta integrazione fra zona monumentale e nuove realtà abitative strutturali. Nel piazzale della stazione, intanto, sorgevano imponenti edifici: nel 1882 palazzo Widmann (attualmente sede della Giunta Provinciale) e nel 1884 l’hotel Viktoria. Si svilupparono nuovi collegamenti fra Bolzano (con ovvio riferimento alla stazione ferroviaria) e le località circostanti. Nel 1898 si inaugurò la linea Bolzano-Caldaro, completata cinque anni dopo con la funicolare per Passo Mendel che metteva in comunicazione con la Val di Non. La piazza centrale di Bolzano, denominata Johannesplatz in onore dell’arciduca Giovanni d’Asburgo, nella seconda metà dell’Ottocento venne dedicata al poeta Walther von der Vogelweide, al quale nel 1889 venne eretto un monumento. Intanto la presenza della ferrovia aiutava lo sviluppo delle imprese. Se prevalevano i piccoli artigiani e gli esercizi commerciali a gestione familiare, sorgevano sempre più numerose aziende di commercio all’ingrosso e di trasporto, nonché aziende produttrici, che facevano affluire manodopera alle zone circostanti ma anche dal Trentino e dal Veneto. Nel 1907 venne completata la ferrovia mista a cremagliera e adesione Bolzano-Ritten. Una linea di collegamento con l’altopiano, allo scopo di togliere quell’ampia zona montuosa dal secolare isolamento, era stata progettata fin dalla seconda metà dell’Ottocento, ma si era scartata l’idea di una cremagliera a vapore a causa degli alti costi che avrebbe comportato. Nei primi anni del Novecento prendeva avvio la costruzione della rete tranviaria che era nel programma del sindaco Julius Perathoner. Nel 1909 venne ultimata la Grieser Bahn che dalla stazione FS di Bolzano giungeva a Gries attraversando il centro storico. Nel 1914 iniziò il servizio la Stankt Jakob Bahn, che attraversava l’Isarco e in seguito fu prolungata fino a Laives. Anche le tranvie per Gries e Sankt Jakob e la funicolare del Guntschna vennero inizialmente gestite dalla Sudbahn. Il comune di Bolzano nel 1911 attuò l’unificazione col territorio comunale di Zwolfmalgreien. Intanto si sviluppava sempre più il turismo, in particolare nella zona di Gries, che fin da metà Ottocento aveva iniziato la costruzione di hotel, stabilimenti, bagni, e che rapidamente vedeva aumentare la clientela, soprattutto a fine secolo. Proprio in considerazione di questa importante attività turistica la stazione ferroviaria gia a fine secolo aveva assunto la denominazione di BozenGries. La guerra segnò una battuta d’arresto nello sviluppo della città e bloccò i programmi che la Sudbahn stava elaborando per ingrandire la stazione ferroviaria, tuttavia le distruzioni belliche furono limitate. 4. Interventi del governo fascista per una stazione “italiana” Negli anni immediatamente successivi all’acquisizione, da parte italiana, del territorio fino a Brennero, il Ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano (il Ministero era stato istituito nel 1924) avviò il rinnovamento della stazione di Bolzano, che comportava la sistemazione del fabbricato dei viaggiatori e dei binari adiacenti, lo spostamento dello scalo merci, la costruzione di una nuova rimessa locomotori con officina e squadra rialzo. Si prevedeva anche l’elettrificazione della Verona –Brennero, la costruzione di una trentina di fabbricati-alloggio per il personale italiano nonché il trasferimento a Bolzano della Sezione Lavori di Trento. Questa politica di potenziamento degli impianti sulle linee ferroviarie di confine rivestiva grande interesse nel generale processo di italianizzazione dell’Alto Adige voluto da Mussolini. Per realizzare l’ingrandimento e la sistemazione generale della stazione di Bolzano – dove il fabbricato ottocentesco e il fascio dei binari erano ormai inadeguati rispetto al crescente traffico dei passeggeri e delle merci – le FS, alla fine del 1924, presentarono un progetto che prevedeva l’ampliamento della stazione verso l’Isarco. Ma quella soluzione avrebbe comportato difficoltà di comunicazione fra i nuovi impianti per le merci e la città. Un certo signor Ronchetti lancio l’idea di demolire tutta la stazione esistente per ricostruirla in località Bozner Boden, verso l’Isarco. Ma lo spostamento sarebbe stato minimo, perché si doveva evitare un’ascesa impossibile per il transito dei treni. Inoltre quella soluzione sarebbe costata 120 milioni di lire. Un’altra soluzione era quella di trasferire oltre l’Isarco tutti i binari di manovra, gli impianti per il servizio trazione e lo sbocco della ferrovia meranese: così a Bolzano si sarebbe ottenuto lo spazio sufficiente per il movimento viaggiatori e per il traffico delle merci da caricare e scaricare in città. Successivamente un certo ingegner Perwanger propose quattro varianti. Le prime tre prevedevano il trasferimento dell’impianto di stazione; nella quarta, invece, si prevedeva di collocare oltre l’Isarco anche i magazzini merci per la città. Ma ben presto questi costosi progetti di trasferimento vennero abbandonati e si concentrò l’attenzione sul fabbricato viaggiatori esistente con l’intenzione di ristrutturarlo radicalmente. L’incarico per lo studio della parte architettonica venne affidato ad Angiolo Mazzoni, che era allora Ispettore Principale delle FS, il quale avrebbe in seguito rinnovato anche la stazione del Brennero e costruito ex-novo l’edificio di Trento. Dopo alcuni studi Mazzoni decise di conservare la parte semiottagonale creando l’Atrio Partenze nel cortile semiottagonale di questa vecchia costruzione e di collocare il Ristoratore all’estremità dell’ala verso il Brennero aggregando ad esso un giardino. Fu decisa anche la costruzione di un torre che con il corpo centrale sporgente inquadrasse la vista del Catinaccio. Poiché il progetto approvato prevedeva l’uso della pietra artificiale, il Municipio di Bolzano chiese che per rendere le strutture decorative della facciata “più confacenti al carattere monumentale e più decorose e durature nella loro integrità”, venisse messa in opera la pietra da taglio. L’edificio, però, venne realizzato per la maggior parte, come previsto, in pietra artificiale. I lavori di rifacimento del complesso – che si è mantenuto pressoché intatto fino ai giorni nostri – iniziarono nel maggio del 1927. L’appalto venne aggiudicato alla ditta Giuseppe Zanetti di Brescia. 5. Struttura della stazione Pianta del corpo centrale del fabbricato viaggiatori di Bolzano L’ossatura dell’edificio austriaco venne mantenuta inalterata e venne ampliato sia in pianta che in elevazione. Le ali verso il Brennero e verso Verona furono costruite completamente nuove. Il corpo centrale venne allargato costruendo ai vertici dell’ottagono dei corpi di fabbrica di forma triangolare. Il fulcro dell’edificio è costituito da un corpo di fabbrica di forma trapezoidale nel quale è ospitato l’ingresso. La facciata principale è costituita da otto semicolonne cilindriche che sono poste sopra un basamento inciso da una breve scalinata e sono intervallate da delle aperture. La sommità delle colonne è rifinita con una pesante vernice colorata. Ai fianchi del semiottagono, l’edificio ristrutturato si prolungava con due corpi di fabbrica a pianta rettangolare differenti per altezza e funzioni. Il complesso si articolava, dunque, in più elementi distinti che, mentre visivamente si saldavano sul fronte prospiciente i binari, davano una sensazione di movimento a chi osservasse la stazione dal lato esterno. Sulla facciata principale si trovano due figure allegoriche alloggiate in nicchie: una rappresenta l’Elettricità e l’altra il Vapore. Queste figure furono realizzate dallo scultore austriaco Franz Ehrenhofer che fu l’autore di tutti gli elementi scultorei che decorano l’edificio. Un altro gruppo statuario si trova alla base della torre che venne decorata con un gruppo allegorico raffigurante i fiumi della regione, cioè l’Adige, Passer, Isarco e Rienz. Ai piedi della torre si trova una fontanella che è costituita da una colonna dalla quale zampillano i numerosi getti d’acqua. Alla sommità di questa colonna si trova la statua di S.Cristoforo, il protettore dei trasporti. Al centro del grosso fregio che sormonta le semicolonne, sulla linearità del profilo emerge la presenza ritmica di una serie di protome la cui sagoma sembra adattarsi più a un edificio teatrale che non ferroviario. Varcato il portone d’ingresso, il viaggiatore attraversava un primo atrio e poi l’adiacente atrio partenze, dove trovava l’Ufficio Biglietti, il vasto deposito bagagli, il comando della Milizia e, nei pressi, le sale d’aspetto suddivise per classe. Dalle sale d’aspetto, s’accede al marciapiede coperto dal primo binario. Sulla sinistra ,dopo l’atrio d’uscita, si trovano le sale del ristoratore, sempre divise per classe e con arredi studiati su misura (sulla strada esterna il ristoratore era segnato da un ampio portale decorato). Nell’ala sud, al pian terreno, si trovano i locali relativi al movimento e al personale viaggiante, dotati di un proprio ingresso dinanzi al quale ricompare il tema della coppia di pilastri terminanti con un lampione quadrangolare. Al primo piano erano insediati gli uffici della Sezione Lavori delle Ferrovie. La pensilina in ferro venne costruita ex-novo e permetteva al viaggiatore di spostarsi lungo il marciapiede e di accedere al sottopassaggio che fu arricchito da rivestimenti in marmo. Negli impianti sotterranei del ristorante si svolge tutto il servizio di cucina, di lavaggio stoviglie, refrigeranti, dispense e cantine. Qui Mazzoni ha messo in atto tutti i migliori insegnamenti della tecnica moderna . Infatti creò un ambiente armonico, comodo e sano dove l’ordine e la pulizia potessero svolgersi agevolmente. Molto curati furono i serramenti, le opere in legno in genere, i lampadari distribuiti nei diversi locali adibiti ai viaggiatori (ditta Cesare Greco di Milano) e le opere in ferro e bronzo( ditta Silvestri di Trento). Caratteristica saliente dell’edificio è quella di essere costituito da un complesso di elementi volumetricamente differenziati e strettamente interconnessi, determinata in origine come vincolo, ma che nello svolgimento del progetto si trasforma in opportunità per Mazzoni nell’individuare una distribuzione più razionale ed efficace delle varie funzioni, secondo una chiara distinzione e con un esito che investe allo stesso modo la valenza urbanistica dell’edificio e la sua introduzione nel paesaggio urbano. Un elemento molto importante della stazione fu la scelta dei materiali e il loro trattamento. Mazzoni adotta una gamma ristretta di materiali basata su un rivestimento in pietra artificiale di colore rosa, scalfito da una trama geometrica che riproduce la struttura tettonica del paramento in conci di pietra. Su questo si inseriscono ampie superfici a intonaco, segnate da una fitta sequenza di stretti solchi orizzontali rettilinei che bagnano con un’ombra diffusa il colore grigio chiaro della materia, soprattutto qualificandola con un forte senso plastico. Altre componenti minori sono, ancora, gli inserti in pietra artificiale bianca del basamento e pochi complementi in porfido e in marmo chiaro negli interni. La stazione, che doveva rispondere a precise finalità politiche del regime, fu oggetto di critiche. Mentre l’intervento stava per essere ultimato, il ministro Ciano accuso, infatti, il progettista di aver impresso alla stazione di Bolzano ed alle case dei ferrovieri costruite nell’Alto Adige “forme tipicamente tedesche, offendendo chi per la patria aveva sofferto per portarne i confini fino al Brennero e al Quarnaro”. Tuttavia il Duce fu di diversa opinione: due lettere indirizzate a Mazzoni nel dicembre 1927 assicuravano che la stazione era di gradimento del Capo del Governo, perché non mostravano alcun influsso tedesco. Prima dell’inaugurazione lo stesso progettista espresse in un telegramma ai familiari la propria soddisfazione: “Sua eccellenza Ciano soddisfatissimo et Prefetto espressomi sue congratulazioni et alto compiacimento sua Maestà”. Commenta lo stesso Mazzoni, negli appunti, che con quell’edificio si era interrotto, nelle FS, il sistema burocratico di progettare le opere architettoniche. Malgrado le difficoltà derivanti dall’esigenza di garantire la continuità dell’esercizio, l’intervento era stato condotto con celerità e senza interruzioni nei mesi invernali, cosi da concludersi nell’arco di un anno. La nuova stazione venne inaugurata il 24 maggio 1928, contemporaneamente al grande monumento alla Vittoria, enfatico emblema del Regime. CASE PER FERROVIERI IN ALTO ADIGE Oltre alla stazione di Bolzano, molto importanti furono una serie di edifici ferroviari minori che gli vengono affidati dall’Amministrazione Ferroviaria dell’Alto Adige. In particolare si tratta di edifici residenziali situati in piccole località lungo la val d’Isarco, sulla linea Bolzano-Brennero, la val Venosta, sulla linea Bolzano-Malles, e la val Pusteria, sulla linea Fortezza-San Candido. Le casette, pittoresche e movimentate, hanno piacevole sapore e fresca ispirazione. Mentre la stazione di Bolzano è ispirata a forme moderne, gli edifici ferroviari sono piuttosto orientati verso le espressioni dell’architettura minore locale. Alla necessità di una loro rapida realizzazione, risolta attraverso “l’adozione di un tipo unico e pressoché unico di fabbricato”, basato su una tipologia in linea a due e tre piani, si sovrappone l’esigenza di segno opposto di definire una loro ambientazione, esigenza alla quale Mazzoni risponde ricorrendo al criterio di “modificare il tipo stesso nei particolari in modo che la verità delle costruzioni appaghi l’occhio e si adatti al panorama circostante”. Muovendo pochi ma essenziali elementi, sia materici sia di aggettivazione volumetrica, come in un calibrato gioco di variazioni, Mazzoni coglie l’occasione di dare vita a una sorta di intermezzo narrativo, un breve e personale repertorio di architettura alpina reinterpretata in chiave di sobrio medievalismo, memore della lezione giovannoniana. Una stessa controllata misura separa questi episodi tanto da accentuazioni in senso vernacolare e populistico, quanto, e ancor più, dalla marginale arroganza di certa architettura periferica spesso sostenuta da un solerte zelo celebrativo. A Casteldarne (linea Fortezza – San Candido) Arch. A. Mazzoni : Case per i ferrovieri nell’ Alto Adige A Dobbiaco – Linea della Pusteria Arch. A. Mazzoni : Case per ferrovieri nell’ Alto Adige LA STAZIONE FERROVIARIA DEL BRENNERO 1. Brennero stazione di confine La località di Brennero, oggi al confine fra l’Italia e l’Austria, è attraversata, nel solco profondo fra i monti, dalla statale del Brennero, dalla ferrovia e dall’autostrada. Più avanti, già in territorio austriaco, la ferrovia fiancheggia il lago di Brennero con la stazione di Brennersee, sita in comune di Gries am Brenner. Il cippo di confine venne collocato ufficialmente il 2 ottobre 1921. Già prima dell’arrivo dei Romani, nell’età del Bronzo, il solco del Brennero, ancora disabitato e coperto da una foresta, presentava una mulattiera, probabilmente situata nella posizione elevata della Malga del Cambio. I Romani costruirono una strada, e la sella spartiacque venne a trovarsi in posizione intermedia fra Vipitenum e Matreium. Nel 490 il popolo bavarese attraverso il valico e nei secoli seguenti compirono questo stesso percorso sovrani, commercianti e viaggiatori. Nel XII secolo presso lo spartiacque si insediò un maso Prenner o Prennerius, da cui il toponimo. Due secoli più tardi si allestì il primo albergo. Quando venne costruita la ferrovia, Brennero era un piccolo villaggio con la chiesetta consacrata a San Valentino, un albergo e poche case. In corrispondenza di quel paesino di valico venne fissata una stazione che era assai modesta. Costituita da appena tre binari, era una stazione di culmine cui facevano capo le locomotive di spinta. Dopo l’apertura della ferrovia vennero eretti nuovi edifici, altri vennero restaurati. Nella stazione si aprì un ristorante. Quando, alla fine della prima guerra mondiale, lo spartiacque venne assunto come confine di Sato, improvvisamente Brennero divenne stazione di confine, cui faceva capo una linea di comunicazione principale fra l’Italia, Austria e Germania. Era una stazione costruita a ridosso della montagna, per cui non poteva espandersi: perciò i servizi di transito vennero in parte assegnati a Fortezza e Innsbruck. Il piazzale di Brennero venne ampliato con l’aggiunta di due nuovi binari. La “stella” di Brennero, una struttura concepita per poter girare le locomotive in uno spazio ristretto. Dal 1919 al 1922 le ferrovie elaborarono vari progetti, ma la soluzione era resa difficoltosa dalla mancanza di spazio. Nell’unica area disponibile, situata sull’estremità a nord-est della stazione, venne realizzata, nel 1922, un’originalissima “stella”: era stata disegnata da uno studioso trasformando il normale impianto a “triangolo” proprio per i casi di spazio ristretto. Un’impianto per la tiratura venne allestito anche a San Candido, che era la seconda recente stazione di confine. A partire dal 1925 la ferrovia Brennero-Innsbruck venne elettrificata col sistema a corrente alternata monofase. Il Governo italiano non consentì l’allacciamento con le ferrovie austriache nella stazione di Brennero: così i treni dovevano essere trainati da una locomotiva a vapore per un tratto di 1300 metri, da Brennersee a Brennero. Il piccol segmento senza linea elettrica venne mantenuto, con conseguente perditempo nonché impegno di personale, fino al 1934, quando finalmente l’allacciamento venne autorizzato.Ad Innsbruck operava una delegazione italiana con squadra rialzo. Al momento in cui le linee ex-austriache erano passate alla gestione delle Ferrovie dello Stato italiano, il fabbricato viaggiatori di Brennero era costituito da due parti contigue disegnate architettonicamente su uno stesso modello, ma differenti: una era eseguita in pietra da taglio ben lavorata, l’altra (dovuta quasi certamente a un ampliamento) in intonaco e rilievi di cemento piuttosto grossolani. Per le esigenze immediate si adottarono provvedimenti di carattere provvisorio, costruendo una grande baracca di legno per il servizio doganale e una per la pubblica sicurezza, e adattando alla meglio i locali disponibili nell’edificio principale. Quel modesto ampliamento fu eseguito mantenendo le linee architettoniche della costruzione austriaca. Nei primi anni Venti, oltre alla “stella”, si costruì un deposito locomotive. Nei progetti per l’ampliamento definitivo del fabbricato viaggiatori ebbe un ruolo determinante la personalità dell’architetto Angiolo Mazzoni, le cui soluzioni dettero alla stazione l’impronta che si è mantenuta fino ai giorni nostri. Dapprima si pensò di aggiungere due ali al vecchio fabbricato, con un disegno che doveva ambientarsi nel paesaggio secondo ritmi molto movimentati, “prevedendo però – come leggiamo in una relazione delle FS – una parte principale che per masse e per rapporto di pieni e vuoti desse a tutto l’edificio l’importanza conveniente”. A quel primo progetto non venne dato corso, soprattutto perché doveva essere ancora precisata la località destinata agli impianti doganali FS. Quando venne stabilito in modo definitivo che la visita doganale dei viaggiatori in transito sul Brennero sarebbe stata trasferita, da Vipiteno, proprio nella stazione di confine, si pensò di conservare il vecchio, modesto fabbricato ampliandolo quel tanto che consentisse una pronta sistemazione degli Uffici ferroviari e della Pubblica Sicurezza. Quel progetto venne approvato dal Ministero nel gennaio 1925 e realizzato per la prima parte. Con proposta aggiuntiva si suggerì anche la costruzione di una lunghissima ala verso sud ad un solo piano, da adibirsi ad uso della Dogana. Questo ulteriore intervento, anch’esso approvato, rimase però sospeso. Infatti mentre di svolgevano le formalità per il nuovo appalto, giunse la richiesta del Ministero delle Finanze di ricavare in quel nuovo corpo di fabbrica locali per il servizio d’alloggio degli impiegati della Dogana. La Direzione Generale FS era disponibile ad accogliere la domanda (purchè venisse corrisposto un canone d’affitto), e d’altra parte la costruzione di quella lunga ala ad un sol piano, “progettata con criteri economici, non sarebbe risultata sufficiente ai bisogni e adeguata all’importanza di una stazione di confine quale è quella del Brennero, dove invece, per ragioni di opportunità e politiche, si ritiene che si debba provvedere per ogni nuovo impianto organicamente e con larghezza di vedute”. 2. Il disegno di Mazzoni Si modificò, pertanto, il disegno della nuova ala, prevedendo un edificio più elevato, di severa linea architettonica e con portico in sostituzione della pensilina in legno, per tener conto del rigore del clima e della frequenza delle nevi. In quel fabbricato sarebbero stati collocati, al pian terreno, gli Uffici della Dogana e della Posta, nei piani superiori otto alloggi per il personale della Dogana. Architettonicamente, nello studiare quegli interventi, si ritiene opportuno attenersi “alla signorile semplicità adatta per un edificio alpino, ricavando gli effetti decorativi dall’uso del materiale, con speciale cura nello studio dei particolari…”. Per armonizzare l’effetto estetico del fabbricato già esistente con quello in costruzione si pensò di sostituire la pensilina in ferro con una in legno coperta da tegolette piane smaltate in verde e giallo e disposte secondo disegno geometrico all’uso locale. Quanto alla facciata esterna, si ventilò l’ipotesi di mascherarla alla vista, verso la strada nazionale, piantando una filare di alberi lungo tutto il fabbricato. A nascondere ancora di più la facciata avrebbe contribuito la mensa dei ferrovieri, da erigersi tra il fabbricato viaggiatori e la strada nazionale. Ferruccio Businari, Capo dell’Ufficio Costruzioni FS, in una relazione sui lavori notava che “l’ottimo effetto dell’architettura dell’edificio della nuova dogana rende stridente il contrasto del vecchio fabbricato col nuovo ad esso adiacente”. “Si impone – aggiungeva il funzionario – il prolungamento del portico su tutta la fronte, e ciò porta alla ricostruzione delle fondamenta della parte di fabbricato esistente. Si avrà cos’ un FV veramente imponente e comodo e degno di stare al confine di una grande nazione”. Il nuovo fabbricato – scriveva sempre Businari in una successiva relazione dell’ottobre del 1928 – è stato recentemente coperto. E’ riuscito quale si voleva: un’opera di carattere prettamente italiano. Il suo portico verso ferrovia ampio e comodo arieggia a castello o a grossa fattoria cui dà ricchezza l’impiego di pietra da taglio, granito e porfido. Il prospetto verso il piazzale esterno è anch’esso ben riuscito. L’effetto è superiore a quello che risultava dal disegno, cosa che accade in genere con l’architettura semplice e robusta che caratterizza la concezione del nostro architetto Mazzoni”. Dato l’ottimo risultato per il piazzale esterno, non si parlò più di alberi, anzi l’eventualità di creare una “piazzetta italiana” venne scartata proprio per non nascondere il bell’edificio. Si preferì lasciare il piazzale aperto, utilizzandolo per un percorso di traffico laterale alla parallela via nazionale così da avere un’area tranquilla; si puntava a superare nei modi opportuni il dislivello esistente fra il vestibolo della stazione e la strada, che era distante una trentina di metri. Quanto ai fabbricati già esistenti sul piazzale, era necessario demolire le povere costruzioni esistenti: “compreso l’asilo” si raccomandava nel 1928, auspicando che “venisse posta in luce la preziosa piccola chiesa medioevale esistente”. In un disegno a firma di Mazzoni redatto in quegli anni, prende forma la piazzetta triangolare con i lati costituiti dal fabbricato viaggiatori, dall’esistente asilo dell’Opera presieduta da S.A.R. la Duchessa d’Aosta, mentre il terzo lato veniva formato, come leggiamo in una relazione del 1929, dalla “nuova canonica, nella quale dovrebbero trovare sede anche i servizi sanitari… questo edificio intercetterebbe la vista del brutto casale di campagna situato a lato della chiesa verso il confine”. Seguiva “la bella chiesa, da sistemare con pochissime opere di ripristino, nonché l’esistente Albergo della Posta, dove aveva sostato Goethe nel suo viaggio in Italia e da dove – precisavano puntigliosamente i funzionari delle Ferrovie – comprese che lasciava il Settentrione per entrare nella patria della sua grande anima di artista”. L’accesso all’albergo e alla chiesa avveniva per rampe alberate. Lungo la fronte dell’asilo, Mazzoni aveva allineato altri alberi per meglio ambientare la piazza nel paesaggio circostante. Ulteriori fabbricati da costruire erano quelli del Dopolavoro Ferroviario e della mensa, oltre alla nuova scuola. Si prevedeva che gli edifici già sistemati e quelli ancora da costruire, oltre all’allestimento della piazza, venissero coordinati architettonicamente in unità di indirizzo artistico. Il progetto venne esaminato collegialmente da funzionari delle varie amministrazioni interessate. Intanto nel paese di Brennero erano stati costruiti tre fabbricati alloggi per i dipendenti della ferrovia; altri sarebbero sorti ad uso di caserme e alloggi per la Pubblica Sicurezza. L’intervento sul fabbricato viaggiatori a Brennero si concluse nel 1930. Potè cosi essere ricollocato il busto dell’ingegner Carl von Etzel, che era stato rimosso nel 1927 dall’originaria posizione per lasciare spazio all’edificio doganale.Le ferrovie federali austriache di Innsbruck avevano più volte sollecitato la sistemazione del monumento esprimendo il timore che venisse rovinato dalle intemperie e chiedendo – se non si trovava un luogo conveniente al Brennero – che venisse restituito per essere esposto in una delle stazioni oltre confine. Attualmente il busto si trova nella parte centrale del portico sul lato dei binari. 3. La seconda fase Un’ulteriore serie di lavoro venne condotta, sempre da Mazzoni, a partire dall’ottobre 1933. Si trattava di trasformare Brennero in una vera e propria stazione internazionale, dove sarebbe stata trasferita la Dogana austriaca (allora operante al Brennersee). Vi avrebbero fatto capo anche i treni austriaci, allora limitati oltre il confine. La spesa sarebbe stata ripartita tra Italia e Austria. L’opera più importante in programma era un nuovo edificio da costruirsi fra i due binari di corsa nei due sensi di marcia, in posizione parallela rispetto al primo fabbricato. La soluzione insolita era dettata dall’esigenza di consentire l’ingresso dei treni austriaci con alimentazione monofase e dall’intenzione di agevolare le operazioni doganali di confine. Oltre alla Dogana, il nuovo edificio avrebbe ospitato vari servizi per il pubblico come biglietteria, sale d’aspetto, ristorante, rivendita di giornali e tabacchi. I lavori appaltati comprendevano un grande sbancamento della montagna adiacente per insediarvi nuovi binari passanti. Inoltre si doveva provvedere alla demolizione dei fabbricati e delle baracche di legno che esistevano nelle aree adiacenti. Lungo l’edificio intermedio si doveva realizzare un marciapiede largo cinque metri con una pensilina di cemento armato. “I nuovi fabbricati costruiti sotto la pensilina sono un modello di architettura funzionale – leggiamo in un articolo pubblicato all’epoca - . Moderni, eleganti, accoglienti, sono rivestiti esternamente in marmo bianco di Lasa con contorni di granito rosa. L’interno dei locali per il pubblico è stato improntato a signorilità impiegando nei lavori di rifinitura rivestimenti in legno, ceramica e vetro”. Mazzoni dedicò una grande attenzione anche agli arredi che dovevano essere funzionali e al tempo stesso coerenti con le esigenze moderne in tema di estetica. Il nuovo edificio veniva collegato al vero e proprio fabbricato viaggiatori mediante un sottopassaggio. Poco dopo l’inizio, i lavori dovettero essere sospesi, durante la stagione fredda, per ben sei mesi, e ugualmente avvenne negli inverni seguenti. Per realizzare il nuovo complesso, compreso il prolungamento dei binari, fu necessario deviare circa due chilometri della strada del Brennero e, di conseguenza, il corso dell’Isarco. Si installò un impianto con apparati centrali per la manovra elettrica degli scambi, insediati in due grandi cabine. Si provvide anche a distruggere un passaggio a livello situato all’ingresso della stazione, lato Italia. Per l’illuminazione del piazzale vennero erette due grandi torri metalliche. A conclusione della vasta impresa di rinnovamento, l’inaugurazione si svolse l’11 novembre 1937 alla presenza del ministro delle telecomunicazioni Benni. Fra le innovazioni stilistiche adottate da Mazzoni nel nuovo edificio ricordiamo le gabbie di protezione delle lampade dagli sci (un’idea gia applicata a Trento), e soprattutto la forma cilindrica dei pilastri, che in tal modo risultavano meno esposti agli inevitabili urti dei carrelli. Mazzoni ricordava come solo in quella stazione gli fosse stato permesso di adottare la forma cilindrica, generalmente vietata dalle superiori autorità. Nei rivestimenti si usarono materiali locali. Per il sottopassaggio si scelse il porfido di Ora per la pavimentazione a cubetti e quello violaceo di Predazzo per lo zoccolo delle pareti; pareti e soffitto vennero invece intonacate e verniciate con cementite di colore giallo cadmio intenso: “un colore – osserva l’architetto- che parve bello per la sua luminosità al Ministro”. Quanto alla pensilina, Mazzoni riuscì a non farla rivestire, nel soffitto, con le previste tessere di ceramica a vetro, lasciando invece a vista il calcestruzzo della struttura. Nelle cronache dell’inaugurazione apparse sul quotidiano “Il Brennero” si esaltava l’intervento voluto dal Duce in quella soglia estrema dell’Impero: “la vecchia stazione ha smesso il suo abito da cenerentola, si è ampliata in lungo e in largo, si è ornata di archi e arricchita di marmi”. Sembra che lo scrittore Ugo Ojetti, transitando per la stazione di Brennero una mattina che rientrava in Italia, scendesse dal treno in pigiama per ammirare la purezza formale della Primo piano del fabbricato di stazione dopo l’intervento di Mazzoni nuova dogana (è Mazzoni stesso che se ne vanta nei suoi meticolosi appunti). Per tre volte (il 18 marzo e il 4 ottobre 1940 e il 2 giugno 1941, ma forse anche altre volte in segreto) Hitler e Mussolini si incontrarono alla stazione di Brennero per trattative politiche. Durante il primo incontro Mussolini annunciò l’entrata in guerra dell’Italia. Nel corso del conflitto moltissimi treni varcarono il confine per il trasferimento delle truppe. Dopo l’8 settembre 1943 le incursioni aeree furono numerose. La stazione di Brennero, passata indenne atrraverso la guerra, fu danneggiata da un bombardamento negli ultimi giorni delle operazioni: il 21 marzo 1945 una formazione di diciotto aerei proveniente da nord sganciò un carico di bombe provocando ventuno morti e gravissimi danni agli edifici. Venne colpita anche la stazione, al centro e sul lato nord, con la parziale distruzione del fabbricato viaggiatori e dell’edificio fra i binari di corsa e il danneggiamento della rimessa locomotive. Due bombe caddero in corrispondenza del sottopassaggio dove molte persone che avevano cercato rifugio trovarono invece la morte. Poiché le bombe erano congegnate per l’effetto ritardato, la sera a Brennero si ebbero altri scoppi. La guerra si concluse un mese più tardi. I binari vennero ripristinati, per la ripresa dell’esercizio. Le case vennero ricostruite, vennero riparati i danni dei fabbricati ferroviari. Gia negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale si era manifestata l’insufficienza del fascio dei binari adibito al traffico merci, che era causa di lunghe soste dei convogli negli scali dei due versanti, italiano ed austriaco. Si erano iniziati perciò i lavori di costruzione di due nuovi binari passanti, ma gli eventi bellici avevano determinato una lunga sospensione. Il problema riaffiorò alla fine degli anni Cinquanta: per il crescente volume di traffico si programmò l’ampliamento e potenziamento della stazione doganale, la trasformazione del sistema di trazione, la costruzione di nuovi binari tutti elettrificati e il prolungamento del fascio dei binari di stazione. Per attuare quegli interventi fu necessario un rilevante sbancamento della falda montana, costituita da roccia scistosa, per un fronte di circa 140 metri, e altri sbancamenti di minore portata. Per sostenere le falde scavate si dovettero costruire muri di contenimento in conglomerato cementizio. Negli anni Sessanta si discusse sull’opportunità di demolire il dispositivo dei binari a stella: era ormai inutilizzato, in quanto non c’era più necessità di provvedere alla giratura di locomotive. ULTERIORI IMMAGINI DELLE OPERE DI MAZZONI a) Stazione di Bolzano Bolzano – Fabbricato viaggiatori – Uscita Arch. Angiolo Mazzoni Bolzano – Fabbricato viaggiatori Ingresso alla torre e fontana Arch. A. Mazzoni - Scultore Ehrenhofer Stazione di Bolzano, pensilina sul primo binario, 1927-1928, foto d’epoca (Università di Firenze, Biblioteca di Scienze tecnologiche / Architettura, fondo Papini) Particolare della facciata con l’apparato decorativo mazzoniano Stazione di Bolzano, 1927-1928, biglietteria, foto d’epoca (Università di Firenze, Biblioteca di Scienze tecnologiche / Architettura, fondo Papini) b) Case per ferrovieri in Alto Adige A Vandoies ( Linea Fortezza – San Candido) Arch. Angiolo Mazzoni A Vaona ( Linea Verona – Brennero) Arch. Angiolo Mazzoni A Campo di Trens ( Linea Verona – Brennero) Arch. Angiolo Mazzoni : Case per ferrovieri in Alto Adige c) Stazione del Brennero Veduta della stazione di Brennero dopo la fase dell’ampliamento (siamo intorno al 1930) Brennero – Fabbricato Servizi Doganali presso la Stazione Fabbricato verso la strada Arch. Angiolo Mazzoni Così si presenta, oggi, la stazione di Brennero Arch. Angiolo Mazzoni Bibliografia : - Angiolo Mazzoni (1894 – 1979). Architetto ingegnere del ministero delle telecomunicazioni, Milano : Skira, 2003 - La ferrovia Verona – Brennero. Storia della linea e delle stazioni del territorio Laura Facchinelli, Casa editrice Athesia, Bolzano – 1995 - Turismo d’Italia, Libreria del Littorio – Roma, Settembre 1928 - VI