TESINA SULL`ARCHITETTO : ANGIOLO MAZZONI (1894 – 1979

ISTITUTO TECNICO PER GEOMETRI
“A. e P. DELAI”
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TESINA SULL’ARCHITETTO :
ANGIOLO MAZZONI
(1894 – 1979)
ARCHITETTO INGEGNERE DEL
MINISTERO DELLE TELECOMUNICAZIONI
ANNO SCOLASTICO 2006/2007
CLASSE VªB
BOLZANO , DICEMBRE 2006
ALUNNO
MARCHI ALBERTO
Alberto Marchi
Angiolo Mazzoni nasce a Bologna da genitori senesi il 21 maggio
1894. Da un inizio di clima "secessionista", che ha praticato alla fine
degli anni Dieci, come - anche se qualche tempo dopo - Sant'Elia,
Chiattone e poi Marchi (progettando ville, palazzine, palazzi),
guardando a Olbricht e a Hofmann, ma così pure a G.B.Milani e a
Giovannoni, Mazzoni si è orientato, alla fine dei Venti, verso un
dialogo con forme tradizionali di evidente corrispondenza
"novecentista", monumentale e imponente, tuttavia distinta dai
modelli piacentiniani (quali il Dopolavoro ferroviario di Roma, 1925;
il Palazzo postale di Nuoro, 1928; la Stazione di Bolzano, 1927-28).
Si era laureato, infatti, in ingegneria nel 1919 alla Scuola di
applicazione per ingegneri di Roma, dove rimane ancora un paio d'anni come assistente - oltre a
collaborare nello studio di Piacentini nel 1920 - e aveva, quindi, conseguito il diploma in
architettura a Bologna nel 1923. Nel '21 venne assunto dalle F.S., ricevendo, dal 1922, la nomina di
Ispettore stabile della Divisione lavori delle FS. Nel '24, anno in cui vennero unificate Poste e
Telegrafi e Ferrovie, fu trasferito a Roma presso la Direzione Generale: tra il 1925 e il '26, con la
Stazione del Brennero, ebbe inizio la sua fitta attività di progettazione di edifici ferroviari e postali
sparsi lungo tutto il territorio italiano, destinata a protrarsi fino al 1945, nell'ambito
dell'amministrazione unificata delle Poste e Telegrafi e delle Ferrovie Statali. Alla fine degli anni
'20, realizza l'edificio squadra rialzo presso la Stazione ferroviaria di Firenze, una delle sue opere pi
interessanti, con ogni evidenza influenzata dall'esperienza dei costruttivisti sovietici.Tra i progetti
realizzati in veste di progettista-dipendente pubblico, si ricordano, per importanza, gli edifici postali
di Trento (1934), di Agrigento (1932), di Pola (1935); le stazioni ferroviarie di Trento, 1936 (con
vetrate di Depero e Tato), di Siena 1936, di Reggio Calabria, di Montecatini Terme - Monsummano
1937,diMessina 1939 e di Bolzano(1927).
Il carattere innovativo del lavoro di Angiolo Mazzoni, quale si delinea fin dall'inizio degli anni
Trenta, non esclude un filone novecentista (che ricorre infatti, riconoscibile per l'intera prima metà
di quegli anni, nel Palazzo postale di Varese, 1930-33, nel Palazzo delle Poste e Telegrafi di
Grosseto, 1930-32, nella già citata Direzione Generale delle Poste e Telegrafi di Trento, 1929-34,
nel Palazzo delle Poste di Palermo, 1930-34, e nella Stazione ferroviaria di Reggio Emilia, 193335). Non lo esclude, ma di certo ne attenua prospetticamente la portata, puntando sul privilegio
rappresentato dagli esiti di una progettualità più libera, a livello di maggiore e più ardita complessità
immaginativa progettuale. Se, tuttavia, il Mazzoni più memorabilmente innovativo, più "moderno",
non è certo quello del linguaggio volumetrico e monumentale "novecentesco", lo si individua
proprio anche in esiti architettonici collocabili all’interno di una tale polarità, tanto che risulta
possibile rintracciarvi sia il ricorso a soluzioni strutturali interne di chiaro indirizzo innovativo,
capace di rielaborare originalmente una mentalità "razionalista", sia altresì l'esercizio di un uso
inventivo e persino prezioso, oltre che nuovo, dei materiali.
Il filone più originale e memorabile dell'attività progettuale e realizzativa di Mazzoni si snoda lungo
gli anni Trenta sul fondamento di una cultura plastica che dal "Novecento" recupera accenti di
tradizione "metafisica" (come avviene nel caso del Calabrone), innestandovi una nuova chiarezza
strutturale di istanza "razionalista" e un dinamismo di tagli orizzontali o di movenze avvolgenti
derivate dal dialogo con istanze futuriste. Ed è il filone che muove appunto da Il Calabrone del
1931-33 (ma progettato nel 1925-26), al Palazzo delle Poste di Agrigento, 1932-34, alla Centrale
Termica e Cabina degli apparati centrali della stazione di S.Maria Novella, a Firenze, 1932-34, alla
Ricevitoria Postelegrafonica di Latina, 1932, dal Palazzo delle Poste e Telegrafi di Pola, 1932-331935, alla Ricevitoria Postelegrafonica di Sabaudia, 1933-34, a quella di Ostia Lido, inaugurata nel
1934, alla Stazione ferroviaria dia Siena, 1931-35, a quella di Trento, 1934-36, di MontecatiniTerme e monsummano, inaugurata nel 1937, di Reggio Calabria-Centrale, 1937-38. Dal 1948 al
1963 Mazzoni si trasferisce in Colombia, a Bogotà, dove insegna all'Università Nazionale e svolge
attività professionale. Vive a Roma dal suo ritorno in Italia, a partire dal 1958, fino alla morte,
avvenuta il 28 settembre 1979.
PROGETTI
A Ferrara, invece, tra il 1927 e il 1929, l’architetto aveva eretto il Palazzo delle Poste e Telegrafi,
occupando un vasto quadrilatero del Viale Cavour, prospiciente la chiesa di S.Maria della Rosa.
Accusato di inserirsi pesantemente nel contesto cittadino e di fraintendere la tradizione locale, in
realtà l’edificio ne propone una versione raffinata e modernissima: basti solo pensare a come vi è
ripreso il motivo estense del diamante. “Chi sa se l’impressione ricavata dal bugnato del Palazzo dei
Diamanti…sia rimasta in qualche modo impigliato per necessità di armonizzazione nei piedritti di
marmo delle finestre o nei tavoli, nelle mensole fino nei calamai e nelle plafoniere dell’arredo
interno, diventati fin qui un divertimento futurista. Svolgendo ossessivamente questo leit-motiv
(mirabili gli arredi dell’ufficio del telegrafo, da lui disegnati ed eseguiti dalla falegnameria Fratelli
Santini), Mazzoni è riuscito, nel contempo, a miscelare con eclettica sapienza il classico della
petrosa facciata (ma più vicina a Brasini che a Coppedé) con il taglio metafisico e proto-razionalista
del retro in laterizio (suggestioni che poi svilupperà nel palazzo postale di La Spezia). Accenti
futuristi e decò, classicismo (le maschere tragiche della facciata, che tornano nel coevo palazzo
della Ragione di Nuoro) e Novecento, monumentalismo ed essenzialità del design convivono: e in
ciò Mazzoni è stato coadiuvato dagli eccellenti artigiani, come Napoleone Martinuzzi, autore degli
impeccabili stucchi e dei vetri nella sala del pubblico.
Tra i primi edifici compiuti al principio degli anni Trenta, si annovera il Palazzo Postale di Gorizia,
il cui progetto venne approvato il 3 aprile del 1929 e ottenne l'approvazione definitiva il 3 gennaio
del 1930, mentre i lavori di costruzione si conclusero presumibilmente nel 1933. La plastica
composizione dei corpi di fabbrica convergenti nella torre dell'orologio, accentuata dall'impiego dei
mattoni a vista accostati ai massicci elementi in pietra di Aurisina, determinano la monumentalità
dell'edificio. L'arretramento angolato del portico di accesso alleggerisce visivamente le incombenti
volumetrie creando una piccola piazza. Da questa si accede ai piani corridoi degli sportelli al
pubblico, sopraelevati e paralleli ai fronti strada. L'originale assetto distributivo indica in questo
modo due originali soluzioni tipologiche per la progettazione di edifici in aree centrali. Mazzoni
annotava, a proposito di questo edificio, di essersi ispirato all'opera di Joseph Hoffman per non
cadere in una "copia culturalista", dovendo in qualche modo ispirarsi "a forme di apparenza veneta".
Il Palazzo delle Poste di Sabaudia, realizzato in quello stesso giro di anni, è un edificio ugualmente
interessante dal punto di vista architettonico: elaborò un edificio rialzato da terra mediante una
scalinata, completamente rivestito di tessere azzurre (che rimandano al colore dei Savoia), con il
volume principale a un piano, dove collocò i vari locali necessari per gli uffici, la sala per il
pubblico e la piccola rivendita di francobolli. Tale volume a un unico piano, per via degli ampi
finestroni incorniciati da un cordolo in marmo rosso di Siena, da cui la grande sala interna prende
luce, per il disegno delle grate antimalariche e per l’elegante cornicione, assume un forte senso
aerodinamico. Sul retro, invece, dove, su un piano parziale ricava l’alloggio del custode al quale si
accede da una scala esterna, l’immagine complessiva dell’edificio denota un tono meno ufficiale,
sia per la presenza di questa scala, sia per la composizione dei volumi e delle finestre.
A Sabaudia, in particolare, con l’inserimento della struttura portante della grata, con la superficie
indefinita della rete e con l’uso del colore rosso vermiglione, l’architetto darà una connotazione
spiccatamente aerodinamica e moderna a tutto l’edificio accentuando fortemente nei due prospetti
principali – dove erano posti gli ingressi della sala del pubblico – la dimensione orizzontale.
All’inizio degli anni Trenta (1933), cade anche l'incarico per la Colonia marina del Calabrone, sul
Tirreno, considerata dai futuristi come rappresentante dell'essenza dell'architettura futurista stessa,
per i figli di postelegrafonici e di ferrovieri. Nel 1932 iniziano i contatti ufficiali dell’architetto con
Marinetti e il Futurismo. In qualità di aderente al Secondo futurismo, Mazzoni ha elaborato e
realizzato nel corso di vent'anni edifici profondamente innovativi, coniugando le istanze innovative
dell' "architettura moderna" con una alta qualità delle realizzazioni, sempre caratterizzate dal
particolare pregio dei materiali impiegati e dalle tecniche di realizzazione. Nel 1934 è tra i firmatari
del Manifesto Futurista dell'Architettura Aerea. Allo stesso anno risale la Centrale termica e cabina
apparati centrali della stazione di Santa Maria Novella a Firenze (1934), opera di architettura
moderna considerata tra le più importanti della prima metà del Novecento. Tra i progetti affidati a
Mazzoni merita di essere ricordato quello della nuova stazione Termini a Roma, i cui lavori furono
avviati a partire dal 1924, ma si arrestarono nel 1943, in riferimento alla quale riteniamo
interessante riportare l’autorevole commento di Marcello Piacentini:
“La sua architettura è chiara, schietta, larga: essa rivela francamente la funzione degli edifici e nello
stesso tempo è nobilissima e grandiosa. La facciata principale è costituita da un unico colonnato
gigantesco, binato, sormontato da un attico e completamente aperto; la stazione sarà separata dalla
piazza solamente da una vetrata attraverso la quale sarà possibile la visione di tutto il movimento
dei treni: spettacolo moderno, vivo, dinamico. Pur essendo saporitamente moderno, nella sua
schietta essenzialità, il portico ci richiama la larghezza e la maestà delle grandi composizioni
romane, come i grandi porticati delle basiliche e dei fori. I fianchi si iniziano tanto su Via Marsala
che sul Viale Principe di Piemonte con una serie di archi comprendenti l'altezza di due piani e
sormontati da un altro ordine di archi, la cui luce è metà di quella degli inferiori: questi ultimi sono
tagliati da una pensilina. Nella saletta Reale e Imperiale viene richiamato il motivo del prospetto
principale con un portico assai più piccolo e di carattere diverso, semplicissimo e pure
signorilmente raffinato. Un motivo dominante nei prospetti minori è quello del portico architravato
a grandi luci, sorretto da colonne tozze senza capitello e sormontato da due ordini di finestre
quadrate, a semplice taglio nel travertino. In complesso l'architettura è basata sul funzionamento,
com'è logico in una stazione, e segue passo passo le singole necessità, palesandole esternamente: ne
sono scaturiti dei fianchi vari, movimentati, interessanti, gustosi, pur conservando un carattere
unitario. Vero è che le funzioni che si compiono in una stazione non sono molto elevate nella scala
dei valori spirituali e sotto questo punto di vista ci si dovrebbe attenere ad un'estrema semplicità.
Aspre critiche sono state mosse infatti ad altre stazioni, giudicate eccessivamente monumentali; ma
in questo caso l'edificio della stazione domina una vasta piazza centralissima, su cui sorgono altri
monumenti di grande valore: è insomma uno degli elementi più importanti della città, e sarà
continuamente sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo anche riflettere che la stazione è il primo edificio
che si vede arrivando: quello che ci dà il benvenuto e che deve subito rivelarci il carattere della città
in cui si giunge. E' in una parola l'anticamera della città ed è giusto che, come l'anticamera dei
palazzi antichi, sia fastosa e grandiosa. A conferire nell'insieme un aspetto particolare di signorilità
contribuiranno assai i materiali impiegati, tutti nobilissimi. Le grandi colonne saranno in travertino
romano; così pure i muri esterni saranno quasi ovunque rivestiti con lastre di travertino disposte a
giunti continui. Le pensiline saranno rivestite in mosaico di vetro. Negli interni i marmi saranno
usati con larghezza e possiamo anzi affermare che in tutti i particolari già studiati si nota la
preoccupazione costante di attenersi alle migliori soluzioni, pur tenendo presenti le considerazioni
economiche. Angiolo Mazzoni, che attraverso una serie di lavori, molti dei quali importantissimi
(Stazione di Messina, di Reggio Calabria, di Bolzano, di Siena, di Montecatini, di Littoria ecc.;
Palazzi delle poste di Agrigento, Sabaudia, Littoria, Grosseto, Massa, Pistoia, Gorizia, Novara,
Ostia, ecc.), ha continuamente raffinato la propria sensibilità artistica, dimostra ora di essere
pervenuto ad una sana ed esauriente maturità. Già la Stazione di Messina (dove il porticato
eccessivamente lungo che congiunge la stazione centrale con la marittima poteva forse essere
risparmiato), da poco ultimata, rappresenta la forte affermazione di un'architettura moderna, sana,
armonica, largamente romana, pienamente convincente. La stazione di Roma, concepita nello stesso
clima, ma ricca di ben altri mezzi, nata con maggior impeto creativo, costituirà un'opera di ben più
alto valore. Ammirevole figura, quella di Angiolo Mazzoni! Pur dirigendo un ufficio e sopportando
tutti i pesi della burocrazia, è riuscito ad imprimere, con fede e tenacia, a tutti gli innumerevoli
lavori a lui affidati, il soffio vivificatore dell'arte e di uno spirito nuovo là dove da tempo
l'architettura era limitata ai compiti modesti di pratiche di ufficio. Questo singolarissimo
funzionario ha saputo conferire alla carica che egli copre nel Ministero delle Comunicazioni una
importanza eccezionale ed un tono del tutto personale.”
Di Mazzoni si è parlato anche in termini futuristi, oltre che per l’adesione al manifesto di Martinetti
e la vivace militanza, per via di quelle soluzioni aerodinamiche che trasformano i suoi edifici in
carlinghe spaziali, oppure in termini costruttivisti, evidenti nell’avveniristica Centrale Termica alla
stazione di Firenze del 1933. Ma è altrettanto importante ricordare in Mazzoni l’uso e la conoscenza
degli elementi classici e delle tecniche costruttive antiche, evidenti nei grandi saloni voltati della
Stazione Termini, simili a criptoportici dell’età romana. Tratto distintivo è poi l’elemento creativo,
l’originalità autonomamente recuperata della quale resta testimonianza nei pilastri delle Poste a
Ostia, realizzati sfalsando tra loro i mattoni e imitando così la corteccia della palma, pianta simbolo
dell’espansione coloniale africana. Novecentismo, futurismo, costruttivismo, razionalismo: l’opera
di mazzoni sembra coinvolgere l’intero lessico architettonico del secolo mediante Sperimentazione
e sintesi in una ricerca formale e funzionale che rende l’autore un rappresentante della continuità
culturale col resto d’Europa.
In realtà, Mazzoni giocò un ruolo determinante nella modernizzazione degli apparati di Stato e
contribuì in modo radicale a definire alcune delle immagini forti del “Moderno” in Italia.
Lavorando per uno dei Ministeri che più di altri influirono nella messa in rete delle grandi
infrastrutture della telecomunicazione come i servizi postali e telegrafici, telefonici e ferroviari, egli
influì con grande originalità alle elaborazione di una immagine profondamente rinnovata
dell’edilizia pubblica e del suo più immediato messaggio, come strumento di comunicazione di
massa.
In maniera sostanzialmente parallela a quanto avveniva negli stessi anni per opera di altre strutture
globali dello stato fascista in termini di opere pubbliche attraverso la realizzazione di ponti, strade
ospedali case del Fascio e via dicendo, il contributo di Mazzoni alla definizione di un’immagine
forte e convincente che allo s tesso tempo risultasse moderna, istituzionale, proiettata verso il futuro
delle nuove tecnologie e insieme tenesse uniti i temi dell’adesione alle memorie e ai significati
etnico-antropologici e storico-geografici dei luoghi risulta, soprattutto alla distanza dei decenni che
ci separano da quelle esperienze, sicuramente fondamentale.
Egli riuscì, attraverso l’impiego di morfologie fortemente simboliche, ancorate insieme alla lezione
futurista e a quella novecentista (accenni dechirichiani e alla Sant’Elia sono evidenti nel suo
linguaggio), l’adozione di tecnologie facenti capo alle innovazioni più aggiornate e di materiali
tradizionali come la pietra, il marmo e il mattone, la dimensione dichiaratamente urbana delle
sistemazioni alla scala”cittadina”, a connotare un’idea di architettura capace di affermarsi e di
sopravvivere al tempo e alle mode.
Un’architettura solida, quella di Mazzoni, capace di trovare pur nelle situazioni maggiormente a
rischio compromissorio soluzioni originali e innovative, appunto nella strutturazione degli interni e
nella dovizia delle soluzioni materiologiche (dal mattone, di cui ha fatto molto uso, alle pietre, al
vetro, al metallo), quando nella puntualità progettuale certamente originale degli stessi arredi.del
quale sorprende la capacità di conferire sempre a ogni sua realizzazione , anche la più modesta, una
capacità evocativa, una coerenza linguistica, una complessità strutturale e una ricchezza di
significati raramente riscontrabili in opere coeve.
Il respiro internazionale della produzione mazzoniana testimonia così la capacità dell’autore di
dialogare in profondità con alcune tappe centrali della cultura europea, dall’espressionismo tedesco
al costruttivismo sovietico, rivelando poi la capacità di assorbire e reinterpretare anche gli etimi più
profondi dello sperimentalismo italiano. Sono, infatti,rintracciabili nel suo lavoro percorsi
immaginativi dal "Novecento" al Razionalismo, ma anche da questo al "Novecento", entro
occasioni progettuali complesse e particolarmente sofferte (come per il palazzo delle Poste e dei
Telegrafi di Ragusa, 1927-29, per la Stazione Ferroviaria di S.Maria Novella a Firenze, 1929-33,
per quella di S.Lucia a Venezia, 1928-1943).
E’ indubbio che ogni proposizione di Mazzoni dal livello strutturale a quello dei rivestimenti e degli
arredi risulta corrispondere ad una acutezza progettuale ed estrema cura di realizzazione ed
esecuzione, in una profonda consapevolezza delle valenze del manufatto architettonico,
dall'impianto complessivo ad ogni più circoscritto particolare. Immaginava un'architettura di
plasticità spaziale ed una qualità vivibile e persino, a volte, affabile dei rapporti di spazialità interna.
La sua creatività passava per un'alta professionalità progettuale e realizzativa, una sapienza
operativa volumetrica, spaziale, materiologica.
Infine, l'esempio mazzoniano, nel suo profilo complessivo, costituisce una delle prove maggiori di
un’epoca, che si è rivelata fra le più intense quanto a consapevolezza professionale dell'operare
architettonico. Come pure dell'operare architettonico, proprio perché era caratteristica diffusa della
moralità del tempo, che non ha niente a che vedere con il Fascismo e la sua cultura di pragmatismo
propagandistico, ma risiede nel patrimonio d'una classe di professionisti espressi da una borghesia
di cultura ed etica risorgimentale, che nel regime fascista ha trovato, sostanzialmente, soltanto lo
strumento di una propria autonoma realizzazione.
GLI ARTISTI DI MAZZONI
Angiolo Mazzoni è il primo architetto italiano che si è ripetutamente valso dell’opera dei pittori e
degli scultori, usando i quadri, i mosaici, le composizioni, le sculture in diretto rapporto con la
costruzione, e rivelando così l’alta impronta della sua sensibilità.
Il repertorio delle collaborazioni richieste da Mazzoni ad artisti plastici, pittori, scultori, decoratori,
risulta infatti quanto mai ampio e appunto assai svariato rispetto alle relative posizioni di ricerca, sia
pure riconducibili infine entro il profilo di alcune poche tendenze ben definite.
Va tuttavia sottolineato che le collaborazioni con artisti costituiscono per Mazzoni una necessità di
fatto soltanto complementare rispetto alla configurazione del proprio edificio. Infatti non riguardano
questioni relative alla progettazione architettonica in quanto tale. Cioè non accade mai che Mazzoni
chieda a un artista plastico una soluzione inerente, sia pure marginalmente, la configurazione
progettuale di un proprio edificio. Tali collaborazioni hanno tuttavia un ruolo di completamento
rispetto alla qualità complessiva dell’edificio stesso, in quanto si pongono come concorrenti alla
caratterizzazione sia della presenza iconica evocativo-mitopoietica, sia dell’apparato decorativo
dell’edificio stesso. Entro il quale tuttavia, com’è noto, la progettualità mazzoniana si spingeva
anche al disegno degli arredi (veri e propri esempi di “proto-design”).
Negli edifici mazziniani, gli interventi da parte di artisti, operati in concorrenze complementari
d’accentuazione iconico-semantica rispetto al contesto architettonico, sia in esterni sia in interni,
svaria dunque da uno specifico, e direi protagonistico, campo di proposizioni d’immagini, plastiche
o pittoriche, a un ambito di interventi di funzionalità decorativa, che risultano sempre
sostanzialmente coordinati in particolare al quadro ambientale interno dell’arredo. Il che avveniva
rispondendo a una mentalità progettuale orientata al traguardo di una totalità strutturale,
morfologica, decorativa e d’arredo dell’edificio stesso. Rispetto alla quale il ricorso alla
collaborazione degli artisti diveniva essenziale, e si poneva in certa misura in una prospettiva di
continuità rispetto alla stessa attenzione morfologica e materiologica da Mazzoni sviluppata
nell’intenzione di stabilire un dialogo fra caratteristiche morfologico-paesistiche del luogo e
manufatto architettonico. E in questo senso, se attivava la naturalità decorative dei materiali (anche
tradizionali), appunto ricorreva a interventi plastici e pittorici in funzione di concorrenza semantica,
ritenendo che “un architettura senza l’ausilio decorativo della polimateria, della scultura o della
pittura altro non è che sterile espressione di povertà spirituale”.
Quanto alla tipologia delle collaborazioni richieste da Mazzoni ad artisti plastico-visivi, queste
andavano da pittura murali (anche sottoforma di teleri) a sculture (dal rilievo e altorilievo al
tuttotondo), a interventi, soprattutto plastici, di natura decorativa.
Una caratteristica comune degli interventi decorativi negli edifici mazzoniani è l’attenzione alla
tradizione figurativa del luogo attuata sia attraverso il coinvolgimento di artisti della città, dove
possibile, sia attraverso la ripresa di tematiche tratte da episodi della storia o della leggenda locale.
La tipologia di edifici nella quale l’ampiezza delle collaborazioni risulta più consistente e articolata
e quella degli edifici postali, con decisa prevalenza infatti rispetto a quelli ferroviari.
E consideriamo anzitutto esempi di collaborazioni attinenti l’ambito del “Novecento”.
Nel Palazzo delle Poste e telegrafi di Ragusa, elaborato in cinque progetti, fra 1927 e 1929, sono
presenti delle sculture di Corrado Vigni.
Una soluzione architettonica tipicamente “novecentesca” è il Palazzo delle Poste e telegrafi di
Bergamo, ultimato nel 1931, che contiene nella sala dell’accettazione telegrafica i teleri murali di
Mario Sironi, dedicati al lavoro agricolo e al lavoro industriale.
Un altro esempio significativo è il Palazzo delle Poste e telegrafi di Gorizia nel quale Mazzoni
chiede la collaborazione di Guido Cadorin per gli interventi decorativi e specificamente per le
pitture murali all’interno del porticato esterno e sulla tromba delle scale. Si rivolse poi a Edoardo
Del Neri per un dipinto murale su tela di fantasiosa visionaria figurazione e a Matilde Festa
Piacentini per un mosaico.
Il Palazzo delle Poste e telegrafi di Ferrara, ultimato all’inizio degli anni trenta, contiene interventi
plastici di Napoleone Martinuzzi, autore di sculture in stucco, e interventi del pittore decoratore
bolognese Giannino Lambertini.
Il Palazzo delle Poste e telegrafi di Agrigento contiene interventi plastici d’orientamento
“novecentesco” di Quirino Ruggeri, e interventi di natura decorativa di Matilde Festa Piacentini.
Mazzoni si è valso dell’opera, come precedentemente detto, di artisti futuristi.
Quella che costituisce la più importante occasione di opzione collaborativa a favore di artisti
futuristi, da parte di Mazzoni, si registra nel Palazzo delle Poste e telegrafi di La Spezia, inaugurato
nel 1933. Esso ospita all’interno, nella tromba delle scale, importanti pannelli liberamente sagomati
come grandi frammenti in mosaici ceramici (“in ceramica ligure”) di Enrico Prampolini e di Fillia.
I mosaici ceramici di Trampolini e di Fillia, Le vie del mare e del cielo, sono enormi frammenti
d’immagine in sintesi simultanea, ai quali il mosaico dà concretezza di materia sul parato in cotto
all’interno della costruzione mazzoniana.
Un altro caso di orientamento futurista è il caso del palazzo
della Direzione generale delle Poste e telegrafi di Trento,
ultimato nel 1934, dove Mazzoni anima il salone d’ingresso del
dopolavoro e il salone interno di scrittura con tre grandi vetrate
assai dinamiche di Tato, tre di Depero, d’effeto più decorativo, e
altre di Trampolini; affidandosi dunque fortemente a un effetto
di filtrazione cromatica-luminosa. All’esterno, sul retro della
facciata principale, c’era un affresco di Luigi Bonazza, dedicato
alla storia di Trento.
Un’altra grande occasione di opzione per un orientamento
rivolto a collaborazioni con artisti futuristi è rappresentato dal
Palazzo delle Poste e telegrafi di Palermo, ultimato nel 1934,
dove si registrano interventi murali o d’arredo. I primi
riguardano i cinque famosi teleri di Benedetta nelle sale delle
conferenze, dedicati alle diverse “comunicazioni”, terrestri,
aeree, marittime, telegrafiche e telefoniche. Gli interventi
Fortunato Depero, Il lavoro, 1933,
d’arredo, invece, riguardano le tende ricamate “a punto di
bozzetto di vetrata per il palazzo della
Burano” di Bruna Somenzi, moglie dello scrittore e teorico futu
Direzione generale delle Poste e telegrafi rista Mino Somenzi, sia nella sala del direttore che in quella
di Trento, tempera su cartoncino,
delle conferenze.
91 x 52 cm (collezione privata, Roma)
LA STAZIONE FERROVIARIA DI BOLZANO
1. Storia della stazione
L’esistenza e lo sviluppo della città di Bolzano sono in diretta connessione coi traffici, già dal
tempo della romana Pons Drusi.
Il primo nucleo organizzato della città sorse, probabilmente dopo il Mille, proprio allo scopo di
controllare la “Via degli Imperatori” nel punto in cui questa prendeva a salire sull’altopiano del
Ritten-Renon, per poi scendere in località Kollmann e quindi proseguire verso il passo del Brennero.
Proprio le variazioni di pendenza della strada alle pendici del Ritten inducevano ad una pausa: ed
ecco che nella conca pianeggiante della futura Bolzano sorsero le prime locande, le prime attività
artigianali al servizio degli uomini e dei veicoli di allora, trainati da animali.
Dall’iniziale, unico asse viario lungo via Portici, la struttura urbana si ampliò con lo sviluppo dei
commerci, facendo sorgere alberghi e botteghe e magazzini anche al di fuori delle mura. Grande
impulso venne dall’istituzione delle fiere, regolamentate nel Seicento da Claudia de’ Medici.
Nella prima metà dell’Ottocento la città di Bolzano era ancora separata dagli adiacenti comuni di
Gries e Zwolfmalgreien. Il confine col primo era segnato dal torrente Talfer, quello con
Zwolfmalgreien si sviluppava immediatamente a sud del centro storico di Bolzano, nella zona dove
sarebbe poi sorta la stazione ferroviaria.
In quel periodo la situazione economica era molto critica in conseguenza delle guerre, della carestia,
dell’istituzione del porto franco a Trieste, col conseguente spostamento in quella direzione dei
traffici provenienti da nord.
In particolare negli anni Quaranta-Cinquanta, con la costruzione della ferrovia Milano-Venezia poi
collegata al porto di Trieste, Bolzano si trovò penalizzata nella sua storica funzione di transito dei
traffici commerciali fra l’area centro-orientale dell’Europa e la penisola italiana. E’ naturale che i
trasporti venissero orientati non sui percorsi più brevi bensì lungo le direttrici che garantivano
(grazie al treno) comunicazioni più veloci.
Gli abitanti di Bolzano erano, allora, poche migliaia e la struttura urbana, sostanzialmente
d’impronta medioevale, era segnata ormai dal degrado. Le fabbriche nel Sudtirolo erano pochissime.
In quella difficile situazione, l’apertura della ferrovia ebbe uno straordinario effetto propulsore che
rapidamente mutò le sorti della città.
Il treno giunse a Bolzano nel 1859 con la linea che proveniva da Verona, allacciando già la città
tirolese con Venezia e Milano. Otto anni più tardi venne ultimato il segmento per BrenneroInnsbruck: ed ecco che Bolzano tornò ad essere luogo privilegiato di transito tra il LombardoVeneto e la Germania. Nel 1871, grazie alla ferrovia della val Pusteria, Bolzano si trovò collegata
anche a San Candido e Villach; dieci anni dopo si aggiunse il tronco per Merano, che a cavallo del
nuovo secolo proseguì da Merano verso Malles.
I primi effetti positivi della ferrovia si avvertirono, per Bolzano, già durante la costruzione della
Verona-Bolzano, che impegnò operai e tecnici locali attirando anche manodopera italiana, e fece
affluire capitali nella zona. Ben presto il treno funzionò da volano sul piano economico, dato che
consentiva un rapido trasferimento delle merci, e quindi un ottimo smercio oltralpe dei prodotti
locali. Sul nuovo potente mezzo viaggiavano sempre più numerose anche le persone: ed ecco
svilupparsi rapidamente il turismo. La zona di Bolzano-Gries divenne meta prediletta della nobiltà e
della borghesia austro-ungarica, e per quel turismo di alta classe sorsero via via lussuosi alberghi
che fecero sviluppare una stazione di cura e soggiorno fra le più moderne e signorili in Europa.
Il rapido incremento delle risorse economiche attrasse la popolazione dei dintorni. A Bolzano gli
8000 abitanti del 1850 erano già quasi 12000 quarant’anni dopo. Con la popolazione si ampliava
anche la struttura urbana, mentre sorgevano le prime attività industriali.
2. Il ponte sull’Isarco e il primo assetto della stazione
Per giunger alla città di Bolzano, la ferrovia dovette attraversare l’Isarco con un grande ponte a
quattro campate di 20 metri di luce con pile e spalle in pietra rafforzati da grandi conci di porfido, e
palco sorretto da quattro travi di bandone di ferro.
Nel 1859 la stazione di Bolzano si sviluppava su un’area di 80 mila metri quadrati, con un piazzale
lungo 750 metri. Il piazzale, sopraelevato rispetto ai campi circostanti di due o tre metri, sorgeva su
un terrapieno sorretto da muri. Data la sua importanza, la stazione di Bolzano venne dotata fin
dall’inizio di una casa dei viaggiatori di grandi dimensioni, formata da un corpo centrale a pianta
semiottagonale che sporgeva sulla piazza; l’edificio si prolungava lato Brennero con un’ala
dov’erano situate la sale d’attesa col ristoratore. Un'altra ala si sviluppava sul lato meridionale. Una
tettoia adiacente al corpo principale copriva i binari proteggendo i viaggiatori dalle intemperie.
Per visualizzare la disposizione dei
fabbricati nell’impianto di Bolzano,
dobbiamo
vedere
i
disegni
dell’archivio delle FS a Bolzano.
Una planimetria datata 1897 mostra
il fabbricato dei viaggiatori e,
allineati con questo in direzione sud,
un fabbricatine accessorio, un
giardino dotato di Blumenhutte,
l’ampia Wagen-Remise. Di fronte al
fabbricato principale, al di là del
fascio dei binari di stazione,
scorgiamo la Locomotiven-Remise:
da questa i mezzi di trazione
La stazione di Bolzano in una foto di Lotze precedente all’inaugurazione potevano essere condotti alla Werk
della ferrovia (circa 1858). Si vede l’imponente tettoia che doveva coprire stattengabaude, che disponeva di tre
I due binari di corsa.
binari con fossa d’ispezione sotto
cassa. Adiacente all’officina c’era il magazzino dei materiali, il cui fabbricato confinava con
proprietà private sul lato orientale. Un successivo disegno del Novecento mostra un modesto
ampliamento della sede ferroviaria sui lati dell’officina con la sistemazione di vasti
Kohlenlagerplatz (depositi di carbone per il rifornimento delle macchine a vapore).
Un cambiamento rilevante avvenne tra il 1905 e il 1910 con due vasti espropri sul lato orientale.
Sull’area più ampia venne costruita una nuova rimessa locomotive con binari a raggiera e
piattaforma girevole. Sulla seconda area espropriata vennero costruiti alcuni fabbricati per alloggi
del personale ferroviario. Lo stesso disegno del 1910 lascia intuire un progetto di rifacimento del
fabbricato viaggiatori, Nei pressi, lungo l’attuale via Garibaldi, lato Trento, è scomparsa la rimessa
carrozze; compare invece la sede della ferrovia per Caldano. Contemporaneamente, lungo l’attuale
via Renon, a fianco del nuovo magazzino doganale, compare la sede della Rittner Bahn con piccole
rimesse per carrozze e locomotive e magazzino con rampa di carico.
Vicino alla stazione di Bolzano, fin dall’inizio era stato creato un grande parco pubblico che venne
via via arricchito di piante esotiche.
3. Bolzano della seconda metà dell’Ottocento
A Bolzano il rapido sviluppo delle attività, lo spostamento del centro di interessi a sud del nucleo
storico e l’incremento della popolazione determinarono la necessità di un piano urbanistico che
indicasse le linee di un rapido ampliamento della città. Fu Sebastian Altmann, architetto di Monaco
incaricato dall’amministrazione comunale, a disegnare nel 1860 il primo intervento di
pianificazione urbanistica riguardante proprio la zona della stazione.
Il fabbricato di stazione era sorto al di fuori non solo del centro urbano ma dei confini stessi del
Comune di Bolzano. Le strade di Bolzano erano racchiuse intorno al nucleo antico, e in direzione
della ferrovia si spingeva solo il recinto quadrangolare del cimitero comunale.
Altmann si propose di realizzare una continuità fra l’abitato e la nuova infrastruttura ferroviaria, e a
tal fine disegno quattro strade che partivano, a raggiera, dalla stazione.
La principale, Bahnhofsallee, seguiva la linea retta fra stazione e Duomo attraversano il parco. La
Laurinstrasse tagliava in direzione della piazza Dreifaltigkeit (oggi piazza Municipio). Le altre due
strade si affiancavano, sui lati opposti partendo dalla stazione, al tracciato ferroviario: si trattava
della Marktstrasse e della Bahnstrasse, le attuali via Garibaldi e via Renon.
I nuovi tracciati viari guidarono l’insediamento delle successive costruzioni; così poco a poco si
creò un continuum fra città e piazzale della stazione. E poiché nel 1870 si disegnò, per la zona sudoccidentale di Bolzano, il piano regolatore della Neustadt (attuali via Dante, Carducci e Marconi), e,
mentre sorgeva il nuovo quartiere, si effettuarono interventi nella intermedia zona storica, ecco che,
nel giro di trent’anni, si realizzo la saldatura fra la città nuova e il quartiere della stazione, con una
stretta integrazione fra zona monumentale e nuove realtà abitative strutturali.
Nel piazzale della stazione, intanto, sorgevano imponenti edifici: nel 1882 palazzo Widmann
(attualmente sede della Giunta Provinciale) e nel 1884 l’hotel Viktoria.
Si svilupparono nuovi collegamenti fra Bolzano (con ovvio riferimento alla stazione ferroviaria) e
le località circostanti. Nel 1898 si inaugurò la linea Bolzano-Caldaro, completata cinque anni dopo
con la funicolare per Passo Mendel che metteva in comunicazione con la Val di Non.
La piazza centrale di Bolzano, denominata Johannesplatz in onore dell’arciduca Giovanni
d’Asburgo, nella seconda metà dell’Ottocento venne dedicata al poeta Walther von der Vogelweide,
al quale nel 1889 venne eretto un monumento.
Intanto la presenza della ferrovia aiutava lo sviluppo delle imprese. Se prevalevano i piccoli
artigiani e gli esercizi commerciali a gestione familiare, sorgevano sempre più numerose aziende di
commercio all’ingrosso e di trasporto, nonché aziende produttrici, che facevano affluire
manodopera alle zone circostanti ma anche dal Trentino e dal Veneto.
Nel 1907 venne completata la ferrovia mista a cremagliera e adesione Bolzano-Ritten. Una linea di
collegamento con l’altopiano, allo scopo di togliere quell’ampia zona montuosa dal secolare
isolamento, era stata progettata fin dalla seconda metà dell’Ottocento, ma si era scartata l’idea di
una cremagliera a vapore a causa degli alti costi che avrebbe comportato.
Nei primi anni del Novecento prendeva avvio la costruzione della rete tranviaria che era nel
programma del sindaco Julius Perathoner. Nel 1909 venne ultimata la Grieser Bahn che dalla
stazione FS di Bolzano giungeva a Gries attraversando il centro storico. Nel 1914 iniziò il servizio
la Stankt Jakob Bahn, che attraversava l’Isarco e in seguito fu prolungata fino a Laives. Anche le
tranvie per Gries e Sankt Jakob e la funicolare del Guntschna vennero inizialmente gestite dalla
Sudbahn.
Il comune di Bolzano nel 1911 attuò l’unificazione col territorio comunale di Zwolfmalgreien.
Intanto si sviluppava sempre più il turismo, in particolare nella zona di Gries, che fin da metà
Ottocento aveva iniziato la costruzione di hotel, stabilimenti, bagni, e che rapidamente vedeva
aumentare la clientela, soprattutto a fine secolo. Proprio in considerazione di questa importante
attività turistica la stazione ferroviaria gia a fine secolo aveva assunto la denominazione di BozenGries.
La guerra segnò una battuta d’arresto nello sviluppo della città e bloccò i programmi che la
Sudbahn stava elaborando per ingrandire la stazione ferroviaria, tuttavia le distruzioni belliche
furono limitate.
4. Interventi del governo fascista per una stazione “italiana”
Negli anni immediatamente successivi all’acquisizione, da parte italiana, del territorio fino a
Brennero, il Ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano (il Ministero era stato istituito nel 1924)
avviò il rinnovamento della stazione di Bolzano, che comportava la sistemazione del fabbricato dei
viaggiatori e dei binari adiacenti, lo spostamento dello scalo merci, la costruzione di una nuova
rimessa locomotori con officina e squadra rialzo. Si prevedeva anche l’elettrificazione della Verona
–Brennero, la costruzione di una trentina di fabbricati-alloggio per il personale italiano nonché il
trasferimento a Bolzano della Sezione Lavori di Trento. Questa politica di potenziamento degli
impianti sulle linee ferroviarie di confine rivestiva grande interesse nel generale processo di
italianizzazione dell’Alto Adige voluto da Mussolini.
Per realizzare l’ingrandimento e la sistemazione generale della stazione di Bolzano – dove il
fabbricato ottocentesco e il fascio dei binari erano ormai inadeguati rispetto al crescente traffico dei
passeggeri e delle merci – le FS, alla fine del 1924, presentarono un progetto che prevedeva
l’ampliamento della stazione verso l’Isarco. Ma quella soluzione avrebbe comportato difficoltà di
comunicazione fra i nuovi impianti per le merci e la città. Un certo signor Ronchetti lancio l’idea di
demolire tutta la stazione esistente per ricostruirla in località Bozner Boden, verso l’Isarco. Ma lo
spostamento sarebbe stato minimo, perché si doveva evitare un’ascesa impossibile per il transito dei
treni. Inoltre quella soluzione sarebbe costata 120 milioni di lire.
Un’altra soluzione era quella di trasferire oltre l’Isarco tutti i binari di manovra, gli impianti per il
servizio trazione e lo sbocco della ferrovia meranese: così a Bolzano si sarebbe ottenuto lo spazio
sufficiente per il movimento viaggiatori e per il traffico delle merci da caricare e scaricare in città.
Successivamente un certo ingegner Perwanger propose quattro varianti. Le prime tre prevedevano
il trasferimento dell’impianto di stazione; nella quarta, invece, si prevedeva di collocare oltre
l’Isarco anche i magazzini merci per la città.
Ma ben presto questi costosi progetti di trasferimento vennero abbandonati e si concentrò
l’attenzione sul fabbricato viaggiatori esistente con l’intenzione di ristrutturarlo radicalmente.
L’incarico per lo studio della parte architettonica venne affidato ad Angiolo Mazzoni, che era allora
Ispettore Principale delle FS, il quale avrebbe in seguito rinnovato anche la stazione del Brennero e
costruito ex-novo l’edificio di Trento.
Dopo alcuni studi Mazzoni decise di
conservare la parte semiottagonale
creando l’Atrio Partenze nel cortile
semiottagonale di questa vecchia
costruzione e di collocare il Ristoratore
all’estremità dell’ala verso il Brennero
aggregando ad esso un giardino. Fu
decisa anche la costruzione di un torre
che con il corpo centrale sporgente
inquadrasse la vista del Catinaccio.
Poiché il progetto approvato prevedeva
l’uso della pietra artificiale, il Municipio
di Bolzano chiese che per rendere le
strutture decorative della facciata “più
confacenti al carattere monumentale e più decorose e durature nella loro
integrità”, venisse messa in opera la pietra da taglio. L’edificio, però,
venne realizzato per la maggior parte, come previsto, in pietra artificiale.
I lavori di rifacimento del complesso – che si è mantenuto pressoché
intatto fino ai giorni nostri – iniziarono nel maggio del 1927. L’appalto venne aggiudicato alla ditta
Giuseppe Zanetti di Brescia.
5. Struttura della stazione
Pianta del corpo centrale del
fabbricato viaggiatori di Bolzano
L’ossatura dell’edificio austriaco venne mantenuta inalterata e venne ampliato sia in pianta che in
elevazione. Le ali verso il Brennero e verso Verona furono costruite completamente nuove. Il corpo
centrale venne allargato costruendo ai vertici dell’ottagono dei corpi di fabbrica di forma triangolare.
Il fulcro dell’edificio è costituito da un corpo di fabbrica di forma trapezoidale nel quale è ospitato
l’ingresso. La facciata principale è costituita da otto semicolonne cilindriche che sono poste sopra
un basamento inciso da una breve scalinata e sono intervallate da delle aperture. La sommità delle
colonne è rifinita con una pesante vernice colorata.
Ai fianchi del semiottagono, l’edificio ristrutturato si prolungava con due corpi di fabbrica a pianta
rettangolare differenti per altezza e funzioni. Il complesso si articolava, dunque, in più elementi
distinti che, mentre visivamente si saldavano sul fronte prospiciente i binari, davano una sensazione
di movimento a chi osservasse la stazione dal lato esterno.
Sulla facciata principale si trovano due figure
allegoriche alloggiate in nicchie: una rappresenta
l’Elettricità e l’altra il Vapore. Queste figure furono
realizzate dallo scultore austriaco Franz Ehrenhofer
che fu l’autore di tutti gli elementi scultorei che
decorano l’edificio. Un altro gruppo statuario si trova
alla base della torre che venne decorata con un
gruppo allegorico raffigurante i fiumi della regione,
cioè l’Adige, Passer, Isarco e Rienz. Ai piedi della
torre si trova una fontanella che è costituita da una
colonna dalla quale zampillano i numerosi getti
d’acqua. Alla sommità di questa colonna si trova la
statua di S.Cristoforo, il protettore dei trasporti.
Al centro del grosso fregio che sormonta le
semicolonne, sulla linearità del profilo emerge la
presenza ritmica di una serie di protome la cui
sagoma sembra adattarsi più a un edificio teatrale
che non ferroviario.
Varcato il portone d’ingresso, il viaggiatore attraversava un primo atrio e
poi l’adiacente atrio partenze, dove trovava l’Ufficio Biglietti, il vasto deposito bagagli, il comando
della Milizia e, nei pressi, le sale d’aspetto suddivise per classe. Dalle sale d’aspetto, s’accede al
marciapiede coperto dal primo binario. Sulla sinistra ,dopo l’atrio d’uscita, si trovano le sale del
ristoratore, sempre divise per classe e con arredi studiati su misura (sulla strada esterna il ristoratore
era segnato da un ampio portale decorato).
Nell’ala sud, al pian terreno, si trovano i locali relativi al movimento e al personale viaggiante,
dotati di un proprio ingresso dinanzi al quale ricompare il tema della coppia di pilastri terminanti
con un lampione quadrangolare. Al primo piano erano insediati gli uffici della Sezione Lavori delle
Ferrovie.
La pensilina in ferro venne costruita ex-novo e permetteva al viaggiatore di spostarsi lungo il
marciapiede e di accedere al sottopassaggio che fu arricchito da rivestimenti in marmo.
Negli impianti sotterranei del ristorante si svolge tutto il servizio di cucina, di lavaggio stoviglie,
refrigeranti, dispense e cantine. Qui Mazzoni ha messo in atto tutti i migliori insegnamenti della
tecnica moderna . Infatti creò un ambiente armonico, comodo e sano dove l’ordine e la pulizia
potessero svolgersi agevolmente.
Molto curati furono i serramenti, le opere in legno in genere, i lampadari distribuiti nei diversi locali
adibiti ai viaggiatori (ditta Cesare Greco di Milano) e le opere in ferro e bronzo( ditta Silvestri di
Trento).
Caratteristica saliente dell’edificio è quella di essere costituito da un complesso di elementi
volumetricamente differenziati e strettamente interconnessi, determinata in origine come vincolo,
ma che nello svolgimento del progetto si trasforma in opportunità per Mazzoni nell’individuare una
distribuzione più razionale ed efficace delle varie funzioni, secondo una chiara distinzione e con un
esito che investe allo stesso modo la valenza urbanistica dell’edificio e la sua introduzione nel
paesaggio urbano.
Un elemento molto importante della stazione fu la scelta dei materiali e il loro trattamento. Mazzoni
adotta una gamma ristretta di materiali basata su un rivestimento in pietra artificiale di colore rosa,
scalfito da una trama geometrica che riproduce la struttura tettonica del paramento in conci di pietra.
Su questo si inseriscono ampie superfici a intonaco, segnate da una fitta sequenza di stretti solchi
orizzontali rettilinei che bagnano con un’ombra diffusa il colore grigio chiaro della materia,
soprattutto qualificandola con un forte senso plastico. Altre componenti minori sono, ancora, gli
inserti in pietra artificiale bianca del basamento e pochi complementi in porfido e in marmo chiaro
negli interni.
La stazione, che doveva rispondere a
precise finalità politiche del regime, fu
oggetto di critiche. Mentre l’intervento
stava per essere ultimato, il ministro
Ciano accuso, infatti, il progettista di
aver impresso alla stazione di Bolzano
ed alle case dei ferrovieri costruite
nell’Alto Adige “forme tipicamente
tedesche, offendendo chi per la patria
aveva sofferto per portarne i confini
fino al Brennero e al Quarnaro”.
Tuttavia il Duce fu di diversa opinione:
due lettere indirizzate a Mazzoni nel dicembre 1927 assicuravano che la
stazione era di gradimento del Capo del Governo, perché non
mostravano alcun influsso tedesco. Prima dell’inaugurazione lo stesso
progettista espresse in un telegramma ai familiari la propria
soddisfazione: “Sua eccellenza Ciano soddisfatissimo et Prefetto
espressomi sue congratulazioni et alto compiacimento sua Maestà”.
Commenta lo stesso Mazzoni, negli appunti, che con quell’edificio si era
interrotto, nelle FS, il sistema burocratico di progettare le opere
architettoniche.
Malgrado le difficoltà derivanti dall’esigenza di garantire la continuità dell’esercizio, l’intervento
era stato condotto con celerità e senza interruzioni nei mesi invernali, cosi da concludersi nell’arco
di un anno. La nuova stazione venne inaugurata il 24 maggio 1928, contemporaneamente al grande
monumento alla Vittoria, enfatico emblema del Regime.
CASE PER FERROVIERI IN ALTO ADIGE
Oltre alla stazione di Bolzano, molto importanti furono una serie di edifici ferroviari minori che gli
vengono affidati dall’Amministrazione Ferroviaria dell’Alto Adige.
In particolare si tratta di edifici residenziali situati in piccole località lungo la val d’Isarco, sulla
linea Bolzano-Brennero, la val Venosta, sulla linea Bolzano-Malles, e la val Pusteria, sulla linea
Fortezza-San Candido. Le casette, pittoresche e movimentate, hanno piacevole sapore e fresca
ispirazione.
Mentre la stazione di Bolzano è ispirata a forme moderne, gli edifici ferroviari sono piuttosto
orientati verso le espressioni dell’architettura minore locale.
Alla necessità di una loro rapida realizzazione, risolta attraverso “l’adozione di un tipo unico e
pressoché unico di fabbricato”, basato su una tipologia in linea a due e tre piani, si sovrappone
l’esigenza di segno opposto di definire una loro ambientazione, esigenza alla quale Mazzoni
risponde ricorrendo al criterio di “modificare il tipo stesso nei particolari in modo che la verità delle
costruzioni appaghi l’occhio e si adatti al panorama circostante”. Muovendo pochi ma essenziali
elementi, sia materici sia di aggettivazione volumetrica, come in un calibrato gioco di variazioni,
Mazzoni coglie l’occasione di dare vita a una sorta di intermezzo narrativo, un breve e personale
repertorio di architettura alpina reinterpretata in chiave di sobrio medievalismo, memore della
lezione giovannoniana. Una stessa controllata misura separa questi episodi tanto da accentuazioni in
senso vernacolare e populistico, quanto, e ancor più, dalla marginale arroganza di certa architettura
periferica spesso sostenuta da un solerte zelo celebrativo.
A Casteldarne (linea Fortezza – San Candido)
Arch. A. Mazzoni : Case per i ferrovieri nell’ Alto Adige
A Dobbiaco – Linea della Pusteria
Arch. A. Mazzoni : Case per ferrovieri nell’ Alto Adige
LA STAZIONE FERROVIARIA DEL BRENNERO
1. Brennero stazione di confine
La località di Brennero, oggi al confine fra l’Italia e l’Austria, è attraversata, nel solco profondo fra
i monti, dalla statale del Brennero, dalla ferrovia e dall’autostrada. Più avanti, già in territorio
austriaco, la ferrovia fiancheggia il lago di Brennero con la stazione di Brennersee, sita in comune
di Gries am Brenner. Il cippo di confine venne collocato ufficialmente il 2 ottobre 1921.
Già prima dell’arrivo dei Romani, nell’età del Bronzo, il solco del Brennero, ancora disabitato e
coperto da una foresta, presentava una mulattiera, probabilmente situata nella posizione elevata
della Malga del Cambio. I Romani costruirono una strada, e la sella spartiacque venne a trovarsi in
posizione intermedia fra Vipitenum e Matreium. Nel 490 il popolo bavarese attraverso il valico e
nei secoli seguenti compirono questo stesso percorso sovrani, commercianti e viaggiatori. Nel XII
secolo presso lo spartiacque si insediò un maso Prenner o Prennerius, da cui il toponimo. Due secoli
più tardi si allestì il primo albergo.
Quando venne costruita la ferrovia, Brennero era un piccolo villaggio con la chiesetta consacrata a
San Valentino, un albergo e poche case. In corrispondenza di quel paesino di valico venne fissata
una stazione che era assai modesta. Costituita da appena tre binari, era una stazione di culmine cui
facevano capo le locomotive di spinta.
Dopo l’apertura della ferrovia vennero eretti nuovi edifici, altri vennero restaurati. Nella stazione si
aprì un ristorante.
Quando, alla fine della prima guerra mondiale, lo spartiacque venne assunto come confine di Sato,
improvvisamente Brennero divenne stazione di confine, cui faceva capo una linea di comunicazione
principale fra l’Italia, Austria e Germania. Era una stazione costruita a ridosso della montagna, per
cui non poteva espandersi: perciò i servizi di transito vennero in parte assegnati a Fortezza e
Innsbruck.
Il piazzale di Brennero venne ampliato con l’aggiunta di due nuovi binari.
La “stella” di Brennero, una struttura concepita per poter girare le
locomotive in uno spazio ristretto.
Dal 1919 al 1922 le ferrovie
elaborarono vari progetti, ma la
soluzione era resa difficoltosa dalla
mancanza di spazio. Nell’unica area
disponibile, situata sull’estremità a
nord-est della stazione, venne realizzata,
nel 1922, un’originalissima “stella”: era
stata disegnata da uno studioso
trasformando il normale impianto a
“triangolo” proprio per i casi di spazio
ristretto. Un’impianto per la tiratura
venne allestito anche a San Candido,
che era la seconda recente stazione di
confine.
A partire dal 1925 la ferrovia Brennero-Innsbruck venne elettrificata col sistema a corrente alternata
monofase. Il Governo italiano non consentì l’allacciamento con le ferrovie austriache nella stazione
di Brennero: così i treni dovevano essere trainati da una locomotiva a vapore per un tratto di 1300
metri, da Brennersee a Brennero. Il piccol segmento senza linea elettrica venne mantenuto, con
conseguente perditempo nonché impegno di personale, fino al 1934, quando finalmente
l’allacciamento venne autorizzato.Ad Innsbruck operava una delegazione italiana con squadra rialzo.
Al momento in cui le linee ex-austriache erano passate alla gestione delle Ferrovie dello Stato
italiano, il fabbricato viaggiatori di Brennero era costituito da due parti contigue disegnate
architettonicamente su uno stesso modello, ma differenti: una era eseguita in pietra da taglio ben
lavorata, l’altra (dovuta quasi certamente a un ampliamento) in intonaco e rilievi di cemento
piuttosto grossolani.
Per le esigenze immediate si adottarono provvedimenti di carattere provvisorio, costruendo una
grande baracca di legno per il servizio doganale e una per la pubblica sicurezza, e adattando alla
meglio i locali disponibili nell’edificio principale. Quel modesto ampliamento fu eseguito
mantenendo le linee architettoniche della costruzione austriaca. Nei primi anni Venti, oltre alla
“stella”, si costruì un deposito locomotive.
Nei progetti per l’ampliamento definitivo del fabbricato viaggiatori ebbe un ruolo determinante la
personalità dell’architetto Angiolo Mazzoni, le cui soluzioni dettero alla stazione l’impronta che si
è mantenuta fino ai giorni nostri. Dapprima si pensò di aggiungere due ali al vecchio fabbricato, con
un disegno che doveva ambientarsi nel paesaggio secondo ritmi molto movimentati, “prevedendo
però – come leggiamo in una relazione delle FS – una parte principale che per masse e per rapporto
di pieni e vuoti desse a tutto l’edificio l’importanza conveniente”. A quel primo progetto non venne
dato corso, soprattutto perché doveva essere ancora precisata la località destinata agli impianti
doganali FS.
Quando venne stabilito in modo definitivo che la visita doganale dei viaggiatori in transito sul
Brennero sarebbe stata trasferita, da Vipiteno, proprio nella stazione di confine, si pensò di
conservare il vecchio, modesto fabbricato ampliandolo quel tanto che consentisse una pronta
sistemazione degli Uffici ferroviari e della Pubblica Sicurezza. Quel progetto venne approvato dal
Ministero nel gennaio 1925 e realizzato per la prima parte.
Con proposta aggiuntiva si suggerì anche la costruzione di una lunghissima ala verso sud ad un solo
piano, da adibirsi ad uso della Dogana. Questo ulteriore intervento, anch’esso approvato, rimase
però sospeso. Infatti mentre di svolgevano le formalità per il nuovo appalto, giunse la richiesta del
Ministero delle Finanze di ricavare in quel nuovo corpo di fabbrica locali per il servizio d’alloggio
degli impiegati della Dogana. La Direzione Generale FS era disponibile ad accogliere la domanda
(purchè venisse corrisposto un canone d’affitto), e d’altra parte la costruzione di quella lunga ala ad
un sol piano, “progettata con criteri economici, non sarebbe risultata sufficiente ai bisogni e
adeguata all’importanza di una stazione di confine quale è quella del Brennero, dove invece, per
ragioni di opportunità e politiche, si ritiene che si debba provvedere per ogni nuovo impianto
organicamente e con larghezza di vedute”.
2. Il disegno di Mazzoni
Si modificò, pertanto, il disegno della nuova ala, prevedendo un edificio più elevato, di severa linea
architettonica e con portico in sostituzione della pensilina in legno, per tener conto del rigore del
clima e della frequenza delle nevi. In quel fabbricato sarebbero stati collocati, al pian terreno, gli
Uffici della Dogana e della Posta, nei piani superiori otto alloggi per il personale della Dogana.
Architettonicamente, nello studiare quegli interventi, si ritiene opportuno attenersi “alla signorile
semplicità adatta per un edificio alpino, ricavando gli effetti decorativi dall’uso del materiale, con
speciale cura nello studio dei particolari…”. Per armonizzare l’effetto estetico del fabbricato già
esistente con quello in costruzione si pensò di sostituire la pensilina in ferro con una in legno
coperta da tegolette piane smaltate in verde e giallo e disposte secondo disegno geometrico all’uso
locale. Quanto alla facciata esterna, si ventilò l’ipotesi di mascherarla alla vista, verso la strada
nazionale, piantando una filare di alberi lungo tutto il fabbricato. A nascondere ancora di più la
facciata avrebbe contribuito la mensa dei ferrovieri, da erigersi tra il fabbricato viaggiatori e la
strada nazionale.
Ferruccio Businari, Capo dell’Ufficio Costruzioni FS, in una relazione sui lavori notava che
“l’ottimo effetto dell’architettura dell’edificio della nuova dogana rende stridente il contrasto del
vecchio fabbricato col nuovo ad esso adiacente”. “Si impone – aggiungeva il funzionario – il
prolungamento del portico su tutta la fronte, e ciò porta alla ricostruzione delle fondamenta della
parte di fabbricato esistente. Si avrà cos’ un FV veramente imponente e comodo e degno di stare al
confine di una grande nazione”.
Il nuovo fabbricato – scriveva sempre Businari in una successiva relazione dell’ottobre del 1928 – è
stato recentemente coperto. E’ riuscito quale si voleva: un’opera di carattere prettamente italiano. Il
suo portico verso ferrovia ampio e comodo arieggia a castello o a grossa fattoria cui dà ricchezza
l’impiego di pietra da taglio, granito e porfido.
Il prospetto verso il piazzale esterno è anch’esso ben riuscito. L’effetto è superiore a quello che
risultava dal disegno, cosa che accade in genere con l’architettura semplice e robusta che
caratterizza la concezione del nostro architetto Mazzoni”.
Dato l’ottimo risultato per il piazzale esterno, non si parlò più di alberi, anzi l’eventualità di creare
una “piazzetta italiana” venne scartata proprio per non nascondere il bell’edificio. Si preferì lasciare
il piazzale aperto, utilizzandolo per un percorso di traffico laterale alla parallela via nazionale così
da avere un’area tranquilla; si puntava a superare nei modi opportuni il dislivello esistente fra il
vestibolo della stazione e la strada, che era distante una trentina di metri. Quanto ai fabbricati già
esistenti sul piazzale, era necessario demolire le povere costruzioni esistenti: “compreso l’asilo” si
raccomandava nel 1928, auspicando che “venisse posta in luce la preziosa piccola chiesa
medioevale esistente”.
In un disegno a firma di Mazzoni redatto in quegli anni, prende forma la piazzetta triangolare con i
lati costituiti dal fabbricato viaggiatori, dall’esistente asilo dell’Opera presieduta da S.A.R. la
Duchessa d’Aosta, mentre il terzo lato veniva formato, come leggiamo in una relazione del 1929,
dalla “nuova canonica, nella quale dovrebbero trovare sede anche i servizi sanitari… questo edificio
intercetterebbe la vista del brutto casale di campagna situato a lato della chiesa verso il confine”.
Seguiva “la bella chiesa, da sistemare con pochissime opere di ripristino, nonché l’esistente Albergo
della Posta, dove aveva sostato Goethe nel suo viaggio in Italia e da dove – precisavano
puntigliosamente i funzionari delle Ferrovie – comprese che lasciava il Settentrione per entrare
nella patria della sua grande anima di artista”. L’accesso all’albergo e alla chiesa avveniva per
rampe alberate. Lungo la fronte dell’asilo, Mazzoni aveva allineato altri alberi per meglio
ambientare la piazza nel paesaggio circostante.
Ulteriori fabbricati da costruire erano quelli del Dopolavoro Ferroviario e della mensa, oltre alla
nuova scuola. Si prevedeva che gli edifici già sistemati e quelli ancora da costruire, oltre
all’allestimento della piazza, venissero coordinati architettonicamente in unità di indirizzo artistico.
Il progetto venne esaminato collegialmente da funzionari delle varie amministrazioni interessate.
Intanto nel paese di Brennero erano stati costruiti tre fabbricati alloggi per i dipendenti della
ferrovia; altri sarebbero sorti ad uso di caserme e alloggi per la Pubblica Sicurezza.
L’intervento sul fabbricato viaggiatori a Brennero si concluse nel 1930. Potè cosi essere ricollocato
il busto dell’ingegner Carl von Etzel, che era stato rimosso nel 1927 dall’originaria posizione per
lasciare spazio all’edificio doganale.Le ferrovie federali austriache di Innsbruck avevano più volte
sollecitato la sistemazione del monumento esprimendo il timore che venisse rovinato dalle
intemperie e chiedendo – se non si trovava un luogo conveniente al Brennero – che venisse
restituito per essere esposto in una delle stazioni oltre confine.
Attualmente il busto si trova nella parte centrale del portico sul lato dei binari.
3. La seconda fase
Un’ulteriore serie di lavoro venne condotta, sempre da Mazzoni, a partire dall’ottobre 1933. Si
trattava di trasformare Brennero in una vera e propria stazione internazionale, dove sarebbe stata
trasferita la Dogana austriaca (allora operante al Brennersee). Vi avrebbero fatto capo anche i treni
austriaci, allora limitati oltre il confine. La spesa sarebbe stata ripartita tra Italia e Austria.
L’opera più importante in programma era un nuovo edificio da costruirsi fra i due binari di corsa nei
due sensi di marcia, in posizione parallela rispetto al primo fabbricato. La soluzione insolita era
dettata dall’esigenza di consentire l’ingresso dei treni austriaci con alimentazione monofase e
dall’intenzione di agevolare le operazioni doganali di confine.
Oltre alla Dogana, il nuovo edificio avrebbe ospitato vari servizi per il pubblico come biglietteria,
sale d’aspetto, ristorante, rivendita di giornali e tabacchi.
I lavori appaltati comprendevano un grande sbancamento della montagna adiacente per insediarvi
nuovi binari passanti. Inoltre si doveva provvedere alla demolizione dei fabbricati e delle baracche
di legno che esistevano nelle aree adiacenti. Lungo l’edificio intermedio si doveva realizzare un
marciapiede largo cinque metri con una pensilina di cemento armato.
“I nuovi fabbricati costruiti sotto la pensilina sono un modello di architettura funzionale – leggiamo
in un articolo pubblicato all’epoca - . Moderni, eleganti, accoglienti, sono rivestiti esternamente in
marmo bianco di Lasa con contorni di granito rosa. L’interno dei locali per il pubblico è stato
improntato a signorilità impiegando nei lavori di rifinitura rivestimenti in legno, ceramica e vetro”.
Mazzoni dedicò una grande attenzione anche agli arredi che dovevano essere funzionali e al tempo
stesso coerenti con le esigenze moderne in tema di estetica.
Il nuovo edificio veniva collegato al vero e proprio fabbricato viaggiatori mediante un
sottopassaggio.
Poco dopo l’inizio, i lavori dovettero essere sospesi, durante la stagione fredda, per ben sei mesi, e
ugualmente avvenne negli inverni seguenti. Per realizzare il nuovo complesso, compreso il
prolungamento dei binari, fu necessario deviare circa due chilometri della strada del Brennero e, di
conseguenza, il corso dell’Isarco. Si installò un impianto con apparati centrali per la manovra
elettrica degli scambi, insediati in due grandi cabine. Si provvide anche a distruggere un passaggio a
livello situato all’ingresso della stazione, lato Italia. Per l’illuminazione del piazzale vennero erette
due grandi torri metalliche.
A conclusione della vasta impresa di rinnovamento, l’inaugurazione si svolse l’11 novembre 1937
alla presenza del ministro delle telecomunicazioni Benni.
Fra le innovazioni stilistiche adottate da Mazzoni nel nuovo edificio ricordiamo le gabbie di
protezione delle lampade dagli sci (un’idea gia applicata a Trento), e soprattutto la forma cilindrica
dei pilastri, che in tal modo risultavano meno esposti agli inevitabili urti dei carrelli. Mazzoni
ricordava come solo in quella stazione gli fosse stato permesso di adottare la forma cilindrica,
generalmente vietata dalle superiori autorità.
Nei rivestimenti si usarono materiali locali. Per il sottopassaggio si scelse il porfido di Ora per la
pavimentazione a cubetti e quello violaceo di Predazzo per lo zoccolo delle pareti; pareti e soffitto
vennero invece intonacate e verniciate con cementite di colore giallo cadmio intenso: “un colore –
osserva l’architetto- che parve bello per la sua luminosità al Ministro”.
Quanto alla pensilina, Mazzoni riuscì a non farla rivestire, nel soffitto, con le previste tessere di
ceramica a vetro, lasciando invece a vista il calcestruzzo della struttura.
Nelle cronache dell’inaugurazione
apparse sul quotidiano “Il Brennero” si
esaltava l’intervento voluto dal Duce in
quella soglia estrema dell’Impero: “la
vecchia stazione ha smesso il suo abito
da cenerentola, si è ampliata in lungo e
in largo, si è ornata di archi e arricchita
di marmi”.
Sembra che lo scrittore Ugo Ojetti,
transitando per la stazione di Brennero
una mattina che rientrava in Italia,
scendesse dal treno in pigiama per
ammirare la purezza formale della
Primo piano del fabbricato di stazione dopo l’intervento di Mazzoni
nuova dogana (è Mazzoni stesso che se ne vanta nei suoi meticolosi appunti).
Per tre volte (il 18 marzo e il 4 ottobre 1940 e il 2 giugno 1941, ma forse anche altre volte in segreto)
Hitler e Mussolini si incontrarono alla stazione di Brennero per trattative politiche. Durante il primo
incontro Mussolini annunciò l’entrata in guerra dell’Italia.
Nel corso del conflitto moltissimi treni varcarono il confine per il trasferimento delle truppe.
Dopo l’8 settembre 1943 le incursioni aeree furono numerose. La stazione di Brennero, passata
indenne atrraverso la guerra, fu danneggiata da un bombardamento negli ultimi giorni delle
operazioni: il 21 marzo 1945 una formazione di diciotto aerei proveniente da nord sganciò un carico
di bombe provocando ventuno morti e gravissimi danni agli edifici. Venne colpita anche la stazione,
al centro e sul lato nord, con la parziale distruzione del fabbricato viaggiatori e dell’edificio fra i
binari di corsa e il danneggiamento della rimessa locomotive. Due bombe caddero in
corrispondenza del sottopassaggio dove molte persone che avevano cercato rifugio trovarono invece
la morte. Poiché le bombe erano congegnate per l’effetto ritardato, la sera a Brennero si ebbero altri
scoppi.
La guerra si concluse un mese più tardi. I binari vennero ripristinati, per la ripresa dell’esercizio. Le
case vennero ricostruite, vennero riparati i danni dei fabbricati ferroviari.
Gia negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale si era manifestata l’insufficienza del fascio
dei binari adibito al traffico merci, che era causa di lunghe soste dei convogli negli scali dei due
versanti, italiano ed austriaco. Si erano iniziati perciò i lavori di costruzione di due nuovi binari
passanti, ma gli eventi bellici avevano determinato una lunga sospensione.
Il problema riaffiorò alla fine degli anni Cinquanta: per il crescente volume di traffico si
programmò l’ampliamento e potenziamento della stazione doganale, la trasformazione del sistema
di trazione, la costruzione di nuovi binari tutti elettrificati e il prolungamento del fascio dei binari di
stazione. Per attuare quegli interventi fu necessario un rilevante sbancamento della falda montana,
costituita da roccia scistosa, per un fronte di circa 140 metri, e altri sbancamenti di minore portata.
Per sostenere le falde scavate si dovettero costruire muri di contenimento in conglomerato
cementizio.
Negli anni Sessanta si discusse sull’opportunità di demolire il dispositivo dei binari a stella: era
ormai inutilizzato, in quanto non c’era più necessità di provvedere alla giratura di locomotive.
ULTERIORI IMMAGINI DELLE OPERE DI MAZZONI
a) Stazione di Bolzano
Bolzano – Fabbricato viaggiatori – Uscita
Arch. Angiolo Mazzoni
Bolzano – Fabbricato viaggiatori
Ingresso alla torre e fontana
Arch. A. Mazzoni - Scultore Ehrenhofer
Stazione di Bolzano, pensilina sul primo binario, 1927-1928, foto d’epoca
(Università di Firenze, Biblioteca di Scienze tecnologiche / Architettura,
fondo Papini)
Particolare della facciata con
l’apparato decorativo mazzoniano
Stazione di Bolzano, 1927-1928, biglietteria, foto
d’epoca (Università di Firenze, Biblioteca di
Scienze tecnologiche / Architettura, fondo Papini)
b) Case per ferrovieri in Alto Adige
A Vandoies ( Linea Fortezza – San Candido)
Arch. Angiolo Mazzoni
A Vaona ( Linea Verona – Brennero)
Arch. Angiolo Mazzoni
A Campo di Trens ( Linea Verona – Brennero)
Arch. Angiolo Mazzoni : Case per ferrovieri in Alto Adige
c) Stazione del Brennero
Veduta della stazione di Brennero dopo la fase dell’ampliamento
(siamo intorno al 1930)
Brennero – Fabbricato Servizi Doganali
presso la Stazione
Fabbricato verso la strada
Arch. Angiolo Mazzoni
Così si presenta, oggi, la stazione di Brennero
Arch. Angiolo Mazzoni
Bibliografia :
- Angiolo Mazzoni (1894 – 1979). Architetto ingegnere del ministero delle telecomunicazioni,
Milano : Skira, 2003
- La ferrovia Verona – Brennero. Storia della linea e delle stazioni del territorio
Laura Facchinelli, Casa editrice Athesia, Bolzano – 1995
- Turismo d’Italia, Libreria del Littorio – Roma, Settembre 1928 - VI