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ANTONIO RUGGERI
Principio di ragionevolezza e specificità dell’interpretazione costituzionale*
SOMMARIO: 1. Il rovesciamento dei “metodi” con cui la questione è usualmente posta e la sua ambientazione
su un piano non teorico-generale bensì dogmatico-ricostruttivo, avuto riguardo all’incidenza esercitata da alcune
esperienze, normative e giurisprudenziali, sul modo di intendere l’interpretazione costituzionale.- 2. Interpretazione
della Costituzione e interpretazione di legge costituzionale: dalla diversità di animus metodico alla unità degli esiti
ricostruttivi?.- 3. Revisione costituzionale ed interpretazione “autentica” della Costituzione a confronto (in ispecie,
dell’autoreferenzialità dell’interpretazione dei princìpi e del modo migliore per superarla, attraverso la riconduzione in
circolo delle interpretazioni costituzionali e delle interpretazioni “ordinarie”).- 4. L’espansione della materia
costituzionale, conseguente all’ingresso di norme internazionali e sovranazionali dalla forza “paracostituzionale”, ed i
riflessi che se ne hanno sul piano dell’interpretazione.- 5. Tecniche decisorie della Corte costituzionale
(particolarmente, l’interpretazione conforme a Costituzione e le manipolazioni testuali) e riduzione ad unità
dell’interpretazione costituzionale e dell’interpretazione “ordinaria”.- 6. Ragionevolezza e bilanciamenti tra interessi
costituzionalmente protetti, nel continuum tra interpretazione costituzionale e interpretazione “ordinaria”.- 7. Esperienze
di normazione ed interpretazione (in ispecie, la disposizione in serie degli atti di normazione, la complessità e varietà
degli elementi costitutivi dei processi produttivi e l’incidenza che se ne ha sulle pratiche interpretative).- 8. (Segue):
L’accelerazione interna ai processi produttivi, l’instabilità delle norme di cui essi si compongono e i riflessi che se ne
hanno sul piano dell’interpretazione.
1. Il rovesciamento dei “metodi” con cui la questione è usualmente posta e la sua
ambientazione su un piano non teorico-generale bensì dogmatico-ricostruttivo, avuto riguardo
all’incidenza esercitata da alcune esperienze, normative e giurisprudenziali, sul modo di intendere
l’interpretazione costituzionale
Esiste una specificità dell’interpretazione costituzionale o – il che è praticamente lo stesso –
esiste uno statuto teorico almeno in parte peculiare dell’interpretazione costituzionale? A questa
domanda molti rispondono affermativamente1; e si capisce perché. La tipicità dell’interpretazione
*
Testo rielaborato di un intervento svolto alle giornate di ermeneutica giuridica, Padova 18-19 gennaio 2002.
Gli studi più consapevoli legano la questione, in primo luogo, a quella del metodo nello studio del diritto
costituzionale, specie in rapporto allo studio di discipline diverse (su di che, per tutti, AA.VV., Il metodo nella scienza
del diritto costituzionale, Cedam, Padova, 1997 e, ancora di AA.VV., i contributi sul tema I rapporti tra il diritto
costituzionale e le altre discipline giuridiche, in Riv. dir. cost., 1999, nonché, ora, A. PACE, Metodi interpretativi e
costituzionalismo, in Quad. cost., 1/2001, p. 35 ss.), e, quindi, da un canto, ai giudizi su basi di ragionevolezza ed ai
bilanciamenti tra beni o interessi costituzionalmente protetti e, dall’altro, alle forme del linguaggio costituzionale, nella
sua essenza espresso da princìpi più che da regole. In prospettiva filosofica, indicazioni di vario segno possono aversi,
part., da G. TARELLO, Gerarchie normative e interpretazione dei documenti costituzionali, in Pol. dir., 1977, p. 499 ss.;
L. GIANFORMAGGIO, L’interpretazione della Costituzione tra applicazione di regole ed argomentazione basata su
principi, in Riv. int. fil. dir., 1985, p. 65 ss.; E. DICIOTTI, Come interpretare la Costituzione?, in Ragion pratica, 4/1995,
p. 203 ss.; R. GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A.
Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni, Giuffrè, Milano, 1998, p. 330 ss.; P. COMANDUCCI, Interpretazione
della costituzione, in Assaggi di metaetica due, Giappichelli, Torino, 1998, p. 97 ss.; F. VIOLA-G. ZACCARIA, Diritto e
interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Laterza, Roma-Bari, 1999, spec. p. 217 ss.; S. POZZOLO,
Neocostituzionalismo e positivismo giuridico, Giappichelli, Torino, 2001, p. 71 ss. Tra i giuristi positivi (e,
segnatamente, tra i costituzionalisti), v., part., G. SILVESTRI, Linguaggio della Costituzione e linguaggio giuridico: un
rapporto complesso, in Quad. cost., 1989, p. 229 ss.; A. PIZZORUSSO, L’interpretazione della costituzione e l’attuazione
di essa attraverso la prassi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1989, p. 3 ss.; A. BALDASSARRE, Costituzione e teoria dei valori,
in Pol. dir., 1991, p. 639 ss.; R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza
costituzionale, Giuffrè, Milano, 1992, e L’ultima fortezza. Teoria della Costituzione e conflitti di attribuzione, Giuffrè,
1
1
appare, infatti, il riflesso, immediato e diretto, della tipicità dell’oggetto, complessivamente
caratterizzato rispetto ad altri oggetti congeneri, alle altre fonti del diritto. Negare, dunque, la
specificità dell’interpretazione costituzionale porterebbe diritto a negare la unicità della
Costituzione, la sua qualità di norma normans, fondativa dell’intero ordinamento e, allo stesso
tempo, interna a quest’ultimo, ad ogni modo distinta da ogni altro atto o fatto che lo componga2.
Ora, non è di qui riprendere da cima a fondo la somma, vessata questione concernente
l’essenza della Costituzione, il suo originale, irripetibile modo di porsi a base dell’ordinamento e di
appartenervi, di dare un senso, riconoscendole e legittimandole ex post, a vicende storiche da cui la
Costituzione stessa trae origine e di fondare le vicende di là da venire. Lo scopo, assai più limitato,
di queste mie notazioni è piuttosto quello di tornare a riflettere su alcuni modi, pure assai diffusi, di
porre la questione dell’interpretazione costituzionale alla luce di talune esperienze e tendenze
specificamente rilevanti sul piano della normazione e della giustizia costituzionale, la cui
osservazione può offrire indicazioni utili a chi si accinga a riprendere la questione suddetta, fuori di
ogni astratto preorientamento. Una prospettiva, quella qui adottata, dunque, puramente
“sperimentale” e specificamente legata al nostro contesto ordinamentale, come tale priva di ogni
aspirazione ad improprie generalizzazioni teoriche3.
Proprio qui, infatti, si evidenzia, a mia opinione, il limite maggiore cui si espongono le
dottrine più accreditate e diffuse, pur laddove si distacchino vistosamente l’una dall’altra per
indirizzo metodico così come per esiti ricostruttivi. Non importa, invero, che la questione
dell’interpretazione costituzionale sia osservata da una prospettiva descrittiva ovvero da una
Milano, 1996, spec. P. 61 ss.; M. DOGLIANI, Interpretazioni della Costituzione, Comunità, Milano, 1982, nonché Il
“posto” del diritto costituzionale, in Giur. cost., 1993, p. 525 ss. e Diritto costituzionale e scrittura, in Ars
interpretandi, 1997, p. 103 ss.; G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, Einaudi, Torino, 1992; F.
RIMOLI, Costituzione rigida, potere di revisione e interpretazione per valori, in Giur. cost., 1992, p. 3712 ss. e, dello
stesso, Pluralismo e valori costituzionali. I paradossi dell’integrazione democratica, Giappichelli, Torino, 1999; L.
PALADIN, Costituzione, preleggi e codice civile, in Riv. dir. civ., 1993, p. 24 ss., spec. p. 32 ss.; A. PENSOVECCHIO LI
BASSI, in più scritti, alcuni dei quali riuniti in Interpretazione costituzionale e legislazione costituzionale, Giappichelli,
Torino, 1993; F. BILANCIA, Emergenza, interpretazione per valori e certezza del diritto, in Giur. cost., 1993, p. 3007
ss.; L. PERFETTI, Interpretazione costituzionale e costituzionalità dei valori dell’interpretazione, in Jus, 1993, p. 171
ss.; A.A. CERVATI, In tema di interpretazione della Costituzione, nuove tecniche argomentative e “bilanciamento” tra
valori costituzionali (a proposito di alcune riflessioni della dottrina austriaca e tedesca), in AA.VV., Il principio di
ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Riferimenti comparatistica, Giuffrè, Milano, 1994, p.
55 ss.; F. PIZZETTI, L’ordinamento costituzionale per valori, in Dir. eccl., 1995, p. 66 ss.; V. ANGIOLINI, Costituente e
costituito nell’Italia repubblicana, Cedam, Padova, 1995; L. MENGONI, Il diritto costituzionale come diritto per
principi, in Ars interpretandi, 1996, p. 95 ss.; A. D’ATENA, In tema di principi e valori costituzionali, in Giur. cost.,
1997, p. 3065 ss.; G. SCACCIA, Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Giuffrè, Milano, 2000;
L. D’ANDREA, Contributo ad uno studio sul principio di ragionevolezza nell’ordinamento costituzionale, ed. provv.,
Giuffrè, Milano, 2000; A. BALDASSARRE, L’interpretazione della Costituzione, e G. AZZARITI, Interpretazione e teoria
dei valori: tornare alla Costituzione, entrambi in AA.VV., L’interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo, a
cura di A. Palazzo, ESI, Napoli, 2001, rispettivamente, pp. 215 ss. e 231 ss.; I. MASSA PINTO, Contenuto minimo
essenziale dei diritti costituzionali e concezione espansiva della Costituzione, in Dir. pubbl., 3/2001, p. 1095 ss.; A.
MORRONE, Il custode della ragionevolezza, Giuffrè, Milano, 2001, spec. p. 395 ss. Un interessante confronto di punti di
vista di filosofi e costituzionalisti si è, poi, avuto in occasione del Seminario su La ragionevolezza nel diritto, a cura di
M. La Torre e A. Spadaro, Catanzaro 1° dicembre 2000, i cui Atti sono in corso di stampa.
2
Che la Costituzione, in quanto proiezione immediata e diretta (e, appunto, unica) del potere costituente,
presenti una sua irripetibile connotazione complessiva non si discute. Discussa era, invece, un tempo, come si sa, la
questione riguardante il suo “posto”, se esterno all’ordinamento dalla stessa fondato ovvero interno a quest’ultimo; ed è
chiaro che, per la prima prospettazione teorica, l’irriducibilità dell’interpretazione costituzionale all’interpretazione tout
court riceveva (e, ove vi si accedesse, ancora oggi riceverebbe) una particolarmente probante testimonianza.
Nondimeno, anche per il secondo corno dell’alternativa, avvalorato ormai da un “diritto vivente costituzionale” fatto di
applicazioni dirette della Costituzione e di altre pratiche ancora al riguardo assai indicative, delle quali si dirà più
avanti, la questione della tipicità dell’interpretazione costituzionale rimane ugualmente impregiudicata, non potendosi
ad ogni modo ricondurre sotto più aspetti la legge fondamentale alle leggi comuni.
3
Nondimeno, poiché alcune delle esperienze e tendenze suddette si ritrovano, pur con alcuni non secondari
aggiustamenti, anche in altri contesti, le notazioni ora svolte possono, in maggiore o minore misura, estendersi anche
fuori delle mura del nostro ordinamento, dopo attenta verifica della loro idoneità al riguardo.
2
prescrittiva e ci si chieda, pertanto, come l’interpretazione stessa sia o come debba essere. In
entrambi i casi, l’analisi non riesce a liberarsi da un vizio congenito e da un peso, che la condiziona
fino a schiacciarla e ad appiattirla, presumendosi in partenza – in forza di un preorientamento
metodico-teorico invece bisognoso di essere avvalorato dall’esperienza – che l’interpretazione
rimanga sempre identica a sé, che si presenti (per la prospettiva descrittiva) in un suo “modo”
complessivo irripetibile ovvero che debba ambire e tendere (per la prospettiva prescrittiva) a
connotarsi in un “modo” siffatto, in obbedienza a regole superiori (a “metanorme”), di ordine
logico-sistematico universale prima ancora che positivo, la cui determinazione peraltro si presenta –
come si sa – non poco problematica ed incerta, muovendo sopra un terreno infido che rischia di
farla scivolare verso sempre più attrattive suggestioni giusnaturalistiche o metagiuridiche in genere.
È, tuttavia, da chiedersi se (e fino a che punto) orientamenti metodici siffatti possano resistere
davanti ad esperienze che parrebbero da essi, almeno in parte, divergenti, comunque inidonee a
corroborarli in modo adeguato. Perciò, la riflessione che segue, per quanto specificamente volta alla
verifica della “tenuta” degli orientamenti in parola (e, in questo senso, essa stessa di ordine
metodico), non può dirsi, quanto meno avuto riguardo alle fonti culturali e positive da cui scaturisce
ed al piano sul quale si muove, avere natura teorico-generale, così come invece preteso dalle altre
ricostruzioni con le quali si confronta, bensì (assai più limitatamente) dogmatico-ricostruttiva,
assumendo a proprie esclusive referenze taluni connotati, nondimeno particolarmente significativi
ed espressivi di più generali tendenze, da noi come altrove largamente diffuse, della normazione e
della giustizia costituzionale del nostro Paese.
2. Interpretazione della Costituzione e interpretazione di legge costituzionale: dalla
diversità di animus metodico alla unità degli esiti ricostruttivi?
La prima osservazione che conviene fare al fine di dare concretezza allo studio ora
intrapreso è che, in prima approssimazione, parrebbe doversi tenere distinta l’interpretazione della
Costituzione dall’interpretazione di leggi costituzionali e, ancora più largamente, di leggi e
disposizioni normative in genere materialmente costituzionali.
Di quest’ultimo aspetto non intendo ora ex professo trattare. L’analisi, infatti, rischierebbe di
essere fagocitata dalle sabbie mobili di un concetto, come si sa, largamente discusso (e discutibile),
quello appunto di normazione materialmente costituzionale, avvolgendosi a conti fatti in se
medesima, per quelle innegabili, mutue implicazioni che si intrattengono tra la “materia” e la sua
fonte: per un verso, l’una essendo determinata, nella sua accezione e nelle sue proiezioni
giuridicamente rilevanti, dalla disciplina positiva che l’assume ad oggetto e, però, quest’ultima,
circolarmente, richiedendo di essere riconosciuta e qualificata alla luce appunto dell’oggetto stesso4.
Ammesso, poi, che si riesca a spezzare la spirale perversa di reciproci rimandi di senso che
lega la fonte all’oggetto, ugualmente si darebbero non poche incertezze e controversie circa il
concreto riconoscimento degli atti materialmente costituzionali (o, meglio, delle loro disposizioni o
norme, se si conviene che, per un criterio materiale puro, in seno ad uno stesso atto possono
convivere disposizioni dalla diversa natura5): quand’anche, infatti, il criterio di riconoscimento si
4
Su ciò (ed anche per maggiori ragguagli ed approfondimenti), mi permetto di rinviare al mio La Costituzione
allo specchio: linguaggio e “materia” costituzionale nella prospettiva della riforma, Giappichelli, Torino, 1999, spec.
la sez. I.
5
E, dunque, a rigore, così come possono darsi norme materialmente costituzionali prodotte da leggi comuni,
potrebbe darsi anche l’inverso, di norme non in sé costituzionali, ancorché risultanti da leggi formalmente
costituzionali. Dal punto di vista positivo, nessuna conseguenza tuttavia se ne avrebbe in quest’ultima evenienza,
ammesso che si riesca a riconoscerla senza soverchie incertezze di lettura. Nessuna separazione di competenze, infatti,
si ha, in alcun caso, tra legge costituzionale e legge comune, tale da portare a qualificare come indebita invasione del
campo riservata a quest’ultima (o, addirittura, ad atti ancora inferiori) una produzione di disposti normativi
particolarmente minuti e dettagliati da parte di legge approvata con le procedure dell’art. 138. Ciononostante, che essa,
perlomeno nei casi più gravi, si possa (e si debba) connotare come irragionevole è indubbio.
3
considerasse sufficientemente sicuro, nella sua complessiva caratterizzazione teorica, assai
problematico sarebbe portarlo a sia pure approssimativamente uniformi e coerenti applicazioni6. La
qual cosa renderebbe fortemente instabile e precaria l’intera costruzione che su basi siffatte venisse
fatta poggiare.
Il criterio formale, di contro, pur andando incontro ad obiezioni di vario segno ed a limiti
operativi anch’essi molteplici e di assai rilevante spessore (ai quali tra non molto si accennerà),
presenta, se non altro, il pregio della chiarezza nella delimitazione del campo al quale circoscrivere
l’indagine.
Usualmente, quando si discorre di interpretazione costituzionale nell’aggettivo si mescolano
e confondono gli oggetti (la Costituzione da un canto, le leggi costituzionali dall’altro)
dell’interpretazione stessa che, nondimeno, la teoria delle fonti ha mostrato non in tutto riducibili ad
unità. Di ciò non è ora il caso di discorrere nuovamente, tornando a chiedersi se tuttora resista la
differenza di natura e, in parte, anche di forza (si pensi solo alla dottrina dei limiti alla revisione
costituzionale) che – come si sa – è comunemente rilevata tra l’atto originariamente e genuinamente
espressivo di potere costituente e gli atti che invece costituiscono manifestazione al grado più
elevato di potere costituito. Tra l’altro, come si ricorderà, proprio di recente è venuta sempre di più
diffondendosi l’idea che il potere costituente sia storicamente “chiuso”, “esaurito”, come pure è
stato detto7, e che perciò non potrebbero darsi – specie a partire dalla caduta del muro di Berlino e
dagli altri fatti che hanno sconvolto l’Est europeo, portando alla fine delle contrapposizioni tra
sistemi su basi ideologiche8 – manifestazioni “dirompenti” di potere costituente, nel senso dunque
suo proprio (o, quanto meno, nel senso acquisito nella cultura occidentale a partire dalla rivoluzione
6
… a meno che il criterio materiale non risulti temperato (e, perciò, accompagnato) da un criterio formaleprocedimentale, assumendosi che taluni atti, in quanto portatori di un certo nomen, siano per ciò solo da considerare
materialmente costituzionali: ad es., secondo una opinione largamente diffusa, gli statuti regionali all’interno del
“microsistema” di appartenenza. Si noti, dunque, come le nozioni di materia costituzionale e, a questa speculare, di
fonte materialmente costituzionale assumano un carattere relativo, in ragione del “microsistema” al cui interno sono
considerate e giuridicamente rilevano. Pure all’interno di ciascun “microsistema” si ripropone poi la generale questione,
cui si è sopra fatto cenno, circa la congruità tra la materia regolata ed il modo della sua regolazione, vale a dire la
struttura nomologica degli enunciati prodotti dalle singole fonti di cui il microsistema stesso si compone. Così, si è ora
tornati a discutere della eventuale (ma, a parer mio assai problematicamente affermabile) sussistenza di un rapporto di
separazione delle competenze tra statuti e leggi regionali, alla luce della previsione dell’art. 123 cost. che parrebbe
circoscrivere l’area della disciplina statutaria ai soli “princìpi” dell’organizzazione e del funzionamento della Regione
(la tesi è argomentata da A. D’ATENA, La nuova autonomia statutaria delle Regioni, in Rass. parl., 3/2000, p. 614 ss.),
mentre, ancora una volta, la rappresentazione maggiormente adeguata alle esigenze di un “riparto” mobile e duttile della
disciplina in parola parrebbe esser quella che fa capo alla tecnica della ragionevolezza (v., dunque, il mio Le fonti di
diritto regionale: ieri, oggi, domani, Giappichelli, Torino, 2001, p. 122 ss.). Ed ancora una volta può riproporsi, anche
per il “microsistema” ora rapidamente considerato, la questione – in verità, fin qui non avvertita – circa la tipicità
dell’interpretazione dello statuto rispetto all’interpretazione della legge, che nondimeno qui parrebbe essere fortemente
influenzata dall’altra questione che la precede, riguardante l’ammissibilità di norme statutarie aventi carattere sostantivo
o di valore, il loro “posto” sia nel microsistema di appartenenza che nei rapporti con fonti ad esso esterne (ad es., le
leggi-quadro statali) e, insomma, la loro complessiva caratterizzazione.
7
Con varietà di accenti ma sostanziale concordia di orientamento, v. M. LUCIANI, Il voto e la democrazia. La
questione delle riforme elettorali in Italia, Editori Riuniti, Roma, 1991, p. 8 s. e, dello stesso, L’antisovrano e la crisi
delle costituzioni, in Riv. dir. cost., 1996, p. 124 ss., spec. p. 136 ss.; U. ALLEGRETTI, Il problema dei limiti sostanziali
all’innovazione costituzionale, in AA.VV., Cambiare costituzione o modificare la Costituzione?, a cura di E. Ripepe e
R. Romboli, Giappichelli, Torino, 1995, p. 29; M. DOGLIANI, Potere costituente e revisione costituzionale, in Quad.
cost., 1995, p. 7 ss. (ma v. pure, di quest’ultimo, le precisazioni ora svolte ne La legislazione costituzionale, in Riv. trim.
dir. pubbl., 2001, p. 1017 ss., spec. p. 1030 ss.).
8
Su trasformazioni e transizioni costituzionali (e sulle forme di cui le une e le altre sono idonee a rivestirsi), v.,
per tutti, i contributi di AA.VV., Le “trasformazioni” costituzionali nell’età della transizione, a cura di A. Spadaro,
Giappichelli, Torino, 2000 (ed ivi, part., la relazione dello stesso curatore, La transizione costituzionale. Ambiguità e
polivalenza di un’importante nozione di teoria generale, con ampî ragguagli di lett. di vario orientamento), nonché,
volendo, il mio Note sparse per uno studio sulle transizioni di rilievo costituzionale, in AA.VV., La transizione
repubblicana. Studi in onore di G. Cuomo, a cura di S. Labriola, Cedam, Padova, 2000, p. 95 ss. Una descrizione delle
principali vicende registratesi sul finire del secolo è in G. DE VERGOTTINI, Le transizioni costituzionali. Sviluppi e crisi
del costituzionalismo alla fine del XX secolo, Il Mulino, Bologna, 1998.
4
francese e dall’indipendenza delle colonie del Nord America). Idea, questa, che pure parrebbe
bisognosa di numerose precisazioni ed avvertenze, qui nondimeno non riproponibili, ma che – come
si vede – spinge, per la sua parte, a ricondurre ad un unico genus i fatti interpretativi che maturano
sullo specifico terreno della normazione costituzionale. E, tuttavia, sembra che una siffatta,
indistinta ambientazione della questione non tenga conto almeno di alcuni dati idonei a pregiudicare
la linearità dei risultati conseguiti muovendo da tali premesse.
È interessante, in primo luogo, notare che le differenze di natura o di forza, alle quali si è
sopra fatto cenno, parrebbero restare indifferenti in ordine ai metodi ed alle pratiche
dell’interpretazione (ancora una volta, indistintamente e confusamente qualificata come)
“costituzionale”. Eppure, vi è di sicuro una prima, importante differenza che, a mia opinione,
proietta la sua lunga ombra sull’intero modo di essere dell’interpretazione, alla quale si è fin qui
prestata una insufficiente attenzione e che direttamente discende proprio da quella diversa natura (e
forza) di cui sono rispettivamente dotate la Costituzione da un canto, le leggi costituzionali
dall’altro.
La differenza è, infatti, di approccio (se si vuole, di animus) metodico al fatto interpretativo
(Esser ed i suoi seguaci direbbero di “preorientamento”9); ed a renderla ancora più accentuata e
visibile è il modo con cui numerosa dottrina ha da noi guardato alle più recenti revisioni
costituzionali, nonché ai non pochi tentativi di innovazione costituzionale fin qui progettati ma non
riusciti. Ancora di recente mi è stata offerta l’occasione per far notare 10 come, mentre nei riguardi
del prodotto genuinamente espressivo della volontà del Costituente, la Carta del ’48, ci si volga con
sentimenti di osservanza incondizionata e, ancora di più, di intima adesione e partecipazione, pur
nella consapevolezza che in molte sue parti la Carta stessa richieda di esser ormai aggiornata, nei
riguardi invece degli atti di revisione si assume un atteggiamento, nel più benevolo dei casi,
guardingo e cauto; in molti altri (e da parte di molti commentatori), invece, di evidente disagio e
persino di non taciuto disprezzo11.
La Costituzione è (e giuridicamente rimane) unicamente il parametro per antonomasia delle
esperienze di normazione di grado primario e, discendendo, delle esperienze giuridiche in genere.
Le leggi di modifica della Costituzione stessa, possono, sì, mantenere, secondo la loro vocazione,
siffatta qualità, ma possono anche smarrirla, convertendosi da parametro in oggetto di giudizi (non
solo ad opera della Corte costituzionale, ma anche) diffusi, politici prima ancora che propriamente
giuridici o giurisdizionali, di (in)costituzionalità.
Non si dica che tutto ciò dipende dal modo a dir poco discutibile con cui sono forgiati gli
enunciati costituzionali, dallo “stile” ben diverso che connota le esperienze di tecnica della
normazione del tempo presente rispetto al modo piano e scorrevole della prosa del Costituente12.
Per quanto la contingenza faccia sentire tutto quanto il proprio peso e non possa, dunque, essere
disinvoltamente ignorata, la questione nondimeno da essa si distacca ed assume una generale
portata.
Della Costituzione nessuno poteva (e può) dire che è “incostituzionale”, commutando i
propri apprezzamenti politici e, in genere, le proprie personali vedute in un giudizio giuridico di
9
Il riferimento è, ovviamente, a Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del
diritto, tr. it. di S. Patti e G. Zaccaria, Jovene, Napoli, 1983.
10
… ne La riforma costituzionale del Titolo V e i problemi della sua attuazione, con specifico riguardo alle
dinamiche della normazione ed al piano dei controlli, intervento ad un incontro di studio organizzato dall’A.I.C. su Il
nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione. Primi problemi della sua attuazione (Bologna, 14 gennaio 2002), i cui
Atti sono in corso di stampa, ma che possono già vedersi, in parte, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
11
Si rammentino le forti, diffuse critiche di cui è stato a suo tempo fatto oggetto l’elaborato della Bicamerale e
le non minori, gravi riserve e critiche ora manifestate nei riguardi del nuovo articolato del titolo V della Carta.
12
Nessun dubbio che l’impegno assunto da Meuccio Ruini, a nome della Commissione dei 75, di pervenire nel
più breve tempo possibile ad una Costituzione “piana, semplice, comprensibile anche alla gente del popolo” e “per
quanto possibile, italiana”, sia stato centrato in pieno. Sconfortante, invece, il raffronto col linguaggio degli autori di
molti progetti di riforma, malgrado la dichiarata intenzione, in innumeri sedi ed occasioni, della necessità di far luogo
ad un uso accorto, consapevole delle tecniche di confezione degli enunciati, che nondimeno tarda a maturare.
5
invalidità. Della Costituzione “novellata”, invece, ciò è ben possibile (e – come si sa –
ripetutamente ammesso dalla stessa giurisprudenza costituzionale). La previa distinzione di natura e
di forza, che si è soliti intravedere tra Costituzione e legge costituzionale, si riflette, dunque, non
solo in questo o quell’esito interpretativo ma, prima ancora, nel modo stesso della impostazione o
dell’ambientazione del fatto interpretativo. Volendo, si potrebbe anche dire così: che la teoria delle
fonti (e, specificando, la teoria della Costituzione) orienta e variamente condiziona la teoria
dell’interpretazione, sollecitando una distinzione tra interpretazione della Costituzione e
interpretazione (di legge) costituzionale, che altrimenti rischierebbe di non essere appieno colta ed
apprezzata, in tutti i suoi sviluppi e nelle sue possibili implicazioni.
L’interpretazione di legge costituzionale, ovviamente, si apre, come ogni altra, ad esiti di
vario segno. Per ciò che qui particolarmente importa, può fissare e rendere stabile il parametro,
appunto in questa sua qualità; ma può anche convertirlo, come s’è detto, in oggetto, qualora se ne
riconosca la incostituzionalità (in rapporto ai princìpi fondamentali dell’ordinamento).
Ora, è interessante notare che, in quest’ultima evenienza, la specificità dell’interpretazione
costituzionale rispetto all’interpretazione di legge comune si smarrisce per intero13.
Si potrebbe obiettare che siffatta perdita di caratterizzazione attiene sicuramente all’esito del
processo interpretativo, vale a dire al fatto interpretativo in sé considerato, per come esteriormente
si presenta, rimanendo tuttavia impregiudicata la questione circa il modo di essere del processo
stesso, nella sua struttura e nella sequela delle attività che lo compongono e ne danno la
complessiva caratterizzazione, l’orientamento, fino appunto a far pervenire all’esito stesso. Il dire,
insomma, che un enunciato costituzionale, nel significato attribuitogli, appare irrispettoso dei
princìpi di base dell’ordinamento nulla, a ben vedere, ci dice circa il modo con cui il significato
stesso è stato colto, se dunque il processo ermeneutico si è avvalso di procedure e tecniche sue
proprie, in partenza selezionate e differenziate rispetto a quelle usualmente adottate in sede di
ricognizione dei sensi degli enunciati contenuti in leggi comuni. Tuttavia, per un verso, la
circostanza per cui il parametro, laddove risultante da legge costituzionale, può convertirsi in
oggetto fa sì che, come si faceva poc’anzi notare, muta l’approccio metodico al fatto interpretativo,
il modo con cui insomma si accende il motore dell’interpretazione e si avvia il processo in cui
questa prende corpo e svolgimento. Per un altro verso, poi, procedendo a ritroso dall’esito cui
conduce il processo stesso, si hanno ulteriori elementi che spingono piuttosto verso l’assimilazione
anziché verso la tipizzazione dell’interpretazione costituzionale rispetto all’interpretazione (che per
brevità chiamerò) “ordinaria”.
Va ora aggiunto, a completamento delle osservazioni appena svolte e prima di far proseguire
oltre l’indagine sul binario tracciato, che il diffondersi delle revisioni costituzionali a parti crescenti
dell’originario dettato e – soprattutto – la loro frequenza persino in relazione ad uno stesso oggetto
diffonde in seno alla comunità ed agli operatori istituzionali un senso di precarietà ed instabilità del
“prodotto” costituzionale che, più di ogni altra cosa, spinge vigorosamente nel senso
13
La circostanza per cui gli atti costituzionali sono adottati con procedure diverse da quelle utilizzate per la
formazione delle leggi comuni rimane, infatti, del tutto indifferente per il caso che se ne abbia l’annullamento da parte
della Corte costituzionale per violazione dei princìpi di base dell’ordinamento. Diverso è, com’è chiaro, lo spettro del
parametro (nell’un caso, a differenza dell’altro, circoscritto appunto ai soli princìpi) e diversa è pure, ad esser realisti, la
probabilità dell’annullamento, essendo del tutto comprensibili le remore che la Corte potrebbe nutrire a farvi luogo con
riguardo agli atti approvati con le procedure dell’art. 138, tanto più se dotati del suggello costituito dalla loro eventuale
“conferma” popolare. La presunzione di validità, che – come si sa – accompagna e sorregge tutte le leggi, per quanto a
mia opinione meritevole di talune precisazioni che non possono nondimeno essere ora fatte, risulta ulteriormente
rafforzata con riguardo alle leggi costituzionali: non solo per la ben diversa estensione del parametro, di cui si è detto,
ma anche (e, forse, soprattutto) in forza del preorientamento metodico di particolare favore che sta a base della loro
interpretazione, segnatamente da parte del giudice delle leggi. Eppure, specie per il caso che si assista ugualmente
all’invalidazione di norme espresse da leggi siffatte, si avrebbe ex post una testimonianza particolarmente attendibile
del non diverso trattamento riservato, anche in sede d’interpretazione, alle leggi stesse rispetto a quello di cui sono
ordinariamente fatte oggetto le leggi comuni (ma v., sul punto, gli svolgimenti che subito seguono nel testo).
6
dell’assimilazione delle fonti costituzionali alle fonti comuni e, perciò, delle relative
interpretazioni14.
La notazione appena fatta potrà anche apparire, in prospettiva teorico-astratta, poco
perspicua e scientificamente attendibile; ma chi ha dimestichezza con le esperienze politicoistituzionali e ne conosce i riflessi (anche indiretti e, per molti versi, sotterranei e tuttavia
efficacissimi) sulle pratiche giuridiche in genere sa quanto rilievo i fatti ora sinteticamente descritti
possano avere (ed effettivamente hanno) sulle dinamiche di cui si compone e rinnova la forma di
governo e, ancora più a fondo, la stessa forma di Stato.
Una carenza eccessiva di normazione costituzionale (nel senso del suo rinnovamento) è
gravemente pregiudizievole, sotto più aspetti, nei riguardi di beni costituzionalmente protetti ed, in
ultima istanza, può offrire un pur inconsapevole avallo a comportamenti scientemente portati a
violare la Costituzione, non potendosi ad essa, per varie ragioni, prestare osservanza e non
sentendola ormai più come “valida”. Ma, un eccesso ugualmente (se non ancora di più) eccessivo di
normazione costituzionale può esser fonte di guasti non minori e, forse, persino maggiori,
alimentando un senso evidente di disorientamento e, alle volte, di vero e proprio sconcerto di fronte
ad un uso – mi è parso in altre occasioni di dire15 – “occasionalistico” o congiunturale dello
strumento costituzionale che, se spinto oltre una certa soglia di tolleranza (o di sofferenza…),
porterebbe diritto allo smarrimento, esso sì, della identità della Costituzione, della sua vocazione a
durare, rinnovandosi misuratamente (e, perciò, ragionevolmente) nel tempo, e pur sempre
presentandosi quale “luogo” di valori o, se si preferisce, di princìpi e regole omnicondivisi. Il
rischio, insomma, è che il pur incerto ed internamente travagliato bipolarismo politico, in corso di
maturazione nel nostro Paese, si converta innaturalmente, inconcepibilmente in un bipolarismo
costituzionale, per il fatto che ciascuno degli schieramenti di volta in volta chiamati al governo
ridefinisca, a propria immagine e convenienza, la Costituzione, indifferente alla regola (o, meglio,
al principio), che sta a base e sorregge l’intero edificio costituzionale, secondo cui non può esservi
Costituzione di parte, quale che sia, né nei suoi contenuti né per il modo della sua formazione e del
suo rinnovamento.
Ora, la delegittimazione continua, sistematica, cui la Costituzione è sottoposta da pratiche
ripugnanti all’essenza della Costituzione stessa rischia di allargarsi all’intero tessuto costituzionale,
per poi diffondersi a macchia d’olio per l’intero ordinamento, coinvolgendo dunque anche le
porzioni della Carta pure astrattamente non toccate dalla revisione e – per paradossale che sia –
proprio quei princìpi in nome dei quali si danno le qualificazioni circa la
costituzionalità/incostituzionalità delle singole innovazioni introdotte. Il parametro di queste ultime
(la tavola dei valori fondanti e dei princìpi che ne costituiscono la più sapiente ed espressiva
rappresentazione positiva) rischia così di essere travolto, a mo’ di caduta in cordata alpinistica, per
il fatto stesso del venir meno degli atti di revisione costituzionale o, comunque, per il loro esser
sottoposti a critica diffusa, erosiva delle basi che dovrebbero stare a base del consenso di cui hanno
bisogno.
L’esito di siffatte vicende suona amaramente paradossale. Si è partiti dall’idea metodicoteorica secondo cui l’interpretazione della Costituzione parrebbe essere cosa in sé diversa rispetto
all’interpretazione di legge di revisione costituzionale e si rischia, poi, di pervenire alla loro
sostanziale riduzione ad unità, per il fatto che giudizi di disvalore aventi ad oggetto gli atti di
innovazione costituzionale possono poi contagiare anche il tessuto originario, non risparmiando, a
Per quanto l’esperienza storica conosca alcuni di casi di Costituzioni ad tempus, la vocazione alla durata, sia
della Costituzione nel suo insieme e sia pure delle disposizioni di cui essa si compone, costituisce uno (forse, proprio il
maggiore) degli attributi da cui si riconosce e distingue la legge fondamentale dalle leggi (e fonti in genere) restanti. Su
ciò, per tutti, T. MARTINES, Prime osservazioni sul tempo nel diritto costituzionale, in Scritti Pugliatti, III, Giuffrè,
Milano, 1978, p. 783 ss., nonché ora in Opere, I, Teoria generale, Giuffrè, Milano, 2000, p. 477 ss., spec. p. 490 ss.
15
V., part., il mio Il federalismo all’italiana e l’uso “congiunturale” della Costituzione, in forum di Quad.
cost. su Riforme costituzionali: questioni di metodo, in rete. Nella stessa sede, v., poi, R. ROMBOLI-A. RUGGERI,
Devolution e drafting (a oscuro testo non fare chiara glossa…). In un non dissimile ordine di idee, ora, anche G.
SCACCIA, Revisione di maggioranza e “qualità” della Costituzione, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
14
7
conti fatti, neppure quelle sue parti (i princìpi fondamentali) che parrebbero impermeabili ad ogni
forma di alterazione comunque non forzosa, espressiva di un nuovo potere costituente in armi. Se
ne ha, insomma, una complessiva precarietà ed instabilità dell’impianto costituzionale, che essa
pure, per la sua parte, sollecita a conformare come omogenee le interpretazioni di cui si compone e
con le quali si rinnova, nel suo insieme, la pratica giuridica, ai varî livelli ai quali prende corpo e si
rende manifesta.
3. Revisione costituzionale ed interpretazione “autentica” della Costituzione a confronto (in
ispecie, dell’autoreferenzialità dell’interpretazione dei princìpi e del modo migliore per superarla,
attraverso la riconduzione in circolo delle interpretazioni costituzionali e delle interpretazioni
“ordinarie”)
Altri indizi ancora, se non pure prove certe, sembrerebbe poi che possano essere addotti a
sostegno dell’idea che l’interpretazione (di legge) costituzionale sia maggiormente contigua
all’interpretazione “ordinaria” che all’interpretazione della Costituzione, per quanto ciò possa, per
la sua parte, riflettersi (in una misura, forse, ancora oggi non adeguatamente colta) sulla naturale
vocazione alla “sistematicità” della interpretazione costituzionale (latamente intesa). Si tratta,
nondimeno, di verificarne la consistenza, pur nei limiti di spazio e di approfondimento ai quali va
incontro questa riflessione.
Si pensi, ad es., alla pur discussa questione concernente la eventuale interpretazione
autentica della Costituzione. La difficoltà ad ammetterla, al pari di ciò che si ha per
l’interpretazione letterale (giudicata impossibile in riferimento ai princìpi ed invece praticabile nei
confronti delle regole16), non tanto si lega, a mia opinione, al carattere strutturale delle disposizioni
quanto a peculiari, irripetibili “qualità” intrinseche, compiutamente apprezzabili in prospettiva
assiologico-sostanziale, degli enunciati assunti ad oggetto del fatto interpretativo. Che, poi, il
“marchio” assiologico posseduto da alcuni di essi si manifesti e si renda esteriormente visibile
attraverso certi caratteri strutturali ricorrenti è un altro discorso; ma, su di esso soltanto non sembra
che possa poggiare un solido impianto argomentativo a sostegno della tesi da dimostrare. D’altro
canto, la linea distintiva dei princìpi dalle regole è, come si sa, talmente labile, fino a divenire in
molti suoi punti evanescente, da sconsigliare di far passare da essa soltanto il criterio discretivo
dell’una rispetto all’altra forma o specie di interpretazione.
Ora, a me pare che, una volta liberata la teoria della Costituzione e del potere costituente
delle incrostazioni storico-soggettivistiche che l’hanno per lungo tempo avvolta e fortemente
impressionata17 e liberata la teoria dell’interpretazione costituzionale dei connotati psicologistici
che l’hanno ugualmente avvolta, frenandone e variamente condizionandone i possibili sviluppi18, si
16
V., tra gli altri, E. DICIOTTI, Come interpretare la Costituzione?, cit., p. 210 ss., spec. p. 219 ss.; L. PALADIN,
Le fonti del diritto italiano, Il Mulino, Bologna, 1996, p. 104 ss. e p. 146 ss.; R. GUASTINI, Teoria e dogmatica delle
fonti, cit., p. 330 ss., spec. p. 335 ss. Sull’interpretazione letterale, v., poi, quanto se ne dice in F. VIOLA-G. ZACCARIA,
Diritto e interpretazione, cit., p. 241 ss.
17
Una critica penetrante è svolta sul punto da G. SILVESTRI, La parabola della sovranità. Ascesa, declino e
trasfigurazione di un concetto, in Riv. dir. cost., p. 3 ss. e Il potere costituente come problema teorico-giuridico, in
Studi Elia, II, Giuffrè, Milano, 1999, p. 1615 ss., che perviene ad una ricostruzione in senso oggettivo della sovranità
attraverso la sua conversione in sovranità dei valori, nella effettività di questi ultimi rinvenendosi il “punto archimedico
dell’ordinamento” (p. 58; corsivo testuale).
18
Ci si riferisce, ovviamente, non già alla (mitica o ingenua) “oggettivizzazione” dell’interpretazione, quale
ricerca di una verità ontologica che attende unicamente di essere disvelata, dal momento che il ruolo conformativo del
soggetto interpretante è ormai indiscusso (da ultimo, P. COSTA, I “padroni della legge”. Legge, interpretazione, libertà
nell’illuminismo giuridico, in Riv. dir. cost., 2001, p. 14 ss., spec. p. 37), bensì al vincolo che, in maggiore o minore
misura, si ritiene sussistere tra il soggetto stesso e l’autore storico dell’enunciato da interpretare. Si pensi, al riguardo,
alla dottrina dell’original intent, particolarmente accreditata – come si sa – specie nella cultura nordamericana
(indicazioni al riguardo possono aversi da A. POGGI, L’“intenzione del costituente” nella teoria dell’interpretazione
costituzionale. Spunti per una sua definizione alla luce della dottrina americana dell’“original intent of the Framers”,
8
possa accedere all’idea che la Costituzione stessa sia passibile di interpretazione “autentica”; non,
però, nel suo insieme, indistintamente appunto, ma unicamente in alcune sue parti e, ad ogni modo,
per una peculiare conformazione dell’interpretazione stessa, adeguata al suo oggetto.
Ancora una volta, se ci si pensa, la teoria delle fonti è idonea a dare un orientamento alla
teoria dell’interpretazione, mostrando come alcuni enunciati si sottraggano alla loro ricognizione
autentica in ragione della loro complessiva connotazione assiologica o, ad esser maggiormente
precisi, richiedano una (maggiore o minore, a seconda delle singole esperienze) delimitazione
dell’interpretazione stessa, nei suoi possibili, concreti sviluppi.
Se è vero, infatti, che “autentica” può propriamente dirsi l’interpretazione che rientra nella
esclusiva disponibilità di chi ha il potere di innovare al diritto preesistente e, proprio per ciò,
volendo, di fissarne autoritativamente il senso e confermarne e renderne ancora più salda la
vigenza19, se ne ha che ad essa dovrebbero considerarsi sottratti gli enunciati che concretano i limiti
alla revisione costituzionale, usualmente rinvenuti – come si sa – nei princìpi fondamentali20. Si
tornerebbe così, come si vede, a quella sostanziale corrispondenza tra la struttura nomologica degli
enunciati e la loro ratio, tra la struttura e la funzione o la “qualità” (assiologicamente connotata ed
apprezzabile), sulla quale pone l’accento la dottrina sopra richiamata. Con talune non secondarie
avvertenze e precisazioni, tuttavia.
In primo luogo, infatti, l’interpretazione autentica parrebbe essere, al piano costituzionale,
per un verso, ancora più circoscritta nelle sue possibilità operative di quanto non risulti essere la
revisione con le procedure stabilite nell’art. 138; per un altro, all’inverso, sembrerebbe esibire
un’accentuata attitudine ad espandersi in modo ancora più significativo. Si tratta, nondimeno, di
verificare se questa prima impressione, tratta dal raffronto tra siffatte pratiche giuridiche, resista
fino in fondo ad un’analisi delle stesse assiologicamente orientata.
Da un lato, va tenuto conto che la revisione costituzionale – a stare alla tesi maggiormente
accreditata – non sembra interamente preclusa in relazione a certi enunciati, ancorché considerati
espressivi di princìpi fondamentali (che invece – come s’è appena fatto notare – parrebbero rendersi
indisponibili all’interpretazione autentica, per una sua rigorosa accezione), tutte le volte che,
attraverso il cambiamento delle formule, si tenda all’ulteriore accrescimento dei princìpi stessi, vale
a dire al loro aggiornamento ed alla più adeguata valorizzazione in relazione a mutati contesti, ma
pur sempre salvaguardandone l’identità ed, anzi, proprio allo scopo di mantenere inalterato il
in Dir. pubbl., 1/1997, p. 153 ss., nonché da A. VESPAZIANI, Il bilanciamento dei diritti nella cultura giuridica
statunitense, nella stessa Rivista, 2/2001, p. 457 ss., spec. p. 481 ss., ma v. pure, utilmente, in prospettiva filosofica, F.
VIOLA, Intenzione e discorso giuridico: un confronto tra la pragmatica linguistica e l’ermeneutica, in Ars
interpretandi, 1997, p. 53 ss., spec. p. 64 ss., ed ivi ulteriori riferimenti a note dottrine di R. Dworkin e di altri), ma
anche da noi non poco seguita e che ha talora portato a forme di “pietrificazione” dei significati costituzionali (si
rammentino, ad es., le annose controversie a riguardo dei criteri da utilizzare per la interpretazione delle materie di
competenza regionale, che potrebbero ora tornare d’attualità dopo la “novella” operata con legge cost. n. 3 del 2001: su
ciò, per tutti, S. MANGIAMELI, Le materie di competenza regionale, Giuffrè, Milano, 1992, pur con orientamento
complessivamente divergente da quello da me preferito). Riconnette alla elasticità delle formule costituzionali il minor
rilievo dei lavori preparatori al fine della ricostruzione dei significati delle formule stesse: A. PIZZORUSSO,
L’interpretazione della Costituzione, cit., p. 8 (ugualmente significativa, nondimeno, è la considerazione assegnatavi,
pur con qualche oscillazione anche assai vistosa, dalla Corte costituzionale: su ciò, dopo L. PEGORARO, Lavori
preparatori e sindacato di costituzionalità, in Giur. cost., 1988, p. 1441 ss., v., almeno, L. PALADIN, Costituzione,
preleggi e codice civile, cit., p. 26 ss. e, in giurisprudenza, spec. sent. n. 429 del 1992). Ad ogni buon conto, la
questione dell’indagine sulla volontà dell’autore degli enunciati normativi, siano essi costituzionali che non, e quale che
ne sia la struttura nomologica, ha una generale portata e non può essere comunque convenientemente risolta al di fuori
di una cornice metodico-teorica previamente fissata: è, insomma, come sempre, figlia di una certa teoria della
Costituzione e dell’ordinamento.
19
Per questo e, però, anche per altri significati storicamente assegnati all’interpretazione in discorso, v., per
tutti, G. TARELLO, L’interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu e F.
Messineo e continuato da L. Mengoni, I, t. 2, Giuffrè, Milano, 1980, p. 241 ss.
20
Notazioni anticipatrici sul punto possono vedersi nel mio “Nuovi” diritti fondamentali e tecniche di
positivizzazione, in Studi Mazziotti, II, Cedam, Padova, 1995, p. 605 ss., spec. p. 633 s. Le osservazioni ivi svolte vanno
nondimeno ora riviste alla luce dei rilievi che subito seguono nel testo.
9
“livello” originario delle garanzie ovvero ancora di più di innalzarlo. Così, per fare solo il primo
esempio che viene in mente, l’eventuale, auspicabile, riscrittura dell’art. 9 della Carta, che faccia
menzione dell’ambiente e delle sue varie e complesse esigenze di tutela, rinviando quindi alle fonti
specificamente idonee a soddisfarle, non soltanto non turberebbe l’armonia del quadro originario
ma ancora meglio la preserverebbe. Né alcun turbamento si avrebbe qualora passasse, così come
proposta, l’aggiunta all’art. 12 che afferma (o conferma?) esser l’italiano la lingua ufficiale della
Repubblica. E ancora l’aggiunta all’art. 11 del riferimento all’Unione Europea potrebbe finalmente
offrire un puntello al processo d’integrazione che, tra non poche oscillazioni ed incertezze, è stato
fin qui dato da dottrina e giurisprudenza, peraltro orientando il processo stesso verso lineari sviluppi
e non già abbandonandolo per intero, com’è stato sin qui, ad occasionali, “sregolate” contingenze21.
Ora, si potrebbe osservare che se queste od altre innovazioni sono giuridicamente consentite
(ed, anzi, auspicabili) per mano del legislatore di revisione, ugualmente potrebbero aversi per
iniziativa dello stesso legislatore e presentate tuttavia come forme di interpretazione “autentica”.
Ma, pur tenendosi prudentemente alla larga dal riferimento alla soggettiva intenzione del
Costituente e, dunque, restando nell’area dei possibili significati oggettivamente assegnabili alle
formule originarie, nessuno potrebbe disconoscere le difficoltà a far passare per buone siffatte
interpretazioni, laddove la stessa sostanza normativa, rivestita della forma della revisione, non
sembra che corra alcun rischio d’invalidazione per superamento dei limiti suoi propri.
Dal lato opposto, poi, l’interpretazione autentica parrebbe, in punto di astratto diritto,
consentita nei riguardi di regole che però, in ragione del peculiare rapporto di strumentalità
necessaria che le lega ai princìpi, potrebbero a conti fatti offrire la stessa resistenza di questi alla
revisione (nel qual caso, come si vede, l’area coperta dall’interpretazione parrebbe essere
maggiormente estesa di quella attraversata dalla revisione). Ipotesi, questa ora fatta di una
compressa vis abrogativa delle modifiche costituzionali, che trova spiegazione nella circostanza che
nessuna innovazione positiva può esser messa in pratica, quale che sia il piano della normazione al
quale si disponga, che si presenti a finalità di “restaurazione” sul piano dei fini-valori22. Peraltro, è
risaputo (e l’esperienza storica ne ha dato ripetute, decisive conferme) che, non poche volte,
l’attacco più subdolo (e però, proprio per ciò, efficace) ai valori fondamentali è stato condotto
utilizzando tecniche raffinate che ne hanno appunto determinato il successo, tra le quali v’è proprio
quella di svuotare di pratico senso i valori stessi attraverso la sapiente modifica delle regole che ne
danno la più diretta ed immediata attuazione, oltre che attraverso l’adozione di altre pratiche
giuridiche conducenti allo scopo. Come mi è stata data l’opportunità di mostrare altrove23, i limiti
alla revisione – se ci si fa caso – discendono il più delle volte, naturalmente, di un grado e si
convertono in limiti alla revisione legislativa e subcostituzionale in genere, facendosi ad ogni buon
conto apprezzare specificamente in occasione delle innovazioni apportate al diritto comune (e,
dunque, delle qualificazioni che se ne danno in sede d’interpretazione). Pur laddove si assista a
formali revisioni costituzionali, non di rado, infatti, le formule che le concretano si aprono a
molteplici esiti attuativi ed interpretativi, sicché – come sempre – è solo con indagine ex post, che
può essere adeguatamente impiantata solo dopo che all’atto iniziale di revisione sia dato seguito con
atti (legislativi e non) diversi, che può riconoscersi la vera natura della singola esperienza di
normazione osservata e, in particolare, se essa si dispone nel segno della continuità ovvero in quello
della discontinuità costituzionale.
Il riferimento in parola, come si sa, ora si ha nel I comma dell’art. 117; ma, si converrà che non è affatto la
stessa cosa che sia ospitato in questo o quel “luogo” della casa costituzionale (a talune delle questioni sollevate
dall’ingresso della normativa comunitaria nell’ordinamento interno si farà, peraltro, cenno più avanti).
22
Su ciò, part., G. SILVESTRI, Spunti di riflessione sulla tipologia e sui limiti della revisione costituzionale, in
Studi Biscaretti, II, Giuffrè, Milano, 1987, p. 1203 ss. Da una prospettiva ancora più ampia, sui limiti all’abrogazione, ai
varî livelli ai quali le esperienze di normazione si svolgono, aventi causa assiologica, v., tra gli altri miei scritti, Fatti e
norme nei giudizi sulle leggi e le “metamorfosi” dei criteri ordinatori delle fonti, Giappichelli, Torino, 1994, spec. p.
143 ss.
23
… ne L’identità costituzionale alla prova: i princìpi fondamentali fra revisioni costituzionali polisemiche e
interpretazioni-applicazioni “ragionevoli”?, in Ars interpretandi, 1/1996, p. 113 ss.
21
10
Per quanto, come si appena veduto, la revisione costituzionale e l’interpretazione autentica
della Costituzione meritino di essere, ad ogni modo, tenute distinte (non già per la loro provenienza,
quanto per il fine perseguito e, perciò, in buona sostanza per il loro senso complessivo), una
prospettiva assiologicamente orientata e posta a base della osservazione delle dinamiche giuridiche
in genere porta, tuttavia, a ricondurre a sostanziale unità le esperienze in parola, mostrando che i
limiti della revisione sono (e non possono, per logica necessità, che essere) gli stessi
dell’interpretazione autentica e, ancora di più, mostrando come, nel vivo dell’esperienza, l’una
forma di normazione coincida a conti fatti con l’altra, uno stesso atto costituzionale incorporandole
entrambe24.
In primo luogo, va, infatti, notato che non sarebbe sostenibile né un’innovazione
costituzionale né un’interpretazione della stessa, da chiunque provenga, volta a proiettare verso il
passato o, come che sia, a comprimere le potenzialità espansive dei princìpi: l’una e l’altra
sarebbero, invero, da considerare irragionevoli in rapporto alle indicazioni di scopo stabilite in
Costituzione, nella loro più qualificante, genuina sintesi espressiva.
Si potrebbe osservare che l’interpretazione “autentica” (nella sua ristretta e piena accezione),
non sarebbe consentita, in alcun caso o modo, nei riguardi dei princìpi, proprio per il fatto che essa
è in partenza, astrattamente idonea ad aprirsi a qualsiasi esito, in un senso o nell’altro, in quanto per
natura “neutra”. Perciò, se proprio di un’interpretazione siffatta si volesse seguitare a discorrere,
dovrebbe farsi con la non secondaria correzione e delimitazione, secondo cui essa non potrebbe
possedere – così come, invece, di norma possiede (o, meglio, si ritiene, in prospettiva non
assiologicamente orientata, possegga25) – carattere ambiverso, dispiegandosi e proiettandosi a tutto
campo e per ogni dove. Allo stesso modo con cui le innovazioni aventi ad oggetto gli enunciati
espressivi dei princìpi fondamentali richiedono di essere comunque sottoposte, al pari di ogni
manifestazione di potere costituito, a verifica della loro validità, al fine di stabilire qual è la
direzione da esse intrapresa (se idonea a portare ad un’ulteriore crescita del patrimonio assiologico
della Costituzione ovvero alla sua riduzione), così pure dovrebbe essere per l’interpretazione
(“autentica” e non), che però – è qui il punctum crucis dell’intera questione – vanta, per sua naturale
vocazione, la pretesa di fissare ed imporre il parametro culturale, prima ancora che positivo, al
quale quella stessa verifica di validità sarebbe tenuta ad attenersi.
Nei riguardi di siffatto argomentare si potrebbe nondimeno rilevare come altro sia la validità
di un’innovazione normativa o di un’interpretazione (tanto “autentica” quanto che non), altro il fatto
in sé dell’innovazione o dell’interpretazione. E, da questo punto di vista, un’interpretazione non
cessa di essere “autentica” per il sol fatto di essere male orientata sul piano dei valori (e, dunque, di
risolversi in una lettura riduttiva o forzosa degli enunciati positivi in rapporto ai princìpi ovvero
degli stessi enunciati espressivi dei princìpi). Ma, allo stesso titolo o modo, dovrebbe dirsi che
anche una revisione costituzionale non smarrisce la propria natura sol perché illecita in rapporto ai
parametri naturali verso i quali deve orientarsi. E, dunque, anche da questo punto di vista, i due
fenomeni ora riguardati si mostrano idonei ad essere ricondotti ad unità.
L’interpretazione autentica, ad ogni buon conto, parrebbe logicamente precedere e
condizionare la revisione costituzionale, se si conviene che quest’ultima, col fatto stesso di innovare
24
È interessante notare che non soltanto l’interpretazione autentica costituisce, pur sempre, una forma di
innovazione positiva (ciò che è, ormai, comunemente ammesso) ma che è anche vero l’inverso, secondo quanto si
precisa nel testo.
25
La questione qui posta, come si vede, ha una generale portata, rispondendo ad una visione generale
dell’ordinamento. La stessa interpretazione autentica delle leggi comuni, oltre che naturalmente delle regole
costituzionali e, insomma, di ogni enunciato normativo, non potrebbe assumersi come “neutra”, dovendosi ad ogni
modo conformare ai princìpi; di modo che le stesse leggi c.d. “interpretative” dovranno esser fatte comunque oggetto di
interpretazione verfassungskonforme, nel senso che si preciserà meglio più avanti (sull’esperienza delle leggi
interpretative v., tra gli altri, G. VERDE, L’interpretazione autentica della legge, Giappichelli, Torino, 1997; A.
GARDINO CARLI, Il legislatore interprete. Problemi attuali in tema di interpretazione autentica delle leggi, Giuffrè,
Milano, 1997 e, ora, AA.VV., Le leggi di interpretazione autentica tra Corte costituzionale e legislatore, a cura di A.
Anzon, Giappichelli, Torino, 2001).
11
all’ordine costituzionale preesistente, presuppone e testimonia, ad un tempo, la propria validità in
rapporto ai princìpi, confermando rebus di voler ad essi prestare osservanza ed, anzi, di volerne dare
un’ancòra più solida ed adeguata realizzazione (che, poi, sia davvero così è un altro discorso, in
ultima istanza destinato ad esser fatto dalla Corte costituzionale, se adita). In ogni caso, l’una e
l’altra esperienza si rendono, come sempre, riconoscibili solo in via di… interpretazione. La qual
cosa dimostra, una volta di più, per un verso, la naturale “superiorità” culturale dell’interpretazione
diffusa, quale si manifesta ed afferma nella comunità degli operatori, rispetto ad ogni forma di
positivizzazione autoritativa o di ingenua autoqualificazione normativa26; per un altro verso, la
necessità che ogni specie di innovazione e/o interpretazione muova dal preorientamento – l’unico,
vero Grundwert dell’ordinamento – delle pratiche giuridiche in genere, siano esse produttive siano
interpretative, verso l’espansione maggiore possibile, alle condizioni oggettivamente date, dei valori
e, dunque, verso la dilatazione semantica delle formule che li esprimono, a partire proprio da quelle
espressive dei princìpi.
Come si vedrà ancora meglio più avanti, l’interpretazione conforme a Costituzione non va
predicata unicamente del diritto subcostituzionale in genere (e delle leggi in ispecie) in rapporto al
diritto costituzionale ma anche (e prima ancora) all’interno di quest’ultimo: sia laddove si tratti di
enunciati (apparentemente) non espressivi in modo diretto di princìpi (la cui determinazione di
senso richiede, appunto, un costante riferimento a questi ultimi) e sia pure laddove si tratti degli
stessi enunciati espressivi di princìpi.
Qui, la tautologia o, meglio, l’autoreferenzialità dell’interpretazione di un principio orientata
verso… se stesso può essere superata unicamente ricorrendo a tecniche raffinate, per quanto di
scivolosa ed incerta applicazione27.
Così, per un verso, l’interpretazione sistematica28, anche al solo piano costituzionale (ma,
naturalmente, pure oltre di esso, attraverso i reciproci rimandi di senso che gli enunciati
26
Non si dimentichi che la giurisprudenza costituzionale ha costantemente assegnato valore relativo alle
autoqualificazioni del legislatore (ad es. con riguardo alle leggi-quadro relative alle materie regionali di potestà
concorrente), ritenendo di doverle sottoporre a verifica, proprio al fine di non riconoscere in esse delle improprie,
arbitrarie forme di interpretazione autentica. E, se questo vale nel rapporto tra legge comune (che dà la propria
definizione) e parametro costituzionale, ugualmente vale nel rapporto tra legge costituzionale e princìpi di base
dell’ordinamento.
27
Insuperabile parrebbe poi essere, da un punto di vista logico-astratto, l’autoreferenzialità con riguardo
all’interpretazione delle disposizioni relative all’interpretazione stessa [indicazioni su ciò possono aversi dal mio Norme
e tecniche costituzionali sulla produzione giuridica (teorica generale, dogmatica, prospettive di riforma), in Pol. dir.,
1987, p. 175 ss., nonché in “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti. Studi degli anni 1987/91, Giappichelli,
Torino, 1992, p. 11 ss., spec. p. 17 ss. Più di recente e da una prospettiva filosofica, poi, si è opportunamente fatto
appello (da F. VIOLA, Intenzione e discorso giuridico, cit., 67, ed ivi richiamo di un pensiero di M.S. Moore) al
principio generale secondo cui “l’interpretazione deve essere guidata da un criterio indipendente dal significato di ciò
che s’interpreta”]. Eppure, per un verso, si potrebbe osservare che le disposizioni in parola presentano quale loro
“costante” quella di essere perlopiù meramente ricognitive di usus già consolidatisi nella comunità alla quale si
dirigono, senza nondimeno escludere che possano, almeno in parte ovvero in relazione a taluni atti, esibire carattere
innovativo (si pensi, ad es., ai vincoli per l’interprete posti dagli artt. 53 e 54 della Carta europea dei diritti, commentati,
rispettivamente da M. CARTABIA e R. BIFULCO-A. CELOTTO, in AA.VV., L’Europa dei diritti. Commento alla Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, a cura di R. Bifulco, M. Cartabia e A. Celotto, Il Mulino, Bologna, 2001,
pp. 360 ss. e 366 ss., dei quali vincoli nondimeno non è chiaro come possano “reagire” sullo stesso processo
ermeneutico, incidendo sui canoni “usuali” e sul modo del loro utilizzo, prima ancora che sugli esiti del processo stesso.
Da un punto si vista generale, un cenno ai problemi che potrebbero aversi in sede di trascrizione dei canoni
sull’interpretazione, con specifico riguardo all’eventuale mancata menzione di alcuni, può ora vedersi in A.
PIZZORUSSO, Qualità della legislazione e sistema delle fonti, in Riv. dir. cost., 2001, p. 49). Per un altro verso, poi,
dovrebbe qui comunque soccorrere il ricorso alla ragionevolezza, in una sua peculiare, assiologicamente orientata,
accezione, della quale si dirà meglio di qui ad un momento, quale espressione di una “precomprensione” diffusa tra gli
interpreti e, allo stesso tempo, quale tecnica di cui la stessa ragionevolezza si avvale per manifestarsi e maturare
all’interno dei processi ricostruttivi di senso. Anche di qui, dunque, si trae conferma del fatto che la ragionevolezza
costituisce la risorsa ultima (o prima…) di cui l’ordinamento dispone nell’affannosa ricerca delle forme più adeguate
della propria unificazione-integrazione, il mezzo maggiormente idoneo ad appagare la strutturale, irrinunziabile
vocazione dell’ordinamento stesso a trasmettersi sempre uguale a se stesso, pur nella varietà degli orientamenti
interpretativi e delle vicende che connotano le esperienze di normazione e le forme del loro ricambio interno.
12
costituzionali si fanno, così come fanno ad enunciati di livello inferiore e – naturalmente – da questi
a quelli29), può dar modo di superare e far assorbire la singola autoreferenzialità nella più vasta
circolarità dell’intero insieme in cui dinamicamente si dispiega l’interpretazione costituzionale30:
intendere il senso profondo di un principio muovendo dal principio stesso può riuscire unicamente
alla condizione che, in aggiunta al preorientamento assiologico per così dire di specie, volto ad
indirizzare il processo ermeneutico verso esiti comunque di crescente espansione, si dispieghi in
tutto il suo potenziale espressivo la vis sistematica che sta a base dell’intero patrimonio dei valori.
Ogni principio, insomma, si intende solo alla luce degli altri ed acquista forza nel momento stesso
in cui la dona agli altri, tutti assieme quindi reggendo l’edificio ordinamentale.
Per un altro verso, la tecnica della ragionevolezza (una vera e propria risorsa inesauribile a
garanzia, in ultima istanza, dell’identità assiologica dell’ordinamento), nella sua più densa
accezione, può porsi, ancora prima che come fattore di qualificazione della validità di norme
subcostituzionali31, come veicolo privilegiato per la percezione del senso profondo racchiuso negli
28
Particolarmente sottolineato, anche nella dottrina tradizionale, il rilievo del canone sistematico con riguardo
all’interpretazione costituzionale (per tutti, F. PIERANDREI, L’interpretazione della costituzione, in Studi Rossi, Giuffrè,
Milano, 1952, p. 485 ss.); ma ancora di più – come si viene dicendo – esso si rivela prezioso in prospettiva assiologica.
Si deve dir meglio: l’interpretazione costituzionale è, puramente e semplicemente, sistematica, si risolve per intero in
questo suo modo di essere. Sicchè non di un canone, congiunto ad altri, deve propriamente parlarsi bensì del modo
naturale (e, perciò, necessario) di essere dell’intera interpretazione (e, prima ancora, del processo attraverso il quale
essa diviene, per l’orientamento che appunto lo connota e che obbliga l’interprete a portarsi di continuo dalla parte al
tutto e dal tutto alla parte).
29
Storicamente, l’interpretazione sistematica è nata e si è sviluppata al livello “orizzontale” (principalmente,
delle leggi comuni), per il quale è peraltro ancora oggi diffusamente predicata, senza che se ne riconoscesse il carattere
anche verticale e – soprattutto – dinamico e diacronico, ciascuna formula positiva esprimendo la naturale vocazione a
caricarsi e rinnovarsi di sensi in forza degli apporti che le vengono dalle formule circostanti, quale che sia il livello
ordinamentale al quale si collocano.
Ora, la visione ristretta, ancorché autorevolmente sostenuta, che delimita l’interpretazione sistematica al solo
piano delle leggo ordinarie ha pure – si diceva – una sua spiegazione storica ma, nella sua essenza, non intende affatto
rinnegare la capacità “sistematica” delle norme costituzionali, vale a dire la spinta e l’orientamento da esse dati ai
processi ermeneutici avviati al piano primario della normazione. Infatti, come si è efficacemente osservato (L. PALADIN,
Costituzione, preleggi e codice civile, cit.) norme materialmente costituzionali erano, nell’ordinamento statutario e
liberale (e, in buona sostanza, ancora fino all’avvento dell’ordine repubblicano), ospitate dal codice civile (e, in genere,
dalla legislazione comune); tant’è che – non a caso – lo studio delle fonti e dell’interpretazione fu, per lungo tempo,
appannaggio pressoché esclusivo dei civilisti, pur con talune, assai significative eccezioni (quanto meno, così è da noi
stato fino agli anni trenta), mentre l’avvento della Costituzione rigida ha decisamente fatto attrarre quest’area
principalmente nel campo proprio della riflessione scientifica dei costituzionalisti.
L’interpretazione sistematica, dunque, già allora coinvolgeva l’intero sistema, unendo in seno allo stesso
processo ermeneutico le disposizioni materialmente costituzionali a quelle propriamente “comuni”. Solo che le prime,
in forza del carattere flessibile dell’ordinamento costituzionale del tempo e della esiguità di indicazioni sostantive
presenti nelle Carte liberali, risultavano esse pure – come si sa – in buona sostanza espresse da leggi adottate con le
usuali procedure di normazione e, pertanto, si rendevano praticamente indistinguibili dalle seconde, facendosi a conti
fatti assorbire da queste. La qual cosa può aver portato all’erronea credenza del carattere piattamente “orizzontale”
dell’interpretazione sistematica, tralatiziamente accolta e ripetuta fino ai giorni nostri. Insomma, la “sistematicità”
dell’interprtazione, nella sua proiezione “verticale”, non aveva a quel tempo modo di venire alla luce e di farsi
apprezzare anche esteriormente, così come si è avuto (e si ha) con le Costituzioni che conoscono procedure
differenziate di formazione delle leggi costituzionali e delle leggi comuni (sulla “sistematicità” e “circolarità”
dell’interpretazione, v., ad ogni buon conto, quanto se ne dirà diffusamente più avanti).
30
Esattamente allo stesso modo con cui il significato di singole parole si coglie attraverso il rimando che esse
si fanno l’un l’altra, restando pur sempre all’interno del linguaggio di appartenenza e senza dunque dover fare ricorso ad
un “metalinguaggio” rispetto allo stesso esterno e sovraordinato (v., ancora, il mio Norme e tecniche costituzionali sulla
produzione giuridica, cit.) ed allo stesso modo con cui il linguaggio comune, nel suo insieme e nelle strutture elementari
che lo costituiscono, naturalmente si apprende, spontaneamente si usa e necessariamente si tramanda di generazione in
generazione, pur nei suoi continui aggiustamenti, le perdite, gli arricchimenti, sia di termini che di significati per uno
stesso termine (con specifico riferimento alle forme di interazione che si intrattengono tra il linguaggio della
Costituzione ed il linguaggio giuridico, v., nuovamente, lo scritto sopra cit. di G. SILVESTRI, Linguaggio della
Costituzione e linguaggio giuridico: un rapporto complesso, p. 229 ss.).
31
Ambito di esperienza, questo dei giudizi di costituzionalità, nel quale usualmente si coglie ed apprezza
l’essenza della ragionevolezza, della sua – se così vogliamo chiamarla – tipica e qualificante “funzione” (v., part., ora le
13
enunciati costituzionali espressivi di valore e, per questa via, del senso dell’intera trama strutturale
da essi composta32.
Ma, il modo migliore per evitare il circolo dell’autoreferenzialità, nel quale per sua natura
tende a rinchiudersi l’interpretazione dei princìpi, è quello di muovere dall’assunto che nessuna
delle interpretazioni-attuazioni dei princìpi stessi, nelle molteplici forme in cui possono aversi, può
esprimere l’irragionevole pretesa di porsi come l’“autentica” ricognizione dell’unico, “giusto”
significato posseduto dalla volontà del potere costituente al momento del suo farsi diritto
costituzionale33.
Se ci si pensa, dunque, al livello dei princìpi fondamentali, le dinamiche interpretative
presentano un carattere naturalmente, strutturalmente “aperto”, il “gioco” dell’interpretazione non
avendo mai fine ed alimentandosi da se medesimo col fatto stesso di ricercare vie e soluzioni
originali di sviluppo34. I princìpi, insomma, si sottraggono ad ogni forma di “pietrificazione” della
loro definizione, nessuno (neppure il legislatore costituzionale) potendo vantare il titolo di far
luogo, in regime di monopolio o di privilegio, alla loro “autentica” o esclusiva ricognizione (ciò che
risulta, tra l’altro, avvalorato, in prospettiva diacronica, dal loro essere espressione di valori
tendenziali dell’ordinamento, sì da rifuggire per natura ad ogni forma di fissazione semanticopositiva che insensatamente pretenda di affermarsi e trasmettersi sempre identica a sé, usque ad
aeternitatem).
monografie, dietro citt., di G. SCACCIA e A. MORRONE); ma, come si viene dicendo nel testo, senza nulla togliere al
significato complessivo che è da assegnare al processo costituzionale quale sede di emersione e di riscontro, ad un
tempo, della ragionevolezza delle leggi e, a questa speculare, della stessa ragionevolezza della decisione che l’assume
ad oggetto, la “tecnica” in parola assume una più profonda connotazione e generale applicazione, idonea a pervadere,
pur in forme tipiche ed adeguate ai singoli contesti, l’intero ordinamento.
32
Ancora di recente, si è opportunamente discorso della ragionevolezza come “principio architettonico del
sistema” (L. D’ANDREA, Contributo ad uno studio sul principio di ragionevolezza, cit., spec. p. 123, ma passim).
33
La forma giuridica che, nondimeno, più le somiglia è data dalle pronunzie della Corte costituzionale, in forza
della loro inimpugnabilità (a riguardo delle quali, non a caso si è in dottrina appunto discorso in termini di atti produttivi
di norme costituzionali: così, A. SPADARO, Le motivazioni delle sentenze della Corte come “tecniche” di creazione di
norme costituzionali, in AA.VV., La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, a mia cura, Giappichelli,
Torino, 1994, p. 356 ss.). Eppure, non si trascuri la circostanza per cui, da un lato, anche le decisioni della Corte
costituiscono pur sempre espressione di un potere costituito (e non costituente), soggiacendo a reazioni varie, idonee
persino a prendere corpo in manifestazioni del diritto di resistenza, da parte della comunità così come degli stessi organi
di apparato, laddove dovessero sembrare irragionevoli o – diciamo pure – palesemente arbitrarie [sul punto, v. le mie
Note introduttive allo studio della motivazione delle decisioni della Corte costituzionale (ordini tematici e profili
problematici), nell’op. coll. sopra cit., spec. p. 24 ss.]. Dall’altro lato, a stare all’opinione corrente (tuttavia da me non
condivisa), le pronunzie adottate dalla Consulta, se di rigetto, ammettono ad ogni buon conto l’eventualità che le
interpretazioni dei princìpi (e degli enunciati costituzionali in genere) in esse racchiuse siano rimesse in discussione e,
se del caso, successivamente abbandonate. Da un altro lato ancora, molteplici ed assai complesse sono le forme di
interazione che si intrattengono tra giudici comuni e Corte, in ordine alla formazione tanto del “diritto vivente
legislativo” quanto del “diritto vivente costituzionale”, come si avrà modo di osservare, per taluni aspetti, anche più
avanti: a conferma, appunto, del carattere “pluralista” posseduto dalle stesse interpretazioni che prendono corpo nelle
esperienze di giustizia costituzionale.
34
Si fa, in tal modo, particolarmente apprezzare quell’indirizzo metodico-teorico che riconosce nella
Costituzione, più che un atto, un processo, attraversato da un moto incessante e variamente alimentato dall’esperienza
sottostante [su ciò, part., A. SPADARO, Dalla Costituzione come “atto” (puntuale nel tempo) alla Costituzione come
“processo” (storico). Ovvero della continua evoluzione del parametro costituzionale attraverso i giudizi di
costituzionalità, in Quad. cost., 1998, p. 341 ss., spec. p. 416 ss. e L. D’ANDREA, Il progetto di riforma tra
Costituzione-atto e Costituzione-processo, in AA.VV., La riforma costituzionale, a cura dell’A.I.C., Cedam, Padova,
1999, p. 93 ss.]. Come qui si viene dicendo, peraltro, siffatto connotato si coglie, in modo esemplare, proprio sul terreno
dell’interpretazione dei princìpi, se si conviene a riguardo del fatto che essa è, appunto, istituzionalmente aperta e
pluralistica, non dandosi alcuna forma positiva idonea ad imporre una ed una sola tra le possibili ricostruzioni di sensi
degli enunciati espressivi dei princìpi stessi, a differenza di quanto potrebbe aversi con riferimento ad enunciati diversi.
Nondimeno, come subito si passa ora a dire, siffatto carattere si diffonde per l’intero ordinamento (e, diffondendosi, si
rigenera da sé senza sosta), in ragione delle implicazioni sistematiche che si intrattengono tra le formule contenenti
princìpi e le formule restanti o – diciamo meglio – tra le relative interpretazioni, che non soltanto si condizionano a
vicenda ma, ancora prima e di più, si ricompongono nella loro sostanza l’un l’altra e tutte assieme si fanno
dinamicamente “sistema”, appunto col porsi come parte integrante, costitutiva, delle altre e del tutto da esse composto.
14
Ora, è interessante notare che siffatto carattere dell’interpretazione autentica (e,
generalizzando, dell’interpretazione tout court) dei princìpi si trasmette a raggiera alle disposizioni
circostanti, in seno al dettato costituzionale, e di qui si distribuisce ai gradi discendenti della scala
gerarchica. Proprio per il fatto che l’interpretazione o è sistematica, nella più densa e piena
accezione (assiologicamente connotata), oppure semplicemente non è, il riferimento ai princìpi, pur
laddove sottinteso, costituisce comunque un passaggio ineludibile dell’interpretazione
costituzionale; anzi: costituisce, a ben vedere, un momento ed una componente ineliminabile di
ogni forma d’interpretazione e di ogni interpretazione storicamente data. La circolarità del processo
ermeneutico, in seno alla quale e della quale quest’ultimo si alimenta e senza sosta rinnova, porta a
dire che l’interpretazione costituzionale è sempre un segmento dell’interpretazione “ordinaria”, così
come quest’ultima della prima35. La compenetrazione tra di esse è tale che solo con un’evidente
semplificazione, sopportabile esclusivamente per la finalità espositiva che l’ispira, possono essere
tenute distinte, laddove ciascuna piuttosto concorre a “riconformare” incessantemente l’altra,
diviene parte dell’altra36.
Si coglie qui nel modo più evidente la difficoltà di tenere separate e reciprocamente
caratterizzate, fino in fondo, non solo l’interpretazione della Costituzione dall’interpretazione (di
legge) costituzionale ma anche l’una e l’altra dall’interpretazione “ordinaria”. Se, poi, a ciò si
aggiunge la considerazione di talune esperienze, divenute particolarmente vistose soprattutto di
recente e riguardanti la “materia” costituzionale, per il modo con cui essa è fatta oggetto di
disciplina positiva ed acquista rilievo davanti al giudice delle leggi, si hanno ulteriori, significative
conferme della tesi qui prospettata.
Di queste dobbiamo ora, con la consueta rapidità, trattare.
4. L’espansione della materia costituzionale, conseguente all’ingresso di norme
internazionali e sovranazionali dalla forza “paracostituzionale”, ed i riflessi che se ne hanno sul
piano dell’interpretazione
Un elemento (e fattore) particolarmente rilevante, del quale tener conto al fine di verificare
la specificità dell’interpretazione costituzionale, è dato proprio dalla “materia” sulla quale essa
poggia e si svolge.
Ora, una novità che, ormai da anni a questa parte, si è registrata e che tende sempre di più ad
imporsi e farsi notare è data dalla crescente espansione della “materia” costituzionale: non già in
conseguenza dell’avvenuta costituzionalizzazione di materie precedentemente non fatte oggetto di
regolazione costituzionale37 ovvero per l’infittirsi e l’espandersi di regole, anche non scritte, di
35
Esemplare, in tal senso, rimane la lezione rossiana a riguardo della durchgehende Korrelation tra gli atti
produttivi di norme (v., dunque, ancora una volta, l’ormai classica Theorie der Rechtsquellen, Leipzig-Wien, 1929, di
A. ROSS).
36
Dalla prospettiva ora adottata, eccessivamente rigida e schematica sembra, dunque, essere l’impostazione
teorico-generale (sulla quale si è, ancora di recente, intrattenuta la magistrale riflessione di A. FALZEA, La Costituzione
e l’ordinamento, in Riv. dir. civ., 1998, p. 261 ss., spec. p. 272 ss.) secondo cui rimarrebbe comunque distinta
l’interpretazione sistematica interna al plesso normativo costituito dalle norme ordinarie dall’interpretazione sistematica
interna al plesso costituzionale, pur dovendosi l’una “saldare” all’altra ed orientare verso di essa, conformandosi come
“interpretazione sistematica allargata”. Si tratta, nondimeno, per le ragioni sopra esposte e per le altre di qui in avanti
enunciate, di un’innaturale separatezza di attività culturali (e, ancora prima, di oggetti), una volta che si convenga a
riguardo del fatto che non di “microsistemi” normativi reciprocamente tipizzati ed incomunicabili si tratta bensì di
“parti” costitutive di un unico ordinamento che non è neppure pensabile se non nella sua totalità e per il modo con cui
ciascuno degli elementi di cui si compone dinamicamente concorre alla riconformazione degli altri.
37
La mancata espansione in “orizzontale” della materia costituzionale è ora rilevata anche da M. DOGLIANI, La
legislazione costituzionale, cit., p. 1017 ss., nel corso di una breve disamina delle leggi costituzionali ad oggi approvate
[in argomento, v., già, part. R. TARCHI, Leggi costituzionali e di revisione costituzionale (1948-1993), in Commentario
della Costituzione, fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma
1995, p. 271 ss.].
15
diritto costituzionale specificamente riguardanti l’organizzazione, quanto per l’immissione nei
recinti un tempo considerati di esclusivo dominio dello Stato sovrano di norme di provenienza
esterna, espressive di una “sovranità” diversa, originale, non spiegabile in applicazione della logica
tipicamente “curtense” dello Stato nazionale. A ciò, poi, si aggiunga la dilatazione della materia
stessa avutasi col fatto stesso dell’infittirsi e dell’evolversi della giurisprudenza costituzionale,
quale sede privilegiata di produzione e ricognizione del “diritto costituzionale vivente”.
Su quest’ultimo aspetto, peraltro già largamente studiato38, mi intratterrò brevemente più
avanti; per il momento, svolgerò invece alcune notazioni a riguardo dei riflessi esercitati
sull’interpretazione dall’immissione in seno alla materia costituzionale di norme non costituzionali
per forma e di produzione (latamente) esterna.
Un tempo si aveva l’idea, direttamente germinata da una certa dottrina del potere
costituente, secondo cui l’intero campo costituzionale poteva essere sovranamente attraversato e, a
conti fatti, esclusivamente ricoperto appunto dalla Costituzione e dalle altre fonti di “carattere”
costituzionale, com’erano allora chiamate le leggi materialmente costituzionali39, pur se non
adottate con procedure differenziate da quelle poste a base della formazione delle leggi comuni.
Quest’idea, come si sa, è resistita a lungo, anche dopo l’avvento delle Costituzioni rigide ed
ancora oggi, peraltro, tarda ad essere interamente rimossa. Ma la istituzione delle Comunità
Europee, da un canto, e, dall’altro, la sempre più diffusa consapevolezza del primato del diritto
internazionale in genere sul diritto interno hanno mostrato quanto siano ormai evidenti le difficoltà
a seguitare ad accogliere quell’antica dottrina, sempre più recessiva col fatto stesso
dell’intensificarsi dei vincoli eteroprodotti a carico della sovranità dello Stato. La crisi di
quest’ultima, per una sua ormai stereotipa accezione che evoca l’idea della pienezza e
dell’autosufficienza o dell’autolegittimazione, fa, insomma, tutt’uno con la crisi della Costituzione
o, meglio, di un certo modo, per la verità esso pure ormai invecchiato, d’intenderla.
Non posso ora indugiare a rappresentare le ragioni per le quali mi faccio sempre più
convinto dell’esigenza di battere vie diverse da quelle usualmente percorse al fine di recuperare,
allo stesso tempo profondamente rigenerandolo, il senso profondo tanto della sovranità quanto della
Costituzione40: vie che, nondimeno, a me pare passino proprio dall’ormai maturo riconoscimento
che esse solo aprendosi all’esterno, a forme e dimensioni più vaste di realizzazione (e, dunque,
superando la prospettiva angusta e soffocante dello Stato-Nazione), possano continuare a reggersi
ed, anzi, ancora di più a rinsaldarsi ed a trasmettersi alle future esperienze costituzionali. D’altro
canto, nessuna rinunzia alla nostra identità costituzionale o nazionale è da vedere in tutto ciò, ove si
tenga ferma la premessa secondo cui l’apertura alla Comunità internazionale e all’integrazione
sovranazionale fa parte integrante dei nostri princìpi fondamentali, vale a dire costituisce uno dei
38
… seppur maggiormente con riguardo a campi di esperienza singolarmente considerati e, al loro interno,
specificamente a singole manifestazioni, e solo in minore misura da parte di ricerche di sintesi, dalle quali emerga il
senso complessivo dell’apporto giurisprudenziale alla delimitazione dei confini della materia costituzionale. È ovvio
che, con l’accumulo della giurisprudenza, nella varietà dei casi e degli orientamenti, si rende sempre più disagevole la
ricerca di sintesi sufficientemente espressive; tuttavia, è solo e specificamente da esse che può venire una ricognizione
adeguata dei confini della materia costituzionale (una riflessione sugli sviluppi complessivi della giurisprudenza
costituzionale si deve ora a P. LILLO, Corte costituzionale ed esperienza giuridica. Riflessioni a margine di una
monografia, in Dir. soc., 4/2001, p. 469 ss. ed A. CERRI, La giurisprudenza costituzionale, in Riv. trim. dir. pubbl.,
2001, p. 1325 ss., ma v. pure, utilmente, i contributi di AA.VV., La Corte costituzionale nel sistema istituzionale, in
Foro it., 2/2000, V, c. 19 ss.. La prospettiva adottata è, tuttavia, come di consueto, di ordine prevalentemente
istituzionale, riguardando specificamente l’andamento dei rapporti tra la Corte e gli altri operatori, mentre rimane
nell’ombra il modo con cui singole pronunzie ed indirizzi da queste composti, nella varietà dei casi da essi riguardati,
hanno portato a dilatare i confini della materia costituzionale).
39
Proprio questa, come si ricorderà, la qualifica adoperata dagli artt. 2 e 3 delle preleggi.
40
Le notazioni che si vanno ora facendo possono vedersi, con maggiore estensione di sviluppi argomentativi,
nei miei Sovranità dello Stato e sovranità sovranazionale, attraverso i diritti umani, e le prospettive di un diritto
europeo “intercostituzionale”, in Dir. pubbl. comp. ed eur., 2/2001, p. 544 ss. e Prospettive metodiche di ricostruzione
del sistema delle fonti e Carte internazionali dei diritti, tra teoria delle fonti e teoria dell’interpretazione, in AA.VV., I
diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, a cura di G.F. Ferrari, Giuffrè, Milano, 2001,
p. 219 ss., nonché in Ragion pratica, 2/2002, … ss., ai quali rinvio anche per riferimenti di lett. variamente orientata.
16
tratti maggiormente, genuinamente espressivi di siffatta identità, che senza quell’apertura, dunque,
si smarrirebbe per intero, divendo altro di sé.
Ad ogni modo, non è di tutto ciò che si vuol ora nuovamente, specificamente trattare. È
sufficiente ai nostri fini prendere atto del fatto che il campo della materia costituzionale è, in modo
crescente, occupato, oltre che da norme di produzione interna e di rango, appunto, costituzionale, da
norme di altra fattura e complessiva connotazione, che anzi tendono, per una parte, a combinarsi e
ad integrarsi variamente con le norme originarie e, per un’altra, addirittura a soppiantarle.
La questione si presenta in modo particolarmente accentuato e visibile sul terreno dei diritti
fondamentali, per l’affollarsi sulla scena di discipline dalla diversa estrazione, suscettibili di dar vita
a gravi, laceranti conflitti la cui lineare risoluzione appare assai problematica e nient’affatto
scontata nel suo verso così come negli esiti. Non è, invero, affatto detto che debba sempre e
comunque darsi la prevalenza alle previsioni costituzionali rispetto a quelle di origine esterna, in
nome di un malinteso “nazionalismo costituzionale”41 ed in applicazione della tecnica,
astrattamente predicata ma praticamente spuntata, dei “controlimiti” alla sovranità (una tecnica,
peraltro, che, già per il fatto di non essere mai stata applicata, sollecita, a mia opinione, di esser
complessivamente ripensata, per il modo con cui è stata fin qui teoricamente delineata42). Piuttosto,
proprio in ragione del fatto che il fondamento interno delle norme internazionali e sovranazionali
riposa, in ultima istanza, in valori fondamentali del nostro ordinamento (e, specificamente, nella
combinazione sistematica degli artt. 2, 10 e 11)43, può assistersi a forme varie, astrattamente non
prevedibili, di bilanciamento, con esiti ugualmente non preorientati in un senso o nell’altro44.
41
Preoccupate notazioni sono state diffusamente espresse in dottrina [v., part., U. DE SIERVO, I diritti
fondamentali europei ed i diritti costituzionali italiani (a proposito della Carta dei diritti fondamentali), in Dir. pubbl.
comp. ed eur., 1/2001, p. 153 ss. e, dello stesso, L’ambigua redazione della Carta dei diritti fondamentali nel processo
di costituzionalizzazione dell’Unione europea, in Dir. pubbl., 1/2001, p. 33 ss., nonché A. PACE, A che serve la Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea? Appunti preliminari, in Giur. cost., 1/2001, p. 193 ss.; ma v. pure,
variamente sul punto, V. ANGIOLINI, Carta dei diritti dell’Unione Europea e diritto costituzionale: incertezze apparenti
e problemi veri, in Dir. pubbl., 3/2001, p. 923 ss., spec. p. 929 ss. e, pure ivi, P. CARETTI, I diritti fondamentali
nell’ordinamento nazionale e nell’ordinamento comunitario: due modelli a confronto, p. 939 ss.] a riguardo della sorte
dei diritti costituzionali a seguito della ricezione della Carta europea, per il fatto che quest’ultima offrirebbe, perlomeno
con riguardo a taluni diritti, una tutela meno “avanzata” di quella che sarebbe riconosciuta dalla Costituzione. Ma, come
si è tentato di mostrare altrove (negli scritti richiamati in nt. prec.), per un verso, in circostanze siffatte scatterebbe
immediatamente la molla dei “controlimiti” a difesa dei diritti “nazionali”; per un altro verso, poi, la stessa
ambientazione dei rapporti tra la Carta costituzionale ed altre Carte sui diritti (fra cui, appunto, quella europea) sul
piano della teoria dell’interpretazione, più ancora che su quello della teoria delle fonti, può portare a riconoscere le
forme, pur varie, di interazione semantica che, a doppio senso di marcia, si impiantano tra le Carte stesse, secondo
quanto pure si fa presente subito di seguito nel testo.
42
Una sollecitazione a tornare a riflettere sulla dottrina dei “controlimiti” all’interno di un modello “reticolare”
di giustizia costituzionale europea è ora venuta da O. CHESSA, La tutela dei diritti oltre lo Stato. Fra “diritto
internazionale dei diritti umani” e “integrazione costituzionale europea”, in AA.VV., I diritti costituzionali, I, a cura di
R. Nania e P. Ridola, Giappichelli, Torino, 2001, p. 123 ss. Cfr, poi, al suo il punto di vista manifestato da S. PAJNO,
L’integrazione comunitaria del parametro di costituzionalità, Giappichelli, Torino, 2001, spec. pp. 213 ss. e 246 ss.,
dove ugualmente si prospetta il recupero della dottrina in parola nella cornice teorica di un multilevel constitutionalism.
43
Non si trascuri il fatto che l’art. 2, per fare subito riferimento al principio più direttamente riguardato dalle
Carte dei diritti, se, per un verso, rimanda alle norme che, all’interno della stessa Costituzione, ne danno specificazioneattuazione ed offre, perciò, “copertura” agli interessi o ai beni da esse riguardati, per un altro verso è ugualmente
sollecitato ad entrare in campo dalle norme sovranazionali che, esse pure relative ai diritti inviolabili, si immettono
nell’ordinamento interno, in forza dell’art. 11 o di altri princìpi ancora (ad es., dell’art. 10, I c., trattandosi di norme di
natura consuetudinaria). E, proprio il riferimento all’uomo in quanto tale (e non al solo cittadino) dà ulteriore credito
alla tesi che rifugge da una lettura “nazionalistica” dell’art. 2. Insomma, non è certo in quest’ultimo che può essere
rintracciato il fondamento di un eventuale (ma, appunto, discutibile) primato, assiomaticamente riconosciuto, ai diritti
costituzionali sui diritti aventi la loro origine e disciplina in contesti ordinamentali diversi.
44
Non appare, infatti, corretta la dottrina dei “controlimiti”, per il modo con cui è usualmente intesa, ove
dovesse per sistema portare a considerare recessivo il valore della pace e della giustizia tra le Nazioni al cospetto con
altri valori; piuttosto, come sempre è da ricercare una composizione tra i valori in campo evocati dal caso, adeguata al
caso stesso, che potrebbe anche sfociare in un ordinamento assiologico che obblighi al parziale sacrificio e persino al
17
Scavando ancora più a fondo sul terreno nel quale si dispongono le norme materialmente
costituzionali in parola ed osservando il modo con cui esse vi mettono radici, ci si avvede che la più
appagante delle soluzioni ricostruttive appare essere quella che non già risolve il conflitto, quale
che sia l’ordine gerarchico nei singoli casi fissato in applicazione di una preformata teoria delle
fonti, bensì lo previene, appunto in via d’interpretazione, muovendo dall’assunto che ciascuno degli
ordinamenti a confronto (e ciascuna delle statuizioni che vi appartengono) si dispone a farsi
variamente impressionare e “riconformare” nella propria sostanza normativa alla luce dell’altro: con
un moto circolare di mutua alimentazione semantica che, sullo specifico terreno dei diritti
fondamentali, s’intrattiene tra Costituzioni nazionali e Carte dei diritti (e, domani, Costituzione
europea).
Per la verità, una differenza parrebbe al riguardo doversi fare tra i rapporti del diritto interno,
rispettivamente, col diritto comunitario/europeo e col diritto internazionale pattizio, dal momento
che solo il primato dell’uno (e non pure dell’altro) si considera ormai pienamente acquisito, col solo
limite, usuale, dell’osservanza dei princìpi fondamentali, peraltro a mia opinione bisognoso di esser
rivisto alla luce dell’idea della eguale dignità che è da riconoscere ai princìpi stessi, compreso
dunque quello che vuole limitata la sovranità a vantaggio di organizzazioni che perseguono lo scopo
della pace e della giustizia tra le Nazioni. È vero che, dopo la riscrittura del titolo V, il comune
riferimento fatto nel I comma dell’art. 117 sia al diritto internazionale che al diritto comunitario
potrebbe dar fiato ad una lettura che non distingua in alcun modo il trattamento dell’uno rispetto
all’altro diritto, tanto per ciò che attiene ai loro rapporti con le leggi di Stato e Regioni, quanto nei
rapporti con le stesse norme costituzionali45. Nondimeno avverso siffatta ipotesi ricostruttiva
potrebbe ragionevolmente opporsi che altro è il modo con cui il diritto subcostituzionale si pone
davanti al diritto esterno in genere (al quale soltanto espressamente fa riferimento il disposto ora
cit.), altro ancora il modo con cui quest’ultimo diritto sta in rapporto con la Costituzione e le altre
fonti costituzionali. Il richiamo ora fatto agli obblighi internazionali nel I comma dell’art. 117 non
avrebbe, dunque, per questa lettura, il significato di una (non riconosciuta né riconoscibile)
attitudine delle norme internazionali a prevalere sulle stesse norme costituzionali, così come è
invece proprio delle norme comunitarie, bensì (ed esclusivamente) sulle sole norme di rango
primario (rimarrebbe, nondimeno, da spiegare la stranezza costituita dalla diversa forza normativa
riconosciuta a norme non nazionali alle quali è fatto lo stesso, comune riferimento nel disposto ora
cit.).
Il ragionamento ora svolto, a filo di logica, parrebbe non fare una grinza; di più, qualora si
volesse sovraccaricare di significati (e di attese) il riferimento suddetto si correrebbe invero il
rischio – a me pare – di farlo scontrare frontalmente col principio iscritto nel I comma dell’art. 10,
che circoscrive l’obbligo di conformità dell’ordinamento interno nei riguardi dell’ordinamento
pur momentaneo accantonamento di un valore fondamentale diverso da quello della pace (su ciò, ancora da ultimo, il
mio Fonti, norme, criteri ordinatori. Lezioni3, Giappichelli, Torino, 2001, p. 212 ss.).
45
L’ipotesi è problematicamente (e criticamente) formulata da A. RUGGERI-P. NICOSIA, Verso quale
regionalismo? (Note sparse al progetto di revisione costituzionale approvato, in prima lettura, dalle Camere nei mesi
di settembre-ottobre 2000), in Rass. parl., 1/2001, p. 105 s. Preoccupate notazioni a riguardo del riferimento
all’osservanza degli obblighi internazionali, sia pure da parte delle sole leggi ordinarie (con specifico riferimento a
quelle statali) sono state manifestate da M. LUCIANI, Camicia di forza federale, in La Stampa, 3 marzo 2001; v., poi,
variamente, C. PINELLI, I limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con l’ordinamento
internazionale e con l’ordinamento comunitario, in Foro it., 7-8/2001, c. 194 ss.; T. GROPPI, Regioni, Unione europea,
obblighi internazionali, in AA.VV., La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, a cura di
T. Groppi e M. Olivetti, Giappichelli, Torino, 2001, p. 133 ss.; E. CANNIZZARO, La riforma “federalista” della
costituzione e gli obblighi internazionali, e L.S. ROSSI, Gli obblighi internazionali e comunitari nella riforma del titolo
V della Costituzione, entrambi in forum di Quad. cost. su La riforma del titolo V, in rete; A. D’ATENA, Stato, Regioni,
Unione Europea e ordinamento internazionale, in AA.VV., Il nuovo titolo V della parte II della Costituzione, cit.; B.
CARAVITA, La Costituzione dopo la riforma del titolo V. Stato, Regioni e autonomie fra Repubblica e Unione europea,
Giappichelli, Torino, 2002, p. 115 ss., nonché, ora, i contributi alla tavola rotonda su Riforma costituzionale, diritto
internazionale e diritto comunitario. Stato e regioni nel nuovo assetto delle relazioni internazionali e dell’integrazione
comunitaria, Genova 23 marzo 2002.
18
internazionale alle sole norme di quest’ultimo generalmente riconosciute46. Pure quest’argomento –
come mi è stata data l’opportunità di far osservare altrove47 – potrebbe invero non sembrare
insuperabile; ma non è, comunque, qui il punto cruciale della questione ora discussa. Ciò che,
infatti, ora solo importa notare è che, per un verso, nel momento stesso in cui le leggi comuni sono
chiamate a prestare osservanza (anche) al diritto internazionale, ancora prima sono tenute ad essere
interpretate in senso ad esso conforme; e già questo solo fatto ha immediati riflessi
sull’interpretazione costituzionale, in forza di quella circolarità dei processi ermeneutici che è la
migliore risorsa di cui si dispone a garanzia di una sistematicità non piattamente o staticamente
intesa ma, appunto, da se medesima idonea a rigenerarsi senza sosta attraverso i continui rimandi di
senso da un piano all’altro della scala gerarchica e dall’una all’altra delle fonti che in essa si
dispongono. Per un altro verso, poi, nel momento in cui la Costituzione orienta (ora, anche
esplicitamente, dopo la “novella” operata con legge cost. n. 3 del 2001) le dinamiche produttive ed
interpretative verso il diritto sovranazionale ed internazionale, nella medesima direzione essa finisce
col trascinare anche se stessa, per la elementare ragione che la Costituzione è parte integrante
dell’ordinamento, inidonea ad essere innaturalmente staccata da questo, tenuta ferma mentre il resto
si muove in una direzione che è ormai nitidamente, stabilmente tracciata a favore di una sovranità
“sovranazionale”. Una lettura sistematica, conciliante, del I comma dell’art. 117 e degli artt. 2, 10
ed 11 richiede quest’esito, sollecita cioè una lettura internazionalmente conforme della stessa
Costituzione: esattamente così come, circolarmente, lo stesso art. 2, unitamente ad altri disposti
sostantivi della Carta, spinge a dare un’interpretazione costituzionalmente conforme a quelle
formule delle Carte dei diritti e delle disposizioni sovranazionali in genere che dovessero sembrare
meno avanzate, in prospettiva assiologica, rispetto a quelle costituzionali (e nazionali in genere).
L’art. 2, insomma, sintetizza quello che può esser considerato, ad un tempo, un criterio
dell’interpretazione (e della produzione) giuridica ed un valore fondamentale; anzi, il valore
fondamentale per antonomasia: quello per cui le combinazioni degli enunciati costituzionali e degli
enunciati di origine esterna devono, ad ogni modo, tendere a sintesi reciproche espressive magis ut
valeant. L’interpretazione riceve, dunque, quest’orientamento di fondo: di dover crescere
alimentandosi laddove maggiore è l’“offerta” normativa, se così vogliamo chiamarla, in termini
assiologicamente significativi, e di doversi perciò radicare in questo o quel terreno ordinamentale,
seguendo il verso che porta alle soluzioni maggiormente soddisfacenti, in ragione dei casi.
Sulla base delle notazioni appena svolte, è da chiedersi quali riflessi possano aversi da un
siffatto stato di cose con riguardo alle tecniche interpretative (e, per ciò che qui particolarmente
importa, alla supposta specificità dell’interpretazione costituzionale).
Non è possibile dare una risposta appagante a questo quesito se non muovendo da un dato
che può apparire, a prima vista, singolare, quanto a meno ove sia rivisto alla luce di antichi modi
d’intendere la Costituzione e la “materia” costituzionale, ma che non può, ad ogni buon conto,
essere trascurato o, come che sia, sottovalutato. Il campo costituzionale, infatti, è oggi attraversato –
come si è appena veduto – da fonti di origine esterna dotate di forza quodammodo costituzionale,
senza che tuttavia delle disposizioni costituzionali esse abbiano la struttura o i contenuti tipici (o,
meglio, tradizionalmente considerati tali). Se pure, poi, una forza siffatta non sia ancora pienamente
46
Per singolare e, persino, paradossale che possa sembrare, dunque, l’indicazione esplicita contenuta a favore
di alcune norme internazionali nel I comma dell’art. 10 giocherebbe nel senso di frenare la forza espansiva di altre
norme (pattizie), prodotte dalla stessa Comunità internazionale, in seno all’ordinamento interno (e, trattandosi di
indicazione posta in un principio fondamentale, non sarebbe ad ogni modo rimuovibile). Di contro, la mancata
menzione del diritto comunitario tra i princìpi della Carta (sia pure per le ragioni storiche che sappiamo) non farebbe,
come non ha fatto, da ostacolo al riconoscimento a suo favore di una forza quodammodo “paracostituzionale” (e, anzi,
in un certo senso, “supercostituzionale”, se si conviene a riguardo del fatto che la copertura offertagli da uno dei
princìpi di base dell’ordinamento non potrebbe essere superata neppure con legge costituzionale).
47
… ne La riforma costituzionale del titolo V, cit., spec. in nt. 47, laddove si prospetta una lettura restrittiva del
disposto di cui all’art. 10, ora cit., secondo cui esso non disporrebbe della forza ma unicamente del procedimento
attraverso il quale alcune norme internazionali (“generalmente riconosciute”) acquistano rilievo giuridico interno. Ma,
come pure si fa ivi notare, accedere a siffatta proposta ricostruttiva appare assai problematico.
19
riconosciuta sul piano della teoria delle fonti (come, appunto, si ha ad oggi con riguardo alle norme
internazionali pattizie), essa è idonea ugualmente ad affermarsi in forme singolarmente accentuate
sul piano della teoria dell’interpretazione. Dove, insomma, non soccorre la forza positiva, soccorre
la forza culturale, che è ancora più efficace, in molte delle sue concrete manifestazioni, della prima,
sollecitando la stessa Costituzione, unitamente alle disposizioni sottostanti, ad orientarsi ed a farsi
riconformare semanticamente alla luce dei materiali di produzione esterna che appaiano
direttamente ed immediatamente serventi nei riguardi dei valori fondamentali.
La forza “paracostituzionale” del diritto sovranazionale fa sì che si abbia un avvicendamento
continuo, indolore, di norme sulla “materia” costituzionale, ora in via di produzione ed ora in via
d’interpretazione. E, tuttavia, i materiali normativi che si succedono sul campo stesso non
presentano, alle volte, omogeneità strutturale. Per quanto possa sembrare strano e persino
paradossale, ciò si riscontra soprattutto con riguardo ai rapporti con l’ordinamento comunitario,
laddove la forza suddetta è ormai indiscussa, mentre non si ha, il più delle volte, quanto ai rapporti
con alcune manifestazioni del diritto internazionale (e, segnatamente, con le Carte dei diritti),
laddove la forza in parola è invece controversa, malgrado la non diversa sostanza normativa esibita
dalle Carte da un lato, e dalla Costituzione dall’altro. Come dire che la natura “paracostituzionale” è
assegnata, unicamente in virtù dello scopo perseguito (e, perciò, della fonte da cui provengono), alle
norme comunitarie, che somigliano per struttura e contenuti più a leggi comuni (e, persino, ad atti
sublegislativi) che a leggi costituzionali. Di contro, la natura stessa è discussa o addirittura negata in
capo a fonti, le Carte dei diritti, i cui contenuti si legano alle radici culturali del costituzionalismo e
che, perciò, potrebbero vantare a loro sostegno la stessa giustificazione storicamente rivendicata
dalle Costituzioni, pur in un contesto ormai profondamente mutato. È questo – a me pare – uno dei
paradossi di maggiore rilievo entro cui si avvolge l’esperienza costituzionale del tempo presente.
Questa situazione singolare porta, sul piano dell’interpretazione, a rendere assai più fluide e
concettualmente (oltre che positivamente) incerte, per orientamento ed esiti, le relazioni
internormative di quanto non parrebbe dover essere alla luce di antichi, consolidati schemi.
Così, ad es., il diritto comunitario, con l’ingresso massiccio, invasivo, in seno agli
ordinamenti nazionali che ormai lo caratterizza, è idoneo a rovesciare su se stesso, unicamente
grazie alla forza che sono in grado di esprimere gli atti che vi appartengono, l’ordine sistematico
che usualmente si ha nei rapporti tra princìpi e regole: non sono, infatti, queste ad orientarsi sempre
e comunque verso quelli ed a ricevere luce ed alimento da essi; può anche darsi l’inverso, i princìpi
orientandosi verso le regole e disponendosi, dunque, a farsi variamente “impressionare” da queste.
La questione ha una più vasta portata, idonea a superare il recinto delle disposizioni
costituzionali, le regole di diritto comunitario essendo riconosciute idonee a prevalere su regole ed
anche princìpi espressi da leggi comuni e persino, a mia opinione, dalla stessa Costituzione e dalle
leggi costituzionali, per il caso che il valore della pace debba, in sede di bilanciamento, considerarsi
preminente rispetto ad altri valori ugualmente fondamentali. Si realizza, dunque, in circostanze
siffatte quell’assoggettamento, che è positivo ma che è, prima ancora, culturale (o interpretativo),
degli stessi princìpi costituzionali rispetto a regole di produzione sovranazionale, grazie alla
protezione loro offerta dal valore della pace, il più delle volte peraltro congiuntamente ad altri valori
sostantivi ugualmente ratione materiae evocati in campo.
D’altro canto, è chiaro che – una volta ambientati i rapporti interordinamentali in prospettiva
assiologica – non è da far questione unicamente della prevalenza di un valore fondamentale su un
altro e, dunque, di una su un’altra norma costituzionale (o “paracostituzionale”) bensì di stabilire un
ordinamento gerarchico che ogni volta coinvolge l’intero ordinamento, non già singole norme
ovvero singoli piani di esperienza normativa. Il criterio di risoluzione delle antinomie che fa capo
alla collocazione nella scala gerarchica delle norme secondo forma si rivela, in congiunture siffatte,
pressoché inservibile, comunque non risolutivo al fine del ripianamento delle antinomie stesse.
Senza alcuna stranezza (ma, anzi, in piena coerenza con le premesse poste e dalla stessa
giurisprudenza, per quest’aspetto, tenute ferme), il diritto comunitario riconosciuto incompatibile
con princìpi fondamentali di diritto interno ritenuti prevalenti in sede di bilanciamento non può
20
prevalere nei confronti di alcuna norma, quale che ne sia il grado, posta in attuazione dei princìpi
stessi (e, naturalmente, viceversa). La “non applicazione” del diritto interno contrario al diritto
comunitario – come pure, con espressione involuta e barocca, se ne descrive in giurisprudenza la
condizione e qualifica l’effetto – non può in tali casi aver luogo, indipendentemente dal livello o
dalla forza formale delle norme: il conflitto apertosi al massimo grado di positività giuridica si
trasmette ai gradi sottostanti o – il che è praticamente lo stesso – ascende da questi ultimi, nei quali
in concreto si radica, al piano costituzionale, dei valori.
Il quadro è, dunque, come si vede, internamente assai composito, aperto ad esiti ricostruttivi
di vario segno, in dipendenza dell’ordine mobile dei valori stessi ed in ragione delle peculiari
esigenze dei casi. Ma, proprio per ciò, l’interpretazione costituzionale, disponendosi ed orientandosi
lungo molteplici percorsi e presentandosi, di volta in volta, quale “tecnica” di composizione di
materiali strutturalmente e funzionalmente eterogenei (o, diciamo meglio, non necessariamente
omogenei), quali appunto sono le formule di diritto comunitario al cospetto degli enunciati
costituzionali, come potrebbe, su basi culturali siffatte, vantare la pretesa a rimanere ad ogni modo
“staccata” da altre forme o specie d’interpretazione?
La Costituzione possedeva una sua tipicità irripetibile nel momento in cui si rendeva
impermeabile all’esterno, chiusa in se stessa e domina in modo esclusivo del proprio campo; e,
conseguentemente, tipica avrebbe potuto dirsi l’interpretazione costituzionale, per l’originalità dei
caratteri complessivi delle disposizioni sulle quali era chiamata a piegarsi ed esercitarsi. Ma, oggi
che il campo costituzionale è aperto all’ingresso di fonti in sé non costituzionali, con le quali la
Costituzione è tenuta ad integrarsi ed a variamente combinarsi, fino talora a recedere davanti ad
esse, come distinguere – è da chiedersi nuovamente – l’interpretazione costituzionale
dall’interpretazione di disposizioni che somigliano come gocce d’acqua alle leggi comuni e si
dimostrano idonee a prendere immediatamente il posto, oltre che di queste ultime, delle stesse
statuizioni costituzionali?
5. Tecniche decisorie della Corte costituzionale (particolarmente, l’interpretazione
conforme a Costituzione e le manipolazioni testuali) e riduzione ad unità dell’interpretazione
costituzionale e dell’interpretazione “ordinaria”
La fungibilità dei materiali normativi (e, conseguentemente, delle interpretazioni), dei quali
qui si discorre, ha, poi, ulteriori, significativi elementi di riscontro, specificamente nell’esperienza
giudiziale e, ancora di più specificando, nelle pratiche di cui si compone la giustizia costituzionale.
Talune tecniche decisorie ormai diffusamente utilizzate, unitamente alle tendenze ed agli
orientamenti che per il loro tramite prendono corpo ed espressione, confermano quanto sia
problematico preservare la “purezza” dell’interpretazione costituzionale (latamente intesa),
tenendola dunque distinta dall’interpretazione “ordinaria”.
La questione richiederebbe una verifica a tappeto, estesa all’intero panorama delle tecniche
decisorie e delle forme di collegamento che a vario titolo si instaurano tra la Corte e gli altri
operatori istituzionali (particolarmente, con riguardo ai giudizi sulle leggi, i giudici comuni). Ciò
che, evidentemente, non può qui aver luogo. Ma basti al riguardo il rilievo, come si sa assai
ricorrente, relativo al tasso accentuato di “concretezza” che connota le esperienze di giustizia di
costituzionale, per un verso, e, per un altro, al tasso di marcata “diffusione” che connota il nostro
sistema di giustizia costituzionale (al pari, peraltro, di altri)48.
48
Su ciò, ancora di recente, v. i contributi al Seminario di Pisa del 25 e 26 maggio 2001 su Il giudizio sulle
leggi e la sua “diffusione”. Verso un controllo di costituzionalità di tipo diffuso?, i cui Atti sono in corso di stampa,
nonché, con specifica attenzione a talune proposte di riforma, R. ROMBOLI, La Corte costituzionale del futuro (verso
una maggiore valorizzazione e realizzazione dei caratteri “diffusi” del controllo di costituzionalità?), in Foro it.,
2/2000, V, c. 38 ss.
21
Il punto, per la verità, è assai meno stabilmente fissato di quanto pure non sembri a giudizio
della dottrina corrente. Non pochi dei tratti che usualmente si ricordano come tra i più marcati ed
indicativi di siffatte tendenze rivelano, ad un esame più approfondito ed articolato, linee interne
molteplici e reciprocamente intrecciate, come tali idonee a prestarsi a ricostruzioni di vario segno ed
orientamento.
Si pensi, per fare ora solo uno degli esempi che più di frequente sono al riguardo addotti, a
sostegno della tesi del carattere sostanzialmente “misto” del nostro sistema di giustizia
costituzionale, all’interpretazione conforme a Costituzione o, ancora, all’applicazione diretta della
Costituzione49. Si fa notare, com’è noto, che l’una e l’altra, pur nei connotati specifici di ciascuna,
sarebbero indicativi di un attivismo giudiziale che non solo non è ostacolato dalla Corte ma che è,
anzi, da essa incoraggiato, in un modo che, specie di recente, appare particolarmente insistente e
deciso50.
Non si può dubitare che in siffatte affermazioni vi sia del vero: la Corte sempre più di
frequente chiede agli operatori coi quali entra in contatto (e, particolarmente, ai giudici) un impegno
ed una sensibilità di cui mostra di avere bisogno, per un fisiologico, ottimale funzionamento della
giustizia costituzionale. Ma, neppure può dubitarsi che, in non poche circostanze, nel momento
stesso in cui la Corte lascia intendere di essere stata investita a sproposito e che preferirebbe
piuttosto ritagliare per sé un ruolo “sussidiario”, da esercitare unicamente laddove altre risorse non
siano disponibili a soddisfare in modo costituzionalmente conforme le esigenze dei casi, essa si
rallegri in cuor suo di esser chiamata in campo. Perché solo in tal modo riesce nell’intento di
concorrere, da protagonista, alla nascita di un nuovo “diritto vivente” verfassungskonform,
Sia sull’una che sull’altra indicazioni possono ora trarsi dai contributi al Seminario di Pisa, sopra richiamato,
e, tra questi, part., da M. PERINI, L’interpretazione della legge alla luce della Costituzione fra Corte costituzionale ed
autorità giudiziaria; A. RAUTI, L’interpretazione adeguatrice come metacriterio ermeneutico e l’inversione logica dei
criteri di rilevanza e non manifesta infondatezza, e G. SORRENTI, La “manifesta infondatezza” delle questioni di
legittimità costituzionale e l’applicazione diretta della Costituzione nella prassi giudiziaria. Ovvero: una ricerca
empirica su una risalente ipotesi, di rinnovata attualità. Di quest’ultima, v., inoltre, con specifico riferimento
all’interpretazione conforme, Questioni di interpretazione e questioni di legittimità costituzionale: una frontiera in
continuo avanzamento, in AA.VV., Prospettive di accesso alla giustizia costituzionale, a cura di A. Anzon, P. Caretti e
S. Grassi, Giappichelli, Torino, 2000, p. 685 ss.; Il seguito “rovesciato”: le decisioni interpretative di rigetto e l’attività
del legislatore, in AA.VV., Corte costituzionale e Parlamento. Profili problematici e ricostruttivi, a cura di A. Ruggeri
e G. Silvestri, Giuffrè, Milano, 2000, p. 289 ss. e, ora, organicamente, L’interpretazione “adeguatrice” delle leggi.
Fondamento, natura e implicazioni di una pratica dei giudici e della Corte costituzionale, ed. provv., Giuffrè, Milano,
2002. Una densa riflessione su questi temi è stata, non molto tempo addietro, svolta da R. ROMBOLI, Il riferimento al
parametro costituzionale da parte del giudice in ipotesi diverse dalla eccezione di costituzionalità (l’interpretazione
“adeguatrice” e l’applicazione diretta), in AA.VV., Il parametro nel giudizio di costituzionalità, a cura di G.
Pitruzzella, F. Teresi e G. Verde, Giappichelli, Torino, 2000, p. 635 ss. Da ultimo, M. MAGRI, La legalità costituzionale
dell’amministrazione. Ipotesi dottrinali e casistica giurisprudenziale, Giuffrè, Milano, 2002.
50
Riserve e perplessità a riguardo della “tecnica” della interpretazione conforme e, specificamente, della sua
compatibilità col vaglio di “non manifesta infondatezza” sono state, in tempi antichi e recenti, diffusamente espresse (da
A. Pace, G. Grottanelli de’ Santi, G. Silvestri, ed altri): ancora da ultimo, G. SORRENTI, nello studio monografico dietro
cit., ha avuto modo di coltivare ed alimentare quest’indirizzo teorico, arricchendolo di ulteriori, fini argomenti. Mi
sembra, tuttavia, importante non trascurare la circostanza per cui, quand’anche dovesse ritenersi che il giudice nei casi
dubbi debba (e non solo possa) rivolgersi alla Corte, pur laddove riesca a prospettarsi un’interpretazione adeguatrice,
ugualmente l’orientamento (o, diciamo meglio, il preorientamento) che sta a base del suo stesso accostarsi al testo
rimanga, di necessità, puntato verso la Costituzione. L’interpretazione conforme è, insomma, da tener comunque ferma,
quanto meno nel senso della spinta iniziale che mette in moto il processo ermeneutico e che incessantemente lo
alimenta; che, poi, l’esito del processo stesso, una volta assunta una sua compiutezza e definitezza, porti o debba
operativamente portare a questa o quell’iniziativa (nel senso voluto dalla Corte di scoraggiare fin dove possibile il
giudizio di costituzionalità ovvero, come voluto da alcuni, di farvi comunque luogo) è da discutere. In ogni caso, avuto
riguardo all’esperienza per com’è ed alle sue più marcate tendenze (secondo l’opzione metodica posta a base della
riflessione qui svolta), la ferma presa di posizione in fatto d’interpretazione conforme assunta dalla giurisprudenza
costituzionale (e, peraltro, condivisa da una diffusa giurisprudenza comune) consente di tener per buone, senza
ulteriormente verificarne le basi teoriche, le considerazioni di seguito svolte nel testo.
49
22
alimentando consuetudini interpretative che altrimenti sarebbero destinate a spegnersi o, addirittura,
a non venire mai alla luce51.
Vi è, però, di più. Ancora oggi si è fatto poco caso alla circostanza per cui quelle che, a tutta
prima, parrebbero essere tecniche decisorie alternative, opposte per natura ed effetti, vale a dire
l’interpretazione conforme e le manipolazioni testuali, si fanno non poche volte ricondurre ad unità
nella loro sostanza e per lo scopo perseguito. Certo, a fermarsi alla loro “crosta”, l’una appare esser
un’operazione conservativa (del testo) mentre l’altra presenta carattere innovativo, normativo (o,
come pure si suol dire, con evidente approssimazione, “creativo”). Si trascura, tuttavia, di tener
presente il dato elementare e di comune esperienza secondo cui la Corte fa, molte volte, luogo
all’interpretazione conforme e ne sollecita la riproduzione e diffusione a raggiera per tutto
l’ordinamento avvedendosi di non poter far luogo, in sua vece, come pure forse avrebbe voluto, ad
un’addizione o ad altra forma di manipolazione testuale, senza nondimeno rinunziare allo scopo
perseguito. L’interpretazione conforme costituisce, in circostanze siffatte, una “manipolazione”
ancora più forte ed efficace, proprio perché presentata come rivolta a finalità conservativa, della
sostanza normativa racchiusa nel testo di legge. Come mi è stata data l’opportunità di far notare
altrove52, la Corte trapassa da parte a parte il disposto normativo sottoposto a giudizio e, una volta
superata agevolmente la barriera della formulazione linguistica dell’enunciato, opera incisive
trasformazioni di ordine sostanziale, andando persino oltre i limiti davanti ai quali dovrebbe
arrestarsi, con le pronunzie manipolative dei testi, in nome del rispetto della discrezionalità del
legislatore.
È vero che, sul piano formale degli effetti, l’addizione o altra manipolazione testuale risulta
dotata di una capacità di vincolo generale che assai discutibilmente può essere riconosciuta
all’interpretazione conforme, se non si vuol far correre a quest’ultima il rischio della sua
conversione in un’inammissibile interpretazione autentica. Ma, per un verso, l’autorevolezza del
verdetto emesso dalla Corte, con la formidabile forza persuasiva di cui è dotato, è, comunque,
indiscutibile53; per un altro, poi, quand’anche si voglia assegnare alle pronunzie di rigetto in genere
una forza di mero precedente (e non pure di giudicato)54, è da riconoscere che la stessa vis ridotta
che, per la comune dottrina, sarebbe tipicamente espressa dalle decisioni non ablative presenta, per
la stessa Corte (oltre che per gli operatori in genere), innegabili vantaggi, dandole modo di
determinarsi in seguito con un’agilità di movimenti che altrimenti non potrebbe avere.
Come si vede, le risorse offerte dall’interpretazione conforme sono davvero straordinarie; e
la tecnica in parola si presta ad usi molteplici, astrattamente imprevedibili, che vanno dallo scopo di
correggere interpretazioni bizzarre o, come che sia, infondate dell’autorità remittente allo scopo di
dare un diverso orientamento rispetto al passato alle dinamiche interpretative, fino a quello di
imporre, in buona sostanza, un fermo indirizzo a queste ultime nel senso voluto dalla Corte.
Ora, ciò che maggiormente importa notare è che la manipolazione della sostanza normativa
dei testi di legge si presenta, in non poche circostanze (e, forse, tendenzialmente in tutte), quale
l’effetto di una previa manipolazione della Costituzione ovvero, in altre, quale la causa della
stessa55. È stato fatto, ancora da ultimo, opportunamente notare56 che molte volte invece che
51
Solo così, infatti, la Corte ha modo di esercitare un primato culturale nei confronti della comunità degli
operatori che non potrebbe altrimenti aversi.
52
… part., in Corte costituzionale e Parlamento tra aperture del “modello” e fluidità dell’esperienza, in
AA.VV., Corte costituzionale e Parlamento, cit., p. 37 ss., spec. p. 41 ss.
53
Rileva, a tal riguardo, particolarmente l’uso sapiente delle tecniche argomentative di cui la parte motiva delle
decisioni della Corte dà assai varia, significativa testimonianza (su ciò, per tutti, A. SAITTA, Logica e retorica nella
motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, Giuffrè, Milano, 1996 e, con specifico riferimento, alle tecniche
di selezione dei casi, P. BIANCHI, La creazione giurisprudenziale delle tecniche di selezione dei casi, Giappichelli,
Torino, 2000, part. p. 187 ss. e p. 215 ss.).
54
Sulla questione, ora, F. DAL CANTO, Giudicato costituzionale, in Enc. dir., Agg., V (2001), p. 429 ss., spec.
p. 437 ss.
55
In dottrina tarda a maturare la consapevolezza che una manipolazione di legge costituisca, alle volte, una
forma speculare di manipolazione costituzionale; ancora di più, poi, si stenta a riconoscere che le maggiori (proprio
perché sotterranee ed abilmente mascherate) manipolazioni, sia del testo di legge che dello stesso parametro, hanno
23
d’interpretazione della legge conforme a Costituzione si tratta piuttosto di interpretazione della
Costituzione conforme alla legge; e da parte di altri ancora57 si è osservato che dalle due
disposizioni a confronto si finisce col pervenire ad una norma-terza, mediana tra entrambe, frutto
appunto del reciproco orientamento.
Non credo che né l’una né l’altra prospettazione meritino di essere generalizzate: la fluidità e
la varietà dei casi, così come la mobile combinazione dei valori da essi evocati in campo, consiglia
di rifuggire da ogni forma di irrigidimento teorico. Eppure, che in molte occasioni – come si diceva
– possa aversi una doppia manipolazione di sostanza normativa, sia al piano costituzionale che a
quello sottostante, mi parrebbe innegabile. Una “vera” interpretazione verfassungskonforme può,
infatti, presentarsi come una meta irraggiungibile pure per il più abile degli “scalatori”
costituzionali, la Corte, se non si riduce l’altezza della meta stessa, riportandola ad una distanza
minore dalla partenza.
Ormai da tempo mi sono fatto persuaso, attraverso uno spoglio sistematico della
giurisprudenza costituzionale, che le manipolazioni dei parametri costituzionali sono assai
numerose ed incisive (si abbiano, o no, in seno a pronunzie che prospettano interpretazioni
conformi), per quanto talora abilmente mimetizzate o tenute sotto traccia, esattamente come la
montagna sommersa dell’iceberg, che non si fa vedere ma che è di gran lunga più corposa della
punta emergente (l’interpretazione conforme).
Proprio in questi casi, di doppia manipolazione, si ha, forse, la più rilevante forma di
assimilazione dell’interpretazione costituzionale all’interpretazione “ordinaria”58; anzi, esse fanno
un unico corpo, compenetrandosi l’una nell’altra e “riconformandosi” a vicenda, secondo apporti e
gradazioni praticamente non misurabili. I piani della scala gerarchica rimangono formalmente
distinti e distinte si presentano l’interpretazione costituzionale, da un lato, e l’interpretazione
“ordinaria”, dall’altro. Ma, spingendosi oltre le barriere esteriori, assai di frequente abilmente erette
e sostenute da un’argomentazione tecnicamente raffinata, ci si avvede di come i piani stessi si
appiattiscano e riducano ad unità. La manipolazione sostanziale del dato legislativo, mascherata
dalla artificiosa conversione della questione di costituzionalità in questione d’interpretazione, ha la
sua molla e la sua ricarica in una previa manipolazione costituzionale, in forma d’interpretazione59,
la quale peraltro, a sua volta, si alimenta di suggestioni e spinte di varia intensità provenienti dallo
stesso piano della normazione comune. La circolarità diviene, allora, perfetta, piena, attraversata da
un moto interno incessante, che rende assolutamente indistinguibile la partenza dall’arrivo.
modo di affermarsi attraverso la tecnica dell’interpretazione conforme (a riguardo di siffatte forme di incisione dei
parametri costituzionali può, volendo, vedersi il mio La Costituzione allo specchio, cit., tutta la sez. IV. Delle varie
forme di giuridico rilievo dei parametri nei giudizi di costituzionalità hanno discorso AA.VV., Il parametro nel giudizio
di costituzionalità, cit.).
56
G.N. PINAKIDIS, L’“interpretazione conforme a Costituzione”. Tecnica del controllo giurisdizionale della
costituzionalità delle leggi o metodo d’interpretazione della legge attraverso la Costituzione?, in To Syntagma, 3/2001,
p. … ss. (in greco).
57
O. CHESSA, Drittwirkung e interpretazione: brevi osservazioni su un caso emblematico, in AA.VV., Il
giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, cit.
58
Di una tendenza all’assimilazione strutturale della Costituzione alla legge, conseguente alle manipolazioni
dei parametri, ho ancora non molto tempo addietro trattato nel mio Corte costituzionale e Parlamento, cit., p. 46 ss.; ed
è evidente che essa è frutto delle interpretazioni della Corte, non già del modo con cui sono fatti in natura i “materiali”
qui confrontati.
59
Ovviamente, qui non si sostiene che la conversione in parola sia sempre forzosa, ma unicamente che possa
esserlo, così come invero è in non poche congiunture. Ora, la compenetrazione delle interpretazioni di cui qui si
discorre si ha comunque ma dove esse appaiono assolutamente indistinguibili è proprio – come si viene dicendo – con
riguardo ai casi di manipolazione normativa esibita quale forma d’interpretazione conforme. Rimane, poi, da verificare
se la spinta per la manipolazione costituzionale muova dalla previa manipolazione legislativa o viceversa; ma, a
prescindere dalle difficoltà, forse insormontabili, ad avviare un’indagine siffatta ed a pervenire ad esiti almeno
approssimativamente sicuri, è provata la ricarica reciproca che esse si danno, quale che sia il punto di partenza: nel
circolo ermeneutico parametro ed oggetto, rincorrendosi a vicenda attraverso le riconformazioni che ne dà la Corte,
finiscono col confondersi e col divenire una sola cosa (v., infatti, quanto se ne dice subito nel testo).
24
Per altro verso, la circostanza secondo cui la Corte presenta l’operazione condotta, nel suo
insieme, come “sussidiaria” e, in questo senso, fungibile rispetto a quella stessa che avrebbe potuto
esser fatta dal giudice remittente rende ulteriormente disagevole, anche in prospettiva istituzionale,
il mantenimento della caratterizzazione dell’interpretazione costituzionale rispetto
all’interpretazione “ordinaria”. È vero che ciascun operatore fa luogo – secondo una schematica e,
come qui si è mostrato, largamente artificiosa rappresentazione – ad una doppia interpretazione,
avente ad oggetto entrambi i termini normativi costitutivi della questione, ma è pure vero che, a
stare ad una diffusa ed accreditata ricostruzione, la legge è il materiale normativo sul quale, in modo
privilegiato, si piega la riflessione del giudice, la Costituzione quello della Corte60.
Non ho mai creduto (e continuo a non credere) a scale di priorità siffatte o – di più – ad
artificiose separazioni di competenze, per quanto, come si sa, la stessa Corte si dichiari rispettosa
del diritto vivente legislativo61, così come enucleato nelle aule dei tribunali, e pretenda allo stesso
tempo, giustamente, rispetto davanti al diritto vivente costituzionale, alla cui formazione essa dà un
apporto (non esclusivo ma) prevalente. La realtà, nondimeno, è assai più complessa di come non
risulti da una siffatta sua schematica o semplicistica rappresentazione. Per un verso, infatti, la Corte
concorre fattivamente alla formazione del diritto vivente legislativo; per un altro, gli stessi giudici e
gli operatori in genere danno il loro pur vario contributo al diritto vivente costituzionale. Alle volte,
anzi, la fluidità delle relazioni è tale da rendere assai disagevole e, comunque, fortemente
problematico coglierne l’essenza o le più marcate tendenze, stabilendo in modo sia pure
approssimativo fin dove un fenomeno o un comportamento rientra nella fisiologia dei rapporti tra le
istituzioni e da che punto in avanti, invece, si assista ad una loro (più o meno vistosa) torsione
rispetto al “modello”. La stessa distinguibilità teorico-pratica di un diritto vivente legislativo da un
diritto vivente costituzionale – come si viene dicendo – è messa in crisi da prassi, assai più
consistenti e diffuse di quanto non si pensi, che parrebbero appunto darne testimonianza. Si pensi,
ad es., per un verso, ai casi o alle forme (anche occulte o abilmente mimetizzate e però, proprio per
ciò, particolarmente assai efficaci) con cui la Corte manipola il diritto vivente legislativo,
affermandone ovvero negandone l’esistenza o, ancora, facendolo ad ogni modo recedere davanti ad
un’esigenza pressante d’interpretazione conforme62. Per un altro verso, si consideri il dato, ancora
oggi assai poco indagato63, costituito dai casi (e dalle forme) con cui i giudici comuni, in sede di
“seguito” applicativo alle pronunzie della Corte, fanno luogo a manipolazioni più o meno incisive
del decisum, specie facendo leva sugli spazi, non di rado assai ampî, aperti dalla parte motiva delle
pronunzie stesse. Anche da queste esperienze, come si vede, possono dunque trarsi elementi idonei
ad avvalorare la circolarità delle interpretazioni, la loro sostanziale indistinguibilità, la confluenza
all’interno di processi decisori che, pur laddove sembrino esauriti o definiti nella loro essenza, si
rimettono subito in moto, tornando ad alimentarsi ed a rigenerarsi da sé64.
60
Su ciò, v., part., la riflessione critica di A. SPADARO, Limiti del giudizio costituzionale in via incidentale e
ruolo dei giudici, ESI, Napoli, 1990.
61
Su ciò, sopra tutti, A. PUGIOTTO, Sindacato di costituzionalità e “diritto vivente”. Genesi, uso, implicazioni,
Giuffrè, Milano, 1994.
62
Su ciò, volendo, può vedersi il mio Corte costituzionale e Parlamento, cit., spec. p. 37 ss.
63
Ma v., ora, per una prima sistemazione di alcuni materiali offerti dalla prassi dei rapporti tra giudici e Corte,
corredata di acute notazioni ricostruttive, gli studi di E. LAMARQUE, Gli effetti della pronuncia interpretativa di rigetto
della Corte costituzionale nel giudizio a quo (un’indagine sul “seguito” delle pronunce costituzionali), in Giur. cost.,
2000, p. 685 ss. e Il seguito giudiziario alle decisioni della Corte costituzionale, in AA.VV., Il giudizio sulle leggi e la
sua “diffusione”, cit. Vi è, tuttavia, ancora oggi un “sommerso” che attende di essere fatto oggetto di analisi puntuali, a
ciò specificamente mirate e idonee a dare una rappresentazione adeguata della complessità e varietà delle forme
concretamente assunte dalla relazione tra giudici e Corte, specificamente in fase discendente.
64
È questa la ragione di fondo per cui l’immagine “verticale” della giustizia costituzionale, usualmente
adottata, secondo cui la domanda parte dal basso (dall’autorità remittente) e, quindi, la Corte “decide”, chiudendo il
processo di costituzionalità, mi parrebbe, a conti fatti, eccessivamente semplificante e riduttiva. Di contro,
maggiormente fedele si rivela, a mia opinione (Esperienze di normazione ed esperienze di giustizia costituzionale a
confronto: un rapporto tra giudici e Corte a geometria variabile?, in AA.VV., Il giudizio sulle leggi e la sua
“diffusione”, cit., nonché in “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti, V, Studi dell’anno 2001, Giappichelli,
25
Ora, la (dichiarata) fungibilità dei ruoli, sottesa alla conversione delle questioni di
costituzionalità in questioni d’interpretazione per il tramite della tecnica dell’interpretazione
conforme, offre una testimonianza assai attendibile della sostanziale assimilazione
dell’interpretazione costituzionale all’interpretazione “ordinaria” o, meglio, della tendenza ad
accreditarle come fungibili65. Gli oggetti dell’una e dell’altra rimangono astrattamente distinti ma il
fatto che i soggetti possano – a stare a quanto ne dice la Corte – alternarsi a vicenda, con una
preferenza che è anzi accordata (a parole…) proprio agli operatori comuni, porta ad un
rimescolamento complessivo delle carte con le quali si fa il “gioco” dell’interpretazione (senza
aggettivi).
Se, poi, si sposta specificamente l’attenzione alle manipolazioni testuali, che pure esibiscono
una minore duttilità strutturale rispetto all’interpretazione conforme e presentano, non di rado, una
certa viscosità culturale e positiva, ci si avvede come esse pure spingano, per la loro parte,
all’unificazione delle operazioni di cui si compongono i processi interpretativi.
Si pensi, ad es., alle additive, sia di princìpi che di regole. Non importa tornare qui a
verificare il fondamento teorico-positivo di questa pratica, come si sa largamente diffusa né
misurare la linearità della giustificazione che la stessa giurisprudenza ne ha dato, e ne dà, a sostegno
della loro adozione66. La sola prospettiva che ai nostri fini importa è quella dell’interpretazione; e,
per essa, diventa davvero assai arduo separare, ancora una volta, il piano costituzionale dal piano
“ordinario” una volta che – a torto o a ragione – la Corte abbia riconosciuto il carattere
sostanzialmente omogeneo dei materiali normativi da essa “lavorati”.
Nell’interpretazione conforme, la fungibilità, come si è fatto notare, è predicata dei ruoli
istituzionali; nelle additive, dei materiali utilizzati. Qui, la Corte fa “transitare” le norme da una
fonte all’altra; lì le norme rimangono al loro posto (perlomeno, in apparenza…67) ma sono (o,
meglio, possono essere) fatte oggetto ugualmente di una sostanziale “riconformazione”.
Ora, il “transito” non potrebbe avere luogo se le fonti tra le quali si realizza non fossero
considerate strutturalmente omogenee: esattamente, così come un pezzo di ricambio può essere
innestato in una macchina unicamente in quanto possa perfettamente adattarsi a quest’ultima,
legandosi armonicamente ai pezzi originari.
L’omogeneità strutturale non v’è (o, meglio, non v’è ordinariamente) nei casi in cui si fa
luogo ad un’additiva di regola: la regola stessa è, infatti, desunta da un principio costituzionale e,
quindi, inserita nel corpo della legge. Ma, la Corte ci dice che nulla di “creativo” vi è in tutto ciò,
discendendo la regola “a rime obbligate” dalla Costituzione (secondo la immaginifica, fortunata
espressione di crisafulliana memoria). L’omogeneità strutturale è, invece, piena nel caso di additiva
Torino, 2002, p. 425 ss.) l’immagine “circolare”, di una giustizia costituzionale che, anche in fase discendente (dopo il
verdetto della Corte), si distribuisce, talora in misura assai significativa (si pensi alle additive di principio), tra più centri
istituzionali, rimettendosi agli operatori margini di apprezzamento non poco consistenti in ordine all’“esecuzione” (in
seno lato) dei verdetti emessi dalla Corte. Che, poi, proprio tra le pieghe, più o meno fitte, presentate dai margini stessi
si annidi, temibile, il rischio di un sostanziale aggiramento del giudizio formulato dalla Consulta è inevitabile; ma
l’ordinamento conosce rimedi (giuridici e non) per ripristinare l’ordine costituzionale violato.
65
Se e fino a che punto, nondimeno, le cose stiano davvero così si vedrà tra non molto.
66
Tra i molti altri che ne hanno trattato (ed anche per ulteriori indicazioni) v., con specifico riguardo alle
additive di principio, G. PARODI, La sentenza additiva a dispositivo generico, Giappichelli, Torino, 1996; G.P. DOLSO,
Le sentenze additive di principio: profili ricostruttivi e prospettive, in Giur. cost., 1999, p. 4111 ss.; C. SALAZAR, Dal
riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali. Orientamenti e tecniche decisorie della Corte costituzionale a
confronto, Giappichelli, Torino, 2000, spec. p. 137 ss. e, della stessa, “Guerra e pace” nel rapporto Corte-Parlamento:
riflessioni su pecche e virtù delle additive “di principio” quali decisioni atte a rimediare alle ”omissioni
incostituzionali” del legislatore, in AA.VV., Corte costituzionale e Parlamento, cit., p. 253 ss., nonché L.A.
MAZZAROLLI, Il giudice delle leggi tra predeterminazione costituzionale e creatività, Cedam, Padova, 2000, spec. p. 94
ss.
67
L’apparenza è data dal fatto che la dinamica del processo interpretativo comporta comunque un flusso di
materiali culturali da un piano all’altro di esperienza. Nel circolo ermeneutico non ha senso una prospettiva statica,
assumendo ingenuamente che ogni norma abbia un suo “posto”, che non possa mai abbandonare per prenderne un altro.
È l’idea stessa di norma, quale esito del processo interpretativo, che – come qui pure si è rilevato – è attraversato da un
moto perenne, che fa a pugni con la sua presunta, assiomaticamente enunciata, stabilità sistematica.
26
di principio, quest’ultimo essendo fatto pianamente scorrere dalla legge fondamentale alla legge
comune e saldato in quest’ultima.
Non importa qui rilevare talune non risolte aporie di costruzione che, nell’uno come
nell’altro caso, permangono insuperate. Volendosi semplificare, pur col costo di un’evidente
approssimazione, i termini della questione, si potrebbe dire che, laddove si ha un’additiva di regola,
la Corte forza l’interpretazione costituzionale, mentre con l’additiva di principio forza
l’interpretazione “ordinaria”: nel primo caso si porta la Costituzione ad innaturali applicazioni,
traendosene un succo che, probabilmente, non è in grado di dare; nell’altro, si innesta in seno alla
legge un elemento il più delle volte oggettivamente spurio. Un’eccezione potrebbe esser data da
quelle leggi che, nelle disposizioni circostanti a quella in cui trova alloggio il principio immesso
dalla Corte, esprimano altri princìpi; ma l’ipotesi è solo astrattamente fattibile, se si considera che lo
scopo dell’addizione è proprio quello di rendere maggiormente elastica una struttura nomologica
irrigidita dagli enunciati che sono in essa presenti e, allo stesso tempo, dalla carenza nella stessa
riscontrata. Da questo punto di vista, le additive parrebbero tendere ad uno scopo addirittura
opposto nei due casi qui considerati: l’additiva di regola mirando al fine di dare maggiore
concretezza (e, però, pure rigidità) al dettato legislativo; l’additiva di principio, di contro, di
renderlo maggiormente flessibile.
Ulteriori approfondimenti sul punto si rivelano qui non indispensabili. Una sola cosa, infatti,
ai nostri fini importa evidenziare; ed è che nessuna forma di manipolazione del dato legislativo è
pensabile se non, ordinariamente, assieme ad una manipolazione costituzionale (non importa se
precedente o successiva) e che entrambe si rivelano possibili nel presupposto della idoneità dei
materiali costituzionali e di quelli legislativi a disporsi gli uni accanto agli altri sullo stesso tavolo e
di farsi “impastare” dalle abili mani dell’artigiano costituzionale. In apparenza, così come s’è
veduto a riguardo dell’interpretazione conforme, l’unico oggetto di intervento rimane il dato
legislativo; sarebbe, d’altronde, ingenuo il solo immaginare che la Corte possa riconoscere di
manipolare anche il materiale costituzionale (ciò che la delegittimerebbe gravemente agli occhi del
suo uditorio). Ma che il parametro (e proprio perché tale) si faccia, in tali casi, anche oggetto è
innegabile. Di qui, quella sostanziale aspecificità dell’interpretazione costituzionale di cui si è
venuti dicendo trattando dell’interpretazione conforme e che, per ragioni non dissimili da quelle
sopra esposte, trova ora nuovamente, diffuso riscontro.
6. Ragionevolezza e bilanciamenti tra interessi costituzionalmente protetti, nel continuum
tra interpretazione costituzionale e interpretazione “ordinaria”
Altre esperienze, pure suscettibili di letture di vario segno, sembrano ulteriormente avallare
le indicazioni di tendenza risultanti dalle tecniche decisorie ora rapidamente descritte. Dove, però, si
ha la rappresentazione forse più emblematica delle manipolazioni compiute dalla giurisprudenza
costituzionale è con riguardo ai giudizi risolti assumendo a parametro il principio di eguaglianza ed
a quelli in cui la Corte dichiara di far luogo ad una ponderazione di beni costituzionalmente
protetti68.
68
Indicazioni al riguardo possono aversi, part., da L. PALADIN, Corte costituzionale e principio generale
d’eguaglianza: aprile 1979 – dicembre 1983, in Scritti Crisafulli, I, Cedam, Padova, 1985, p. 605 ss., spec. p. 627 ss. e,
quindi, da P. CARNEVALE-A. CELOTTO, Il parametro “eventuale”. Riflessioni su alcune ipotesi atipiche di integrazione
legislativa del parametro nei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi, Giappichelli, Torino, 1998, p. 97 ss.; A.
MOSCARINI, Principio costituzionale di eguaglianza e diritti fondamentali, in AA.VV., I diritti costituzionali, I, cit., p.
159 ss.; A. MORRONE, Il custode della ragionevolezza, cit., p. 37 ss. e, ora, AA.VV., Corte costituzionale e principio di
eguaglianza, Atti del convegno in ricordo di L. Paladin, Padova 2 aprile 2001, Cedam, Padova, 2002. Sui nessi tra
razionalità, ragionevolezza ed eguaglianza si sofferma, da ultimo, con opportuni rilievi, anche A. RAUTI, Sui princìpi di
progressività, proporzionalità e ragionevolezza: tre aspetti di una comune problematica costituzionale, in Dir. soc.,
3/2001, p. 355 ss.
27
La “catena” di norme che viene a costituirsi nei casi in cui si richiama l’art. 3 presenta una
complessità e varietà di elementi e di forme di collegamento interno la cui individuazione è, in
ultima istanza, rimessa ad apprezzamenti discrezionali della Corte. Il tertium costituisce una sorta di
ponte tra il piano costituzionale e quello legislativo, necessario alla comunicazione reciproca dei
materiali che su entrambi si dispongono; ma, esso rimanda circolarmente, senza sosta, sia all’uno
che all’altro piano per il suo stesso riconoscimento. Non solo la validità ma, prima ancora, il
significato della disposizione di legge oggetto del sindacato di costituzionalità richiedono di esser
apprezzati attraverso il riferimento, oltre che a materiali (normativi e non) circostanti, rilevanti
secondo sistema, specificamente al tertium. Quest’ultimo, peraltro, si fa, per la sua parte,
riconoscere proprio dagli elementi di somiglianza che contiene rispetto al dato normativo sub
iudice69; e tutti assieme, poi, si offrono per l’interpretazione costituzionale, così come da questa a
loro volta si alimentano. Una volta di più, insomma, si assiste ad un flusso di suggestioni culturali
che si svolgono nell’uno e nell’altro verso e che solo nella circolarità delle esperienze interpretative
ha il suo “luogo” di manifestazione e la sua dinamica percezione.
La ragionevolezza esprime, nel modo più emblematico, questo modo di essere
dell’interpretazione, nel suo tagliare trasversalmente i piani e le forme delle esperienze di
normazione e, allo stesso tempo, di ricondurli ad unità sistematica. La ragionevolezza – si è, ancora
di recente, fatto notare70 – è verifica dell’adeguatezza della norma legislativa più a ciò che la
Costituzione non dice che a ciò che dice: riesce ad andare oltre il puro raffronto tra gli enunciati ed
anzi assolve proprio alla peculiare funzione di operare comunque un raffronto tra i termini
normativi della questione, pur laddove faccia difetto un parametro costituzionale specifico (nel caso
che si denunzi, appunto, puramente e semplicemente, l’“irragionevolezza” di una norma di legge).
Da questo punto di vista, la ragionevolezza è davvero l’unico, vero fattore di chiusura
dell’ordinamento, coprendo lacune di costruzione ordinamentale che non sarebbero altrimenti
colmabili, riplasmando e rendendo duttili materiali normativi troppo rigidamente forgiati ovvero
integrandoli e variamente riconformandoli in modo adeguato ai casi e rispondente ai valori.
Indipendentemente dall’esistenza, come si sa assai discussa, di spazi costituzionalmente neutri di
esperienza giuridica, in relazione ai quali dunque non si darebbe in tesi un parametro costituzionale
al quale fare puntuale riferimento nei giudizi di costituzionalità, la chiusura del cerchio
costituzionale, la sua perfezione appunto, è costituita proprio dalla ragionevolezza, che dà modo in
ogni caso di esprimere un verdetto di validità/invalidità che altrimenti non potrebbe essere emesso.
Proprio qui si fa, dunque, particolarmente apprezzare la funzione della ragionevolezza di far da
ponte tra il piano costituzionale e quello sottostante, ponendosi quale fattore infungibile di
unificazione-integrazione dell’ordinamento.
Ancora da questo punto di vista si coglie in tutto il suo spessore il senso originalissimo delle
interpretazioni compiute dalla Corte costituzionale, ma non – si badi – delle interpretazioni
costituzionali (in senso lato). È innegabile, infatti, che l’interpretazione si colori diversamente a
seconda dei contesti in cui prende corpo e, soprattutto, dei soggetti che la pongono in essere; ed è
chiaro che le interpretazioni cui fa luogo la Corte, per la natura “mista” di operatore politico e
giurisdizionale che la connota, non hanno nulla a che spartire con le interpretazioni di altri
operatori71.
Qui, non si fa, tuttavia, questione di forme degli atti (in ispecie, delle pronunzie di
costituzionalità) ovvero di effetti degli atti stessi (siano, o no, normativi, secondo una fortemente
controversa loro qualificazione) ma di sostanza in essi racchiusa, per il modo con cui si perviene
69
Per i modi con cui il tertium è inteso in giurisprudenza, v., nuovamente, gli scritti citt. in nt. prec.
A. RUGGERI-A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale2, Giappichelli, Torino, 2001, p. 154 ss.,
spec. p. 168 ss., dove si rimarca il ruolo che l’intuizione gioca nei processi cognitivi e che ha proprio nella
ragionevolezza il suo veicolo maggiormente espressivo e conducente a finalità di qualificazione della validità di atti e
comportamenti di rilievo costituzionale.
71
Un esempio per tutti: la verifica della costituzionalità di un decreto-legge per rispetto dei presupposti fattuali
che ne giustificano l’adozione, qual è fatta nelle stesse aule parlamentari prima di passare al merito, non ha,
evidentemente, nulla a che spartire con quella che può esser rifatta dalla Corte, se a ciò chiamata.
70
28
alla sua determinazione. La ragionevolezza è una tecnica non esclusiva della Corte costituzionale,
proprio per quella sua capacità d’irradiarsi e diffondersi per l’intero ordinamento 72, di cui si è avuto
modo di dire poc’anzi; ma nelle mani della Corte (e, segnatamente, con riguardo alle sue
applicazioni ai giudizi sulle leggi) essa assume movenze originali e consente di pervenire ad esiti
ugualmente irripetibili. Per quanto la Corte sovente predichi l’omogeneità di funzione alla quale è
chiamata con quella che può essere assolta da altri (particolarmente, i giudici, così come si è visto
trattando dell’interpretazione conforme), l’irriducibilità ad unità delle posizioni dall’una e dagli altri
occupate in seno all’ordinamento mostra il carattere artificioso dell’accostamento73. Ma – è qui il
punto della questione ora discussa – la diversità dei soggetti è una cosa, la diversità delle
interpretazioni poste in essere da uno stesso soggetto un’altra. La prima non richiede alcuno sforzo
argomentativo a suo sostegno: la tipicità dei ruoli complessivi è uno degli elementi costitutivi del
sistema, di cui si compone ed arricchisce il sistema stesso, nelle dinamiche che senza sosta al suo
interno si generano e rinnovano. La seconda, invece, ha proprio nel moto circolare
dell’interpretazione il fattore di riconduzione ad unità interna. Questo stato di cose potrebbe essere
riassunto in una corta espressione così: diversa è l’interpretazione in senso soggettivo, uguale in
senso oggettivo.
I giudizi su basi di eguaglianza e quelli secondo ragionevolezza, per restare al terreno sul
quale allignano alcune delle più significative manifestazioni delle interpretazioni compiute dalla
Corte costituzionale, acquistano senso unicamente per il modo con cui l’interpretazione
costituzionale scivola e si converte in interpretazione della legge, così come questa si fa
costantemente e necessariamente riportare alla prima.
I “bilanciamenti” di ordine assiologico compiuti dalla Corte esprimono in modo
emblematico la continuità e la vera e propria compenetrazione tra i fatti interpretativi, di cui qui si
discorre. Ancora una volta, è fin troppo superfluo rilevare che i “bilanciamenti” fanno parte
dell’esperienza giuridica in genere, quale che sia il livello istituzionale in cui essa si manifesta e le
forme assunte, e non sono perciò tipici delle sole esperienze giudiziali. Bilanciamenti tra interessi li
fa, in primo luogo, il legislatore, incorporandoli negli enunciati da esso forgiati 74; ed ancora li fanno
72
… persino in ambiti rimessi all’autodeterminazione della politica, nei quali anzi se ne avverte con intensità
ancora maggiore il bisogno, sia pure in forme ovviamente assai diverse da quelle che essa assume in sede
giurisdizionale (ed in quella peculiarissima sede che è la Corte costituzionale). Della ragionevolezza che si richiede a
base della nascita delle “regolarità” della politica e, quindi, delle loro misurate applicazioni si discorre, ancora da
ultimo, nel mio Ragionevolezza e valori, attraverso il prisma della giustizia costituzionale, in Dir. soc., 4/2000, p. 567
ss.
73
L’interpretazione conforme, in realtà, checché se ne dica da parte della stessa giurisprudenza, stende un velo
su siffatte differenze, le copre abilmente alla vista: la dichiarazione per cui ciò che ha fatto la Corte avrebbe potuto esser
fatto dal giudice offusca e maschera la incontrovertibile realtà per cui la natura degli operatori qui messi a confronto è, e
rimane, ad ogni modo diversa.
74
Le crescenti difficoltà ad addivenire a misurate compensazioni tra gli interessi sono testimoniate dalla
spiccata attenzione che, ormai da anni, si presta in sede di istruttoria legislativa ai “fatti” bisognosi di regolazione, per
quanto le iniziative al riguardo adottate (e delle quali si ha traccia, tra l’altro, nei regolamenti camerali, in circolari, ecc.)
non abbiano fin qui dato i risultati sperati (su ciò, tra i molti altri, M.P.C. TRIPALDI, Le strutture preposte alla
valutazione della qualità degli atti normativi nelle recenti novità legislative e regolamentari, in AA.VV., Osservatorio
sulle fonti 2000, a cura di U. De Siervo, Giappichelli, Torino, 2001, p. 131 ss.; R. DICKMANN, L’istruttoria legislativa
nelle Commissioni. Profili formali e garanzie sostanziali per un giusto procedimento legislativo, in Rass. parl., 1/2000,
p. 239 ss. e, pure ivi, N. LUPO, La verifica parlamentare della relazione tenico-finanziaria come modello per
l’istruttoria legislativa, 2/2001, p. 347 ss.; U. ZAMPETTI, Il procedimento legislativo, in Annuario 2000. Il Parlamento,
a cura dell’A.I.C., Cedam, Padova, 2001, p. 131 ss. Ulteriori indicazioni possono, infine, aversi da D. SICLARI, L’analisi
di impatto della regolamentazione (Air) nel diritto pubblico: premesse introduttive, in Foro it., 3/2002, V, c. 45 ss.). È
interessante, ad ogni modo, notare che il rilievo assunto dai “fatti” stessi (e volto a conferire una inusitata “concretezza”
ai processi di produzione giuridica) rende una significativa testimonianza della “fluidità” ormai assunta dalle pubbliche
funzioni, nella varietà delle forme della loro implementazione, davanti alla quale sono obbligati a recedere taluni
risalenti schemi qualificatori, ormai inadeguati a flettersi ed a rappresentare compiutamente una realtà ordinamentale
che non conosce più al proprio interno antiche, rigide barriere tra l’una e l’altra specie di funzione. Pur con una certa
forzatura (ma con una buona approssimazione al vero) può, infatti, dirsi che, allo stesso tempo in cui la giustizia
costituzionale si normativizza (specie in alcune tra le sue più vistose manifestazioni), la funzione legislativa si
29
i pratici, giudici o amministratori che siano, e – sia pure molte volte inconsapevolmente – li fa
ciascuno di noi, col fatto stesso di determinarsi in un certo modo anziché un altro. I bilanciamenti
della Corte sono, però, una cosa a sé, che non ha eguali né simili in seno all’ordinamento, per
tecniche utilizzate così come, conseguentemente, per esiti. Una volta di più, poi, è da riconoscere
nei bilanciamenti un potente fattore di integrazione delle interpretazioni (costituzionale ed
“ordinaria”) e, ad un tempo, lo specchio più fedele della loro sostanziale omogeneità. Ne dà
conferma il ruolo, davvero formidabile, che è giocato dai “fatti” in sede di ricostruzione dei
significati tanto dei parametri costituzionali quanto degli atti oggetto di giudizio e che ha proprio
nei bilanciamenti l’espressione maggiormente evidente75.
Gli interessi in campo evocano le norme ed, anzi, le determinano o, meglio, concorrono alla
loro determinazione: in questo senso, la loro considerazione costituisce parte centrale dei processi e
delle esperienze d’interpretazione76. La combinazione degli interessi stessi, vale a dire l’ordinazione
gerarchica che essi ricevono in ragione dei casi, ha pur sempre nelle norme il costante, obbligatorio
punto di riferimento e, dunque, si risolve e dissolve, a conti fatti, nella ordinazione delle norme
stesse e, perciò, nuovamente, nella loro interpretazione. I bilanciamenti, da questo punto di vista,
possono essere in modo praticamente indifferente definiti come tra “norme” o tra “interessi” o,
secondo un’altra prospettazione ancora, tra valori77. Malgrado gli sforzi fatti da numerosa dottrina,
da diverse angolazioni prospettiche e con esiti ricostruttivi ugualmente diversi, per tenere distinta
l’una dall’altra forma di bilanciamento, affermandosi che l’unico modo giusto per descrivere
l’esperienza in parola è quello di ricorrere ora a questa ed ora a quella etichetta, la loro fungibilità è
nelle cose: per la elementare ragione che i soli interessi rilevanti per la pratica giuridica sono quelli
che fanno capo a norme, così come la giustificazione delle norme è nella loro adeguatezza agli
interessi e, quindi, nella idoneità a darne una soddisfacente rappresentazione, secondo
ragionevolezza appunto. Perciò, come si è venuti dicendo, la combinazione degli interessi è, nelle
cose, un modo diverso di descrivere una composizione di norme, e – naturalmente – viceversa.
I bilanciamenti, d’altro canto, non sarebbero neppure pensabili al di fuori del circolo che
unisce l’interpretazione costituzionale all’interpretazione “ordinaria”. Bilanciare interessi
esclusivamente per il modo con cui essi sono costituzionalmente protetti non avrebbe alcun senso;
piuttosto, l’acquista proprio sulla base delle sollecitazioni espresse dai casi e per il modo con cui i
casi stessi sono riguardati dalle norme di volta in volta sottoposte al giudizio della Corte. Gli
interessi costituzionali, come si vede, si compongono e ricompongono dinamicamente in sistema
sulla base delle esigenze del caso e delle indicazioni offerte dalle norme. Ma queste ultime, a loro
volta, resterebbero prive di senso al di fuori del loro costante, necessario riporto alla Costituzione ed
ai suoi valori. La messa a punto, per un caso dato e in attesa di ulteriori verifiche e definizioni in
giurisdizionalizza o amministrativizza, in ragione appunto del modo con cui la ponderazione degli interessi prende
corpo in occasione del suo esercizio. L’analisi dell’impatto della regolazione o altre strumentazioni ancora predisposte
al fine di immettere i “fatti” nel procedimento legislativo e di darvi un’ottimale o, comunque, soddisfacente
considerazione, costituiscono spie altamente significative di siffatta, crescente tendenza ad una qualche relativizzazione
dei ruoli. Ad ogni buon conto, la commistione delle funzioni non può mai essere, ovviamente, piena, com’è tra l’altro
provato dal fatto che, per un verso, alle pronunzie della Corte (pure a quelle maggiormente espressive di “normatività”)
è spesso chiamato a dar seguito il legislatore e che, per un altro verso, i bilanciamenti raggiunti in sede di confezione
degli enunciati normativi soggiacciono pur sempre a quelle verifiche ed a quelle messe a punto che solo davanti al
giudice delle leggi possono appropriatamente aver luogo.
75
Sul ruolo dei “fatti” nei giudizi di costituzionalità, nella varietà dei modi del loro giuridico rilievo,
riassuntivamente e per tutti, A. RUGGERI-A. SPADARO, Lineamenti, cit., p. 103 ss.
76
Un diverso avviso è manifestato da quanti (come R. BIN, Diritti e argomenti, cit.; O. CHESSA, Bilanciamento
ben temperato o sindacato esterno di ragionevolezza? Note sui diritti inviolabili come parametro del giudizio di
costituzionalità, in Giur. cost., 1998, p. 3930, ed altri ancora: ampia trattazione sul punto ora in G. SCACCIA, Gli
“strumenti” della ragionevolezza, cit., e A. MORRONE, Il custode della ragionevolezza, cit., spec. p. 275 ss.) ritengono
di poter distinguere i fatti d’interpretazione dai fatti di bilanciamento, assumendone appunto la reciproca irriducibilità
teorico-pratica. Ma v., in avverso, oltre a quanto se ne dice nel mio Ragionevolezza e valori, cit., p. 599 ss., i rilievi che
subito seguono nel testo.
77
Ma v., ora, le notazioni critiche in argomento svolte da O. CHESSA, Principi, valori e interessi nel
ragionevole bilanciamento dei diritti, in AA.VV., La ragionevolezza nel diritto, cit.
30
altri casi, di “ordini” assiologicamente significativi si perfeziona, dunque, nel circolo di processi
interpretativi che solo artificialmente possono essere al proprio interno separati in fasi o per oggetti
ma che, nella realtà, presentano un’unica, complessa natura ed un unico, simultaneo orientamento
verso il “polo” costituzionale e verso il “polo” legislativo, tra i quali incessantemente oscillano e
pur nella varietà dei loro esiti sulla base delle mobili combinazioni dei materiali (normativi e non)
che li compongono.
7. Esperienze di normazione ed interpretazione (in ispecie, la disposizione in serie degli atti
di normazione, la complessità e varietà degli elementi costitutivi dei processi produttivi e
l’incidenza che se ne ha sulle pratiche interpretative)
Al di là, poi, delle indicazioni, pure di non secondario rilievo, offerte dalle esperienze della
giustizia costituzionale sopra richiamate o anche da altre, alle quali non si è ora fatto riferimento per
brevità, l’osservazione delle più salienti vicende della normazione del tempo presente, riviste nel
loro complesso e nelle più marcate linee di tendenza da esse tracciate, dà modo di acquisire
ulteriori, importanti conferme a sostegno della tesi qui prospettata.
Le vicende in parola si presentano in forme assai varie ed articolate, esprimendo peraltro una
irresistibile vocazione a rifuggire da gabbie teoriche precostituite e dal farsi riportare a schemi
antichi e collaudati, pur con gli opportuni loro adattamenti.
Di tutto ciò, ovviamente, non è questo il luogo per tentare sintesi unificanti che si
esporrebbero facilmente alla critica dell’approssimazione e della inevitabile torsione da esse operata
di materiali inidonei ad essere etichettati in un modo o nell’altro.
Fermerò, dunque, l’attenzione unicamente sui tratti a mia opinione maggiormente
rappresentativi di alcune dinamiche che, già da tempo affermatesi in seno all’ordinamento,
sembrano tuttavia avere ora assunto inusitate proporzioni ed un’attitudine a segnare fortemente i
meccanismi di composizione interna dell’ordinamento stesso, dandone la più espressiva
caratterizzazione.
Due sembrano essere i tratti in parola, peraltro – come ora si vedrà – reciprocamente
intrecciati in modo fitto ed idonei a condizionarsi l’un l’altro al punto da rendersi praticamente
indistinguibili, se non a finalità meramente descrittiva.
Per l’un verso, rileva il carattere sempre più composito dei materiali costitutivi dei processi
di normazione, che si dispongono in modo seriale ovvero si combinano variamente tra di loro,
dando vita a “catene” normative di varia lunghezza e dimensione.
Per l’altro verso, rileva l’accentuata accelerazione assunta dalla produzione di norme, che –
in deroga a quello che ab antiquo è considerato un attributo tipico delle norme stesse, legato alla
loro “regolarità”, vale a dire la tendenziale stabilità e la ripetibilità temporale78 – mostra piuttosto
l’evidente difficoltà delle norme a radicarsi nell’ordinamento e, dunque, a dare, pur entro taluni
limiti loro propri, prevedibilità e certezza operativa.
Il primo punto, particolarmente, è quello ancora oggi assai poco indagato. Di solito, infatti,
si tende a tenere distinte le pubbliche funzioni ed a farne oggetto, nelle loro manifestazioni tipiche
(atti legislativi, amministrativi, ecc.), di separata attenzione, da parte appunto di cultori di diversa
estrazione e competenza (costituzionalisti, amministrativisti, e via dicendo). Questo modo usuale di
lavorare, tuttavia, incontra oggi difficoltà notevoli ad essere ulteriormente riprodotto e portato a
proficue acquisizioni scientifiche.
78
… nella quale, come si sa, secondo una magistrale lezione, si risolveva l’astrattezza delle norme stesse [v.,
su tutti, V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, 1, L’ordinamento costituzionale italiano (Le fonti
normative)6, a cura di F. Crisafulli, Cedam, Padova, 1993, p. 24 ss., nonché, più di recente, G.U. RESCIGNO, L’atto
normativo, Il Mulino, Bologna, 1998, spec. pp. 13 ss. e 30].
31
Non voglio, ora, rinnovare l’ennesimo, antico appello alla interdisciplinarietà 79; intendo dire
una cosa diversa: che non possiamo seguitare a guardare ai singoli atti come se fossero monadi
distinte ed autosufficienti, ciascuno appunto producendo un effetto suo proprio e soggiacendo ad un
regime ugualmente tipico, per il versante dei controlli o per altri aspetti ancora.
Una prospettiva meramente formale-astratta di osservazione delle dinamiche produttive, per
ciò che qui specificamente interessa, parrebbe avvalorare siffatto consolidato orientamento teoricodogmatico; ma essa – se ci si fa caso – non consente di andare oltre la “crosta” del fenomeno
indagato: non superando la barriera della forma ed a quest’ultima restando interamente attaccata,
finisce col dar vita a ricostruzioni palesemente insufficienti ed, anzi, deformanti, che non danno
neppure un’idea approssimativa della sostanza sottostante. Immettendosi, invece, all’interno della
struttura degli atti e, soprattutto, osservando le forme, assai varie, di collegamento che si
intrattengono tra gli atti che compongono uno stesso processo produttivo, ci si avvede della varietà
e complessità degli elementi di cui essi sono costituiti. Sempre più di frequente, infatti, ad un primo
atto legislativo (oggi, assai spesso, una legge di delega o di delegificazione) succedono ulteriori atti,
in parte normativi (decreti delegati, regolamenti) ed in parte formalmente amministrativi (piani,
programmi, ecc.), che si incorporano in un stesso processo e che, pur rimanendo formalmente
distinti, sono nondimeno indispensabili per il conseguimento dello scopo80. Non di rado, poi, il
processo produttivo si impianta ad un livello istituzionale (ad es., quello statale) e si trasmette e
prolunga quindi in sede decentrata, richiedendosi alle autonomie territoriali (Regioni, Comuni, ecc.)
ovvero anche ad autonomie non territoriali (Università, Camere di commercio, ecc.) e, persino, ai
privati, in applicazione del modulo della sussidiarietà “orizzontale”81, una “collaborazione” senza la
quale lo scopo stesso non sarebbe appunto centrato.
Ora, proprio qui è il punto: che, volendo, si potrà anche seguitare a discorrere di atti
individui, ciascuno dotato di una sua propria complessiva caratterizzazione, ma con l’avvertenza
che l’effetto giuridico, nella sua unitaria connotazione, in realtà si distribuisce dinamicamente tra
gli atti stessi, con apporti di varia intensità a seconda del modo con cui ciascuno di essi si immette
nel ciclo produttivo82. Se, ad es., per far ora solo un cenno a cose molto note, ci si chiedesse in che
misura una nuova disciplina di una data materia si debba ad un regolamento “delegato” ovvero alla
legge di delegificazione, sarebbe inevitabile guardare alla struttura ed ai contenuti dei singoli atti,
per come in un’esperienza di normazione data, si presentano83. La finzione giuridica per la quale
l’effetto abrogativo viene interamente fatto risalire alla legge “delegante” potrà, tutt’al più,
prevenire la violazione, che altrimenti per la dottrina e la giurisprudenza corrente si avrebbe in
79
Un interessante confronto di posizioni si è, ancora non molto tempo addietro, avuto per iniziativa della Riv.
dir. cost., 1999 (fasc. che, nella sua rubrica dei Saggi, è stato appunto dedicato al tema I rapporti tra il diritto
costituzionale e le altre discipline giuridiche, cui si è già fatto riferimento in nt. 1).
80
Siffatte esperienze sono ora fatte oggetto di osservazione nel mio Governo e sistema delle fonti, in corso di
stampa in Dir. soc., ora anche in “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti, V., cit., p. 569 ss.
81
… sul quale, da ultimo e per tutti, A. POGGI, Le autonomie funzionali “tra” sussidiarietà verticale e
sussidiarietà orizzontale, Giuffrè, Milano, 2001.
82
Maggiori ragguagli al riguardo possono ora aversi dal mio Esperienze di normazione ed esperienze di
giustizia costituzionale a confronto, cit.
83
Su queste esperienze, ancora di recente fatte oggetto di attenzione da parte di numerosa dottrina, v., tra gli
altri, E. MALFATTI, Rapporti tra deleghe legislative e delegificazioni, Giappichelli, Torino, 1999; C. DE FIORES,
Trasformazioni della delega legislativa e crisi delle categorie normative, Cedam, Padova, 2001; S. NICCOLAI,
Delegificazione e principio di competenza, Cedam, Padova, 2001, in aggiunta ai contributi di AA.VV., I rapporti tra
Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto. La prospettiva della giurisprudenza costituzionale, a cura di V.
Cocozza e S. Staiano, Giappichelli, Torino, 2001. Ivi, con specifico riguardo all’effetto della delegificazione, nel mio
“Fluidità” dei rapporti tra le fonti e duttilità degli schemi d’inquadramento sistematico (a proposito della
delegificazione), 777 ss., se ne discorre appunto in termini della sua distribuzione tra la legge “autorizzatrice” ed il
regolamento delegato, secondo apporti variabili a seconda della struttura nomologica dei singoli atti e della loro
complessiva estensione. Come si viene ora dicendo nel testo, peraltro, questa soluzione sembra, da un certo punto di
vista, generalizzabile, valendo a connotare le relazioni tra atti funzionalmente collegati e componenti uno stesso
processo produttivo, indipendentemente dal fatto che l’effetto sia in deroga a norme di legge, secondo quanto
tipicamente si ha nei casi di delegificazione, oppure no.
32
modo irreparabile, nei riguardi del principio della gerarchia delle fonti; nella realtà, però, è la legge,
l’atto iniziale del processo produttivo, che, a seconda del potenziale normativo concretamente
espresso (e, come sempre, in ultima istanza riconoscibile solo in sede d’interpretazione), si espande
ovvero ritrae a fisarmonica, concorrendo a far ritrarre ovvero espandere l’atto governativo (con un
rapporto che, come si vede, è, in buona sostanza, di inversione proporzionale). Ma, poi, il vero è che
quest’ultimo, a sua volta, non di rado rimanda ad atti ancora diversi che a cascata si immettono e
discendono lungo lo stesso percorso, inizialmente tracciato dalla legge, alle volte aggiungendovi
“segmenti” che lo prolungano in un modo che la legge stessa non aveva affatto previsto, in quanto
precostituiti (peraltro, assai sommariamente) dal solo atto del Governo84.
Così stando le cose, è evidente che la percezione del senso complessivo posseduto da
ciascun processo produttivo può esser colto non fermandosi alla osservazione “separata” degli atti
che lo compongono (soprattutto da parte di osservatori che di regola comunicano scarsamente tra di
loro o, addirittura, non comunicano affatto) ma rivedendolo nella sintesi espressiva che esso
acquista per il modo con cui ciascun elemento della serie concorre alla produzione dell’effetto, allo
stesso tempo “integrandosi” con gli altri e concorrendo alla loro stessa compiuta significazione.
Qui, si ha la prova forse maggiormente significativa di quanto sia sterile (ed anzi insensato)
distinguere un’interpretazione della Costituzione da un’interpretazione della legge e quest’ultima da
un’interpretazione dell’atto amministrativo o del contratto o di altre manifestazioni ancora di cui si
compongono le pratiche giuridiche, quanto meno con riferimento a quelle pratiche che si
dispongono appunto in modo seriale, dando vita a processi produttivi essenzialmente unitari, ove si
convenga a riguardo del fatto che ciascun atto prende luce dagli altri e può esser pertanto visto nella
giusta dimensione unicamente in rapporto a quelli restanti, ai quali è variamente, funzionalmente
legato.
La percezione di siffatte interconnessioni, proprio in quanto attinente alla dinamica della
normazione, sembra precedere lo studio delle ulteriori connessioni, di tipo sistematico, che si
intrattengono tra gli atti appartenenti alla stessa specie, una volta adottati ed immessisi al piano
ordinamentale che è loro proprio. Il punto, invero, meriterebbe forse di essere ancora meglio
discusso e sottoposto a verifiche ad esso specificamente mirate, con indagini sul campo. Non è
neppure da escludere, per un aprioristico orientamento, che l’interpretazione di un testo di legge,
alla luce del sistema della legislazione in cui esso si immette, preceda e condizioni, nel vivo
dell’esperienza, l’interpretazione di atti regolamentari o di atti ancora diversi, posti in essere sotto la
spinta della legge data. Tenendosi però fermo l’esito ricostruttivo al quale si è sopra pervenuti,
secondo cui l’effetto giuridico non si appunta esclusivamente sui singoli atti ma si distribuisce, in
varia misura, tra di essi laddove si riscontri una saldatura strutturale e funzionale tra gli elementi di
uno stesso processo produttivo, se ne ha che l’interpretazione sistematica dovrebbe intrattenersi essa
pure non già tra atti ma tra processi, ad un’interpretazione per dir così “interna” ai processi stessi
(volta a percepire le interconnessioni tra i singoli elementi che li compongono) dovendo pertanto
affiancarsi e succedere un’interpretazione “esterna” (ancorché, ovviamente, pur sempre interna
all’ordinamento di appartenenza), che abbia cioè riguardo al modo con cui ciascun atto si pone in
rapporto agli atti congeneri (una legge, ad es., rispetto alle leggi con le quali fa “sistema”).
La prospettiva statica dell’interpretazione, che attiene ai materiali normativi ormai bell’e
fatti, non consente di cogliere – come qui si è tentato di mostrare – le molteplici, fitte implicazioni
che, dinamicamente appunto, si intrattengono, in primo luogo, all’interno di uno stesso processo
produttivo e, quindi, tra processi diversi. Ma, poi il vero è che la rilevata precedenza logica dell’una
84
La tendenza è, anzi, proprio in questo progressivo spostamento del baricentro a valle, a conferma di quella
“concretizzazione” dei processi di produzione giuridica di cui si diceva poc’anzi, trattando della “diluizione” crescente
delle pubbliche funzioni, della relativizzazione delle loro distinzioni e, insomma, della loro complessiva, reciproca
compenetrazione nell’esperienza. Di qui, poi, lo smarrimento della tipicità delle interpretazioni che assumano ad
oggetto specifiche manifestazioni delle funzioni stesse e, dunque, il riscontro della sostanziale indistinzione delle
interpretazioni che confluiscono in uno stesso processo produttivo di norme, secondo quanto si passa subito a dire nel
testo.
33
rispetto all’altra forma o specie d’interpretazione si smarrisce all’interno del circolo ermeneutico,
dal momento che la stessa considerazione sistematica, che prende corpo attraverso quella che qui si
è chiamata l’interpretazione “esterna” (ad es., di una legge in rapporto con le leggi a contorno), si
riflette, in ragione della totalità dell’esperienza giuridica, sulla stessa interpretazione “interna”, ha
insomma un suo (pur vario, a seconda delle circostanze e delle singole vicende della normazione)
“ritorno” nei riguardi dell’interpretazione sistematica interna ai singoli processi produttivi. L’una
interpretazione è, a conti fatti, parte integrante dell’altra e, col suo stesso prender forma, concorre
alla conformazione ed alla ricarica dell’altra.
8. (Segue): L’accelerazione interna ai processi produttivi, l’instabilità delle norme di cui
essi si compongono e i riflessi che se ne hanno sul piano dell’interpretazione
Vi è, poi, unitamente a ciò, da tener presente l’altro aspetto sopra segnalato. I processi
produttivi non si compongono solo di una varietà di elementi (eterogenei per specie ed estrazione
seppur destinati, ad ogni modo, ad intrecciarsi tra di loro) ma sono altresì attraversati da un inusitato
dinamismo interno, che porta al loro continuo ricambio sotto la spinta di interessi pressanti, a loro
volta idonei a combinarsi secondo scale di priorità assiologiche continuamente cangianti.
Non importa qui indagare sulle cause di ordine politico-istituzionale che stanno a base di
quest’esito e che sostanzialmente lo determinano, un esito fattosi sempre più vistoso col tempo e
foriero di guasti assai gravi, forse davvero irreparabili, se si conviene a riguardo del fatto che, a
causa di siffatto modo di essere della normazione, si determinano squilibri istituzionali evidenti in
seno alla forma di governo e – ciò che più importa – all’interno della stessa forma di Stato. Ho già
fatto notare in altri luoghi di riflessione scientifica85 che ad un’accentuata stabilità della normazione
(i motori che la producono rimangono infatti sempre accesi) fa da contrappeso un’altrettanto
accentuata instabilità delle norme che compongono i singoli processi produttivi, soggette a continuo
rifacimento86; e questo si riflette immediatamente a carico delle situazioni soggettive, messe in una
condizione di sostanziale indeterminazione circa la loro complessiva fisionomia ed il loro assetto,
con grave incisione, a mia opinione, dell’art. 2 cost.
Uno dei piani al quale maggiormente il fenomeno si fa rilevare, con riguardo alle fonti di
primo grado, è quello del processo costituzionale, che sempre più di frequente è obbligato ad
interrompersi o, addirittura, a fermarsi sul nascere a causa dell’accavallarsi confuso di nuove norme
incidenti sulla materia oggetto della disciplina impugnata. Davanti allo ius superveniens la Corte si
arrende e fa tornare indietro la questione. Potrebbe per la verità discutersi circa la piena coerenza di
siffatto orientamento giurisprudenziale, che si avvale di una tecnica di forte selezione dei casi,
rispetto ad altri orientamenti, dalla Corte posti a base della qualificazione della identità della
questione, che invece si avvalgono di criteri di riconoscimento aventi natura sostanziale (o, diciamo
meglio, almeno in parte sostanziale87), criteri che, se qui pure riproposti, potrebbero piuttosto
portare a trattenere presso la Corte stessa quelle questioni che si considerino sostanzialmente
… part., ne I paradossi delle esperienze di normazione, attraverso i rapporti tra Parlamento e Governo sul
piano delle fonti (e dal punto di vista della forma di Stato e della teoria della Costituzione), in Riv. dir. cost., 2000, p.
109 ss.
86
Uno degli esempi più di frequente al riguardo addotti è dato dai decreti legislativi integrativi e correttivi, a
riguardo dei quali v., tra i molti altri, N. LUPO, Deleghe e decreti legislativi ‘correttivi’: esperienze, problemi,
prospettive, Giuffrè, Milano, 1996 e M. CARTABIA, L’effettività come presupposto e vittima dei decreti legislativi
“integrativi e correttivi”, in AA.VV., L’effettività tra sistema delle fonti e controlli. Alcuni casi emblematici, a cura di
A. Bardusco e F. Pizzetti, Giuffrè, Milano, 1998, p. 73 ss., e, della stessa, I decreti legislativi integrativi e correttivi:
virtù di Governo e vizi di costituzionalità?, in AA.VV., I rapporti tra Parlamento e Governo, cit., p. 65 ss.
87
Si pensi, per fare solo un esempio, alla complessa, tortuosa giurisprudenza a suo tempo elaborata con
riguardo alla prassi dei rinvii plurimi sulle delibere legislative regionali (in merito alla quale, da ultimo e per tutti, P.
NICOSIA, Il procedimento di controllo delle leggi regionali tra vecchia e nuova normativa costituzionale, in corso di
stampa in Riv. giur. scuola, e lett. ivi) cui ha finalmente posto fine la riforma del titolo V posta in essere con legge cost.
n. 3 del 2001.
85
34
immutate, malgrado l’innovazione legislativa (nel presupposto, appunto, del carattere meramente
formale di quest’ultima).
Mettendo, nondimeno, da canto ogni approfondimento sul punto, per il quale deve
rimandarsi a studi ad esso specificamente mirati88, quel che importa notare è che il rinnovamento
incessante della normazione porta ad una sostanziale denegazione della giustizia costituzionale, con
evidenti riflessi sull’interpretazione e sull’applicazione della Costituzione, sul suo primato
insomma: sulla prima, dal momento che l’instabilità della normazione subcostituzionale ha la sua
immediata proiezione a raggiera, sia verso il basso (gli atti sottostanti) che verso l’alto (a carico
appunto della Costituzione, che richiederebbe invece una maggiore stabilità delle fonti ad essa
subordinate per potersi dalle stesse adeguatamente alimentare e su di esse complessivamente
poggiare89); sulla seconda, per il fatto che la Costituzione è privata della possibilità di esprimere,
specie attraverso la giurisprudenza costituzionale, tutta quanta la forza qualificatoria di cui è dotata,
riversandola sull’esperienza di normazione sottostante laddove quest’ultima è appunto soggetta a
continuo rifacimento90. Il terreno sul quale può essere eretto un edificio normativo stabile deve
presentare, a sua volta, solidità, non già mostrare i caratteri propri delle sabbie mobili, che non
sorreggono bensì assorbono quanti hanno la mala sorte di cadervi.
Non dico ora che il legislatore rinnovi sempre, a bella posta, i propri prodotti col precipuo
intento di sfuggire alla presa dei controllori (ed in primo luogo della Corte); ma, di certo questo è un
effetto immediato e diretto dello stato di cose che si è appena sommariamente descritto.
Ora, la destrutturazione/ristrutturazione interna ai processi produttivi, l’accavallamento
caotico ed improvvisato dei processi stessi, costituisce un fattore formidabile di omogeneizzazione
e di appiattimento culturale e, dunque, di sostanziale riconduzione ad unità dei fatti
d’interpretazione. Malgrado l’eterogeneità dei materiali sui quali l’interpretazione stessa si piega e
svolge (ed anzi, alle volte, proprio grazie a siffatta eterogeneità), il mescolamento continuo che tra
di essi si realizza, nella varietà delle forme in concreto assunte, rende praticamente assai
problematico il conseguimento ed il mantenimento di una connotazione tipica delle singole specie
d’interpretazione.
Quali riflessi potrà avere un siffatto, complessivo modo di essere e di divenire della
normazione del tempo presente sulla Costituzione e sulla teoria dell’interpretazione costituzionale
non è qui possibile stabilire compiutamente: non solo per i limiti evidenti di spazio e di competenza
ai quali va incontro chi scrive ma anche per la ragione che praticamente solo da oggi questi
fenomeni hanno iniziato ad essere studiati e se ne attendono, perciò, ulteriori, probanti
testimonianze e conferme. Ma, se – come suol dirsi – il buon giorno si vede dal mattino, qui
verrebbe da dire che il tempo non promette davvero nulla di buono: la tendenza che, infatti, va
sempre di più diffondendosi nella cultura politico-istituzionale del nostro Paese, superando – ahimè
– ogni distinzione di colore politico (e, proprio per ciò, è dunque assai pericolosa), è nel senso di far
contagiare anche il piano costituzionale del virus dell’occasionalismo e del congiunturalismo,
88
Su ciò, ora, dopo P. BIANCHI, La creazione giurisprudenziale delle tecniche di selezione dei casi, cit., p. 225
ss., A. MORELLI, Lo ius superveniens come tecnica di selezione delle questioni di legittimità costituzionale, in AA.VV.,
Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, cit.
89
Nel mio scritto per ultimo richiamato, 139 ss., nella considerazione delle mutue implicazioni che si
intrattengono tra l’interpretazione costituzionale e l’interpretazione “ordinaria”, si fa notare come un eccesso di
normazione subcostituzionale finisca col convertirsi in una sostanziale denormazione costituzionale, proprio per la
mancanza di alimento alla quale la legge fondamentale si trova costretta dall’incessante, caotico avvicendamento delle
leggi nel tempo.
90
Vi è, dunque, una “tecnica” assai più raffinata (o, diciamo meglio, subdola e praticamente imparabile)
rispetto alle più o meno scoperte violazioni della Costituzione, di cui dispone il legislatore che si voglia sottrarre a
controllo frodando impunemente la Costituzione: quella di modificare di continuo i propri prodotti, sottraendoli dunque
alla “presa” del garante della legalità costituzionale. Come si è venuti dicendo, ho la sensazione che, prima o poi, la
Corte prenderà consapevolezza della necessità di dover ricorrere, anche con riferimento a siffatte esperienze di cruciale
rilievo per le sorti della rigidità e che attraversano praticamente l’intero ordinamento, ad una tecnica difensiva fondata
su un criterio (latamente) sostanziale, trattenendo dunque presso di sé le questioni considerate sostanzialmente immutate
malgrado lo ius superveniens.
35
secondo quanto si è, peraltro, avuto modo di far osservare poc’anzi. È chiaro che se quest’idea
dovesse ulteriormente prendere piede, portando a continui rifacimenti del tessuto normativo (sia
“ordinario” che, addirittura, costituzionale), per di più a mezzo di tecniche di drafting largamente
carenti ed insoddisfacenti, distinguere tra le esperienze della normazione costituzionale e le
esperienze della normazione sottostante si rivelerebbe artificioso, praticamente impossibile, e con
esso, dunque, ugualmente forzoso distinguere tra le relative interpretazioni.
Questo scenario non si è, per fortuna, ancora nitidamente concretato, pur portando con sé e
riflettendo tutte quante le tensioni e contraddizioni che attraversano e connotano il sistema politico,
nella sua travagliata ricerca di una sua complessiva identità e stabilità fin qui non raggiunte. Ma,
nessuno può dubitare del fatto che, a seconda del modo con cui gli sviluppi di là da venire delle
vicende della normazione (specie, per come potranno riflettersi nella giustizia costituzionale)
prenderanno corpo, ai varî livelli in cui esse si manifestano e svolgono, dipenderà il mantenimento
del senso, per come abbiamo imparato a conoscerlo e l’abbiamo fin qui rappresentato, della
Costituzione e dell’interpretazione costituzionale.
36