Bachelor of Arts in Conservazione Tesi di Bachelor 2013 Lara Boselli Bachelor of Arts in Conservazione Tesi di Bachelor 2013 I colori della Petite Maison: studio della policromia interna di Villa “Le Lac” a Corseaux Relatrici: Francesca Piqué, Giacinta Jean (Correlatrice) 1. Villa Le Lac, Salle. Analisi XRF. L'interesse verso l'arte e l'architettura passa anche attraverso la conoscenza delle tecniche e dei materiali. Lo studio conoscitivo sulle policromie interne di Villa Le Lac, edificio progettato da Le Corbusier nel 1924, ha consentito di ampliare le conoscenze sull'edificio e sul modus operandi dell'architetto. I risultati ottenuti consentiranno, inoltre, di indirizzare il programma di conservazione e restauro in corso Abstract Nel quadro di un imminente restauro volto alla riapertura dell’edificio, è stata condotta un’indagine conoscitiva sulle policromie interne di Villa Le Lac, edificio progettato da Le Corbusier nel 1924 per i suoi genitori a Corseaux, sulle rive del lago di Ginevra. L’indagine aveva come scopo l’individuazione delle le fasi cromatiche e la caratterizzazione degli strati che le compongono, lo studio dei materiali di finitura delle superfici e la valutazione delle variazioni nell’assetto cromatico. Queste informazioni, oltre ad ampliare le conoscenze sull’edificio, forniranno indicazioni utili a indirizzare il restauro e a formulare delle proposte d’intervento. Oggetto del presente lavoro sono le policromie interne, soprattutto di pareti e arredi, su supporto cementizio (solo in due casi sono stati considerati materiali diversi quali legno e metallo). La campagna analitica è stata condotta con metodologie non invasive applicate in situ a partire dallo studio eseguito dal conservatorerestauratore Eric Favre-Bulle su finestre stratigrafiche da lui realizzate. I singoli strati esposti sono stati ispezionati con luce visibile -incidente e radente- e lampada UV per evidenziare la fluorescenza dei materiali, quindi documentati con microscopio portatile in luce visibile. Inoltre sono state effettuate acquisizioni con spettroscopia in fluorescenza a raggi X (XRF) per determinare gli elementi caratterizzanti i materiali in opera. Sulla base dello studio non invasivo, sono stati eseguiti dei campionamenti per la caratterizzazione delle stratigrafie e dei materiali mediante osservazione al microscopio ottico delle sezioni lucide e analisi in spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FT-IR). L’indagine condotta rappresenta un’utile base per un approfondimento analitico: dai risultati ottenuti è stato possibile ricostruire la sequenza delle fasi e formulare delle ipotesi sui materiali presenti nei singoli strati. www.supsi.ch Nello studio della policromia interna è stata riscontrata la volontà di preservare nel corso del tempo le cromie originali, adottando però materiali e tecniche diverse, quali carte da parati. Se le ultime tinteggiature sono ottenute con prodotti di sintesi, nello specifico tinte acriliche e/o viniliche, le prime fasi si distinguono per la presenza di cristalli di dimensioni variabili, indicativi di una macinazione artigianale del pigmento. Tra i pigmenti delle prime fasi si ipotizza l’utilizzo di biacca, bianco di zinco, oltremare, blu di Prussia, terre, ocre e verde ossido di cromo. Scarse informazioni sono state ottenute sulle componenti organiche (leganti, protettivi) per cui si consiglia un approfondimento analitico con tecniche dedicate. Al fine di ottenere dei dati conclusivi, i risultati delle indagini verranno discussi con la Fondazione Le Corbusier e i membri del gruppo di lavoro coinvolto per formulare il progetto di restauro. Mattia Cantoni Bachelor of Arts in Conservazione Tesi di Bachelor 2013 Le diverse tecniche di doratura coesistenti su una singola opera nei casi studio delle chiese di Cama, Soazza e Grono (Gr) Relatori: Marco Somaini; Giacinta Jean (correlatrice); Giovanni Cavallo (correlatore) 1. Degrado 2. Coesistenze tecniche 3. Dorature Didascalia immagine 1 A sinistra, esfoliazione dello strato preparatorio a base di gesso e colla della doratura a guazzo. Sottarco cappella di San Filippo Neri, chiesa di San Clemente a Grono. A destra, degrado della doratura a missione: viraggio cromatico della lamina metallica di similoro e della missione. Volta della cappella di San Filippo Neri, chiesa di San Clemente a Grono. M. Cantoni 2013 Didascalia immagine 2 A sinistra, coesistenza di tecniche di doratura su una sola opera: doratura a guazzo originaria con applicazione di porporina. Capitello sinistro dell’altare dedicato a San Filippo Neri, chiesa di San Clemente a Grono. A destra, sezione lucida, luce UV, doratura a missione del capitello destro dell’altare di San Filippo Neri, chiesa di San Clemente a Grono. Lo strato color arancio potrebbe essere gommalacca per isolare la finitura. M. Cantoni 2013 Didascalia immagine 3 A sinistra, segni lasciati dagli strumenti della brunitura su doratura a guazzo con foglia d’oro. Capitello destro dell’altare di San Carlo, chiesa di San Rocco a Soazza. Doratura a missione con residui di lamina metallica nelle depressioni degli stucchi. Altare cappella laterale destra, chiesa di San Maurizio a Cama. M. Cantoni 2013 L’interesse per questo tema è nato durante un corso sulla conservazione delle dorature in cui abbiamo osservato come spesso, su una stessa opera, siano conpresenti tecniche di doratura diverse che richiedono, quindi, accorgimenti diversi nell’impostare e nell’eseguire un intervento Abstract Il lavoro svolto ha avuto come obiettivo quello di rendere attenti i conservatori-restauratori sulla presenza contemporanea di diverse tecniche di doratura realizzate su stucco e di fornire una base di riflessione utile ad impostare un intervento conservativo su queste superfici. Ogni opera può presentare delle differenziazioni di lavorazione intenzionali riconducibili a svariati motivi. Si pensi per esempio a una questione puramente estetica dove una superficie doratura a guazzo brunita appaia liscia, lucida e morbida mentre nel caso di una doratura a missione la superficie appare più spigolosa e l’oro è quasi opaco anche se sempre brillante. Oppure si pensi a un fattore prettamente economico: le parti degli stucchi più esposte alla vista dei fedeli venivano dorate con foglia d’oro zecchino mentre le parti più lontane o meno visibili venivano dorate con foglia di finto oro. Le opere dorate del passato giunte fino a noi hanno con ogni probabilità subito degli interventi di restauro: alcune volte veniva applicata una nuova lamina metallica, altre volte si eseguivano dei ritocchi con della porporina, ecc. Il risultato è un’opera complessa che presenta lamine metalliche con differenti composizioni, applicate con diverse tecniche. Ogni tecnica e ogni materiale ha dei suoi meccanismi conservativi e va quindi trattata con cautele adeguate. La scelta dei casi studio è stata effettuata secondo i seguenti criteri: opere strettamente connesse dal punto di vista temporale che potessero permettere confronti incrociati coerenti e pertinenti; opere che conservano una parte consistente di dorature in buono o discreto stato di conservazione; periodo storico (1650 al 1750 ca.): legato alla produzione artistica dei Magistri grigionesi. Lavoro eseguito Sono state eseguite delle indagini per ogni altare presente nelle cappelle laterali delle chiese di Cama, Soazza e Grono per poter ricavare i dati su: studio delle tecniche esecutive di doratura; www.supsi.ch comprensione di come queste tecniche abbiano forme, caratteristiche visive e meccanismi di degrado differenti tra loro; approfondimento storico dell’opera; documentazione sugli interventi di restauro pregressi; individuazione delle diverse tecniche di doratura presenti sull’opera; sequenza esecutiva e rapporto tra il supporto, strato di finitura, preparazione per la doratura (se c’è) e lamina metallica; caratterizzazione e documentazione dei fenomeni di degrado presenti sull’opera; individuazione delle cause di degrado presenti sull’opera attraverso la compilazione di un atlante illustrato dei fenomeni di degrado; intervento: compatibilità e incompatibilità dei differenti trattamenti. Conclusioni Le diverse tecniche di doratura coesistenti su una singola opera presentano caratteristiche peculiari dal punto di vista macroscopico e microscopico. L‘abbinamento di tali caratteristiche associate a delle specifiche tecniche di analisi scientifiche rendono possibile la caratterizzazione stratigrafica e dei materiali costitutivi di ogni singola tecnica esecutiva di doratura. Le diverse tecniche di doratura coesistenti su una singola opera presentano caratteristiche peculiari dal punto di vista della fenomenologia di degrado. I materiali costituenti degli strati preparatori e delle lamine metalliche si degradano in maniera differenziata gli uni dagli altri. Perciò ogni tecnica di doratura deve essere trattata con cautele specifiche durante la fase operativa di conservazione e restauro. È stata individuata una procedura operativa nella maniera di dorare che tiene conto del punto in cui un‘opera viene osservata; della differenza di pregio dei diversi materiali utilizzati; della difficoltà e della tempistica d‘esecuzione di ogni singola tecnica esecutiva di doratura. In base a questi fattori veniva scelta una tecnica esecutiva piuttosto che un‘altra per la decorazione di zone ben precise dell‘opera. Sofia Franscella Bachelor of Arts in Conservazione Tesi di Bachelor 2013 Analisi del degrado delle pietre di Saltrio e Viggiù Relazione tra parametri microstrutturali, composizionali ed ambientali Relatori: Giovanni Cavallo; Roberto Bugini (correlatore) 1. Pietre 2. PPL pietre 3. Impiego e origine Didascalia immagine 1 A sinistra, pietra di Saltrio, esfoliazione e alterazione cromatica. A destra, pietra di Viggiù, disgregazione granulare. S. Franscella 2013 Didascalia immagine 2 A sinistra, analisi petrografica campione di pietra di Saltrio PPL (sviluppo di organismi biodeteriogeni in corrispondenza delle microlaminazioni). A destra, analisi petrografica campione di pietra di Viggiù (processo di dissoluzione chimica a livello della superficie di contatto tra i singoli cristalli di calcite). S. Franscella 2013 Didascalia immagine 3 A sinistra, Galleria Vittorio Emanuele II (Milano), seconda metà del XIX secolo: pietre di Viggiù e Saltrio in tutta la costruzione tranne che nei fusti e nei capitelli delle colonne. A destra, cava di pietra di Viggiù, nei pressi di Piamo. R.Bugini 2013 (Galleria V. Emanuele), S. Franscella 2013 (cava) L'interesse verso lo studio delle pietre e dei processi di alterazione e degrado è nato durante il mio percorso formativo Bachelor. Mi ha affascinato sin da subito l’idea di poter contribuire a comprendere in maniera più dettagliata i meccanismi di degrado delle pietre di Saltrio e Viggiù, in relazione alle loro caratteristiche composizionali, microstrutturali e ambientali. Un progetto di ampio interesse trattandosi di materiali lapidei largamente utilizzati nel corso dei secoli che rappresentano la testimonianza di vita vissuta di numerosi scalpellini e di un’attività oggi conclusa Abstract Nella fascia sud prealpina della provincia di Varese, a pochi chilometri dal confine Svizzero, sono ubicate le cave dalle quali si estraevano la pietra di Saltrio e di Viggiù, rocce sedimentarie appartenenti alla parte basale dei “Calcari Selciferi lombardi” del Giurassico Inferiore. Le due pietre, molto simili macroscopicamente, sono state largamente utilizzate negli edifici storici, religiosi, in opere scultoree della regione e nei paesi limitrofi, grazie alle loro caratteristiche di tenacità, buona lavorazione e modellazione. L’impiego della pietra di Saltrio è testimoniato già in epoca romana, mentre la pietra di Viggiù a partire dal XII secolo. L’impiego si intensifica e diventa più massiccio, in area lombarda, tra il XVI e XVIII secolo. Nel XIX secolo raggiunge il suo apice, testimoniato dall’apertura di ben 30 botteghe di “picasass”, decoratori e artisti. L’industrializzazione e l’introduzione sul mercato di materiali artificiali (cemento), determinarono la crisi dell’attività estrattiva delle due pietre; nel XX secolo chiusero definitivamente tutte le attività di coltivazione delle cave di Saltrio e di Viggiù. L’obiettivo di questo lavoro è di comprendere in maniera più dettagliata i meccanismi di degrado, in relazione alle caratteristiche composizionali, microstrutturali e ambientali, attraverso l’analisi di cinque casi studio in territorio svizzero e italiano[1]. Sulla base dell’analisi visiva e dell’analisi petrografica è stato possibile stabilire che vi è una stretta relazione tra degrado, caratteri microstrutturali e fattori ambientali. Sulla pietra di Saltrio si sono riscontrate prevalentemente tipologie di degrado appartenenti alla categoria del distacco e sono rappresentate da: esfoliazione, scagliatura, pelage e scaling. Questi fenomeni di degrado sono riconducibili alle particolari caratteristiche microstrutturali del litotipo e in particolare alla presenza di microlaminazioni visibili sia su scala macroscopica, sia microscopica. Inoltre è stato riscontrato che i fenomeni di distacco sono in relazione diretta oltre che con la microstruttura con la presenza di acqua di precipitazione meteorica. L’azione della radiazione solare sembra essere più influente su www.supsi.ch manufatti lastriformi maggiormente suscettibili a fenomeni di deformazione rispetto che ai monoliti. Le principali patologie di degrado riscontrate sulla pietra di Viggiù, sono la disgregazione granulare e la presenza di patine biologiche. La disgregazione si manifesta in corrispondenza dei contatti tra i singoli cristalli di calcite del cemento determinando lo sviluppo di cavità di forme irregolari. Inoltre l’azione ciclica dell’acqua e della radiazione termica sono determinanti nel processo di de-coesione, poiché influenzato dalla grandezza e dalla distribuzione dei cristalli in accordo a quanto riportato da LINDQVIST at al., 2007[2] . Il resto dei degradi verificati sulle due pietre risultano simili e si manifestano anche su altri materiali di composizione carbonatica. Nei monumenti studiati è stato verificato inoltre che la pietra di Viggiù si presenta generalmente in un miglior stato di conservazione rispetto alla pietra di Saltrio, malgrado la stessa esposizione ai fattori climatici e lo stesso periodo di messa in opera. I risultati indicano chiaramente una stretta relazione tra degrado e caratteri microstrutturali e fattori ambientali, essendo il degrado molto caratteristico per le due pietre (delaminazione e esfoliazione per Saltrio e disgregazione granulare per Viggiù). Questo progetto è un punto di partenza che necessita di essere completato in futuro, con lo studio delle proprietà fisiche, delle proprietà meccaniche e anche con prove di invecchiamento accelerato. Note Casi studio: Chiesa Madonna Assunta, Tremona (Svizzera); Chiesa S. Antonino Martire e vecchio cimitero, Besazio (Svizzera); Santuario di S. Maria dei Miracoli, Morbio Inferiore (Svizzera); Chiesa della Madonna della Croce, Viggiù (Italia); Villa Borromeo, Viggiù (Italia) J. E LINDQVIST, U. AKESSON, K. MALAGA, Microstructure and functional properties of rock materials, Materials characterization, 58, Elsevier, Sweden, 2007. Francesca Reichlin Bachelor of Arts in Conservazione Tesi di Bachelor 2013 L’ossario di Arogno Analisi dei materiali, del degrado e proposte per la conservazione degli stucchi esterni Relatori: Andreas KDžng; Stefania Luppichini (correlatrice) 1. L'ossario di Arogno Didascalia immagine 1 L'ossario di Arogno, con la sua ricca decorazione in stucco esterna in stile Rococò, rappresenta un monumento di pregevole interesse storico-artistico. F. Reichlin 2013 La motivazione nella scelta dell’ossario di Arogno come oggetto di studio nella tesi bachelor è stata determinata dalla curiosità di scoprire la storia, i motivi e le cause del suo stato conservativo attuale. Gli obiettivi della ricerca sono dunque la comprensione delle tecniche di messa in opera, la conoscenza dei materiali costitutivi, l‘analisi dei fenomeni di degrado, le loro possibili cause e la proposta di misure adeguate atte alla salvaguardia degli stucchi esterni Abstract Eretto probabilmente tra la fine del Seicento e l‘inizio del Settecento, l'ossario di Arogno presenta una ricca decorazione esterna realizzata in stucco. Dalle ricerche archivistiche è emerso che notizie storiche menzionanti l’edificio durante i secoli sono molto esigue o inesistenti; anche l‘autore è purtroppo ignoto. Il monumento è al centro dell’interesse comunale a partire dalla fine degli anni Cinquanta del XX secolo in quanto vi è il desiderio, da parte della parrocchia, di effettuare un intervento di restauro, operazione che verrà effettuata a metà degli anni Settanta. Parallelamente si è studiata la tecnica dello stucco nel contesto storico artistico in cui è stato creato l‘ossario. La situazione conservativa delle decorazioni è preoccupante: molti modellati si presentano disgregati ed instabili. Infatti, a dipendenza dell‘esposizione alle intemperie (acqua meteorica, sole,..) questi stucchi, a base di calce, hanno subito un degrado differenziato. A questo degrado naturale si aggiungono la costruzione dell‘edificio (il tetto e i canali di scolo) e le tecniche di realizzazione degli stucchi (forse non molto accurate) che hanno permesso ai fenomeni atmosferici di far avanzare il degrado. Le osservazioni macroscopiche dei materiali e dei fenomeni di degrado presenti sono stati documentati tramite una mappatura. Dalle osservazioni macroscopiche in situ si è osservata una stratigrafia composta da una malta di corpo, utilizzata come base dello stucco, uno strato di rifinitura e la presenza di una tinta di colore giallo chiaro. Da questa analisi si sono potuti osservare anche alcuni elementi di sostegno interni come laterizi, fili, chiodi e barre di ferro. Grazie alle analisi in laboratorio (microscopia ottica, microchimica e spettroscopia FTIR) è emerso che gli impasti sono composti da calce (legante) e sabbia di fiume (inerti) mentre la tinta è un sottile strato di calce pigmentata principalmente con ocra gialla. Inoltre si è potuto osservare il fenomeno della solfatazione in un piccolo campione di scialbo prelevato da una zona protetta dalle intemperie. Sempre da queste osservazioni si è potuta confermare la presenza di un estere silicio (silicato d‘etile) nella zona superficiale degli stucchi. In un articolo redatto dal restauratore Luigi Gianola, che ha effettuato l‘intervento sugli stucchi negli anni Settanta, si parlava, in effetti, di un'impregnazione con queste sostanze effettuata per la prima volta in Canton Ticino. La ricerca ha voluto mettere in luce soluzioni atte alla protezione e alla valorizzazione di questi stucchi. In particolare si è consigliato di deviare il più possibile le acque piovane tramite un intervento al tetto e la creazione di idonei canali di scolo. Per un intervento diretto invece sulla superficie si è consigliato di utilizzare, in un ipotetico restauro, materiali compatibili con le parti originali che riescano a mettere in sicurezza le zone critiche. Si è menzionato, inoltre, di effettuare una manutenzione costante sull’edificio nel corso nel tempo. Questo permetterebbe di salvare e valorizzare le decorazioni in stucco esterne che risultano essere un caso unico e particolare nella zona del Sottoceneri. www.supsi.ch